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Document 62009CC0316

Conclusioni dell'avvocato generale Trstenjak del 24 novembre 2010.
MSD Sharp & Dohme GmbH contro Merckle GmbH.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Bundesgerichtshof - Germania.
Medicinali per uso umano - Direttiva 2001/83/CE - Divieto di pubblicità presso il pubblico di medicinali che possono essere forniti solo su prescrizione medica - Nozione di "pubblicità" - Informazioni comunicate all’autorità competente - Informazioni accessibili su Internet.
Causa C-316/09.

Raccolta della Giurisprudenza 2011 I-03249

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2010:712

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

VERICA TRSTENJAK

presentate il 24 novembre 2010 (1)

      Causa C‑316/09      

MSD Sharp & Dohme GmbH

contro

Merckle GmbH

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Germania)]

«Art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83/CE – Medicinali per uso umano – Divieto di pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione medica – Nozione di pubblicità – Criteri per individuare l’intento promozionale di una pubblicazione in materia di medicinali su Internet»





 Introduzione

1.        La presente causa verte su una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta dal Bundesgerichtshof (in prosieguo: il «giudice del rinvio») ai sensi dell’art. 234 CE (2), con la quale la Corte è stata investita di una questione vertente sull’interpretazione dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 novembre 2001, 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (3), che vieta all’interno dell’Unione europea la pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione.

2.        La domanda di pronuncia pregiudiziale trae origine da una controversia che oppone due aziende produttrici del settore farmaceutico, la MSD Sharp & Dohme GmbH (convenuta in primo grado e ricorrente in cassazione; in prosieguo: la «MSD») e la Merckle GmbH (ricorrente in primo grado e resistente in cassazione; in prosieguo: la «Merckle»), nell’ambito della quale quest’ultima chiede di vietare giudizialmente alla MSD la diffusione su Internet di informazioni commerciali relative a medicinali soggetti a prescrizione medica da essa prodotti. Per decidere se tale istanza vada accolta occorre chiarire se la condotta della convenuta nell’ambito della causa principale vada o meno giuridicamente qualificata quale pubblicità presso il pubblico, oggetto di divieto, di medicinali soggetti a prescrizione.

3.        Le questioni sollevate nella presente controversia si ricollegano direttamente al difficile equilibrio che il legislatore dell’Unione deve trovare tra la tutela della salute, da un lato, e il diritto del pubblico all’informazione, dall’altro. Una fonte di queste informazioni è Internet, che oggi, grazie allo sviluppo tecnologico, è diventato uno dei più importanti mezzi di comunicazione e permette ad un numero crescente di persone di acquisire e scambiare informazioni in maniera veloce e facile. Le informazioni sono notoriamente merce preziosa e Internet ha senza dubbio contribuito ad una loro notevole diffusione e, così facendo, ha anche contribuito in maniera decisiva alla creazione della moderna società dell’informazione. Per garantire che l’informazione sia di utilità per il pubblico è però necessario assicurare che i dati messi a disposizione rispondano a precisi requisiti qualitativi, senza interferire eccessivamente nel libero flusso di informazioni. Nel settore di grande importanza che qui rileva, quello dell’assistenza sanitaria, si deve tutelare il paziente, senza imposizioni, da informazioni non corrette e fuorvianti provenienti da fonti non attendibili. Si tratta, inoltre, allo stesso tempo, di esigere da chi diffonde le informazioni il rispetto di elevati standard di qualità. In tal modo il diritto all’informazione del paziente – soprattutto con riguardo all’utilizzo di moderne fonti di informazione quali Internet – deve essere sviluppato in modo da divenire un ulteriore strumento a sostegno dell’assistenza sanitaria.

I –    Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione

4.        Oggetto del procedimento di pronuncia pregiudiziale è la direttiva 2001/83/CE, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/27/CE (4).

5.        Il secondo ‘considerando’ della direttiva 2001/83 così dispone:

«Lo scopo principale delle norme relative alla produzione, alla distribuzione e all’uso di medicinali deve essere quello di assicurare la tutela della sanità pubblica».

Il quarantesimo ‘considerando’ della direttiva prevede che:

«Le disposizioni relative alle informazioni da fornire ai pazienti devono garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, così da permettere un impiego corretto dei medicinali sulla base di informazioni complete e comprensibili».

Il quarantacinquesimo ‘considerando’ così recita:

«La pubblicità presso il pubblico di medicinali che possono essere venduti senza prescrizione medica potrebbe, se eccessiva e sconsiderata, incidere negativamente sulla salute pubblica; tale pubblicità, se autorizzata, deve pertanto essere conforme ad alcuni criteri essenziali che occorre definire».

6.        L’art. 86 della direttiva 2001/83, che apre il titolo VIII («Pubblicità») stabilisce quanto segue:

«1.      Ai fini del presente titolo si intende per “pubblicità dei medicinali” qualsiasi azione d’informazione, di ricerca della clientela o di incitamento, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali; essa comprende in particolare quanto segue:

–       la pubblicità dei medicinali presso il pubblico,

–        la pubblicità dei medicinali presso persone autorizzate a prescriverli o a fornirli,

–        la visita di informatori scientifici presso persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali,

–        la fornitura di campioni di medicinali,

–        l’incitamento a prescrivere o a fornire medicinali mediante la concessione, l’offerta o la promessa di vantaggi pecuniari o in natura, ad eccezione di oggetti di valore intrinseco trascurabile,

–        il patrocinio di riunioni promozionali cui assistono persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali,

–        il patrocinio dei congressi scientifici cui partecipano persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali, in particolare il pagamento delle spese di viaggio e di soggiorno di queste ultime in tale occasione.

2.       Non forma oggetto del presente titolo quanto segue:

–        l’etichettatura e il foglietto illustrativo, soggetti alle disposizioni del titolo V,

–        la corrispondenza corredata eventualmente da qualsiasi documento non pubblicitario, necessaria per rispondere a una richiesta precisa di informazioni su un determinato medicinale,

–        le informazioni concrete e i documenti di riferimento riguardanti, ad esempio, i cambiamenti degli imballaggi, le avvertenze sugli effetti collaterali negativi, nell’ambito della farmacovigilanza, i cataloghi di vendita e gli elenchi dei prezzi, purché non vi figurino informazioni sul medicinale,

–        le informazioni relative alla salute umana o alle malattie umane, purché non contengano alcun riferimento, neppure indiretto, a un medicinale».

7.        L’art. 87 della direttiva stabilisce quanto segue:

«1.       Gli Stati membri vietano qualsiasi pubblicità di un medicinale per cui non sia stata rilasciata un’autorizzazione all’immissione in commercio, conforme al diritto comunitario.

2.      Tutti gli elementi della pubblicità di un medicinale devono essere conformi alle informazioni che figurano nel riassunto delle caratteristiche del prodotto.

3.      La pubblicità di un medicinale:

–        deve favorire l’uso razionale del medicinale, presentandolo in modo obiettivo e senza esagerarne le proprietà,

–        non può essere ingannevole».

8.        L’art. 88 della direttiva recita come segue:

«1.      Gli Stati membri vietano la pubblicità presso il pubblico dei medicinali:

a)      che possono essere forniti soltanto dietro presentazione di ricetta medica, conformemente al titolo VI,

(…)».

B –    Normativa nazionale

9.        La normativa tedesca in materia è contenuta nel Gesetz über die Werbung auf dem Gebiet des Heilwesens (Heilmittelgesetz, legge in materia di pubblicità sui medicinali; in prosieguo: l’«HWG») nella versione pubblicata il 19 ottobre 1994 (5), come modificata da ultimo dall’art. 2 della legge del 26 aprile 2006 (6).

«§ 10

1.       La pubblicità riguardante medicinali soggetti a obbligo di prescrizione medica può essere rivolta unicamente a medici, dentisti, veterinari, farmacisti o a coloro che esercitano il commercio autorizzato di tali medicinali.

2.       I medicinali per uso umano diretti a combattere problemi di insonnia o disturbi di natura psichica ovvero i farmaci psicotropi non possono essere pubblicizzati al di fuori della cerchia degli specialisti del settore».

II – Fatti, causa principale e questione pregiudiziale

10.      Le parti sono aziende farmaceutiche in concorrenza tra loro. La MSD ha presentato i propri medicinali soggetti a prescrizione «VIOXX», «FOSAMAX» e «SINGULAIR» su Internet, tramite un collegamento ipertestuale non protetto da password e, pertanto, accessibile a chiunque, che riproduce la confezione del prodotto, la descrizione dell’indicazione e le istruzioni per l’uso.

11.      La Merckle ritiene che ciò costituisca una violazione del divieto di pubblicità previsto per i medicinali soggetti a prescrizione medica all’art. 10, n. 1, HWG e, allo stesso tempo, ritiene che il comportamento della MSD sia inammissibile sotto il profilo della concorrenza. Dinanzi al Landgericht la Merckle ha chiesto di ingiungere alla MSD, pena l’adozione di opportune sanzioni, di cessare di diffondere su Internet, in ambito commerciale e per scopi concorrenziali, informazioni pubblicitarie relative a medicinali soggetti a prescrizione con modalità tali che dette informazioni risultano automaticamente accessibili anche al di fuori dell’ambito medico. Il Landgericht ha accolto tale domanda. L’Oberlandesgericht ha respinto il ricorso in appello proposto dalla MSD.

12.      L’esito del ricorso per cassazione proposto dalla MSD davanti al giudice a quo dipende dalla questione se l’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83 contempli anche un tipo di pubblicità come quella in esame nella fattispecie, la quale contiene solo informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e diventano comunque accessibili a chiunque acquisti il prodotto, e che non vengono presentate agli interessati senza che essi le abbiano richieste, ma sono accessibili su Internet solo a chi le ricerca.

13.      Il giudice del rinvio osserva che, ai sensi dell’art. 86, n. 2, della direttiva 2001/83, le disposizioni di cui al titolo VIII non valgono per l’etichettatura e il foglietto illustrativo (artt. 54-69). Secondo tali disposizioni, tuttavia, le informazioni riportate sull’etichetta o nel foglietto illustrativo non rappresentano una pubblicità ai sensi dell’art. 86, n. 1, della direttiva solo quando sono utilizzate secondo la loro rispettiva funzione di etichetta o foglietto illustrativo, ossia esposte sul contenitore e, eventualmente, sull’imballaggio esterno del medicinale, oppure siano allegate alla confezione del medicinale e i pazienti ne entrino in possesso con il medicinale stesso. In base alla giurisprudenza del Bundesgerichtshof si tratta invece di pubblicità nei casi in cui tali informazioni obbligatorie vengono separate dall’etichettatura del medicinale e utilizzate per un uso comunicativo autonomo, ad esempio in annunci commerciali nei giornali.

14.      Il giudice a quo si chiede se, secondo un’interpretazione teleologica del divieto di pubblicità stabilito dall’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83, tale divieto non sia da interpretarsi in senso restrittivo, in modo tale che non comprenda una pubblicità rivolta al pubblico del tipo in discussione nella fattispecie, nella quale le informazioni sono accessibili solo a chi effettua una ricerca su Internet in modo autonomo e sono rese disponibili solo informazioni che sono state presentate alle autorità competenti per l’autorizzazione e che diventano comunque accessibili ai pazienti che acquistano il medicinale. Al riguardo va considerato in particolare il fatto, da un lato, che la pubblicazione viene effettuata dal produttore e, dall’altro, che una siffatta informazione potrebbe eliminare o ridurre il rischio di «un’automedicazione disinformata».

15.      Tenuto conto dei dubbi sollevati dal Bundesgerichtshof in merito alla compatibilità del controverso divieto di pubblicità presso il pubblico con i diritti fondamentali dell’Unione e con il principio di proporzionalità, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, si riferisca anche alla pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione medica qualora questa contenga solo informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e diventano comunque accessibili a chiunque acquisti il prodotto, e qualora tali informazioni non vengano presentate agli interessati senza che essi le abbiano richieste, ma siano accessibili su Internet solo a chi le ricerca».

III – Procedimento dinanzi alla Corte

16.      L’ordinanza di rinvio datata 16 luglio 2009 è pervenuta alla cancelleria della Corte il 10 agosto 2009.

17.      La MSD, i governi della Repubblica portoghese, della Repubblica ceca, del Regno di Danimarca, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Polonia e del Regno Unito, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte entro il termine previsto all’art. 23 dello Statuto della Corte.

18.      All’udienza, tenutasi il 23 settembre 2010, hanno svolto osservazioni orali i rappresentanti della MSD, dei governi della Repubblica portoghese, del Regno di Danimarca e del Regno di Svezia, nonché il rappresentante della Commissione.

IV – Principali argomenti delle parti

19.      Gli argomenti delle parti si distinguono sostanzialmente a seconda che qualifichino o meno una condotta come quella descritta nella questione pregiudiziale come «pubblicità presso il pubblico» ai sensi dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83. I governi polacco, ungherese e portoghese propendono per una qualificazione come pubblicità presso il pubblico, mentre il governo ceco tende ad assumere una posizione di compromesso. I governi britannico, danese e svedese nonché la Commissione si sono espressi in senso contrario ad una qualificazione come pubblicità presso il pubblico.

A –    A favore della qualificazione come pubblicità presso il pubblico

20.      Il governo polacco ritiene che la pubblicazione su Internet di foto della confezione di uno specifico medicinale, della descrizione dell’indicazione nonché delle istruzioni per l’uso soddisfi i criteri della definizione di pubblicità di cui all’art. 86, n. 1, della direttiva 2001/83. Internet è oggi un mezzo di comunicazione di massa che permette al consumatore di accedere senza difficoltà alle informazioni su un determinato medicinale, soprattutto quando, come nel caso di specie, la pagina Internet non è affatto protetta. La circostanza che la pubblicità del medicinale oggetto della controversia non venga presentata in modo attivo al consumatore, ma sia invece solo pubblicata sulla pagina Internet, non ha quindi alcuna rilevanza ai fini dell’inquadramento giuridico di una simile iniziativa, in quanto si tratta di un’informazione accessibile a chiunque.

21.      Secondo il governo polacco, ai fini della decisione della causa in esame non rileva neppure la circostanza che la pubblicità oggetto della controversia contenga unicamente informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione, in quanto l’art. 86 della direttiva 2001/83 non prevede alcuna eccezione sulla base della tipologia delle informazioni messe a disposizione. A tale proposito, esso rimanda all’art. 89 della direttiva 2001/83, in cui si prevede che qualsiasi pubblicità deve comprendere almeno la denominazione del medicinale e le informazioni indispensabili per un suo corretto uso. Una determinata presentazione potrebbe quindi essere considerata come pubblicità presso il pubblico già quando contenga anche solo questi dati.

22.      Il governo polacco perviene alla conclusione che l’art. 88, n. 1, della direttiva 2001/83 contiene un divieto assoluto di pubblicità per le categorie di medicinali ivi indicati.

23.      Il governo ungherese ricorda che nella definizione della nozione di pubblicità per i medicinali viene fatto esplicitamente riferimento allo scopo del messaggio, cosicché, per accertare se la diffusione di informazioni vada o meno qualificata come pubblicità, occorre verificare se questa sia intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali.

24.      Nel caso di specie, nell’esame di tale scopo va tenuto conto in particolare che la convenuta ha pubblicato sul proprio sito Internet informazioni relative ai propri prodotti: ciò indicherebbe che tali informazioni erano finalizzate a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo dei medicinali controversi. Il governo ungherese ritiene che tale circostanza giustifichi la qualificazione dell’attività in oggetto come pubblicità ai sensi della direttiva 2001/83. Per valutare se si tratta di pubblicità non rileva in alcun modo il fatto che sulla pagina Internet siano state messe a disposizione solo ed esclusivamente le informazioni che vanno presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e che diventano comunque accessibili ai pazienti che acquistano il medicinale. È poi irrilevante se le informazioni oggetto di esame vengano presentate agli interessati senza che le abbiano richieste o siano invece da cercare attivamente su Internet.

25.      Il governo portoghese osserva che non sono previste eccezioni al divieto di pubblicità presso il pubblico dei medicinali soggetti a prescrizione e che, pertanto, non si possono effettuare distinzioni sulla base del mezzo utilizzato, del contenuto o della forma della pubblicità.

26.      Il governo portoghese ritiene che la questione pregiudiziale si componga di due parti: a) se la pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione medica sia legittima qualora contenga solo informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e che diventano comunque accessibili a chiunque acquisti il prodotto, e b) se la pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione medica sia ammissibile allorché le informazioni non vengono presentate spontaneamente agli interessati, ma sono accessibili su Internet solo a chi effettua una ricerca specifica.

27.      Quanto alla prima parte, il governo portoghese osserva come la pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione non possa contenere soltanto la riproduzione della confezione del prodotto, la descrizione dell’indicazione e le istruzioni per l’uso, in quanto una simile pubblicità violerebbe sempre alcune condizioni previste per l’ammissibilità della pubblicità presso il pubblico.

28.      In relazione alla seconda parte della questione, il governo portoghese afferma che nella distinzione ivi operata si esprime una visione non corretta della pubblicità. Occorrerebbe infatti distinguere tra la pubblicità che il destinatario riceve senza doversi in alcun modo attivare e la pubblicità che il destinatario riceve solo a seguito di una propria iniziativa. Lo sforzo richiesto al destinatario per accedere su Internet alla pubblicità oggetto della presente controversia sarebbe molto più ridotto rispetto al caso in cui, ad esempio, questa pubblicità venga pubblicata in qualche rivista accessibile al pubblico, dovendo il destinatario in tal caso recarsi dal giornalaio per acquistarla.

29.      Il governo portoghese è inoltre dell’opinione che una pubblicità come quella oggetto del giudizio di rinvio, qualora ammissibile, sarebbe fuorviante in quanto si è diffusa la convinzione, ormai da tempo, che solo i medicinali non soggetti a prescrizione possano essere pubblicizzati presso il pubblico. La pubblicità alla radio e alla televisione avrebbero ampiamente contribuito a formare tale opinione.

30.      Il governo ceco ha una posizione più sfumata. Esso fa valere che la caratteristica fondamentale della definizione di pubblicità è lo scopo dichiarato, ossia l’intento promozionale. Quest’ultimo deve essere valutato tenendo conto di tutte le circostanze del caso, senza aver riguardo al contenuto delle informazioni fornite o alla natura dell’attività svolta, tanto più che tali elementi non rientrano tra i caratteri della definizione di pubblicità, ma sono soltanto fattori che possono risultare d’aiuto ai fini della qualificazione.

31.      Secondo il governo ceco, le informazioni elencate all’art. 86, n. 2, della direttiva non possono essere escluse a priori dall’ambito di applicazione della nozione di pubblicità di medicinali e delle condizioni previste per la pubblicità dei medicinali, in quanto ciò metterebbe a rischio lo scopo primario della direttiva, ossia la tutela della salute. In caso contrario le condizioni poste per la pubblicità dei medicinali potrebbero essere facilmente aggirate divulgando dette tipologie di informazioni in modo tale da promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali. È possibile, quindi, in linea di principio, che le informazioni che rientrano nell’art. 86, n. 2, soddisfino la nozione di pubblicità di medicinali, come definita all’art. 86, n. 1, della direttiva. È compito del giudice nazionale stabilire, tenuto conto delle caratteristiche del singolo caso concreto, se una specifica comunicazione persegua una finalità di promozione e vada quindi qualificata come pubblicità, o se persegua invece uno scopo diverso, non rientrando così nella nozione di pubblicità.

B –    Contro la qualificazione come pubblicità presso il pubblico

32.      La MSD ritiene che la questione pregiudiziale riguardi non soltanto l’interpretazione, ma anche la validità dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83. Una norma che vieti di pubblicare su Internet informazioni su medicinali esaminate dalle autorità competenti e utili per il paziente può rivelarsi incompatibile con i diritti fondamentali dell’Unione europea e, in particolare, con la libertà di informazione, con il diritto a decidere liberamente della propria salute, nonché con la libertà di espressione e con la libertà di impresa. La MSD sostiene che la Corte può pronunciarsi sulla validità di una norma del diritto dell’Unione anche qualora le questioni sottoposte vertano esclusivamente sulla sua interpretazione.

33.      La MSD sostiene che l’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83, interpretato in modo restrittivo, limita la possibilità per i consumatori – in particolare per i pazienti – di avere accesso ad una corretta informazione sui medicinali soggetti a prescrizione, incidendo così sia sul diritto fondamentale all’informazione, sia sul diritto fondamentale di decidere liberamente della propria salute. Tuttavia ne deriverebbe anche, con un nesso diretto, un’ingerenza ancora più grave nei diritti fondamentali, ossia una limitazione del diritto dei pazienti all’integrità fisica.

34.      Il divieto di pubblicità presso il pubblico dei medicinali soggetti a prescrizione medica lederebbe anche la libertà di espressione, garantita nell’ambito dei diritti fondamentali, la quale tutelerebbe anche la cosiddetta «comunicazione commerciale». La Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte eur. D.U.) si è trovata più volte a occuparsi di divieti di pubblicità non proporzionati proprio nel settore sanitario. Tale divieto lederebbe inoltre la sfera di tutela della libertà di impresa, protetta dalla Carta dei diritti fondamentali e riconosciuta dalla Corte quale espressione della libertà professionale.

35.      Il divieto di pubblicità presso il pubblico dei medicinali soggetti a prescrizione medica sancito dall’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83 non soddisferebbe neppure il principio di proporzionalità, in quanto un divieto generalizzato di informazione chiaramente non è idoneo, né necessario per tutelare la salute. A tale riguardo, si dovrebbe tener conto del fatto che il legislatore comunitario non ha motivato questo divieto di pubblicità.

36.      La MSD osserva inoltre che la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella causa Stambuk v. Germania (7), ha sottolineato che i divieti di pubblicità nel settore della sanità presuppongono sempre una valutazione specifica alla luce del legittimo interesse alla pubblicazione e all’informazione nonché del concreto tenore del messaggio e pertanto non possono essere mai applicati in maniera generalizzata. Anche il Bundesverfassungsgericht ha richiesto una valutazione differenziata della disposizione di attuazione tedesca di cui al § 10, n. 1, HWG (8).

37.      Qualora non s’intenda mettere in discussione la validità dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 200l/83, continua la MSD, occorre prendere le mosse da un’interpretazione restrittiva della nozione di pubblicità. A suo parere, la salvaguardia dei diritti fondamentali e del principio di proporzionalità impone di dare una soluzione negativa alla questione pregiudiziale. A motivazione di tale affermazione la MSD evidenzia che il tenore letterale della direttiva si presta a varie interpretazioni, dato che non vi si ritrova una definizione unitaria delle nozioni di «pubblicità» e di «informazione». Supporre che ogni tipo di divulgazione di informazioni da parte del produttore sia finalizzata ad incrementare le vendite sarebbe errato, in quanto molte sono le ragioni plausibili che possono indurre un produttore a pubblicare informazioni. La pubblicazione di informazioni può avvenire, ad esempio, nell’ambito dell’attività generale di comunicazione al pubblico dell’impresa, senza che venga perseguito in concreto un incremento delle vendite.

38.      Da un’interpretazione sistematica emergerebbe, inoltre, che esistono «informazioni non promozionali» sui medicinali che già de lege lata possono essere diffuse su Internet. La convenuta nella causa principale sostiene infine che neppure la ratio del divieto di pubblicità osta ad un’interpretazione restrittiva della nozione di pubblicità presso il pubblico.

39.      Il governo danese reputa sostanzialmente irrilevante, al fine di valutare se si tratti o meno di pubblicità di medicinali, la circostanza che il materiale contenga informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione. Decisiva sarebbe invece una concreta valutazione delle finalità perseguite divulgando le informazioni, tenendo conto anche della forma e del contenuto del materiale.

40.      Non si tratterebbe di pubblicità se la homepage dell’impresa riporta solamente una riproduzione integrale e non rielaborata delle indicazioni su un medicinale approvate dalle competenti autorità, sotto forma di foglietto illustrativo, di riepilogo delle caratteristiche o di una valutazione di un’autorità del settore dei medicinali accessibile al pubblico. Questo tipo di informazione non avrebbe, né nella forma, né nel contenuto, carattere pubblicitario. Qualora invece le informazioni sul medicinale siano state rielaborate, può presumersi che si tratti di una pubblicità intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali, salvo si tratti di informazioni necessarie per finalità di sicurezza (e non di pubblicità).

41.      Il governo danese osserva, inoltre, che il pericolo di automedicazione è molto inferiore nel caso di medicinali soggetti a prescrizione rispetto ai medicinali che non vi sono soggetti, in quanto i primi non possono essere acquistati legalmente senza l’intervento di un medico o di un farmacista e la loro consulenza e visita. D’altro canto, la pubblicità dei medicinali soggetti a prescrizione potrebbe far sì che gli stessi vengano ordinati su Internet o per corrispondenza senza ricetta. In questi casi potrebbe trattarsi di commercianti autorizzati o meno, o di medicinali originali o contraffatti.

42.      Il governo del Regno Unito ritiene che la pubblicazione delle informazioni oggetto della presente controversia, ossia delle indicazioni di base sulle caratteristiche del prodotto approvate dalle competenti autorità, non costituisca una «pubblicità» ai sensi dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva. La pubblicazione non avrebbe natura promozionale, ma sarebbe volta invece a mettere a disposizione informazioni essenziali sul prodotto.

43.      Ai sensi dell’art. 86, n. 2, della direttiva 2001/83 l’etichettatura e il foglietto illustrativo non costituiscono una pubblicità del medicinale e sono soggetti alle disposizioni del titolo V della direttiva. A suo parere, tale previsione può spiegarsi solo in considerazione del fatto che l’imballaggio esterno e il foglietto illustrativo servono a fornire ai pazienti informazioni essenziali sul medicinale, e non invece a promuoverne la vendita. Disciplinando il contenuto dell’imballaggio esterno e del foglietto illustrativo, il titolo V garantirebbe che tali indicazioni siano limitate alla comunicazione di informazioni e che non abbiano natura pubblicitaria. Una conferma in tal senso verrebbe anche dall’art. 62, che inequivocabilmente prevede che l’imballaggio esterno e il foglietto illustrativo non possano riportare «element[i] di carattere promozionale».

44.      Le informazioni approvate riportate sull’imballaggio esterno e sul foglietto illustrativo non avrebbero carattere promozionale neppure se pubblicate sul sito di un’impresa in modo tale da essere accessibili solo a coloro che effettuano una ricerca specifica. Così facendo le stesse informazioni sarebbero presentate in modo altrettanto neutrale e con il medesimo scopo – ossia mettere a disposizione informazioni sul medicinale importanti per il paziente –, senza finalità di promozione o pubblicità. La pubblicazione di informazioni secondo tali modalità è del tutto usuale in alcuni Stati membri, tra cui il Regno Unito, e viene considerata in tali paesi del tutto legittima; essa si porrebbe altresì in linea con la prassi dell’Agenzia europea per i medicinali.

45.      Secondo il governo britannico, siffatta messa a disposizione di informazioni non mette a rischio la salute, tutelata dalle disposizioni del titolo VIII della direttiva. Il contenuto delle informazioni di cui trattasi sarebbe necessariamente stato approvato nell’ambito della procedura di autorizzazione, previa eliminazione di qualsiasi espressione di carattere promozionale. Le informazioni sarebbero accessibili solo a coloro che effettuano una ricerca specifica. I pazienti potrebbero inoltre acquistare i prodotti oggetto della presente controversia solo con il consenso e con la prescrizione di un medico, quindi ne entrerebbero in possesso solo qualora il medico li ritenga necessari per la loro salute.

46.      La Commissione ricorda che il divieto di pubblicità costituisce una limitazione della libertà di espressione, giustificabile in considerazione della necessità di salvaguardare la salute umana (v. sentenza Damgaard (9), punti 26 e 27), tenendo anche conto, tra l’altro, del principio di proporzionalità. Secondo la Commissione numerosi elementi inducono a ritenere che le misure oggetto di esame non rientrino nella nozione di «pubblicità».

47.      La qualificazione come «pubblicità» nel senso definito dipenderebbe innanzitutto, in particolare, dallo scopo della comunicazione, ossia dalla volontà di incrementare le vendite. Il fatto che il produttore sia anche l’autore delle informazioni è soltanto uno dei molti elementi da considerare. Per il perseguimento degli obiettivi del divieto occorrerebbe esaminare, oltre alla paternità, il contenuto, i destinatari e le caratteristiche tecniche della comunicazione e l’eventuale previa disponibilità delle informazioni.

48.      Con riguardo al contenuto della comunicazione, la Commissione osserva che nel caso di specie le informazioni relative ai medicinali soggetti a prescrizione medica sono state esaminate e approvate dalle competenti autorità; si può quindi ritenere che il contenuto della comunicazione non rappresenti un pericolo per il consumatore.

49.      Quanto ai destinatari della comunicazione, la Commissione afferma che il rischio di un’assunzione incontrollata di farmaci risulta, almeno nel caso in esame, estremamente limitato, trattandosi di medicinali soggetti a prescrizione. Anche nel caso in cui il paziente o un terzo entri in possesso del medicinale soggetto a prescrizione nel suo cosiddetto confezionamento primario, e quindi senza il rivestimento esterno e le informazioni per il paziente ivi contenute, la pubblicazione controversa non comporterebbe una limitazione della tutela della salute, né nuocerebbe all’elevato livello di tutela del consumatore richiesto dalla direttiva, poiché in tal modo, a determinate condizioni, potrebbe essere evitata l’«automedicazione disinformata». Il rischio che l’interessato, dopo aver letto le informazioni, possa considerare superfluo rivolgersi al medico può facilmente essere evitato indicando chiaramente all’atto della pubblicazione che la consultazione della pagina Internet non sostituisce in alcun modo la consultazione di un medico.

50.      Con riguardo alle caratteristiche tecniche della comunicazione, la Commissione fa valere che nel caso di una mera disponibilità dei dati su Internet (il cosiddetto «pull-service») l’utente deve effettuare una ricerca specifica, con l’effetto che chi non è interessato ad un determinato medicinale non accede involontariamente a queste informazioni. Diverso sarebbe il caso di quello che viene definito push-service, in cui l’utente di Internet accede a contenuti che non ha ricercato, ad esempio attraverso i cosiddetti «pop-up», finestre che si aprono sul video automaticamente.

51.      In conclusione la Commissione fa presente di aver proposto una modifica della direttiva per garantire un’applicazione unitaria del divieto generale di pubblicità previsto nella direttiva stessa ed un elevato grado di tutela del consumatore. A differenza della causa Damgaard (10), la Commissione giunge alla conclusione che il divieto controverso, tenuto conto dello scopo perseguito, ossia la tutela della salute pubblica, non possa essere considerato una limitazione adeguata e proporzionata della libertà di espressione.

52.      All’udienza la Commissione, su richiesta della Corte, ha precisato in merito alle proprie osservazioni che, rinviando alle informazioni menzionate nella questione pregiudiziale, intende riferirsi alle informazioni contenute nel foglietto illustrativo.

53.      Il governo svedese, intervenuto all’udienza, ha dichiarato nelle proprie osservazioni che una situazione come quella del procedimento principale non rientra nell’ambito di applicazione del divieto di pubblicità presso il pubblico. Esso si associa sostanzialmente alle osservazioni del governo del Regno Unito. La distinzione tra pubblicità e altre informazioni andrebbe effettuata alla luce di molteplici fattori, quali ad esempio il contenuto dell’informazione. Il governo svedese sostiene in merito che talune informazioni possono senz’altro essere diffuse per scopi non promozionali, come emerge in particolare dal disposto dell’art. 86, n. 2, della direttiva 2001/83. La tipologia di informazioni ivi indicata si riferisce infatti a dati che sono stati esaminati dalle autorità competenti. Il governo svedese richiama, inoltre, il diritto all’informazione del pubblico. Quanto al fatto che le informazioni controverse nella causa principale siano state diffuse direttamente dal produttore, il governo svedese sostiene che la paternità delle informazioni in capo a questi potrebbe costituire un indizio di un possibile intento promozionale, ma non sarebbe, di per sé, determinante. Qualora si trattasse di un criterio di valutazione, il legislatore dell’Unione lo avrebbe chiaramente menzionato nella direttiva.

V –    Analisi giuridica

A –    Considerazioni introduttive

1.      Rilevanza del problema della distinzione

54.      Il caso di specie ripropone la difficile questione della distinzione tra «pubblicità» e «informazione» nell’ambito della normativa in materia di prodotti medicinali.

55.      La necessità di distinguere con la massima precisione possibile le due categorie sulla base di criteri chiari nasce, non da ultimo, come riconosciuto dalla Corte nella sentenza Gintec (11), dal fatto che la direttiva 2001/83, come modificata dalla direttiva 2004/27, ha proceduto ad un’armonizzazione completa del settore della pubblicità dei medicinali (12), secondo la quale le ipotesi in cui gli Stati membri sono autorizzati ad adottare disposizioni che si discostino dalle regole fissate dalla direttiva medesima vi sono esplicitamente indicate. Pertanto, il divieto di pubblicità dei medicinali soggetti a prescrizione di cui all’art. 88, n. 1, della direttiva 2001/83, che la Corte ha interpretato come tassativo (13), richiede un’interpretazione unitaria alla quale i giudici nazionali possano rifarsi in sede di applicazione del diritto dell’Unione.

56.      La distinzione tra «pubblicità» e «informazione» emerge chiaramente già dalla denominazione del titolo VIII bis della direttiva 2001/83. Va ricordato a tale riguardo che solo le norme in materia di pubblicità sono state armonizzate, mentre gli Stati membri sono liberi di disciplinare l’informazione sui medicinali, purché non violino le norme comunitarie in materia di pubblicità contenute nella direttiva 2001/83 (14). Si spiegano così le profonde differenze che oggi esistono tra le normative nazionali in materia di comunicazione e di informazioni sui medicinali ai pazienti. Come osservato dalla Commissione nella sua comunicazione al Parlamento europeo e al Consiglio del 20 dicembre 2007 (15), alcuni Stati membri adottano un approccio più rigoroso, mentre altri consentono la pubblicazione di informazioni non pubblicitarie. La distinzione delle due categorie rileva pertanto anche nell’ottica della ripartizione di competenze tra l’Unione e gli Stati membri.

2.      Il divieto di pubblicità come risultato di un bilanciamento operato dal legislatore

57.      Sotto il profilo della politica legislativa, il divieto generale di pubblicità dei medicinali presso il pubblico si giustifica in virtù della tutela della salute dai rischi che può comportare per i pazienti una «pubblicità eccessiva e sconsiderata» (16). Tanto emerge dal tenore letterale del quarantacinquesimo ‘considerando’ della direttiva 2001/83, che prevede la possibilità di autorizzare in via eccezionale la pubblicità di medicinali che possono essere venduti senza prescrizione medica, tuttavia solo se sono rispettati alcuni criteri essenziali fissati per legge. Tale deroga non vale invece per i medicinali soggetti a prescrizione medica, per i quali si deve quindi ritenere che operi un divieto generale di pubblicità. Attraverso un così ampio divieto si intende evitare che la pubblicità possa indurre il paziente all’automedicazione, esponendolo così ai rischi per la salute generalmente connessi all’utilizzo di medicinali soggetti a prescrizione medica. Nella sentenza Deutscher Apothekerverband (17) la Corte ha fatto presente tali rischi per la salute che possono derivare dall’utilizzo di medicinali, richiamandosi all’art. 71, n. 1, della direttiva 2001/83 (18).

58.      Al contempo, con l’art. 88 bis della direttiva 2001/83, introdotto successivamente dalla direttiva 2004/27, il legislatore dell’Unione sottolinea altresì la necessità «di un’informazione di qualità, obiettiva, affidabile e di carattere non promozionale sui medicinali e altre terapie». Questa norma deve essere letta unitamente al quarantesimo ‘considerando’ della direttiva 2001/83, dal quale emerge che «le disposizioni relative alle informazioni da fornire ai pazienti devono garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, così da permettere un impiego corretto dei medicinali sulla base di informazioni complete e comprensibili».

59.      Se ne deduce che il legislatore dell’Unione ha inteso contemperare, da un lato, la tutela della salute pubblica e, dall’altro, il diritto dei consumatori all’informazione, nonché la libertà di espressione del produttore del medicinale, vietando esclusivamente quelle informazioni riferite al prodotto che, in considerazione delle loro specifiche caratteristiche, sono dannose per la collettività. Di conseguenza, il divieto di pubblicità è il risultato del bilanciamento operato dal legislatore tra posizioni tutelate nell’ambito dei diritti fondamentali, circostanza di cui va tenuto conto in sede di interpretazione dell’art. 88, n. 1, della direttiva.

B –    Oggetto del rinvio pregiudiziale

60.      In tal modo ci troviamo ad affrontare la questione dell’oggetto del rinvio pregiudiziale. La MSD sostiene che, vista la limitazione operata dal divieto di pubblicità nei confronti di diritti fondamentali, la questione pregiudiziale non riguarda soltanto l’interpretazione, bensì anche la validità dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83. Essa fonda la propria lettura della questione pregiudiziale sul punto 15 dell’ordinanza di rinvio, nella quale il giudice del rinvio espone quanto segue:

«Tenuto conto delle circostanze sopra illustrate, la presente Sezione nutre dei dubbi sul fatto che, alla luce dei diritti fondamentali comunitari, il divieto di pubblicità al di fuori dell’ambito medico relativo a medicinali soggetti a prescrizione medica sia proporzionato, laddove esso si riferisca meramente a informazioni obbligatorie e tali informazioni siano messe a disposizione su Internet e, dunque, non siano rivolte a un pubblico vasto e impreparato (…)».

61.      A tali considerazioni va obiettato che la questione pregiudiziale vera e propria è volta chiaramente all’interpretazione dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83. Secondo una valutazione razionale, anche del passaggio controverso dell’ordinanza di rinvio, la questione pregiudiziale deve essere intesa nel senso che il giudice del rinvio chiede in sostanza se la nozione di pubblicità dei medicinali nel diritto dell’Unione comprenda una precisa ipotesi, descritta in dettaglio nella questione pregiudiziale. Il giudice del rinvio invita la Corte a confermare una determinata interpretazione della nozione di pubblicità, riconoscendo l’ammissibilità di un’interpretazione restrittiva in virtù delle disposizioni di diritto primario. Ciò non significa tuttavia che venga messa in discussione la validità della disciplina stessa dell’Unione in esame. Il giudice del rinvio non manifesta alcun dubbio in tal senso, né sostiene che una simile questione sia stata sollevata nella causa principale innanzi ad esso pendente. Si tratta piuttosto di chiarire, alla luce di un caso concreto, dove si ponga il confine tra «pubblicità», vietata, e «informazione» lecita.

62.      Dato che gli argomenti della MSD esulano dalla questione pregiudiziale vera e propria, si deve ritenere, dal punto di vista processuale, che si tratti di un’istanza di parte diretta ad ampliare l’oggetto originario del procedimento pregiudiziale.

63.      A tale riguardo occorre in primo luogo evidenziare che il sistema introdotto dall’art. 234 CE per assicurare l’unità dell’interpretazione del diritto comunitario negli Stati membri istituisce una cooperazione diretta tra la Corte ed i giudici nazionali, attraverso un procedimento estraneo all’iniziativa delle parti (19). Le parti della causa principale non dispongono di poteri di iniziativa nell’ambito del procedimento pregiudiziale, ma sono soltanto invitate a presentare osservazioni (20). A ragione la Corte ha sancito che l’art. 234 CE non costituisce un rimedio giuridico esperibile dalle parti di una controversia pendente dinanzi ad un giudice nazionale, cosicché la Corte non è tenuta ad esaminare la questione della validità del diritto dell’Unione per il solo fatto che tale questione sia stata sollevata dinanzi ad essa da una delle parti nelle proprie motivazioni scritte (21). Alla luce della giurisprudenza citata, emerge che dal punto di vista processuale la MSD non è legittimata a modificare l’oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale, sollevando ad esempio la questione della validità di una norma di diritto derivato. La richiesta della MSD va quindi respinta.

64.      In considerazione del fatto che, tranne la MSD, nessuna delle parti processuali ha eccepito l’invalidità della norma, è utile a titolo precauzionale richiamare la giurisprudenza della Corte secondo la quale la soluzione delle questioni complementari menzionate dalle parti nella causa principale nelle loro osservazioni sarebbe incompatibile con il ruolo assegnato alla Corte dall’art. 234 CE e con l’obbligo della Corte di dare ai governi degli Stati membri e alle parti la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta disposizione, alle parti interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio (22).

65.      Al di là di queste considerazioni di natura procedurale, la valutazione della validità di una siffatta norma da parte della Corte potrebbe anche risultare superflua, per ragioni di diritto sostanziale, purché la norma di diritto derivato possa essere interpretata in maniera conforme al diritto primario. Secondo una giurisprudenza costante, infatti, allorché una norma di diritto derivato comunitario ammetta più di una interpretazione, si deve dare la preferenza a quella che rende la norma stessa conforme al Trattato (23). Sotto il profilo dogmatico questa regola di interpretazione viene fatta discendere dal principio dell’unità dell’ordinamento giuridico dell’Unione (24). La Corte ha facoltà di verificare se l’eccezione di invalidità sollevata si fondi su una corretta interpretazione della norma secondaria. In tal senso, la Corte ha rinunciato ad esaminare la validità di una determinata norma di diritto derivato alla luce del diritto primario nei casi in cui si è resa possibile un’interpretazione conforme al diritto primario (25).

66.      Nell’ambito del presente procedimento ritengo adeguato procedere in modo analogo, tanto più che, a mio parere, la questione della compatibilità di un divieto generale di pubblicità con il diritto primario si pone solo qualora l’accesso a informazioni sui medicinali su Internet, secondo le modalità illustrate nella domanda di pronuncia pregiudiziale, possa essere qualificato come pubblicità di medicinali. Dal punto di vista metodologico occorre considerare che, già nel processo di interpretazione – per esempio nell’ambito di un’interpretazione sistematica o teleologica di tale nozione – possono trovare spazio valutazioni che tengono conto dei principi posti dal diritto primario (26). Qualora la condotta del produttore fosse invece considerata alla stregua di una lecita attività di informazione ai pazienti, non si porrebbe più una questione di compatibilità della norma con il diritto primario. Per questa ragione è opportuno iniziare l’analisi giuridica con l’interpretazione della direttiva 2001/83.

C –    Analisi della questione pregiudiziale

1.      Definizione di pubblicità dei medicinali e distinzione rispetto all’informazione

67.      Occorre preliminarmente osservare che la pubblicazione su Internet di informazioni su un determinato medicinale non è né espressamente consentita, né vietata dal diritto dell’Unione. Per stabilire se siffatta attività sia ammessa, occorre in primo luogo accertare se rientra nell’ambito di applicazione della nozione di pubblicità del codice comunitario. L’art. 86, n. 1, della direttiva 2001/83 contiene una definizione suddivisa in due punti, che richiede, sotto il profilo oggettivo, un’«azione di informazione» e, sotto il profilo soggettivo, lo scopo di «promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali». La definizione elenca alcuni esempi di pubblicità di medicinali.

68.      Tale definizione comprende espressamente la «pubblicità presso il pubblico»; ne consegue che il divieto di pubblicità è applicabile anche alla pubblicazione su Internet (27). Dal tenore letterale di questa disposizione della direttiva, nonché dal suo contesto normativo, emerge inoltre che la pubblicità rappresenta solo una parte delle informazioni nel complesso disponibili (28). La nozione di informazione è quindi ampia e diventa giuridicamente rilevante solo quando l’informazione presenta le specifiche caratteristiche della pubblicità come indicate del diritto dell’Unione (29). Ne deriva che, tenuto conto della definizione contenuta nell’art. 86, n. 1, della direttiva 2001/83, il fatto che le pubblicazioni controverse consistano solo in informazioni obiettive non osta, in linea di massima, alla loro qualificazione come pubblicità. La pubblicità ai sensi della direttiva non presuppone una forma di grande effetto, non deve contenere esagerazioni o addirittura informazioni non veritiere, elementi che in genere sono considerati caratteristici dell’attività promozionale (30). Il criterio decisivo per distinguere la pubblicità dalla semplice informazione è piuttosto lo scopo perseguito con il messaggio. Qualora si promuova la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali, si tratta di pubblicità ai sensi della direttiva; se vengono invece fornite indicazioni aventi carattere meramente informativo, senza alcun intento promozionale, tale attività non rientrerà nell’ambito di applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione in materia di pubblicità dei medicinali. Dirimente è quindi la consapevole e diretta intenzione di colui che diffonde il messaggio (31).

2.      Criteri di valutazione

69.      Come ha precisato da ultimo la Corte nella sentenza Damgaard, spetta in linea di principio al giudice nazionale valutare, sulla base delle circostanze concrete emerse nella causa principale dinanzi a lui pendente, se sussista o meno un intento promozionale (32). Nulla vieta però alla Corte, in virtù della sua competenza interpretativa, di indicare al giudice nazionale criteri idonei a permettergli di valutare in concreto, in sede di applicazione del diritto dell’Unione e delle norme nazionali di attuazione (33), la sussistenza di un simile intento promozionale.

a)      Rispetto dei diritti fondamentali in sede di interpretazione

70.      Nella formulazione dei criteri di valutazione occorre anche tener conto della possibilità di interpretare la norma in maniera restrittiva, tanto più che la nozione di pubblicità nella direttiva 2001/83, stando al suo tenore, è piuttosto vaga; a seconda dell’interpretazione, potrebbe quindi essere intesa in maniera estremamente ampia, tanto da ricomprendere eventualmente anche attività che non andrebbero vietate in base alle circostanze del caso specifico o alla luce della disciplina di riferimento.

71.      Il divieto di pubblicità dei medicinali presso il pubblico è volto, come già ricordato (34), a impedire che i pazienti vengano condizionati da informazioni scorrette o non obiettive, ossia in definitiva mira a tutelare la salute. La normativa in materia di pubblicità dei medicinali amplia mediante tale divieto la tutela accordata con l’obbligo di prescrizione. Nell’interpretare la nozione di pubblicità occorre tenere conto di questa finalità di tutela. Qualora le informazioni in oggetto non possano comportare un pericolo per la salute dei consumatori o il divieto di informazione possa risultare addirittura dannoso, viene a mancare una giustificazione oggettiva per un divieto generale.

72.      La necessità di interpretare in maniera restrittiva la nozione di pubblicità sul piano del diritto derivato emerge non da ultimo dal doveroso bilanciamento del bene giuridico tutelato dalla norma, da un lato, e dei diritti riconosciuti dal diritto primario ai consumatori e al produttore, dall’altro, diritti questi ultimi che perseguono una diversa finalità di tutela (35). Il bilanciamento è inoltre soggetto al principio di proporzionalità, quale manifestazione di un’azione conforme ad uno Stato di diritto. I diritti fondamentali e il principio di proporzionalità, che rientrano tra i principi generali del diritto dell’Unione, rappresentano così una parte essenziale di quel contesto normativo nel quale si deve inserire l’interpretazione del diritto derivato (36).

73.      Come ricordato più volte dalla Corte (37), nella Comunità non possono essere consentite misure incompatibili con il rispetto dei diritti fondamentali generalmente riconosciuti e garantiti. I diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto, dei quali la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo a cui gli Stati membri hanno cooperato e aderito. La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU») riveste, a questo proposito, una particolare importanza (38). I principi elaborati da questa giurisprudenza sono stati rafforzati mediante l’art. 6, n. 2, UE, secondo cui «l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario». Inoltre, per sottolineare l’esistenza di determinati principi giuridici comuni, la Corte si è richiamata alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea(39), proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza, in più occasioni (40); con l’entrata in vigore del Trattato modificativo di Lisbona, la Carta gode dello stesso valore giuridico dei trattati ai sensi dell’art. 6, n. 1, primo comma, TUE (41).

74.      Secondo la Corte, l’obbligo di rispetto dei diritti fondamentali da parte dell’Unione si estende anche alle autorità e ai giudici degli Stati membri, cui compete interpretare ed applicare le norme di attuazione di una direttiva. Nella sentenza Bodil Lindqvist (42) la Corte ha statuito che questi devono non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme ad una determinata direttiva, ma anche provvedere a non fondarsi su un’interpretazione di quest’ultima che entri in conflitto con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario o con altri principi generali del diritto comunitario, ad esempio, il principio di proporzionalità.

75.      Emerge da una costante giurisprudenza, inoltre, che allorché una normativa nazionale rientra nel settore di applicazione del diritto comunitario, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari alla valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di detta normativa con i diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto (43). Nel prosieguo occorre quindi esaminare i diritti fondamentali su cui va ad incidere il divieto di pubblicità di cui all’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83 e che depongono a favore di un’interpretazione restrittiva e conforme al diritto primario della normativa in questione. Successivamente verranno esaminati nel dettaglio ulteriori criteri, che possono ugualmente soccorrere nell’interpretazione di tale disposizione.

i)      Diritto fondamentale alla libertà di espressione

76.      Il divieto di pubblicità incide innanzitutto sul diritto fondamentale alla libertà di espressione, riconosciuto come un principio generale dalla giurisprudenza della Corte (44) e sancito nell’art. 11, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La Corte considera la libertà di espressione un fondamento essenziale di una società democratica e nella propria giurisprudenza si richiama sia all’art. 10, n. 1, della CEDU, sia alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

77.      Quanto alla questione se la comunicazione di informazioni sui medicinali attraverso Internet goda della tutela accordata a questo diritto fondamentale, occorre ricordare come è ampia la nozione di «opinione» che sta alla base della concezione del diritto fondamentale affermatasi a livello di Unione. Secondo tale nozione costituisce opinione qualsiasi parere, convinzione, valutazione, presa di posizione, dichiarazione relativa ad un fatto, nonché ogni giudizio di valore, indipendentemente dalla qualità e dal tema (45). Anche la pubblicità per finalità meramente economiche viene tutelata dalla libertà di espressione (46). Essa è parte della cosiddetta «comunicazione commerciale», che è tutelata e comprende la diffusione di opinioni, messaggi e idee per scopi commerciali, indipendentemente dal fatto che abbia natura prevalentemente informativa o promozionale (47). In tal modo rientrano nell’ambito della libertà di espressione tutelata come diritto fondamentale (48) la pubblicazione del foglietto illustrativo di un medicinale, la riproduzione della confezione, nonché altre informazioni. Del resto, nella sentenza Damgaard la Corte ha riconosciuto che la comunicazione di informazioni su medicinali è tutelata in linea di principio dal diritto fondamentale alla libertà di espressione (49).

78.      Tale diritto fondamentale non trova tuttavia un’applicazione illimitata, ma può essere soggetto, come dichiarato ripetutamente dalla Corte in riferimento all’art. 10, n. 2, della CEDU (50), a talune limitazioni giustificate da obiettivi di interesse generale, se tali deroghe sono previste dalla legge, dettate da uno o più scopi legittimi ai sensi della detta disposizione e necessarie in una società democratica, cioè giustificate da un bisogno sociale imperativo e, in particolare, proporzionate al fine legittimo perseguito.

79.      La tutela della salute rappresenta in linea di principio, in base al combinato disposto dell’art. 10, n. 2, della CEDU e dell’art. 53, prima frase, della Carta dei diritti fondamentali, un fine legittimo idoneo a limitare la libertà di espressione (51). L’individuazione dell’interesse pubblico si ricollega tuttavia alla ripartizione delle competenze, cosicché l’Unione può giustificare una sua ingerenza in un diritto fondamentale solo sulla base di quei valori che essa stessa è chiamata a tutelare in base al diritto dell’Unione. Nonostante il divieto di armonizzazione in materia di politica sanitaria di cui all’art. 152, n. 4, lett. c), CE, la tutela della salute in quanto tema trasversale costituisce comunque un fine legittimo, come sancito tra l’altro dall’art. 95, n. 3, CE e dall’art. 152, n. 1, CE. Da tali disposizioni si desume che, nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione, va garantito un elevato livello di protezione della salute umana. Una previsione analoga è contenuta nell’art. 35, seconda frase, della Carta dei diritti fondamentali.

80.      Secondo la giurisprudenza della Corte occorre sempre contemperare gli interessi coinvolti e valutare se, alla luce delle diverse circostanze nel caso concreto, ne è stato garantito un corretto equilibrio. Anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo afferma la necessità di operare un bilanciamento tra gli interessi coinvolti (52). Come ha giustamente spiegato l’avvocato generale Fennelly nelle sue conclusioni nella causa C‑376/98, Germania/Parlamento europeo e Consiglio (53), in relazione ad un divieto di pubblicità dei prodotti a base di tabacco su riviste e giornali, si deve però considerare che i divieti assoluti di pubblicità costituiscono un’ingerenza particolarmente grave nell’esercizio del diritto alla libera espressione e occorrono specifici motivi idonei a dimostrare che una misura meno gravosa non sarebbe stata sufficiente. La legittimità di un divieto di pubblicità deve pertanto essere valutata in maniera oltremodo rigorosa.

ii)    Libertà di informazione attiva

81.      Qualora il produttore pubblichi sul proprio sito informazioni senza carattere commerciale e senza finalità promozionali, viene in considerazione in via sussidiaria, quale specifico diritto fondamentale, la libertà di informazione attiva. Essa riconosce un autonomo diritto a informare i terzi, indipendentemente dalla forma utilizzata, orale, scritta, stampata o elettronica (54). La libertà di informazione attiva viene generalmente ricondotta all’ambito di applicazione del diritto fondamentale alla libertà di espressione (55). In tal senso l’art. 10, n. 1, della CEDU sancisce anzitutto la libertà di espressione in generale, concretizzandola poi nella seconda frase, laddove sancisce la libertà di comunicare informazioni (56). Anche l’art. 11, n. 1, seconda frase, della Carta dei diritti fondamentali riconosce, nell’ambito del diritto alla libertà di espressione, la libertà di comunicare informazioni senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche. Viene tutelata non soltanto la comunicazione di idee proprie, ma anche la diffusione di idee e informazioni di terzi.

82.      In relazione a questo diritto fondamentale valgono le stesse limitazioni che si applicano alla libertà di espressione in senso stretto; si richiamano pertanto le considerazioni già esposte al riguardo (57).

iii) La libertà di impresa

83.      Il divieto di pubblicità dei medicinali incide inoltre sulla libertà di impresa, sancita dall’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali e ribadita nella giurisprudenza della Corte. La libertà di impresa rappresenta una specifica forma della libertà professionale e, in quanto tale, ha il rango di principio generale del diritto comunitario (58). La comunicazione commerciale è strettamente legata alla libertà di impresa. La pubblicità e l’informazione, quali condizioni essenziali per la vendita di un prodotto, rappresentano una tipica modalità di esercizio della libertà di impresa.

84.      La Corte, in una giurisprudenza costante (59), ha affermato che questo principio, lungi dal costituire una prerogativa assoluta, va considerato alla luce della sua funzione sociale. Possono quindi essere apportate restrizioni al libero esercizio di un’attività professionale, a condizione che tali restrizioni rispondano effettivamente a obiettivi d’interesse generale perseguiti dall’Unione europea e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti.

iv)    Libertà di informazione passiva del consumatore

85.      Il divieto di pubblicità limita da ultimo anche la libertà di informazione passiva del consumatore, sancita dall’art. 11, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali. L’ambito di applicazione oggettivo della tutela si estende dalla semplice ricezione di un’informazione alla sua elaborazione e registrazione (60). La libertà di informazione passiva, come diritto all’accessibilità e all’ottenimento di informazioni, non può essere considerata solo quale condotta passiva, ma tutela invece anche la ricerca di informazioni da parte del singolo (61).

86.      Nel settore dei medicinali il diritto del paziente all’informazione assume particolare importanza in considerazione del nuovo criterio del «paziente informato», al quale va garantita la più ampia libertà di scelta possibile quanto ai trattamenti e ai medicinali impiegati, e che pertanto necessita di spiegazioni corrette e complete (62). Nella già citata comunicazione al Parlamento europeo e al Consiglio (63), la Commissione riconosce che i pazienti hanno un diritto all’informazione e dovrebbero quindi avere accesso alle informazioni sulla loro salute, sulle condizioni mediche e sulla disponibilità delle cure. Un simile diritto all’informazione, continua la Commissione (64), tiene conto del fatto che oggi i pazienti non si limitano ad assumere i medicinali che vengono loro prescritti, ma si fanno sempre più carico della loro salute. I pazienti si occupano sempre più della loro malattia, dimostrano grande interesse per i temi della salute e hanno un crescente bisogno di informazioni. La Commissione vede nel nuovo criterio del «paziente informato», che svolge un ruolo sempre più attivo nell’ambito dell’assistenza sanitaria, un rafforzamento dei diritti del cittadino, come emerge anche dal Libro bianco in materia di politica sanitaria (65).

87.      Adeguandosi a questo nuovo modello di paziente, le autorità competenti di numerosi Stati membri mettono oggi a disposizione sempre più informazioni su malattie e medicinali, sia su Internet, sia attraverso la stampa scritta, opuscoli, campagne di informazione, seminari o simposi. È opportuno aggiungere anche la diffusione attraverso le farmacie e i mezzi di comunicazione (66). Nell’ambito dell’analisi dei singoli criteri, per valutare in che misura la diffusione su Internet di informazioni relative ad un medicinale da parte del produttore possa essere qualificata come pubblicità, occorre esaminare, in particolare, le conseguenze di questi sviluppi nel settore dei medicinali.

b)      Singoli criteri di valutazione

88.      Come anticipato al paragrafo 69 delle presenti conclusioni, nel prosieguo verranno indicati alcuni criteri obiettivi utili al giudice nazionale nel valutare se, alla luce delle circostanze del singolo caso, una determinata pubblicazione su Internet relativa ad un medicinale faccia trasparire finalità promozionali.

i)      Valore meramente indicativo della paternità delle informazioni

89.      Si deve in primo luogo valutare quale significato vada riconosciuto alla paternità delle informazioni relative ad un prodotto. Il solo tenore letterale dell’art. 86 della direttiva 2001/83 non permette di distinguere a priori tra messaggi promozionali e comunicazioni meramente informative sulla base del solo criterio della provenienza delle informazioni (67). Si rende invece necessaria una precisa interpretazione teleologica di questa norma.

90.      Va riconosciuto che il fatto che, nella causa principale, il produttore divulghi informazioni relative ad un proprio prodotto su Internet, rendendole così accessibili ad un ampio numero di destinatari, costituisce un forte indizio a favore della qualificazione di una siffatta attività come pubblicità ai sensi della definizione citata, tanto più che il produttore ha, di norma, un interesse economico a commercializzare il prodotto. Questa conclusione trova conferma anche nell’attuale giurisprudenza della Corte in materia di disciplina dei medicinali nell’Unione europea, come verrà illustrato in seguito.

91.      Nella sentenza Ter Voort (68), relativa alla qualificazione di un prodotto come medicinale ai sensi della definizione di medicinale «per presentazione» contenuta nell’art. 1, n. 2, primo comma, della direttiva 65/65/CE (69), la Corte ha dichiarato che «[i] comportamenti, le iniziative, gli atti posti in essere dal fabbricante o dal venditore che ne rivelino l’intenzione di far apparire il prodotto messo in commercio come medicinale agli occhi di un consumatore mediamente avveduto possono essere quindi decisivi per stabilire se un prodotto debba considerarsi medicinale “per presentazione”» (70). Secondo la Corte, «[i]n particolare, il fatto che il fabbricante o il venditore invii all’acquirente del prodotto una pubblicazione che descriva o raccomandi quest’ultimo come produttivo di effetti terapeutici costituisce indizio determinante dell’intenzione del fabbricante o del venditore di mettere in commercio il prodotto come medicinale» (71). In altre parole, si attribuisce in generale al produttore, in determinate condizioni, una certa tendenza a promuovere i propri prodotti, di cui si deve tener conto.

92.      La Corte ha però sottolineato, anche nella sentenza Damgaard, che «la situazione dell’autore di una comunicazione e, in particolare, il suo rapporto con l’impresa produttrice o distributrice di quest’ultimo costituiscono un fattore che aiuta a verificare se tale comunicazione abbia carattere pubblicitario» (72). Essa presuppone quindi implicitamente che la vicinanza di un terzo al produttore vada tenuta in considerazione nel valutare se questi abbia mantenuto una posizione neutrale nel redigere la propria relazione su un determinato prodotto o se abbia invece fatto propri gli interessi del produttore. Non è possibile quindi escludere, in particolare, che il produttore, nel diffondere informazioni circa un proprio prodotto, persegua in linea di principio finalità promozionali.

93.      Ritengo che una simile conclusione, seppure talvolta corretta, non sia comunque inevitabile, dato che tanti possono essere i motivi che inducono il produttore a pubblicare delle informazioni. Supporre che qualsiasi pubblicazione di informazioni da parte del produttore avvenga con lo scopo di incrementare le vendite presupporrebbe una nozione troppo ampia di pubblicità.

94.      Come spiegato in maniera convincente dalla MSD, la pubblicazione di informazioni può avvenire, ad esempio, in relazione all’attività generale di comunicazione al pubblico, senza che venga perseguito in concreto un incremento delle vendite. Un motivo potrebbe ravvisarsi nella volontà del produttore di pubblicare informazioni corrette per contrastare la diffusione su Internet di dati non controllati e non sicuri sui suoi prodotti, da parte di privati. Il produttore, in quanto tale, dispone di conoscenze interne ed è pertanto nella condizione di meglio riconoscere la presenza di informazioni non corrette e di esigerne la rimozione. Un simile intervento non è finalizzato ad aumentare le vendite di un determinato prodotto, quanto piuttosto a tutelare la reputazione dell’impresa e dei suoi collaboratori. Così facendo il produttore potrebbe anche voler informare quei pazienti che hanno già acquistato il prodotto, ma che hanno perso il foglietto illustrativo. L’azienda farmaceutica può avere interesse ad evitare che il paziente ricorra all’automedicazione senza consultare il foglietto illustrativo, mettendo potenzialmente a rischio la propria salute, per evitare un danno all’immagine o richieste di risarcimento danni (73). Non è possibile, da ultimo, negare tout court che un produttore di medicinali possa voler rispondere all’esigenza e al diritto del pubblico ad essere informato, per esempio per valorizzare la trasparenza della propria impresa.

95.      Queste considerazioni confermano che la diffusione di informazioni da parte dello stesso produttore non deve necessariamente essere considerata come una misura volta a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali. Devono invece ricorrere ulteriori circostanze idonee a giustificare una simile valutazione. Occorre considerare, tra l’altro, come evidenziato dalla Commissione (74), l’oggetto e il contenuto delle informazioni controverse, la cerchia dei destinatari nonché le caratteristiche dei mezzi con cui queste informazioni vengono divulgate al pubblico.

96.      Prima di analizzare nel dettaglio i singoli criteri di valutazione, mi sia consentito in questo contesto formulare qualche breve osservazione in merito al ruolo dello Stato nell’ambito della divulgazione di informazioni in materia di medicinali, tema che è stato affrontato nel corso dell’udienza. Dato che la mera paternità delle informazioni sui medicinali, come già ricordato, da sola non chiarisce le intenzioni che spingono il produttore a rendere accessibili al pubblico tali informazioni, non reputo convincente l’eccezione sollevata dal governo portoghese, a detta del quale la pubblicazione di simili informazioni dovrebbe avvenire sempre attraverso servizi pubblici. Sono possibili invece altri modelli di comunicazione delle informazioni, che consentano ad esempio parimenti al produttore di pubblicare su Internet le informazioni sui medicinali, sotto il controllo dello Stato e nel rispetto di un insieme di regole che includa anche il divieto di pubblicità per i medicinali soggetti a prescrizione previsto dal diritto dell’Unione. Ritengo che lo scopo che la direttiva si prefigge e che dovrebbe essere conseguito mediante un simile sistema di informazioni di provenienza statale possa essere raggiunto anche nel caso di divulgazione di informazioni da parte del produttore. Il vantaggio di un siffatto intervento consiste, non da ultimo, nell’impiego ottimale di conoscenze interne. Sono consapevole che la realizzazione dei sistemi di informazione in materia sanitaria rientra prevalentemente nella competenza degli Stati membri; non per questo però gli Stati membri sono esonerati dall’obbligo di tener debitamente conto, in sede di attuazione a livello nazionale delle normative dell’Unione in materia di pubblicità dei medicinali presso il pubblico, del diritto dei pazienti ad essere informati e dei diritti dei produttori nonché, qualora necessario, di verificare i sistemi già esistenti.

ii)    Oggetto dell’informazione

97.      Le informazioni controverse nella causa principale si riferiscono, stando alle indicazioni contenute nell’ordinanza di rinvio, ad una serie di medicinali soggetti a prescrizione medica prodotti dalla MSD. Ad un primo esame un divieto di pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione appare giustificato, considerato che una loro errata assunzione può avere conseguenze tanto gravi per la salute del consumatore da rendere necessario un obbligo rigoroso di prescrizione e acquisto in farmacia. D’altro canto, proprio nel caso di questi medicinali il rischio di un’automedicazione potrebbe essere molto inferiore rispetto a quello connesso all’impiego di medicinali non soggetti a prescrizione, dato che essi non possono essere acquistati – quanto meno per vie legali – senza prima rivolgersi a un medico e a un farmacista e, quindi, senza il loro consiglio o previa visita. Eventuali stimoli derivanti dalla pubblicità non possono pertanto tradursi in un acquisto immediato.

98.      Non è possibile escludere del tutto che la pubblicazione di informazioni su un medicinale sulla homepage di un gruppo farmaceutico possa influenzare le vendite di tali prodotti. La semplice diffusione delle informazioni difficilmente risulta però, da sola, idonea ad incrementare le vendite di medicinali, se non in modo del tutto limitato, dato che l’obbligo di prescrizione medica fa sì che la decisione se prescrivere un medicinale, e quale, sia rimessa esclusivamente al medico curante, il quale di regola trae le informazioni necessarie sia da pubblicazioni tecniche, sia da imprese farmaceutiche.

99.      Un maggior grado di informazione del paziente può incidere in due modi sul comportamento in relazione al consumo. Da un lato, la preventiva lettura del foglietto illustrativo su Internet può indurre il paziente ad opporsi alla prescrizione di un determinato medicinale in considerazione dei possibili rischi ed effetti collaterali. La pubblicazione potrebbe in tal caso addirittura comportare una contrazione delle vendite. D’altro canto, il materiale informativo presente su Internet potrebbe indurre il paziente ad indicare al proprio medico quel determinato prodotto, rendendo così possibile la sua prescrizione. Ciò detto, si può in via di principio ritenere che un medico sia meglio informato sui medicinali impiegabili rispetto al proprio paziente. Appare poi del tutto inverosimile che con una ricerca mirata su Internet un profano possa trovare il prodotto adatto a lui, soprattutto se si considera che per accedere alle informazioni relative ad uno specifico prodotto è generalmente necessario conoscerne il nome. Infine, la decisione di prescrivere o meno un farmaco in ultima istanza è sempre rimessa al medico. Il materiale informativo pubblicato su Internet può influire, quindi, solo indirettamente sulla condotta d’acquisto, cioè solo attraverso l’intervento del medico che deve e, grazie alla propria formazione professionale, può valutare in modo critico il prodotto.

100. Le informazioni non sono quindi neppure idonee ad incrementare le vendite. L’opinione contraria, secondo cui il medico non potrebbe sottrarsi ai desideri di un paziente che chiede di prescrivergli un determinato prodotto, e che riduce così il medico ad un semplice tramite tra il paziente e l’azienda farmaceutica, non rende in alcun modo giustizia al ruolo centrale che il medico svolge all’interno del sistema sanitario. D’altronde, in tutti gli Stati membri è vietato ai medici prescrivere medicinali non adatti o favorire l’abuso di medicinali. Come statuito dalla Corte da ultimo nella sentenza 22 aprile 2010, Association of the British Pharmaceutical Industry (75), i medici soggiacciono a una responsabilità penale, civile, professionale e sociale che dovrebbe garantire una condotta adeguata (76).

101. I rischi di un abuso di prodotti soggetti a prescrizione medica è limitato quindi alle confezioni di medicinali già prescritte. L’utilizzo del preparato per uno scopo non corretto o in un dosaggio sbagliato può in questo caso ledere la salute del paziente. Simili pericoli non sono frutto però degli effetti della pubblicità, cosicché un divieto generalizzato di pubblicità, da questo punto di vista, non appare giustificato. Al contrario, la possibilità di accedere in un secondo momento, su Internet, al foglietto illustrativo e ad altre informazioni obiettive sui medicinali soggetti a prescrizione può addirittura prevenire un simile abuso, richiamando ancora l’attenzione sui pericoli esistenti. Ciò accade in particolare nel caso, non inverosimile, di perdita del foglietto illustrativo da parte del paziente. Si possono immaginare molte situazioni plausibili in cui possa rendersi necessario consultare nuovamente le caratteristiche del medicinale assunto. Il paziente può, infatti, aver perso il foglietto illustrativo o persino averlo semplicemente dimenticato a casa prima di partire per le vacanze, o averlo buttato per errore, perdendo così inevitabilmente importanti informazioni sul trattamento della sua malattia. Va quindi condivisa la posizione assunta dal giudice del rinvio, secondo il quale la pubblicazione su Internet di informazioni sul dosaggio, i rischi, gli effetti collaterali e le possibili reazioni al prodotto è assolutamente idonea ad evitare o limitare i rischi di una «automedicazione disinformata» (77).

iii) Contenuto dell’informazione

102. Una qualificazione in termini di pubblicità ai sensi della definizione di cui all’art. 86, n. 1, della direttiva 2001/83 risulta poco convincente proprio in quei casi in cui la condotta controversa consta nella diffusione di informazioni obiettive, in quanto il carattere promozionale non può essere affermato senza margine di dubbio. Il contenuto concreto dell’informazione assume un ruolo importante al fine di valutare la sussistenza di un intento pubblicitario. Dalla questione pregiudiziale emerge che la pagina Internet oggetto di esame contiene unicamente informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e diventano comunque accessibili a chiunque acquisti il prodotto. Da tale affermazione si può dedurre che le informazioni controverse evidentemente nulla aggiungono ai dati riportati sull’etichettatura e nel foglietto illustrativo. Si dovrebbe trattare quindi delle informazioni elencate nell’art. 54 della direttiva 2001/83. Tra queste rientrano le indicazioni circa la composizione qualitativa e quantitativa di tutte le componenti del medicinale, le indicazioni terapeutiche, le controindicazioni e gli effetti collaterali, la posologia, la forma farmaceutica, il modo e la via di somministrazione e la durata presunta di stabilità, oltre alle informazioni in caso di sovradosaggio (sintomi, soccorsi d’urgenza, antidoti) e alle informazioni sugli effetti sulla capacità di guidare e sull’uso di macchine.

103. Occorre innanzitutto evidenziare a tale riguardo che l’art. 86, n. 2, della direttiva 2001/83 esclude espressamente l’etichettatura e il foglietto illustrativo dall’ambito di applicazione del divieto di pubblicità (78). Ne consegue che in linea di principio né il foglietto illustrativo, né le informazioni stampate sul contenitore esterno hanno rilevanza sotto il profilo della normativa in materia di medicinali. Come osserva correttamente il governo del Regno Unito (79), ciò si giustifica solo in considerazione del fatto che la confezione e il foglietto illustrativo sono volti a fornire al paziente le informazioni fondamentali e non invece a promuovere la vendita del prodotto.

104. Non va inoltre dimenticato che nel foglietto illustrativo, non di rado, predomina la descrizione delle controindicazioni, insieme ad informazioni sugli effetti collaterali e le interazioni, per cui esso tende a dissuadere più che ad incentivare il paziente all’acquisto.

105. Si pone ovviamente la questione dell’applicabilità di tale valutazione alla pubblicazione del foglietto illustrativo su Internet. Il fatto che una determinata informazione costituisca anche un’informazione obbligatoria non esclude in linea di principio che, in un altro contesto, possa venire qualificata come pubblicità. Tuttavia, in assenza di ulteriori elementi a favore, la riproduzione fedele delle informazioni obbligatorie su Internet non giustifica una qualificazione come pubblicità. Questa conclusione è in linea con il già citato scopo di tutela del divieto di pubblicità, ove si consideri che il medicinale controverso, comprese le relative informazioni, è già stato esaminato ed approvato dalle competenti autorità ai sensi dell’art. 61 della direttiva 2001/83. L’esame in parola si estende, in base all’art. 62 della direttiva, espressamente a quelle informazioni che possono avere carattere promozionale. Si deve pertanto concordare con la Commissione nel ritenere che il consumatore non corre, date le circostanze, alcun pericolo (80). È dubbio, quindi, che sia necessaria una limitazione della pubblicazione di informazioni, come quella oggetto del giudizio principale, per garantire la tutela della salute.

106. Quindi, quando il sito Internet del produttore riporta esclusivamente in maniera integrale e non rielaborata, nella forma del foglietto illustrativo, le indicazioni su un medicinale approvate dalle competenti autorità, un riepilogo delle caratteristiche o la valutazione di un’autorità del settore dei medicinali, non può ravvisarsi un intento pubblicitario. Correttamente il governo danese (81) osserva che questo tipo di informazione non ha, né nella forma, né nel contenuto, carattere promozionale. A una diversa conclusione si dovrà invece pervenire nel caso di informazioni sui medicinali rielaborate dal produttore, salvo si tratti di informazioni necessarie a fini di sicurezza.

107. Infine, a sostegno di tale interpretazione può essere avanzato un ulteriore argomento di carattere sistematico. L’art. 86, n. 2, della direttiva stabilisce che la corrispondenza necessaria per rispondere a una richiesta precisa di informazioni su un determinato medicinale nonché le informazioni concrete e i relativi documenti vanno qualificati come attività di informazione e non come attività promozionale o pubblicitaria. Se la messa a disposizione da parte di un’impresa di informazioni di base approvate per rispondere ad una concreta domanda di un paziente non costituisce attività pubblicitaria, difficilmente si potrà sostenere che la pubblicazione delle stesse informazioni su Internet per renderle accessibili ai pazienti debba essere valutata in modo diverso. La pubblicazione su Internet rappresenta semplicemente uno strumento più pratico ed efficace per rispondere a specifiche richieste di informazioni di fondamentale importanza.

108. Le considerazioni che precedono fanno propendere per un’interpretazione della nozione di pubblicità nel senso che essa non comprende informazioni dal contenuto obiettivo e corretto messe a disposizione dal produttore al consumatore, qualora – specialmente se diffuse tramite Internet – coincidano con le istruzioni per l’uso e o le informazioni scientifiche approvate dalle autorità competenti.

iv)    Destinatari e caratteristiche [del mezzo di informazione]

109. Ulteriori criteri per distinguere tra pubblicità e altre informazioni sono i destinatari e le caratteristiche tecniche del mezzo utilizzato per la diffusione delle informazioni, a seconda che le informazioni in oggetto siano rivolte a un gruppo di specialisti a fini di consultazione o a potenziali pazienti. Tale aspetto deve essere esaminato nel caso concreto con riguardo al singolo sito Internet.

110. Come correttamente osservato dal governo polacco, oggi Internet è un mezzo di comunicazione di massa accessibile ad un’ampia fascia della popolazione (82). Internet svolge ormai da tempo un ruolo importante per quanto riguarda l’accesso e la diffusione di informazioni di ogni tipo. Degna di nota a tale riguardo è anche la funzione di Internet come piazza virtuale per il commercio di varie tipologie di prodotti (il cosiddetto «e-commerce») – anche di medicinali – al di fuori dei confini statali, circostanza questa che pone nuove sfide per la tutela della salute. Non tutti i settori di Internet sono però accessibili a chiunque. Di solito l’amministratore del sistema dispone di strumenti tecnici per bloccare l’accesso di soggetti non autorizzati a determinate pagine mediante l’apposizione di password, limitando così a priori la consultazione a determinati soggetti, quali ad esempio gli specialisti del settore (83). Nella causa principale non è fatta parola di limitazioni all’accesso alle informazioni sui medicinali, cosicché le informazioni controverse sono in linea di principio alla portata di tutti. Il produttore ammette evidentemente la possibilità che anche potenziali pazienti abbiano accesso alle informazioni. Inoltre il tipo di informazioni controverse non porta a ritenere che il contenuto del sito web sia destinato a una cerchia di specialisti.

111. In senso contrario a una qualificazione come pubblicità depone però il fatto che il produttore nella causa principale non ha pubblicato le informazioni sui medicinali controverse in modo tale da imporle al potenziale acquirente. A conclusioni diverse si dovrebbe giungere qualora fosse stato attivato un cosiddetto «push-service», ovvero se, in linea con quanto argomentato dalla Commissione (84), l’utente di Internet avesse accesso a contenuti non ricercati, ad esempio attraverso «pop-up», vale a dire finestre che si aprono sul video automaticamente. Una simile struttura del sito web potrebbe essere valutata come un indizio di un possibile intento promozionale da parte del produttore. Nella causa principale non è emerso però nulla di simile. Occorre piuttosto considerare che, per accedere alle informazioni sui medicinali oggetto di esame, è necessario effettuare una ricerca mirata su Internet. In generale, le potenzialità di Internet sono sfruttate al massimo in presenza di una ricerca specifica dell’utente (85). Il potenziale acquirente deve verosimilmente già conoscere il medicinale ed essere a conoscenza del fatto che il produttore mette a disposizioni determinate informazioni sul proprio sito web. In mancanza di uno specifico interesse per un determinato medicinale, non si entra quindi involontariamente in possesso di tali informazioni. Diversamente da quanto argomentato dal governo portoghese (86), non è sufficiente che l’utente di Internet digiti un determinato indirizzo, in quanto una condotta simile presuppone di per sé che l’utente sappia della pubblicazione delle informazioni da parte del produttore. Si deve quindi concordare con la Commissione quando osserva che una simile forma di diffusione delle informazioni attraverso una piattaforma passiva di solito non importuna né si impone, di propria iniziativa, ad un ampio pubblico (87). In un caso come quello esaminato nella causa principale non è dato rinvenire nella forma utilizzata per diffondere le informazioni alcun elemento che attesti un intento promozionale in capo al produttore, pertanto occorre interpretare la nozione di pubblicità in maniera restrittiva.

112. A prescindere da questo, tenuto conto delle considerazioni che precedono, appare dubbio che la sola circostanza che anche potenziali pazienti possano essere destinatari di tali informazioni possa giustificare il divieto di pubblicazione di informazioni mediche, tanto più che i pazienti, come già ricordato (88), hanno un legittimo interesse a ricevere informazioni corrette e obiettive.

113. Vista la caratteristica di questi ultimi di consumatori in uno specifico settore del mercato, ritengo che in linea di principio si possa fare riferimento al criterio del consumatore medio elaborato dalla giurisprudenza (89) anche per il settore dei medicinali (90). Il ricorso al modello di informazione elaborato nel settore della tutela del consumatore si giustifica anche alla luce della giurisprudenza della Corte sulla normativa in materia di medicinali, la quale, già da tempo, adotta la prospettiva del consumatore medio per valutare, ad esempio, se un prodotto rientra nella definizione di medicinale per funzione ai sensi della direttiva 2001/83. In base a una giurisprudenza costante, la competente autorità nazionale, che agisce sotto il controllo del giudice, deve effettuare tale valutazione di volta in volta, tenendo anche conto della conoscenza che i consumatori hanno del prodotto (91). Ne consegue che, anche nel valutare l’impatto sul pubblico delle informazioni relative al prodotto, occorre avere riguardo in linea di principio a un paziente mediamente informato, adeguatamente attento e critico.

114. D’altro canto è pacifico che il settore medico si caratterizza sempre più per un’elevata complessità tecnica che non permette di attribuire al singolo paziente l’esclusiva responsabilità per la sua salute (92). Tale esito non sarebbe né realistico, né auspicabile, da un punto di vista di politica legislativa, nell’ottica di una necessaria tutela della salute. La tutela della salute umana è un obbligo ai sensi degli artt. 152 CE e 168 TFUE (93). Il diritto all’informazione del paziente verrebbe però comunque adeguatamente tutelato se il suo accesso a informazioni obiettive non venisse del tutto impedito, bensì consentito a determinate condizioni. Si tratterebbe di una misura meno radicale rispetto ad un divieto assoluto di informazione sui medicinali.

115. Non si deve inoltre dimenticare che il paziente, proprio nel caso di medicinali soggetti a prescrizione, è comunque sempre tenuto a ricorrere alla consulenza del medico che li prescrive (94). Una maggiore informazione non mette affatto in discussione il ruolo chiave del medico nel settore dell’assistenza sanitaria, anzi lo conferma. Il medico è tenuto infatti ad informare nel dettaglio il paziente in merito agli effetti e ai possibili rischi dell’assunzione di un medicinale, prima di prescriverglielo. Un’informativa precoce e obiettiva del paziente prima che questi si sottoponga alla visita, se proveniente da fonti attendibili, potrebbe addirittura contribuire a migliorare la prestazione sanitaria, in quanto il medico, in tal caso, trovandosi di fronte un interlocutore informato, sarebbe obbligato a discutere approfonditamente con lui vantaggi e svantaggi della sua terapia. In tal modo si potrebbe assicurare che la scelta ricada su una terapia idonea e nei limiti del possibile economicamente vantaggiosa. Ciò è tanto più importante in quanto sempre più spesso i pazienti sono chiamati a contribuire a finanziare il sistema sanitario, ad esempio nei casi in cui sono tenuti a sostenere in proprio parte dei costi dei medicinali (95). Una simile soluzione, basata sul consenso del paziente, avrebbe il vantaggio di tener conto dell’autonomia del paziente, senza mettere in discussione l’autorità del medico che prescrive il medicinale.

116. Un divieto generalizzato, come quello descritto nella questione pregiudiziale, avrebbe invece l’effetto di rendere il paziente, privo di informazioni, maggiormente ricettivo nei confronti di informazioni potenzialmente errate provenienti da fonti non verificabili, come forum di discussione, enciclopedie libere e portali in tema salute su Internet. I gruppi di auto-aiuto, di pazienti e familiari in questi casi hanno un’assoluta necessità di informazioni sulla cui correttezza e obiettività possano contare. L’esigenza di mettere a disposizione del consumatore informazioni provenienti da fonti attendibili risulta ancora più impellente se si considera l’ampio numero di reportage su temi inerenti alla salute che vengono proposti su Internet, ma anche sulla stampa e in televisione, di cui non sempre viene garantita la serietà e la completezza e correttezza dei contenuti (96). La pubblicazione da parte di terzi di contributi non sottoposti al vaglio di specialisti del settore può ingenerare nel pubblico confusione e disinformazione. Un’interpretazione eccessivamente ampia dell’art. 88, n. 1, della direttiva 2001/83 contrasterebbe alla fine con l’obiettivo stesso del divieto di pubblicità di medicinali, ossia quello di tutelare la salute pubblica dai rischi di una pubblicità «eccessiva e sconsiderata» per i pazienti.

117. Per garantire che il paziente non rinunci a consultare un medico, basterebbe in linea di principio obbligare il produttore ad avvertire sul proprio sito i potenziali clienti che la consultazione delle informazioni ivi pubblicate non sostituisce la visita di un medico. Appare dubbio, quindi, che un divieto generale che vieti categoricamente al produttore di pubblicare sul proprio sito Internet informazioni obiettive sui medicinali da lui prodotti sia utile a tutelare efficacemente la salute. In un tale contesto la nozione di pubblicità di medicinali non può che interpretarsi in senso restrittivo.

c)      Osservazioni de lege ferenda

118. In conclusione occorre richiamare la proposta della Commissione del 10 dicembre 2008 di modifica della direttiva 2001/83 (97), volta ad introdurre un nuovo titolo VIII bis («Comunicazione al pubblico di informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione medica») e ad escludere, a determinate condizioni, talune informazioni su medicinali soggetti a prescrizione dal divieto di pubblicità.

119. L’art. 100 bis della proposta di direttiva stabilisce che «gli Stati membri autorizzano i titolari di autorizzazione all’immissione in commercio a comunicare al pubblico o a suoi membri, direttamente o indirettamente tramite terzi, le informazioni sui medicinali autorizzati soggetti a prescrizione medica, a condizione che queste siano conformi alle disposizioni del presente titolo». In base alla citata disposizione, queste informazioni non costituiscono pubblicità. A giustificazione di tale previsione la Commissione osserva nell’ottavo ‘considerando’ che «i titolari delle autorizzazioni all’immissione in commercio possono essere una fonte di informazioni non promozionali sui medicinali». Questa valutazione si pone in linea anche con la posizione assunta nell’ambito del presente procedimento (98). In conformità del dodicesimo ‘considerando’ della proposta della Commissione, tale disposizione dovrebbe trovare espressa applicazione anche nel caso delle informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione pubblicate su Internet.

120. L’art. 100 ter elenca la tipologia di informazioni che il titolare di autorizzazioni può diffondere. Dalla disposizione si evince che si tratta di informazioni relative al prodotto – il riassunto delle caratteristiche del prodotto, l’etichettatura e il foglietto illustrativo relativi al medicinale, nonché la relazione di valutazione accessibile al pubblico elaborata dalle autorità competenti –, sottoposte al controllo delle autorità e quindi di indubbia obiettività. Questi elementi riflettono esattamente la fattispecie oggetto della causa principale. Fatte salve eventuali modifiche che la proposta di direttiva potrebbe subire nel corso dell’iter legislativo, le informazioni pubblicate dalla MSD su Internet non andrebbero quindi qualificate come pubblicità e non sarebbero di conseguenza vietate.

121. Questa iniziativa legislativa si riallaccia al processo innescato con la modifica del codice comunitario introdotta dalla direttiva 2004/27/CE, volta a distinguere chiaramente tra informazioni obiettive e pubblicità. È stato così introdotto nel codice comunitario il titolo VIII bis «Informazione e pubblicità» che prevede, all’art. 88 bis, che entro tre anni la Commissione presenti una relazione sulle attuali prassi in materia di informazione, in particolare via Internet. Sulla base di tali dati, la Commissione formulerà proposte che definiscano una strategia informativa tale da garantire un’informazione di qualità, obiettiva, affidabile e di carattere non promozionale sui medicinali.

122. Questi interventi possono essere letti come una reazione di fronte ai rischi legati ad una nozione troppo ampia di pubblicità nella normativa in materia di medicinali. Sono l’espressione di una tendenza maggiormente liberale all’interno degli organi dell’Unione che partecipano all’attività legislativa in materia di diffusione di informazioni obiettive sui medicinali soggetti a prescrizione medica, nell’intento di raggiungere un equilibrio ottimale tra la tutela della salute e i diritti fondamentali del consumatore e del produttore. Ritengo che, nell’interpretazione della direttiva 2001/83, non si possa qui ignorare questa tendenza di fondo, che presenta elementi in comune con la posizione sostenuta in questa sede.

3.      Considerazioni finali

123. Alla luce di quanto sopra esposto, pervengo alla conclusione che occorre dare un’interpretazione della nozione di pubblicità dei medicinali conforme ai diritti fondamentali per conciliare la tutela della salute pubblica, da un lato, con i diritti fondamentali del consumatore e del produttore, dall’altro. Quanto alla distinzione tra semplice informazione e pubblicità, il criterio dirimente va rinvenuto nello scopo perseguito di volta in volta con il messaggio. Compete in linea di principio al giudice nazionale valutare se, alla luce delle circostanze concrete dello specifico caso, sia ravvisabile o meno un intento promozionale. Nel valutare se l’informazione viene pubblicata con intento pubblicitario occorre tener conto, in particolare, della paternità, dell’oggetto e del contenuto dell’informazione controversa, della cerchia di destinatari e delle caratteristiche tecniche del mezzo utilizzato per la diffusione delle informazioni. Disponendo delle informazioni essenziali relative alla fattispecie oggetto della causa principale, la Corte, nell’esercizio sua competenza interpretativa, può pronunciarsi sulla questione che le è stata sottoposta (99).

124. Tenuto conto dei suddetti principi, occorre risolvere la questione pregiudiziale dichiarando che l’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83 deve essere interpretato nel senso che non vi rientra una pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione quale quella oggetto della causa principale, se essa contiene unicamente informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e che diventano comunque accessibili a chiunque acquisti il prodotto e se tali informazioni non vengono presentate di propria iniziativa agli interessati, ma sono accessibili solo su Internet a chi effettua una ricerca specifica.

125. Poiché la messa a disposizione di informazioni sui medicinali su Internet con le modalità descritte nella questione pregiudiziale non è compresa, in base all’interpretazione restrittiva qui sostenuta, nella nozione di pubblicità di medicinali, viene meno la necessità di valutare la compatibilità dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva con il diritto primario (100).

VI – Conclusione

126. Sulla base delle considerazioni sopra svolte, propongo alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale sottoposta dal Bundesgerichtshof come segue:

«L’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, va interpretato nel senso che non vi rientra una pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione quale quella oggetto della causa principale, se essa contiene unicamente informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e che diventano comunque accessibili a chiunque acquisti il prodotto e se tali informazioni non vengono presentate di propria iniziativa agli interessati, ma sono accessibili solo su Internet a chi effettua una ricerca specifica».


1 – Lingua originale: il tedesco.


      Lingua processuale: il tedesco


2 – A seguito del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea (GU C 306, pag. 1), il procedimento pregiudiziale è attualmente disciplinato dall’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.


3 – GU L 311, pag. 67.


4 – GU L 136, pag. 34.


5 – BGBl. I, pag. 3068.


6 – BGBl. I, pag. 984.


7 – Sentenza 17 ottobre 2002 (ricorso n. 37928/97).


8 – V. pronuncia del Bundesverfassungsgericht 30 aprile 2004 (1 BvR 2334/03).


9 – Sentenza 2 aprile 2009, causa C‑421/07, Damgaard (Racc. pag. I‑2629).


10 – Sentenza cit. alla nota 9, punto 28.


11 – V. sentenza 8 novembre 2007, causa C‑374/05, Gintec (Racc. pag. I‑9517).


12 – Ibidem, punti 20 e 39. V. anche Meyer, F., «Das strenge deutsche Heilmittelrecht – ein Fall für den Europäischen Gerichtshof», Pharma Recht, 2007, pag. 231, che osserva come l’insieme delle disposizioni in materia di pubblicità contenute nella direttiva formino un sistema complesso e compiuto il quale in linea di principio non ammette deroghe.


13 – V. sentenza Gintec, cit. alla nota 11, punto 26.


14 – V. le conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 18 novembre 2008, causa C‑421/07, Damgaard, cit. alla nota 9, paragrafo 34. In questo senso si veda anche De Grove-Valdeyron, N., «Vers un marché unique des médicaments: acquis et nouvelles orientations communautaires», Cahiers de droit européen, Anno 45 (2009), nn. 3-4, pag. 357.


15 – Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio 20 dicembre 2007, COM(2007) 862 def., concernente la relazione sulle attuali prassi in materia di comunicazione e di informazioni sui medicinali ai pazienti, pagg. 3 e 10.


16 – V. le conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 18 novembre 2008, causa Gintec (sentenza cit. alla nota 11, paragrafo 60), il quale sostiene di non avere dubbi quanto al fatto che la direttiva 2001/83, sensibile alla preoccupazione espressa nel Trattato CE per la salute, intenda favorire un uso corretto e razionale dei medicinali [quarantesimo ‘considerando’; artt. 87, n. 3, primo trattino e 89, n. 1, lett. b), secondo e terzo trattino], vietando la pubblicità eccessiva e sconsiderata (quarantacinquesimo ‘considerando’), al pari della pubblicità idonea a trarre in inganno il pubblico circa le proprietà del prodotto [artt. 89, n. 3, secondo trattino e 90, lett. j)]. V. altresì sentenza Damgaard, cit. alla nota 9, punti 22 e 29, e sentenza 22 aprile 2010, causa C‑62/09, Association of the British Pharmaceutical Industry (Racc. pag. I‑3603, punto 30).


17 – V. sentenza 11 dicembre 2003, causa C‑322/01, Deutscher Apothekerverband (Racc. pag. I‑14887, punto 117).


18 – Tale norma stabilisce che i medicinali sono soggetti a prescrizione medica quando possono presentare un pericolo, direttamente o indirettamente, anche in condizioni normali di utilizzazione, se sono usati senza controllo medico.


19 – V., in tal senso, sentenze 27 marzo 1963, cause riunite da 28/62 a 30/62, Da Costa e a. (Racc. pag. 59, in particolare pag. 76); 1° marzo 1973, causa 62/72, Bollmann (Racc. pag. 269, punto 4); 10 luglio 1997, causa C‑261/95, Palmisani (Racc. pag. I‑4025, punto 31), e 12 febbraio 2008, causa C‑2/06, Kempter (Racc. pag. I‑411, punti 41 e 42).


20 – V. le conclusioni dell’avvocato generale Kokott del 10 luglio 2008, causa C‑404/07, Katz (sentenza 9 ottobre 2008, Racc. pag. I‑7607, paragrafo 28). V., inoltre, quanto al ruolo delle parti nel procedimento pregiudiziale, le mie conclusioni del 6 luglio 2010, causa Pénzügyi Lízing, paragrafo 80 (sentenza 9 novembre 2010, causa C‑137/08, Racc. pag. I‑10847).


21 – V. sentenze 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit (Racc. pag. 3415, punto 9); 6 luglio 2000, causa C‑402/98, ATB e a. (Racc. pag. I‑5501, punti 30 e 31); 10 gennaio 2006, causa C‑344/04, IATA e ELFAA (Racc. pag. I‑403, punto 28), e 30 novembre 2006, causa C‑376/05, Brünsteiner (Racc. pag. I‑11383, punti 27 e 28).


22 – V. sentenze 20 marzo 1997, causa C‑352/95, Phyteron (Racc. pag. I‑1729, punto 14), e 17 settembre 1998, causa C‑412/96, Kainuun Liikenne e Pohjolan Liikenne (Racc. pag. I‑5141, punto 24).


23 – V. sentenze 13 dicembre 1983, causa 218/82, Commissione/Consiglio (Racc. pag. 4063, punto 15); 4 dicembre 1986, causa 205/84, Commissione/Germania (Racc. pag. 3755, punto 62), e 25 novembre 1986, cause riunite 201/85 e 202/85, Klensch/Secrétaire d’État (Racc. pag. 3477, punto 21).


24 – In tal senso, Leible, S./Domröse, R., «Die primärrechtskonforme Auslegung», Europäische Methodenlehre (a cura di Karl Riesenhuber), Berlino, 2006, pagg. 187 e 188, che rimandano alla sentenza 9 marzo 2006, causa C‑499/04, Werhof (Racc. pag. I‑2397, punto 32). In tale occasione la Corte ha ricordato che «secondo una giurisprudenza costante della Corte, per interpretare le disposizioni della direttiva, occorre prendere in considerazione il principio dell’unità dell’ordinamento giuridico comunitario, il quale esige che il diritto derivato della Comunità venga interpretato conformemente ai principi generali del diritto comunitario».


25 – V. sentenza 17 luglio 1997, causa C‑334/95, Krüger (Racc. pag. I‑4517, punti 23 e 35). In tal senso, Lenaerts, K./Arts, D./Maselis, I. Procedural Law of the European Union, 2ª ed., Londra, 2006, punto 2-021, pag. 50, secondo cui la Corte può accertare se la questione concernente la validità si fondi su una corretta interpretazione dell’atto di diritto secondario controverso. La Corte arriverà in genere ad interpretare la norma in modo tale da rendere superfluo un esame della disposizione alla luce delle norme di rango superiore, fondandosi l’eccepita violazione del Trattato su una diversa interpretazione della norma.


26 – Secondo Leible, S./Domröse, R., loc. cit. (nota 24), pagg. 186 e 187, un’interpretazione conforme al diritto primario non esclude che già nel processo di interpretazione – nell’ambito di un’interpretazione sistematica e teleologica della norma – ci si possa orientare ai precetti del diritto primario, escludendo una possibile interpretazione che contrasti con esso, senza attendere l’esito del processo di interpretazione per poi valutarlo alla luce dei criteri del diritto primario.


27 – In tal senso, anche Gellissen, G., Arzneimittelwerbung im Internet, Amburgo, 2008, pag. 149.


28 – V. González Vaqué, L., «Publicidad e información sobre los medicamentos: dos conceptos difíciles de delimitar en el ámbito del Derecho comunitario», Revista electrónica de Derecho del Consumo y de la Alimentación, n. 21 (2009), pag. 34, il quale osserva che l’informazione non deve necessariamente avere un carattere promozionale.


29 – Correttamente Michaux, G., «La publicité et l’information relative aux médicaments en droit européen», European Journal of Consumer Law, 2-3/2009, pag. 349, evidenzia che non esistono né una definizione di «altra informazione», né criteri per una sua distinzione rispetto alla «pubblicità». Ritengo sia compito della Corte individuare in sede interpretativa idonei criteri che permettano di operare una distinzione, così da garantire che la direttiva 2001/83 venga applicata in conformità del principio della certezza giuridica.


30 – In tal senso, Lorz, A., «Internetwerbung für verschreibungspflichtige Arzneimittel aus gemeinschaftsrechtlicher Perspektive», Gewerblicher Rechtsschutz und Urheberrecht - Internationaler Teil, 2005, pag. 895.


31 – V. le conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nella causa Damgaard (cit. alla nota 14, paragrafo 38).


32 – V. sentenza Damgaard (cit. alla nota 9, punto 23). Secondo González Vaqué, L., loc. cit. (nota 28), pag. 41, l’accertamento della finalità promozionale può rappresentare solo il punto di partenza per distinguere tra pubblicità e altre informazioni. La Corte ha rimesso alle autorità e ai tribunali nazionali il compito di stabilire, nel singolo caso, se una determinata comunicazione miri o meno a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali.


33 – Secondo la giurisprudenza della Corte compete al giudice nazionale applicare le disposizioni del diritto nazionale interpretandole, per quanto possibile, alla luce del testo e dello scopo della direttiva in esame onde conseguire il risultato da questa perseguito (v. sentenze Gintec, cit. alla nota 11, punto 38, e 5 ottobre 2004, cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I‑8835, punto 113).


34 – V. paragrafo 57 delle presenti conclusioni.


35 – V. in senso analogo, con riguardo alla normativa di attuazione tedesca, Stoll, V., «Das Publikumswerbeverbot für verschreibungspflichtige Arzneimittel – erste Anzeichen einer Auflockerung», Pharma Recht, 2004, pagg. 101 e 102, secondo il quale la giustificazione sotto il profilo dei diritti fondamentali del divieto di pubblicità presso il pubblico impone un processo di contemperamento. L’autore riconosce in questo divieto una limitazione di diritti fondamentali tutelati in capo sia al produttore, sia al paziente.


36 – A una conclusione analoga è giunto l’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer al paragrafo 74 delle sue conclusioni nella causa Damgaard (cit. alla nota 14), laddove dichiara che l’intento di tutelare la salute pubblica deve adeguarsi alle peculiarità della libertà di espressione in quanto la tutela prevista da tale diritto viene concessa anche alle manifestazioni che le autorità sanitarie ritengono pericolose per il menzionato obiettivo di tutela della salute. Schroeder, W., «Die Auslegung des EU-Rechts», Juristische Schulung, 2004, n. 3, pag. 182, si riferisce al riguardo alla necessità di un’interpretazione conforme alla costituzione. Ne consegue in particolare che l’interpretazione del diritto dell’Unione deve sempre conformarsi ai diritti fondamentali dell’Unione e al principio di proporzionalità.


37 – V., in particolare, sentenze 18 giugno 1991, causa C‑260/89, ERT (Racc. pag. I‑2925, punto 41); 29 maggio 1997, causa C‑299/95, Kremzow (Racc. pag. I‑2629, punto 14), e 3 settembre 2008, cause riunite C‑402/05 P e C 415/05 P, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (Racc. pag. I‑6351, punto 284).


38 – V., in particolare, sentenze ERT (cit. alla nota 37, punto 41); 6 marzo 2001, causa C‑274/99 P, Connolly/Commissione (Racc. pag. I‑1611, punto 37); 22 ottobre 2002, causa C‑94/00, Roquette Frères (Racc. pag. I‑9011, punto 25); 12 giugno 2003, causa C‑112/00, Schmidberger (Racc. pag. I‑5659, punto 71); 27 giugno 2006, causa C‑540/03, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑5769, punto 35); 18 gennaio 2007, causa C‑229/05 P, PKK e KNK/Consiglio (Racc. pag. I‑439, punto 76), e 25 marzo 2004, causa C‑71/02, Karner (Racc. pag. I‑3025, punto 48).


39 – GU C 364, pag. 1.


40 – V. sentenze 14 febbraio 2008, causa C‑244/06, Dynamic Medien (Racc. pag. I‑505, punto 42); 11 dicembre 2007, causa C‑438/05, International Transport Workers’ Federation e Finnish Seamen’s Union (Racc. pag. I‑10779, punto 43), e 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio (cit. alla nota 38, punto 38).


41 – V. sentenze 1º luglio 2010, causa C‑407/08 P, Knauf Gips/Commissione (Racc. pag. I‑6375, punto 91), e 19 gennaio 2010, causa C‑555/07, Kücükdeveci (Racc. pag. I‑365, punto 22).


42 – Sentenza 6 novembre 2003, causa C‑101/01, Bodil Lindqvist (Racc. pag. I‑12971, punto 87).


43 – V. sentenze ERT (cit. alla nota 37, punto 42); 4 ottobre 1991, causa C‑159/90, Grogan (Racc. pag. I‑4685, punto 31), Kremzow (cit. alla nota 37, punto 15), e Karner (cit. alla nota 38, punto 49).


44 – V. sentenze 17 gennaio 1984, cause riunite 43/82 e 63/82, VBVB e VBBB/Commissione (Racc. pag. 19, punto 34); 11 luglio 1985, cause riunite 60/84 e 61/84, Cinéthèque e a. (Racc. pag. 2605); 26 aprile 1988, causa 352/85, Bond van Adverteerders e a. (Racc. pag. 2085, punto 40); 13 dicembre 1989, causa 100/88, Oyowe e Traore/Commissione (Racc. pag. 4285, punto 16); ERT (cit. alla nota 37, punto 44); 25 luglio 1991, causa 288/89, Collectieve Antennevoorziening Gouda (Racc. pag. I‑4007, punto 23) e causa 353/89, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑4069, punto 30); 5 ottobre 1994, causa C‑23/93, TV10 (Racc. pag. I‑4795, punti 23 e 24); 26 giugno 1997, causa C‑368/95, Familiapress (Racc. pag. I‑3689, punto 26); 11 luglio 2002, causa C‑60/00, Carpenter (Racc. pag. I‑6279, punto 42), e Karner (cit. alla nota 38, punto 50).


45 – V. Streinz, R., EUV/EGV-Kommentar, Monaco di Baviera, 2003, Art. 11 Grundrechtecharta, paragrafo 11, pag. 2597; Calliess, C., EUV/EGV-Kommentar (a cura di Christian Calliess/Matthias Ruffert), 3ª ed., Monaco di Baviera, 2007, Art. 11 Grundrechtecharta, paragrafi 5 e 6, pag. 2578. Sporn, S., nel suo «Das Grundrecht der Meinungs- und Informationsfreiheit in einer Europäischen Grundrechtscharta», Zeitschrift für Urheber- und Medienrecht, 2000, pag. 540, osserva che il diritto fondamentale alla libertà di espressione deve essere interpretato in maniera estensiva, così da riconoscere la tutela non solo all’espressione di posizioni, bensì anche alle dichiarazioni concernenti un fatto. Nello stesso senso, anche Knecht, M., EU-Kommentar (a cura di Jürgen Schwarze), 2ª ed., Baden-Baden, 2009, Art. 11 Grundrechtecharta, paragrafo 6, pag. 2229, secondo il quale la nozione di espressione deve essere intesa in maniera molto ampia, così da ricomprendere le dichiarazioni relative ad un fatto, corrette o scorrette che siano, e anche i giudizi di valore.


46 – V. sentenze Karner (cit. alla nota 38, punto 51), e 23 ottobre 2003, causa C‑245/01, RTL Television (Racc. pag. I‑12489, punto 73); v. anche le conclusioni dell’avvocato generale Fennelly del 15 giugno 2000, causa C‑376/98, Germania/Parlamento e Consiglio (sentenza 5 ottobre 2000, Racc. pag. I‑8423, punti 154 e segg.). V. Corte eur. D.U., sentenze Markt intern Verlag GmbH e Klaus Beermann del 20 novembre 1989, Serie A, n. 165, e VGT Verein c. Tierfabriken/Schweiz, del 28 giugno 2001, Recueil des arrêts et décisions 2001-VI. V. anche Streinz, R., loc. cit. (nota 45), paragrafo 11, pag. 2597; Calliess, C., loc. cit. (nota 45), paragrafi 6 e 10, pagg. 2578 e 2579; Reid, K., A practioner’s Guide to the European Convention on Human Rights, 2ª ed., Londra, 2004, paragrafo IIB‑1765, pag. 318.


47 – V. Corte eur. D.U., sentenza Casado Coca e Spagna, 24 febbraio 1994, Serie A, n. 285, §§ 35 e 36.


48 – V. anche Lorz, A., loc. cit. (nota 30), pag. 902.


49 – Sentenza Damgaard (cit. alla nota 9, punto 25).


50 – Ibidem (punto 26), e sentenza Karner (cit. alla nota 38, punto 50).


51 – V. sentenza 10 dicembre 2002, causa C‑491/01, British American Tobacco (Racc. pag. I‑11453, punto 150).


52 – V. Corte eur. D.U., sentenza Stambuk c. Germania del 17 ottobre 2002 (ricorso n. 37928/97, punti 39 e 41).


53 – Conclusioni dell’avvocato generale Fennelly nella causa Germania/Parlamento europeo e Consiglio (cit. alla nota 46, paragrafo 164).


54 – V. Grabenwarter, C., Europäische Menschenrechtskonvention, 4ª ed., Monaco di Baviera, 2009, punto 5, pag. 269.


55 – V. Calliess, C., loc. cit. (nota 43), punto 8, pag. 2579.


56 – V. Frowein, J., Europäische Menschenrechtskonvention, Kehl/Straßburg/Arlington 1985, punto 2, pag. 225.


57 – V. paragrafi 78‑80 delle presenti conclusioni.


58 – V. Streinz, R., loc. cit. (nota 45), punto 4, pag. 2607, secondo cui la Corte, per via dei casi che le sono stati sottoposti, avrebbe sviluppato sino ad oggi la libertà professionale come principio generale del diritto dell’Unione solo in relazione alla libertà di impresa. In senso analogo si è espresso anche Knecht, M., loc. cit. (nota 45), punto 1, pag. 2237.


59 – V. sentenze 14 maggio 1974, causa 4/73, Nold/Commissione (Racc. pag. 491, punto 14); 17 ottobre 1995, causa C‑44/94, Fishermen’s Organisations e a. (Racc. pag. I‑3115, punto 55); 28 aprile 1998, causa C‑200/96, Metronome Musik (Racc. pag. I‑1953, punto 21); 10 luglio 2003, cause riunite C‑20/00 e C‑64/00, Booker Aquaculture e Hydro Seafood (Racc. pag. I‑7411, punto 68), e 15 luglio 2004, cause riunite C‑37/02 e C‑38/02, Di Lenardo e Dilexport (Racc. pag. I‑6911, punto 82).


60 – V. Streinz, R., loc. cit. (nota 45), punto 11, pag. 2597.


61 – V. Grabenwarter, C., loc. cit. (nota 54), punto 6, pag. 269.


62 – V., ad esempio, con riguardo al divieto di pubblicità dei medicinali nel diritto tedesco, Stebner, F., «Einschränkende Auslegung einzelner Normen des HWG am Beispiel des BGH-Urteils vom 1. März 2007 (I ZR 51/04) sowie anderer Urteile und rechtspolitische Überlegungen», Pharma Recht, 2008, pag. 25, che chiarisce come la legge in materia di pubblicità sui medicinali (HWG) 11 luglio 1965 contenga numerose restrizioni con riguardo, in particolare, alla pubblicità presso il pubblico. Nel contempo l’autore segnala però le condizioni profondamente mutate dall’entrata in vigore della legge, con la conseguenza che i pazienti hanno responsabilità maggiori e necessitano di più ampie informazioni, cui possono supplire una molteplicità di fonti, tra cui ad esempio Internet.


63 – V. nota 15 delle presenti conclusioni.


64 – V. sezione 3 («Bisogni dei pazienti in materia di comunicazione di informazioni: vantaggi e rischi») della comunicazione della Commissione.


65 – V. Libro bianco, «Un impegno comune per la salute: approccio strategico dell’UE per il periodo 2008-2013» della Commissione del 23 ottobre 2007, COM(2007) 630 def., punto 2 («Una strategia basata su valori sanitari condivisi»).


66 – V. sezione 2.1 («Prassi negli Stati membri») della comunicazione della Commissione.


67 – In tal senso si è espresso già l’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nelle sue conclusioni nella causa Damgaard (cit. alla nota 14, punto 56). In senso conforme anche N. De Grove-Valdeyron, loc. cit. (nota 14), pag. 356.


68 – Sentenza 28 ottobre 1992, causa C‑219/91, Ter Voort (Racc. pag. I‑5485).


69 – Direttiva del Consiglio 26 gennaio 1965, 65/65/CEE, per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative alle specialità medicinali (GU 22, pag. 369).


70 – Sentenza Ter Voort (cit. alla nota 68, punto 26; il corsivo è mio).


71 – Ibidem (punto 27; il corsivo è mio).


72 – Sentenza Damgaard (cit. alla nota 9, punto 24). La Corte ha accolto sul punto la posizione espressa dall’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer al paragrafo 56 delle proprie conclusioni del 18 novembre 2008, secondo il quale l’esistenza di un vincolo tra l’autore della divulgazione e l’impresa farmaceutica opera come indizio di particolare rilevanza. L’avvocato generale osserva nel dettaglio che tale collegamento non è un fattore definitivo, ma un indizio di particolare rilevanza, poiché non è frequente che un terzo diffonda con finalità promozionale dati su un medicinale.


73 – In tal senso altresì Hoff, K., «Zulässigkeit des Einstellens von Beiträgen über Arzneimittel bei Wikipedia und diesbezügliche Überwachungspflichten und Löschungsansprüche pharmazeutischer Unternehmen», Pharma Recht, 2010, pag. 49, secondo il quale per le imprese farmaceutiche le informazioni sui medicinali diffuse tramite Internet si pongono in generale, e più specificamente quando pubblicate su Wikipedia, al confine tra informazione dei pazienti e interessi di marketing, da un lato, e, sotto il profilo giuridico, dall’altro, tra pubblicità dei medicinali e responsabilità civile. Un contributo su un medicinale pubblicato su Wikipedia avente contenuto non corretto o tenore negativo potrebbe comportare pericoli considerevoli per i pazienti e gravi conseguenze economiche per il produttore del medicinale; è pertanto ravvisabile un interesse dell’impresa alla rettifica o rimozione di un simile contributo.


74 – V. punto 14 delle osservazioni della Commissione.


75 – La Corte ha riconosciuto gli obblighi professionali del medico che prescrive medicinali da ultimo nella sentenza Association of the British Pharmaceutical Industry (cit. alla nota 16, punti 40 e 41). Ivi ha evidenziato che il medico che prescrive medicinali è tenuto, da un punto di vista deontologico, a non prescrivere un determinato medicinale se quest’ultimo non è idoneo al trattamento terapeutico del suo paziente, malgrado l’esistenza di incentivi pubblici finanziari pubblici alla prescrizione di tale medicinale. La Corte ha poi osservato che i medici sono abilitati ad esercitare la loro professione solo sotto il controllo delle autorità sanitarie pubbliche, controllo svolto tanto direttamente quanto indirettamente mediante le organizzazioni professionali.


76 – V. altresì sul punto Hondius, E., «General Introduction», in: The development of medical liability (a cura di Ewould Hondius), volume 3, 2009, pag. 7, il quale osserva che la condotta dei medici è soggetta non solo alla responsabilità civile ma anche a obblighi professionali ed etici. Quale esempio di un simile obbligo, l’autore cita l’associazione professionale dei medici «Ordre des médecins», fondata in Francia nel 1940, che ha pubblicato nel 1941 il primo codice etico dell’ordine dei medici. L’autore evidenzia che nel corso del XIX secolo sono state fondate in molti Stati membri associazioni professionali con lo scopo di attestare la competenza scientifica della classe medica. Esse hanno contribuito a garantire una certa professionalità nella condotta del medico, indipendentemente dal fatto che il trattamento sia stato eseguito da un membro riconosciuto dell’ordine o da un principiante.


77 – V. punto 14 della ordinanza di rinvio.


78 – In tal senso anche Marwitz, P., «Internetapotheken zwischen Gerichten und Gesetzgebern», Multimedia und Recht, 2004, pag. 218.


79 – V. punto 12 delle osservazioni del governo del Regno Unito.


80 – V. punto 17 delle osservazioni della Commissione.


81 – V. punto 10 delle osservazioni del governo danese.


82 – Correttamente Michaux, G., loc. cit. (nota 29), pag. 369, solleva la questione che Internet presenta particolari problemi, poiché i produttori di medicinali possono potenzialmente strutturare un portale pubblicitario accessibile a chiunque (pazienti e medici).


83 – V. Marwitz, P., «Heilmittel im Internet», Multimedia und Recht, 1999, pagg. 84 e 87, che spiega come Internet – a differenza di altri strumenti di comunicazione rivolti alla collettività – permette di limitare la diffusione delle informazioni a un gruppo circoscritto di utenti, applicando una password di sicurezza. L’autrice ritiene che un sistema di password eviterebbe di porsi in contrasto con le finalità della legge. Analogamente Dieners, P./Reese, U./Gutmans, A./Vonzun, R., Handbuch des Pharmarechts, 1ª ed., Monaco di Baviera, 2010, §23, punto 123, ed Eggenberger Stöckli, U., «Praxis der schweizerischen Behörde Swissmedic zur Arzneimittelwerbung im Internet», Pharma Recht, 2007, n. 3, pag. 130, che rimandano alla possibilità di introdurre limitazioni d’accesso per la pubblicità scientifica, come caldeggiato dalla Swissmedic in un manuale sulla pubblicità dei medicinali su Internet dell’agosto 2006 e come da questa previste dal 1°gennaio 2007.


84 – V. punto 23 delle osservazioni della Commissione.


85 – In tal senso si esprime anche Stoll, V., loc. cit. (nota 35), pag. 104.


86 – V. punto 31 delle osservazioni del governo portoghese.


87 – Anche Gellissen, G., loc. cit. (nota 27), pag. 167, ritiene che la pubblicità, qualora oggetto di una specifica ricerca da parte dell’utente, non sia tanto pericolosa quanto quella che viene imposta all’utente.


88 – V. paragrafi 85‑87 delle presenti conclusioni.


89 – V., sul criterio del consumatore nella giurisprudenza della Corte, sentenze 16 gennaio 1992, causa C‑373/90, X (Racc. pag. I‑131, punti 15 e 16); 16 luglio 1998, causa C‑210/96, Gut Springenheide e Tusky (Racc. pag. I‑4657, punto 31); 4 maggio 1999, cause riunite C‑108/97 e C‑109/97, Windsurfing Chiemsee (Racc. pag. I‑2779, punto 29); 13 gennaio 2000, causa C‑220/98, Estée Lauder (Racc. pag. I‑117, punto 27); 21 giugno 2001, causa C‑30/99, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I‑4619, punto 32); 24 ottobre 2002, causa C‑99/01, Linhart e Biffl (Racc. pag. I‑9375, punto 31); 8 aprile 2003, causa C‑44/01, Pippig Augenoptik (Racc. pag. I‑3095, punto 55); 12 febbraio 2004, causa C‑363/99, Koninklijke KPN Nederland (Racc. pag. I‑1619, punto 77) e causa C‑218/01, Henkel (Racc. pag. I‑1725, punto 50); 9 marzo 2006, causa C‑421/04, Matratzen Concord (Racc. pag. I‑2303, punto 24), e 19 settembre 2006, causa C‑356/04, Lidl Belgium (Racc. pag. I‑8501, punto 78). V. inoltre i paragrafi 101e 102 delle mie conclusioni del 24 marzo 2010 nella causa C-540/08, Mediaprint, (sentenza 9 novembre 2010, Racc. pag. I‑10909).


90 – Analogamente Reese, U., «Zur Bedeutung des Verbraucherleitbilds für das nationale und europäische Heilmittelwerberecht», Pharma Recht, 2002, pag. 242, ritiene che il modello di informazione che sta alla base del modello di consumatore europeo vada realizzato anche nel settore della pubblicità di medicinali. Secondo tale tesi le norme in materia di medicinali devono essere formulate ed interpretate nel senso di ammettere la pubblicazione di informazioni obiettive e pertinenti destinate sia a specialisti del settore, sia ai profani. Eventuali violazioni di questo principio devono avere carattere eccezionale. Esse presuppongono una giustificazione oggettiva e devono essere valutate sulla base del principio di proporzionalità. L’autore ritiene che, proprio nel settore della salute, i consumatori abbiano interesse a un accesso possibilmente libero ad informazioni che possano comprendere e valutare correttamente.


91 – Secondo una giurisprudenza costante, per stabilire se un prodotto sia ricompreso nella definizione di medicinale per funzione ai sensi della direttiva 2001/83, le autorità nazionali, che agiscono sotto il controllo del giudice, devono decidere caso per caso, tenendo conto di tutte le caratteristiche del prodotto, tra le quali, in particolare, la composizione, le proprietà farmacologiche quali risultano allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, le modalità d’uso, l’ampiezza della sua diffusione, la conoscenza che ne hanno i consumatori e i rischi che possono derivare dalla sua utilizzazione. V. sentenze 15 gennaio 2009, causa C‑140/07, Hecht-Pharma (Racc. pag. I‑41, punto 32); 15 novembre 2007, causa C‑319/05, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑9811, punto 55); 29 aprile 2004, causa C‑387/99, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑3751, punto 57); 16 aprile 1991, causa C‑112/89, Upjohn (Racc. pag. I‑1703, punto 23); 20 maggio 1992, causa C‑290/90, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑3317, punto 17); 21 marzo 1991, causa C‑60/89, Monteil e Samanni (Racc. pag. I‑1547, punto 2), e 30 novembre 1983, causa 227/82, Van Bennekom (Racc. pag. 3883, punto 29).


92 – Anche Stebner, F., loc. cit. (nota 62), pag. 25, si è espresso in tal senso osservando che è incontestata, al di fuori del gruppo degli specialisti, la necessità di strumenti di controllo per evitare i rischi per la salute dei pazienti che possono derivare da un’automedicazione disinformata. Mancando di conoscenze specifiche, i consumatori vanno protetti dai rischi specifici che possono arrecare loro i servizi o i prodotti pubblicizzati. Ciò è tanto più vero in quanto i pazienti, a causa delle malattie da cui sono affetti, si vengono a trovare in uno stato psicologico particolare che li induce a credere in modo acritico ai messaggi promozionali.


93 – Anche la Commissione lo ha riconosciuto nel suo Libro bianco «Un impegno comune per la salute: approccio strategico dell’UE per il periodo 2008-2013», cit. al paragrafo 65.


94 – V. paragrafo 99 delle presenti conclusioni.


95 – Ai sensi dell’art. 168, n. 7, TFUE, il diritto comunitario non pregiudica la competenza degli Stati membri a impostare i loro sistemi di previdenza sociale e ad adottare, in particolare, norme miranti a disciplinare il consumo dei prodotti farmaceutici salvaguardando l’equilibrio finanziario dei loro sistemi sanitari (v. sentenze 2 aprile 2009, cause riunite da C‑352/07 a C‑356/07, da C‑365/07 a C‑367/07 e C‑400/07, A. Menarini e a., Racc. pag. I‑2495, punto 19, e Association of the British Pharmaceutical Industry, cit. alla nota 16, punto 36). I sistemi sanitari degli Stati membri presentano per tale motivo differenze considerevoli. V., ad esempio, quanto al ruolo dell’assistenza sanitaria pubblica e privata nel Regno Unito e in Spagna, in Austria, Francia e Paesi Bassi, Hondius, E., loc. cit. (nota 76), pag. 4.


96 – In senso conforme, Lorz, A., loc. cit. (nota 30), pag. 898.


97 – Proposta di direttiva della Commissione 10 dicembre 2008, che modifica, per quanto riguarda la comunicazione al pubblico di informazioni sui medicinali per uso umano soggetti a prescrizione, la direttiva 2001/83/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, COM (2008) 663 def.


98 – V. paragrafo 94 delle presenti conclusioni.


99 – Un rinvio al giudice a quo nell’ambito di un procedimento di pronuncia pregiudiziale è permesso, a determinate condizioni, qualora si renda necessario chiarire alcuni fatti o aspetti del diritto nazionale. La Corte comunicherà al giudice nazionale quali misure adottare per decidere la controversia in conformità della sua giurisprudenza (v. sentenze 31 gennaio 1984, cause riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone, Racc. pag. 377, punto 36, e 13 luglio 1989, causa 171/88, Rinner-Kühn, Racc. pag. 2743, punti 14 e 15). Il giudice nazionale non può tuttavia così sottrarsi alla responsabilità, che gli è propria, di interpretare il diritto dell’Unione. Diversamente, qualora la Corte disponga di fatti o aspetti del diritto nazionale incontestati, nulla le vieta di impartire al giudice nazionale precise indicazioni concrete per permettergli di applicare il diritto dell’Unione al caso concreto (in tal senso Lenaerts, K./Arts, D./Maselis, I., cit. al paragrafo 25, punto 2-021, pagg. 191 e 192).


100 – V. paragrafi 65 e 66 delle presenti conclusioni.

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