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Document 62009CC0118
Opinion of Advocate General Trstenjak delivered on 2 June 2010. # Robert Koller. # Reference for a preliminary ruling: Oberste Berufungs- und Disziplinarkommission - Austria. # ‘Court or tribunal’ within the meaning of Article 234 EC - Recognition of diplomas - Directive 89/48/EEC - Lawyer - Entry on the professional roll of a Member State other than that in which the diploma was recognised as equivalent. # Case C-118/09.
Conclusioni dell'avvocato generale Trstenjak del 2 giugno 2010.
Robert Koller.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberste Berufungs- und Disziplinarkommission - Austria.
Nozione di "giurisdizione nazionale" ai sensi dell’art. 234 CE - Riconoscimento dei diplomi - Direttiva 89/48/CEE - Avvocato - Iscrizione all’albo dell’ordine professionale di uno Stato membro diverso da quello in cui il diploma è stato omologato.
Causa C-118/09.
Conclusioni dell'avvocato generale Trstenjak del 2 giugno 2010.
Robert Koller.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberste Berufungs- und Disziplinarkommission - Austria.
Nozione di "giurisdizione nazionale" ai sensi dell’art. 234 CE - Riconoscimento dei diplomi - Direttiva 89/48/CEE - Avvocato - Iscrizione all’albo dell’ordine professionale di uno Stato membro diverso da quello in cui il diploma è stato omologato.
Causa C-118/09.
Raccolta della Giurisprudenza 2010 I-13627
ECLI identifier: ECLI:EU:C:2010:306
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
VERICA TRSTENJAK
presentate il 2 giugno 2010 1(1)
Causa C‑118/09
Mag. Lic. Robert Koller
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Oberste Berufungs- und Disziplinarkommission (Austria)]
«Nozione di organo giurisdizionale nazionale ai sensi dell’art. 234 CE – Oberste Berufungs- und Disziplinarkommission – Direttiva 89/48/CEE – Libera circolazione delle persone – Riconoscimento delle formazioni professionali – Art. 1, lett. a) – Nozione di diploma – Accesso alla professione di avvocato – Iscrizione all’ordine professionale di uno Stato membro diverso da quello che ha riconosciuto l’equipollenza del titolo di studio – Abuso di diritto»
I – Introduzione
1. Nel presente rinvio pregiudiziale la Corte è chiamata a pronunciarsi, ai sensi dell’art. 234 CE (2), in merito all’interpretazione della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (3). La Oberste Berufungs- und Disziplinarkommission (Suprema commissione disciplinare e di appello degli avvocati austriaca; in prosieguo: la «OBDK»), chiede, in sostanza, se, alla luce degli obiettivi della direttiva 89/48, sia ammissibile che un cittadino comunitario che abbia seguito la sua intera formazione universitaria nel suo paese di origine, l’Austria, e che, per effetto di un’omologazione del suo titolo di studio austriaco in Spagna, abbia ottenuto un diploma che gli consenta di accedere alla professione di avvocato in tale paese, possa beneficiare del riconoscimento reciproco del suo diploma spagnolo in Austria al fine di esercitale tale professione nel suo Stato di origine, pur non avendo acquisito in Spagna il livello di esperienza professionale richiesto in Austria.
II – Contesto normativo
A – Normativa comunitaria
2. La direttiva 89/48, applicabile ratione temporis alla causa principale, disciplinava – prima della sua abrogazione, con decorrenza 20 ottobre 2007, per effetto della direttiva 2005/36, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (4) – il reciproco riconoscimento, tra gli Stati membri, dei diplomi di istruzione superiore che sanciscono una formazione professionale di una durata minima di tre anni.
3. Il primo ‘considerando’ della direttiva 89/48 dispone quanto segue:
«considerando che in virtù dell’articolo 3, lettera c) del trattato l’eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e dei servizi costituisce uno degli obiettivi della Comunità; che, per i cittadini degli Stati membri, essa implica segnatamente la facoltà di esercitare una professione, a titolo indipendente o dipendente, in uno Stato membro diverso da quello nel quale essi hanno acquisito le loro qualifiche professionali».
4. Il terzo ‘considerando’ di tale direttiva precisa quanto segue:
«considerando che, onde soddisfare rapidamente le aspettative dei cittadini europei in possesso di diplomi di istruzione superiore che sanciscano formazioni professionali e sono rilasciati in uno Stato membro diverso da quello nel quale essi desiderano esercitare la loro professione, è opportuno istituire anche un altro metodo di riconoscimento di detti diplomi atto ad agevolare l’esercizio di tutte le attività professionali subordinate in un determinato Stato membro ospitante al possesso di una formazione post-secondaria, sempreché essi siano in possesso di siffatti diplomi che li preparino a dette attività, sanzionino un ciclo di studi di almeno tre anni e siano stati rilasciati in un altro Stato membro».
5. Il quinto ‘considerando’ della direttiva così recita:
«considerando che relativamente alle professioni per il cui esercizio la Comunità non ha stabilito il livello minimo di qualifica necessario, gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire detto livello allo scopo di garantire la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio; che tuttavia essi non possono, senza violare gli obblighi loro incombenti in virtù dell’articolo 5 del trattato, imporre ad un cittadino di uno Stato membro di acquisire qualifiche che essi di solito si limitano a determinare riferendosi ai diplomi rilasciati nel quadro dei loro sistemi nazionali di insegnamento, quando l’interessato ha già acquisito in tutto o in parte dette qualifiche in un altro Stato membro; che ogni Stato membro ospitante nel quale una professione è regolamentata è pertanto tenuto a prendere in considerazione le qualifiche acquisite in un altro Stato membro e ad esaminare se esse corrispondono a quelle prescritte dalle disposizioni nazionali».
6. L’art. 1, lett. a), b) e g), della direttiva 89/48 stabilisce quanto segue:
«Ai sensi della presente direttiva si intende:
a) per diploma, qualsiasi diploma, certificato o altro titolo o qualsiasi insieme di diplomi, certificati o altri titoli;
– che sia stato rilasciato da un’autorità competente in uno Stato membro, designata in conformità delle sue disposizioni legislative, regolamentari o amministrative,
– da cui risulti che il titolare ha seguito con successo un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale, in un’università o un istituto di istruzione superiore o in un altro istituto dello stesso livello di formazione e, se del caso, che ha seguito con successo la formazione professionale richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari e
– dal quale risulti che il titolare possiede le qualifiche professionali richieste per accedere ad una professione regolamentata in detto Stato membro o esercitarla,
quando la formazione sancita dal diploma, certificato o altro titolo, è stata acquisita in misura preponderante nella Comunità o quando il titolare ha un’esperienza professionale di tre anni, certificata dallo Stato membro che ha riconosciuto il diploma, certificato o altro titolo rilasciato in un paese terzo.
È assimilato a un diploma ai sensi del primo comma qualsiasi diploma, certificato o altro titolo, o qualsiasi insieme di diplomi, certificati o altri titoli, che sia stato rilasciato da un’autorità competente in uno Stato membro qualora sancisca una formazione acquisita nella Comunità e riconosciuta da un’autorità competente in tale Stato membro come formazione di livello equivalente e qualora esso conferisca gli stessi diritti d’accesso e d’esercizio di una professione regolamentata;
b) per Stato membro ospitante, lo Stato membro nel quale un cittadino di un altro Stato membro chiede di esercitare una professione ivi regolamentata senza aver ottenuto nello stesso il suo diploma o avervi esercitato per la prima volta la professione in questione;
(…)
g) per prova attitudinale, un esame riguardante esclusivamente le conoscenze professionali del richiedente effettuato dalle autorità competenti dello Stato membro ospitante allo scopo di valutare la capacità del richiedente ad esercitare in tale Stato una professione regolamentata.
Per consentire il controllo, le autorità competenti redigono un elenco delle materie che, attraverso un confronto tra la formazione richiesta nello Stato rispettivo e quella ricevuta dal richiedente, non sono comprese nel diploma o nel/nei titolo/i presentato/i dal richiedente.
La prova attitudinale deve prendere in considerazione il fatto che il richiedente è un professionista qualificato nello Stato membro d’origine o di provenienza. Essa verta su materie da scegliere tra quelle che figurano nell’elenco e la cui conoscenza è una condizione essenziale per poter esercitare la professione nello Stato membro ospitante. Questa prova può anche comprendere la conoscenza della deontologia applicabile alle attività in questione nello Stato membro ospitante. Le modalità della prova attitudinale sono determinate dalle autorità competenti di detto Stato membro nel rispetto delle norme del diritto comunitario.
Le autorità competenti dello Stato membro ospitante stabiliscono lo status, in detto Stato membro, del richiedente che desidera prepararsi per sostenere la prova attitudinale in tale Stato».
7. Ai sensi dell’art. 2, primo comma, della direttiva 89/48:
«La presente direttiva si applica a qualunque cittadino di uno Stato membro che intenda esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante».
8. L’art. 3, primo comma, lett. a), della direttiva 89/48 così recita:
«Quando nello Stato membro ospitante l’accesso o l’esercizio di una professione regolamentata è subordinato al possesso di un diploma, l’autorità competente non può rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro, per mancanza di qualifiche, l’accesso a/o l’esercizio di tale professione, alle stesse condizioni che vengono applicate ai propri cittadini:
a) se il richiedente possiede il diploma che è prescritto in un altro Stato membro per l’accesso o l’esercizio di questa stessa professione sul suo territorio, e che è stato ottenuto in un altro Stato membro, (…)».
9. Ai sensi dell’art. 4 della direttiva 89/48:
«1. L’articolo 3 non osta a che lo Stato membro ospitante esiga inoltre che il richiedente:
a) provi che possiede un’esperienza professionale, quando la durata della formazione addotta a norma dell’articolo 3, lettere a) e b) è inferiore di almeno un anno a quella prescritta nello Stato membro ospitante. In tal caso, la durata dell’esperienza professionale richiesta:
– non può oltrepassare il doppio del periodo di formazione mancante, allorché il periodo mancante riguarda il ciclo degli studi post-secondari e/o un tirocinio professionale effettuato sotto la guida di un istruttore e sanzionato da un esame;
– non può oltrepassare il periodo di formazione mancante, allorché questo riguarda un periodo di attività professionale pratica sotto la guida di un professionista qualificato.
Quando si tratti dei diplomi di cui all’articolo 1, lettera a), ultimo comma, il periodo di formazione riconosciuta equivalente viene determinato in base alla formazione definita all’articolo 1, lettera a), primo comma.
Nell’applicazione della presente lettera si deve tener conto dell’esperienza professionale di cui all’articolo 3, lettera b).
L’esperienza professionale richiesta non può comunque superare quattro anni;
b) compia un tirocinio di adattamento, per un periodo massimo di tre anni, o si sottoponga a una prova attitudinale:
– quando la formazione ricevuta conformemente all’articolo 3, lettere a) e b) verte su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate nel diploma prescritto nello Stato membro ospitante oppure,
– quando, nel caso di cui all’articolo 3, lettera a), la professione regolamentata nello Stato membro ospitante comprende una o più attività professionali regolamentate che non esistono nella professione regolamentata nello Stato membro di origine o provenienza del richiedente, e tale differenza è caratterizzata da una formazione specifica prescritta nello Stato membro ospitante e vertente su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate dal diploma dichiarato dal richiedente, oppure
– quando, nel caso di cui all’articolo 3, lettera b), la professione regolamentata nello Stato membro ospitante comprende una o più attività professionali regolamentate che non esistono nella professione esercitata dal richiedente nello Stato membro di origine o di provenienza e tale differenza è caratterizzata da una formazione specifica prescritta nello Stato membro ospitante e vertente su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate dal titolo o dai titoli dichiarati dal richiedente.
Se lo Stato membro ospitante ricorre a tale possibilità, esso deve lasciare al richiedente la scelta tra il tirocinio di adattamento e la prova attitudinale. In deroga a tale principio, lo Stato ospitante può prescrivere un tirocinio di adattamento o una prova attitudinale se si tratta di professioni il cui esercizio richiede una conoscenza precisa del diritto nazionale e nelle quali la consulenza e/o l’assistenza per quanto riguarda il diritto nazionale costituisce un elemento essenziale e costante dell’attività. Qualora lo Stato membro ospitante intenda introdurre eccezioni al diritto di scelta del richiedente per altre professioni, si applica la procedura di cui all’articolo 10.
2. Tuttavia lo Stato membro ospitante non può applicare cumulativamente le lettere a) e b) del paragrafo 1».
B – Normativa nazionale
10. In base alle informazioni fornite dal giudice del rinvio, nel caso di specie trova applicazione il Bundesgesetz über den freien Dienstleistungsverkehr und die Niederlassung von europäischen Rechtsanwälten (legge federale sulla libera circolazione e sullo stabilimento di avvocati europei; in prosieguo l’«EuRAG»).
11. L’art. 24, n. 1, dell’EuRAG così dispone:
«1. I cittadini degli Stati membri dell’Unione europea e degli altri Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo, che abbiano ottenuto un diploma da cui risulti che il titolare dispone dei requisiti professionali necessari per l’accesso immediato ad una delle professioni elencate nell’allegato alla presente legge devono essere iscritti, su domanda, nell’albo degli avvocati [art. 1, n. 1, della Rechtsanwaltsordnung (regolamento relativo alla professione forense)] qualora abbiano sostenuto con successo una prova attitudinale.
2. Costituiscono diplomi ai sensi del n. 1 i diplomi, i certificati o gli altri titoli ai sensi della direttiva del consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni. (…)».
L’art. 27 dell’EuRAG prevede quanto segue:
«Sull’ammissione alla prova attitudinale decide, su domanda del candidato, il presidente della commissione d’esame, di concerto con l’ordine degli avvocati presso la sede dell’Oberlandesgericht entro quattro mesi dalla presentazione di tutti i documenti da parte del candidato medesimo».
12. Secondo il giudice del rinvio sono altresì applicabili nella specie le disposizioni della Rechtsanwaltsordnung austriaca (regolamento austriaco relativo alla professione forense; in prosieguo: la «RAO»).
13. L’art. 1 della RAO, in merito all’iscrizione all’albo degli avvocati, così recita:
«1. Per l’esercizio della professione forense [nella Repubblica d’Austria] non occorre una nomina da parte dell’autorità ma solo una prova del soddisfacimento dei seguenti requisiti e dell’iscrizione all’albo degli avvocati (artt. 5 e 5 bis).
(…)
2. Tali requisiti sono:
(…)
d) il tirocinio nei tempi e modi stabiliti dalla legge;
e) il superamento dell’esame di avvocato; (…)».
14. L’art. 2 della RAO, riguardo al tirocinio, dispone quanto segue:
«1. Il tirocinio necessario per l’esercizio della professione forense deve essere svolto nell’ambito di una professione di carattere giuridico, presso un giudice, un pubblico ministero o un avvocato; (…)
2. Il tirocinio ai sensi del n. 1 deve avere la durata di cinque anni».
15. La disciplina per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato è dettata dal Rechtsanwaltsprüfungsgesetz (legge austriaca relativa all’esame di abilitazione alla professione di avvocato; in prosieguo: il «RAPG»), il cui art. 1 così recita:
«L’esame di abilitazione alla professione di avvocato deve provare l’idoneità e le conoscenze del candidato necessarie per l’esercizio della professione forense, in particolare le sue capacità nell’avviare e nel seguire le pratiche, di carattere pubblico e privato, affidate ad un avvocato nonché la sua idoneità a redigere atti e pareri legali nonché ad esporre ordinatamente, per iscritto o oralmente, situazioni di fatto o di diritto».
III – Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali
16. Il sig. Koller, cittadino austriaco, concludeva gli studi giuridici presso l’Università di Graz il 25 novembre 2002 ottenendo il titolo di «Magister der Rechtswissenschaften» (dottore in giurisprudenza). Con decreto 10 novembre 2004 il Ministero per l’istruzione e le scienze spagnolo riconosceva al sig. Koller – in seguito alla frequenza di corsi e al superamento di esami integrativi all’Università di Madrid – l’equivalenza del titolo spagnolo di «Licenciado en Derecho» e il diritto ad avvalersi del titolo spagnolo (5). Conseguentemente, il 14 marzo 2005, l’ordine degli avvocati di Madrid autorizzava il sig. Koller ad avvalersi del titolo professionale di «abogado».
17. Il 5 aprile 2005, dopo aver esercitato per alcune settimane la professione di avvocato in Spagna, il sig. Koller chiedeva alla commissione d’esame presso l’Oberlandesgericht di Graz di essere ammesso alla prova attitudinale ai sensi dell’art. 28 dell’EuRAG. Contemporaneamente, invocando l’art. 29 dell’EuRAG, faceva domanda di esonero da tutte le materie di esame.
18. Con decisione 11 agosto 2005 la Rechtsanwaltsprüfungskommission (Commissione di esame per l’abilitazione alla professione di avvocato) respingeva tale domanda. Il successivo appello proposto dal sig. Koller dinanzi alla OBDK rimaneva senza esito. In seguito al ricorso del medesimo, presentato il 13 marzo 2008, il Verfassungsgerichtshof (Corte costituzionale austriaca) annullava la decisione e ingiungeva alla OBDK di pronunciarsi nuovamente sull’ammissione del sig. Koller alla prova attitudinale.
19. La OBDK ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1. Se la direttiva 89/48/CEE sia applicabile ad un cittadino austriaco, qualora quest’ultimo:
a) abbia concluso con successo un ciclo di studi universitari in giurisprudenza in Austria e gli sia stato conferito, mediante decisione in tal senso, il titolo accademico di “Magister der Rechtswissenschaften”;
b) sia poi stato autorizzato, mediante atto di approvazione del Ministero per l’educazione e la scienza del Regno di Spagna, in seguito al superamento di esami integrativi presso un’università spagnola, che hanno tuttavia comportato un periodo di formazione inferiore a tre anni, ad avvalersi del titolo spagnolo – equivalente al titolo austriaco – di “Licenciado en Derecho”;
c) abbia ottenuto, con l’iscrizione presso l’ordine degli avvocati di Madrid, l’autorizzazione ad avvalersi del titolo professionale di “abogado” e abbia effettivamente esercitato la professione forense in Spagna prima della presentazione della domanda, per tre settimane e rispetto alla data della decisione di primo grado per al massimo cinque mesi.
2. In caso di soluzione affermativa della prima questione:
Se sia compatibile con la direttiva 89/48/(…) l’interpretazione dell’art. 24 dell’EuRAG nel senso che il conseguimento di un diploma in giurisprudenza austriaco, nonché l’autorizzazione ad avvalersi del titolo spagnolo di “Licenciado en Derecho”, ottenuta in seguito al superamento di esami complementari presso un’università spagnola nel corso di un periodo di tempo inferiore a tre anni, non siano sufficienti ai fini dell’ammissione alla prova attitudinale in Austria, ai sensi dell’art. 24, n. 1, dell’EuRAG, in mancanza di prova dell’esperienza pratica richiesta dal diritto nazionale (art. 2, n. 2, della RAO), anche qualora il richiedente sia abilitato in Spagna all’esercizio della professione di “abogado”, senza un’equivalente obbligo di esperienza pratica, e ivi abbia esercitato tale professione per tre settimane prima della presentazione della domanda e, rispetto alla data della decisione di primo grado, per un periodo pari, al massimo, a cinque mesi».
IV – Procedimento dinanzi alla Corte
20. L’ordinanza di rinvio, datata 16 marzo 2009, è stata depositata presso la cancelleria della Corte il 1° aprile 2009.
21. Hanno presentato osservazioni scritte nel termine previsto dall’art. 23 dello Statuto della Corte, il ricorrente nel procedimento principale, i governi del Regno di Spagna, della Repubblica d’Austria, della Repubblica ceca e della Repubblica ellenica nonché la Commissione.
22. La Corte, nell’ambito delle misure preparatorie del procedimento, ha rivolto un quesito alle parti al quale esse hanno risposto.
23. Poiché nessuna delle parti ha chiesto lo svolgimento di un’udienza, successivamente alla riunione generale della Corte del 9 febbraio 2010 la causa era matura per la predisposizione delle presenti conclusioni.
V – Principali argomenti delle parti
A – Competenza della Corte
24. Il governo greco e la Commissione ritengono che la OBDK possegga tutti i requisiti considerati necessari ai sensi della giurisprudenza perché le sia riconosciuta lo status di giudice ai sensi dell’art. 234 CE. Di conseguenza, essi ritengono sussistente la competenza della Corte.
B – Sulla prima questione pregiudiziale
25. Tutte le parti che hanno presentato osservazioni alla Corte convengono nel ritenere che si debba verificare se i titoli conseguiti dal sig. Koller possano essere considerati come «diploma» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48.
26. I governi austriaco, greco e ceco fanno notare che una problematica simile si era posta nella causa che ha dato origine alla sentenza 29 gennaio 2009, causa C‑311/06, Cavallera (6), relativa alla domanda di iscrizione di un cittadino italiano all’ordine degli ingegneri del suo paese di origine, presentata dopo aver ottenuto, nell’ambito di una procedura di omologazione, il riconoscimento dell’equivalenza della sua formazione universitaria a quella spagnola. I governi austriaco e ceco ritengono che le conclusioni espresse ai punti 55 e segg. di tale sentenza possano essere trasposte alla causa principale.
27. Il governo austriaco sostiene che l’omologazione in Spagna del titolo accademico del sig. Koller e la sua iscrizione all’ordine degli avvocati di Madrid non prevedeva alcuna verifica delle qualifiche e delle esperienze professionali conseguite in Spagna. Nondimeno, l’accesso alla professione di avvocato presuppone che venga verificata proprio la sussistenza di tali requisiti.
28. Il governo ceco ritiene che il riconoscimento del diritto di avvalersi del titolo professionale di «abogado» non possa essere considerato quale «diploma» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48, dal momento che il riconoscimento di tale diritto sarebbe unicamente collegato al riconoscimento del diritto di avvalersi del titolo accademico di «Licenciado en Derecho», senza la necessità di una formazione, un esame o un’esperienza lavorativa ulteriori.
29. Da parte sua, il governo greco fa valere che, se è pur vero che l’«equipollenza» del diploma universitario austriaco di «Magister der Rechtswissenschaften» al diploma spagnolo di «Licenciado en Derecho» costituisce il risultato di una procedura prevista nella legislazione spagnola, essa sarebbe tuttavia estranea alla lettera e allo spirito dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48. Secondo il governo greco non si può certamente impedire alla Spagna di conservare un sistema di riconoscimento reciproco di diplomi, tuttavia il riconoscimento accademico in Spagna, che si colloca tra il titolo accademico e l’(auspicato) esercizio della professione forense in Austria, scinderebbe l’unità della nozione di diploma, facendo rientrare una parte della nozione in una procedura estranea alla direttiva. Per quanto concerne l’applicazione della direttiva 89/48 in Austria, il riconoscimento del titolo accademico effettuato in Spagna non rappresenterebbe affatto una procedura di compensazione tassativamente prevista dalla legge nel sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore. Esso non rappresenterebbe neppure l’acquisizione «in forma libera» di un nuovo titolo che possa autonomamente consentire l’esercizio della professione di «abogado» in Spagna e, in seguito, l’esportazione di tale nuovo diploma in Austria, non essendo soddisfatto il requisito del compimento di un ciclo di studi di almeno tre anni dopo gli studi secondari.
30. Il governo greco fa valere, inoltre, che anche qualora l’esperienza professionale acquisita attraverso l’esercizio della professione in un altro Stato membro potesse servire a compensare il periodo di pratica professionale mancante, come prescrive la procedura di compensazione prevista dal sistema generale di riconoscimento, il sig. Koller non raggiungerebbe il periodo necessario in nessuno dei due Stati, avendo egli esercitato la professione in Spagna per un periodo di cinque mesi.
31. I governi austriaco, greco e ceco propongono, quindi, una soluzione negativa della prima questione pregiudiziale. Ad abundantiam il governo greco sottolinea che la causa a qua, al pari della causa Cavallera, solleva la questione della violazione del sistema nazionale di insegnamento. Esso si chiede se la fattispecie in esame non possa essere trattata sotto il profilo dell’abuso di diritto.
32. Il sig. Koller, il governo spagnolo nonché la Commissione deducono, al contrario, l’applicazione alla causa principale della direttiva 89/48, e che il titolo professionale di cui trattasi soddisfa tutti i requisiti di un «diploma» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48.
33. In primo luogo, secondo il diritto spagnolo, il Ministero per l’istruzione e le scienze e l’ordine degli avvocati di Madrid sarebbero competenti per l’omologazione del titolo austriaco e il conferimento del titolo professionale di «abogado».
34. In secondo luogo, dal titolo in questione emergerebbe che il suo titolare «ha seguito con successo (…) un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni (…) presso un’università (…)». La Commissione osserva che il sig. Koller dispone del titolo di «Magister der Rechtswissenschaften» e precisa che, conformemente all’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48, non è necessaria un’ulteriore formazione professionale oltre al ciclo di studi post-secondari.
35. In terzo luogo, i titoli in questione attestavano che «il titolare possiede le qualifiche professionali richieste per accedere ad una professione regolamentata in detto Stato membro o esercitarla». Il governo spagnolo precisa che l’omologazione di diplomi stranieri produce in Spagna gli stessi effetti giuridici del titolo di «Licenciado en Derecho», vale a dire l’accesso alla professione forense. A tal riguardo, la Commissione e il sig. Koller fanno valere che il beneficiario si sarebbe effettivamente avvalso di tale possibilità.
36. Inoltre, la Commissione sottolinea il fatto che il sig. Koller, come prescritto dall’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48, ha compiuto tutti i periodi di formazione (studi universitari in Austria, esami integrativi in Spagna) all’interno della Comunità. Il sig. Koller osserva che, in forza dell’art. 8, n. 1, della direttiva 89/48, come interpretato dalla Corte nella sentenza 23 ottobre 2008, causa C‑274/05, Commissione/Grecia (7), lo Stato membro ospitante è tenuto a riconoscere un diploma rilasciato dall’autorità competente di un altro Stato membro anche qualora tale diploma sanzioni una formazione acquisita, del tutto o in parte, nello Stato membro ospitante.
37. Il sig. Koller e la Commissione sottolineano inoltre che la causa in esame differisce considerevolmente dalla causa Cavallera per il fatto che la situazione del sig. Koller non evidenzierebbe nessuna delle lacune riscontrate in tale causa. Infatti, il decreto di riconoscimento del Ministero per l’istruzione e le scienze spagnolo non si baserebbe sulla mera constatazione della conclusione degli studi universitari in Austria, bensì sul superamento degli esami integrativi presso l’Università di Madrid.
38. Secondo la Commissione la sentenza Cavallera non presuppone il compimento di un ciclo di studi post-secondari di durata triennale ai sensi dell’art. 1, lett. a), primo comma, secondo trattino, della direttiva 89/48 in uno Stato membro diverso dallo Stato ospitante, ma richiede solo che le qualifiche attestate dal titolo «[siano acquisite, in misura] totale o parziale, (…) nel contesto del sistema dell’istruzione dello Stato membro che ha rilasciato il titolo de quo» (8). Al riguardo, la Commissione sottolinea la circostanza che il sig. Koller – almeno in parte, vale a dire laddove esse riguardano conoscenze in diritto spagnolo comprovate dal superamento di esami integrativi a conclusione della frequenza di corsi universitari – ha acquisito in Spagna le qualifiche attestate nel decreto di riconoscimento.
39. Alla luce della ratio della direttiva 89/48 la Commissione ritiene che, in ogni caso, il titolo attesti qualifiche supplementari acquisite in un altro Stato membro nel quale esse consentono l’accesso alla professione regolamentata. Tale requisito impedirebbe che ciò sia reso possibile già con la mera omologazione del diploma universitario ottenuto nello Stato membro ospitante. La Commissione rileva inoltre che, nella sentenza Cavallera, la Corte non esige che il titolo debba attestare in ogni caso anche un’esperienza professionale. Piuttosto, dalla formulazione della Corte risulterebbe che soltanto l’assenza cumulativa di tali elementi porterebbe a non considerare – a causa del mancato riferimento allo Stato membro che lo ha rilasciato – il certificato di abilitazione quale «diploma» ai sensi della direttiva 89/48.
40. Il sig. Koller, da parte sua, sostiene che l’art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva 89/48 prevede che la prova dell’esperienza professionale possa essere richiesta quando la durata della formazione è inferiore di almeno un anno a quella prescritta nello Stato ospitante. A suo avviso, non si può esigere che egli fornisca tale prova, dal momento che egli può far valere lo svolgimento con profitto di un ciclo di studi post-secondari in Austria e un diploma attestante lo svolgimento di un ciclo di studi di durata pari a tre anni in Spagna.
C – Sulla seconda questione pregiudiziale
41. La Commissione afferma che l’art. 3, lett. a), della direttiva 89/48 osta a una norma di diritto nazionale secondo cui il titolare di un diploma, come descritto nella prima questione pregiudiziale, non può essere ammesso alla prova attitudinale senza aver dimostrato il periodo di pratica professionale richiesta ai sensi del diritto nazionale. In forza di tale disposizione lo Stato ospitante non potrebbe negare al richiedente l’accesso alla professione regolamentata allegando la mancanza di qualifiche, se questi possiede un diploma ai sensi dell’art. 1 della direttiva 89/48.
42. La Commissione osserva che la prova attitudinale ha la funzione di stabilire l’idoneità del richiedente ad esercitare la professione regolamentata in uno Stato ospitante. L’Austria non potrebbe escludere il richiedente dalla prova attitudinale a causa delle differenze tra il profilo delle qualifiche da essa previsto e quello dello Stato ospitante.
43. Al riguardo, il governo spagnolo fa valere che non si potrebbe esigere dai titolari del titolo di «Licenciado en Derecho» – che in Spagna consente di accedere alla professione forense – lo svolgimento della pratica professionale necessaria per l’esercizio di tale professione in Austria. Il governo spagnolo afferma, poi, che non potrebbe essere richiesta un’esperienza professionale. Inoltre, il decreto ministeriale di riconoscimento 10 novembre 2004 sarebbe compatibile con la direttiva 89/48 e avrebbe dovuto consentire al richiedente di sottoporsi in Austria alla prova attitudinale, senza dover apportare la prova dello svolgimento della pratica professionale.
44. La Commissione e il sig. Koller giungono alla conclusione che la direttiva 89/48 osta a una norma di diritto interno secondo la quale il titolare di un diploma, come quello oggetto della causa principale, non può essere ammesso alla prova attitudinale senza aver dimostrato il periodo di pratica professionale richiesta ai sensi del diritto nazionale.
45. In particolare, il sig. Koller fa valere un’interpretazione della direttiva 89/48 nonché dell’art. 24 EuRAG secondo la quale il requisito di una prova attitudinale o di un tirocinio di adattamento non sarebbe compatibile con il diritto comunitario. Richiamandosi all’art. 4 della direttiva 89/48 e alla giurisprudenza della Corte, egli sostiene che debba essergli consentito l’accesso alla professione forense, senza che a tal fine sia peraltro necessaria una prova attitudinale. Infatti, secondo il sig. Koller non vi sarebbero sostanziali differenze tra la sua formazione e quella prevista nello Stato membro ospitante.
46. Ad avviso del sig. Koller, la seconda questione pregiudiziale consente indirettamente di concludere che a lui viene contestato un abuso di diritto. Tuttavia, nel suo caso, il Verfassungsgerichtshof austriaco avrebbe già escluso la sussistenza di un comportamento abusivo. La contestazione di un abuso di diritto non potrebbe pertanto essere fondata né sul diritto comunitario né sulla giurisprudenza della Corte. Inoltre, al sig. Koller non potrebbe essere contestato di voler eludere le disposizioni in esame.
VI – Valutazione
A – Considerazioni introduttive
47. L’adozione della direttiva 89/48 ha rappresentato un importante giro di boa in materia di libera circolazione dei professionisti. Negli anni ‘70 il legislatore comunitario ha puntato anzitutto sul ravvicinamento di quelle disposizioni nazionali che disciplinano l’accesso a determinate professioni (c.d. approccio settoriale o verticale). Successivamente, al fine di semplificare il reciproco riconoscimento di diplomi accademici, ha deciso di integrare la non sempre facile realizzazione dell’armonizzazione dei diversi settori occupazionali mediante un nuovo approccio trasversale ai vari settori e, quindi, più generale (c.d. approccio orizzontale), incentrato su un nuovo principio: quello della reciproca fiducia nella loro equivalenza (9). Il legislatore comunitario è partito dal presupposto che negli Stati membri gli studi accademici, in sostanza, siano equiparabili (10). Consapevole delle immense differenze esistenti in determinati settori, in primis in quello della formazione dei giuristi (11), il legislatore comunitario ha introdotto nella direttiva 89/48 alcune deroghe che consentono agli Stati membri di eliminare eventuali riserve riguardo all’equivalenza dei diplomi attraverso la facoltà, riconosciuta loro eccezionalmente e a condizioni semplificate, di esaminare le competenze di coloro che presentano una richiesta di riconoscimento del diploma conseguito all’estero.
48. L’elemento essenziale della presente causa è rappresentato dalla presenza nell’Austria di una siffatta riserva, che nel caso del sig. Koller consiste nella richiesta dello svolgimento di una prova attitudinale nonché del compimento di una formazione pratica della durata di cinque anni. La ragione di tale riserva risiede in sostanza nel fatto che, apparentemente, si presume che la direttiva 89/48 possa essere fatta valere al fine di eludere il sistema di formazione austriaco previsto per i giuristi, atteso che, in primo luogo, il sistema di formazione spagnolo non contempla un’analoga formazione pratica e, in secondo luogo, il sig. Koller ha conseguito il suo diploma spagnolo in virtù di una procedura di omologazione prevista esclusivamente dal diritto spagnolo e non disciplinata dal diritto comunitario.
49. Qui di seguito occorre, anzitutto, esaminare l’applicabilità della direttiva 89/48 alla causa principale approfondendo, in tale contesto, separatamente la questione se, nella specie, il diritto comunitario sia stato invocato abusivamente. In seguito si deve esaminare se la riserva dell’Austria sia legittima e se, tenuto conto delle qualifiche professionali acquisite all’estero, si possa pretendere che il sig. Koller, così come avviene per gli altri laureati austriaci che abbiano concluso studi giuridici di base, compia un tirocinio di durata quinquennale per ottenere l’ammissione all’esame di abilitazione alla professione di avvocato.
B – Competenza della Corte
50. In via preliminare occorre verificare se la OBDK si configuri come «organo giurisdizionale» ai sensi dell’art. 234 CE e, pertanto, se la Corte sia competente a pronunciarsi sulle questioni sottopostele.
51. L’art. 234, n. 3, CE, non contiene, di per sé, alcuna definizione della nozione di organo giurisdizionale. Nel diritto comunitario esistono, tuttavia, alcuni requisiti minimi enunciati dalla Corte. Ai sensi di una giurisprudenza costante, per valutare se l’organo remittente possieda le caratteristiche di un organo giurisdizionale ai sensi dell’art. 234 CE, questione che attiene unicamente al diritto comunitario, la Corte tiene conto di un insieme di elementi, quali l’origine legale dell’organo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente (12).
52. Ai sensi dell’art. 59 della legge federale 28 giugno 1990 sul Disziplinarrecht für Rechtsanwälte und Rechtsanwaltsanwärter (Statuto disciplinare per gli avvocati e i procuratori legali; in prosieguo: il «DSt»), la OBDK è composta da un presidente, da un vice presidente, nonché da un minimo di 8 ad un massimo di 16 giudici dell’Oberster Gerichtshof e da 32 Anwaltsrichter (avvocati svolgenti le funzioni di giudici disciplinari; in prosieguo: gli «Anwaltsrichter»). Ai sensi dell’art. 63, n. 1, del DSt, essa delibera in Sezioni. Conformemente all’art. 59, n. 2, del DSt, i giudici togati sono nominati per cinque anni dal ministro federale della giustizia. Gli Anwaltsrichter sono eletti dall’ordine degli avvocati per un periodo di cinque anni. La legge non prevede una destituzione anticipata dei membri della OBDK. Ai sensi dell’art. 64, n. 1, del DSt i membri della OBDK non sono vincolati ad alcuna istruzione. Non vi sono inoltre circostanze incompatibili con l’indipendenza dei suoi membri. È esclusa l’amovibilità sia degli Anwaltsrichter sia dei membri della OBDK svolgenti funzioni giudicanti. La OBDK decide all’esito di un procedimento in contraddittorio, ove ad essa è riconosciuto un ampio potere di controllo che si estrinseca sia nella possibilità di esaminare questioni di fatto e di diritto sia nella valutazione dei mezzi di prova. Si tratta, inoltre, di un organo permanente, nonostante il fatto che la durata del mandato dei suoi membri sia limitata ad alcuni anni (13). L’attività della OBDK è disciplinata dalla legge e, in particolare, dalla RAO e dal DSt.
53. Ritengo, quindi, che questo organo possegga tutti i requisiti che la giurisprudenza ritiene necessari affinché sia ad esso riconosciuta la qualità di organo giurisdizionale ai sensi dell’art. 234 CE. Poiché dalle informazioni contenute nell’ordinanza di rinvio si evince che le decisioni della OBDK non possono essere impugnate con i mezzi ordinari di impugnazione previsti dal diritto nazionale, la OBDK è, a maggior ragione, tenuta ad effettuare il rinvio alla Corte ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE (14).
C – Sulla prima questione pregiudiziale
54. Con il primo quesito la OBDK chiede se la direttiva 89/48 sia applicabile al procedimento principale. A tal fine deve essere esaminato l’ambito di applicazione ratione personae e ratione materiae di tale direttiva.
1. Ambito di applicazione della direttiva 89/48
a) Ambito di applicazione ratione personae
55. La direttiva 89/48 istituisce un sistema generale di riconoscimento dei diplomi e, più precisamente, delle qualifiche professionali, tra gli Stati membri, fondato sul principio del riconoscimento reciproco. Ai sensi dell’art. 2 della direttiva, essa si applica a qualunque «cittadino di uno Stato membro che intenda esercitare (...) una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante», laddove lo Stato membro ospitante è definito all’art. 1, lett. b), della direttiva 89/48 come: «lo Stato membro nel quale un cittadino di un altro Stato membro chiede di esercitare una professione ivi regolamentata senza aver ottenuto nello stesso il suo diploma o avervi esercitato per la prima volta la professione in questione».
56. Nella specie tali requisiti devono essere considerati soddisfatti, atteso che il sig. Koller è un cittadino comunitario, titolare di un diploma rilasciato in Spagna, che gli consente di accedere in tale Stato membro alla professione forense, professione regolamentata (15) ai sensi dell’art. 1, lett. c), della direttiva 89/48, e del quale richiede il riconoscimento in Austria, Stato membro ospitante che è, allo stesso tempo, suo paese di origine.
b) Ambito di applicazione ratione materiae
i) Primo e terzo requisito
57. Affinché la direttiva 89/48 trovi applicazione occorre inoltre che il titolo in possesso del sig. Koller corisponda alla definizione di «diploma» come in essa specificato. A norma dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48, deve essere presente un insieme di tre requisiti affinché il titolo e/o l’esperienza professionale di cui si chiede il riconoscimento possano essere considerati un diploma.
58. In primo luogo, il diploma deve essere stato rilasciato da un’autorità competente di uno Stato membro. A tale riguardo occorre rilevare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, il «diploma», ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48, può essere costituito da un insieme di titoli (16). Nel caso di specie tale requisito è soddisfatto, dal momento che il diploma di «Licenciado en Derecho», in possesso del sig. Koller, è stato rilasciato dal Ministero per l’istruzione e le scienze spagnolo, al quale la normativa spagnola riconosce la competenza al rilascio dei diplomi a completamento del ciclo di studi in giurisprudenza.
59. In secondo luogo, il diploma deve attestare che il suo titolare ha seguito «un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale, in un’università o un istituto di istruzione superiore o in un altro istituto dello stesso livello di formazione e, se del caso, che ha seguito con successo la formazione professionale richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari». Poiché le principali divergenze in ordine all’interpretazione dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48 si concentrano su tale requisito, esaminerò più dettagliatamente tale aspetto per ultimo, occupandomi anche dei problemi giuridici ad esso attinenti.
60. In terzo luogo, il diploma deve consentire l’accesso alla professione nello Stato d’origine. Ciò significa che il diploma deve consentire l’esercizio effettivo di una professione nello Stato che lo ha rilasciato. Anche quest’ultimo requisito deve essere considerato soddisfatto, a condizione che lo sia anche il secondo. Il diploma spagnolo, che il sig. Koller ha conseguito in seguito all’omologazione del suo diploma austriaco, infatti, lo autorizza ad esercitare la professione di avvocato nello Stato di rilascio del diploma, vale a dire la Spagna. Come ha chiaramente spiegato nelle sue osservazioni il governo spagnolo, in Spagna l’omologazione di diplomi ufficiali stranieri di istruzione superiore rilasciati da istituti riconosciuti conferisce l’equipollenza a tutti gli effetti di legge, a fini accademici e professionali, con il diploma corrispondente spagnolo. Per quanto riguarda poi gli effetti del diploma ufficiale di istruzione superiore, occorre constatare che ad esso le disposizioni spagnole – secondo quanto affermato dal governo spagnolo – attribuiscono un duplice effetto sotto il profilo accademico e professionale, che consente al suo titolare di godere pienamente dei diritti accademici ad esso inerenti e lo autorizza, al contempo, ad esercitare senza limiti la professione.
ii) Secondo requisito
61. La difficoltà a considerare soddisfatto il secondo requisito deriva tra l’altro dal fatto che la direttiva richiede espressamente che il titolare del diploma, del quale egli chiede il riconoscimento nello Stato ospitante, abbia innanzitutto concluso con successo un «ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni».
62. Stando al tenore letterale di tale disposizione, di primo acchito tale requisito non sembrerebbe essere soddisfatto, tanto più che il sig. Koller non ha conseguito il diploma spagnolo che gli consente l’accesso alla professione forense in Spagna al termine della prevista durata normale di studi di quattro anni – il che corrisponderebbe al requisito temporale previsto dalla direttiva 89/48 per un ciclo di studi –, bensì nell’ambito di una procedura di omologazione la cui durata era, in ogni caso, inferiore a tre anni. Come si ricava dall’ordinanza di rinvio, tra il conferimento del titolo di Magister a Graz (c.d. Sponsion) e il riconoscimento del titolo in Spagna sono intercorsi infatti circa due anni (17). In mancanza di indicazioni più precise si deve quindi dedurre che la durata della procedura di omologazione corrisponda pressoché a tale intervallo di tempo.
63. Tuttavia, un’interpretazione del genere non terrebbe conto del fatto che il sig. Koller, a seguito dell’omologazione, ha conseguito un diploma che corrisponde in Spagna a un corso di laurea in giurisprudenza della durata di quattro anni. Come precisato nelle sue osservazioni, il sig. Koller, per ottenere il riconoscimento ha dovuto sostenere una serie di esami relativi a diverse branche del diritto. Stando a quanto da lui riferito, le materie d’esame erano identiche a quelle del normale corso di laurea in giurisprudenza dell’Universidad Autónoma de Madrid (18). La ragione di un esame talmente ampio delle sue conoscenze e competenze nell’ambito della procedura di omologazione sarebbe consistita nella necessità di livellare le notevoli differenze nella formazione tra il titolo accademico austriaco e quello spagnolo riscontrate dal ministero spagnolo competente.
64. A mio avviso, tenuto conto di quanto precede, dalla sussunzione nell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48, si possono trarre le seguenti importanti conseguenze.
– Sussistenza di un «ciclo di studi post-secondari» ai sensi dell’art. 1, lett. a), secondo trattino, della direttiva 89/48
65. In primo luogo, la procedura di omologazione seguita dal sig. Koller rappresenta senza dubbio un «ciclo di studi in un’università» ai sensi della citata disposizione della direttiva. Il rilascio di una qualifica aggiuntiva svolge un ruolo fondamentale a tal riguardo. Come ha statuito la Corte nella sentenza Kraus(19), il cittadino di uno Stato membro può avvalersi nel detto Stato del diploma ottenuto in un altro Stato soltanto se tale documento «dimostra che il suo titolare possiede una qualifica professionale supplementare [rispetto alla formazione seguita nello Stato membro d’origine] e conferma quindi la sua idoneità ad occupare un determinato posto». Il certificato di omologazione che il sig. Koller ha ottenuto dopo aver sostenuto con esito positivo gli esami, lungi dall’essere un «mero atto formale» oppure una «semplice omologazione» (20) del suo diploma austriaco, come accennato dal giudice del rinvio nella sua ordinanza (21), rappresenta piuttosto l’attestazione ufficiale di qualifiche supplementari in diritto spagnolo. In tal senso, il presente caso si distingue sostanzialmente dalla fattispecie oggetto della causa Cavallera, a cui tutti gli intervenienti rinviano.
66. Tale causa verteva sulla domanda del sig. Cavallera, cittadino italiano, in possesso del diploma di laurea in ingegneria meccanica rilasciato dall’Università di Torino. In Italia, l’esercizio della professione di ingegnere meccanico è subordinato al superamento di un esame di Stato previsto dalla normativa italiana. Il sig. Cavallera ha invece chiesto in Spagna, al Ministero per l’istruzione e le scienze, il riconoscimento dell’equivalenza del suo titolo italiano al corrispondente titolo universitario spagnolo in forza di una procedura di omologazione disciplinata soltanto sulla base di disposizioni nazionali e che si differenzia da quella procedura di riconoscimento introdotta dalla direttiva 89/48 nell’ordinamento spagnolo. Una volta ottenuto il riconoscimento, il sig. Cavallera è stato iscritto all’albo dell’Ordine degli ingegneri. Tuttavia, egli non ha mai esercitato la professione fuori dall’Italia, né ha seguito una formazione complementare in Spagna.
67. Pertanto, la Corte ha correttamente statuito nella sentenza relativa a tale causa che l’omologazione spagnola non attesta alcuna qualifica supplementare e, di conseguenza, non soddisfa i requisiti di un «diploma» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48 (22). Secondo la Corte la motivazione consisteva nel fatto che né l’omologazione né l’iscrizione all’albo di un ordine professionale di Catalogna si erano fondate sulla verifica delle qualifiche professionali o delle esperienze acquisite dal sig. Cavallera. In tale sentenza la Corte ha statuito che accettare, in tale contesto, che la direttiva 89/48 possa essere invocata al fine di beneficiare dell’accesso in Italia alla professione regolamentata di cui trattasi nella causa principale equivarrebbe a consentire a un soggetto che abbia conseguito esclusivamente un titolo rilasciato da tale Stato membro che, di per sé, non dà accesso a detta professione regolamentata di accedervi egualmente, senza che tuttavia il titolo di omologazione conseguito in Spagna attesti una qualifica supplementare o un’esperienza professionale. Secondo la Corte un siffatto risultato sarebbe contrario al principio sancito dalla direttiva 89/48 ed enunciato dal suo quinto ‘considerando’, secondo cui gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire il livello minimo di qualifica necessario allo scopo di garantire la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio (23).
68. Tuttavia, nella causa principale tale rischio non sussiste, dal momento che il titolo di omologazione conferito al sig. Koller è basato sulla verifica delle sue qualifiche professionali conseguite nell’ambito di formazioni in Spagna. Per quanto riguarda il rapporto con il diploma conseguito in Austria, tenuto conto delle incontestabili differenze esistenti tra il diritto austriaco e quello spagnolo, non sarebbe corretto considerare le conoscenze e le qualifiche conseguite in Spagna come una semplice integrazione degli studi giuridici svolti in Austria. Si deve piuttosto considerare che la formazione in Spagna, nell’ambito della procedura di omologazione, rappresenti un ciclo di studi autonomo.
69. Atteso che l’accesso alla professione forense in Spagna – al contrario di quanto avviene in Austria – non presuppone alcuna esperienza professionale, essendo fondata esclusivamente sulle «qualifiche accademiche» del laureato, queste ultime sono sufficienti per poter decretare l’esistenza della «qualifica professionale» del titolare di un diploma di laurea.
– Sussistenza di un «ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni» ai sensi dell’art. 1, lett. a), secondo trattino, della direttiva 89/48
70. In secondo luogo, la pacifica circostanza che la durata della procedura di omologazione sia stata inferiore a tre anni, non osta affatto al riconoscimento di un «ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni» ai sensi dell’art. 1, lett. a), secondo trattino, della direttiva 89/48.
71. Infatti, da un lato, in un caso del genere risulterebbe applicabile in via analogica la clausola di equiparazione di cui all’art. 1, lett. a), secondo comma, della direttiva 89/48. Ai sensi del primo comma della citata disposizione della direttiva è assimilato a un «diploma» qualsiasi diploma, certificato o altro titolo, o qualsiasi insieme di diplomi, certificati o altri titoli, rilasciato da un’autorità competente in uno Stato membro, qualora sancisca una formazione acquisita nella Comunità e riconosciuta da un’autorità competente in tale Stato membro «come formazione di livello equivalente e qualora esso conferisca gli stessi diritti d’accesso e d’esercizio di una professione regolamentata». Tale disposizione, che conformemente all’originaria ratio sottesa disciplina i c.d. «percorsi di formazione alternativi», è stata introdotta, come la Corte ha già avuto modo di statuire nella sentenza Beuttenmüller (24), «per tener conto delle persone che non hanno svolto un ciclo di studi superiori triennale, ma che sono in possesso di qualifiche che conferiscono loro gli stessi diritti professionali» (25). La procedura di omologazione, in base alla sua ratio, nella misura in cui, come nel procedimento principale, prevede una verifica delle conoscenze di diritto spagnolo, rappresenta in un certo senso un percorso formativo alternativo agli ordinari studi universitari in Spagna, che determina il riconoscimento di titoli universitari e formazioni professionali stranieri, conferendo loro nel territorio nazionale gli stessi effetti giuridici riconosciuti ai titoli e formazioni nazionali. Il superamento della procedura di omologazione consente a giuristi stranieri, come il sig. Koller, di accedere alla professione forense, una professione regolamentata, in Spagna.
72. Dall’altro lato, non vedo perché il sig. Koller dovrebbe essere penalizzato per aver concluso in soli due anni una formazione giuridica che in Spagna, conformemente alla legislazione nazionale, corrisponde a un corso di laurea in giurisprudenza della durata di quattro anni, e quindi in un tempo più breve rispetto alla durata normale di tali studi. Un mancato riconoscimento dell’equivalenza del titolo di omologazione a livello comunitario comporterebbe che l’impegno profuso per ottenere tale titolo, anziché essere apprezzato positivamente, risulterebbe piuttosto punito, considerato che si verrebbero a trovare in una posizione meno favorevole i soggetti richiedenti l’omologazione che sostengano gli esami previsti in tempi più breve rispetto ad altri. Un’interpretazione del genere non è ragionevole, né corrisponde allo stato attuale del diritto comunitario, come dimostra in parte la sentenza Commissione/Spagna (26).
73. La fattispecie oggetto di detta sentenza verteva sulla violazione della direttiva 89/48, in particolare dell’art. 3, da parte della Spagna. La Corte ha riconosciuto una violazione nel fatto che la Spagna aveva negato il riconoscimento delle qualifiche professionali di ingegnere conseguite in Italia in base ad una formazione universitaria impartita esclusivamente in Spagna e aveva subordinato l’ammissione alle prove per la promozione interna alla funzione pubblica di ingegneri in possesso di titoli conseguiti in un altro Stato membro al riconoscimento accademico delle suddette qualifiche. A tal riguardo va osservato che si trattava di soggetti titolari di diplomi rilasciati dall’Università di Alicante (Spagna), che, in seguito al riconoscimento dell’equipollenza da parte dell’Università Politecnica delle Marche in forza di una convenzione-quadro di collaborazione, avevano ottenuto il diploma italiano di «ingegnere civile». Si deve inoltre ricordare che, in seguito al conseguimento del diploma in Italia, i soggetti interessati avevano anche sostenuto l’esame di Stato che conferiva loro l’abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere nello Stato membro medesimo.
74. In tale sentenza la Corte ha ricordato, anzitutto, che l’art. 8, n. 1, della direttiva 89/48 obbliga lo Stato membro ospitante ad accettare, in ogni caso, come prova della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento di un diploma, gli attestati e i documenti rilasciati dalle autorità competenti degli altri Stati membri (27). La Corte si è poi pronunciata contro la disparità di trattamento di coloro che hanno ottenuto le proprie qualifiche professionali mediante omologazione piuttosto che attraverso un regolare ciclo di studi in un’università o un istituto di istruzione superiore, dichiarando, ai punti 80 e 81 di tale sentenza, quanto segue:
«Quindi, nel caso di specie, se in Spagna, di norma, la professione di ingegnere di ponti e strade è esercitata dai titolari di un diploma spagnolo conseguito al termine di cinque anni di studi, le stesse possibilità di promozione che spettano ai titolari di tale diploma spagnolo devono essere riconosciute al titolare di un diploma rilasciato in un altro Stato membro, che abiliti l’interessato ad esercitare la medesima professione in Spagna, eventualmente dopo essere stato assoggettato a misure di compensazione. Tali considerazioni sono indipendenti dal numero di anni di studio richiesti al suddetto titolare per conseguire il diploma in discorso.
Infatti, dal momento in cui un diploma rilasciato in un altro Stato membro è stato riconosciuto ai sensi della direttiva 89/48, eventualmente dopo l’applicazione di misure di compensazione, si ritiene che conferisca le stesse qualifiche professionali del diploma spagnolo equivalente. In tale contesto, il fatto di non consentire al titolare di un diploma rilasciato in un altro Stato membro di beneficiare delle stesse possibilità di promozione attribuite ai titolari del diploma spagnolo equivalente, per il solo motivo che tale diploma è stato conseguito al termine di una formazione di durata inferiore, verrebbe a sfavorire i titolari di un diploma di un altro Stato membro soltanto per aver acquisito qualifiche equivalenti in tempi più brevi».
75. A mio avviso, dalle suesposte considerazioni e dalla giurisprudenza della Corte precedentemente richiamata si possono trarre le seguenti conclusioni. Da un lato, per stabilire se sussista «un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni» ai sensi dell’art. 1, lett. a), secondo trattino, della direttiva 89/48, non può ritenersi determinante la circostanza che il titolo in questione sia stato ottenuto in seguito a un regolare ciclo di studi la cui durata sia stata almeno di tre anni o piuttosto nell’ambito di una procedura di omologazione di durata inferiore a tre anni. Nella misura in cui quest’ultima ipotesi, analoga a quella della causa principale, è paragonabile a un ciclo di studi universitari, dal momento che prevede una formazione articolata in corsi ed esami complementari e spiega nel territorio nazionale gli stessi effetti giuridici del corrispondente titolo, le due tipologie di diplomi devono essere considerate equivalenti.
76. Relativamente alla questione dell’applicabilità della direttiva 89/48 alla causa principale su cui verte la prima questione pregiudiziale, l’eventuale mancanza di esperienza professionale è sostanzialmente irrilevante. Occorre infatti ricordare che il reciproco riconoscimento dei diplomi sancito nella direttiva 89/48 è basato sul principio della reciproca fiducia (28), di modo che allo Stato membro ospitante è, in linea di principio, precluso mettere in discussione l’equivalenza della qualifica professionale conseguita in un altro Stato membro. Occorre inoltre sottolineare che, secondo giurisprudenza costante della Corte (29), la direttiva 89/48 non ha per obiettivo, contrariamente alle direttive settoriali, di armonizzare le condizioni di accesso o di esercizio delle varie professioni cui essa si applica. Gli Stati membri restano quindi competenti a definire le dette condizioni nei limiti imposti dal diritto comunitario (30).
77. Di conseguenza, si deve ritenere che la Spagna sia libera di determinare l’accesso alla professione forense in Spagna sia sulla base di una decisione di omologazione di una formazione svolta sul territorio di un altro Stato membro sia sulla base di un diploma universitario che sancisca formazioni nazionali, atteso che l’unico requisito posto dall’art. 1 lett. a), primo comma, della direttiva 89/48 consiste nell’imporre che il titolo attesti «che il titolare ha seguito con successo un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni (…) dal quale risulti che (…) possiede le qualifiche professionali richieste per accedere ad una professione regolamentata in detto Stato membro» (31). La questione volta ad accertare in qual misura l’esercizio di una determinata professione esiga una conoscenza precisa del diritto nazionale deve essere di conseguenza risolta soltanto alla luce delle disposizioni nazionali(32). Pertanto, l’Austria, in qualità di Stato membro ospitante, non può avvalersi utilmente del fatto che il sig. Koller non abbia svolto il «tirocinio» di cinque anni previsto dalla legge di tale Stato membro, al fine di mettere in discussione l’applicabilità della direttiva 89/48 alla causa principale.
78. Nella misura in cui il titolo del sig. Koller ottenuto in Spagna mediante omologazione produce gli stessi effetti giuridici di un ciclo di studi universitari della durata di quattro anni e tale titolo si fonda su qualifiche aggiuntive conseguite nello Stato membro che lo ha rilasciato, ad esempio la formazione compiuta mediante la frequenza di corsi e il superamento di esami integrativi, ai fini dell’applicabilità della direttiva 89/48 si deve ritenere soddisfatto il secondo requisito della definizione di un «diploma» nell’accezione dell’art. 1, lett. a), secondo trattino, della stessa direttiva.
c) Conclusione intermedia
79. Il titolo invocato dal sig. Koller corrisponde, pertanto, alla definizione di «diploma» quale specificata all’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48. Quest’ultima trova conseguentemente applicazione nella specie.
2. L’accertamento di un comportamento abusivo nel contesto del sistema generale di reciproco riconoscimento dei diplomi
a) La nozione di abuso di diritto nel diritto comunitario
80. L’applicabilità, in linea di principio, di una direttiva non può tuttavia essere confusa con la possibilità di invocarla. La possibilità di invocare il diritto comunitario deve essere esclusa quando sussistono elementi concreti comprovanti che ciò costituisce un abuso del diritto (33). Come la Corte ha avuto modo di statuire, da ultimo, nella sentenza Commissione/Spagna (34) in merito all’interpretazione della direttiva 89/48, i cittadini di uno Stato membro non possono tentare, grazie alle possibilità offerte dal diritto comunitario, di sottrarsi abusivamente all’impero delle loro leggi nazionali. Nella causa principale il giudice del rinvio sembra accennare a un siffatto sospetto di abuso, quando afferma, nella sua ordinanza di rinvio, che il modo di procedere del sig. Koller ha lo scopo di eludere il tirocinio di cinque anni previsto dalla legge per l’esercizio della professione di avvocato in Austria (35). Tale circostanza fa sorgere la necessità di procedere all’accertamento dell’esistenza di un abuso del diritto.
81. In diritto comunitario esiste la nozione di abuso del diritto (36), che trae origine dalla giurisprudenza della Corte (37) e presenta attualmente un contenuto relativamente ben definito (38). Apparso inizialmente nel campo delle libertà fondamentali, tale principio della Corte è stato trasferito e successivamente esteso ad altri determinati settori del diritto comunitario. In termini molto semplificati, esso può essere inteso come principio generale che vieta i comportamenti abusivi, secondo il quale «gli interessati non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente del diritto comunitario» (39). A giudizio della Corte, la prova di un abuso richiede, da una parte, che ricorrano una serie di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l’obiettivo perseguito dalla detta normativa non sia stato raggiunto e, dall’altra, la sussistenza dell’elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (40).
82. Se è vero che spetta al giudice del rinvio verificare se nel procedimento nazionale sussistano gli elementi costitutivi di un comportamento abusivo (41), la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può però, ove necessario, fornire precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale (42).
b) Valutazione alla luce degli obiettivi della direttiva
83. L’accertamento se sussista effettivamente un caso di abuso del diritto non può aver luogo in maniera astratta senza prendere in considerazione gli obiettivi perseguiti dalla direttiva. Il sistema generale di riconoscimento istituito dalla direttiva 89/48 mira a consentire ai cittadini di uno Stato membro abilitati a esercitare una professione regolamentata in uno Stato membro di accedere alla stessa professione in altri Stati membri (43). La Corte ha già avuto modo di dichiarare che il fatto che un cittadino di uno Stato membro, che intenda esercitare una professione regolamentata, scelga di accedere ad essa nello Stato membro di sua preferenza non può costituire, di per sé, un abuso del sistema generale di riconoscimento istituito dalla direttiva 89/48. La Corte ha peraltro rilevato che il diritto dei cittadini di uno Stato membro di scegliere lo Stato membro nel quale intendano acquisire le loro qualifiche professionali è inerente all’esercizio, in un mercato unico, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato CE (44).
84. Alla luce di tali principi giurisprudenziali, al cittadino di uno Stato membro non può essere contestato il fatto che, dopo aver concluso gli studi nel proprio paese d’origine e aver conseguito una qualifica supplementare in un altro Stato membro a sua scelta, aspiri ad ottenere il riconoscimento del proprio diploma straniero da parte del suo paese d’origine. In quanto cittadino dell’Unione egli ha diritto di esercitare il diritto di libera circolazione e di studiare e/o lavorare all’estero, senza dover temere che il rientro nel proprio paese di origine possa pregiudicare la propria carriera accademica e/o professionale. La garanzia di tale risultato corrisponde anche alla finalità, affermata dal primo ‘considerando’ della direttiva 89/48, di eliminare fra gli Stati membri gli ostacoli alla libera circolazione delle persone. Ovviamente, un soggetto può azionare un tale diritto anche nei confronti del proprio Stato d’origine.
85. Un’ipotesi come quella precedentemente descritta è compatibile altresì con l’obiettivo di una realizzazione quanto più ampia possibile della libera prestazione dei servizi, come risulta dal primo ‘considerando’ della direttiva 89/48, in quanto essa è volta, da un lato, a favorire la fornitura di un servizio di istruzione da parte di un’istituzione di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Dalla qualifica accademica/professionale acquisita all’estero trae vantaggio anche lo Stato di origine del cittadino dell’Unione nella misura in cui esso attribuisce importanza a una migliore formazione possibile per i suoi cittadini. In tal modo si contribuisce alla realizzazione di un mercato europeo del lavoro, che può realizzarsi soltanto creando un mercato dei servizi formativi a livello europeo. Dall’altro lato, la libera prestazione dei servizi si realizza altresì consentendo l’effettuazione di prestazioni forensi nell’ambito del traffico giuridico transfrontaliero (45). Queste ultime, infatti, presuppongono conoscenze del diritto degli altri Stati membri, che possono essere meglio ottenute attraverso una formazione giuridica in loco. Il riconoscimento da parte dello Stato ospitante di una qualifica giuridica conseguita all’estero relativa al diritto di quello Stato membro favorisce il conseguimento di tale obiettivo (46).
86. Come ha giustamente rilevato l’avvocato generale Poiares Maduro nelle conclusioni relative alla causa Cavallera (47), la circostanza che un cittadino dell’Unione abbia voluto approfittare dell’accesso più vantaggioso ad una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui ha seguito i suoi studi non può essere interpretata de plano come abuso del diritto. Nel caso di specie un abuso del diritto sarebbe piuttosto ravvisabile soltanto in mancanza di un qualsiasi effettivo esercizio della libera circolazione da parte del cittadino dell’Unione – ad esempio attraverso una formazione integrativa o l’acquisizione di esperienza professionale in un altro Stato membro. Solo con l’acquisizione di una tale formazione o esperienza professionale si può realizzare l’«interpenetrazione economica e sociale» (48) in conformità degli obiettivi del mercato interno di cui all’art. 1, lett. c), CE. Essendo stato già acclarato che il sig. Koller ha conseguito una qualifica professionale corrispondente a un «ciclo di studi post-secondari» ai sensi dell’art. 1, lett. a), secondo trattino (49), è evidente che non sussistono i presupposti per ravvisare un abuso del diritto.
3. Conclusione
87. Si deve quindi risolvere la prima questione pregiudiziale dichiarando che la nozione di «diploma» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48 comprende i titoli rilasciati dall’autorità competente di un altro Stato membro da cui risulti che il richiedente possiede le qualifiche professionali richieste per accedere a una professione regolamentata, i quali tuttavia non attestano un ciclo di studi universitari in detto Stato della durata minima di tre anni e si basano, invece, sul riconoscimento del corrispondente titolo di studi acquisito nello Stato membro ospitante, purché tale riconoscimento si fondi su qualifiche aggiuntive conseguite nello Stato membro che lo ha rilasciato, ad esempio la formazione compiuta mediante la frequenza di corsi e il superamento di esami integrativi.
D – Sulla seconda questione pregiudiziale
88. Con la seconda questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 89/48 osti a una norma di diritto nazionale secondo la quale il titolare di un diploma, come quello descritto nella prima questione pregiudiziale, non può essere ammesso alla prova attitudinale senza aver dimostrato il periodo di esperienza pratica richiesta ai sensi del diritto nazionale.
89. Riconosciuta, dunque, l’applicabilità della direttiva 89/48 nell’ambito dell’esame della prima questione pregiudiziale, occorre verificare in prosieguo se il diritto nazionale sia conforme alle prescrizioni della direttiva. Si deve quindi esaminare la questione se l’Austria, in deroga al principio del reciproco riconoscimento, possa esigere dal sig. Koller, titolare del titolo austriaco di «Magister der Rechtswissenschaften», del titolo spagnolo di «Licenciado en Derecho» nonché del titolo professionale di «abogado», lo svolgimento di un periodo di formazione quale requisito per l’ammissione alla prova attitudinale.
90. L’art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48 rappresenta il fondamento normativo di tale misura dello Stato membro. Tuttavia, all’operatore giuridico risulta evidente che la ratio di tale disposizione della direttiva si comprende soltanto alla luce dell’analisi del meccanismo del reciproco riconoscimento su cui si fonda la direttiva nonché dalla giurisprudenza della Corte ad esso relativa.
1. Mancanza di automatismo nella procedura di reciproco riconoscimento
91. Occorre anzitutto fare riferimento all’art. 3, primo comma, della direttiva 89/48, che attua il principio della reciproca fiducia nell’ambito del riconoscimento dei diplomi (50), disponendo che lo Stato ospitante che subordina l’accesso ad una professione al possesso di un diploma non può rifiutare al cittadino di un altro Stato membro, per mancanza di qualifiche, l’accesso a tale professione se il richiedente possiede il diploma prescritto da un altro Stato membro per l’accesso o l’esercizio di questa professione sul suo territorio e se tale diploma è stato ottenuto in uno Stato membro. Occorre inoltre richiamare il già citato art. 8, n. 1, della direttiva 89/48, il quale obbliga lo Stato ospitante a riconoscere i certificati rilasciati dalle rispettive autorità degli altri Stati membri.
a) La sentenza 13 novembre 2003, Morgenbesser
92. In realtà, come precisato dalla Corte nella sentenza Morgenbesser (51), la direttiva 89/48 non richiede in nessun caso che il riconoscimento di un diploma nello Stato ospitante avvenga in modo puramente automatico (52). Spetta piuttosto all’autorità competente verificare, conformemente ai principi sanciti dalla Corte nelle sentenze Vlassopoulou (53) e Fernández de Bobadilla (54), se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le competenze o l’esperienza professionale ottenute in quest’ultimo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni richieste per accedere all’attività di cui trattasi (55).
93. Tale procedura di valutazione comparativa deve consentire alle autorità dello Stato membro ospitante di assicurarsi obiettivamente che il diploma straniero attesti il possesso da parte del suo titolare di conoscenze e di competenze, se non identiche, quanto meno equivalenti a quelle attestate dal diploma nazionale. Tale valutazione dell’equivalenza del diploma straniero deve effettuarsi esclusivamente in considerazione del livello delle conoscenze e delle competenze che questo diploma, tenuto conto della natura e della durata degli studi e della formazione pratica di cui attesta il compimento, lascia presumere siano in possesso del titolare (56).
94. Nell’effettuare tale esame, uno Stato membro può prendere in considerazione differenze obiettive relative sia al contesto giuridico della professione considerata nello Stato membro di provenienza sia al suo settore di attività. Pertanto, a giudizio della Corte, nel caso della professione di avvocato che qui rileva, uno Stato ha il diritto di procedere ad un esame comparativo dei diplomi tenendo conto delle differenze rilevate tra gli ordinamenti giuridici nazionali (57).
95. Se, in esito a detto esame comparativo dei diplomi, accerta che le conoscenze e le competenze attestate dal diploma straniero corrispondono a quelle richieste dalle disposizioni nazionali, lo Stato membro è tenuto a riconoscere che tale diploma soddisfa i requisiti da queste imposti. Se, invece, a seguito di tale confronto emerge una corrispondenza solo parziale tra dette conoscenze e competenze, lo Stato membro ospitante ha il diritto di pretendere che l’interessato dimostri di aver maturato le conoscenze e le competenze mancanti (58). A questo proposito, spetta alle autorità nazionali competenti valutare se le conoscenze acquisite nello Stato membro ospitante nel contesto di un ciclo di studi ovvero di un’esperienza pratica siano valide ai fini dell’accertamento del possesso delle conoscenze mancanti (59).
b) La sentenza 10 dicembre 2009, Peśla
96. Per quanto riguarda la qualificazione per lo svolgimento della professione forense, recentemente la Corte ha espressamente riconosciuto, nella sentenza 10 dicembre 2009, causa C‑345/08, Peśla, la compatibilità con i precetti del diritto comunitario di un siffatto esame comparativo, da parte delle autorità dello Stato ospitante, delle qualifiche professionali acquisite in altri Stati membri (60).
97. Tale causa verteva su una domanda di ammissione allo svolgimento di un tirocinio professionale in Germania da parte del sig. Peśla, cittadino polacco. Il sig. Peśla aveva concluso i suoi studi giuridici nel proprio paese d’origine e, successivamente, al termine di una formazione giuridica tedesco-polacca, conseguiva sia il titolo accademico di «Master of German and Polish Law» sia il titolo accademico di «Bachelor of German and Polish Law». Le autorità tedesche rigettavano la domanda diretta ad ottenere una dichiarazione di equipollenza adducendo che le conoscenze di diritto straniero non potevano essere considerate equivalenti a causa delle differenze esistenti con il diritto tedesco. Le autorità tedesche sottolineavano, inoltre, che le conoscenze di diritto richieste per gli attestati conseguiti dal sig. Peśla nel corso di «Master of German and Polish Law» erano di livello nettamente inferiore a quello delle prove scritte del primo esame di Stato nelle materie obbligatorie. In detta decisione di rigetto veniva tuttavia precisato che il sig. Peśla, su richiesta, avrebbe potuto partecipare a una prova attitudinale (61).
98. In tale sentenza la Corte ha in sostanza confermato la tesi delle autorità tedesche. Essa ha tra l’altro precisato che «le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualificazioni e/o l’esperienza professionale ottenute in altri Stati membri nonché l’esperienza acquisita nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto devono essere esaminate in riferimento alla qualificazione professionale richiesta dalla normativa dello Stato membro ospitante» (62).
99. Giustamente la Corte ha altresì statuito che, con riferimento all’accesso alle professioni di carattere giuridico nello Stato ospitante, risulta decisiva la conoscenza del diritto di tale Stato membro. Essa ha affermato che tale conoscenza del diritto non può essere puramente e semplicemente sostituita dalla conoscenza del diritto dello Stato di origine, e ciò anche qualora lo studio del diritto dal punto di vista del livello della formazione e del tempo e dello sforzo necessario per ottenere tale formazione sia equiparabile in entrambi gli Stati membri. Per evidenziare l’assurdità dell’argomento dedotto in senso contrario dal sig. Peśla, la Corte ha osservato che esso «portato alle estreme conseguenze, equivarrebbe ad ammettere che un candidato potrebbe accedere al tirocinio di preparazione senza possedere le minime conoscenze sia del diritto tedesco sia della lingua tedesca (63)».
100. Inoltre la Corte ha precisato che «quando le autorità competenti di uno Stato membro esaminano la domanda di un cittadino di un altro Stato membro diretta a ottenere l’accesso ad un periodo di formazione pratica per esercitare successivamente una professione legale regolamentata, come il tirocinio di preparazione, [l’art. 39 CE] non impone di per sé che dette autorità, nel contesto dell’esame di equipollenza richiesto dal diritto comunitario, esigano dal candidato soltanto un livello di conoscenze giuridiche inferiore a quelle attestate dalla qualificazione richiesta in tale Stato membro per l’accesso ad un siffatto periodo di formazione pratica» (64).
c) Conclusione
101. Dalla summenzionata giurisprudenza della Corte risulta che, ai fini del presente procedimento pregiudiziale, il riconoscimento di un diploma nello Stato ospitante non può certamente avvenire in modo automatico (65). Piuttosto, spetta allo Stato ospitante verificare, nell’ambito di un esame comparativo, l’equivalenza del diploma straniero con il rispettivo titolo nello Stato ospitante (66). Nel caso dei titoli in materie giuridiche, in linea di principio, la differenza degli ordinamenti giuridici degli Stati membri fa sì che lo Stato ospitante, conformemente al diritto comunitario, possa esigere che il titolare del diploma possieda un’esatta conoscenza del diritto dello Stato ospitante (67). Il diritto comunitario consente, benché non lo imponga, nell’interesse della libera circolazione dei lavoratori, che venga richiesto un livello di conoscenze giuridiche del candidato inferiore a quelle attestate dalla qualificazione richiesta in tale Stato membro per l’accesso ad un siffatto periodo di formazione pratica (68).
102. La Corte ha ricavato tali principi dall’interpretazione delle disposizioni di diritto primario degli artt. 39 CE e 43 CE sulla libera circolazione e sulla libertà di stabilimento dei lavoratori. Il primato del diritto derivato impone, nell’esaminare la seconda questione pregiudiziale, il ricorso prioritario alla direttiva 89/48. Tuttavia, tale circostanza è compatibile con un’interpretazione della direttiva 89/48 alla luce dei succitati principi, atteso che la direttiva è stata adottata proprio al fine di consentire la realizzazione delle libertà fondamentali, come indica la scelta dei suoi fondamenti normativi nonché il suo primo ‘considerando’ (69).
2. Il fondamento giuridico dell’art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48
103. La succitata giurisprudenza della Corte fornisce importanti indizi per l’interpretazione dell’art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48, dal momento che tale disposizione riguarda le misure adottate dallo Stato ospitante a seguito di un esame comparativo delle qualifiche del richiedente ai fini del riconoscimento del diploma straniero, tra le quali la facoltà di esigere che il richiedente, in presenza di determinate condizioni, compia un tirocinio di adattamento per un periodo massimo di tre anni oppure si sottoponga a una prova attitudinale.
104. Ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. b), secondo comma, della direttiva al richiedente spetta in via di principio un diritto di scelta. In deroga a tale principio, lo Stato ospitante può prescrivere un tirocinio di adattamento o una prova attitudinale se si tratta di professioni il cui esercizio richiede una conoscenza precisa del diritto nazionale e nelle quali la consulenza e/o l’assistenza per quanto riguarda il diritto nazionale costituisce un elemento essenziale e costante dell’attività professionale. Una situazione del genere ricorre senz’altro nel caso della professione dell’avvocato, chiamato a prestare consulenza e/o assistenza ai propri clienti su questioni di diritto nazionale (70). Di conseguenza l’Austria può esigere che venga sostenuto un esame di abilitazione alla professione forense, a condizione che esso corrisponda alla definizione di «prova attitudinale».
a) L’esame di abilitazione alla professione forense quale «prova attitudinale» ai sensi dell’art. 1, lett. g)
105. L’esame di abilitazione alla professione forense previsto all’art. 1 del RAPG corrisponde alla definizione di «prova attitudinale» ai sensi dell’art. 1, lett. g), della direttiva 89/48, dal momento che esso riguarda esclusivamente le conoscenze professionali del richiedente. Con tale esame si esamina l’idoneità del richiedente ad esercitare la professione forense corrispondente ai requisiti previsti in Austria. Tali requisiti sono fissati all’art. 1 del RAPG, secondo il quale deve essere fornita la prova della «capacità nell’avviare e nel seguire le pratiche, di carattere pubblico o privato, affidate ad un avvocato nonché la sua idoneità a redigere atti e pareri legali nonché ad esporre ordinatamente, per iscritto o oralmente, situazioni di fatto o di diritto». In qualità di Stato ospitante, l’Austria è autorizzata dal diritto comunitario a stabilire tali requisiti, conformemente ai principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte (71). L’art. 1, lett. g), della direttiva 89/48 accorda altresì all’Austria la facoltà di determinare le «modalità» di una siffatta «prova attitudinale».
b) Condizioni in presenza delle quali lo Stato ospitante può esigere lo svolgimento di una prova attitudinale
106. Dall’art. 4, n. 1, lett. b), secondo trattino, della direttiva 89/48 risulta che lo Stato ospitante può esigere un prova attitudinale quando la professione regolamentata nello Stato comprende una o più attività professionali regolamentate non esistenti nella professione regolamentata nello Stato membro di origine o di provenienza del richiedente, e tale differenza è caratterizzata da una formazione specifica prescritta nello Stato ospitante e vertente su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate dal diploma dichiarato dal richiedente.
i) Attività professionale non prevista nello Stato membro di origine o di provenienza del richiedente
107. Il «tirocinio» prescritto in Austria ai sensi dell’art. 1, n. 2, lett. d), della RAO va inteso quale «attività professionale», che «non esiste nella professione regolamentata nello Stato membro di origine del richiedente» e che non è prevista nella formazione di avvocato in Spagna.
ii) Differenza sostanziale nella formazione
108. La differenza sostanziale che, ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. b), secondo trattino, è caratterizzata da una formazione specifica prescritta nello Stato ospitante, è da ravvisarsi nella circostanza che l’accesso alla professione forense è concesso in Austria, in definitiva, soltanto a coloro che, accanto agli studi universitari di base, abbiano superato l’esame di abilitazione alla professione forense svolgendo il relativo tirocinio di cinque anni. Questi sono infatti i requisiti previsti dall’art. 1, nn. 1 e 2, della RAO per l’iscrizione all’ordine degli avvocati, che autorizza l’esercizio della professione forense. In Spagna, al contrario, sarebbero sufficienti a tal fine il conseguimento del titolo di «Licenciado en Derecho», la conclusione degli studi universitari nonché l’iscrizione all’ordine degli avvocati. In considerazione del fatto che la formazione di avvocato in Spagna non richiede alcuna pratica professionale, tale differenza deve essere ritenuta sostanziale.
iii) Materie non contemplate dal diploma dello Stato di origine
109. Infine, lo Stato ospitante può esigere il superamento di una prova attitudinale soltanto quando la differenza riguarda materie che sono sostanzialmente differenti da quelle contemplate dal titolo o dai titoli dichiarati dal richiedente.
– La qualifica acquisita in Spagna
110. Come risulta sia dalla direttiva 89/48 sia dalla giurisprudenza della Corte (72), occorre valutare le eventuali conoscenze già in possesso del richiedente, ad esempio le conoscenze del diritto dello Stato ospitante. A questo proposito, la circostanza che il sig. Koller abbia concluso prima ancora degli studi in Spagna, gli studi giuridici di base in Austria, potrebbe svolgere un ruolo importante, tanto più che, come si è gia avuto modo di esporre, un «diploma» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48 può essere costituito da un insieme di titoli (73). Il suo titolo di «Magister der Rechtswissenschaften» potrebbe pertanto, in linea di principio, essere considerato come un ulteriore titolo. Le fondamentali differenze nei singoli ordinamenti degli Stati membri lasciano però apparire il ciclo di studi seguito in Spagna dal sig. Koller non quale integrazione degli studi di base in Austria, bensì come uno studio che, per sua natura, è diverso. Pertanto, essi non potrebbero essere propriamente equiparabili. Nella valutazione delle qualifiche professionali si dovrebbe inoltre considerare che il profilo della professione di avvocato può variare da uno Stato membro all’altro (74). Il compito di verificare in dettaglio quali materie della formazione richiesta nello Stato ospitante non sono comprese nel diploma presentato dal richiedente spetta però, in ultima analisi, alle autorità competenti dello Stato ospitante ai sensi dell’art. 1, lett. g), secondo comma, della direttiva 89/48.
– Rapporto tra studio di base e formazione di avvocato
111. A mio avviso, si presenta in maniera più chiara il rapporto fra la formazione di avvocato e gli studi giuridici in Austria. In tale Stato membro, la formazione di avvocato, per come è concepita, si basa sul ciclo di studi giuridici di base, atteso che con quest’ultimo si presuppongono acquisite le necessarie conoscenze giuridiche. Essa rappresenta una formazione integrativa, essendo finalizzata a consentire che il candidato all’esame acquisisca la qualificazione professionale e l’esperienza necessarie. Tuttavia, a differenza della semplice formazione accademica ottenuta con la laurea in giurisprudenza, la formazione di avvocato è una formazione pratica. Come precisato dal governo austriaco (75), tale formazione, che comprende il tirocinio della durata di cinque anni e l’esame di abilitazione alla professione forense, trova la sua legittimazione nell’intento di fornire ai singoli prestazioni professionali di elevata qualità in grado di soddisfare le esigenze concrete.
112. Oltre all’orientamento pratico della formazione di avvocato in Austria, occorre considerare che detta formazione comprende materie che nell’ambito degli studi giuridici di base non sono trattate, o non lo sono sufficientemente, come il calcolo degli onorari o la deontologia forense. Lo stesso sig. Koller ha ammesso nelle sue osservazioni scritte (76) che, all’università, la normativa in materia di onorari degli avvocati è stata solo parzialmente oggetto di studio nell’ambito dell’esame di diritto processuale civile e penale e che, inoltre, egli non può dimostrare un’esperienza pratica in tali materie. La conoscenza di queste ultime resta nondimeno un presupposto essenziale per l’esercizio della professione forense, tanto da giustificare l’esplicito richiamo effettuato dall’art. 1, lett. g), della direttiva 89/48 alla deontologia quale possibile oggetto di esame. L’argomento del sig. Köller secondo il quale, avendo esercitato la professione forense per più di quattro anni, si potrebbe far affidamento sul fatto che egli abbia, da autodidatta, integrato lo studio della normativa in materia di onorari degli avvocati, non vale a mettere in discussione la necessità di un esame statale delle sue qualificazioni.
113. Va infine osservato che nell’interpretazione dell’art. 4, n. 1, lett. b), secondo trattino, della direttiva 89/48 occorre prendere in considerazione il quinto ‘considerando’ della direttiva 89/48, il quale dispone che relativamente alle professioni per il cui esercizio la Comunità non ha stabilito il livello minimo di qualifica necessario, gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire detto livello allo scopo di garantire la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio. Tenuto conto del fatto che né la direttiva 89/48 né il restante diritto comunitario disciplinano i requisiti generali per l’accesso alla professione forense e che, di conseguenza, gli stessi Stati membri possono stabilire i requisiti e quindi anche il livello minimo della formazione di avvocato, l’obbligo del richiedente di sottoporsi a una prova attitudinale non si pone in contrasto con il diritto comunitario.
c) Conclusione intermedia
114. L’Austria può, quindi, sulla base delle facoltà conferitele dall’art. 4, n. 1, lett. b), secondo trattino, della direttiva 89/48, esigere che il sig. Koller sostenga l’esame di abilitazione alla professione forense.
3. Obbligo di svolgere un tirocinio della durata di cinque anni
115. Occorre tuttavia distinguere tale obbligo da quello che impone al richiedente un tirocinio della durata di cinque anni.
116. In mancanza di un’autorizzazione in tal senso, l’art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48 non può essere invocato quale fondamento normativo per l’obbligo di svolgere un periodo di formazione pratica.
117. Se è pur vero che secondo l’art. 4, n. 1, lett. a), lo Stato ospitante può esigere che il richiedente provi il possesso di un’esperienza professionale solo qualora la durata della formazione fatta valere dal richiedente a norma dell’art. 3, lett. a), sia inferiore di almeno un anno a quella prescritta dallo Stato ospitante, non sussistono, tuttavia, elementi per affermare che la normale durata degli studi in Spagna si discosti molto da quella degli studi giuridici in Austria, i quali sono utilizzati a tal riguardo come termine di confronto. Come ho accennato in precedenza (77), per quanto attiene alla causa principale, si deve considerare che il sig. Koller ha concluso in soli due anni una formazione giuridica aggiuntiva, che, come previsto dal diritto spagnolo, corrisponde a un corso di studi giuridici in Spagna della durata di quattro anni.
118. Tuttavia, anche a voler considerare soltanto la durata di due anni della procedura di omologazione, sarebbe alquanto dubbio che l’art. 4, n. 1, lett. a), autorizzi un periodo di formazione della stessa durata del tirocinio quinquennale in Austria, tanto più che, ai sensi del primo trattino di detta disposizione, la durata dell’esperienza professionale richiesta non può oltrepassare il doppio del periodo di formazione mancante. Inoltre, l’art. 4, n. 1, lett. a), quarto comma, precisa chiaramente che la durata dell’esperienza professionale richiesta non può comunque superare quattro anni. Pertanto, la durata di cinque anni prevista per il tirocinio obbligatorio in Austria sarebbe in ogni caso superiore al periodo massimo consentito dalla direttiva 89/48.
119. Occorre infine richiamare la norma di cui all’art. 4, n. 2, della direttiva 89/48, la quale prescrive espressamente che lo Stato membro ospitante non può applicare cumulativamente le lett. a) e b) del n. 1. Tale disposizione è da intendersi nel senso che è vietata un’applicazione cumulativa di entrambi i meccanismi di compensazione (78), il che, applicato alla causa principale, significa che l’Austria non è autorizzata ad esigere la prova dell’esperienza professionale in aggiunta alla prova attitudinale.
120. Pertanto, nelle circostanze della specie, l’obbligo di svolgere un tirocinio della durata di cinque anni risulta privo di fondamento normativo nella direttiva 89/48.
4. Conclusione
121. In definitiva, si può affermare che se l’Austria può senz’altro imporre al sig. Koller di sostenere una prova attitudinale, tuttavia essa non può esigere altresì lo svolgimento di un tirocinio della durata di cinque anni.
122. Pertanto, la seconda questione pregiudiziale va risolta nel senso che la direttiva 89/48 osta a una norma di diritto nazionale, secondo la quale il titolare di un diploma, come descritto nella prima questione pregiudiziale, non può essere ammesso alla prova attitudinale se non dimostra il periodo di pratica professionale richiesta ai sensi del diritto nazionale.
VII – Conclusione
123. Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, propongo alla Corte di risolvere le questioni sottoposte dall’Obersten Berufungs- und Disziplinarkommission nei termini seguenti:
«1) La nozione di “diploma” ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48 comprende i titoli rilasciati dall’autorità competente di un altro Stato membro da cui risulti che il richiedente è in possesso delle qualifiche professionali richieste per accedere a una professione regolamentata, i quali non attestino tuttavia il compimento di un ciclo di studi universitari in detto Stato della durata minima di tre anni e si basino, invece, sul riconoscimento del corrispondente titolo di studi acquisito nello Stato membro ospitante, purché tale riconoscimento si fondi su qualifiche aggiuntive conseguite nello Stato membro che lo ha rilasciato, quali, ad esempio, la formazione compiuta mediante la frequenza di corsi e il superamento di esami integrativi.
2) La direttiva 89/48 osta a una norma di diritto nazionale per effetto della quale il titolare di un diploma, come descritto sub 1), non viene ammesso alla prova attitudinale ove non dimostri il compimento del periodo di pratica professionale richiesto ai sensi del diritto nazionale».
1 – Lingua originale: il tedesco.
2 – Il procedimento pregiudiziale è ora disciplinato dall’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in conformità del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea del 13 dicembre 2007 (GU C 306, pag. 1).
3 – GU 1989, L 19, pag. 16.
4 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 settembre 2005, 2005/36, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (GU L 255, pag. 22). La direttiva 2005/36 consolida la normativa applicabile nel campo del riconoscimento delle qualifiche professionali, coordinando in un unico testo tre direttive orizzontali relative al regime generale e dodici direttive settoriali. Essa si applica a tutti i cittadini di uno Stato membro che intendano esercitare, come lavoratori subordinati o autonomi, una professione regolamentata in un altro Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali.
5 – Dagli atti di causa emerge che l’omologazione è avvenuta sulla base del regio decreto 16 gennaio 1987, n. 86 (BOE del 23 gennaio 1987; nel frattempo sostituito dal regio decreto 20 febbraio 2004, n. 285, BOE del 4 marzo 2004).
6 – Sentenza 29 gennaio 2009, causa C‑311/06, Cavallera (Racc. pag. I-415).
7 – Sentenza 23 ottobre 2008, causa C‑274/05, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑7969, punti 31 e 35).
8 – Sentenza Cavallera (cit. supra alla nota 6), punto 55.
9 – Sul sistema del diritto derivato costituito dalle direttive di coordinamento e riconoscimento nonché sui lavori preparatori della direttiva 89/48, v. Görlitz, N., «Gemeinschaftsrechtliche Diplomanerkennungspflichten und Zugang zum deutschen Vorbereitungsdienst – Die primär- und sekundärrechtliche Verpflichtung der EU-Staaten zur Äquivalenzüberprüfung von den Ersten Staatsexamina vergleichbaren ausländischen Hochschulabschlüssen», in Europarecht, 2000, vol. 5, pag. 840; Bianchi Conti, A., «Considerazioni sul riconoscimento delle qualifiche e dei titoli professionali», in La libera circolazione dei lavoratori, 1998, pag. 205; Pertek, J., «La reconnaissance mutuelle des diplômes d’enseignement supérieur», in Revue trimestrielle de droit européen, 1989, n. 4, pagg. 629 e 637; Boixareu, A., «Las profesiones jurídicas en la directiva relativa a un sistema general de reconocimiento de los títulos de enseñanza superior», in Gaceta jurídica de la C.E.E., 1999, n. 44, pagg. 3 e 4; Zilioli, C., «L’apertura delle frontiere intracomunitarie ai professionisti: la direttiva CEE N. 89/48», in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1989, anno XXVIII, n. 3, pag. 422, che illustrano come il legislatore comunitario inizialmente abbia puntato su un ravvicinamento dei contenuti e dei requisiti dei diversi percorsi formativi nazionali per poi allontanarsi da tale approccio e introdurre con la direttiva 89/48, sulla base del c.d. principio della fiducia, un obbligo di riconoscimento tra gli Stati membri dei diplomi acquisiti secondo le disposizioni del relativo Stato di origine – per quanto non armonizzate.
10 – In tal senso, Pertek, J., «La reconnaissance des diplômes, un acquis original rationalisé et développé par la directive n° 2005/36 du 7 octobre 2005», in Europe, 2006, n. 3, pag. 7, con riferimento all’art. 3 della direttiva 89/48 o alla successiva disposizione dell’art. 13, primo comma, della direttiva che, secondo l’autore, contengono una presunzione iuris tantum dell’equivalenza dei diplomi stranieri.
11 – Secondo Visée, J.-M., «L’application de la directive 89/48/CEE (système général de reconnaissance des diplômes) aux avocats», in La reconnaissance des qualifications dans un espace européen des formations et des professions, 1998, pag. 212, le misure previste all’art. 4 della direttiva 89/48 (tirocini e prove attitudinali) dovrebbero poter livellare in parte le sostanziali differenze tra i sistemi di formazione.
12 – V., inter alia, sentenze 17 settembre 1997, causa C‑54/96, Dorsch Consult (Racc. pag. I‑4961, punto 23); 31 maggio 2005, causa C‑53/03, Syfait e a., (Racc. pag. I‑4609, punto 29), nonché 14 giugno 2007, causa C‑246/05, Häupl (Racc. pag. I‑4673, punto 16).
13 – V. sentenza 4 marzo 1999, causa C‑258/97, Hospital Ingenieure (Racc. pag. I‑1405).
14 – E dunque in senso conforme all’interpretazione resa dal Verfassungsgerichtshof austriaco nella sua sentenza 30 settembre 2003 (numero di ruolo B614/01 ua).
15 – Sulla professione forense quale professione regolamentata, v. sentenze 13 novembre 2003, causa C‑313/01, Morgenbesser (Racc. pag. I‑13467, punto 60), e 10 dicembre 2009, causa C‑345/08, Peśla (Racc. pag. I‑11677, punto 27).
16 – Sentenze Cavallera (cit. supra alla nota 6), punto 47, e 23 ottobre 2008, causa C‑286/06, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-8025, punto 55).
17 – V. pagg. 13 e segg. dell’ordinanza di rinvio.
18 – V. pag. 4, punto 4, delle osservazioni del sig. Koller.
19 – Sentenza 31 marzo 1993, causa C‑19/92, Kraus (Racc. pag. I‑1663, punto 19).
20 – L’avvocato generale Poiares Maduro, nelle conclusioni presentate il 28 febbraio 2008 nella causa C‑311/06, Cavallera (cit. supra alla nota 6, par. 23), osserva a giusto titolo che il sig. Cavallera non ha né studiato né lavorato in Spagna, più esattamente egli non avrebbe seguito alcuna formazione di tipo professionale o accademico in tale Stato. L’avvocato generale ha giustamente desunto da tale circostanza che il diploma di ingegnere meccanico ottenuto in Spagna fosse quindi il risultato di una «mera omologazione» del titolo universitario/accademico italiano.
21 – V. pag. 14 dell’ordinanza di rinvio.
22 – Sentenza Cavallera (cit. supra alla nota 6), punti 56-59.
23 – Sentenza Cavallera (cit. supra alla nota 6), punto 57.
24 – Sentenza 29 aprile 2004, causa C‑102/02, Beuttenmüller (Racc. pag. I‑5405).
25 – Ibidem, punto 42. In essa la Corte fa riferimento alla «Relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sullo stato d’applicazione del sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore — Presentata conformemente all’articolo 13 della direttiva 89/48/CEE [COM(96) 46 def.]», presentata dalla Commissione il 15 febbraio 1996.
26 – Sentenza Commissione/Spagna (cit. supra alla nota 16).
27 – Sentenza Commissione/Spagna (cit. supra alla nota 16), punto 61.
28 – V. supra, par. 47.
29 – V. sentenza 7 settembre 2006, causa C‑149/05, Price (Racc. pag. I‑7691, punto 54).
30 – La Corte ha statuito che, in mancanza di armonizzazione delle condizioni di accesso ad una professione, gli Stati membri possono definire le conoscenze e le qualificazioni necessarie all’esercizio di tale professione ed esigere la presentazione di un diploma che attesti il possesso di tali conoscenze e di tali qualificazioni. V. sentenze 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a. (Racc. pag. 4097, punto 10); 7 maggio 1991, causa C‑340/89, Vlassopoulou (Racc. pag. I‑2357, punto 9); 7 maggio 1992, causa C‑104/91, Aguirre Borrell e a. (Racc. pag. I‑3003, punto 7), e Peśla (cit. supra alla nota 15), punto 34. Nello stesso senso cfr. Mengozzi, P., «La direttiva del Consiglio 89/48/CEE relativa ad un sistema generale dei diplomi di istruzione superiore», in Le nuove leggi civili commentate, Anno XIII/1990, nn. 3 e 4, pag. 1014.
31 – V. le conclusioni presentate dall’avvocato generale Poiares Maduro il 28 febbraio 2008 nella causa C‑311/06, Cavallera (cit. supra alla nota 6, par. 33).
32 – V. sentenza Price (cit. supra alla nota 29), punto 54.
33 – Il ricorso abusivo al diritto comunitario comporta, quale conseguenza, il diniego di applicazione del diritto comunitario ad una determinata fattispecie. Così, ad esempio, nelle sentenze 14 dicembre 2000, causa C‑110/99, Emsland-Stärke (Racc. pag. I‑11569, punto 51), e 11 ottobre 1977, causa 125/76, Cremer (Racc. pag. 1593, punto 21) la Corte ha chiarito che l’applicazione dei regolamenti comunitari non può estendersi fino alla tutela di pratiche abusive di operatori economici.
34 – Sentenza Commissione/Spagna (cit. supra alla nota 16), punto 69.
35 – V. pag. 3 dell’ordinanza di rinvio. Indipendentemente dall’effettiva esistenza nella causa principale di un caso di abuso del diritto, accertabile soltanto nell’ambito di una valutazione giuridica obiettiva, il giudice del rinvio non è l’unico a nutrire tale sospetto. All’asserito rischio che differenze nella formazione dei giuristi possano dar luogo al «turismo» degli avvocati si riferiscono ad esempio Mannino, A., «Anerkennung von Berufsqualifikationen: Anmerkung zu EuGH, C‑313/01, 13.11.2003 – Morgenbesser», in Zeitschrift für Gemeinschaftsprivatrecht, 2004, n. 5, pag. 282, e, con particolare riferimento al procedimento pregiudiziale di specie, Goldsmith, J., «Fancy a little law qualification forum shopping?», in Law Society Gazette, disponibile su Internet, contributo del 4 agosto 2009, senza tuttavia un esplicito riferimento all’abuso del diritto.
36 – V., con riferimento al rischio di un’invocazione abusiva del diritto alle ferie annuali retribuite durante i periodi di malattia, riconosciuto dal diritto comunitario all’art. 7 della direttiva 2003/88, le mie conclusioni presentate il 24 gennaio 2008 nella causa C‑520/06, Stringer e a., sentenza 20 gennaio 2009, Racc. pag. I-179, paragrafo 80. Alla nota 53 di tali conclusioni ho definito l’abuso del diritto come l’azionamento improprio di una posizione giuridica soggettiva, il quale limita la possibilità di esercitare un diritto esistente. Ciò vuol dire che l’esercizio di un diritto formalmente riconosciuto incontra un limite nel principio di buona fede. Anche chi disponga di un diritto formalmente azionabile in giudizio non può esercitarlo abusivamente. Analogamente Creifelds, Rechtswörterbuch (a cura di Klaus Weber), a, Monaco, 2002, pag. 1109, secondo cui l’esercizio di un diritto soggettivo è abusivo quando, pur essendo formalmente conforme alla legge, il suo azionamento è contrario alla buona fede a motivo delle particolari circostanze del caso di specie.
37 – V. sentenze 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors (Racc. pag. 399, punto 25); 3 ottobre 1990, causa C‑61/89, Bouchoucha (Racc. pag. I‑3551, punto 14); 7 luglio 1992, causa C‑370/90, Singh (Racc. pag. I‑4265, punto 24); 12 maggio 1998, causa C‑367/96, Kefalas e a. (Racc. pag. I‑2843, punto 20); 9 marzo 1999, causa C‑212/97, Centros (Racc. pag. I‑1459, punto 24); 23 marzo 2000, causa C‑373/97, Diamantis (Racc. pag. I‑1705, punto 33); 21 novembre 2002, causa C‑436/00, X e Y (Racc. pag. I‑10829, punti 41 e 45); 30 settembre 2003, causa C‑167/01, Inspire Art (Racc. pag. I‑10155, punto 136); 21 febbraio 2006, causa C‑255/02, Halifax e a. (Racc. pag. I‑1609, punto 68); 12 settembre 2006, causa C‑196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (Racc. pag. I‑7995, punto 35); 21 febbraio 2008, causa C‑425/06, Part Service (Racc. pag. I‑897, punto 42), e 25 luglio 2008, causa C‑127/08, Metock e a. (Racc. pag. I-6241, punto 75).
38 – In tal senso si è espresso anche l’avvocato generale Poiares Maduro nelle sue conclusioni presentate il 28 febbraio 2008 nella causa Cavallera (cit. supra alla nota 20), parr. 43 e segg.. Secondo Baudenbacher, L.M., «Außer Spesen nicht gewesen – Die Spanienreise des italienischen Ingenieurs Cavallera», in European Law Reporter, 6/2009, pag. 213 e segg., e «Überlegungen zum Verbot des Rechtsmissbrauchs im Europäischen Gemeinschaftsrecht», in Zeitschrift für Europarecht, internationales Privatrecht und Rechtsvergleichung, 2008, pagg. 205 e segg., non si può escludere un futuro sviluppo da parte della Corte della sua giurisprudenza sulla nozione di abuso del diritto e magari un suo riconoscimento come principio generale di diritto comunitario. L´autrice divide la giurisprudenza sull´abuso del diritto in due gruppi: nel primo gruppo un soggetto invoca abusivamente il diritto comunitario al fine di sottrarsi all´applicazione del diritto nazionale. Nel secondo gruppo si riscontra un esercizio abusivo o fraudolento di diritti previsti dal diritto comunitario.
39 – V. sentenze Kefalas e a. (cit. supra alla nota 37), punto 20; Diamantis (cit. supra alla nota 37), punto 33; Halifax e a. (cit. supra alla nota 37), punto 68, e Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (cit. supra alla nota 37), punto 35.
40 – V. sentenze Emsland-Stärke (cit. supra alla nota 33), punti 52 e 53, e 21 luglio 2005, causa C‑515/03, Eichsfelder Schlachtbetrieb GmbH/Hauptzollamt Hamburg-Jonas (Racc. pag. I‑7355, punto 39). V. inoltre le mie conclusioni presentate il 10 febbraio 2010 nella causa C‑569/08, Internetportal, Racc. pag. I‑4871, par. 113.
41 – V. sentenze Eichsfelder Schlachtbetrieb (cit. supra alla nota 40), punto 40, e Halifax e a. (cit. supra alla nota 37), punto 76. Se è pur vero che il Verfassungsgerichtshof austriaco nella sua sentenza 13 marzo 2008, relativa alla causa con numero di ruolo B 1098/06, non ha ravvisato nel comportamento del sig. Koller un´ipotesi di abuso del diritto (v. punto 2.3.8 della sentenza: «Tutto ciò premesso e tenuto conto del fatto che il ricorrente esercita la professione di “Abogado” [avvocato], si rileva – come risulta pure dalle attestazioni prodotte dal ricorrente all´ordine degli avvocati di Madrid –, che è profondamente erroneo contestare al ricorrente un abuso»), tuttavia, va considerato che la nozione di abuso del diritto, rilevante nel caso di specie, è una nozione di diritto comunitario, che presenta caratteristiche speciifiche e che pertanto deve essere interpretata autonomamente a livello del diritto comunitario. Spetta al giudice nazionale, sulla base di criteri comunitari, verificare se nella causa principale sia stato commesso un abuso del diritto.
42 – V. sentenze 17 ottobre 2002, causa C‑79/01, Payroll e a. (Racc. pag. I‑8923, punto 29), e Halifax e a. (cit. supra alla nota 37), punti 76 e 77.
43 – Sentenza Commissione/Spagna (cit. supra alla nota 16), punto 70.
44 – Ibidem, punto 72, e sentenza 4 dicembre 2008, causa C‑151/07, Chatzithanasis (Racc. pag. I-9013, punto 32).
45 – V. Goll, U., «Anerkennung der Hochschuldiplome in Europa: Wunsch und Wirklichkeit», in Europäische Integration und globaler Wettbewerb, pag. 196, secondo il quale un giurista di un altro Stato membro, che intenda sostenere la prova attitudinale nello Stato ospitante, non si stabilirà probabilmente in quello Stato per fornire assistenza in materia di incidenti stradali o condurre cause in materia edilizia relative ad abitazioni unifamiliari. Per lui sarà piuttosto importante dedicarsi a determinati settori del diritto rilevanti sul piano del diritto internazionale e per i quali è essenziale il contributo che egli può apportare con la conoscenza dell’ordinamento giuridico straniero.
46 – In tal senso anche Kraus, D., «Diplomas and the recognition of professional qualifications in the case law of the European Court of Justice», in A true European, 2003, pag. 248, secondo il quale il diritto di un cittadino dell’Unione di svolgere attività lavorativa in un altro Stato membro, di stabilirsi in tale Stato o di prestare servizi transfrontalieri, risulterebbe privo di significato se i suoi diplomi o le sue qualifiche professionali non fossero riconosciuti all’estero.
47 – Conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro presentate il 28 febbraio 2008 nella causa Cavallera (cit. supra alla nota 20), par. 51.
48 – Nello stesso senso già l’avvocato generale Poiares Maduro nelle conclusioni da lui presentate il 28 febbraio 2008 nella causa Cavallera (cit. supra alla nota 20), par. 56.
49 – V. supra, par. 68.
50 – V. Pertek, J., op. cit. supra alla nota 9, pag. 637, il quale ritiene che il principio del reciproco riconoscimento sia parimenti consacrato nell’art. 3, primo comma, della direttiva 89/48.
51 – Sentenza Morgenbesser (cit. supra alla nota 15).
52 – Ibidem, punto 44.
53 – Sentenza Vlassopoulou (cit. supra alla nota 30).
54 – Sentenza 8 luglio 1999, causa C‑234/97, Fernández de Bobadilla (Racc. pag. I‑4773).
55 – Sentenza Morgenbesser (cit. supra alla nota 15), punto 67.
56 – Ibidem, punto 68. V. inoltre sentenza Peśla (cit. supra alla nota 15), punto 39.
57 – Sentenza Morgenbesser (cit. supra alla nota 15), punto 69.
58 – Ibidem, punto 70. V. inoltre sentenza Peśla (cit. supra alla nota 15), punto 40.
59 – Sentenza Morgenbesser (cit. supra alla nota 15), punto 71. V. inoltre sentenza Peśla (cit. supra alla nota 15), punto 41.
60 – Sentenza Peśla (cit. supra alla nota 15), punto 41.
61 – Ibidem, punti 12-15.
62 – Ibidem, punto 45 (il corsivo è mio).
63 – Ibidem, punto 46 (il corsivo è mio).
64 – Ibidem, punto 65 (il corsivo è mio).
65 – V. supra, par. 92. In tal senso anche Mengozzi, P., op. cit. supra alla nota 30, pag. 1015, e Pertek, J., op. cit. supra alla nota 9, pag. 638, secondo i quali la direttiva 89/48 coordina il reciproco riconoscimento di diplomi equivalenti, escludendo tuttavia qualunque forma di automatismo. In tal senso anche Kraus, D., op. cit. supra alla nota 46, pag. 253, secondo il quale né il Trattato CE né la direttiva 89/48 imporrebbero agli Stati membri l’obbligo del riconoscimento automatico e incondizionato dei diplomi stranieri.
66 – V. supra, parr. 92-95 e 98-100.
67 – V. supra, par. 99.
68 – V. supra, par. 100.
69 – In tal senso anche Görlitz, N., op. cit. supra alla nota 9, pag. 845, il quale dalla scelta dei fondamenti normativi nonché dal primo ‘considerando’ della direttiva 89/48 deduce che essa costituisce un atto di diritto derivato, diretto proprio alla realizzazione delle libertà fondamentali e, in particolare, al miglioramento della libera circolazione delle persone. L’autore ritiene che il preambolo della direttiva stabilisca un nesso giuridico tra le attività professionali riferite alle libertà fondamentali e quelle riferite alla direttiva. V. anche Carnelutti, A., «L’Europe des professions libérales: la reconnaissance mutuelle des diplômes d’enseignement supérieur», in Revue du marché unique européen, 1991, n. 1, pag. 35, per il quale la direttiva 89/48 è un «manuale» dei principi giurisprudenziali della Corte nel settore del riconoscimento reciproco dei diplomi.
70 – In tal senso anche Visée, J.‑M., op. cit. supra alla nota 11, pag. 212, il quale ritiene che l’art. 4, n. 1, lett. b), secondo comma, della direttiva 89/48 sia applicabile alle professioni forensi, e soprattutto alla professione di avvocato. Anche Baldi, R., «La liberalizzazione della professione forense nel quadro della direttiva comunitaria 21 dicembre 1988 (89/48 CEE)», in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1991, Anno XXVII, n. 2, pag. 349, non dubita del fatto che tale disposizione della direttiva si riferisca direttamente alla professione di avvocato. Nella sua «Relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sullo stato d’applicazione del sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore — Presentata conformemente all’articolo 13 della direttiva 89/48/CEE [COM(96) 46 def.]», pag. 25, la Commissione fa notare che gli Stati membri hanno interpretato tale disposizione in modo da includere avvocati, giudici e ad altri membri del corpo giudiziario, funzionari pubblici con qualificazioni giuridiche, agenti di brevetti, consulenti fiscali, revisori dei conti e contabili.
71 – V. supra, par. 101.
72 – Sentenze Morgenbesser (cit. supra alla nota 15), punti 57, 62 e 67, e 19 gennaio 2006, causa C‑330/03, Colegio de Ingenieros de Caminos, Canales y Puertos/Administración del Estado (Racc. pag. I-801, punto 36).
73 – V. supra, par. 58.
74 – V. Carnelutti, A., op. cit. supra alla nota 69, pag. 35, il quale illustra le differenze nel profilo della professione di avvocato nei singoli Stati membri. L’autore cita l’esempio delle funzioni di un Solicitor inglese, il quale è idoneo a svolgere mansioni che sono incompatibili con il profilo della professione forense in Francia e che non rientrano in altre categorie professionali (avvocato, consulente legale o agente immobiliare).
75 – V. punto 16, pag. 6 e 7 della memoria del governo austriaco.
76 – V. pag. 24 della memoria del sig. Koller.
77 – V. supra, par. 72.
78 – V. Boixareu, A., op. cit. supra alla nota 9, pag. 7, il quale osserva che l’art. 4, n. 2, della direttiva 89/48 non autorizza lo Stato ospitante ad applicare cumulativamente i meccanismi di controllo di cui all’art. 4, n. 1, lett. a) e b). Pertek, J., op. cit. supra alla nota 10, pag. 8, ritiene parimenti esistente un divieto di applicazione cumulativa delle misure di compensazione, benché in combinato disposto con la disposizione successiva di cui all’art. 14 della direttiva 2005/36.