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Document 62011CJ0488

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 30 maggio 2013.
Dirk Frederik Asbeek Brusse e Katarina de Man Garabito contro Jahani BV.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Gerechtshof te Amsterdam.
Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori – Contratto di locazione di abitazione tra un locatore professionale e un locatario privato – Esame d’ufficio, da parte del giudice nazionale, del carattere abusivo di una clausola contrattuale – Clausola penale – Annullamento della clausola.
Causa C 488/11.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2013:341

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

30 maggio 2013 ( *1 )

«Direttiva 93/13/CEE — Clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori — Contratto di locazione di abitazione tra un locatore professionale e un locatario privato — Esame d’ufficio, da parte del giudice nazionale, del carattere abusivo di una clausola contrattuale — Clausola penale — Annullamento della clausola»

Nella causa C-488/11,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Gerechtshof te Amsterdam (Paesi Bassi) con decisione del 13 settembre 2011, pervenuta in cancelleria il 23 settembre 2011, nel procedimento

Dirk Frederik Asbeek Brusse,

Katarina de Man Garabito

contro

Jahani BV,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da A. Tizzano, presidente di sezione, M. Ilešič, E. Levits, M. Safjan e M. Berger (relatore), giudici,

avvocato generale: P. Mengozzi

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per il governo ungherese, da M. Fehér e K. Szíjjártó, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da M. van Beek e M. Owsiany-Hornung, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29; in prosieguo: la «direttiva»), in particolare del suo articolo 6, paragrafo 1.

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Asbeek Brusse e la sig.ra de Man Garabito, da un lato, e la Jahani BV (in prosieguo: la «Jahani»), dall’altro, a proposito del pagamento, da parte dei primi, di canoni di locazione arretrati, di interessi contrattuali e di penali dovute in virtù di un contratto di locazione di abitazione.

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

3

I considerando 9 e 10 della direttiva enunciano quanto segue:

«(...) gli acquirenti di beni o di servizi devono essere protetti dagli abusi di potere del venditore o del prestatario, in particolare dai contratti di adesione e dall’esclusione abusiva di diritti essenziali nei contratti;

(...) si può realizzare una più efficace protezione del consumatore adottando regole uniformi in merito alle clausole abusive; (...) tali regole devono applicarsi a qualsiasi contratto stipulato fra un professionista ed un consumatore; (...) sono segnatamente esclusi dalla presente direttiva i contratti di lavoro, i contratti relativi ai diritti di successione, i contratti relativi allo statuto familiare, i contratti relativi alla costituzione ed allo statuto delle società».

4

L’articolo 1 della direttiva così dispone:

«1.   La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore.

2.   Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative (...) non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva».

5

L’articolo 2 della direttiva definisce le nozioni di «consumatore» e di «professionista» nel seguente modo:

«Ai fini della presente direttiva si intende per

(...)

b)

“consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale;

c)

“professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata».

6

L’articolo 3 della direttiva definisce la clausola abusiva nei seguenti termini:

«1.   Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

(...)

3.   L’allegato contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive».

7

Quanto agli effetti connessi all’accertamento del carattere abusivo di una clausola, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore e un professionista non vincolano [i] consumator[i], alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

8

Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva, «[g]li Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

9

L’allegato alla direttiva elenca le clausole indicate all’articolo 3, paragrafo 3, di quest’ultima, tra le quali figurano:

«1.   [le clausole] che hanno per oggetto o per effetto di:

(...)

e)

imporre al consumatore che non adempie ai propri obblighi un indennizzo per un importo sproporzionatamente elevato;

(...)».

Il diritto nazionale

10

La direttiva è stata trasposta nei Paesi Bassi mediante le disposizioni relative alle condizioni generali dei contratti, contenute agli articoli da 6:231 a 6:247 del codice civile (Burgerlijk Wetboek; in prosieguo: il «BW»).

11

L’articolo 6:233, primo comma, lettera a), del BW così dispone:

«Una clausola inserita nelle le condizioni generali è annullabile:

a)

se, in considerazione della natura e del contenuto del contratto, delle modalità di adozione delle condizioni e dei manifesti interessi reciproci delle parti, nonché delle ulteriori circostanze della fattispecie, è eccessivamente onerosa per la controparte».

12

Ai sensi dell’articolo 3:40 del BW è nullo un atto che è contrario alla morale, all’ordine pubblico o ad una norma di legge imperativa. Tuttavia, nel caso della violazione di una disposizione che mira esclusivamente a tutelare una delle parti di un atto multilaterale, si tratta soltanto di annullabilità, salvo che la portata della disposizione in parola non imponga un’interpretazione diversa.

13

Quanto alle clausole penali, l’articolo 6:94, paragrafo 1, del BW prevede che il giudice, su domanda del debitore, abbia la facoltà di attenuare la penalità concordata se considerazioni di equità lo impongano manifestamente.

14

Peraltro, dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che, in un procedimento di appello, il giudice adito può pronunciarsi soltanto sulle censure fatte valere dalle parti nelle prime conclusioni presentate in appello. Il giudice in sede di appello, tuttavia, deve applicare d’ufficio le disposizioni di ordine pubblico pertinenti, anche qualora queste ultime non siano state invocate dalle parti.

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

15

Nel corso del 2007 la Jahani, società che si occupa a fini commerciali della locazione di immobili ad uso abitativo, ha ceduto in locazione al sig. Asbeek Brusse e alla sig.ra de Man Garabito, in qualità di privati, un locale ad uso abitativo a Alkmaar (Paesi Bassi).

16

Tale contratto di locazione è stato stipulato sulla base delle condizioni generali stabilite da un’associazione di professionisti del settore immobiliare, il Raad voor Onroerende Zaken (consiglio per i beni immobili).

17

Dette condizioni generali contenevano in particolare la seguente clausola penale:

«20.1

Il locatario è considerato inadempiente per la semplice scadenza di un determinato termine.

20.2

In ogni caso in cui il locatario sia inadempiente riguardo al pagamento puntuale e integrale di una somma di denaro, al locatario è addebitato l’interesse dell’1% al mese sul credito principale, a partire dalla data della scadenza sino al giorno del saldo integrale del medesimo.

(...)

20.6

Il locatario deve corrispondere al locatore una penale immediatamente esigibile pari a EUR 25,00 al giorno per ogni obbligo, derivante dal presente contratto con le relative disposizioni generali, da lui inadempiuto o violato, salvo restando il suo dovere di adempiere l’obbligo in parola e gli ulteriori diritti del locatore a risarcimento o altro (...)».

18

Il canone previsto nel contratto di locazione, che ammontava inizialmente a EUR 875 al mese, veniva portato a EUR 894,25 a partire dal 1o luglio 2008, in applicazione della clausola di indicizzazione prevista in tale contratto. Il sig. Asbeek Brusse e la sig.ra de Man Garabito non pagavano la somma corrispondente a detto aumento del canone. Essi versavano, per il mese di febbraio 2009, una somma di EUR 190, quindi cessavano di pagare il canone.

19

Nel luglio 2009 la Jahani citava in giudizio i locatari, chiedendo in particolare la risoluzione del contratto di locazione e la condanna dei convenuti al pagamento di un importo totale di EUR 13 897,09, così composto:

EUR 5 365,50 a titolo di canone dovuto;

EUR 156,67 a titolo di interessi contrattuali già scaduti;

EUR 96,25 a titolo di canone, in seguito all’indicizzazione;

EUR 4 525 a titolo di penali per mancata corresponsione del canone;

EUR 3 800 a titolo di penali per mancata corresponsione dell’indicizzazione;

EUR 658,67 a titolo di spese extragiudiziali.

20

Il Rechtsbank Alkmaar ha accolto le domande della Jahani con sentenza del 21 ottobre 2009.

21

Il sig. Asbeek Brusse e la sig.ra de Man Garabito chiedono al giudice del rinvio, che hanno adito in sede di appello, di ridurre gli importi accordati a titolo di penalità, tenuto conto della sproporzione esistente fra tali importi, da una parte, e il danno subito dalla locatrice, dall’altra.

22

È in tale contesto che il Gerechtshof te Amsterdam ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se un locatore professionista di immobili abitativi, che cede in locazione un’abitazione ad un privato, possa essere considerato come un venditore [di beni] o un prestatore di servizi ai sensi della direttiva. Se un contratto di locazione tra un locatore professionista ed un locatario privato rientri nell’ambito di applicazione della direttiva.

2)

Se la circostanza per cui l’articolo 6 della direttiva deve essere considerato come una disposizione equivalente alle norme nazionali che, nel sistema giuridico nazionale, sono norme di ordine pubblico comporti che, in un procedimento tra privati, la normativa nazionale di trasposizione concernente le clausole abusive sia di ordine pubblico, di modo che il giudice nazionale, tanto in primo grado quanto in appello, ha il potere e l’obbligo di esaminare d’ufficio (e, pertanto, anche ultra petita) una clausola contrattuale alla luce della normativa nazionale di trasposizione e di dichiararne la nullità se ritiene che la clausola sia abusiva.

3)

Se sia conforme all’effetto utile del diritto [dell’Unione] che il giudice nazionale non disapplichi una clausola penale che deve essere considerata come una clausola abusiva ai sensi della direttiva, ma si limiti a ridurre la penale applicando la normativa nazionale, quando un privato abbia effettivamente invocato il potere di moderazione del giudice, ma non la possibilità di annullare la clausola».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

23

Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se un contratto di locazione relativo ad un locale ad uso abitativo, stipulato tra un locatore che agisce nel quadro di un’attività professionale e un locatario privato rientri nell’ambito di applicazione della direttiva.

24

L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva definisce l’oggetto della medesima.

25

Esiste, tuttavia, una certa differenza tra le varie versioni linguistiche di tale disposizione. Mentre la versione olandese dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva illustra che quest’ultima ha ad oggetto il ravvicinamento delle disposizioni nazionali relative alle clausole abusive nei contratti stipulati tra un «venditore» («verkoper») e un consumatore, le altre versioni linguistiche di detta disposizione utilizzano, da parte loro, un’espressione di più ampia portata per indicare la controparte contrattuale del consumatore. La versione francese dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva riguarda i contratti stipulati tra un «professionnel» (professionista) e un consumatore. Tale approccio più ampio si ritrova anche nelle versioni spagnola («profesional»), danese («erhvervsdrivende»), tedesca («Gewerbetreibender»), greca («επαγγελματίας»), italiana («professionista») e portoghese («profissional»). La versione inglese utilizza i termini «seller or supplier».

26

Conformemente ad una costante giurisprudenza, l’esigenza che un atto dell’Unione sia applicato e quindi interpretato in modo uniforme esclude la possibilità di considerare isolatamente una delle versioni, ma esige una sua interpretazione basata tanto sulla reale volontà del legislatore che sullo scopo perseguito da quest’ultimo, alla luce, segnatamente, dei testi redatti nelle altre lingue ufficiali (v., segnatamente, sentenze del 3 giugno 2010, Internetportal und Marketing, C-569/08, Racc. pag. I-4871, punto 35, nonché del 9 giugno 2011, Eleftheri tileorasi e Giannikos, C-52/10, Racc. pag. I-4973, punto 23).

27

Al riguardo occorre rilevare che il termine «verkoper», utilizzato nella versione in lingua olandese, è definito all’articolo 2, lettera c), della direttiva allo stesso modo che nelle altre versioni linguistiche, nel senso che esso designa «qualsiasi persona fisica o giuridica che (...) agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata».

28

Ne risulta, quindi, che, a prescindere dal termine utilizzato per designare la controparte contrattuale del consumatore, l’intenzione del legislatore non era di limitare l’ambito di applicazione della direttiva ai soli contratti stipulati tra un venditore e un consumatore.

29

Inoltre, occorre rilevare che nessuna disposizione nel testo della direttiva precisa a quali tipi di contratti quest’ultima si applichi. Se svariati considerando della stessa, come il nono, sottolineano la necessità di tutelare gli acquirenti di beni o di servizi dagli abusi di potere dei venditori o dei prestatari, il considerando 10 della direttiva ha una portata più ampia, in quanto enuncia che le regole uniformi concernenti le clausole abusive devono essere applicate a «qualsiasi contratto» stipulato tra un professionista e un consumatore, come definiti all’articolo 2, lettere b) e c), della direttiva.

30

Pertanto, è con riferimento alla qualità dei contraenti, a seconda che essi agiscano o meno nell’ambito della loro attività professionale, che la direttiva definisce i contratti ai quali essa si applica.

31

Tale criterio corrisponde all’idea sulla quale è basato il sistema di tutela istituito dalla direttiva, ossia che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il livello di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse (v., segnatamente, sentenze del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C-618/10, punto 39, e del 21 febbraio 2013, Banif Plus Bank, C-472/11, punto 19).

32

Tale tutela è particolarmente importante nel caso di un contratto di locazione di abitazione stipulato tra un soggetto privato, da una parte, e un professionista del settore immobiliare, dall’altra. Le conseguenze della disuguaglianza esistente tra le parti sono infatti aggravate dalla circostanza che, da un punto di vista economico, un siffatto contratto concerne un’esigenza essenziale del consumatore, vale a dire quella di procurarsi un’abitazione, e riguarda somme che rappresentano nella maggior parte dei casi per il locatario una delle voci più importanti del suo bilancio, mentre, da un punto di vista giuridico, si tratta di un contratto che si inserisce, in linea generale, in una normativa nazionale complessa, spesso poco conosciuta dai singoli.

33

Occorre tuttavia rilevare che, in conformità dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva, le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative del diritto nazionale non sono soggette alle disposizioni di tale direttiva (v. sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C-92/11, punto 25). Spetta al giudice nazionale valutare se ciò si verifica per le clausole che costituiscono l’oggetto della controversia dinanzi ad esso pendente.

34

Alla luce delle suesposte considerazioni occorre rispondere alla prima questione dichiarando che la direttiva deve essere interpretata nel senso che, fatte salve le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative previste dal diritto nazionale, il che spetta al giudice nazionale verificare, essa si applica a un contratto di locazione ad uso abitativo stipulato tra un locatore che agisce nel quadro della sua attività professionale e un locatario che agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale.

Sulla seconda questione

35

Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se, rispetto alla giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 6 della direttiva, quest’ultima debba essere intrepretata nel senso che le norme che assicurano la sua trasposizione nel diritto nazionale devono essere assoggettate al trattamento procedurale riservato, nell’ordinamento giuridico interno, alle norme di ordine pubblico, cosicché il giudice nazionale ha l’obbligo di esaminare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo di una clausola contrattuale e, se del caso, di annullare quest’ultima.

36

Tale questione si compone di due parti, la prima relativa all’obbligo del giudice nazionale di rilevare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale, la seconda vertente sulle conseguenze che il giudice nazionale deve trarre dall’accertamento di un siffatto carattere abusivo.

Sull’obbligo di rilevare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale

37

Dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che la prima parte della seconda questione è collegata all’esistenza, nel diritto nazionale, di una disposizione che impone al giudice nazionale che si pronuncia in sede di appello di attenersi, in linea di principio, alle censure presentate dalle parti e di basare la sua decisione su queste ultime, ma che gli permette, comunque, di applicare d’ufficio le disposizioni di ordine pubblico.

38

In via preliminare, occorre ricordare che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva, ai sensi del quale le clausole abusive non vincolano i consumatori, costituisce una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime (v., segnatamente, citate sentenze Banco Español de Crédito, punto 40, e Banif Plus Bank, punto 20).

39

Per garantire la tutela voluta dalla direttiva, la Corte ha già più volte sottolineato che la situazione di disuguaglianza esistente tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale (v., segnatamente, citate sentenze Banco Español de Crédito, punto 41, e Banif Plus Bank, punto 21 nonché giurisprudenza ivi citata).

40

Sulla base di tali considerazioni la Corte ha dichiarato che il giudice nazionale, dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, è tenuto ad valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva e, in tal modo, a porre un argine allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista (v., segnatamente, citate sentenze Banco Español de Crédito, punto 42, e Banif Plus Bank, punto 22).

41

Di conseguenza, il ruolo attribuito al giudice nazionale dal diritto dell’Unione nell’ambito di cui trattasi non si limita alla semplice facoltà di pronunciarsi sull’eventuale carattere abusivo di una clausola contrattuale, ma comporta anche l’obbligo di esaminare d’ufficio tale questione, a partire dal momento in cui egli dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (v., segnatamente, citate sentenze Banco Español de Crédito, punto 43, e Banif Plus Bank, punto 23).

42

Quanto all’attuazione di tali obblighi da parte di un giudice nazionale che si pronuncia in sede di appello, occorre rammentare che, in assenza di disposizioni nel diritto dell’Unione, le modalità dei procedimenti di appello intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai soggetti in forza del diritto dell’Unione rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi. Tuttavia, tali modalità non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v., in tal senso, citate sentenze Banco Español de Crédito, punto 46, e Banif Plus Bank, punto 26).

43

Per quanto riguarda il principio di equivalenza, al quale si riferisce implicitamente la seconda questione pregiudiziale, occorre sottolineare che, così come è stato rammentato al punto 38 della presente sentenza, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva costituisce una disposizione di carattere imperativo. Occorre, inoltre, osservare che, secondo la giurisprudenza della Corte, tale direttiva, nel suo complesso, costituisce un provvedimento indispensabile per l’adempimento dei compiti affidati all’Unione e, in particolare, per l’innalzamento del livello e della qualità della vita all’interno di quest’ultima (v. sentenze del 4 giugno 2009, Pannon GSM, C-243/08, Racc. pag. I-4713, punto 26, e Banco Español de Crédito, cit., punto 67).

44

La Corte ha peraltro dichiarato che, data la natura e l’importanza dell’interesse pubblico sul quale si fonda la tutela che la direttiva garantisce ai consumatori, il suo articolo 6 deve essere considerato come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico (v. sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08, Racc. pag. I-9579, punto 52, e ordinanza del 16 novembre 2010, Pohotovost’, C-76/10, Racc. pag. I-11557, punto 50). Occorre considerare che tale qualificazione si estende a tutte le disposizioni della direttiva indispensabili a realizzare l’obiettivo perseguito da detto articolo 6.

45

Ne deriva che, quando il giudice nazionale è competente, ai sensi delle norme interne di procedura, a valutare d’ufficio la validità di un atto giuridico rispetto alle norme nazionali di ordine pubblico, il che, secondo le indicazioni fornite nella decisione di rinvio, si verifica nel sistema giurisdizionale olandese del giudice che si pronuncia in sede di appello, detto giudice deve parimenti esercitare tale competenza ai fini di valutare d’ufficio, rispetto ai criteri enunciati dalla direttiva, l’eventuale carattere abusivo di una clausola contrattuale che rientri nell’ambito di applicazione di quest’ultima.

46

Occorre ricordare che siffatto obbligo incombe del pari al giudice nazionale quando, nell’ambito del sistema giurisdizionale interno, dispone di una mera facoltà di valutare d’ufficio la contrarietà di una clausola del genere con le norme nazionali d’ordine pubblico (v. sentenza Asturcom Telecomunicaciones, cit., punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

Sulle conseguenze che il giudice nazionale deve trarre dalla constatazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale

47

Dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che la seconda parte della seconda questione è collegata all’esistenza, nel diritto nazionale, di una disposizione secondo la quale il giudice nazionale non può, in linea di principio, annullare una clausola abusiva qualora il consumatore non abbia invocato la nullità di quest’ultima. Il giudice può, tuttavia, annullare d’ufficio una clausola contraria all’ordine pubblico o a una disposizione legislativa imperativa, qualora quest’ultima abbia una portata che giustifichi una sanzione del genere.

48

Occorre ricordare che l’articolo 6, paragrafo 1, prima parte della frase, della direttiva impone che gli Stati membri prevedono che le clausole abusive non vincolano i consumatori, «alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali».

49

La Corte ha interpretato tale disposizione nel senso che il giudice nazionale deve trarre tutte le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, derivano dall’accertamento del carattere abusivo della clausola in esame affinché il consumatore di cui trattasi non sia vincolato da quest’ultima (citate sentenze Banco Español de Crédito, punto 63, e Banif Plus Bank, punto 27). Al riguardo la Corte ha precisato che, qualora il giudice nazionale consideri una clausola contrattuale come abusiva, esso è tenuto a non applicarla, salvo che il consumatore vi si opponga (v. sentenza Pannon GSM, cit., punto 35).

50

Da detta giurisprudenza discende che la piena efficacia della tutela prevista dalla direttiva esige che il giudice nazionale che abbia accertato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola possa trarre tutte le conseguenze derivanti da tale accertamento, senza attendere che il consumatore, informato dei suoi diritti, presenti una dichiarazione diretta ad ottenere l’annullamento di detta clausola (sentenza Banif Plus Bank, cit., punti 28 e 36).

51

Per le stesse ragioni illustrate ai punti 43 e 44 della presente sentenza, ne deriva che, qualora il giudice nazionale abbia il potere, secondo le norme interne di procedura, di annullare d’ufficio una clausola contraria all’ordine pubblico o ad una disposizione legislativa vincolante la cui portata giustifichi tale sanzione, il che, secondo le indicazioni fornite nella decisione di rinvio, si verifica nel sistema giurisdizionale olandese proprio del giudice che si pronuncia in sede di appello, egli debba parimenti annullare d’ufficio una clausola contrattuale di cui abbia accertato il carattere abusivo rispetto ai criteri enunciati dalla direttiva.

52

In tale contesto occorre ricordare che il principio del contraddittorio impone, di norma, al giudice nazionale che abbia accertato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola di informarne le parti della controversia e di dare loro la possibilità di discuterne in contraddittorio secondo le forme previste al riguardo dalle norme processuali nazionali (sentenza Banif Plus Bank, cit., punti 31 e 36).

53

Alla luce delle considerazioni suesposte, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che la direttiva deve essere interpretata nel senso che:

qualora il giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi su un’azione proposta da un professionista nei confronti di un consumatore, vertente sull’esecuzione di un contratto, abbia il potere, secondo le norme interne di procedura, di valutare d’ufficio il contrasto tra la clausola che funge da fondamento alla domanda e le norme nazionali di ordine pubblico, detto giudice deve allo stesso modo, quando abbia accertato che detta clausola rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva, valutare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo della predetta clausola rispetto ai criteri enunciati dalla citata direttiva;

qualora il giudice nazionale abbia il potere, secondo le norme interne di procedura, di annullare d’ufficio una clausola contraria all’ordine pubblico o a una disposizione legislativa imperativa la cui portata giustifichi tale sanzione, esso deve, in linea di principio, dopo aver dato alle parti la possibilità di un dibattito in contraddittorio, annullare d’ufficio una clausola contrattuale della quale abbia constatato il carattere abusivo rispetto ai criteri enunciati da detta direttiva.

Sulla terza questione

54

Con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6 della direttiva possa essere interpretato nel senso che consente ad un giudice nazionale, quando abbia accertato il carattere abusivo di una clausola penale, anziché di disapplicare detta clausola, di limitarsi a ridurre l’importo della penale prevista da quest’ultima, come lo autorizza a fare il diritto nazionale e conformemente a quanto chiesto dal consumatore.

55

In via preliminare, occorre rilevare che l’allegato alla direttiva menziona, al punto 1, lettera e), tra le clausole che possono essere dichiarate abusive ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, di tale direttiva, quelle che hanno per oggetto o per effetto di imporre al consumatore che non adempie ai propri obblighi un indennizzo per un importo sproporzionatamente elevato. La Corte ha dichiarato al riguardo che, qualora il contenuto dell’allegato di cui trattasi non possa stabilire automaticamente e di per sé il carattere abusivo di una clausola controversa, esso costituisce tuttavia un elemento essenziale sul quale il giudice competente può fondare la sua valutazione del carattere abusivo di tale clausola (sentenza del 26 aprile 2012, Invitel, C-472/10, punto 26).

56

Riguardo alla questione se il giudice nazionale, qualora abbia accertato il carattere abusivo di una clausola penale, possa limitarsi a ridurre l’importo della penale prevista da detta clausola, come lo autorizza a fare in particolare l’articolo 6:94, paragrafo 1, del BW, occorre rilevare che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva prevede espressamente, nella seconda parte della frase, che il contratto stipulato tra il professionista e il consumatore resterà vincolante per le parti «secondo i medesimi termini», sempreché esso possa sussistere «senza le clausole abusive».

57

La Corte ha dedotto dalla menzionata formulazione del citato articolo 6, paragrafo 1, che i giudici nazionali devono disapplicare una clausola contrattuale abusiva affinché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore, senza essere autorizzati a rivedere il contenuto della medesima. Detto contratto deve sussistere, in linea di principio, senz’altra modifica che non sia quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive, purché, conformemente alle norme del diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto sia giuridicamente possibile (sentenza Banco Español de Crédito, cit., punto 65).

58

La Corte ha peraltro rilevato che tale interpretazione è corroborata, inoltre, dall’obiettivo e dall’economia generale della direttiva. Al riguardo, essa ha ricordato che, data la natura e l’importanza dell’interesse pubblico sul quale si basa la tutela assicurata ai consumatori, la direttiva impone agli Stati membri, come risulta dal suo articolo 7, paragrafo 1, di predisporre mezzi adeguati ed efficaci «per far cessare l’utilizzo di clausole abusive nei contratti stipulati da un professionista con i consumatori». Orbene, se il giudice nazionale potesse rivedere il contenuto di clausole abusive contenute in contratti del genere, una siffatta facoltà potrebbe compromettere la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine indicato all’articolo 7 della direttiva, in quanto essa ridurrebbe l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione nei confronti del consumatore di siffatte clausole abusive (sentenza Banco Español de Crédito, cit., punti da 66 a 69).

59

Ne deriva che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva non può essere interpretato nel senso che consente al giudice nazionale, qualora quest’ultimo accerti il carattere abusivo di una clausola penale in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, di ridurre l’importo della penale imposta a carico del consumatore anziché di disapplicare integralmente la clausola in esame nei confronti di quest’ultimo.

60

Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva deve essere interpretato nel senso che non consente al giudice nazionale, qualora quest’ultimo abbia accertato il carattere abusivo di una clausola penale in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, di limitarsi, come lo autorizza a fare il diritto nazionale, a ridurre l’importo della penale imposta da tale clausola a carico di detto consumatore, ma gli impone la pura e semplice disapplicazione di siffatta clausola nei confronti del consumatore.

Sulle spese

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Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

 

1)

La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretata nel senso che, fatte salve le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative previste dal diritto nazionale, il che spetta al giudice nazionale verificare, essa si applica a un contratto di locazione ad uso abitativo stipulato tra un locatore che agisce nel quadro della sua attività professionale e un locatario che agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale.

 

2)

La direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che:

qualora il giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi su un’azione proposta da un professionista nei confronti di un consumatore, vertente sull’esecuzione di un contratto, abbia il potere, secondo le norme interne di procedura, di valutare d’ufficio il contrasto tra la clausola che funge da fondamento alla domanda e le norme nazionali di ordine pubblico, detto giudice deve allo stesso modo, quando abbia accertato che detta clausola rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva, valutare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo della predetta clausola rispetto ai criteri enunciati dalla citata direttiva;

qualora il giudice nazionale abbia il potere, secondo le norme interne di procedura, di annullare d’ufficio una clausola contraria all’ordine pubblico o a una disposizione legislativa imperativa la cui portata giustifichi tale sanzione, esso deve, in linea di principio, dopo aver dato alle parti la possibilità di un dibattito in contraddittorio, annullare d’ufficio una clausola contrattuale della quale abbia constatato il carattere abusivo rispetto ai criteri enunciati da detta direttiva.

 

3)

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che non consente al giudice nazionale, qualora quest’ultimo abbia accertato il carattere abusivo di una clausola penale in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, di limitarsi, come lo autorizza a fare il diritto nazionale, a ridurre l’importo della penale imposta da tale clausola a carico di detto consumatore, ma gli impone la pura e semplice disapplicazione di siffatta clausola nei confronti del consumatore.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’olandese.

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