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Document 62012CC0028

Conclusioni dell’avvocato generale P. Mengozzi, presentate il 29 gennaio 2015.
Commissione europea contro Consiglio dell'Unione europea.
Ricorso di annullamento – Accordi internazionali misti – Decisione di autorizzazione della firma di tali accordi e di applicazione provvisoria degli stessi – Decisione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio – Autonomia dell’ordinamento giuridico dell’Unione – Partecipazione degli Stati membri alla procedura e alla decisione di cui all’articolo 218 TFUE – Modalità di voto in seno al Consiglio.
Causa C-28/12.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2015:43

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 29 gennaio 2015 ( 1 )

Causa C‑28/12

Commissione europea

contro

Consiglio dell’Unione europea

«Ricorso di annullamento — Articolo 218 TFUE — Decisione concernente la firma e l’applicazione provvisoria di accordi internazionali — Decisione ibrida del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri — Procedura alternativa — Regole di voto — Obbligo di leale collaborazione — Principio di autonomia organizzativa delle istituzioni — Rappresentanza unitaria dell’Unione»

1. 

A seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, possono il Consiglio dell’Unione europea e i rappresentanti dei governi degli Stati membri dell’Unione europea adottare congiuntamente decisioni (cosiddette «miste» o «ibride») al fine di prendere le misure necessarie nell’ambito delle diverse fasi della procedura di negoziazione e di conclusione degli accordi internazionali, come previsto dall’articolo 218 TFUE? È ammissibile, ai sensi del diritto dell’Unione, segnatamente, in caso di negoziato e di conclusione di accordi misti, la fusione tra, da una parte, un atto dell’Unione, come una decisione del Consiglio che, nell’ambito degli accordi internazionali, deve essere adottata a maggioranza qualificata, e, dall’altra parte, un atto avente natura intergovernativa, che, per definizione, deve essere adottato da tutti gli Stati interessati? Quali ruoli hanno, in tale contesto, la necessità di rappresentanza unitaria dell’Unione sul piano internazionale, il relativo obbligo di stretta cooperazione tra l’Unione e i suoi Stati membri, la necessità di certezza del diritto nel diritto internazionale per le parti contraenti degli accordi misti conclusi con l’Unione e con i suoi Stati membri, nonché il principio di autonomia delle istituzioni dell’Unione?

2. 

Sono queste, in sostanza, le questioni che la Corte deve affrontare nella presente causa, in cui la Commissione europea chiede l’annullamento della decisione 2011/708/UE, adottata il 16 giugno 2011 dal Consiglio e dai rappresentanti dei governi degli Stati membri dell’Unione europea, riuniti in sede di Consiglio ( 2 ) (nel prosieguo: la «decisione impugnata»), concernente la firma, a nome dell’Unione e l’applicazione provvisoria da parte dell’Unione e dei suoi Stati membri di due accordi internazionali nel settore dei trasporti aerei.

3. 

Sebbene, a prima vista, possa sembrare che la presente causa sia di natura principalmente procedurale, la sua portata va in realtà oltre le semplici questioni attinenti alla procedura. Essa, infatti, ha ad oggetto questioni delicate che riguardano l’esercizio delle competenze esterne dell’Unione. Nella soluzione che sarà chiamata a trovare, la Corte dovrà quindi ponderare le varie esigenze che entrano in gioco nella presente causa, tenendo conto dell’effettivo funzionamento pratico sia del processo decisionale sia dell’azione esterna dell’Unione.

I – I fatti

4.

Il 25 e il 30 aprile 2007, la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e gli Stati Uniti d’America, dall’altra, hanno sottoscritto un accordo sui trasporti aerei ( 3 ), in seguito modificato da un protocollo firmato a Lussemburgo il 24 giugno 2010 ( 4 ) (nel prosieguo: l’«accordo sui trasporti aerei UE‑Stati Uniti»). Tale accordo era inteso, segnatamente, a favorire lo sviluppo del trasporto aereo internazionale aprendo i mercati e massimizzando i benefici per i consumatori, le compagnie aeree, i lavoratori e le popolazioni delle due sponde dell’oceano Atlantico.

5.

Poiché l’accordo sui trasporti aerei UE‑Stati Uniti prevedeva la possibilità che vi aderissero Stati terzi, la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia hanno presentato una richiesta di adesione nel 2007. Ai fini dell’adesione di questi due Stati, sono stati pertanto negoziati due accordi internazionali. Da una parte, l’Unione e i suoi Stati membri, gli Stati Uniti d’America, la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia hanno negoziato un accordo di adesione inteso a estendere il campo di applicazione dell’accordo sui trasporti aerei UE‑Stati Uniti, mutatis mutandis, a ciascuna delle parti contraenti (GU 2011, L 283, pag. 3, nel prosieguo: l’«accordo di adesione»). Dall’altra parte, è stato negoziato l’accordo addizionale fra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, l’Islanda, d’altro lato, e il Regno di Norvegia, d’altro lato, riguardante l’applicazione dell’accordo sui trasporti aerei fra gli Stati Uniti d’America, da un lato, l’Unione europea e i suoi Stati membri, d’altro lato, l’Islanda, d’altro lato, e il Regno di Norvegia, d’altro lato (GU 2011, L 283, pag. 16; nel prosieguo l’«accordo addizionale»). Tale accordo è inteso a garantire il mantenimento della natura bilaterale del predetto accordo sui trasporti aerei UE‑Stati Uniti.

6.

Il 2 maggio 2011 la Commissione ha adottato la proposta di decisione del Consiglio COM(2011) 239 definitivo, relativa alla firma e all’applicazione provvisoria dell’accordo sui trasporti aerei fra gli Stati Uniti d’America, da un lato, l’Unione europea e i suoi Stati membri, d’altro lato, l’Islanda, d’altro lato, e il Regno di Norvegia, d’altro lato; e concernente la firma e l’applicazione provvisoria dell’accordo addizionale fra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, l’Islanda, d’altro lato, e il Regno di Norvegia, d’altro lato, riguardante l’applicazione dell’accordo sui trasporti aerei fra gli Stati Uniti d’America, da un lato, l’Unione europea e i suoi Stati membri, d’altro lato, l’Islanda, d’altro lato, e il Regno di Norvegia, d’altro lato. Tale proposta prevedeva una decisione del solo Consiglio ed era fondata sull’articolo 100, paragrafo 2, TFUE ( 5 ) in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafo 5, TFUE ( 6 ).

7.

Discostandosi dalla predetta proposta, il Consiglio ha adottato la decisione impugnata sotto forma di una decisione ibrida, ossia una decisione sia del Consiglio sia dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio. La decisione impugnata era fondata sull’articolo 100, paragrafo 2, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafi 5 e 8, TFUE ( 7 ).

8.

Ai sensi dell’articolo 1 della decisione impugnata, «[l]a firma dell’[accordo di adesione] e [del]l’accordo addizionale (…) è approvata a nome dell’Unione, con riserva della conclusione di tale accordo».

9.

L’articolo 2 di tale decisione dispone che «[i]l presidente del Consiglio è autorizzato a designare la persona o le persone abilitate a firmare l’accordo di adesione e l’accordo addizionale, a nome dell’Unione».

10.

L’articolo 3 della medesima decisione dispone che «[i]n attesa che siano terminate le procedure necessarie alla loro conclusione, l’accordo di adesione e l’accordo addizionale sono applicati a titolo provvisorio a decorrere dalla data della firma dall’Unione e, nella misura consentita dal diritto nazionale applicabile, dai suoi Stati membri e dalle parti pertinenti».

11.

L’accordo di adesione e l’accordo addizionale sono stati firmati a Lussemburgo e ad Oslo, il 16 e il 21 giugno 2011.

II – Le conclusioni delle parti e il procedimento dinanzi alla Corte

12.

La Commissione chiede alla Corte di annullare la decisione impugnata, di disporre nondimeno il mantenimento degli effetti della predetta decisione e di condannare il Consiglio alle spese.

13.

Il Consiglio chiede alla Corte di respingere il ricorso in quanto irricevibile o infondato, in subordine, se e nei limiti in cui la Corte annulli la decisione impugnata, di dichiarare che gli effetti di tale decisione sono definitivi e di condannare la Commissione alle spese.

14.

Con ordinanza del 18 giugno 2012, il presidente della Corte ha ammesso il Parlamento europeo ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione, nonché la Repubblica ceca, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica di Polonia, la Repubblica portoghese, la Repubblica di Finlandia, il Regno di Svezia e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

15.

L’udienza dinanzi alla Corte si è tenuta l’11 novembre 2014.

III – Analisi

16.

Nel suo ricorso, la Commissione contesta integralmente la decisione impugnata in base a tre motivi. Il primo motivo verte su una violazione della procedura e delle condizioni relative all’autorizzazione della firma e dell’applicazione provvisoria degli accordi internazionali da parte dell’Unione. Il secondo motivo verte su una violazione delle regole di voto in seno al Consiglio e il terzo motivo verte sull’inosservanza degli obiettivi sanciti nei Trattati e sul mancato rispetto del principio di leale cooperazione. Prima di analizzare questi tre motivi, occorre tuttavia analizzare l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio.

A – Sulla ricevibilità

17.

Il Consiglio deduce tre motivi di irricevibilità del ricorso della Commissione. In primo luogo, il ricorso sarebbe irricevibile giacché lo stesso avrebbe dovuto essere proposto contro gli Stati membri e non contro il Consiglio. La Commissione contesterebbe, infatti, la partecipazione degli Stati membri alla decisione impugnata e non un comportamento da sanzionare imputabile al Consiglio. In secondo luogo, il Consiglio sostiene che il ricorso è irricevibile in quanto lo stesso riguarderebbe una decisione degli Stati membri, che non rientrerebbe nel campo di applicazione dell’articolo 263 TFUE e non potrebbe quindi essere oggetto del controllo giurisdizionale della Corte. In terzo luogo, secondo il Consiglio, la Commissione non avrebbe un interesse ad agire giacché l’annullamento richiesto non comporterebbe alcuna conseguenza giuridica.

18.

Per quanto concerne il primo e il secondo argomento formulati dal Consiglio, occorre innanzitutto ricordare che il ricorso di annullamento deve potersi esperire nei confronti di qualsiasi provvedimento adottato dalle istituzioni, indipendentemente dalla sua natura e dalla sua forma, che miri a produrre effetti giuridici ( 8 ).

19.

Orbene, nel caso di specie, il ricorso della Commissione riguarda un atto adottato congiuntamente dal Consiglio e dai rappresentanti degli Stati membri, segnatamente in base all’articolo 218, paragrafi 5 e 8, TFUE. Come emerge dai paragrafi da 8 a 10 delle presenti conclusioni, tale atto autorizza sia la firma e l’applicazione provvisoria degli accordi internazionali in esame per quanto concerne l’Unione, sia l’applicazione provvisoria dei predetti accordi da parte degli Stati membri nei limiti in cui ciò sia consentito dalla legislazione nazionale applicabile.

20.

Ne consegue, da una parte, che il Consiglio ha partecipato all’adozione della decisione impugnata e che, di conseguenza, si tratta effettivamente di un provvedimento adottato da tale istituzione e, dall’altra, che la decisione impugnata costituisce un atto che produce effetti giuridici il quale, in quanto tale, può essere soggetto a controllo giurisdizionale ( 9 ). Il primo e il secondo argomento del Consiglio devono essere pertanto respinti.

21.

Per quanto concerne il terzo argomento del Consiglio, è sufficiente ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l’articolo 263, paragrafo 2, TFUE attribuisce alle istituzioni che vi sono menzionate e a qualsiasi Stato membro il diritto di contestare, con ricorso d’annullamento, la legittimità di qualsiasi atto del Consiglio che produca effetti giuridici, senza che l’esercizio di tale diritto sia subordinato alla prova dell’esistenza di un interesse ad agire ( 10 ). Per proporre il presente ricorso, la Commissione non deve quindi provare alcun interesse ad agire. Poiché quindi il terzo argomento del Consiglio deve essere parimenti respinto, il ricorso è, a mio avviso, ricevibile con riguardo alla decisione impugnata nel suo complesso.

B – Nel merito

1. Argomenti delle parti

a) Sul primo motivo, relativo ad una violazione della procedura e delle condizioni relative all’autorizzazione della firma e dell’applicazione provvisoria degli accordi internazionali da parte dell’Unione

22.

La Commissione, sostenuta dal Parlamento, afferma che, adottando la decisione impugnata, il Consiglio ha violato l’articolo 13, paragrafo 2, prima frase, TUE ( 11 ), in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafi 2 e 5, TFUE. Ai sensi di quest’ultima disposizione, il Consiglio sarebbe l’unica istituzione che può autorizzare la firma e l’applicazione provvisoria di un accordo internazionale da parte dell’Unione. La decisione impugnata avrebbe quindi dovuto essere adottata dal solo Consiglio, ad esclusione degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio.

23.

Facendo partecipare al processo decisionale gli Stati membri, che hanno collettivamente preso posizione in sede di Consiglio, il Consiglio avrebbe derogato unilateralmente alla procedura prevista all’articolo 218 TFUE, mentre emergerebbe dalla giurisprudenza che esso non può discostarsi dalle norme stabilite dai Trattati e ricorrere a procedure alternative per l’adozione degli atti dell’Unione. Pertanto, il Consiglio sarebbe del pari venuto meno al suo obbligo di esercitare le proprie competenze nei limiti stabiliti dalle procedure e dalle condizioni previste dai Trattati, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, primo periodo, TUE.

24.

In particolare, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le procedure dell’Unione dovrebbero distinguersi chiaramente dagli ambiti nei quali gli Stati membri mantengono la facoltà di esercitare le loro competenze. Non sarebbe pertanto possibile eseguire una fusione tra un atto intergovernativo e un atto dell’Unione. La prassi precedente che consisteva nel ricorso ad atti ibridi, in particolare nel settore dell’aviazione, snaturerebbe oramai le procedure dell’Unione e non potrebbe essere più ammessa.

25.

Il carattere misto di un accordo internazionale, concluso dall’Unione e da ciascuno degli Stati membri, non comporterebbe necessariamente che la decisione del Consiglio inerente alla sua firma e alla sua applicazione provvisoria, adottata in virtù dell’articolo 218 TFUE, possa essere alterata fondendola con una decisione intergovernativa degli Stati membri. Un’inclusione del genere nel processo decisionale del Consiglio non sarebbe necessaria né riguardo alla firma dell’accordo, né riguardo alla sua applicazione provvisoria.

26.

Il Consiglio, sostenuto da tutti i governi intervenienti, ritiene invece che l’adozione della decisione impugnata sotto forma di una decisione ibrida non violi alcuna disposizione dei Trattati.

27.

Innanzitutto, il Consiglio non avrebbe né derogato alle disposizioni di cui all’articolo 218, paragrafi 2 e 5, TFUE, né avrebbe fatto ricorso a una procedura alternativa. Invero, i rappresentanti degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio avrebbero adottato due decisioni distinte che sarebbero contenute nella decisione impugnata. Da una parte, ai sensi dell’articolo 218 TFUE, nella loro qualità di membri del Consiglio, essi avrebbero autorizzato la firma e l’applicazione provvisoria degli accordi in esame da parte dell’Unione. Dall’altra parte, in qualità di rappresentanti degli Stati membri, essi avrebbero autorizzato l’applicazione provvisoria di tali accordi da parte degli Stati membri nei limiti consentiti dalla legislazione nazionale applicabile. Quest’ultima parte della decisione impugnata sarebbe stata adottata in base a procedure che non sono previste dai Trattati. Gli Stati membri non avrebbero quindi partecipato alla procedura prevista all’articolo 218, paragrafi 2 e 5, TFUE.

28.

In secondo luogo, secondo il Consiglio, posto che gli accordi in esame sono accordi misti, l’adozione di una decisione ibrida, di cui gli Stati membri sono i coautori, sarebbe pienamente coerente con la natura mista degli accordi sottesi e con il fatto che gli Stati membri esercitano per certi aspetti le loro competenze proprie. Essa costituirebbe una conseguenza ammissibile della conclusione di accordi misti iscrivendosi in una simmetria giuridica con questi ultimi.

29.

La scelta dello strumento della decisione ibrida sarebbe in realtà l’espressione del dovere di stretta cooperazione tra l’Unione e gli Stati membri e della necessità della rappresentanza unitaria dell’Unione richiesta dalla giurisprudenza. Questo tipo di decisioni costituirebbe il modo migliore per garantire una siffatta unità nella rappresentanza internazionale e un approccio comune e coordinato dell’Unione e dei suoi Stati membri. Ciò sarebbe ancora più vero qualora, come avverrebbe per gli accordi in esame, gli aspetti dell’accordo internazionale che rientrano nella competenza dell’Unione siano intrinsecamente connessi agli aspetti che rientrano nella competenza degli Stati membri e tali aspetti siano quindi indissociabili. La tesi della Commissione secondo la quale le decisioni dell’Unione dovrebbero essere incluse in uno strumento separato dalle decisioni intergovernative minerebbe la cooperazione tra gli Stati membri e l’Unione e nuocerebbe all’efficacia del quadro istituzionale per la conclusione dei trattati internazionali.

30.

Inoltre, in virtù del principio di autonomia delle istituzioni, il Consiglio e gli Stati membri sarebbero liberi di determinare la forma precisa dell’organizzazione del loro lavoro. La circostanza che tale autorizzazione sia comunicata in una decisione unica non nuocerebbe in alcun modo all’integrità della procedura prevista dall’articolo 218, paragrafo 5, TFUE. In ogni caso, l’adozione di una decisione ibrida condurrebbe in pratica al medesimo risultato dell’adozione di due decisioni, una da parte del Consiglio, l’altra da parte dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio, oppure dell’adozione di un’unica decisione del Consiglio. Da ultimo, l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona non avrebbe inciso sulla legittimità delle decisioni ibride e non ne avrebbe vietata l’adozione. L’adozione di decisioni miste costituirebbe invece una prassi consolidata, segnatamente nel settore dei trasporti aerei, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

b) Sul secondo motivo, relativo a una violazione delle regole di voto in seno al Consiglio

31.

Con il suo secondo motivo, la Commissione, sostenuta dal Parlamento, afferma che, adottando la decisione impugnata, il Consiglio ha violato l’articolo 218, paragrafo 8, primo comma, TFUE, in relazione al fondamento giuridico sostanziale per l’adozione di provvedimenti nel settore dei trasporti aerei, ossia l’articolo 100, paragrafo 2, TFUE. Invero, mentre una decisione ai sensi di tali disposizioni deve essere adottata dal Consiglio a maggioranza qualificata, un atto intergovernativo adottato collettivamente dai rappresentanti dei governi degli Stati membri deve, invece, per sua stessa natura, essere adottato dagli Stati membri all’unanimità. Orbene, la fusione di tali atti in un’unica decisione e la loro subordinazione all’unanimità renderebbero praticamente impossibile l’applicazione del voto a maggioranza qualificata, rendendo di fatto inefficace l’introduzione di siffatto voto da parte del Trattato di Lisbona quale regola generale per la procedura di negoziazione e conclusione di accordi internazionali da parte dell’Unione. Essa priverebbe pertanto la procedura prevista all’articolo 218, paragrafo 8, primo comma, TFUE della sua stessa essenza e comprometterebbe in modo generale l’efficacia delle procedure dell’Unione. Inoltre, la fusione tra questi due atti comporterebbe che il fondamento giuridico indicato nella decisione ibrida non determinerebbe realmente la procedura di voto in seno al Consiglio, la quale sarebbe stata implicitamente, ma inevitabilmente, sostituita in ragione della sua componente intergovernativa.

32.

Il Parlamento aggiunge che la fusione tra questi due tipi di atti implica altresì una violazione dell’equilibrio istituzionale nella procedura applicabile alla conclusione di accordi internazionali da parte dell’Unione, in violazione dell’articolo 218, paragrafi 6 e 10, TFUE.

33.

Il Consiglio, sostenuto dai governi intervenienti, ritiene di aver osservato le regole di voto enunciate nei Trattati. Secondo il Consiglio, infatti, la decisione impugnata sarebbe stata adottata a maggioranza qualificata in sede di Consiglio, quando si trattava di competenze esclusive dell’Unione, e all’unanimità dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, quando si trattava di competenze degli Stati membri. Sarebbe quindi inesatto dire che essa sia stata adottata all’unanimità o che la regola della maggioranza qualificata sia stata modificata. Il fatto che nessuna delegazione in sede di Consiglio si sia opposta alla decisione impugnata non può significare che non sia stato adottato il voto a maggioranza qualificata. In ogni caso, qualsiasi decisione adottata all’unanimità comporterebbe necessariamente, di fatto, una maggioranza qualificata. Peraltro, il fatto che sia stato raggiunto il consenso degli Stati membri non pregiudicherebbe l’efficacia né dell’azione dell’Unione né delle sue procedure.

34.

Il Consiglio e alcuni governi sostengono altresì che, in materia di accordi internazionali, il cumulo di più regole di voto sarebbe una prassi corrente conforme alla giurisprudenza. Inoltre, secondo il governo finlandese, la modalità di votazione scelta dal Consiglio si fondava sull’articolo 293, paragrafo, 1, TFUE, ai sensi del quale il Consiglio, deliberando su proposta della Commissione, può emendarla solo deliberando all’unanimità. Nel caso di specie, poiché il Consiglio avrebbe emendato la proposta della Commissione con riguardo all’articolo 3 della decisione impugnata, avrebbe dovuto, in ogni caso, procedere al voto all’unanimità.

c) Sul terzo motivo, relativo a una violazione degli obiettivi stabiliti nel Trattato e del principio di leale cooperazione

35.

La Commissione, sostenuta dal Parlamento, eccepisce al Consiglio di aver violato gli obiettivi dei Trattati e il principio di leale cooperazione sancito dall’articolo 13, paragrafo 2, TUE. Consentendo agli Stati membri di intervenire nelle procedure dell’Unione, il Consiglio avrebbe, innanzitutto, «seminato incertezza» sulla personalità indipendente dell’Unione nelle relazioni internazionali. Il messaggio inviato dal Consiglio sulla scena internazionale sarebbe che l’Unione non ha il poter di adottare una decisione autonomamente. In secondo luogo, così agendo, il Consiglio non avrebbe rispettato il principio di leale cooperazione giacché avrebbe dovuto esercitare i propri poteri in modo da non eludere le procedure dell’Unione previste all’articolo 218 TFUE. Il Consiglio avrebbe violato tale principio sia nelle relazioni istituzionali sia nei confronti dell’Unione nel suo complesso. Da ultimo, il Consiglio avrebbe indebolito il quadro istituzionale dell’Unione facendo svolgere agli Stati membri in seno all’Unione un ruolo non previsto dai Trattati e, segnatamente, dall’articolo 218 TFUE, rischiando così di far prevalere gli interessi degli Stati membri rispetto a quelli dell’Unione.

36.

Il Consiglio, sostenuto dai governi intervenienti, ritiene che la decisione impugnata non crei alcuna confusione per i terzi o per la comunità internazionale. Nell’ambito di accordi misti, la situazione sarebbe, per contro, fonte di confusione per i terzi se essi vedessero unicamente la decisione del Consiglio, senza una decisione che associ gli Stati membri. La decisione impugnata sarebbe peraltro non solo conforme all’obiettivo di unità di rappresentanza internazionale dell’Unione, ma la garantirebbe, la promuoverebbe e la rafforzerebbe, mettendo ben in evidenza la posizione comune dell’Unione e dei suoi Stati membri. L’adozione di una decisione siffatta sarebbe l’espressione dell’obbligo di stretta cooperazione e di approccio comune dell’Unione e degli Stati membri. Al contrario, l’adozione di una decisione solo da parte del Consiglio senza gli Stati membri potrebbe invece fornire, all’esterno, l’immagine di un’Unione divisa e una procedura intergovernativa parallela presenterebbe rischi di divergenze tra gli Stati membri nonché di ritardi. Questa procedura sarebbe pertanto meno favorevole rispetto agli obiettivi perseguiti dal Trattato. In ogni caso, una decisione ibrida costituirebbe un atto interno dell’Unione che non sarebbe inteso ad essere portato a conoscenza di Stati terzi e, anche qualora lo fosse, sarebbe poco probabile che fosse attribuita una qualsiasi importanza alla determinazione dei suoi autori.

2. Analisi

37.

Con il suo ricorso, la Commissione chiede alla Corte di annullare la decisione impugnata, che riguarda, da un lato, la firma da parte dell’Unione e, d’altro lato, l’applicazione provvisoria da parte dell’Unione e dei suoi Stati membri dell’accordo di adesione e dell’accordo addizionale, in considerazione del fatto che tale decisione è stata adottata congiuntamente dal Consiglio e dai rappresentanti degli Stati membri in quanto atto ibrido che fonde un atto dell’Unione e un atto intergovernativo.

38.

Occorre notare, in via preliminare, che la Commissione ha affermato esplicitamente che, con il suo ricorso, non intende contestare la natura mista dei due accordi internazionali in esame ( 12 ). La portata del ricorso nella presente causa è quindi limitata alla sola questione della legittimità dell’adozione della decisione impugnata come decisione ibrida.

39.

Rilevo, poi, sempre in via preliminare, che, sebbene la decisione impugnata costituisca, da un punto di vista formale, un atto unico, essa contiene in realtà due decisioni distinte da un punto di vista sostanziale, ossia, da una parte, una decisione del Consiglio, relativa alla firma e all’applicazione provvisoria degli accordi di cui trattasi da parte dell’Unione e, dall’altra parte, un atto intergovernativo dei rappresentanti degli Stati membri, relativo all’applicazione provvisoria dei predetti accordi da parte di questi ultimi. È precisamente la questione della legittimità dell’adozione congiunta di questi due atti distinti e della loro fusione in un unico atto che costituisce l’oggetto della contestazione della Commissione.

40.

I tre motivi addotti dalla Commissione nel suo ricorso, pur affrontando tale questione sotto punti di vista diversi, coincidono, a mio avviso, a diversi livelli. Infatti, tale ricorso solleva, in sostanza, due tipi di problemi. Da una parte, in un aspetto che potremmo definire interno, la presente causa riguarda l’applicazione delle disposizioni relative alle procedure e alle regole di voto per l’adozione degli atti dell’Unione relativi alla negoziazione e alla conclusione degli accordi internazionali nel quadro procedurale stabilito dall’articolo 218 TFUE. In tale contesto, si pone altresì la questione del grado di autonomia organizzativa e funzionale propria delle istituzioni dell’Unione. Dall’altra parte, nel suo aspetto esterno, la presente causa attiene altresì alle esigenze relative allo svolgimento concreto dell’azione esterna dell’Unione. Essa solleva, infatti, questioni inerenti in particolare all’esigenza di rappresentanza unitaria dell’Unione sulla scena internazionale e al relativo obbligo di stretta cooperazione tra l’Unione e gli Stati membri nell’ambito della procedura di negoziazione e di conclusione di accordi misti. Essa attiene altresì agli obblighi di diritto internazionale che derivano dall’azione esterna dell’Unione nei confronti delle altre parti contraenti.

41.

La soluzione ai problemi giuridici sollevati nella presente causa non può dunque limitarsi alla considerazione delle questioni procedurali interne, ma deve altresì tener conto dell’impatto che tali questioni hanno sull’azione esterna dell’Unione. Ciò rende quindi necessario procedere a una valutazione che pondera i diversi principi e le diverse esigenze pratiche che entrano in gioco nella presente causa. In tali circostanze, ritengo opportuno analizzare i tre motivi congiuntamente, partendo da una presentazione generale delle questioni sollevate nella presente causa, per poi esaminare le censure dedotte dalla Commissione nel suo ricorso alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza.

a) Sul quadro procedurale per la negoziazione e la conclusione degli accordi internazionali da parte dell’Unione previsto all’articolo 218 TFUE

42.

Per quanto concerne il suo aspetto interno, la presente causa solleva innanzitutto una questione inerente alla conformità della procedura seguita per l’adozione della decisione impugnata alle disposizioni dell’articolo 218 TFUE.

43.

Dall’articolo 218, paragrafo 1, TFUE risulta che tale articolo è inteso a disciplinare la procedura per la negoziazione e la conclusione degli accordi tra l’Unione e Stati terzi o organizzazioni internazionali. Tale articolo, contenuto nel titolo V, intitolato «Accordi internazionali», della parte quinta del trattato FUE, a sua volta intitolata «Azione esterna dell’Unione», costituisce una norma di carattere generale che ha lo scopo di creare una procedura unica e unificata per la negoziazione e la conclusione dei predetti accordi da parte dell’Unione. Tale disposizione è l’espressione, da una parte, della nuova struttura dell’Unione a seguito della scomparsa formale dei pilastri con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ( 13 ) e, dall’altra parte, della nuova dimensione rafforzata dell’azione esterna dell’Unione rispecchiata dall’introduzione degli articoli 21 TUE e 22 TUE nonché della parte quinta del predetto Trattato.

44.

La procedura prevista all’articolo 218 TFUE è intesa quindi ad essere applicata a tutti gli accordi negoziati e conclusi dall’Unione indipendentemente dalla loro natura e dal loro contenuto, ad eccezione dei casi espressamente previsti da disposizioni specifiche dei Trattati ( 14 ). Tale norma si applica inoltre agli accordi conclusi nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune. In particolare, nulla indica che tale articolo non troverebbe applicazione nel caso in cui l’accordo internazionale fosse concluso sotto forma di un accordo misto.

45.

Poiché la procedura che conduce alla conclusione di un accordo internazionale è una procedura per fasi, l’articolo 218 TFUE specifica le modalità di svolgimento di dette diverse fasi nonché il ruolo e i poteri rispettivi delle diverse istituzioni coinvolte nella negoziazione e nella conclusione degli accordi internazionali da parte dell’Unione.

46.

In particolare, per quanto concerne le disposizioni rilevanti per la presente causa, dall’articolo 218, paragrafo 2, TFUE risulta che il Consiglio è l’istituzione che ha il potere di autorizzare l’avvio dei negoziati, definire le direttive di negoziato, autorizzare la firma e concludere gli accordi dell’Unione. Pertanto, ai sensi del paragrafo 5 del predetto articolo, è il Consiglio che, su proposta del negoziatore, adotta una decisione che autorizza la firma dell’accordo ed eventualmente la sua applicazione provvisoria prima dell’entrata in vigore di quest’ultimo. Il paragrafo 6 del medesimo articolo, da una parte, prevede che il Consiglio, su proposta del negoziatore, adotta la decisione relativa alla conclusione dell’accordo e, dall’altra parte, attribuisce al Parlamento un potere di approvazione o di mera consultazione, in funzione dell’oggetto dell’accordo che deve essere concluso. Il paragrafo 8 dell’articolo 218 TFUE sancisce la norma generale secondo cui, nel corso dell’intera procedura, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo nell’ambito delle eccezioni previste al secondo comma di tale disposizione.

47.

Dal contesto in cui l’articolo 218 TFUE si inserisce, nonché dalla sua formulazione e dalla sua sistematica – e, segnatamente, dal suo obiettivo inteso ad instituire un sistema e norme procedurali di carattere generale per la negoziazione e la conclusione degli accordi internazionali da parte dell’Unione – emerge che, salvo nel caso di eccezioni espressamente previste dagli stessi Trattati, il Consiglio non può discostarsi dalle procedure ivi previste, ricorrendo a procedure alternative o diverse da quelle previste al predetto articolo nelle diverse fasi di cui si compone la procedura di negoziazione e di conclusione degli accordi internazionali. Il Consiglio non può segnatamente adottare atti che non costituiscono una delle decisioni previste in una fase determinata della predetta procedura o che siano adottati a condizioni diverse da quelle imposte dallo stesso articolo 218 TFUE ( 15 ). L’obbligo per il Consiglio di seguire le procedure imposte dai Trattati trova altresì la sua fonte nell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, ai sensi del quale ciascuna istituzione è tenuta ad agire secondo le procedure, le condizioni e le finalità previste dai Trattati.

48.

A tal proposito, occorre ancora rilevare che, salvo per quanto riguarda due questioni specifiche ( 16 ), l’articolo 218 TFUE non prevede in nessuna fase l’intervento degli Stati membri nella procedura di negoziazione o di conclusione degli accordi internazionali da parte dell’Unione ( 17 ). Gli Stati membri, in quanto tali, non sono reputati avere alcun ruolo nell’ambito della procedura ai sensi dell’articolo 218 TFUE, che costituisce una procedura propria dell’Unione.

49.

Orbene, tale constatazione non è rimessa in discussione dalla circostanza che l’articolo 218 TFUE si applica non solo agli accordi propri dell’Unione, ma altresì agli accordi misti. Infatti, nel caso di accordi misti, l’articolo 218 TFUE si applicherà esclusivamente alla partecipazione dell’Unione all’accordo misto e non a quella degli Stati membri. La partecipazione di questi ultimi agli accordi misti sarà disciplinata, per quanto concerne l’aspetto interno della loro partecipazione, da ciascun diritto nazionale e, per quanto concerne l’aspetto esterno della loro partecipazione, dal diritto internazionale pubblico ( 18 ).

b) Sul fondamento giuridico e sulle regole di voto

50.

L’adozione della decisione impugnata quale decisione ibrida che fonde un atto dell’Unione e un atto intergovernativo solleva, inoltre, questioni relative, da una parte, al fondamento giuridico prescelto e, dall’altra parte, al rispetto delle regole di voto previste dai Trattati.

51.

A tal proposito, occorre ricordare che la Corte ha statuito che l’esigenza della certezza del diritto impone che qualsiasi atto dell’Unione inteso a produrre effetti giuridici tragga la propria forza vincolante da una disposizione del diritto dell’Unione che dev’essere espressamente indicata come fondamento giuridico e che prescrive la forma giuridica di cui il provvedimento dev’essere rivestito. Tale indicazione, in primo luogo, è necessaria al fine di determinare le modalità di voto in seno al Consiglio, in secondo luogo, riveste un’importanza particolare al fine di preservare le prerogative delle istituzioni dell’Unione interessate dalla procedura di adozione di un atto e, in terzo luogo, determina la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri, evitando di generare confusione circa la natura della competenza dell’Unione e di indebolire quest’ultima nella difesa della sua posizione al momento di negoziati internazionali ( 19 ).

52.

Inoltre, occorre del pari rilevare che la Corte ha affermato, più volte, che le regole relative alla formazione della volontà delle istituzioni dell’Unione trovano la loro fonte nei Trattati e che esse non sono derogabili né dagli Stati membri né dalle stesse istituzioni ( 20 ). Solo i Trattati possono, in casi specifici, autorizzare un’istituzione a modificare una procedura decisionale da essi prevista. Del resto, riconoscere ad un’istituzione la facoltà di discostarsi da una procedura decisionale quale prevista dai Trattati e di adottare una procedura alternativa equivarrebbe, da una parte, ad attribuire alla stessa il potere di derogare unilateralmente alle norme previste dal Trattato, ciò che sicuramente non è ammissibile ( 21 ), e, dall’altra parte, a consentirle di minare il principio dell’equilibrio istituzionale, il quale comporta che ciascuna istituzione esercita le proprie competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni ( 22 ).

53.

Al riguardo, occorre inoltre rilevare che la Corte ha adottato un approccio piuttosto diffidente nei confronti della fusione di procedure diverse per l’adozione di atti dell’Unione. Così, per quanto riguarda il ricorso a un duplice fondamento giuridico, secondo giurisprudenza costante è escluso il cumulo di due basi giuridiche laddove le procedure previste da ciascuna di esse siano incompatibili ( 23 ). Ciò avveniva specificamente nella causa cosiddetta «Biossido di titanio» ( 24 ) la cui applicabilità alla presente causa è stata oggetto di un lungo dibattito tra le parti. In tale causa, il Consiglio aveva adottato una direttiva ( 25 ) all’unanimità in base all’articolo 130 S del Trattato CEE ( 26 ), mentre la Commissione, nel proprio ricorso di annullamento, affermava che tale direttiva avrebbe dovuto essere adottata in base all’articolo 100 A del Trattato CEE, che prevedeva che il Consiglio deliberasse a maggioranza qualificata ( 27 ). La Corte ha affermato che, in caso di cumulo di basi giuridiche, il Consiglio sarebbe stato, comunque, tenuto a votare all’unanimità, il che avrebbe compromesso un elemento essenziale del procedimento di cooperazione, ossia la votazione a maggioranza qualificata, svuotando, in tal modo, tale procedura della sua stessa sostanza ( 28 ) ( 29 ).

c) Sul principio di autonomia delle istituzioni

54.

Il Consiglio e alcuni Stati membri sostengono che l’adozione di decisioni ibride sarebbe l’espressione del principio di autonomia delle istituzioni dell’Unione il quale consentirebbe al Consiglio di scegliere la forma per concedere le autorizzazioni necessarie nell’ambito della procedura di negoziazione e di conclusione degli accordi internazionali.

55.

In effetti, nell’ambito delle loro attribuzioni, le istituzioni dell’Unione hanno il potere di organizzare liberamente le loro modalità di funzionamento. Tale potere è l’espressione del principio dell’autonomia delle istituzioni, la cui fonte risiede nelle disposizioni dei Trattati che attribuiscono alle suddette istituzioni la competenza ad adottare esse stesse i propri regolamenti interni al fine di garantire il loro funzionamento e quello dei loro servizi ( 30 ). Tale principio, riconosciuto più volte dalla Corte ( 31 ), deriva dal compito, loro assegnato, di agire nell’interesse dell’Unione e costituisce un requisito essenziale per il loro buon funzionamento ( 32 ). Il Consiglio ha così adottato il proprio regolamento interno, il quale contiene le norme per il proprio funzionamento e la propria organizzazione ( 33 ).

56.

Il principio di autonomia delle istituzioni non è tuttavia illimitato. Tale autonomia deve essere esercitata, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, «nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati» e «secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste». Pertanto, pur se ciascuna istituzione è autorizzata ad adottare, in forza dei poteri d’organizzazione interna attribuiti ad essa dalle disposizioni pertinenti dei Trattati, i provvedimenti idonei a garantire il proprio corretto funzionamento e lo svolgimento delle sue procedure ( 34 ), tali provvedimenti o la loro applicazione non possono derogare alle procedure previste dai Trattati. Inoltre, il potere d’organizzazione interna non può pregiudicare l’equilibrio istituzionale o la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri.

57.

Dall’altra parte, il principio di autonomia delle istituzioni costituisce un limite nei confronti degli Stati membri. Tale principio, infatti, implica che le istituzioni, dal punto di vista interno e organizzativo, funzionano in totale indipendenza dagli Stati membri ( 35 ), i quali devono astenersi dall’interferire nell’autodeterminazione dell’organizzazione, delle procedure e delle funzioni delle istituzioni dell’Unione, nei limiti stabiliti dai Trattati. Tale obbligo di non interferenza a carico degli Stati membri è, del resto, l’espressione del principio di leale cooperazione previsto all’articolo 4, paragrafo 3, TUE.

d) Sull’esigenza dell’unità di rappresentanza internazionale dell’Unione e sul principio di leale cooperazione

58.

Per quanto concerne il suo aspetto esterno, la presente causa solleva innanzitutto questioni relative alla rappresentanza dell’Unione sulla scena internazionale e alla configurazione delle relazioni tra l’Unione e i suoi Stati membri a tal riguardo.

59.

Le posizioni delle parti su questo punto sono totalmente opposte. Infatti, la Commissione ritiene che l’adozione di decisioni ibride possa «seminare incertezza» sulla personalità indipendente dell’Unione nelle relazioni internazionali, mentre il Consiglio ritiene che le decisioni ibride costituiscano la massima espressione della cooperazione tra l’Unione e gli Stati membri.

60.

A tal riguardo, occorre innanzitutto ricordare che i trattati prevedono esplicitamente un obbligo reciproco di leale cooperazione tra l’Unione e i suoi Stati membri (articolo 4, paragrafo 3, TUE), nonché tra le istituzioni dell’Unione (articolo 13, paragrafo 2, secondo periodo, TUE) ( 36 ). In particolare, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, terzo comma, TUE, gli Stati membri hanno l’obbligo di facilitare all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e di astenersi da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi di quest’ultima.

61.

Occorre del pari osservare, inoltre, che, quando ha dovuto occuparsi di questioni relative all’azione esterna dell’Unione, la Corte ha, più volte, sottolineato l’esigenza che l’Unione sia rappresentata in modo unitario sulla scena internazionale ( 37 ), nonché la necessità di garantire l’unità e la coerenza dell’azione e della rappresentanza dell’Unione nelle relazioni esterne ( 38 ).

62.

Tali esigenze diventano ancora più pressanti qualora la materia disciplinata da un accordo o da una convenzione rientri, in parte, nella competenza dell’Unione e, in parte, in quella degli Stati membri e gli accordi siano conclusi come accordi misti, come nel caso dell’accordo di adesione e dell’accordo addizionale. In tali casi, la giurisprudenza ha particolarmente insistito sul fatto che le predette esigenze di rappresentanza unitaria dell’Unione e di garanzia dell’unità e della coerenza nelle relazioni esterne dell’Unione impongono di garantire una stretta cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione tanto nel processo di negoziazione e di stipulazione quanto nell’adempimento degli impegni assunti ( 39 ). Esiste quindi un nesso stretto tra l’esigenza di rappresentanza unitaria dell’Unione sulla scena internazionale e l’obbligo reciproco di leale cooperazione esistente tra l’Unione e gli Stati membri ( 40 ).

63.

In tale contesto, la Corte ha riconosciuto, da una parte, che spetta alle istituzioni e agli Stati membri adottare tutti i provvedimenti necessari a garantire nel miglior modo possibile detta cooperazione ( 41 ). Dall’altra parte, la stessa ha riconosciuto che deriva dall’obbligo di leale cooperazione, come previsto all’articolo 4, paragrafo 3, terzo comma, TUE, che gli Stati membri non devono intervenire nell’esercizio delle prerogative dell’Unione, trattandosi di un diritto spettante alle sole istituzioni dell’Unione, e non devono mettere in pericolo l’autonomia d’azione dell’Unione nei rapporti esterni ( 42 ).

e) Sulla rilevanza della decisione impugnata per gli Stati terzi

64.

La presente causa pone altresì la questione della rilevanza delle decisioni ibride per gli Stati terzi parti contraenti dell’accordo internazionale. Infatti, il Consiglio e alcuni governi qualificano le decisioni del tipo di quella impugnata come atti puramente interni. Ne conseguirebbe, a loro avviso, che tali atti non sarebbero intesi ad essere portati a conoscenza degli Stati terzi e che, pertanto, questi ultimi non attribuirebbero alcuna importanza alla determinazione degli autori di tali atti.

65.

Occorre ricordare, a tal riguardo, da un lato, che, quando l’Unione adotta un atto, è tenuta a rispettare il diritto internazionale nella sua globalità, ivi compreso il diritto internazionale consuetudinario al cui rispetto sono vincolate le istituzioni dell’Unione medesima ( 43 ). Dall’altro lato, l’Unione e i suoi Stati membri, quando concludono accordi internazionali, rivestano questi ultimi o meno la forma mista, devono conformarsi al diritto internazionale, così come codificato, per quanto concerne le norme consuetudinarie del diritto dei trattati, dalle convenzioni di Vienna del 1969 e del 1986 ( 44 ).

66.

Orbene, la norma generale in diritto internazionale è quella secondo cui i provvedimenti mediante i quali una parte adempie, nel rispetto del proprio diritto interno – o, nel caso di un’organizzazione internazionale, delle proprie norme organizzative interne – ai propri obblighi derivanti da un trattato internazionale non riguardano, in linea di principio, gli altri Stati parti della convenzione ( 45 ).

67.

Tuttavia, da un lato, il diritto internazionale riconosce una certa rilevanza, pur se limitata, alle disposizioni di diritto interno concernenti la competenza a concludere i trattati, nonché alle norme interne di un’organizzazione internazionale ( 46 ). La rilevanza per gli altri Stati contraenti di una decisione adottata nell’ambito della procedura prevista all’articolo 218 TFUE non è quindi totalmente esclusa ai sensi del diritto internazionale.

68.

D’altro lato, nel caso in cui l’accordo sia concluso come accordo misto e, pertanto, l’Unione e i suoi Stati membri possano essere considerati come parti dell’accordo, certamente connesse, ma distinte, la necessità di certezza del diritto tra le parti di un accordo internazionale nonché il dovere di eseguire in buona fede i trattati ( 47 ), esigono, a mio avviso, che l’atto interno dell’Unione, mediante il quale essa approva un accordo misto, non possa occultare il fatto che l’Unione è a pieno titolo una parte contraente dell’accordo.

f) Sulla legittimità della decisione impugnata

69.

Nella fattispecie, è alla luce di tutti i principi esposti nei punti precedenti e delle esigenze che sono state indicate che deve valutarsi la legittimità della decisione impugnata. A tal fine, occorre iniziare da un esame di tale decisione.

70.

Per quanto riguarda, innanzitutto, i suoi autori, dal titolo della decisione impugnata e dall’indicazione contenuta nel suo primo visto emerge che essa è un atto adottato congiuntamente dal Consiglio e dai rappresentanti degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio. In secondo luogo, per quanto concerne il fondamento giuridico in base al quale la decisione impugnata è stata adottata, occorre constatare che essa indica espressamente di essere fondata sugli articoli 100, paragrafo 2, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafi 5 e 8, primo comma, TFUE. Tali fondamenti giuridici prevedono tutti l’adozione di un atto a maggioranza qualificata. La decisione impugnata non menziona nessun altro fondamento giuridico.

71.

Inoltre, relativamente al contenuto della decisione impugnata, dai precedenti paragrafi da 8 a 10 e 19 delle presenti conclusioni emerge che la stessa autorizza sia la firma e l’applicazione provvisoria degli accordi internazionali di cui trattasi per quanto concerne l’Unione, sia l’applicazione provvisoria dei predetti accordi da parte degli Stati membri, nei limiti consentiti dal diritto nazionale applicabile. Tale atto riunisce tutti questi elementi senza che sia possibile distinguere chiaramente quale parte possa essere attribuita alla decisione (in senso sostanziale) del Consiglio e quale parte possa essere attribuita alla decisione dei rappresentanti degli Stati membri. Ciò risulta in particolare dalla formulazione dell’articolo 3 della decisione impugnata che riunisce in una medesima disposizione l’autorizzazione all’applicazione provvisoria degli accordi in esame da parte dell’Unione e degli Stati membri.

72.

Alla luce del tenore della decisione impugnata, nonché del modo in cui la stessa è strutturata, si deve constatare che tanto il Consiglio quanto i rappresentanti degli Stati membri hanno partecipato all’adozione di tale decisione nella sua interezza e in tutti i suoi elementi. Così i rappresentanti degli Stati membri hanno partecipato all’autorizzazione della firma e dell’applicazione provvisoria degli accordi di cui trattasi da parte dell’Unione e il Consiglio ha partecipato all’autorizzazione dell’applicazione provvisoria dei predetti accordi da parte degli Stati membri ( 48 ).

73.

Tale constatazione trova peraltro conferma nelle modalità procedurali che sono state utilizzate per l’adozione della decisione impugnata, le quali mostrano che non vi è stata alcuna separazione tra la procedura di adozione della decisione dell’Unione e quella dell’atto intergovernativo degli Stati membri. Invero, sebbene, nelle loro memorie, diversi Stati membri abbiano prospettato la possibilità che i due aspetti sostanziali della decisione impugnata siano stati adottati seguendo procedure di voto distinte, nell’udienza dinanzi alla Corte, il Consiglio ha tuttavia definitivamente precisato che la decisione impugnata è stata adottata una sola volta per consenso, seguendo una procedura semplificata, senza discussione e senza procedere a votazione. Si è quindi fatto ricorso non a processi decisionali distinti per i due aspetti dell’atto, ma ad una sola ed unica procedura di adozione.

74.

Dalle precedenti osservazioni giungo alle seguenti considerazioni.

75.

In primo luogo, la decisione impugnata, in quanto atto ibrido, costituisce un atto che non è previsto dai Trattati. Si tratta, in particolare, di un atto che il Consiglio ha adottato nell’ambito di una delle fasi della procedura di negoziazione e di conclusione degli accordi internazionali da parte dell’Unione, ma che non è previsto all’articolo 218 TFUE. Tale atto è stato inoltre adottato utilizzando una procedura che non è neppure essa prevista al predetto articolo. Infatti, come ho già indicato al precedente paragrafo 48 delle presenti conclusioni, l’articolo 218 TFUE non prevede alcun ruolo per gli Stati membri, in quanto tali, nell’ambito della procedura di adozione dei provvedimenti che l’Unione deve adottare nelle diverse fasi della procedura ivi disciplinata. Pertanto, coinvolgendo gli Stati membri nell’adozione della decisione impugnata, il Consiglio ha derogato unilateralmente alla suddetta procedura e ha adottato un atto non previsto dai Trattati.

76.

In secondo luogo, l’adozione dell’atto ibrido in una sola volta in tutte le sue componenti indissociabili ha comportato che è stato seguito, per la sua adozione, un unico processo decisionale, nel quale sono state confuse la procedura prevista all’articolo 218, paragrafi 5 e 8, TFUE per l’adozione di un atto dell’Unione a maggioranza qualificata e una procedura estranea al quadro giuridico dell’Unione, e ciò, per di più, per l’adozione di un atto non previsto dai Trattati, la cui adozione richiede l’unanimità degli Stati membri intervenienti. Peraltro, il Consiglio e alcuni governi hanno, essi stessi, ammesso che le norme della procedura di adozione della decisione intergovernativa esulano dall’ambito giuridico dei Trattati.

77.

Orbene, tale fusione ha parimenti comportato che i fondamenti giuridici indicati nella decisione impugnata non hanno in realtà determinato la regola di voto necessaria per l’adozione dell’atto ibrido. Infatti, mentre tali fondamenti giuridici richiedono l’adozione di una decisione a maggioranza qualificata, l’atto ibrido, per essere adottato in tale forma, richiedeva l’unanimità, per il fatto di essere configurato come un atto i cui due aspetti sostanziali costituiscono un’unità indissociabile. A mio avviso, ciò ha necessariamente comportato che la procedura a maggioranza qualificata è stata privata della sua sostanza e che la regola della maggioranza, elemento essenziale della procedura prevista all’articolo 218 TFUE è stata compromessa, ai termini della giurisprudenza Biossido di titanio ( 49 ).

78.

Da tali considerazioni emerge che l’adozione della decisione impugnata sotto forma di un atto ibrido non è conforme all’articolo 218, paragrafi 2, 5 e 8, TFUE né ai requisiti espressi nella giurisprudenza citata ai paragrafi 47 e da 51 a 53 delle presenti conclusioni.

79.

Per quanto concerne il rispetto delle regole di voto, devo ancora osservare che qui non si tratta di mettere in questione le modalità in cui si svolgono le procedure di voto in seno al Consiglio, la cui organizzazione rientra nella sua sfera di autonomia. L’oggetto della presente causa non riguarda la legittimità della procedura interna di votazione semplificata e senza discussione, utilizzata per l’adozione della decisione impugnata e menzionata dal Consiglio in udienza. Tuttavia, nel caso di specie, detta procedura semplificata è stata utilizzata per l’adozione di una decisione che fonde un atto adottato secondo una procedura prevista dai Trattati e un atto che esula dal quadro giuridico dell’Unione, adottato secondo procedure che esulano anch’esse da tale quadro e per la cui adozione è necessaria una regola di voto diversa da quella richiesta per l’adozione dell’atto dell’Unione.

80.

Orbene, ritengo che accettare una fusione siffatta potrebbe costituire, malgrado l’eventuale natura consolidata ( 50 ) o residuale ( 51 ) della prassi, un precedente pericoloso di contaminazione del processo decisionale autonomo delle istituzioni dell’Unione idoneo pertanto a minare l’autonomia dell’Unione in quanto ordinamento giuridico proprio ( 52 ), e ciò nonostante il fatto che, come emerge dal paragrafo 53 delle presenti conclusioni, la giurisprudenza della Corte adotti un approccio restrittivo anche per quanto concerne la fusione di procedure interne dell’Unione e il cumulo di basi giuridiche ( 53 ).

81.

Inoltre, non ritengo che possa sostenersi che, nel caso di specie, la regola di voto prevista all’articolo 218 TFUE non sarebbe stata violata giacché l’unanimità comprende sempre la maggioranza qualificata. Innanzitutto, come ho già osservato ai paragrafi 76 e 77 delle presenti conclusioni, la decisione impugnata è stata adottata non all’unanimità secondo una procedura prevista dai Trattati – e in essi incardinata –, ma secondo una procedura e una regola di voto che esulano dall’ambito dei Trattati. Tale constatazione esclude, peraltro, che il Consiglio abbia potuto far ricorso all’articolo 293, paragrafo 1, TFUE, com’è stato sostenuto dal governo finlandese. In secondo luogo, com’è stato già correttamente rilevato dall’avvocato generale Sharpston, una decisione alla quale nessuno si oppone, non coincide necessariamente con una decisione sulla quale può concordare una maggioranza qualificata, in quanto il contenuto di una decisione che può contare su una maggioranza qualificata potrebbe dover essere mitigato al fine dell’approvazione unanime o senza la benché minima obiezione ( 54 ).

82.

Quanto al principio di autonomia invocato, dalle considerazioni effettuate al paragrafo 56 delle presenti conclusioni emerge che tale principio non può giustificare una deroga alle procedure previste dai Trattati. Se è vero che il Consiglio è libero di organizzare il proprio funzionamento interno e le modalità di adozione delle sue decisioni, esso non può tuttavia ricorrere a procedure alternative o alterare le regole di voto previste dai Trattati. In realtà, alla luce di quanto ho esposto al paragrafo 57 delle presenti conclusioni, mi chiedo persino se non sia stato violato il principio di autonomia delle istituzioni con l’aver ammesso la partecipazione degli Stati membri al processo decisionale di un’istituzione dell’Unione.

83.

Era tuttavia l’adozione di una decisione ibrida la necessaria conseguenza della natura mista degli accordi internazionali sottesi? Era necessaria l’adozione di una decisione siffatta per garantire la rappresentanza unitaria dell’Unione sulla scena internazionale? Non ne sono convinto.

84.

In primo luogo, è vero che l’adozione di una decisione congiunta costituisce la più stretta forma di cooperazione tra l’Unione e i suoi Stati membri e che, nel caso della conclusione di accordi misti, la Corte ha sottolineato in modo particolare la necessità di una siffatta stretta cooperazione. Tuttavia, da una parte, com’è stato già correttamente osservato ( 55 ), il principio di leale collaborazione, dal quale, come rilevato al paragrafo 62 delle presenti conclusioni, deriva l’obbligo di stretta cooperazione, non può essere invocato per giustificare una violazione delle regole di procedura. La stretta cooperazione tra l’Unione e i suoi Stati membri nell’ambito degli accordi misti deve pertanto aver luogo nel rispetto delle norme stabilite dai Trattati.

85.

L’intervento degli Stati membri in quanto tali nella procedura dell’Unione non era necessario né per la firma dell’accordo a nome dell’Unione, né per la sua applicazione provvisoria da parte dell’Unione. Consentendo agli Stati membri di intervenire nella decisione dell’Unione, il Consiglio non ha pertanto servito gli interessi degli Stati membri ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, TUE, come ha sostenuto in udienza, ma ha piuttosto consentito loro di intervenire nell’esercizio delle prerogative dell’Unione, minando la capacità di azione autonoma dell’Unione nei rapporti esterni, in violazione della giurisprudenza menzionata al paragrafo 63 delle presenti conclusioni.

86.

Tale intervento è, infatti, idoneo a lasciar intendere che l’Unione non possa prendere autonomamente la decisione di firmare e di applicare provvisoriamente accordi internazionali nell’ambito dei quali essa esercita le proprie competenze, che le sono state conferite dagli Stati membri. Questo approccio, lungi dal rafforzare l’immagine internazionale dell’Unione, è, a mio avviso, atto ad indebolire l’Unione in quanto attore a pieno titolo sulla scena internazionale occultando la sua personalità internazionale indipendente e autonoma.

87.

Ne consegue che, così agendo, il Consiglio, a mio avviso, ha oltrepassato i limiti delle attribuzioni che gli sono conferite dai Trattati e ha agito in contrasto con i fini previsti dagli stessi, in violazione dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE ( 56 ).

88.

In secondo luogo, occorre rilevare che il Consiglio stesso ha ammesso che esistono soluzioni alternative all’adozione di una decisione ibrida, quali l’adozione simultanea di due decisioni distinte, una del Consiglio e l’altra dei rappresentanti degli Stati membri ( 57 ). Il Consiglio e gli Stati membri sostengono tuttavia che tale soluzione sarebbe nettamente meno preferibile giacché sarebbe meno efficace e sarebbe idonea a creare rilevanti problemi di natura pratica, segnatamente con riguardo alla delimitazione delle competenze qualora, come normalmente sarebbe il caso per gli accordi nel settore dei trasporti aerei, l’accordo costituisca un unicum indivisibile, cosicché le competenze dell’Unione e quelle degli Stati membri sono indissociabili.

89.

A tal riguardo, osservo, innanzitutto, che ragioni di efficacia o di convenienza non possono giustificare la violazione delle procedure previste dai Trattati. Il quadro procedurale per la negoziazione e la conclusione degli accordi internazionali dell’Unione è stato stabilito dal Trattato di Lisbona che ha, tra l’altro, introdotto la regola della maggioranza qualificata quale regola generale. Gli Stati membri hanno approvato e ratificato tale Trattato e sono vincolati dallo stesso. Essi non possono ignorare o contravvenire alle norme, che hanno essi stessi emanato, invocando asserite ragioni di opportunità o di efficacia.

90.

Orbene, il problema giuridico che si pone nella presente causa non è, a mio avviso, connesso alla circostanza che le due decisioni siano state adottate coordinandole e benché esse siano contenute in un atto formalmente unico. Ciò che pone un problema, dal mio punto di vista, è la natura ibrida della decisione impugnata, che ha avuto come conseguenza che il Consiglio ha permesso di includere, nella procedura di adozione di un atto proprio dell’Unione, un elemento esterno che l’ha snaturato e, per di più, esso ha partecipato all’adozione di un atto che non rientra nella sua competenza, ossia una decisione che autorizza gli Stati membri ad applicare provvisoriamente gli accordi in esame. Orbene, qualora emergesse chiaramente da una decisione del Consiglio adottata ai sensi dell’articolo 218 TFUE che le procedure dell’Unione, segnatamente quelle di votazione, sono state rispettate e che l’Unione, per quanto concerne le competenze che le spettano, ha adottato una decisione che le è propria in quanto attore a pieno titolo sulla scena internazionale, non avrei alcuna obiezione al fatto che tale decisione e una decisione intergovernativa degli Stati membri, adottate in coordinamento l’una con l’altra, fossero contenute in un atto formalmente unico.

91.

Per quanto concerne, poi, la questione della inscindibilità delle competenze, se è vero che la Corte ha sottolineato che, in questi casi, il dovere di stretta cooperazione tra l’Unione e gli Stati membri si impone in modo particolarmente tassativo ( 58 ), il Consiglio non spiega tuttavia perché, qualora fossero adottate due decisioni coordinate – ossia una del Consiglio, relativa all’applicazione provvisoria dell’accordo misto da parte dell’Unione, nei limiti a in cui è competente l’Unione, e l’altra dei rappresentanti degli Stati membri, relativa all’applicazione provvisoria del medesimo accordo misto, nei limiti in cui le materie disciplinate da tale accordo rientrano nella loro competenza – sarebbe necessario specificare sistematicamente quali parti dell’accordo rientrino nella competenza dell’Unione e quali parti rientrino in quella degli Stati membri. Noto, peraltro, che una specificazione del genere non è presente neppure nella decisione ibrida.

92.

Da ultimo, contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio e da alcuni governi, le decisioni adottate ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 5, TFUE non hanno una portata esclusivamente interna. Il fatto che esse siano notificate alle parti contraenti e siano pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea dimostra che tali decisioni sono intese ad essere portate a conoscenza sia dalle altri parti dell’accordo internazionale sia dei terzi in generale. Pertanto, nei limiti in cui, come ho rilevato al paragrafo 86 delle presenti conclusioni, l’adozione di decisioni siffatte in quanto decisioni ibride è atta ad occultare la personalità internazionale indipendente dell’Unione, pur se quest’ultima è una parte a pieno titolo dell’accordo misto, tale adozione può a mio avviso porre anche problemi di certezza del diritto nei rapporti tra le parti dell’accordo internazionale.

g) Conclusione

93.

Da tutte le precedenti considerazioni emerge che, nell’adottare la decisione impugnata quale decisione ibrida, il Consiglio ha violato l’articolo 218, paragrafi 2, 5 e 8, TFUE e ha agito eccedendo le attribuzioni ad esso conferite dai Trattati e quindi in violazione dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE. Ritengo, pertanto, che la decisione impugnata debba essere annullata.

C – Sul mantenimento degli effetti nel tempo della decisione annullata

94.

Conformemente alla volontà delle parti e al fine di evitare qualsiasi ripercussione negativa sui rapporti tra l’Unione e gli Stati terzi che sono parti degli accordi la cui firma e applicazione provvisoria sono state già decise mediante la decisione impugnata, ritengo che occorra accogliere la domanda delle parti affinché la Corte si avvalga della possibilità conferitale dall’articolo 264, secondo comma, TFUE, di mantenere gli effetti nel tempo della decisione annullata fino all’adozione di una nuova decisione.

IV – Sulle spese

95.

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il Consiglio, rimasto soccombente, deve essere condannato alle spese. Ai sensi dell’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura, in virtù del quale le spese sostenute dagli Stati membri e dalle istituzioni intervenute nella causa restano a loro carico, le parti intervenienti nella presente causa si faranno carico delle proprie spese.

V – Conclusione

96.

Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di statuire come segue:

1)

È annullata la decisione 2011/708/UE del Consiglio e dei rappresentanti degli Stati membri dell’Unione europea, riuniti in sede di Consiglio, del 16 giugno 2011, concernente la firma, a nome dell’Unione, e l’applicazione provvisoria dell’accordo sui trasporti aerei fra gli Stati Uniti d’America, da un lato, l’Unione europea e i suoi Stati membri, d’altro lato, l’Islanda, d’altro lato, e il Regno di Norvegia, d’altro lato; e concernente la firma, a nome dell’Unione, e l’applicazione provvisoria dell’accordo addizionale fra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, l’Islanda, d’altro lato, e il Regno di Norvegia, d’altro lato, riguardante l’applicazione dell’accordo sui trasporti aerei fra gli Stati Uniti d’America, da un lato, l’Unione europea e i suoi Stati membri, d’altro lato, l’Islanda, d’altro lato, e il Regno di Norvegia, d’altro lato.

2)

Gli effetti della decisione 2011/708 sono mantenuti fino all’adozione di una nuova decisione.

3)

Il Consiglio dell’Unione europea è condannato alle spese.

4)

La Repubblica ceca, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica di Polonia, la Repubblica portoghese, la Repubblica di Finlandia, il Regno di Svezia e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, nonché il Parlamento europeo si fanno carico delle proprie spese.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Decisione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri dell’Unione europea, riuniti in sede di Consiglio, del 16 giugno 2011, concernente la firma, a nome dell’Unione, e l’applicazione provvisoria dell’accordo sui trasporti aerei fra gli Stati Uniti d’America, da un lato, l’Unione europea e i suoi Stati membri, d’altro lato, l’Islanda, d’altro lato, e il Regno di Norvegia, d’altro lato; e concernente la firma, a nome dell’Unione, e l’applicazione provvisoria dell’accordo addizionale fra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, l’Islanda, d’altro lato, e il Regno di Norvegia, d’altro lato, riguardante l’applicazione dell’accordo sui trasporti aerei fra gli Stati Uniti d’America, da un lato, l’Unione europea e i suoi Stati membri, d’altro lato, l’Islanda, d’altro lato, e il Regno di Norvegia, d’altro lato (GU L 283, pag. 1).

( 3 ) GU 2007, L 134, pag. 4.

( 4 ) Protocollo di modifica dell’accordo sui trasporti aerei tra gli Stati Uniti d’America e la Comunità europea e i suoi Stati membri firmato il 25 e 30 aprile 2007 (GU 2010, L 223, pag. 3).

( 5 ) Ai sensi di tale disposizione, «[i]l Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire le opportune disposizioni per la navigazione marittima e aerea. (…)».

( 6 ) Ai sensi di tale disposizione, «[i]l Consiglio, su proposta del negoziatore, adotta una decisione che autorizza la firma dell’accordo e, se del caso, la sua applicazione provvisoria prima dell’entrata in vigore».

( 7 ) Ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 8, primo comma, TFUE «[n]el corso dell’intera procedura, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata».

( 8 ) Sentenza Commissione/Consiglio (C‑114/12, EU:C:2014:2151, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).

( 9 ) Ibidem (punti 40 e 41).

( 10 ) V. in tal senso, Commissione/Consiglio (45/86, EU:C:1987:163, punto 3). In particolare, il trattamento di favore applicato alle istituzioni dell’Unione trova fondamento nel loro ruolo di tutela dell’ordinamento giuridico dell’Unione, dal quale risulta che esse non sono portatrici di interessi diversi da quelli dell’Unione stessa.

( 11 ) Ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, «[c]iascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste. Le istituzioni attuano tra loro una leale cooperazione».

( 12 ) Nei suoi atti, la Commissione ha spiegato che, posto che i due accordi in esame riguardano semplicemente l’adesione della Repubblica d’Islanda e del Regno di Norvegia all’accordo sui trasporti aerei UE‑Stati Uniti che era già stato concluso sotto forma di un accordo misto, la stessa non intendeva contestare il carattere misto di tali accordi, al fine di evitare di creare un’incertezza giuridica e politica nelle relazioni dell’Unione con gli Stati Uniti d’America.

( 13 ) In precedenza diverse disposizioni dei Trattati prevedevano norme procedurali diverse relative alla negoziazione e alla conclusione degli accordi internazionali in funzione del fatto che tali accordi fossero conclusi nell’ambito del primo pilastro (articolo 300 CE) o nell’ambito del secondo o del terzo pilastro (rispettivamente, articoli 24 UE e 38 UE).

( 14 ) Come l’articolo 207 TFUE o l’articolo 219 TFUE.

( 15 ) V., per analogia, sentenza Commissione/Consiglio (C‑27/04, EU:C:2004:436, punto 81). Nei suoi atti, il Consiglio contesta l’applicabilità di tale sentenza nella presente causa, in quanto essa riguardava una situazione diversa, ossia un caso in cui il Consiglio non aveva adottato un atto previsto, e in un ambito diverso da quello delle relazioni internazionali dell’Unione. A tal riguardo, ritengo, tuttavia, che le affermazioni della Corte nella predetta sentenza abbiano una portata generale ogni volta in cui, come nel caso dell’articolo 218 TFUE, i Trattati prevedono disposizioni specifiche con riguardo alla procedura da seguire in determinate materie.

( 16 ) Si tratta, da una parte, dell’accordo sull’adesione dell’Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, affrontata nel secondo comma del paragrafo 8 del predetto articolo 218 TFUE, e, dall’altra parte, della possibilità di domandare il parere preventivo della Corte, ai sensi del paragrafo 11 del medesimo articolo.

( 17 ) V. altresì, nello stesso senso, le conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Commissione/Consiglio (C‑114/12, EU:C:2014:224, paragrafo 174).

( 18 ) Nel medesimo senso, ibidem (paragrafo 171).

( 19 ) Sentenza Commissione/Consiglio (C‑370/07, EU:C:2009:590, punti 39, 48 e 49).

( 20 ) V. sentenze Regno Unito/Consiglio (68/86, EU:C:1988:85, punto 38), e Parlamento/Consiglio (C‑133/06, EU:C:2008:257, punto 54).

( 21 ) V. sentenza Parlamento/Consiglio (EU:C:2008:257, punti 55 e 56).

( 22 ) Ibidem (punto 57) e sentenza Parlamento/Consiglio (C‑70/88, EU:C:1990:217, punto 22). V., altresì, articolo 13, paragrafo 2, TUE.

( 23 ) Sentenze Parlamento/Consiglio (C‑164/97 e C‑165/97, EU:C:1999:99, punto 14); Commissione/Consiglio (C‑338/01, EU:C:2004:253, punto 57), nonché Parlamento/Consiglio (C‑130/10, EU:C:2012:472, punti 45 e seguenti e la giurisprudenza ivi citata).

( 24 ) Sentenza Commissione/Consiglio, cosiddetta «Biossido di titanio» (C‑300/89, EU:C:1991:244, in particolare punti da 17 a 21).

( 25 ) V., in particolare, direttiva 89/428/CEE del Consiglio, del 21 giugno 1989, che fissa le modalità di armonizzazione dei programmi per la riduzione, al fine dell’eliminazione, dell’inquinamento provocato dai rifiuti dell’industria del biossido di titanio (GU L 201, pag. 56).

( 26 ) Tale articolo prevedeva, per le azioni in materia ambientale, il voto all’unanimità in seno al Consiglio, dopo una semplice consultazione del Parlamento.

( 27 ) Tale articolo, che corrisponde in sostanza all’attuale articolo 114 TFUE, prevedeva l’applicazione della procedura di cooperazione con il Parlamento, nell’ambito della quale il Consiglio deliberava a maggioranza qualificata.

( 28 ) V. punti da 16 a 20 della predetta sentenza. Al punto 21 della medesima sentenza, la Corte ha altresì considerato che le prerogative del Parlamento erano state violate. Tuttavia, come emerge dalle sentenze citate nella nota seguente delle presenti conclusioni, la violazione delle prerogative del Parlamento non costituisce, in giurisprudenza, una condizione necessaria per l’accertamento dell’incompatibilità dei fondamenti giuridici, poiché l’inconciliabilità delle regole di voto è una condizione sufficiente a tal fine.

( 29 ) In altre cause, la Corte ha constatato che i due fondamenti giuridici in esame erano incompatibili in quanto per l’adozione di un atto sul fondamento dell’uno era richiesta l’unanimità, mentre, era sufficiente la maggioranza qualificata affinché un atto potesse essere validamente adottato sul fondamento dell’altro. V. sentenze Commissione/Consiglio (EU:C:2004:253, punto 58), nonché Parlamento/Consiglio (EU:C:2012:472, punti 47 e 48).

( 30 ) V. in particolare, per quanto riguarda il Parlamento, l’articolo 232 TFUE; per quanto riguarda il Consiglio europeo, l’articolo 235, paragrafo 3, TFUE; per quanto riguarda il Consiglio, l’articolo 240, paragrafo 3, TFUE, e, per quanto riguarda la Commissione, l’articolo 249, paragrafo 1, TFUE.

( 31 ) La Corte ha riconosciuto il principio di autonomia delle istituzioni con riguardo ai diversi aspetti delle loro attività: ad esempio, per quanto concerne la scelta dei loro funzionari e agenti, v. inter alia, sentenza AB (C‑288/04, EU:C:2005:526, punti 26 e 30) o, nell’ambito del risarcimento dei danni causati dalle sue istituzioni e dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni, sentenza Sayag (9/69, EU:C:1969:37, punti 5 e 6).

( 32 ) V., a tal riguardo, le conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa Betriebsrat der Vertretung der Europäischen Kommission in Österreich (C‑165/01, EU:C:2003:224, paragrafo 98) e nella causa AB (C‑288/04, EU:C:2005:262 paragrafo 23).

( 33 ) V. il regolamento interno del Consiglio, allegato alla decisione 2009/937/UE del Consiglio, del 1o dicembre 2009, relativa all’adozione del suo regolamento interno (GU L 325, pag. 36), come successivamente modificato.

( 34 ) V., in tal senso, sentenza Lussemburgo/Parlamento (230/81, EU:C:1983:32 punto 38).

( 35 ) V. le conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa Betriebsrat der Vertretung der Europäischen Kommission in Österreich (EU:C:2003:224, paragrafo 98) e nella causa AB (EU:C:2005:262, paragrafo 23).

( 36 ) V., a tal riguardo, sentenza Parlamento/Consiglio (C‑65/93, EU:C:1995:91, punti 23, 27 e 28).

( 37 ) V., inter alia, pareri 2/91 (EU:C:1993:106, punto 36) e 1/94 (EU:C:1994:384 punto 108), nonché sentenza Commissione/Svezia (C‑246/07, EU:C:2010:203, punto 73 e la giurisprudenza ivi citata).

( 38 ) Sentenze Commissione/Lussemburgo (C‑266/03, EU:C:2005:341, punto 60); Commissione/Germania (C‑433/03, EU:C:2005:462, punto 66), e Commissione/Svezia (EU:C:2010:203, punto 75).

( 39 ) V., in tal senso, sentenza Commissione/Svezia (EU:C:2010:203, punto 73 e la giurisprudenza ivi citata).

( 40 ) V., a tal riguardo, sentenze Commissione/Irlanda (C‑459/03, EU:C:2006:345, punti 173 e 174), e Commissione/Svezia (EU:C:2010:203, punti da 69 a 71 e 73 e la giurisprudenza ivi citata).

( 41 ) V. a tal riguardo, parere 2/91 (EU:C:1993:106, punto 38) e sentenza Commissione/Consiglio (C‑25/94, EU:C:1996:114, punto 48).

( 42 ) V. in tal senso, deliberazione 1/78 (Racc. 1978, pag. 2151, punto 33), rispetto all’articolo 192 del Trattato CEEA, il cui testo corrisponde in sostanza all’articolo 4, paragrafo 3, terzo comma, TUE.

( 43 ) Sentenza Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 101 e la giurisprudenza ivi citata).

( 44 ) Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969 (Raccolta dei Trattati delle Nazioni Unite, volume 1155, pag. 331), e convenzione di Vienna sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali, del 21 marzo 1986 (A/CONF.129/15).

( 45 ) Dall’articolo 27 delle predette convenzioni di Vienna del 1969 e del 1986 risulta, infatti, che una parte non può invocare le disposizioni della propria legislazione interna – o, nel caso di un’organizzazione internazionale, le norme dell’organizzazione — per giustificare la mancata esecuzione del trattato. Tale norma fa tuttavia salvo l’articolo 46 delle due predette convenzioni (v. seguente nota a piè di pagina).

( 46 ) Ai sensi dell’articolo 46 delle medesime convenzioni di Vienna del 1969 e del 1986, una violazione del diritto interno concernente la competenza a concludere un trattato diventa rilevante solo se vi sia una violazione manifesta delle norme in esame o se la violazione riguardi una norma di importanza fondamentale. V., altresì, l’articolo 5 delle predette convenzioni.

( 47 ) V. i rispettivi articoli 26 delle convenzioni di Vienna del 1969 e del 1986.

( 48 ) La Corte ha interpretato allo stesso modo una decisione ibrida del Consiglio e dei rappresentanti degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio nella sua analisi sulla ricevibilità del ricorso nella sentenza Commissione/Consiglio (EU:C:2014:2151, punto 41).

( 49 ) Il Consiglio e alcuni governi intervenienti contestano l’applicabilità della predetta giurisprudenza Biossido di titanio (EU:C:1991:244) al caso di specie. A tal riguardo, ritengo sia vero che la causa Biossido di titanio e la presente causa differiscono in quanto la prima riguardava l’applicazione di due fondamenti giuridici di diritto dell’Unione, mentre nella seconda un fondamento giuridico di diritto dell’Unione non è necessario per la componente intergovernativa della decisione ibrida. Ritengo, tuttavia, che i principi giurisprudenziali espressi in tale sentenza (v. paragrafo 53 delle presenti conclusioni) possano senza dubbio trovare applicazione per analogia, e, persino, a fortiori in un caso come quello della presente fattispecie che riguarda la fusione non di due procedure interne dell’Unione, bensì di una procedura dell’Unione con una procedura che esula dal suo ambito giuridico.

( 50 ) La circostanza invocata dal Consiglio secondo la quale l’adozione di decisioni ibride sarebbe una prassi consolidata, segnatamente nel settore dei trasporti aerei, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, non può giustificarla, né influire sulla legittimità della decisione impugnata nella misura in cui, secondo una giurisprudenza costante, una mera prassi del Consiglio non è idonea a derogare a norme del Trattato (v. parere 1/08, EU:C:2009:739, punto 172, nonché sentenza Commissione/Consiglio, EU:C:2009:590, punto 54 e la giurisprudenza ivi citata).

( 51 ) La circostanza, sottolineata in udienza, secondo la quale l’adozione di atti ibridi costituirebbe una prassi di natura pressoché residuale, utilizzata, segnatamente, nel settore dell’aviazione, qualora non vi sia palese disaccordo tra i soggetti intervenienti (Stati membri e istituzioni) non costituisce una giustificazione per l’adozione di una prassi illegittima. Inoltre, dalla discussione in udienza, è emerso che l’applicazione di tale prassi non sarebbe necessariamente limitata a tali casi.

( 52 ) Sull’autonomia dell’ordinamento giuridico dell’Unione, v. sentenza Costa (6/64, EU:C:1964:66, pag. 1158) nonché parere 2/13 (EU:C:2014:2454, punti 174, 183 e 201 e la giurisprudenza ivi citata).

( 53 ) A tal riguardo, occorre osservare che il Consiglio, sostenuto da diversi Stati membri, sostiene che la combinazione di diverse regole di voto sarebbe diffusa in seno al Consiglio e che la Corte avrebbe ammesso la combinazione di regole di voto diverse in seno al Consiglio. Il Consiglio si riferisce alle sentenze Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punti da 211 a 214) nonché Parlamento/Consiglio (C‑166/07, EU:C:2009:499, punto 69). Tuttavia, tale giurisprudenza, che riguarda solo il ricorso all’articolo del Trattato corrispondente all’attuale articolo 352 TFUE, non invalida in alcun modo il principio giurisprudenziale esposto al paragrafo 53 delle presenti conclusioni secondo cui il cumulo di basi giuridiche è escluso laddove le procedure ivi previste siano incompatibili. Orbene, nel caso di specie, non si tratta della compatibilità tra due fondamenti giuridici diversi nell’ambito delle procedure dell’Unione, ma si tratta della fusione tra un atto dell’Unione e un atto adottato totalmente al di fuori delle procedure dell’Unione in applicazione di una regola di voto diversa. Il predetto principio giurisdizionale si applica quindi a mio avviso, a fortiori, nella presente fattispecie.

( 54 ) V., nel medesimo senso, conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Commissione/Consiglio (EU:C:2014:224, paragrafo 189).

( 55 ) Nel medesimo senso, ibidem (paragrafo 195).

( 56 ) A tal riguardo, devo aggiungere che non sono convinto della possibilità, prospettata dalla Commissione, di configurare un obbligo di cooperazione delle istituzioni dell’Unione nei confronti dell’Unione in quanto tale. Infatti, le istituzioni dell’Unione fanno parte dell’Unione e, pertanto, costituiscono l’Unione stessa. Mi sembra che la configurazione di un obbligo di cooperazione del genere equivarrebbe ad affermare un obbligo di cooperare con se stessi. Mi sembra, invece, che i comportamenti che, secondo la Commissione, costituirebbero una violazione dell’obbligo di cooperazione del Consiglio nei confronti dell’Unione potrebbero essere qualificati piuttosto come violazione del principio di cooperazione tra istituzioni o/e violazione dell’obbligo di agire nell’interesse dell’Unione, conformemente ai fini previsti da quest’ultima, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE.

( 57 ) Non mi sembra necessario, ai fini della soluzione della presente causa, affrontare la questione, peraltro molto delicata, sollevata dalla Commissione, riguardo alla possibilità nel caso di specie di garantire l’applicazione provvisoria degli accordi in esame da parte di una decisione del solo Consiglio, malgrado la natura mista degli accordi sottesi. Tale questione, infatti, non ha rilevanza, a mio avviso, quanto alla legittimità della decisione impugnata. Essa, tuttavia, lascia aperte numerose questioni giuridiche, che sono emerse chiaramente durante il procedimento. Il Consiglio ha spiegato nei suoi atti di non aver mai avuto al suo interno la volontà politica di adottare una decisione che autorizzasse l’Unione a esercitare pienamente la sua competenza potenziale, e ciò neppure a livello dell’applicazione provvisoria degli accordi. Una scelta siffatta, di natura politica, genera tuttavia, inevitabilmente, un certo grado di incertezza giuridica quanto alla possibilità di applicare provvisoriamente accordi internazionali negli Stati membri nei quali l’applicazione provvisoria dei trattati internazionali non sia costituzionalmente ammissibile o in cui la stessa sia soggetta all’applicazione di norme di diritto interno. Pur con la consapevolezza della delicatezza di tale questione, che può coinvolgere le prerogative dei parlamenti nazionali, mi chiedo tuttavia se la soluzione suggerita dalla Commissione ‐ che consiste nel far garantire l’applicazione provvisoria degli accordi da parte dell’Unione, nei limiti in cui ciò rientri nelle sue competenze –, non sarebbe giuridicamente preferibile. Invero, l’applicazione provvisoria «per via amministrativa» dei predetti accordi, alla quale hanno fatto riferimento il Consiglio e alcuni Stati membri, che avrebbe luogo negli Stati membri in cui l’applicazione provvisoria degli accordi internazionali è problematica, sembrerebbe porre in ogni caso problemi di conformità alle esigenze costituzionali di tali Stati membri.

( 58 ) V. parere 1/94 (EU:C:1994:384, punto 109).

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