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Document 62009CC0356

Conclusioni dell'avvocato generale Kokott del 16 settembre 2010.
Pensionsversicherungsanstalt contro Christine Kleist.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberster Gerichtshof - Austria.
Politica sociale - Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e lavoro - Direttiva 76/207/CEE - Art. 3, n. 1, lett. c) - Normativa nazionale che agevola il licenziamento dei lavoratori che hanno maturato il diritto alla pensione di vecchiaia - Obiettivo di promuovere l’inserimento professionale di persone più giovani - Normativa nazionale che stabilisce l’età pensionabile a 60 anni per le donne e a 65 anni per gli uomini.
Causa C-356/09.

Raccolta della Giurisprudenza 2010 I-11939

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2010:532

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 16 settembre 2010 1(1)

Causa C‑356/09

Pensionsversicherungsanstalt

contro

Dott.ssa Christine Kleist

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Gerichtshof (Austria)]

«Politica sociale – Parità di trattamento fra uomini e donne – Età pensionabile ordinaria legale diversa per gli uomini e per le donne – Soppressione della tutela speciale dal licenziamento sancita dal contratto collettivo al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria stabilita dalla legge – Licenziamento di una lavoratrice al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria stabilita dalla legge per le donne – Discriminazione fondata sul sesso in relazione alle condizioni di licenziamento – Direttiva 76/207/CEE ? Direttiva 2002/73/CE»





I –    Introduzione

1.        Il pensionamento obbligatorio di lavoratori al raggiungimento dell’età pensionabile per loro stabilita ha impegnato ripetutamente la Corte di giustizia. Sotto il profilo della normativa dell’Unione, negli ultimi anni questa problematica è stata analizzata prevalentemente nell’ottica della discriminazione in base all’età (2). Nella fattispecie, invece, l’interesse verte sulla questione della discriminazione fra lavoratori di sesso maschile e lavoratrici di sesso femminile, come già quasi 25 anni fa nelle sentenze Marshall (3) e Beets‑Proper (4).

2.        La dott.ssa Kleist, che ha svolto attività lavorativa subordinata presso il Pensionsversicherungsanstalt (organismo di assicurazione pensione) austriaco con funzione di dirigente medico, è stata oggetto di pensionamento obbligatorio da parte del proprio datore di lavoro all’età di 60 anni. Il fondamento di tale atto è costituito dalla disciplina del contratto collettivo, in base alla quale i medici possono essere collocati a riposo al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria stabilita dalla legge. Questo limite di età, secondo la normativa austriaca, è attualmente pari a 65 anni per gli uomini, mentre per le donne è pari a 60 anni.

3.        Alla Corte di giustizia viene ora chiesto di giudicare se si debba presupporre una discriminazione fondata sul sesso quando il pensionamento obbligatorio è associato, per le donne, ad un’età diversa rispetto agli uomini. Nella sentenza Marshall essa, in un caso molto simile, ha già ritenuto sussistente una discriminazione fondata sul sesso (5). Nel caso di specie si dovrà discutere in via prioritaria se ci si debba attenere a questa giurisprudenza anche qualora con il pensionamento obbligatorio si perseguano obiettivi di politica dell’occupazione.

4.        Nella specie non si pongono problemi di effetto diretto orizzontale delle direttive o dei principi giuridici generali, oggetto di controverse discussioni in tempi recenti in relazione alle sentenze Mangold (6) e Kücükdeveci (7). Si tratta piuttosto di un classico rapporto giuridico verticale in cui un organismo di previdenza sociale di diritto pubblico figura come datore di lavoro.

II – Contesto normativo

A –    Normativa dell’Unione

5.        Nel contesto normativo dell’Unione definito dalla direttiva 76/207/CEE (8) – nel frattempo abrogata –, nella versione di cui alla direttiva 2002/73/CE (9) si situa la presente causa (10).

6.        L’art. 2 della direttiva 76/207 stabiliva quanto segue, per la parte di interesse:

«1. Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio di parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.

2. Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

–        discriminazione diretta: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

–        discriminazione indiretta: situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari;

(…)

8. Gli Stati membri possono mantenere o adottare misure ai sensi dell’articolo 141, paragrafo 4, del Trattato volte ad assicurare nella pratica la piena parità tra gli uomini e le donne».

7.        L’art. 3, n. 1, della direttiva 76/207 disponeva quanto segue:

«L’applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne significa che non vi deve essere discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

(…)

c)      all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto dalla direttiva 75/117/CEE (…)

(…)».

8.        Per completare il quadro occorre citare la direttiva 79/7/CEE (11), dai cui artt. 1, 3 e 4 si evince che il principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne deve essere attuato gradualmente anche nel campo dei regimi legali pensionistici degli Stati membri. L’art. 7, n. 1, della direttiva 79/7, tuttavia, prevede, tra l’altro, la seguente deroga:

«La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di escludere dal suo campo di applicazione:

a)      la fissazione del limite di età per la concessione della pensione di vecchiaia e di fine lavoro e le conseguenze che possono derivarne per altre prestazioni;

(…)».

B –    Normativa nazionale

1.      Disposizioni legislative

9.        Nell’ambito della normativa austriaca si deve innanzi tutto citare l’art. 253, n. 1, dell’Allgemeines Sozialversicherungsgesetz (legge generale sulla previdenza sociale; in prosieguo: l’«ASVG»), che prescrive un’età pensionabile ordinaria diversa per uomini e donne (12):

«Il diritto alla pensione di vecchiaia è maturato dall’assicurato al compimento del sessantacinquesimo anno di vita (età pensionabile ordinaria) e dall’assicurata al compimento del sessantesimo anno di vita (età pensionabile ordinaria), qualora sia compiuto il periodo di attesa (art. 236)».

10.      In Austria questa età pensionabile diversa per uomini e donne è sancita anche dalla normativa costituzionale (13). A tale fine gli artt. 1‑3 del Bundesverfassungsgesetz über unterschiedliche Altersgrenzen von männlichen und weiblichen Sozialversicherten (legge costituzionale federale relativa all’età pensionabile differenziata per gli assicurati di sesso maschile e per quelli di sesso femminile) (14) stabilisce:

«Art. 1. Sono legittime le normative che prevedono limiti di età diversi per gli assicurati di sesso maschile e femminile presso il sistema previdenziale pubblico.

(…)

Art. 3. A partire dal 1° gennaio 2024 il limite di età fissato agli assicurati di sesso femminile per potere percepire la pensione di vecchiaia aumenterà di sei mesi dal 1° gennaio di ogni anno fino al 2033».

2.      Disposizioni del contratto collettivo

11.      Per la fattispecie rileva, quale disposizione del contratto collettivo, il Dienstordnung B (regolamento B, in prosieguo: il «DO.B») per i medici e gli odontoiatri impiegati presso gli organismi di previdenza sociale austriaci, nella versione di cui al 1° ottobre 2005.

12.      Secondo questa disposizione del contratto collettivo, i medici impiegati presso gli organismi di previdenza sociale austriaci ottengono, dopo un determinato periodo alle dipendenze dell’organismo, una tutela speciale dal licenziamento che si caratterizza per il fatto che il diritto ordinario di licenziare di cui dispone il datore di lavoro è praticamente escluso. A questo proposito si ricorre anche alla nozione di «non licenziabilità». La suddetta tutela speciale dal licenziamento, tuttavia, opera solo fino al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria. Al datore di lavoro è riservato il diritto di collocare a riposo il lavoratore non appena questi raggiunga l’età pensionabile ordinaria.

13.      Il suddetto pensionamento è disciplinato dall’art. 134, nn. 2 e 4, del DO.B (15) nel seguente modo:

«2.      I medici non licenziabili hanno diritto ad essere collocati a riposo quando

(...)

(2) sussiste un diritto alla pensione di vecchiaia ai sensi dell’art. 253 dell’ASVG.

(…)

4.      Il consiglio di amministrazione può collocare a riposo un medico non licenziabile quando quest’ultimo

(1) possiede i requisiti di cui al secondo comma, [nn.] 1, 2 o 4 (…)».

14.      Ai fini della fattispecie rileva inoltre la circostanza che il DO.B prevede un regime pensionistico stabilito dal contratto collettivo, le cui prestazioni sono concepite come prestazioni supplementari, come si evince dall’art. 89, n. 1, del DO.B:

«Le prestazioni dell’assicurazione pensionistica pubblica devono essere detratte (…) dalle corrispondenti prestazioni spettanti secondo le disposizioni della presente disciplina pensionistica».

Le prestazioni supplementari a norma del DO.B, tuttavia, superano talvolta in modo ingente la prestazione pensionistica (pubblica) calcolata secondo il regime previdenziale ai sensi dell’ASVG.

III – Fatti e causa principale

15.      La dott.ssa Christine Kleist, nata l’11 febbraio 1948, lavorava alle dipendenze del Pensionsversicherungsanstalt, un organismo di previdenza sociale austriaco, dal 7 gennaio 1985, svolgendo da ultimo la funzione di dirigente medico.

16.      Nel 2005 il Pensionsversicherungsanstalt ha deciso di licenziare tutti i collaboratori e le collaboratrici in possesso dei requisiti per il collocamento a riposo previsti dal pertinente contratto collettivo.

17.      La dott.ssa Kleist non aveva intenzione di andare in pensione al compimento del sessantesimo anno di età. Ella lo ha comunicato al Pensionsversicherungsanstalt con nota 9 gennaio 2007, chiedendo altresì di continuare a lavorare fino a sessantacinque anni. Ciononostante, il Pensionsversicherungsanstalt ha risolto il rapporto di lavoro della dott.ssa Kleist con nota 6 dicembre 2007 e l’ha collocata a riposo a partire dal 1° luglio 2008.

18.      Prima di tale collocamento a riposo la dott.ssa Kleist aveva percepito emolumenti mensili netti pari a EUR 4 032,39. Secondo il DO.B la sua pensione netta ammontava, al momento del collocamento a riposo, a EUR 3 890,62 netti. Qualora fosse andata in pensione non prima del 1° marzo 2013, vale a dire al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria di 65 anni valida per gli uomini, avrebbe percepito, secondo le informazioni del giudice a quo, una pensione mensile netta di EUR 4 829,85.

19.      Il collocamento a riposo da parte del Pensionsversicherungsanstalt non impedisce alla dott.ssa Kleist di continuare a svolgere un’attività professionale e di lavorare come professionista autonoma o come dipendente. Secondo quanto affermato dal giudice a quo, anche nel caso in cui proseguisse a lavorare, potrebbe continuare a percepire la sua pensione legale ai sensi dell’ASVG (16).

20.      Nel circondario («Sprengel») in cui la dott.ssa Kleist lavorava come dirigente medico per il Pensionsversicherungsanstalt, secondo le indicazioni del giudice a quo, sono registrati 23 medici in attesa di occupazione, ma si stima che il numero effettivo potrebbe essere pari al triplo.

21.      La dott.ssa Kleist ha impugnato il proprio licenziamento dinanzi al Landesgericht Innsbruck (Tribunale di Innsbruck), dove è risultata soccombente in primo grado (17). A seguito del suo appello, la controversia è proseguita dinanzi all’Oberlandesgericht Innsbruck (Corte di appello di Innsbruck), che ha modificato la sentenza di primo grado e ha accolto la domanda della dott.ssa Kleist (18). Il giudizio pende ora dinanzi all’Oberster Gerichtshof (Corte suprema di cassazione austriaca), il giudice a quo, presso cui il Pensionsversicherungsanstalt ha presentato ricorso per cassazione (Revision).

IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

22.      Con ordinanza 4 agosto 2009, depositata presso la cancelleria della Corte il 4 settembre 2009, il giudice a quo ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207/CEE, nella versione di cui alla direttiva 2002/73/CE, debba essere interpretato nel senso che — nel contesto di un regime di diritto del lavoro in cui la tutela generale dal licenziamento dei lavoratori è improntata alla dipendenza sociale (finanziaria) di questi ultimi dal posto di lavoro — esso osta alla disposizione di un contratto collettivo che prevede, oltre alla tutela generale dal licenziamento sancita dalla legge, una tutela speciale solo fino al momento in cui solitamente viene fornita una garanzia sociale (finanziaria) mediante il diritto ad una pensione di vecchiaia, qualora quest’ultima maturi in tempi diversi per gli uomini e per le donne.

2)      Se l’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207/CEE, nella versione di cui alla direttiva 2002/73/CE osti, nel contesto del descritto regime di diritto del lavoro, alla decisione di un datore di lavoro pubblico di licenziare una lavoratrice pochi mesi dopo il momento in cui ella acquisisca la garanzia del diritto ad una pensione di vecchiaia, allo scopo di assumere nuovi lavoratori pronti ad inserirsi nel mercato del lavoro».

23.      Nel procedimento dinanzi alla Corte hanno presentato osservazioni orali e scritte il Pensionsversicherungsanstalt, la dott.ssa Kleist e la Commissione europea.

V –    Valutazione

24.      La domanda di pronuncia pregiudiziale dell’Oberster Gerichtshof comprende due questioni, di cui la prima si riferisce alla riduzione della tutela dal licenziamento sancita dal contratto collettivo al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria, mentre la seconda riguarda il licenziamento di una lavoratrice in rapporto diretto con il raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria di quest’ultima.

25.      Sotto il profilo della normativa dell’Unione entrambe le questioni pregiudiziali sollevano sostanzialmente il medesimo problema giuridico: occorre accertare se una lavoratrice possa essere licenziata e collocata obbligatoriamente a riposo dal proprio datore di lavoro per ragioni di politica dell’occupazione non appena raggiunga l’età pensionabile ordinaria stabilita dalla legge, laddove quest’ultima sia diversa per gli uomini e per le donne. Suggerisco pertanto di affrontare entrambe le questioni insieme, come peraltro è stato fatto anche nell’ordinanza di rinvio e nella maggior parte delle osservazioni presentate dalle parti.

26.      A questo riguardo, la verifica non concerne la disciplina normativa e costituzionale circa l’età pensionabile ordinaria in Austria in quanto tale, bensì solo il riferimento a tale età pensionabile ordinaria nella politica pensionistica del datore di lavoro convenuto.

27.      Nella specie, il parametro di verifica è solo la direttiva 76/207, nella versione di cui alla direttiva 2002/73. Si potrebbe, nel presente caso, come sollevato dalla dott.ssa Kleist, fare riferimento al divieto di discriminazione fondata sull’età ai sensi della direttiva 2000/78 (19), ma ciò non aiuterebbe la soluzione della controversia. Infatti, da un lato, la Corte ha già chiarito che un collocamento a riposo obbligatorio al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria stabilita dalla legge può essere giustificato da finalità di politica del lavoro (20). A ciò consegue che non vi è discriminazione fondata sull’età. Dall’altro lato, in base alle informazioni in nostro possesso, la dott.ssa Kleist non si oppone al proprio pensionamento di per sé, bensì piuttosto al fatto che il proprio pensionamento obbligatorio avvenga prima di quanto si verificherebbe per i colleghi di sesso maschile (21). La problematica giuridica della presente fattispecie, pertanto, risiede nella differenza di trattamento in ragione del sesso.

A –    Applicabilità della direttiva 76/207

28.      Il principio della parità di trattamento fra uomini e donne trova applicazione, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207, nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, e, segnatamente, all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento.

29.      In quanto dirigente medico alle dipendenze di un organismo previdenziale austriaco, la dott.ssa Kleist era una lavoratrice «nel settore pubblico», ossia presso un «ente di diritto pubblico» e, pertanto, ai sensi della prima parte della frase introduttiva di cui all’art. 3, n. 1, della direttiva 76/207, rientrava nel campo d’applicazione ratione personae del principio di parità di trattamento.

30.      La nozione di condizioni di licenziamento nell’accezione della direttiva 76/207 va intesa in senso ampio (22). La possibilità che una lavoratrice quale la dott.ssa Kleist sia collocata obbligatoriamente a riposo al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria valida per le donne nel contesto della politica generale di pensionamento del proprio datore di lavoro è una questione relativa alle condizioni di licenziamento (23). Pertanto, anche il campo d’applicazione ratione materiae del principio di parità di trattamento di cui all’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207 è parimenti rilevante.

B –    Disparità di trattamento in ragione del sesso

31.      L’art. 3, n. 1, lett. c), in combinato disposto con l’art. 2, n. 1, della direttiva 76/207, sancisce, relativamente alle condizioni di licenziamento, il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente.

32.      Sussiste una discriminazione diretta qualora una persona sia trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga (art. 2, n. 2, primo trattino, della direttiva 76/207); la disparità di trattamento su cui essa si fonda è dunque direttamente collegata al sesso. Al contrario, si deve assumere solamente una discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio persone di un determinato sesso rispetto a persone dell’altro sesso (art. 2, n. 2, secondo trattino, della direttiva 76/207).

33.      La distinzione fra discriminazione diretta e indiretta è importante sotto il profilo giuridico soprattutto in quanto le possibilità di giustificazione divergono a seconda che la disparità di trattamento su cui essa si fonda sia collegata al sesso direttamente o indirettamente. Le possibilità di giustificare una discriminazione indiretta fondata sul sesso sono formulate in termini molto generali nell’art. 2, n. 2, secondo trattino, della direttiva 76/207 («oggettivamente giustificati da una finalità legittima»), mentre una disparità di trattamento diretta basata sul sesso può essere giustificata unicamente da esigenze particolari, specifiche di un sesso – ad esempio per quanto riguarda la gravidanza e la maternità (art. 2, n. 7, della direttiva 76/207) – oppure al fine di promuovere il sesso sottorappresentato (art. 2, n. 8, della direttiva 76/207, in combinato disposto con l’art. 141, n. 4, CE, attualmente art. 157, n. 4, TFUE).

34.      A prima vista sembra che la norma controversa nella specie sia neutrale rispetto ai sessi: l’art. 134, n. 4, punto 1, del DO.B consente all’organismo previdenziale di collocare a riposo i propri dipendenti «non licenziabili» al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria stabilita dalla legge. Ad un’analisi più attenta, tuttavia, risulta che il criterio dell’età pensionabile ordinaria è legato indissolubilmente al sesso, visto che il legislatore austriaco ha stabilito, all’art. 253, n. 1, dell’ASVG, limiti di età distinti per uomini e donne. L’interazione fra l’art. 134, n. 4, punto 1 del DO.B e l’art. 253, n. 1, dell’ASVG comporta una normativa in base alla quale le donne possono essere collocate a riposo a partire dal sessantesimo anno e gli uomini a partire dal sessantacinquesimo anno di età. In conclusione, la normativa pensionistica in oggetto è legata direttamente al sesso e fa sì che le donne possano perdere il proprio posto di lavoro cinque anni prima rispetto agli uomini (24).

35.      Si deve ovviamente supporre una disparità di trattamento diretta fondata sul sesso solo qualora donne e uomini versino in situazioni identiche o comparabili (25). Qualora, invece, le lavoratrici sessantenni versino da un punto di vista oggettivo in una situazione diversa rispetto ai propri colleghi coetanei di sesso maschile, una disparità di trattamento dei due gruppi di persone sarebbe lecita e persino necessaria.

36.      Gli elementi che caratterizzano situazioni diverse nonché la comparabilità di queste ultime devono, in particolare, essere determinati e valutati alla luce dell’oggetto e dello scopo della normativa che stabilisce la distinzione di cui trattasi. Devono, inoltre, essere presi in considerazione i principi e gli obiettivi del settore cui si riferisce la normativa in parola (26).

37.      Come si evince dagli atti, il pensionamento obbligatorio di cui all’art. 134, n. 4, del DO.B è finalizzato soprattutto a liberare posti per lavoratori più giovani già «pronti ad inserirsi» nel mercato del lavoro. Con il pensionamento obbligatorio, pertanto, si persegue anche un obiettivo di politica dell’occupazione.

38.      Il giudice a quo e il Pensionsversicherungsanstalt evidenziano che, con riferimento ad un siffatto obiettivo di politica dell’occupazione, la situazione delle lavoratrici come la dott.ssa Kleist, che ha compiuto sessant’anni, non è paragonabile a quella di colleghi coetanei di sesso maschile. Diversamente dai lavoratori di sesso maschile, infatti, le lavoratrici di sesso femminile hanno già raggiunto l’età pensionabile ordinaria stabilita dalla legge in questo momento e, pertanto, all’atto di perdere il proprio posto di lavoro disporrebbero di una garanzia sociale in quanto titolari di un regolare diritto alla pensione.

39.      A prima vista potrebbe apparire allettante aderire a questa argomentazione e ravvisare nella mera esistenza di un diritto alla pensione la differenza oggettiva decisiva che esclude la comparabilità dei lavoratori di sesso maschile e femminile.

40.      È persino possibile rinvenire cause in cui la Corte di giustizia sembra fare propria una siffatta ottica. Così, ad esempio nelle sentenze Burton (27), Birds Eye Walls (28) e Hlozek (29), è stato giudicato legittimo il collegamento di determinate prestazioni sociali erogate dai datori di lavoro all’età pensionabile diversa per uomini e donne.

41.      Mi sembra tuttavia che si tratti, a questo riguardo, di casi rimasti isolati. Tali sentenze non possono essere assolutamente generalizzate. Così, ad esempio, i sussidi di transizione nelle cause Burton e Birds Eye Walls svolgevano la funzione di compensare la perdita di spettanze dei lavoratori che avevano fruito di un pensionamento anticipato per motivi legati all’azienda o di salute (30). Con il sussidio di transizione nel caso Hlozek si perseguiva in modo particolare lo scopo di mitigare finanziariamente lo specifico rischio della disoccupazione di lunga durata che, come dimostravano le statistiche, colpiva uomini e donne in un’età differente ed era particolarmente elevato quanto più i lavoratori si avvicinavano all’età pensionabile legale (31). A quanto risulta dagli atti, tuttavia, nella specie non esistono elementi indicativi della sussistenza di siffatti rischi specifici.

42.      Tuttavia, prescindendo completamente dalle peculiarità delle rispettive fattispecie, riterrei sbagliato anche sulla base di considerazioni di principio permettere ai datori di lavoro una differenziazione fra lavoratori e lavoratrici a seconda dell’età pensionabile legale rispettivamente applicabile. Un siffatto modus operandi, infatti, avrebbe come conseguenza che le differenze ancora esistenti fra uomo e donna quanto ad età pensionabile legale ordinaria si estenderebbero ad altri campi, in questo caso a quello delle condizioni di licenziamento. La generalizzazione delle differenze nel campo dei regimi legali di previdenza sociale, tuttavia, sarebbe contraria ad una giurisprudenza costante della Corte, secondo cui l’eccezione ancora esistente al principio della parità di trattamento relativa all’età pensionabile nei regimi di previdenza sociale [art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 79/7] deve essere interpreta restrittivamente (32).

43.      In un sistema che preveda una diversa età pensionabile ordinaria per uomini e donne (33), la mera esistenza di un diritto alla pensione a 60 anni non può costituire un motivo oggettivo di differenziazione fra lavoratori di sesso femminile e maschile. Piuttosto, l’esistenza o l’assenza di un diritto alla pensione in un’età compresa fra i 60 e i 64 anni è indissolubilmente connessa al sesso del rispettivo lavoratore: solo perché di sesso femminile, le lavoratrici in Austria raggiungono l’età pensionabile ordinaria al compimento del sessantesimo anno di età, secondo la vigente normativa nazionale, e hanno diritto alla pensione. Tale diritto, quindi, non è un elemento obiettivo, indipendente dal sesso, in base al quale si possa distinguere il gruppo delle lavoratrici di sesso femminile da quello dei loro colleghi di sesso maschile.

44.      Nel complesso, pertanto, si verifica una disparità di trattamento basata direttamente sul sesso allorquando, per ragioni di politica dell’occupazione, lavoratrici di sesso femminile possono essere collocate obbligatoriamente a riposo cinque anni prima rispetto ai propri colleghi di sesso maschile.

C –    Assenza di giustificazione della disparità di trattamento

45.      Resta dunque da verificare se una siffatta disparità di trattamento fondata direttamente sul sesso possa essere giustificata.

1.      Politica dell’occupazione

46.      Come già affermato, il pensionamento obbligatorio di cui all’art. 134, n. 4, del DO.B è finalizzato soprattutto a liberare posti per lavoratori più giovani già «pronti ad inserirsi» nel mercato del lavoro e, pertanto, persegue un obiettivo di politica dell’occupazione.

47.      Siffatte considerazioni di politica dell’occupazione collegate ad una disparità di trattamento indiretta fondata sul sesso potrebbero rappresentare una giustificazione oggettiva ed escludere l’esistenza di una discriminazione. Le possibilità di giustificazione delle disparità di trattamento indirette, infatti, sono formulate in termini estremamente generali a norma dell’art. 2, n. 2, secondo trattino, della direttiva 76/207 («oggettivamente giustificati da una finalità legittima»).

48.      Come già discusso (34), tuttavia, nella causa principale vi è una disparità di trattamento diretta basata sul sesso. Per questo caso la direttiva 76/207 non prevede alcuna giustificazione di politica dell’occupazione. Su questo punto vi è una differenza fondamentale fra il primo e il secondo trattino dell’art. 2, n. 2, della direttiva 76/207 (35).

49.      Sotto questo profilo, la situazione giuridica è anche sostanzialmente differente da quella relativa al divieto di discriminazione fondata sull’età, ove, ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78, differenze di trattamento dirette in ragione dell’età sono giustificabili da motivi di politica del lavoro (36). Questa differenza rispetto alla direttiva 2000/78 è tanto più evidente in quanto il legislatore dell’Unione, nel modernizzare la direttiva 76/207, si è altrimenti attenuto strettamente alle normative elaborate poco prima in materia di discriminazione fondata sull’età, soprattutto per quanto attiene alla definizione di discriminazione diretta e indiretta (37).

50.      Le suddette differenze nelle giustificazioni fra disparità di trattamento diretta e indiretta fondata sul sesso, da un lato, e disparità di trattamento fondata sul sesso e fondata sull’età, dall’altro, non sono casuali. Sebbene collocare obbligatoriamente a riposo lavoratori più anziani che hanno già raggiunto l’età pensionabile ordinaria prevista per loro e che sono protetti socialmente da un adeguato diritto alla pensione (38) possa costituire una finalità legittima di politica del lavoro, tale finalità non può tuttavia essere conseguita a spese dei lavoratori di un determinato sesso.

51.      Proprio questo è ciò che si verifica quando, per motivi di politica dell’occupazione, si impone alle lavoratrici di lasciar libero il proprio posto di lavoro cinque anni prima di quanto non debbano farlo i propri colleghi di sesso maschile. In questo caso, infatti, le donne, solo perché per loro la legge stabilisce un’età pensionabile ordinaria inferiore, sono molto più coinvolte nella realizzazione degli obiettivi di politica dell’occupazione rispetto agli uomini. Esse subiscono una limitazione molto maggiore, rispetto ai colleghi maschi, del proprio diritto di lavorare e di esercitare una professione (art. 15, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (39)).

52.      È possibile che una lavoratrice benefici più a lungo della pensione di anzianità rispetto ad un collega di sesso maschile in virtù di un collocamento a riposo anticipato e forse anche della sua più elevata aspettativa di vita. In udienza il Pensionversicherungsanstalt ha fatto riferimento a tali considerazioni dinanzi alla Corte producendo numerosi esempi. La semplice constatazione di una maggiore futura durata della pensione non sembra però, come anche correttamente rilevato dalla Commissione, essere sufficiente. Si dovrebbero piuttosto considerare gli effetti dei diversi momenti di collocamento in pensione per lavoratori di sesso maschile e femminile sui rispettivi redditi: gli uomini possono continuare a percepire lo stipendio legato alla loro attività per 5 anni in più rispetto alle donne e riceveranno una pensione mensile maggiore in virtù del periodo di attività più lungo.

53.      Si evince altresì dall’ordinanza di rinvio che al pensionamento obbligatorio a sessant’anni per una lavoratrice come la dott.ssa Kleist sono collegate ingenti perdite finanziarie. La dott.ssa Kleist, infatti, se avesse proseguito il proprio rapporto lavorativo fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età, avrebbe continuato a percepire per altri cinque anni lo stipendio per il servizio attivo. In base a ciò, a sessantacinque anni avrebbe potuto rivendicare una pensione mensile netta superiore del 24,1 % ai sensi del DO.B rispetto al proprio pensionamento a sessant’anni (40); nominalmente la differenza rispetto alla sua pensione attuale ammonterebbe a più di EUR 900 netti al mese.

54.      Una normativa che comporti conseguenze professionali (41) e finanziarie (42) così pesanti specialmente per gli individui di uno dei due sessi non è conforme alla fondamentale importanza del principio della parità di trattamento degli uomini e delle donne (43) (v. anche artt. 3, n. 3, secondo comma, TUE (44), 10 TFUE (45), nonché artt. 21, n. 1, e 23, n. 2, della Carta dei diritti fondamentali).

55.      In questo contesto, una politica di pensionamento obbligatorio come quella controversa nella specie, in base alla quale una donna perde di norma il proprio posto di lavoro cinque anni prima di un uomo, non è giustificabile per motivi di politica dell’occupazione.

2.      Altro

56.      In prosieguo affronterò brevemente alcuni degli altri argomenti dedotti soprattutto dal Pensionsversicherungsanstalt.

a)      Promozione della condizione femminile

57.      Il Pensionsversicherungsanstalt allude al fatto che la propria politica di pensionamento obbligatorio al raggiungimento dell’età pensionabile gioverebbe in particolare alla promozione delle giovani professioniste. Esso sembra alludere alla giustificazione speciale di cui all’art. 2, n. 8, della direttiva 76/207, in combinato disposto con l’art. 141, n. 4, CE (attualmente art. 157, n. 4, TFUE), applicabile alle differenze di trattamento dirette fondate sul sesso.

58.      I requisiti di cui all’art. 2, n. 8, della direttiva 76/207, tuttavia, non sono soddisfatti. Non può considerarsi una misura idonea finalizzata a facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte del sesso sottorappresentato, obbligare una donna a lasciare il proprio posto di lavoro per altre donne. Ciò è tanto più vero laddove, in un caso come quello di specie, una lavoratrice in posizione dirigenziale perda il proprio posto di lavoro a beneficio di professioniste all’inizio della carriera, che per forza di cose non possono essere impiegate allo stesso livello nella gerarchia interna dell’azienda. Non è peraltro scontato che, fra la cerchia dei giovani professionisti disponibili, venga scelta realmente una donna e che il posto che sta per essere liberato sarà realmente occupato da una donna.

b)      Divieto di cumulo delle prestazioni legali pensionistiche con il reddito da lavoro

59.      Il Pensionsversicherungsanstalt sostiene inoltre che il pensionamento delle donne sessantenni sarebbe necessario per impedire che esse percepiscano, oltre al reddito da lavoro, una pensione legale a norma dell’ASVG. I lavoratori hanno palesemente diritto a tale pensione non appena raggiungono l’età pensionabile ordinaria stabilita dalla legge, indipendentemente dal fatto che vadano effettivamente in pensione o che continuino a lavorare.

60.      Anche questo argomento deve essere tuttavia respinto. Secondo una costante giurisprudenza, una differenza di trattamento fondata sul sesso non può essere giustificata con riferimento a considerazioni di bilancio (46).

61.      Solo a beneficio di completezza si osservi che con il pensionamento obbligatorio di una donna non si può affatto impedire efficacemente il temuto cumulo di prestazioni pensionistiche e di reddito attivo da lavoro. Come si evince dagli atti, infatti, anche dopo il raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria stabilita dalla legge la lavoratrice licenziata è libera di iniziare un nuovo rapporto di lavoro o di svolgere un’attività professionale autonoma e, in aggiunta, percepire la propria pensione di vecchiaia.

62.      A prescindere da ciò, un modo meno incisivo e allo stesso tempo più efficace per evitare un cumulo di prestazioni pensionistiche legali e reddito da lavoro consisterebbe nel sospendere il pagamento della pensione di vecchiaia stabilita dalla legge fintanto che l’assicurato – indipendentemente dal sesso – continui a lavorare. In alternativa, si potrebbe anche detrarre dalla pensione stabilita dalla legge il reddito da lavoro di un assicurato che continui a svolgere una professione.

63.      Una politica di pensionamento in base alla quale i lavoratori di un determinato sesso perdono il proprio posto di lavoro cinque anni prima rispetto a quelli dell’altro sesso non è, per tale motivo, uno strumento idoneo né necessario per affrontare il problema del cumulo di prestazioni pensionistiche legali e reddito da lavoro. Questo problema, infine, deve essere risolto nel contesto del sistema pensionistico legale.

VI – Conclusione

64.      Sulla base delle considerazioni sopra svolte, propongo alla Corte di risolvere entrambe le questioni pregiudiziali sottoposte dall’Oberster Gerichtshof austriaco come segue:

L’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207/CEE, nella versione di cui alla direttiva 2002/73/CE, osta a che, per finalità di politica dell’occupazione, lavoratrici di sesso femminile siano collocate obbligatoriamente a riposo al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria stabilita dalla legge, qualora tale età pensionabile sia inferiore di cinque anni rispetto a quella stabilita per i lavoratori di sesso maschile.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – Sentenze 16 ottobre 2007, causa C‑411/05, Palacios de la Villa (Racc. pag. I‑8531), e 5 marzo 2009, causa C‑388/07, Age Concern England (Racc. pag. I‑1569); v. anche le conclusioni presentate dall’avvocato generale Trstenjak il 28 aprile 2010 nella causa pendente C‑45/09, Rosenbladt (non ancora pubblicate nella Raccolta).


3 – Sentenza 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall (Racc. pag. 723).


4 – Sentenza 26 febbraio 1986, causa 262/84, Beets‑Proper (Racc. pag. 773).


5 – Sentenza Marshall (cit. alla nota 3, punto 38).


6 – Sentenza 22 novembre 2005, causa C‑144/04, Mangold (Racc. pag. I‑9981).


7 – Sentenza 19 gennaio 2010, causa C‑555/07, Kücükdeveci (Racc. pag. I‑365).


8 – Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40).


9 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE, che modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 269, pag. 15).


10 – La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 luglio 2006, 2006/54/CE, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23), pur essendo entrata in vigore già il 15 agosto 2006, ha tuttavia abrogato la direttiva 76/207 solo con effetto dal 15 agosto 2009. I fatti di cui alla causa principale rientrano ancora ratione temporis nel campo d’applicazione della direttiva 76/207, nella versione di cui alla direttiva 2002/73.


11 – Direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24).


12 – Ai sensi dell’art. 270 dell’ASVG questa norma si applica sia agli operai sia agli impiegati.


13 – La normativa costituzionale è stata introdotta a seguito di una sentenza della Corte costituzionale austriaca che aveva censurato limiti di età differenti per uomini e donne in quanto contrari al principio di uguaglianza (Verfassungsgerichtshof, pronuncia 6 dicembre 1990, VfSlg. 12.568/1990).


14 – BGBl. I 1982/832.


15 – Ai sensi dell’art. 134, n. 1, del DO.B le citate disposizioni sono applicabili successivamente al 30 settembre 2000 a «medici iscritti da ultimo presso un organismo di previdenza sociale austriaco prima del 1996».


16 – In questo contesto il giudice nazionale fa riferimento ad una pronuncia della Corte costituzionale austriaca (VfSlg. 12.592/1990).


17 – Sentenza del Landesgericht Innsbruck, in funzione di giudice del lavoro e della previdenza sociale, 14 marzo 2008.


18 – Sentenza dell’Oberlandesgericht Innsbruck, in funzione di giudice d’appello in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale, 22 agosto 2008.


19 – Direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16).


20 Sentenza Palacios de la Villa (cit. alla nota 2, in particolare punto 77).


21 – La dott.ssa Kleist aveva chiesto al proprio datore di lavoro di rimanere in servizio attivo fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età, ossia sino al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria applicabile agli uomini (v. paragrafo 17 delle presenti conclusioni).


22 – Sentenza 16 febbraio 1982, causa 19/81, Burton (Racc. pag. 555, punto 9).


23 – La Corte di giustizia ha già proceduto a tale constatazione nelle sentenze Marshall (cit. alla nota 3, punti 32‑34) e Beets‑Proper (cit. alla nota 4, punto 36) in relazione all’art. 5 della direttiva 76/207, nella sua versione originale. La suddetta norma conteneva una disposizione che ha preceduto la disposizione di cui all’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207, nella versione di cui alla direttiva 2002/73, di rilievo per la specie.


24 – Analogamente, la Corte ha deciso che sussiste una discriminazione diretta – e non invece solo indiretta – basata sul sesso, qualora le misure adottate da un datore di lavoro si ricolleghino alla sussistenza o meno di una gravidanza. Una gravidanza, infatti, è legata indissolubilmente al sesso di una lavoratrice. V. sentenze 8 novembre 1990, causa C‑177/88, Dekker (Racc. pag. I‑3941, punti 12 e 17), e causa C‑179/88, Handels‑ og Kontorfunktionærernes Forbund (Racc. pag. I‑3979, punto 13), nonché sentenze 27 febbraio 2003, causa C‑320/01, Busch (Racc. pag. I‑2041, punto 39), e 20 settembre 2007, causa C‑116/06, Kiiski (Racc. pag. I‑7643, punto 55). In merito ad una problematica simile nel contesto della discriminazione fondata sull’età, v. le conclusioni da me presentate il 6 maggio 2010 nella causa C‑499/08, Andersen (non ancora pubblicate nella Raccolta, paragrafi 32‑38).


25 – In tal senso, sentenze 9 novembre 1993, causa C‑132/92, Roberts («Birds Eye Walls», Racc. pag. I‑5579, punto 17); 14 settembre 1999, causa C‑249/97, Gruber (Racc. pag. I‑5295, punto 27); 8 giugno 2004, causa C‑220/02, Österreichischer Gewerkschaftsbund (Racc. pag. I‑5907, punto 59), e 9 dicembre 2004, causa C‑19/02, Hlozek (Racc. pag. I‑11491, punto 44).


26 – Sentenza 16 dicembre 2008, causa C‑127/07, Arcelor Atlantique et Lorraine e a. («Arcelor», Racc. pag. I‑9895, punto 26).


27 – Sentenza cit. alla nota 22.


28 – Sentenza cit. alla nota 25.


29 – Sentenza cit. alla nota 25.


30 – Sentenze Burton (cit. alla nota 22, soprattutto punti 3, 12 e 15) e Birds Eye Walls (cit. alla nota 25, soprattutto punti 3 e 4 nonché 18‑23).


31 – Sentenza Hlozek (cit. alla nota 25, soprattutto punti 28 e 29, nonché 45‑48).


32 – Sentenze Marshall (cit. alla nota 3, punto 36); Beets‑Proper (cit. alla nota 4, punto 38); 30 marzo 1993, causa C‑328/91, Thomas e a. (Racc. pag. I‑1247, punto 8); 4 marzo 2004, causa C‑303/02, Haackert (Racc. pag. I‑2195, punto 26), nonché 27 aprile 2006, causa C‑423/04, Richards (Racc. pag. I‑3585, punto 36).


33 – Ai sensi dell’art. 253, n. 1, dell’ASVG per le donne vige in Austria un’età pensionabile ordinaria pari a sessant’anni, mentre per gli uomini essa è pari a sessantacinque anni.


34 – V. in proposito supra, paragrafi 31‑44 delle presenti conclusioni.


35 – Anche nella giurisprudenza della Corte sull’art. 141 CE (ex art. 119 del Trattato CEE, attualmente art. 157 TFUE) e sulla direttiva 76/207 sono state sinora riconosciute considerazioni di politica dell’occupazione o di politica sociale, a quanto è dato capire, solo nel contesto di disparità di trattamento indirette, ma non in relazione a disparità di trattamento dirette in ragione del sesso; v. sentenze 9 febbraio 1999, causa C‑167/97, Seymour‑Smith e Perez (Racc. pag. I‑623, punto 71); 6 aprile 2000, causa C‑226/98, Jørgensen (Racc. pag. I‑2447, punto 41); 26 settembre 2000, causa C‑322/98, Kachelmann (Racc. pag. I‑7505, punto 30), nonché 20 marzo 2003, causa C‑187/00, Kutz‑Bauer (Racc. pag. I‑2741, punti 55 e 56).


36 – Sentenze Age Concern England (cit. alla nota 2, punti 46, prima frase, 49 e 52); 18 giugno 2009, causa C‑88/08, Hütter (Racc. pag. I‑5325, punto 41), e Kücükdeveci (cit. alla nota 7, punto 33); v. anche le conclusioni da me presentate nella causa Andersen (cit. alla nota 24, soprattutto paragrafi 31 e 41).


37 – Sesto ‘considerando’ della direttiva 2002/73.


38 – Così, in relazione alla discriminazione fondata sull’età, sentenza Palacios de la Villa (cit. alla nota 2, soprattutto punto 73); v. anche le conclusioni da me presentate nella causa Andersen (cit. alla nota 24, paragrafo 71).


39 La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata solennemente proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza (GU C 364, pag. 1) e, successivamente, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo (GU C 303, pag. 1). Nel momento in cui la dott.ssa Kleist è stata collocata a riposo la Carta di per sé non produceva ancora effetti giuridici vincolanti analoghi a quelli del diritto primario, ma, in quanto fonte di riconoscimento giuridico, già allora apriva uno spiraglio sui diritti fondamentali garantiti dall’Unione (v. sentenza 27 giugno 2006, causa 540/03, Parlamento/Consiglio, «Ricongiungimento familiare», Racc. pag. I-5769, punto 38, nonché paragrafo 108 delle conclusioni da me presentate in detta causa, e successiva sentenza 13 marzo 2007, causa C-432/05, Unibet, Racc. pag. I-2271, punto 37).


40 – Come afferma il giudice a quo, la dott.ssa Kleist percepirebbe una pensione mensile netta pari a EUR 4 829,85 qualora andasse in pensione solo il 1° marzo 2013, ovvero al compimento dell’età pensionabile ordinaria per gli uomini pari a 65 anni. Al momento del suo pensionamento effettivo a 60 anni la sua pensione mensile ammontava invece a EUR 3 890,62 netti.


41 – V., a tale proposito, supra, paragrafo 51 delle presenti conclusioni.


42 – V., a tale proposito, supra, paragrafi 52 e 53 delle presenti conclusioni.


43 – Sentenze Marshall (cit. alla nota 3, punto 36); Beets‑Proper (cit. alla nota 4, punto 38); 24 febbraio 1994, causa C‑343/92, Roks e a. (Racc. pag. I‑571, punto 36); Jørgensen (cit. alla nota 35, punto 39); Kutz‑Bauer (cit. alla nota 35, punto 60), nonché 23 ottobre 2003, cause riunite C‑4/02 e C‑5/02, Schönheit e Becker (Racc. pag. I‑12575, punto 85).


44 – Ex art. 2 CE.


45 – Ex art. 3, n. 2, CE.


46 – Sentenze Roks e a. (cit. alla nota 43, punto 35); Jørgensen (cit. alla nota 35, punto 39); Kutz‑Bauer (cit. alla nota 35, punti 59 e 60); Schönheit e Becker (cit. alla nota 43, punto 85), nonché 10 marzo 2005, causa C‑196/02, Nikoloudi (Racc. pag. I‑1789, punto 53); nel medesimo senso – con riferimento alla discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo parziale – sentenza 22 aprile 2010, causa C‑486/08, Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols (Racc. pag. I‑3527, punto 46).

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