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Document 62011CO0433

Ordinanza della Corte (Quinta Sezione) dell’8 novembre 2012.
SKP k.s. contro Kveta Polhošová.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Krajský súd v Prešove.
Rinvio pregiudiziale – Precisazioni insufficienti sul contesto di fatto e di diritto della controversia principale – Questioni sollevate in un contesto che esclude una soluzione utile – Omessa precisazione delle ragioni per le quali occorre rispondere alle questioni pregiudiziali – Irricevibilità manifesta.
Causa C‑433/11.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2012:702

ORDINANZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

8 novembre 2012 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale — Precisazioni insufficienti del contesto di fatto e di diritto della controversia principale — Questioni sollevate in un contesto che esclude una soluzione utile — Omessa precisazione delle ragioni per le quali occorre rispondere alle questioni pregiudiziali — Irricevibilità manifesta»

Nella causa C-433/11,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Krajský súd v Prešove (Slovacchia), con decisione del 10 agosto 2011, pervenuta in cancelleria il 22 agosto 2011, nel procedimento

SKP k.s.

contro

Kveta Polhošová,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta dal sig. A. Borg Barthet, facente funzione di presidente della Quinta Sezione, dai sigg. M. Ilešič e M. Safjan (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig. A. Calot Escobar

sentito l’avvocato generale,

ha emesso la seguente

Ordinanza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 5-9 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149, pag. 22), degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29), nonché dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2

Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra la SKP k.s. (in prosieguo: la «SKP»), curatore fallimentare della KFZ Sys s.r.o. (in prosieguo: la «KFZ»), e la sig.ra Polhošová in merito all’esecuzione, da parte di quest’ultima, di un contratto di acquisto a rate di un bene di consumo.

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

La Carta

3

Ai sensi dell’articolo 47 della Carta:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.

A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia».

La direttiva 93/13

4

A termini dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 93/13:

«La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore».

5

L’articolo 2 della direttiva 93/13 prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

a)

“clausole abusive”: le clausole di un contratto quali sono definite all’articolo 3;

b)

“consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale;

c)

“professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata».

6

L’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva 93/13 dispone:

«Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

La direttiva 2005/29

7

L’articolo 1 della direttiva 2005/29 recita:

«La presente direttiva intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori».

8

L’articolo 2 della direttiva 2005/29 è così redatto:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a)

“consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale;

b)

“professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista;

c)

“prodotto”: qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;

d)

“pratiche commerciali tra imprese e consumatori” (in seguito denominate “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

(...)».

9

L’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2005/29 prevede:

«1.   La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, come stabilite all’articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto.

2.   La presente direttiva non pregiudica l’applicazione del diritto contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità o efficacia di un contratto».

10

L’articolo 5, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2005/29 enuncia:

«1.   Le pratiche commerciali sleali sono vietate.

2.   Una pratica commerciale è sleale se:

a)

è contraria alle norme di diligenza professionale,

e

b)

falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori».

Il diritto slovacco

11

Conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, della legge n. 71/1992, sulle spese di giustizia, nella versione applicabile alla controversia nel procedimento principale, il curatore di un soggetto in fallimento è esente dalle spese giudiziarie ai sensi delle disposizioni speciali della legge n. 7/2005, sulla procedura fallimentare e la ristrutturazione.

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

12

Il 13 novembre 2001 la DRUKOS a.s. concludeva con la sig.ra Polhošová un contratto di «locazione-vendita» di un bene di consumo a termini del quale, alla scadenza del periodo di locazione, ovverosia dopo aver pagato 30 canoni mensili, quest’ultima avrebbe acquisito la proprietà del bene. Nel contratto di cui trattasi era convenuta una riserva di proprietà secondo cui il diritto di proprietà sarebbe passato alla sig.ra Polhošová solo con l’adempimento di tutti gli obblighi, compreso il pagamento integrale dei canoni. Il prezzo del bene ammontava a SKK 17270 (EUR 569,73) ma, tenuto conto della «rateizzazione», la sig.ra Polhošová doveva in realtà pagare la somma complessiva di SKK 24033 (EUR 792,83).

13

La DRUKOS a.s. veniva dichiarata fallita e, il 16 marzo 2006, concludeva un contratto di cessione del credito verso la sig.ra Polhošová con il sig. Holec, residente in Nitra (Slovacchia). Con contratto di pari data quest’ultimo cedeva a sua volta il credito in questione alla MEDIATION KMCH s.r.o., con sede prima in Nitra e poi in Banská Bystrica (Slovacchia). Con contratto del 23 febbraio 2008, il medesimo credito veniva successivamente ceduto alla IVACO CONSULTANTS LIMITED, con sede alle Seychelles. Il 17 maggio 2008 quest’ultima stipulava un contratto di cessione del credito in oggetto con l’impresa AKROPOLIS estates s.r.o., divenuta KFZ, con sede in Slovacchia.

14

Il 25 luglio 2008 veniva dichiarato il fallimento della KFZ.

15

Il 17 marzo 2010 la SKP investiva l’Okresný súd Poprad di un ricorso diretto contro la sig.ra Polhošová, richiedendo il pagamento della penale contrattuale prevista per il ritardo nel pagamento, pari allo 0,1% giornaliero della somma dovuta, nonché il rimborso delle spese di recupero delle somme reclamate. Detta penale contrattuale, riferendosi ad un periodo di quattro anni precedente l’introduzione del ricorso, ammontava ad EUR 987,05, mentre le spese di rappresentanza legale fatte valere raggiungevano l’importo di EUR 117,32.

16

Con sentenza del 22 febbraio 2011, l’Okresný súd Poprad respingeva il ricorso con la motivazione che la suddetta penale contrattuale costituiva una clausola abusiva in un contratto stipulato con un consumatore. Esso considerava che a detta penale si sommavano gli interessi legali di mora e che cumulare le due sanzioni per la medesima violazione di un obbligo era sproporzionato e causava, a svantaggio del consumatore, un notevole squilibrio tra diritti e obblighi delle due figure di contraenti.

17

La SKP interponeva appello avverso detta sentenza dinanzi al Krajský súd v Prešove.

18

Come risulta dalla decisione di rinvio, conformemente alla normativa slovacca, il curatore di una società in fallimento non soggiace alle spese di giudizio. In caso di sua soccombenza in un ricorso, le spese sostenute da un consumatore sarebbero de facto irrecuperabili. Di conseguenza, i consumatori sarebbero dissuasi dall’agire in giudizio contro società in fallimento e dall’avvalersi di un avvocato, il che comprometterebbe la tutela dei loro diritti.

19

Ritenendo che la soluzione della controversia principale dipenda dall’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione pertinenti, il Krajský súd v Prešove ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se gli articoli 5-9 della direttiva [2005/29] debbano essere interpretati nel senso che è da considerare pratica commerciale sleale anche la pratica di un operatore economico di cedere crediti nei confronti di consumatori ad un soggetto in fallimento, qualora ai consumatori non sia garantito il rimborso delle spese del procedimento giudiziario che tragga origine da un contratto stipulato con un consumatore.

2)

Laddove la risposta alla questione precedente sia nel senso che è contraria al diritto dell’Unione europea la cessione di crediti nei confronti di consumatori ad un soggetto in fallimento a fini di recupero:

a)

se l’articolo 47 della [Carta] possa essere interpretato nel senso che esso non osta a che un organo giurisdizionale, al fine di tutelare i consumatori, non applichi l’abbuono del contributo unificato previsto dalla legge a vantaggio del curatore fallimentare e dichiari eventualmente, senza con ciò ledere il diritto del curatore fallimentare alla tutela giurisdizionale, il non luogo a provvedere nel procedimento per mancato pagamento del contributo unificato per la domanda;

b)

se gli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva [93/13] ostino all’applicazione di una disposizione di diritto nazionale sull’esenzione del curatore fallimentare dal pagamento del contributo unificato, nel caso in cui senza la pratica commerciale sleale l’attore non sarebbe esentato dal pagamento di detto contributo e, per non luogo a provvedere, il procedimento giurisdizionale attinente alla prestazione derivante dalla clausola abusiva verrebbe evitato».

Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

20

Ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 2, del suo regolamento di procedura, quando il rinvio pregiudiziale è manifestamente irricevibile, la Corte, sentito l’avvocato generale, può statuire con ordinanza motivata, senza proseguire il procedimento.

Sulla prima questione e la prima parte della seconda

21

Con la prima questione il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se sia sleale ai sensi della direttiva 2005/29 una prassi commerciale consistente, per un operatore economico, nel cedere a un’impresa in fallimento i crediti di cui è titolare rispetto a un consumatore, mentre a quest’ultimo non è garantito il rimborso delle spese di giudizio afferenti al contratto concluso con l’operatore economico. In caso di risposta affermativa alla prima questione, il giudice del rinvio domanda alla Corte, con la prima parte della seconda questione, se l’articolo 47 della Carta osti a che il curatore della società in fallimento che cede tali tipi di credito sia obbligato al pagamento delle spese di giudizio allorché reclama il pagamento, da parte dei consumatori, di somme dovute a titolo di tali crediti.

22

Secondo costante giurisprudenza, il procedimento ex articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione necessari per risolvere la controversia che essi sono chiamati a dirimere (v., in particolare, sentenze del 16 luglio 1992, Meilicke, C-83/91, Racc. pag. I-4871, punto 22, e del 24 marzo 2009, Danske Slagterier, C-445/06, Racc. pag. I-2119, punto 65).

23

L’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o almeno che esso spieghi le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate (v., in particolare, sentenza del 26 gennaio 1993, Telemarsicabruzzo e a., da C-320/90 a C-322/90, Racc. pag. I-393, punto 6, nonché ordinanze del 17 settembre 2009, Canon Kabushiki Kaisha, C-181/09, punto 8, e del 3 maggio 2012, Ciampaglia, C-185/12, punto 4).

24

La Corte, infatti, può pronunciarsi sull’interpretazione di un testo dell’Unione, unicamente sulla base dei fatti indicati dal giudice nazionale (sentenze del 16 luglio 1998, Dumon e Froment, C-235/95, Racc. pag. I-4531, punto 25, e dell’11 settembre 2008, Eckelkamp e a., C-11/07, Racc. pag. I-6845, punto 52, nonché ordinanza del 23 marzo 2012, Thomson Sales Europe, C-348/11, punto 43).

25

Nel caso di specie, la decisione di rinvio non risponde a tale esigenza. Essa manca di chiarezza e di precisione quanto al contesto di fatto e di diritto della controversia principale e non consente, pertanto, alla Corte di fornire una risposta utile alle questioni sollevate.

26

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera c), della medesima, tale direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, poste in essere prima, durante o dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto o ad un servizio.

27

Orbene, il giudice del rinvio non indica, nella propria decisione, quale preciso comportamento di un professionista in fallimento nei confronti di un consumatore possa integrare una prassi commerciale sleale. In particolare, detto giudice si limita a una descrizione dettagliata di una serie di cessioni a catena, tra professionisti, del credito oggetto del procedimento principale, senza tuttavia indicare gli elementi del comportamento del professionista, rispetto al consumatore, atti a costituire una prassi commerciale sleale.

28

Aggiungasi, ad abundantiam, che le questioni sollevate vertono su un caso di cessione a favore di un’impresa in fallimento, mentre dalla decisione di rinvio non risulta che il procedimento principale concerne una cessione siffatta; in effetti, talune delle cessioni nella catena descritta al punto precedente sono state effettuate a favore di imprese che non versavano in fallimento al momento della transazione.

29

In ogni caso, si deve constatare che la decisione di rinvio non contiene elementi del contesto normativo nazionale che consentano di concludere che una risposta della Corte sarebbe utile per la soluzione della controversia principale.

30

Nell’ambito della controversia principale è la contestabilità della validità dei contratti di cessione di cui trattasi che sembra indurre il giudice a quo a deferire alla Corte le questioni pregiudiziali. Nondimeno, l’eventuale accertamento del carattere sleale, sotto il profilo della direttiva 2005/29, di una pratica come quella in esame non ha diretta incidenza sulla valutazione di detta validità (v. sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič, C-453/10, punti 45 e 46).

31

Ne consegue che la prima questione e la prima parte della seconda sono manifestamente irricevibili.

Sulla seconda parte della seconda questione

32

Con la seconda parte della sua seconda questione il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se la direttiva 93/13 osti a che il curatore fallimentare sia sollevato, conformemente alle disposizioni nazionali, dalle spese di giudizio laddove, in mancanza del fallimento, il professionista interessato non sarebbe esente da dette spese.

33

Il medesimo giudice intende, in realtà, accertare la conformità delle disposizioni nazionali relative alle spese giudiziarie con la direttiva 93/13.

34

Tuttavia, a termini dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 93/13, quest’ultima è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore. Essa concerne, di conseguenza, solo le clausole contrattuali e non la ripartizione delle spese di giudizio prevista dalla normativa nazionale.

35

Nel caso di specie, l’unico contratto concluso da un professionista con un consumatore che costituisca oggetto della controversia principale, e al quale faccia riferimento la decisione di rinvio, è quello stipulato il 13 novembre 2001 dalla sig.ra Polhošová, mentre la Repubblica slovacca ha aderito all’Unione europea solamente il 1o maggio 2004.

36

Orbene, per giurisprudenza costante, la Corte è competente a interpretare il diritto dell’Unione soltanto per quanto riguarda la sua applicazione in uno Stato membro a partire dalla data di adesione di quest’ultimo all’Unione (v. sentenze del 10 gennaio 2006, Ynos, C-302/04, Racc. pag. I-371, punto 36; del 14 giugno 2007, Telefónica O2 Czech Republic, C-64/06, Racc. pag. I-4887, punti 22 e 23; del 15 aprile 2010, CIBA, C-96/08, Racc. pag. I-2911, punto 14, nonché ordinanza dell’11 maggio 2011, Semerdzhiev, C-32/10, punto 25).

37

Occorre pertanto concludere che la seconda parte della seconda questione è manifestamente irricevibile.

38

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve constatare, in applicazione dell’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale è manifestamente irricevibile.

Sulle spese

39

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) così provvede:

 

La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Krajský súd v Prešove (Slovacchia), con decisione del 10 agosto 2011, è manifestamente irricevibile.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: lo slovacco.

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