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Document 62011CC0079

    Conclusioni dell’avvocato generale E. Sharpston, presentate il 15 maggio 2012.
    Maurizio Giovanardi e altri.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze.
    Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale — Decisione quadro 2001/220/GAI — Posizione della vittima nel procedimento penale — Direttiva 2004/80/CE — Indennizzo delle vittime di reato — Responsabilità delle persone giuridiche — Risarcimento nell’ambito del procedimento penale.
    Causa C‑79/11.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2012:297

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    ELEANOR SHARPSTON

    presentate il 15 maggio 2012 ( 1 )

    Causa C-79/11

    Procura della Repubblica

    contro

    Maurizio GiovanardiAndrea LastiniFilippo RicciVito PiglionicaMassimiliano PemporiGezim LakjaElettri Fer SrlRete Ferroviaria Italiana SpA

    (Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Firenze)

    «Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale — Responsabilità penale delle persone giuridiche — Diritto delle vittime dei reati al risarcimento dei danni»

    1. 

    Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale la Corte è chiamata ad interpretare le disposizioni della decisione quadro 2001/220 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale ( 2 ) e, in particolare, l’articolo 9 di tale decisione.

    2. 

    La questione che si pone è se, e, in caso affermativo, in quale misura, la vittima di un reato possa ottenere un risarcimento dei danni ad essa cagionati in conseguenza di tale fatto, non solo nei confronti della persona o persone fisiche che lo hanno commesso, ma anche nei confronti di una persona giuridica ritenuta responsabile, ai sensi dell’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato, della sua commissione.

    Contesto normativo

    Normativa dell’Unione europea

    3.

    Alla riunione straordinaria sulla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea, tenutasi a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999, il Consiglio europeo ha deciso, tra l’altro, di elaborare norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità. Tali norme dovevano includere i diritti al risarcimento dei danni alle vittime cagionati da un reato ( 3 ).

    4.

    La decisione quadro è stata adottata allo scopo di dare attuazione a detta risoluzione ( 4 ).

    5.

    Il quarto, quinto e settimo considerando della decisione quadro così recitano:

    «(4)

    Occorre che gli Stati membri ravvicinino le loro disposizioni legislative e regolamentari, per raggiungere l’obiettivo di offrire alle vittime della criminalità, indipendentemente dallo Stato membro in cui si trovano, un livello elevato di protezione.

    (5)

    È importante prendere in considerazione e trattare le esigenze della vittima in maniera globale e coordinata, evitando soluzioni frammentarie o incoerenti che possano arrecarle pregiudizi ulteriori.

    (...)

    (7)

    Le misure di aiuto alle vittime della criminalità e, in particolare, le disposizioni in materia di risarcimento e di mediazione non riguardano le soluzioni che sono proprie del procedimento civile».

    6.

    L’articolo 1 contiene le seguenti definizioni:

    «a)

    “vittima”: la persona fisica che ha subito un pregiudizio (...) causat[o] direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro;

    (...)

    c)

    “procedimento penale”: il procedimento penale conforme al diritto nazionale applicabile».

    Una definizione del termine «autore del reato» non è invece presente.

    7.

    L’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro (intitolato «Diritto di risarcimento nell’ambito del procedimento penale») precisa quanto segue:

    «Ciascuno Stato membro garantisce alla vittima di un reato il diritto di ottenere, entro un ragionevole lasso di tempo, una decisione relativa al risarcimento da parte dell’autore del reato nell’ambito del procedimento penale, eccetto i casi in cui il diritto nazionale preveda altre modalità di risarcimento».

    Normativa nazionale

    8.

    L’articolo 185 del codice penale italiano prevede la responsabilità risarcitoria dell’autore di un reato nei confronti della vittima alla quale abbia cagionato un danno in conseguenza dei fatti commessi. Tali fatti possono, inoltre, obbligare al risarcimento la persona o le persone (fisiche o giuridiche) che devono rispondere per la condotta dell’autore del reato.

    9.

    L’articolo 74 del codice di procedura penale conferisce alla vittima di tale reato il diritto di costituirsi parte civile in un procedimento penale contro l’imputato. In caso di esito favorevole in tale procedimento la vittima ottiene un risarcimento dall’imputato, nello stesso modo, ma (nella maggior parte dei casi) più rapidamente, che se avesse proposto nei confronti di quest’ultimo un’azione separata dinanzi ai giudici civili, con riferimento allo stesso danno.

    10.

    Fino all’adozione del decreto legislativo n. 231/2001 (in prosieguo: il «decreto legislativo»), nel diritto italiano vigeva il canone societas delinquere non potest ( 5 ). Sebbene le persone giuridiche possano essere indirettamente responsabili per gli illeciti commessi dalle persone del cui comportamento esse dovevano rispondere in un’azione civile, esse non potevano, come tali, essere perseguite per aver commesso un reato ai sensi della normativa italiana.

    11.

    L’articolo 1 di detto decreto prevede la responsabilità delle persone giuridiche, formalmente qualificata come responsabilità «amministrativa», con riferimento ad illeciti dipendenti da reato. Tale disposizione si estende agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica. Essa non si applica, tuttavia, allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale ( 6 ).

    12.

    Il capo I del decreto legislativo è suddiviso in tre sezioni, la prima delle quali comprende una sezione generale che riporta i criteri di attribuzione della responsabilità ad una persona giuridica ai sensi del decreto. La terza sezione specifica (facendo riferimento alle disposizioni del codice penale) determinati reati in relazione ai quali può essere prevista la responsabilità di una persona giuridica.

    13.

    Per quanto concerne i criteri applicabili, l’articolo 5 del decreto legislativo indica le persone fisiche che, in quanto autori di un reato, possono obbligare la persona giuridica al risarcimento. In sostanza, si tratta a) delle persone che rivestono funzioni di amministrazione o di direzione e b) delle persone sottoposte alla vigilanza di coloro che agiscono in tale veste. Gli articoli 6 e 7 specificano le circostanze in cui la responsabilità può essere imputata ad una persona giuridica. Qualora il reato di cui trattasi sia stato commesso da una persona che riveste funzioni di amministrazione o di direzione, sussiste una presunzione di responsabilità della persona giuridica. La menzionata presunzione può essere superata solo qualora tale persona giuridica possa provare di avere adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, o che tali modelli sono stati fraudolentemente elusi dalle persone che hanno commesso il reato. Per quanto concerne le persone che non rivestono funzioni di amministrazione o di direzione, non sussiste presunzione di responsabilità da parte della persona giuridica. In tal caso è invece necessario dimostrare che la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza dei previsti obblighi di direzione o vigilanza.

    14.

    Ai sensi dell’articolo 25 septies del decreto legislativo, i reati figuranti nella sezione speciale comprendono l’omicidio colposo e le lesioni gravi o gravissime.

    15.

    Devono essere menzionate altre quattro disposizioni del decreto legislativo. L’articolo 8 sancisce l’autonomia della responsabilità di una persona giuridica rispetto ad un reato, vale a dire che essa può sussistere anche qualora la persona fisica che ha commesso il reato di cui trattasi non possa essere identificata o non sia imputabile. Ai sensi dell’articolo 34, alle persone giuridiche imputabili ai sensi delle disposizioni sopra menzionate, si applicano le disposizioni processuali previste dal decreto legislativo nonché, ove applicabili, le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo n. 271/1989 ( 7 ). L’articolo 35 prevede, inoltre, che le disposizioni processuali relative ad una persona fisica imputata di un reato sono applicabili ad una persona giuridica imputata ai sensi delle disposizioni di cui sopra, in quanto compatibili. Conformemente all’articolo 36, la competenza a conoscere gli illeciti amministrativi delle persone giuridiche appartiene al giudice penale competente per i reati commessi dalle persone fisiche.

    16.

    L’articolo 74 del codice di procedura penale stabilisce che l’azione civile per il risarcimento del danno subito in conseguenza del reato può essere esercitata nel processo penale dalla vittima di un reato (o dai suoi successori) nei confronti, tra l’altro, dell’imputato.

    17.

    L’articolo 83 del codice di procedura penale dispone quanto segue:

    «Il responsabile civile per il fatto dell’imputato può essere citato nel processo penale a richiesta della [vittima di tale fatto] (...). L’imputato può essere citato come responsabile civile per il fatto dei coimputati per il caso in cui venga prosciolto o sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere (...)».

    Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

    18.

    Il 2 ottobre 2008 si è verificato un incidente su un nodo ferroviario vicino a Firenze. L’incidente ha asseritamente avuto luogo in conseguenza di carente esecuzione della prestazione lavorativa (costitutiva di reato colposo ai sensi degli articoli 41, 113 e 589, secondo e quarto comma del codice penale italiano) da parte del sig. Giovanardi e di altre quattro persone ( 8 ). Nei riguardi di tali persone il pubblico ministero ha presentato una richiesta di rinvio a giudizio dinanzi all’ufficio del giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze in data 28 luglio 2010. Le persone in questione erano dipendenti della Rete Ferroviaria Italiana (in prosieguo: la «RFI»), azienda pubblica delle ferrovie. In conseguenza dell’incidente, il sig. Marrai è deceduto, il sig. Bardelli ha subito l’amputazione di una gamba e il sig. Tomberli è rimasto gravemente ferito. Tutte le vittime erano dipendenti della RFI.

    19.

    L’atto del capo d’imputazione preliminare relativo alle persone di cui trattasi contiene anche la richiesta di rinvio a giudizio di due persone giuridiche chiamate a rispondere dell’incidente, e precisamente la Elettri Fer Srl (in prosieguo: la «Elettri Fer») e la RFI. La richiesta di rinvio a giudizio si fonda, inter alia, sull’articolo 25 septies del decreto legislativo.

    20.

    Nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio, il sig. Bardelli e i rappresentanti dei parenti stretti del sig. Marrai (in prosieguo: i «ricorrenti nella causa principale») hanno chiesto l’ammissione della costituzione di parte civile ai sensi dell’articolo 74 e segg. del codice di procedura penale. Essi chiedono il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e morali subiti in conseguenza dell’incidente, e chiedono al giudice del rinvio l’ammissione della costituzione non solo nei confronti delle persone che avrebbero commesso i reati di cui trattasi, ma anche nei confronti della Elettri Fer e della RFI.

    21.

    Al giudice nazionale viene chiesto di pronunciarsi sull’opposizione presentata avverso tale domanda, con cui si argomenta che la legislazione italiana non consente alle vittime dei reati e ai loro rappresentanti di rivolgere direttamente alle persone giuridiche una richiesta di risarcimento nell’ambito del procedimento penale.

    22.

    Il giudice del rinvio osserva che la questione formulata nell’opposizione è stata oggetto di numerose discussioni, ma che è da considerarsi tuttora irrisolta. Esso rileva che, ai sensi della legislazione nazionale, un reato commesso da una persona giuridica deve essere qualificato come indiretto e sussidiario e non può, pertanto, essere considerato eziologicamente determinante nella commissione dei reati di cui trattasi. Dopo avere esaminato gli argomenti a favore e contrari all’obiezione, esso è del parere che, sebbene la questione non sia esente da dubbi, la corretta interpretazione del diritto nazionale avvalori la tesi delle parti che sollevano l’obiezione.

    23.

    In questo contesto il giudice del rinvio ha sottoposto alla Corte in via pregiudiziale la seguente questione:

    «Se la normativa italiana in tema di responsabilità amministrativa degli enti/persone giuridiche di cui al decreto legislativo (...) e successive modificazioni, nel non prevedere “espressamente” la possibilità che gli stessi siano chiamati a rispondere dei danni cagionati alle vittime dei reati nel processo penale, sia conforme alle norme comunitarie in materia di tutela della vittima dei reati nel processo penale».

    24.

    Hanno presentato osservazioni scritte i rappresentanti processuali dei parenti prossimi del sig. Marrai, i governi tedesco, italiano, dei Paesi Bassi e austriaco e la Commissione europea. Nell’udienza del 15 marzo 2012 sono comparsi i rappresentanti processuali dei parenti prossimi del sig. Marrai, i rappresentanti dei governi tedesco e italiano, nonché quelli della Commissione per presentare osservazioni orali.

    Analisi

    Osservazioni preliminari

    Competenza della Corte

    25.

    La decisione quadro è stata adottata in base agli articoli 31 e 34, paragrafo 2, lettera b), del Trattato sull’Unione europea (in prosieguo: il «Trattato UE»). Tali disposizioni facevano parte del titolo VI del Trattato UE, intitolato «Disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale». L’articolo 35, paragrafo 1, UE sanciva la competenza della Corte a pronunciarsi in via pregiudiziale, tra l’altro, sull’interpretazione delle decisioni quadro stabilite ai sensi di detto titolo, sempre alle condizioni previste da tale articolo. Tali condizioni includevano un requisito previsto dall’articolo 35, paragrafo 2, UE, in base al quale uno Stato membro deve innanzitutto dichiarare di avere accettato la competenza della Corte a pronunciarsi in via pregiudiziale conformemente al paragrafo precedente. La Repubblica italiana vi ha provveduto con una dichiarazione che ha preso effetto il 1o maggio 1999 ( 9 ).

    26.

    Dopo l’adozione della decisione quadro è nel frattempo entrato in vigore il Trattato di Lisbona ( 10 ).

    27.

    Come illustrato dalla Corte nella sentenza X ( 11 ), l’effetto degli articoli 9 e 10, paragrafo 1, del protocollo n. 36 sulle disposizioni transitorie, allegato al Trattato FUE, è che gli effetti giuridici della decisione quadro sono mantenuti, nonostante l’entrata in vigore di detto Trattato, e le attribuzioni della Corte in ordine alle pronunce pregiudiziali restano invariate ( 12 ).

    28.

    Pertanto, la Corte è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale.

    La direttiva 2004/80/CE

    29.

    Sebbene il giudice del rinvio non sollevi specificamente il problema nella questione pregiudiziale, nell’ordinanza di rinvio esso chiede chiarimenti non solo in merito all’interpretazione della decisione quadro, ma anche per quanto concerne l’applicabilità della direttiva 2004/80 ( 13 ) alle circostanze descritte in precedenza.

    30.

    Come precisa l’articolo 1 di tale direttiva, essa è applicabile solo qualora sia stato commesso un «reato intenzionale violento», che presenti un elemento transfrontaliero. Nella causa in esame nulla suggerisce che, laddove siano stati commessi reati, essi siano stati commessi intenzionalmente. Né sussiste un elemento transfrontaliero. Detto questo, la direttiva non può trovare applicazione nelle circostanze considerate ( 14 ), e non la prenderò in ulteriore considerazione.

    Questione pregiudiziale

    31.

    Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede chiarimenti per quanto concerne la compatibilità di talune disposizioni nazionali con l’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro. È evidente che la legislazione nazionale consente alla vittima di un reato commesso da una persona fisica di ottenere un risarcimento da tale persona, esercitando a tal fine un’azione civile nel processo penale ( 15 ). Qualora il reato sia stato commesso da una persona giuridica, tuttavia, il giudice del rinvio è del parere che tale azione sia improcedibile e che la vittima debba esercitare l’azione in un procedimento civile autonomo instaurato a tal fine ( 16 ). Il giudice del rinvio osserva che, ai fini dell’introduzione di un procedimento civile, la vittima ha una possibilità di scelta. Essa può attendere che un’eventuale sentenza di condanna nei confronti degli autori del reato in questione passi in giudicato, tempo stimabile in anni (quantomeno ove sia proposto appello avverso la dichiarazione di colpevolezza o la condanna), prima di introdurre una causa dinanzi al giudice civile; un’azione che richiederebbe, a sua volta, ulteriore decorso di anni. Oppure, in alternativa, può instaurare immediatamente un processo civile parallelo, tuttavia, anche in tal caso, i tempi sarebbero sempre «molto lunghi», con sensibile aggravio di spese.

    32.

    Nella misura in cui, con la sua questione, il giudice del rinvio chiede a codesta Corte di pronunciarsi sulla compatibilità di una misura nazionale con il diritto dell’Unione europea, la Corte non è competente per pronunciarsi su tale questione. Essa può, tuttavia, fornire al giudice a quo tutti gli elementi di interpretazione, che rientrano nel diritto dell’Unione, atti a consentirgli di valutare tale compatibilità per pronunciarsi nella causa per la quale è stato adito ( 17 ). Come giustamente rilevato dalla Commissione, la questione può essere riformulata al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio. In sostanza, la questione è se l’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro ammetta che si operi una distinzione tra persone fisiche e persone giuridiche che hanno commesso un reato, con riferimento al diritto della vittima di ottenere il risarcimento dei danni causati in conseguenza di tale reato in un procedimento penale a carico di tali persone.

    33.

    Nelle loro osservazioni, i governi tedesco, dei Paesi Bassi e austriaco sono unanimi nel sottolineare lo spazio di azione riservato dalla decisione quadro agli Stati membri per la sua attuazione. La Corte ha, in effetti, riconosciuto l’ampio margine discrezionale esistente a tale riguardo ( 18 ). Tale aspetto può assumere particolare rilevanza qualora ne risulti una situazione incompatibile con le norme costituzionali dello Stato membro di cui trattasi, mentre un’altra forma di risoluzione non lo sarebbe ( 19 ). Al contempo, tuttavia, non si deve dimenticare il fatto che la decisione quadro era volta ad imporre obblighi agli Stati membri per quanto attiene agli obiettivi da essa perseguiti. Di conseguenza, si tratta di un ambito in cui la Corte deve muoversi con cautela. Questo però non significa che non debba procedere affatto.

    34.

    Prima di affrontare la questione di come l’articolo 9, paragrafo 1, debba essere interpretato, merita un breve accenno ciò che tale disposizione non prevede. Esso non impone agli Stati membri di modificare il loro diritto penale sostanziale al fine di introdurre o ampliare la nozione di responsabilità penale delle società ( 20 ). In altre parole, esso non obbliga uno Stato membro a creare la responsabilità dove questa non sussiste. Pertanto, uno Stato membro, il cui ordinamento giuridico prevede che solo le persone fisiche possono essere condannate per reati, non contravviene alle disposizioni della direttiva quadro, se non prevede, inoltre, la responsabilità delle persone giuridiche che si ritiene possano essere in qualche misura responsabili per tale reato e la possibilità di ottenimento del risarcimento da tali persone giuridiche ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1. In tale Stato membro la vittima che intende ottenere un risarcimento, con riferimento ad un illecito per il quale la persona fisica di cui trattasi si presume responsabile, deve instaurare un processo civile, con tutte le conseguenze che ne derivano ai sensi dell’ordinamento nazionale.

    35.

    Tuttavia, non è di questo che si tratta nella fattispecie. Sulla base di un’analisi combinata dell’ordinanza di rinvio, delle osservazioni scritte presentate alla Corte e delle osservazioni orali presentate in udienza, a mio avviso la legislazione italiana prevede quanto segue:

    le persone giuridiche possono essere responsabili per la commissione di un illecito dipendente da reato ai sensi delle disposizioni del decreto legislativo;

    l’illecito dipendente da reato rispetto al quale possono essere imputate persone giuridiche è qualificato come illecito amministrativo: tale qualificazione è stata adottata al fine di evitare l’eventuale insorgere di problemi ai sensi della Costituzione italiana, qualora un illecito commesso da una persona giuridica fosse classificato specificamente come «reato»;

    i criteri previsti nella sezione generale del decreto legislativo, in base ai quali viene definito l’illecito, sono stabiliti mediante esplicito rinvio alle disposizioni del codice penale ( 21 );

    un illecito commesso da una persona giuridica non deve essere considerato alla stregua di un illecito identico o equivalente commesso da una persona fisica; tale responsabilità viene qualificata come «indiretta e sussidiaria»; ai fini dell’attribuzione della responsabilità ad una persona giuridica è necessario dimostrare che essa è responsabile per gli atti dei propri funzionari e/o dipendenti;

    da ciò consegue che una persona giuridica non deve essere considerata l’«autore» diretto del reato commesso da una persona fisica;

    ciò nondimeno, la responsabilità di una persona giuridica ha come necessario fondamento il fatto che l’illecito sia stato commesso da una persona fisica  ( 22 ); in altre parole, se tale atto illecito (reato) non è stato commesso, non può sorgere responsabilità della persona giuridica in questione;

    il procedimento a carico di una persona giuridica è promosso dinanzi al giudice penale, è assoggettato alle disposizioni del codice di procedura penale e sarà riunito con il procedimento penale a carico della persona o persone fisiche che avrebbero commesso l’illecito di cui trattasi ( 23 ).

    36.

    Anche se la legislazione italiana non consente alla vittima di un reato di ottenere, costituendosi parte civile in tale procedimento ai sensi dell’articolo 74 del codice di procedura penale, una condanna al risarcimento a carico di una persona giuridica in un procedimento penale, risulta che lo stesso effetto può essere conseguito, in pratica, per altra via. In una sentenza pronunciata nell’ottobre 2010, la Sesta sezione penale della Corte suprema di cassazione ha dichiarato quanto segue:

    «(...) nel processo ex [decreto legge] la posizione del danneggiato è comunque garantita, in quanto, oltre a poter tutelare immediatamente i propri interessi davanti al giudice civile, può citare l’ente come responsabile civile ai sensi dell’articolo 83 codice di procedura penale nel giudizio che ha ad oggetto la responsabilità penale dell’autore del reato, commesso nell’interesse della persona giuridica, e lo può fare – normalmente – nello stesso processo in cui si accerti la responsabilità dell’ente» ( 24 ).

    37.

    Naturalmente, spetta al giudice del rinvio verificare che quanto precede rappresenti una valutazione accurata della posizione ai sensi della legislazione nazionale.

    38.

    Si pone la questione se le disposizioni sopra descritte siano compatibili con l’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro.

    39.

    L’articolo 9, paragrafo 1, tutela le vittime dei reati, imponendo agli Stati membri di predisporre soluzioni per il risarcimento di tali vittime entro un lasso di tempo ragionevole nell’ambito del procedimento penale. Ottenendo una decisione con tali modalità, le vittime del reato beneficiano, come rilevato dalla Commissione, di una procedura al contempo più rapida e meno costosa di quanto non lo sarebbe, se dovessero proporre azione separata dinanzi ai giudici civili.

    40.

    La disposizione consta di due parti. Nella prima parte essa stabilisce la regola generale, secondo cui gli Stati membri hanno l’obbligo di garantire alla vittima di un reato il diritto di ottenere, entro un ragionevole lasso di tempo, una decisione relativa al risarcimento da parte dell’autore del reato nell’ambito del procedimento penale. La seconda parte costituisce una deroga a questa regola generale, la quale è applicabile «eccetto i casi» in cui il diritto nazionale preveda altre modalità di risarcimento.

    41.

    Esaminerò la regola generale stabilita nella prima parte dell’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro prima di passare alla deroga di cui alla seconda parte.

    La regola generale

    42.

    Si pone la questione di quali siano le condizioni fondamentali, in presenza delle quali l’articolo 9, paragrafo 1, impone agli Stati membri di garantire che una decisione relativa al risarcimento alla vittima del danno subito in conseguenza di un reato sia resa entro un ragionevole lasso di tempo. In primo luogo, deve essere stato commesso un reato. In secondo luogo, deve essere possibile, in base all’ordinamento giuridico dello Stato membro di cui trattasi, proporre un procedimento penale nei confronti dell’imputato relativamente a tale atto. In terzo luogo, deve sussistere un procedimento penale.

    43.

    Se prendiamo un esempio semplice, l’applicazione di tali condizioni è chiara. Supponiamo che, in un dato Stato membro, la guida irresponsabile da parte di «X», durante l’esercizio della sua attività lavorativa per «Y» (persona giuridica), causi un incidente che arreca pregiudizio a una o più vittime. Tale Stato membro accoglie il principio della responsabilità penale delle società con riferimento ai reati e persegue dinanzi al giudice penale, nelle forme ordinarie, le persone giuridiche che avrebbero commesso tali reati. Supponiamo, inoltre, che la nozione di «autore del reato» di cui all’articolo 9, paragrafo 1, sia applicabile alle persone giuridiche (tornerò su questo punto più avanti ( 25 )). In conseguenza di tale incidente, sia X (in quanto persona fisica che direttamente ha causato l’incidente) sia Y (in quanto persona giuridica indirettamente responsabile per averlo causato) sono imputati dinanzi al giudice penale. Essi sono accusati di avere commesso reati strettamente collegati. In siffatta ipotesi è chiaro che la decisione quadro impone ad uno Stato membro, l’ordinamento giuridico del quale non preveda già la possibilità per le vittime di chiedere e (ove opportuno) ottenere un risarcimento attraverso il procedimento penale, di modificare la propria legislazione nazionale per conformarsi all’articolo 9, paragrafo 1.

    44.

    La causa in esame non è, tuttavia, così semplice.

    45.

    Prendendo ora in considerazione le condizioni esposte al paragrafo 42 supra, ritengo, in primo luogo, che la decisione quadro non riguardi tanto la qualificazione tecnica del «reato» ai sensi della legislazione nazionale quanto la sua natura fondamentale. La decisione quadro concerne la sostanza, piuttosto che la forma. Pur tenendo conto dell’ampio potere discrezionale conferito alle autorità nazionali quanto alle concrete modalità di conseguimento delle finalità sottese alla decisione quadro, la Corte ha altresì dichiarato che, salvo rischiare di svuotarla del suo effetto utile, occorre effettuarne un’interpretazione teleologica ( 26 ).

    46.

    Pertanto, non può essere rilevante ai fini dell’accertamento della conformità all’articolo 9, paragrafo 1, la circostanza che l’ordinamento nazionale qualifichi il reato di cui trattasi come «indiretto e sussidiario». La responsabilità penale delle società è, per sua stessa natura, difficilmente diretta o primaria. Per ragioni di completezza, aggiungo che non è necessario che le persone fisiche e le persone giuridiche siano ritenute responsabili con riferimento allo stesso atto. Né l’articolo 9, paragrafo 1, impone che, affinché le persone giuridiche rientrino nel suo ambito di applicazione, una o più persone fisiche debbano prima essere imputate con riferimento al reato di cui trattasi.

    47.

    Per quanto concerne la qualificazione, in base alla legislazione italiana, dell’illecito commesso da una persona giuridica, come illecito «amministrativo» ( 27 ), ritengo che si debba nondimeno applicare lo stesso principio di interpretazione. Appare chiaro, dal quarto considerando della decisione quadro, che lo scopo di quest’ultima è offrire alle vittime della criminalità un «livello elevato di protezione». Ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, una delle modalità con le quali essa si propone di perseguire detto obiettivo è mettere a disposizione di tali vittime un risarcimento, attraverso il procedimento penale intentato con riferimento all’illecito che ha dato origine al danno in questione. Convengo che l’adozione della decisione quadro non imponeva agli Stati membri di introdurre la nozione di responsabilità penale delle società nella loro legislazione nazionale, se essa non faceva parte in precedenza del loro ordinamento ( 28 ). Ritengo, tuttavia, che uno Stato membro che effettivamente accolga tale nozione come parte del suo ordinamento non possa allora essere sollevato dall’obbligo, ad esso incombente, di offrire una tutela ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, accampando motivi sostanzialmente formali.

    48.

    Nella fattispecie, l’ordinamento giuridico dello Stato membro di cui trattasi prevede la responsabilità delle persone giuridiche rispetto agli illeciti, secondo modalità che dispongono 1) che i criteri in base ai quali viene definito l’illecito siano sanciti mediante rinvio alle disposizioni del codice penale, 2) che il necessario fondamento della responsabilità di una persona giuridica sia il fatto che un illecito sia stato commesso da una persona fisica e 3) che il procedimento a carico di una persona giuridica sia promosso dinanzi al giudice penale, sia assoggettato alle disposizioni del codice di procedura penale e, in circostanze normali, sia riunito con il procedimento a carico della persona o persone fisiche che avrebbero commesso l’illecito di cui trattasi. All’articolo 9, paragrafo 1, deve essere data un’interpretazione teleologica, che privilegi la sostanza rispetto alla forma. Di conseguenza, il fatto che la legislazione nazionale qualifichi come «amministrativa» la responsabilità delle persone giuridiche rispetto agli illeciti non è, a mio parere, sufficiente ad escludere l’applicazione di detto articolo e, quindi, l’obbligo di offrire tutela alla vittima di tali reati.

    49.

    In secondo luogo, l’atto di cui trattasi deve dare luogo ad un procedimento a carico di un autore del reato. Mentre nell’articolo 1, lettera a), della decisione quadro viene definito il termine «vittima», non esiste una corrispondente definizione dell’espressione «autore del reato» ( 29 ). In tali circostanze, ritengo che all’espressione debba essere attribuito il suo significato naturale e consueto. Si tratta di un termine di ampia portata, utilizzato in un contesto in cui, se il legislatore avesse voluto utilizzare un’accezione ristretta, lo avrebbe fatto. Non ho, pertanto, grandi difficoltà a concludere che «autore del reato» deve essere interpretato in maniera da comprendervi non solo le persone fisiche, ma anche le persone giuridiche, accusate della commissione di illeciti.

    50.

    In terzo luogo, deve sussistere un procedimento penale. Tale requisito è evidente; in mancanza, l’articolo 9, paragrafo 1, sarebbe privo di significato. L’articolo 1, lettera c), della decisione quadro stabilisce che tale nozione deve essere intesa facendo riferimento al diritto nazionale applicabile. In altre parole, non esiste una nozione europea armonizzata di ciò che si è inteso comprendere nel termine «procedimento penale». Dal momento che, nella fattispecie, non sembrano esserci dubbi sul fatto che il procedimento in questione sia un procedimento penale, un punto confermato dal governo italiano all’udienza ( 30 ), non mi pare necessario procedere ad un ulteriore approfondimento di tale elemento.

    51.

    Se le menzionate condizioni sono soddisfatte, lo Stato membro di cui trattasi deve garantire che la sua legislazione nazionale contenga disposizioni che consentano alla vittima di un illecito di poter partecipare al procedimento penale, in maniera tale che sia in grado, nell’ambito di detto procedimento, di far valere una richiesta di adeguato risarcimento nei confronti dell’imputato. Incluso nei confronti delle persone giuridiche.

    52.

    Al paragrafo 36 supra ho fatto riferimento ad una decisione della Corte suprema di cassazione, sulla quale il governo italiano ha richiamato l’attenzione della Corte nelle sue osservazioni e che è stata oggetto di lunghe discussioni all’udienza. In base a tale sentenza le vittime di un reato che coinvolge persone giuridiche non possono, in effetti, avvalersi dell’articolo 74 del codice di procedura penale allo scopo di costituirsi parte civile in un processo a carico di persone giuridiche. Nondimeno, in pratica, esse sono comunque tutelate dal momento che 1) possono proporre azione civile nei confronti di dette persone e 2) possono invocare l’articolo 83 di detto codice per proporre azione dinanzi al giudice penale per altra via. La prima ipotesi, vale a dire la possibilità di avviare un procedimento civile, non presenta interesse per l’attuale discussione. Il giudice del rinvio ha infatti osservato che i tempi che tale scelta comporta sono suscettibili di dilatarsi ( 31 ). Qualora ciò si verificasse, la tutela che la decisione quadro intende offrire non sarebbe garantita. Per contro, ritengo potenzialmente rilevante la possibilità di richiamarsi all’articolo 83 del codice. Posto che ciò rappresenti, in effetti, una possibile alternativa per le vittime di tali reati, il fatto che la legislazione italiana possa loro impedire di costituirsi parte civile in tale procedimento non incide sulla questione se la legislazione nazionale soddisfi le condizioni dell’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro.

    53.

    Le parti hanno espresso pareri differenti sull’applicabilità di tale sentenza alla controversia principale, applicabilità che spetta al giudice del rinvio stabilire.

    54.

    Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni ritengo che la regola generale sancita dalla prima parte dell’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro debba essere interpretata nel senso che, quando l’ordinamento giuridico di uno Stato membro consente di instaurare un procedimento nei confronti di persone giuridiche con riferimento ad un illecito, la circostanza che tale ordinamento possa qualificare la responsabilità rispetto a tale illecito come «indiretta e sussidiaria» e/o «amministrativa» non solleva tale Stato membro dall’obbligo di applicare le disposizioni del menzionato articolo rispetto alle persone giuridiche se: 1) i criteri in base ai quali viene definito l’illecito sono sanciti mediante rinvio alle disposizioni del codice penale; 2) alla base della responsabilità di una persona giuridica riguardo a detto atto vi è sostanzialmente la commissione di un illecito da parte di una persona fisica, e 3) il procedimento a carico di una persona giuridica è promosso dinanzi al giudice penale, è assoggettato alle disposizioni del codice di procedura penale e, in circostanze normali, verrà riunito con il procedimento a carico della persona o persone fisiche che avrebbero commesso l’illecito di cui trattasi.

    La deroga

    55.

    La regola generale di cui all’articolo 9, paragrafo 1, è applicabile «eccetto i casi in cui il diritto nazionale preveda altre modalità di risarcimento».

    56.

    I governi tedesco e dei Paesi Bassi sostengono che la deroga è applicabile alla controversia principale. Allorché le vittime possono proporre azione nei confronti delle persone giuridiche che si presume abbiano commesso il reato dinanzi ai giudici civili, lo Stato membro non avrebbe alcun obbligo di garantire che le azioni possano essere esercitate contro tali persone nell’ambito del procedimento penale.

    57.

    Non condivido questa tesi.

    58.

    Trattandosi di una deroga alla regola generale sancita nella prima parte dell’articolo 9, paragrafo 1, all’eccezione deve essere data interpretazione restrittiva ( 32 ). Interpretare la deroga nel senso che essa esclude dalla regola generale tutti i casi che coinvolgono una specifica categoria di autori del reato, vale a dire le persone giuridiche, rischierebbe di trasformare l’eccezione in regola. Non si può ritenere che il legislatore intendesse giungere a siffatto risultato. La deroga è concepita per trovare applicazione nei «casi in cui». A tale riguardo rinvio ai lavori preparatori della decisione quadro, che documentano una discussione tenutasi durante una riunione del gruppo di lavoro competente del Consiglio, nel corso della quale è stato esaminato il testo della decisione quadro ( 33 ). Dai verbali di tale riunione emerge che le delegazioni svedese, austriaca e tedesca avevano proposto l’eliminazione delle parole di cui trattasi ( 34 ). I verbali documentano, inoltre, che la presidenza (francese) aveva sottolineato il fatto che «senza [tale] frase, il paragrafo 1 sarebbe svuotato di significato».

    59.

    Ciò non significa che non possano mai verificarsi circostanze in cui la deroga sia applicabile. A tale riguardo, condivido il parere della Commissione, secondo cui devono sussistere circostanze oggettive che giustifichino tale risultato. Queste devono includere i casi in cui la regola generale non può essere applicata per ragioni pratiche, ad esempio, qualora il danno conseguente alla commissione del reato non possa essere accertato o non possa essere accertato con precisione sufficiente, affinché un’azione possa essere esercitata prima della conclusione del procedimento penale nei confronti dell’autore del reato. L’esclusione delle persone giuridiche, come categoria, dall’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 1, non può, tuttavia, essere oggettivamente giustificata.

    60.

    Concludo, pertanto, che la deroga alla regola generale sancita nella seconda parte dell’articolo 9, paragrafo 1, non può essere interpretata nel senso che esclude dalla regola generale, stabilita nella prima parte di detto articolo, tutti i casi che coinvolgono una specifica categoria di autori del reato, come le persone giuridiche.

    Rilievi conclusivi

    Applicazione dei principi sopra esposti alla causa principale

    61.

    Nel procedimento principale spetta al giudice del rinvio compiere quanto segue. In primo luogo, esso deve accertare se le persone giuridiche interessate abbiano commesso un reato ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro. Per giungere a detta conclusione esso deve prendere in considerazione non solo le norme nazionali concernenti la natura di un illecito, ma anche i principi enunciati al paragrafo 48 supra. In secondo luogo, esso deve accertare se tali persone debbano essere qualificate come autori del reato ai sensi della disposizione in parola. Nell’esaminare tale aspetto esso deve tenere presenti i rilievi di cui al punto 49 supra. In terzo luogo, deve valutare se il procedimento di cui trattasi sia un procedimento penale ai sensi del menzionato articolo. A tal fine, deve tenere conto delle considerazioni di cui al paragrafo 50 supra. Da ultimo, deve determinare se sussistano circostanze eccezionali, tali da giustificare l’applicazione della deroga di cui alla seconda parte dell’articolo 9, paragrafo 1. Se, dopo aver proceduto in tal senso, conclude che si applica la regola e la deroga non è invece applicabile, esso deve valutare se la legislazione nazionale soddisfi effettivamente detta regola generale.

    62.

    A tale riguardo, propongo le seguenti osservazioni generali.

    63.

    La Corte ha già dichiarato che il principio secondo il quale la legislazione nazionale deve essere interpretata in conformità al diritto dell’Unione europea si impone riguardo alle decisioni quadro adottate nell’ambito del titolo VI del Trattato sull’Unione europea. Applicando la normativa nazionale, il giudice del rinvio chiamato ad interpretarla è tenuto a farlo per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato perseguito da questa e di conformarsi così alle disposizioni del Trattato ( 35 ).

    64.

    Al contempo, tuttavia, la Corte ha statuito a più riprese che l’obbligo per il giudice del rinvio di interpretare il diritto nazionale conformemente al diritto dell’Unione europea trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, ed in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattività. In altri termini, il principio non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale. Tale principio richiede tuttavia che il giudice del rinvio prenda in considerazione, se del caso, il diritto nazionale nel suo complesso per valutare in che misura quest’ultimo può ricevere un’applicazione tale da non sfociare in un risultato contrario a quello perseguito dalla decisione quadro ( 36 ).

    65.

    Da ultimo, il giudice del rinvio rileva che, interpretando la legislazione nazionale con le modalità proposte dai ricorrenti nella causa principale, si rischierebbe di violare la norma di diritto nazionale che osta all’applicazione analogica in malam partem delle disposizioni del codice penale.

    66.

    Non è solo la legislazione nazionale a vietare l’applicazione delle disposizioni di diritto penale in tal modo. Già nel 1963 la Commissione europea per i diritti dell’uomo ha deciso che procedere in tal senso costituirebbe una violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, in base alla quale, nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale ( 37 ). Un approccio analogo è stato adottato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sua giurisprudenza ( 38 ).

    67.

    Il testo dell’articolo 7, paragrafo 1, della Convenzione è formulato in termini identici a quelli della parte pertinente dell’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. A seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, con effetto dal 1o dicembre 2009, la Carta ha acquisito forza di diritto primario ( 39 ). Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, laddove essa contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla Convenzione.

    68.

    Un’applicazione analogica in malam partem delle disposizioni di diritto penale nazionale potrebbe o meno violare il diritto nazionale (non intendo esprimere un’opinione con riferimento a tale questione). Resta, tuttavia, la questione dell’applicazione di tale principio nel contesto dell’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro.

    69.

    L’articolo 9, paragrafo 1, non impone ad uno Stato membro di modificare in alcun modo il diritto penale sostanziale nazionale ( 40 ). Né tale disposizione incide sulla misura del risarcimento dovuto ad una vittima con riferimento a perdite o danni ad essa cagionati in conseguenza della commissione di un illecito; nella decisione quadro nulla lascia ritenere che l’importo di cui trattasi debba essere calcolato diversamente, a seconda che si tratti di un procedimento penale o di un procedimento civile. In quanto diretta a tutelare gli interessi delle vittime di reati, ciò che la decisione compie è anticipare il momento in cui il risarcimento di cui trattasi sarebbe versato. Si tratta di una questione procedurale; essa non incide in alcun modo sulla responsabilità penale dell’obbligato. Considerato tale presupposto, non vedo alcun fondamento sulla base del quale il principio in malam partem possa trovare applicazione nell’interpretazione da me proposta nelle presenti conclusioni dell’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro.

    Conclusione

    70.

    Ritengo pertanto che la Corte debba rispondere come segue alla questione sottopostale dal Tribunale di Firenze:

    «La regola generale sancita nella prima parte dell’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro del Consiglio 2001/220/GAI, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, deve essere interpretata nel senso che, qualora l’ordinamento giuridico di uno Stato membro preveda la possibilità di instaurare un procedimento nei confronti di persone giuridiche con riferimento ad un illecito, la circostanza che tale ordinamento possa qualificare la responsabilità rispetto a tale illecito come “indiretta e sussidiaria” e/o “amministrativa” non solleva tale Stato membro dall’obbligo di applicare le disposizioni del menzionato articolo rispetto alle persone giuridiche se 1) i criteri in base ai quali viene definito l’illecito sono sanciti mediante rinvio alle disposizioni del codice penale, 2) alla base della responsabilità di una persona giuridica vi è sostanzialmente la commissione di un illecito da parte di una persona fisica e 3) il procedimento a carico di una persona giuridica è promosso dinanzi al giudice penale, è assoggettato alle disposizioni del codice di procedura penale e, in circostanze normali, verrà riunito con il procedimento a carico della persona o persone fisiche che avrebbero commesso l’illecito di cui trattasi.

    Alla deroga a tale regola generale, sancita nella seconda parte dell’articolo 9, paragrafo 1, deve essere data interpretazione restrittiva. Essa non può essere interpretata nel senso che esclude dalla regola generale stabilita nella prima parte di tale articolo tutti i casi che coinvolgono una specifica categoria di autori del reato, come le persone giuridiche».


    ( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

    ( 2 ) Decisione quadro del Consiglio 2001/220/GAI, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (GU L 82, pag. 1; in prosieguo: la «decisione quadro»).

    ( 3 ) V. paragrafo 32 delle conclusioni della riunione del Consiglio europeo tenutasi a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999.

    ( 4 ) V. il terzo considerando della decisione quadro.

    ( 5 ) O, per riprendere l’espressione usata nell’ordinanza di rinvio, «no soul to damn, no body to kick».

    ( 6 ) All’udienza è stato confermato che nessuna delle persone giuridiche menzionate al paragrafo 19 infra rientra in tale esenzione.

    ( 7 ) Decreto legislativo del 28 luglio 1989, contenente le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale.

    ( 8 ) Questa è la tesi indicata nell’ordinanza di rinvio. Dal fascicolo del giudice nazionale risulta che, di fatto, dei reati di cui trattasi potrebbero essere imputate complessivamente sei persone e ciò si riflette nell’elenco delle parti che figurano sulla copertina delle presenti conclusioni.

    ( 9 ) V., in proposito, informazione relativa alla data di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam nella GU 1999, L 114, pag. 56.

    ( 10 ) Il 1o dicembre 2009.

    ( 11 ) Sentenza del 21 dicembre 2011 (C-507/10, Racc. pag. I-14241, punti 18-22).

    ( 12 ) Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 3, del protocollo, la disposizione transitoria di cui all’articolo 10, paragrafo 1, cessa di avere effetto cinque anni dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, vale a dire il 30 novembre 2014.

    ( 13 ) Direttiva del Consiglio 2004/80/CE, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato (GU L 261, pag. 15).

    ( 14 ) V., in proposito, sentenza del 28 giugno 2007, Dell’Orto (C-467/05, Racc. pag. I-5557, punto 57).

    ( 15 ) Ai sensi dell’articolo 74 del codice di procedura penale.

    ( 16 ) V., inoltre, paragrafo 36 infra.

    ( 17 ) V., in tal senso, fra le altre, sentenza dell’8 giugno 2006, WWF Italia e a. (C-60/05, Racc. pag. I-5083, punto 18).

    ( 18 ) V. sentenza 21 ottobre 2010, Eredics e Sápi (C-205/09, Racc. pag. I-10231, punto 38).

    ( 19 ) V., per quanto concerne la posizione in Italia, paragrafo 35 infra.

    ( 20 ) V., in tal senso, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Gueye e Salmerón Sánchez (sentenza del 15 settembre 2011, C-483/09 e C-1/10, Racc. pag. I-8263, paragrafo 39).

    ( 21 ) V. paragrafo 12 supra.

    ( 22 ) V. sentenza della Corte suprema di cassazione del 5 ottobre 2010, Cass. pen. n. 2251/11, punto 11.2.2, in cui tale Corte ha definito la perpetrazione di un reato da parte di persone fisiche un «presupposto fondamentale» per il sorgere della responsabilità a carico delle persone giuridiche che devono rispondere per la loro condotta.

    ( 23 ) La riunione non ha (evidentemente) luogo qualora siano applicabili le disposizioni dell’articolo 8 del decreto legislativo e il procedimento sia intentato esclusivamente nei confronti della persona giuridica.

    ( 24 ) V. punto 11.2.5 della sentenza di cui alla nota 22 supra.

    ( 25 ) V. paragrafo 49.

    ( 26 ) V., in tal senso, le conclusioni nella causa Gueye e Salmerón Sánchez, cit. alla nota 20 supra (paragrafi 57 e 58). Anche se detta causa si riferisce all’interpretazione dell’articolo 3 della decisione quadro, gli articoli 3 e 9 trovano entrambi espressione nel contesto di una decisione adottata al fine di garantire che le esigenze delle vittime siano prese in considerazione e trattate in maniera globale. A mio parere non c’è ragione di interpretare l’articolo 9 diversamente dall’articolo 3 sotto tale profilo.

    ( 27 ) V. paragrafo 11 supra.

    ( 28 ) V. paragrafo 34 supra.

    ( 29 ) Si è discusso a riguardo in sede di udienza della sentenza della Corte nella causa Dell’Orto, cit. alla nota 14 supra, e delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott in detta causa. Se la sentenza Dell’Orto conferma che, sia fondandosi su una lettura letterale, sia basandosi su un’interpretazione teolologica, la «vittima» può essere solo una persona fisica, da tale sentenza non è possibile desumere la corretta interpretazione di «autore del reato».

    ( 30 ) Ai sensi dell’articolo 36 del decreto legislativo. V. paragrafo 15 supra.

    ( 31 ) V. paragrafo 31 supra.

    ( 32 ) V., a tal riguardo, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott presentate nella causa Dell’Orto, cit. alla nota 14 supra (paragrafi 81 e 82).

    ( 33 ) V. relazione del gruppo «Cooperazione in materia penale» dell’11 luglio 2000, documento 10387/00 COPEN 54.

    ( 34 ) All’epoca dei fatti, la formulazione di cui trattasi si riferiva a «casi specifici». Ritengo che nulla consegua all’eliminazione della parola «specifici».

    ( 35 ) V. sentenza del 16 giugno 2005, Pupino (C-105/03, Racc. pag. I-5285, punto 43).

    ( 36 ) V., in tal senso, sentenza Pupino, cit. alla nota 35 supra (punti 44 e 47). V., inoltre, in un contesto diverso, sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (Cause riunite C-397/01 a C-403/01, Racc. pag. I-8835, punti 118 e 119).

    ( 37 ) V. sentenza X c. Austria, ricorso n. 1852/63, Yearbook 8, pagg. 190 e 198. V., inoltre, sentenza X c. Regno Unito, ricorso n. 6683/74, 3 D.R. 95.

    ( 38 ) V. Corte eur. D.U, sentenza Kokkinakis c. Grecia del 25 maggio 1993, ricorso n. 14307/88, serie A n. 260, § 51.

    ( 39 ) V. articolo 6, paragrafo 1, TUE.

    ( 40 ) V. paragrafo 34 supra.

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