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Έγγραφο 62008CJ0485

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 15 aprile 2010.
Claudia Gualtieri contro Commissione europea.
Impugnazione - Esperto nazionale distaccato - Indennità di soggiorno giornaliera - Principio della parità di trattamento.
Causa C-485/08 P.

Raccolta della Giurisprudenza 2010 I-03009

Αναγνωριστικό ECLI: ECLI:EU:C:2010:188

Causa C‑485/08 P

Claudia Gualtieri

contro

Commissione europea

«Impugnazione — Esperto nazionale distaccato — Indennità di soggiorno giornaliera — Principio della parità di trattamento»

Massime della sentenza

1.        Impugnazione — Motivi di ricorso — Motivazione insufficiente o contraddittoria — Ricevibilità — Portata dell’obbligo di motivazione

(Art. 225 CE; Statuto della Corte di giustizia, art. 58, primo comma)

2.        Funzionari — Rimborso delle spese — Esperti nazionali distaccati — Indennità giornaliera

(Art. 3, n. 2, CE)

3.        Procedura — Atto introduttivo del ricorso — Requisiti di forma — Individuazione dell’oggetto della controversia — Esposizione sommaria dei motivi dedotti

[Regolamento di procedura del Tribunale, art. 44, n. 1, lett. c)]

1.        Stabilire se la motivazione di una sentenza del Tribunale sia contraddittoria o insufficiente costituisce una questione di diritto che può, in quanto tale, essere fatta valere nell’ambito di un’impugnazione.

Nell’ambito di un’impugnazione il controllo della Corte è volto, in particolare, a verificare se il Tribunale abbia fornito una risposta adeguata in diritto a tutti gli argomenti invocati dalla parte ricorrente.

Tuttavia, l’obbligo per il Tribunale di motivare le proprie decisioni non può essere interpretato nel senso che quest’ultimo è tenuto a replicare in dettaglio a tutti gli argomenti invocati dalla parte ricorrente, specialmente se tali argomenti non hanno un carattere sufficientemente chiaro e preciso.

(v. punti 39-41)

2.        Il principio della parità di trattamento o di non discriminazione esige che situazioni simili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che un tale trattamento non sia oggettivamente giustificato.

Non procede ad una discriminazione nei confronti delle persone coniugate rispetto ai celibi che vivono in unioni di fatto la pronuncia del Tribunale che abbia convalidato il criterio dello stato civile come uno dei criteri corretti e appropriati per determinare l’importo dell’indennità giornaliera da percepire e abbia considerato che la ricorrente, al momento della domanda di distacco, non avesse subìto una discriminazione rispetto ad un esperto nazionale distaccato celibe in quanto il suo status di donna coniugata era giuridicamente distinto da quello di soggetto celibe.

Infatti, fissare le condizioni di concessione delle indennità agli esperti nazionali distaccati rientra nell’esercizio, da parte della Commissione, di un potere discrezionale. Così, il principio di non discriminazione o di parità di trattamento sarebbe disconosciuto solo nel caso in cui l’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione della Commissione 30 aprile 2002, relativa al regime applicabile agli esperti nazionali distaccati, comportasse una differenziazione arbitraria o manifestamente inadeguata rispetto all’obiettivo di tale disposizione. Ebbene, l’indennità è versata dalla Commissione allo scopo di compensare i disagi e le spese sopportati dall’esperto nazionale distaccato per il fatto di essere allontanato dal suo luogo di residenza. L’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione citata si fonda su una presunzione secondo la quale un esperto nazionale distaccato è esposto a minori inconvenienti allorché è coniugato con persona residente, al momento della domanda di distacco, nel luogo di distacco medesimo.

Sebbene, sotto certi aspetti, le unioni di fatto e quelle legali, come il matrimonio, possano presentare somiglianze, ciò non conduce necessariamente ad un’equiparazione tra questi due tipi di unione.

Anche se in situazioni marginali dall’introduzione di una normativa generale e astratta possono derivare eventuali inconvenienti, non si può rimproverare al legislatore di essersi avvalso di una categorizzazione, allorché essa non è di per sé discriminatoria rispetto all’obiettivo perseguito. Identica conclusione s’impone, a maggior ragione, qualora situazioni marginali siffatte comportino eventualmente anche vantaggi.

(v. punti 70-73, 75, 78, 81)

3.        Il Tribunale è tenuto a dichiarare irricevibile un capo di conclusioni del ricorso ad esso presentato allorché gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali tale capo di conclusioni si fonda non risultano con coerenza e chiarezza dal testo del ricorso, l’assenza di tali elementi nel ricorso non potendo essere ovviata dalla loro presentazione all’udienza.

(v. punto 104)







SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

15 aprile 2010 (*)

«Impugnazione – Esperto nazionale distaccato – Indennità di soggiorno giornaliera – Principio della parità di trattamento»

Nel procedimento C‑485/08 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, proposta l’11 novembre 2008,

Claudia Gualtieri, residente in Bruxelles (Belgio), rappresentata dagli avv.ti P. Gualtieri e M. Gualtieri,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata dal sig. J. Currall, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. E. Levits (relatore), M. Ilešič, J.-J. Kasel e M. Safjan, giudici,

avvocato generale: sig. Y. Bot

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la presente impugnazione la sig.ra Gualtieri chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 10 settembre 2008, causa T‑284/06, Gualtieri/Commissione (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale è stato respinto il suo ricorso volto ad ottenere da detta giurisdizione:

–        l’annullamento della decisione della Commissione delle Comunità europee del 5 settembre 2005, che le nega il beneficio dell’indennità giornaliera di EUR 107,10 e dell’indennità mensile di EUR 321,30;

–        l’annullamento della decisione del 30 gennaio 2006 con la quale la Commissione ha respinto il suo reclamo contro la decisione del 5 settembre 2005;

–        l’annullamento di tutte le comunicazioni mensili della Commissione relative alla determinazione delle indennità di soggiorno di sua spettanza;

–        in via principale, la condanna della Commissione a pagarle le indennità che ella ritiene le spettino a far data dal 1° gennaio 2004, tenendo conto dell’aumento degli importi di dette indennità a seguito dell’entrata in vigore della decisione della Commissione 27 febbraio 2004, C (2004) 577, che definisce il regime applicabile agli esperti nazionali distaccati presso i servizi della Commissione, successivamente modificata dalla decisione 22 marzo 2005, C (2005) 872;

–        in subordine, la condanna della Commissione a pagarle le indennità che ella ritiene le spettino a far data dal 2 febbraio 2005, o, in via di ulteriore subordine, dal 4 luglio 2005, fino al 31 dicembre 2005;

–        la condanna della Commissione alle spese.

I –  Il contesto normativo

2        La decisione della Commissione 30 aprile 2002, C (2002) 1559, relativa al regime applicabile agli esperti nazionali distaccati presso i servizi della Commissione, come modificata dalla decisione 31 gennaio 2003, C (2003) 406 (in prosieguo: la «decisione END»), prevedeva, all’art. 1, nn. 1 e 2, quanto segue:

«1.      Il presente regime si applica agli esperti nazionali distaccati presso la Commissione [in prosieguo: gli “END”] da un’amministrazione pubblica nazionale, regionale o locale. (…)

2.      Le persone cui si applica il presente regime restano al servizio del loro datore di lavoro per tutta la durata del distacco e continuano ad essere retribuite da quest’ultimo».

3        Conformemente all’art. 17, n. 1, della decisione END:

«L’[END] ha diritto, per tutta la durata del distacco, a un’indennità di soggiorno giornaliera. Se la distanza tra la sede di assunzione e la sede di distacco è pari o inferiore a 150 km, l’indennità ammonta a EUR 26,78. Se tale distanza è superiore a 150 km, l’indennità ammonta a EUR 107,10».

4        L’art. 17, n. 2, della decisione END prevedeva la concessione di un’indennità mensile rapportata alla distanza tra la sede di assunzione e la sede di distacco.

5        L’art. 20 della decisione END era del seguente tenore:

«1. Ai fini del presente regime, si considera luogo di residenza il luogo in cui l’[END] esercitava le sue funzioni per il suo datore di lavoro immediatamente prima del distacco. La sede di distacco è il luogo in cui è situato il servizio della Commissione al quale l’[END] è assegnato. Tali luoghi devono essere menzionati nello scambio di lettere di cui all’art. 1, n. 5.

(...)

3. Il luogo di residenza è considerato la sede di distacco [nei seguenti casi]:

(...)

b)      se, al momento della domanda di distacco da parte della Commissione, la sede di distacco è il luogo di residenza principale del coniuge o del figlio/dei figli a carico dell’[END].

Ai fini della presente disposizione, l’[END] che risiede a una distanza pari o inferiore a 150 km dalla sede di distacco è considerato residente in quella sede».

6        La decisione END è stata ulteriormente modificata dalle decisioni della Commissione 27 febbraio 2004, C (2004) 577, 22 marzo 2005, C (2005) 872, e 21 settembre 2005, C (2005) 3608, per poi essere abrogata dalla decisione della Commissione 1° giugno 2006, C (2006) 2033, che fissa le disposizioni per il distacco di esperti nazionali presso la Commissione.

II –  I fatti all’origine della controversia

7        I fatti all’origine della controversia sono esposti come segue ai punti 6-13 della sentenza impugnata:

«6      La ricorrente, sig.ra Claudia Gualtieri, magistrato in Italia, ha lavorato presso la Commissione in qualità di END dal 1° gennaio 2004 al 31 dicembre 2005.

7      La Commissione, dopo aver ricevuto da parte della Rappresentanza permanente della Repubblica italiana presso l’Unione europea la documentazione necessaria al distacco, ha inviato al rappresentante permanente una lettera, pervenuta l’11 novembre 2003, con cui lo informava che le disposizioni della [decisione END] erano applicabili alla ricorrente e che, di conseguenza, quest’ultima avrebbe ricevuto un’indennità giornaliera pari ad EUR 107,10, nonché, alle condizioni di cui all’art. 17 di tale decisione, un’indennità mensile pari ad EUR 321,30.

8      Alcuni giorni dopo l’entrata in servizio della ricorrente in qualità di END, con lettera 9 gennaio 2004, la direzione generale “Personale e amministrazione” ha comunicato alla Rappresentanza permanente della Repubblica italiana che la ricorrente avrebbe ricevuto soltanto un’indennità giornaliera pari a EUR 26,78, anziché la cifra di EUR 107,10 precedentemente comunicatale, dal momento che Bruxelles era il luogo di residenza del suo coniuge, in conformità dell’art. 20, n. 3, della decisione END.

9      Dal 2 febbraio 2005, la ricorrente ha vissuto separata dal marito e ha trasferito il suo domicilio presso un nuovo indirizzo a Bruxelles (…). L’atto di divorzio, redatto in via consensuale ai sensi del diritto belga, è stato depositato presso il Tribunal de première instance de Bruxelles (Tribunale di primo grado di Bruxelles) il 4 luglio 2005, ed è stato seguito da sentenza pronunciata il 13 gennaio 2006.

10      Con domanda proposta il 6 luglio 2005, la ricorrente, adducendo la separazione intervenuta tra lei e il marito, ha chiesto alla Commissione il versamento delle indennità giornaliere di EUR 107,10 e dell’indennità mensile che a suo avviso le sarebbero spettate almeno a partire dal 2 febbraio 2005.

11      Il 5 settembre 2005 la Commissione ha respinto tale domanda, argomentando che, ai sensi dell’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione END, il luogo di residenza della ricorrente all’epoca della sua domanda di distacco era stato fissato a Bruxelles.

12      Con nota 17 ottobre 2005, la ricorrente ha presentato un reclamo ai sensi dell’art. 27 della decisione END, nel testo di cui alla decisione [della Commissione] 22 marzo 2005, C (2005) 872.

13      Con decisione 30 gennaio 2006, la Commissione ha considerato il reclamo come proposto ai sensi dell’art. 90, n. 2, dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee, ma lo ha respinto, in particolare adducendo il fatto che “il luogo di assunzione [era stato] individuato nel luogo di residenza dell’interessata all’epoca della domanda di distacco [presso] la Commissione e, quindi, non vi [era] motivo di riesaminare tale decisione alla luce di eventuali cambiamenti relativi alla situazione personale [dell’interessata]”. (…)».

III –  Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

8        Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale della funzione pubblica il 30 aprile 2006, la ricorrente ha proposto un ricorso diretto all’accoglimento delle conclusioni esposte al punto 1 della presente sentenza.

9        Con ordinanza 9 ottobre 2006 il Tribunale della funzione pubblica (Prima Sezione) ha considerato che la ricorrente, in qualità di END, non era un agente delle Comunità europee ai sensi dell’art. 236 CE. Di conseguenza, si è dichiarato incompetente ratione personae a conoscere della controversia e, in applicazione dell’art. 8, n. 2, dell’allegato I allo Statuto della Corte di giustizia, ha rinviato la causa al Tribunale, affinché quest’ultimo si pronunciasse.

10      Dopo aver rilevato che, secondo la Commissione, il ricorso sarebbe stato ricevibile unicamente nella misura in cui era diretto ad ottenere l’annullamento della decisione del 30 gennaio 2006 e concerneva il rifiuto di corrispondere la totalità delle indennità di soggiorno di cui all’art. 17 della decisione END relativamente al periodo compreso tra il 17 agosto e il 31 dicembre 2005 (ovvero tra il 6 maggio e il 31 dicembre 2005), il Tribunale ha ritenuto opportuno, per ragioni di economia processuale, pronunciarsi subito sulle questioni di fondo e respingere indi il merito del ricorso, ciò che lo dispensava dall’esaminare le questioni relative alla ricevibilità dello stesso.

11      Il Tribunale ha respinto innanzitutto il primo motivo della ricorrente, concernente la violazione del principio della parità di trattamento nell’applicazione della decisione END.

12      Infatti, in risposta all’argomento della ricorrente secondo il quale, rifiutando di versarle, dopo la sua separazione, l’intero importo delle indennità di cui all’art. 17 della decisione END in quanto, nel momento in cui aveva presentato la domanda di distacco, la ricorrente era sposata con persona residente a Bruxelles, la Commissione avrebbe violato l’art. 141 CE, il Tribunale ha affermato, al punto 29 della sentenza impugnata, che la decisione END non opera alcuna distinzione tra END di sesso maschile e END di sesso femminile, ragion per cui la sua applicazione non può produrre alcuna discriminazione in base al sesso.

13      Al punto 30 della sentenza impugnata il Tribunale ha dichiarato che, per di più, e in ogni caso, come del resto la stessa ricorrente ha ammesso all’udienza, le indennità in parola non costituiscono una retribuzione.

14      Al punto 31 della sentenza impugnata il Tribunale ha respinto l’argomento della ricorrente relativo alla violazione del principio della parità di trattamento in funzione dello stato civile di coniugio, dichiarando che «il meccanismo di cui all’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione END trova applicazione comunque ad ogni END, sia esso celibe o coniugato» e che «[l]a Commissione ha a giusto titolo considerato che la ricorrente, al momento della domanda di distacco, non aveva subito una discriminazione rispetto ad un END celibe, in quanto lo stato civile della ricorrente, vale a dire quello di donna coniugata, si distingueva da quello di una persona celibe». Dopo aver ricordato che «[r]isulta da una giurisprudenza costante [della Corte e del Tribunale] che il matrimonio non può in via di principio essere equiparato alla convivenza more uxorio o ad altre situazioni di fatto, poiché una delle caratteristiche essenziali del matrimonio è che esso crea obblighi giuridici specifici, diversi da qualsivoglia altro stato civile», il Tribunale ha inoltre sottolineato che, «in base agli atti del fascicolo, la ricorrente è rimasta coniugata per l’intera durata del suo distacco, dal momento che il divorzio è stato pronunciato soltanto nel gennaio 2006».

15      Il Tribunale ha poi esaminato il secondo motivo della ricorrente, relativo all’eccezione di illegittimità dell’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione END, sollevata ai sensi dell’art. 241 CE. Esso ha respinto tale eccezione osservando, ai punti 36 e 37 della sentenza impugnata, che la ricorrente si era limitata ad enunciare detto motivo in modo molto astratto, senza indicare con precisione nelle sue memorie in cosa consistesse l’asserita violazione del principio di uguaglianza e senza sviluppare il motivo in parola neppure nel corso dell’udienza, malgrado l’invito in tal senso rivoltole dal Tribunale.

16      Infine, il Tribunale ha respinto il terzo motivo, attinente alla violazione da parte della Commissione del principio della tutela del legittimo affidamento, rilevando, ai punti 42 e 43 della sentenza impugnata, che le indicazioni fornite dalla Commissione alla ricorrente, tramite la Rappresentanza permanente della Repubblica italiana, erano contrarie al testo stesso della decisione END e non tenevano conto dello stato civile della ricorrente di donna coniugata con persona residente nel luogo del distacco al momento della domanda di distacco. Il Tribunale ha ricordato che la decisione END era allegata alle lettere indirizzate alla ricorrente e ha considerato, inoltre, che quest’ultima, magistrato in attività, era in grado di valutare il contesto di diritto e di fatto della situazione.

IV –  Le conclusioni delle parti dinanzi alla Corte

17      Con la sua impugnazione la ricorrente chiede alla Corte di voler

–         annullare, in tutto o in parte, la sentenza impugnata;

–        accogliere, in tutto o in parte, le domande e le conclusioni presentate in prima istanza nonché in sede di impugnazione;

–        in subordine, rinviare la causa al Tribunale per ogni decisione necessaria quanto al merito, nonché

–        condannare la Commissione alle spese di entrambi i gradi di giudizio, con compensazione totale, a titolo subordinato, delle spese relative al procedimento di primo grado.

18      La Commissione chiede alla Corte di voler respingere l’impugnazione e condannare la ricorrente alle spese relative al presente grado di giudizio.

V –  Sull’impugnazione

A –  Sulla parte dell’impugnazione avente ad oggetto l’annullamento della sentenza impugnata

19      A sostegno di tale capo delle conclusioni la ricorrente adduce due motivi vertenti, rispettivamente, su errori di diritto e vizi di motivazione commessi dal Tribunale, che avrebbero condotto alla violazione del principio della parità di trattamento nelle prestazioni di lavoro, e sull’insufficienza della motivazione nel respingere l’eccezione di illegittimità dell’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione END.

20      Con lettera depositata presso la cancelleria della Corte il 12 ottobre 2009, la ricorrente ha chiesto di poter presentare un motivo nuovo, conformemente agli artt. 42, n. 2, e 118 del regolamento di procedura.

1.     Sulla domanda di deduzione di un motivo nuovo

a)     Argomenti delle parti

21      La ricorrente fa valere che, successivamente al deposito del suo ricorso in impugnazione, la Commissione, il 12 novembre 2008, ha adottato la decisione C (2008) 6866 def., relativa al regime applicabile agli esperti nazionali distaccati e agli esperti nazionali in formazione professionale presso i servizi della Commissione (in prosieguo: la «decisione END del 2008»).

22      Questa nuova decisione apporterebbe ulteriori elementi a suffragio della tesi sostenuta nell’impugnazione, secondo la quale tra l’END e la Commissione si instaura un rapporto di lavoro caratterizzato da un nesso di subordinazione e le indennità percepite dall’END in tale contesto hanno carattere retributivo. Inoltre, la decisione END del 2008 non conterrebbe più disposizioni che prevedono la decurtazione dell’indennità giornaliera nell’ipotesi in cui, al momento della domanda di distacco, la sede di distacco costituisca il luogo di residenza principale del coniuge o dei figli a carico dell’END.

23      La Commissione, che è stata invitata, conformemente all’art. 42, n. 2, secondo comma, del regolamento di procedura, a rispondere al motivo presentato dalla ricorrente, ritiene che la domanda di deduzione di un motivo nuovo sia irricevibile, giacché la Corte può valutare l’impugnazione solo in funzione della situazione di fatto e di diritto presa in considerazione dal Tribunale. Peraltro, se davvero avesse ritenuto che l’adozione della decisione END del 2008 fosse pertinente ai fini dell’esame del suo caso da parte del Tribunale, la ricorrente avrebbe dovuto presentare a quest'ultimo una domanda di revocazione, conformemente agli artt. 44 dello Statuto della Corte di giustizia nonché 125 e 126 del regolamento di procedura del Tribunale.

24      In subordine, la Commissione osserva che l’art. 42 del regolamento di procedura dovrebbe essere interpretato nel senso che comporta una condizione implicita relativa alla pertinenza dell’elemento invocato. Ebbene, la decisione END del 2008 non potrebbe avere il benché minimo effetto in ordine alla situazione venutasi a creare in vigenza della decisione END del 2002. L’argomentazione della ricorrente sarebbe peraltro erronea in fatto, perché la decisione END del 2008 manterrebbe integralmente la distinzione tra gli END, da un lato, e i funzionari e gli agenti della Commissione, dall’altro.

b)     Giudizio della Corte

25      L’art. 42, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura della Corte, applicabile al procedimento d’impugnazione ai sensi dell’art. 118 del medesimo regolamento, vieta la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che tali motivi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento.

26      Nella fattispecie, il motivo tratto dall’adozione della decisione END del 2008, intervenuta nel corso del procedimento dinanzi alla Corte, è in ogni caso inoperante, nella misura in cui la legittimità di un atto comunitario deve essere valutata in base alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto è stato adottato (v. sentenze 7 febbraio 1979, cause riunite 15/76 e 16/76, Francia/Commissione, Racc. pag. 321, punto 7; 17 maggio 2001, causa C‑449/98 P, IECC/Commissione, Racc. pag. I‑3875, punto 87, nonché 22 dicembre 2008, causa C‑443/07 P, Centeno Mediavilla e a./Commissione, Racc. pag. I‑10945, punti 110 e 111).

27      In effetti, la decisione END del 2008, che è entrata in vigore solamente il 1° gennaio 2009, non trova applicazione al periodo di distacco della ricorrente. Pertanto essa non costituisce un elemento pertinente nell’ambito dell’esame del ricorso contro la sentenza con cui il Tribunale ha valutato la legittimità delle decisioni della Commissione relative a detto distacco.

2.     Sul primo motivo, vertente sulla violazione del principio di uguaglianza

28      Il primo motivo della ricorrente si articola in quattro capi.

a)      Sul primo capo del primo motivo

i)     Argomenti delle parti

29      Con il primo capo del primo motivo la ricorrente accusa il Tribunale di essere venuto meno all’obbligo di motivazione non pronunciandosi sulla posizione giuridica degli END, sebbene la questione fosse stata portata al suo esame.

30      La ricorrente allega inoltre che il nesso di subordinazione nel rapporto di lavoro tra la Commissione e l’END non può essere messo in dubbio, poiché il rapporto che l’END intrattiene con la propria amministrazione di origine deve essere considerato sospeso per tutta la durata del distacco. L’END sarebbe pienamente integrato nell’organizzazione della Commissione ed eserciterebbe le sue funzioni a beneficio esclusivo di quest’ultima.

31      Secondo la Commissione, il primo capo del primo motivo è irricevibile. Da un lato, la tesi della ricorrente secondo cui essa avrebbe dovuto essere considerata un’agente della Commissione implicherebbe necessariamente un riesame della legittimità dell’intera decisione END, in particolare delle disposizioni che stabiliscono che l’END resta legato al suo datore di lavoro originario. Ebbene, tali disposizioni non sono state contestate nell’ambito del procedimento di primo grado. Dall’altro lato, non sarebbe stato chiesto al Tribunale di pronunciarsi sulla qualificazione giuridica della posizione lavorativa dell’END rispetto alla Commissione.

32      In subordine, la Commissione ritiene che il primo capo del primo motivo sia inoperante, poiché non è necessario decidere se un END sia un agente della Commissione per determinare se l’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione END ovvero il modo in cui tale articolo è stato applicato integri una violazione dell’art. 141 CE o del principio generale di non discriminazione.

ii)  Giudizio della Corte

33      Quanto alla prima eccezione di irricevibilità dedotta dalla Commissione, si deve constatare che, con il primo capo del primo motivo, la ricorrente fa valere un errore di motivazione del Tribunale, che non avrebbe risposto agli argomenti da essa sollevati relativamente allo status giuridico dell’END, e non l’illegittimità della decisione END. Di conseguenza tale eccezione di irricevibilità deve essere respinta.

34      Nella misura in cui la Commissione invoca, in secondo luogo, l’irricevibilità del primo capo del primo motivo in quanto non sarebbe stato chiesto al Tribunale di pronunciarsi sullo status giuridico dell’END, si deve rilevare come dalla memoria di replica depositata dalla ricorrente presso la cancelleria del Tribunale risulti che gli argomenti relativi allo status giuridico dell’END sono stati senz'altro sollevati innanzi a quest’ultimo.

35      Vero è che, ai sensi dell’art. 48, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura del Tribunale, la produzione di nuovi motivi in corso di causa è vietata, a meno che tali motivi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi nel corso del procedimento.

36      Si deve tuttavia constatare che, se la ricorrente ha presentato gli argomenti relativi allo status giuridico dell’END solamente in sede di replica, è perché ribatteva la tesi della Commissione, esposta nel controricorso, secondo cui le indennità non potevano essere considerate retribuzione in quanto la Commissione non è il datore di lavoro dell’END. In altri termini, per la ricorrente si trattava di dimostrare che il rapporto di lavoro tra le parti è caratterizzato dalla sussistenza di un nesso di subordinazione tra le stesse e che, per questo, le indennità percepite dall’END devono essere considerate come una retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE.

37      Così, gli argomenti relativi allo status giuridico dell’END possono essere considerati un ampliamento del motivo sollevato dalla ricorrente dinanzi al Tribunale circa la violazione del principio di uguaglianza nell’applicazione della decisione END. Orbene, dalla giurisprudenza risulta che un motivo che costituisce l’ampliamento di un motivo precedentemente dedotto, in modo esplicito o implicito, nell’atto introduttivo del giudizio va considerato ricevibile (v., in particolare, sentenze 19 maggio 1983, causa 306/81, Verros/Parlamento, Racc. pag. 1755, punto 9; 26 aprile 2007, causa C‑412/05 P, Alcon/UAMI, Racc. pag. I‑3569, punti 38-40, e 17 luglio 2008, causa C‑71/07 P, Campoli/Commissione, Racc. pag. I‑5887, punto 63).

38      Di conseguenza, la Commissione non può affermare che la questione della qualificazione giuridica della posizione lavorativa dell’END rispetto alla Commissione non sia stata sollevata dinanzi al Tribunale. Pertanto anche la seconda eccezione di irricevibilità deve essere respinta.

39      Quanto al merito, si deve ricordare che stabilire se la motivazione di una sentenza del Tribunale sia contraddittoria o insufficiente costituisce una questione di diritto che può, in quanto tale, essere fatta valere nell’ambito di un’impugnazione (v., in particolare, sentenze 11 gennaio 2007, causa C‑404/04 P, Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, punto 90, nonché 9 settembre 2008, cause riunite C‑120/06 P e C‑121/06 P, FIAMM e FIAMM Technologies/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑6513, punto 90).

40      Nell’ambito di un ricorso in impugnazione il controllo della Corte è volto, in particolare, a verificare se il Tribunale abbia fornito una risposta adeguata in diritto a tutti gli argomenti invocati dalla parte ricorrente (v., in tal senso, sentenze 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, punto 128; 29 aprile 2004, causa C‑359/01 P, British Sugar/Commissione, Racc. pag. I‑4933, punto 47, nonché 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 244).

41      Tuttavia, come la Corte ha affermato in più occasioni, l’obbligo per il Tribunale di motivare le proprie decisioni non può essere interpretato nel senso che quest’ultimo è tenuto a replicare in dettaglio a tutti gli argomenti invocati dalla parte ricorrente, specialmente se tali argomenti non hanno un carattere sufficientemente chiaro e preciso (v., in particolare, sentenze 6 marzo 2001, causa C‑274/99 P, Connolly/Commissione, Racc. pag. I‑1611, punto 121; 11 settembre 2003, causa C‑197/99 P, Belgio/Commissione, Racc. pag. I‑8461, punto 81; Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, cit., punto 90, nonché FIAMM e FIAMM Technologies/Consiglio e Commissione, cit., punto 91).

42      Nella fattispecie, com'è stato osservato al punto 37 della presente sentenza, l’argomento relativo allo status giuridico dell’END è stato sollevato nell’ambito del motivo vertente sulla violazione del principio di uguaglianza, ai sensi dell’art. 141 CE.

43      Ebbene, è pacifico che, al punto 29 della sentenza impugnata, il Tribunale ha risposto all’argomento vertente sulla violazione dell’art. 141 CE, dichiarando che la decisione END non opera alcuna distinzione tra END di sesso maschile e END di sesso femminile e che, pertanto, la sua applicazione non può produrre alcuna discriminazione in base al sesso.

44      Alla luce di ciò, la questione relativa allo status giuridico dell’END, e di conseguenza la possibilità di qualificare l’indennità percepita da quest’ultimo come retribuzione, non era più decisiva.

45      Del resto, è solo ad abundantiam che il Tribunale ha dichiarato, al punto 30 della sentenza impugnata, che per di più, e in ogni caso, le indennità in questione non costituiscono una retribuzione.

46      Il primo capo del primo motivo deve quindi essere respinto in quanto infondato.

b)     Sul secondo capo del primo motivo

i)     Argomenti delle parti

47      Con il secondo capo del primo motivo la ricorrente accusa il Tribunale di essere venuto meno all’obbligo di motivazione e di aver commesso un errore di diritto statuendo, al punto 30 della sentenza impugnata, che «[p]er di più, e in ogni caso, come del resto la stessa ricorrente ha ammesso all’udienza, le indennità in parola non costituiscono una retribuzione».

48      In primo luogo, la ricorrente avrebbe adottato una posizione più sfumata, rilevando che, sebbene il contenuto dell’art. 17, n. 9, della decisione C (2006) 2033 preveda che le indennità non debbano essere considerate retribuzioni, non può tuttavia escludersi che esse abbiano almeno in parte natura retributiva.

49      In secondo luogo, il Tribunale avrebbe ammesso che le indennità non hanno la stessa natura delle retribuzioni, ma senza effettuare gli approfondimenti necessari e senza tener conto delle altre disposizioni di diritto, segnatamente dell’art. 141, n. 2, CE, dell’art. 63, n. 3, dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee e ancora dell’art. 19 del Regime applicabile agli altri agenti delle Comunità europee.

50      La Commissione fa valere anzitutto che la questione relativa alle dichiarazioni della ricorrente all’udienza costituisce una questione di fatto che non può essere messa in discussione in sede d’impugnazione, a meno di allegare un travisamento dei fatti. Ebbene, un tale travisamento non sarebbe stato né dedotto né provato, atteso che l’argomento attinente all’incompletezza delle dichiarazioni così come riportate nella sentenza impugnata non ha una simile portata.

51      Secondariamente, la ricorrente avrebbe riconosciuto in maniera esplicita, al punto 77 del ricorso in impugnazione, di aver reso la dichiarazione di cui al punto 30 della sentenza impugnata, ossia di aver ammesso, in udienza, che le indennità non costituivano una retribuzione. Gli argomenti della ricorrente al riguardo dimostrerebbero che quest’ultima non ha attribuito grande importanza all'ammissione fatta dinanzi al Tribunale e che avrebbe presentato le sue ulteriori osservazioni a titolo di mere ipotesi.

ii)  Giudizio della Corte

52      Si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, le censure dirette contro una motivazione ultronea di una decisione del Tribunale non possono comportare l’annullamento di tale decisione e sono dunque inoperanti (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit., punto 148, nonché ordinanze 23 febbraio 2006, causa C‑171/05 P, Piau/Commissione, punto 86, e 9 marzo 2007, causa C‑188/06 P, Schneider Electric/Commissione, punto 64).

53      Ebbene, com’è stato esposto al punto 45 della presente sentenza, al punto 30 della sentenza impugnata il Tribunale ha reso la dichiarazione contestata dalla ricorrente ad abundantiam rispetto a quanto già affermato al punto 29 della medesima sentenza. Ciò risulta altresì dall’impiego della locuzione «[p]er di più» all’inizio del punto 30.

54      Pertanto, il secondo capo del primo motivo appare diretto contro un elemento ultroneo della motivazione della sentenza impugnata, cosicché, quand’anche fosse fondato, non può comportare l’annullamento della stessa.

55      Ne consegue che il secondo capo del primo motivo deve essere respinto in quanto inoperante.

c)     Sul terzo capo del primo motivo

i)     Argomenti delle parti

56      Con il terzo capo del primo motivo la ricorrente accusa il Tribunale di aver esaminato l’esistenza di una discriminazione in base al sesso, laddove essa non avrebbe fatto valere una tale discriminazione, bensì avrebbe cercato di dimostrare, ricordando l’insieme delle disposizioni in vigore, l’esistenza di un principio generale di diritto comunitario a termini del quale a parità di prestazioni lavorative le retribuzioni devono essere identiche.

57      Dall’altro lato, l’interpretazione adottata dal Tribunale porterebbe a discriminare la famiglia legale, giacché riguarderebbe solo le unioni matrimoniali e non anche le unioni di fatto, qualunque sia il loro grado di stabilità nel tempo.

58      Ebbene, in primo luogo, lo status di persona coniugata non sarebbe sufficiente a giustificare la differenza di trattamento operata. Al contrario, occorrerebbe tener conto della situazione effettiva di ciascuna coppia, situazione che sarebbe la stessa per le coppie sposate e per quelle di fatto, poiché in entrambi i casi ci sarebbe un sostegno economico reciproco e solidale nonché un contributo paritario al pagamento delle spese relative alla vita in comune.

59      In secondo luogo, esisterebbe attualmente una forte tendenza ad equiparare l’unione di fatto al matrimonio nella legislazione dei diversi Stati membri. Di conseguenza, la giurisprudenza della Corte, non ammettendo la parità tra matrimonio e unione di fatto, dovrebbe essere rivista, quantomeno in materia di lavoro, alla luce delle disposizioni del diritto comunitario, in particolare dell’art. 1 quinquies, n. 1, secondo comma, dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee, nonché della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che riconoscerebbe il beneficio della tutela della vita familiare, di cui all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, anche alle famiglie di fatto.

60      In terzo luogo, il carattere discriminatorio della disparità di retribuzione a seconda dello stato civile discenderebbe dal fatto che la Commissione non riduce le indennità quando un END si sposa con persona residente a Bruxelles dopo essere entrato in servizio o quando il coniuge di un END, successivamente al distacco di quest’ultimo, sposti la sua residenza a Bruxelles.

61      Infine, in quarto luogo, la ricorrente tenta di dimostrare l’incoerenza della posizione difesa dalla Commissione dinanzi al Tribunale osservando che tale istituzione, da un lato, avrebbe indicato che lo stato civile dell’END era l’unico criterio reale e definito che poteva essere preso in considerazione per valutare l’importo delle indennità giornaliere da corrispondere, in quanto sarebbe contrario al principio di semplificazione esaminare le situazioni concrete, comprese le situazioni delle unioni di fatto, ma, dall’altro lato, in contrasto con detto principio di semplificazione, avrebbe preteso che la ricorrente impugnasse tutti i pagamenti mensili.

62      Secondo la Commissione, il Tribunale ben ha fatto, in risposta al riferimento della ricorrente all’art. 141 CE, ad osservare che dall’analisi della decisione END non risulterebbe alcuna discriminazione in base al sesso.

63      La Commissione afferma che l’argomento relativo alla pretesa equivalenza tra matrimonio ed unioni di fatto è stato avanzato per la prima volta in sede di impugnazione e per questo dovrebbe essere dichiarato irricevibile.

64      Inoltre, se l’importanza del principio dell’identità della retribuzione per prestazioni lavorative equivalenti deve essere evidentemente riconosciuta, tale principio non sarebbe pertinente nella fattispecie e non sarebbe stato violato dalla sentenza impugnata. In ogni caso, la parificazione tra il matrimonio e le unioni di fatto nell’ambito del sistema delle indennità concesse agli END avrebbe come unico effetto di estendere altresì agli END che vivano in unioni di fatto la presunzione alla base dell’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione END, secondo la quale un END è esposto a minori disagi allorché è sposato con persona che già risieda nel luogo di distacco, e, pertanto, di concedere anche a loro indennità ridotte.

65      Per di più, il fatto che, in alcune disposizioni dell’ordinamento giuridico comunitario, le unioni legali siano espressamente parificate a quelle di fatto non comporterebbe alcun obbligo generalizzato di effettuare tale equiparazione, soprattutto quando in dette disposizioni le ragioni di una tale equiparazione, in particolare la tutela della vita familiare, sono estranee al fondamento delle indennità previste all’art. 17 della decisione END.

66      La Commissione indica che, quando un regime è fondato su criteri concreti e precisi, applicati in maniera oggettiva, l’esistenza di situazioni marginali sarebbe accettabile nella misura in cui possano essere invocate istanze più importanti, come l’utilizzazione razionale delle risorse della Comunità e, nel caso specifico, l’alleggerimento degli oneri burocratici a carico della Commissione nei confronti dei soggetti temporaneamente distaccati dalle amministrazioni nazionali.

ii)  Giudizio della Corte

67      Quanto all’argomento secondo cui il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto esaminando l’esistenza di una discriminazione in base al sesso, è sufficiente osservare che, come risulta altresì dal punto 22 del ricorso in impugnazione, la ricorrente ha espressamente fatto valere dinanzi al Tribunale la violazione dell’art. 141 CE. Ebbene, questa disposizione è un’espressione specifica del principio generale di uguaglianza dei sessi (v. sentenza 11 settembre 2007, causa C‑227/04 P, Lindorfer/Consiglio, Racc. pag. I‑6767, punto 50).

68      È dunque a buon diritto che il Tribunale ha esaminato se l’applicazione della decisione END possa essere all’origine di una discriminazione in ragione del sesso.

69      Quanto, poi, all’argomento della ricorrente secondo cui l’interpretazione effettuata dal Tribunale crea una discriminazione della famiglia legale rispetto alle unioni di fatto, esso deve essere considerato ricevibile. Da un lato, infatti, come risulta dal ricorso depositato in primo grado, segnatamente dal suo punto 33, la ricorrente ha senz'altro invocato la comparabilità delle unioni legali, come il matrimonio, a quelle di fatto e, dall’altro lato, il Tribunale ha preso esplicitamente posizione in merito al punto 31 della sentenza impugnata.

70      A tale riguardo occorre ricordare che il principio della parità di trattamento o di non discriminazione esige che situazioni identiche non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che un tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (sentenze 10 gennaio 2006, causa C‑344/04, IATA e ELFAA, Racc. pag. I‑403, punto 95; 12 settembre 2006, causa C‑300/04, Eman e Sevinger, Racc. pag. I‑8055, punto 57, nonché Lindorfer/Consiglio, cit., punto 63).

71      Avendo concluso, al punto 31 della sentenza impugnata, per l’assenza di discriminazione tra la ricorrente, che era sposata al momento della domanda di distacco, e un END celibe, nella misura in cui i loro statuti personali rispetto al matrimonio sono differenti, il Tribunale ha implicitamente convalidato il criterio dello stato civile come uno dei criteri corretti e appropriati per determinare l’importo dell’indennità giornaliera da percepire.

72      Orbene, si deve osservare che fissare le condizioni di concessione delle indennità agli END rientra nell’esercizio, da parte della Commissione, di un potere discrezionale. Così, il principio di non discriminazione o di parità di trattamento sarebbe disconosciuto solo nel caso in cui l’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione END comportasse una differenziazione arbitraria o manifestamente inadeguata rispetto all’obiettivo di tale disposizione.

73      Ebbene, occorre osservare che l’indennità è versata dalla Commissione, come spiega quest’ultima, allo scopo di compensare i disagi e le spese sopportati dall’END per il fatto di essere allontanato dal suo luogo di residenza. L’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione END si fonda su una presunzione secondo la quale un END è esposto a minori inconvenienti allorché è coniugato con persona residente, al momento della domanda di distacco, nel luogo di distacco medesimo.

74      La ricorrente non contesta questa presunzione in quanto tale, ma ritiene che lo stato civile non sia l’unico criterio pertinente e appropriato da prendere in considerazione al riguardo e che la coabitazione potrebbe mettere i membri di unioni di fatto nella stessa situazione delle coppie sposate.

75      Occorre tuttavia rilevare che se, sotto certi aspetti, le unioni di fatto e quelle legali, come il matrimonio, possono presentare somiglianze, ciò non conduce necessariamente ad un’equiparazione tra questi due tipi di unione.

76      Ciò considerato, la scelta di ricorrere al criterio dello stato civile non appare né arbitraria né manifestamente inadeguata rispetto all’obiettivo di riduzione delle indennità versate agli END allorché questi ultimi si trovano in situazioni in cui è possibile presumere che sopportino, per effetto del loro status di persone coniugate, spese e inconvenienti meno importanti.

77      Si deve inoltre rilevare che, né davanti al Tribunale né davanti alla Corte, la ricorrente ha specificamente allegato un trattamento differenziato delle persone sposate rispetto a quelle che coabitano nell’ambito di un partenariato registrato e neppure ha dato atto della prassi della Commissione al riguardo.

78      Ne consegue che il Tribunale non ha proceduto ad una discriminazione nei confronti delle persone sposate rispetto ai celibi che vivono in unioni di fatto allorché ha convalidato il criterio dello stato civile e ha considerato, al punto 31 della sentenza impugnata, che la ricorrente, al momento della domanda di distacco, non aveva subito una discriminazione rispetto ad un END celibe in quanto il suo status di donna coniugata era giuridicamente distinto da quello di soggetto celibe.

79      L’argomento della ricorrente deve essere perciò respinto in quanto infondato.

80      L’evocazione, da parte della ricorrente, delle diverse situazioni in cui l’indennità non è ridotta a seguito degli ulteriori cambiamenti della situazione di un END non può revocare in dubbio questa valutazione.

81      La Corte ha già affermato che, anche se in situazioni marginali dall’introduzione di una normativa generale e astratta possono derivare eventuali inconvenienti, non si può rimproverare al legislatore di essersi avvalso di una categorizzazione, dal momento che una classifica per categorie non è di per sé discriminatoria rispetto all’obiettivo perseguito (sentenza 16 ottobre 1980, causa 147/79, Hochstrass/Corte di giustizia, Racc. pag. 3005, punto 14). Identica conclusione s’impone a maggior ragione qualora situazioni marginali siffatte comportino eventualmente anche vantaggi.

82      Il riferimento della ricorrente alle disposizioni dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee e alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è a tale riguardo privo di pertinenza.

83      Da un lato, la Corte ha già ricordato che agli END che sono occasionalmente occupati presso la Commissione non si applica lo Statuto dei funzionari delle Comunità europee (v. anche sentenza 24 gennaio 2008, causa C‑211/06 P, Adam/Commissione, punto 52).

84      Dall’altro lato, la ricorrente non ha dimostrato in cosa l’interpretazione del Tribunale violerebbe il principio di tutela della vita familiare quale garantito dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

85      Infine, gli argomenti con i quali la ricorrente critica la posizione difesa dalla Commissione dinanzi al Tribunale sono irricevibili. Ai termini, infatti, degli artt. 225 CE e 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, l’impugnazione contro le decisioni del Tribunale è limitata alle questioni di diritto e deve fondarsi su motivi tratti dall’incompetenza del Tribunale, da irregolarità di procedura dinanzi a quest’ultimo che rechino pregiudizio agli interessi della parte ricorrente oppure da violazioni del diritto comunitario sempre da parte del Tribunale (v., in particolare, ordinanza della Corte 10 maggio 2001, causa C‑345/00 P, FNAB e a./Consiglio, Racc. pag. I‑3811, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata).

86      Ebbene, mettendo in causa la posizione difesa dalla Commissione dinanzi al Tribunale, la ricorrente mira ad ottenere un semplice riesame del ricorso già presentato dinanzi a quest’ultimo, ciò che esula dalla competenza della Corte (v., in particolare, sentenza 4 luglio 2000, causa C‑352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione, Racc. pag. I‑5291, punto 35).

87      Il terzo capo del primo motivo deve perciò essere respinto in parte come infondato e in parte come irricevibile.

d)     Sul quarto capo del primo motivo

i)     Argomenti delle parti

88      Con il quarto capo del primo motivo, presentato in subordine, la ricorrente accusa il Tribunale di essersi accontentato di sottolineare, al punto 31 della sentenza impugnata, che, secondo i documenti del fascicolo, la ricorrente è rimasta coniugata per tutta la durata del suo distacco, mentre essa aveva chiesto che le indennità le fossero corrisposte integralmente a partire dal 2 febbraio 2005, data della separazione di fatto, o, in subordine, a partire dal 4 luglio 2005, data di deposito dell’atto di divorzio. La sentenza impugnata conterrebbe, così, un vizio di motivazione, perché non lascerebbe apparire chiaramente il ragionamento logico e giuridico seguito dal Tribunale.

89      La necessità, poi, al fine di determinare l’importo delle indennità dovute, di fare riferimento alla situazione in cui versava l’END al momento della domanda di distacco, senza tener conto degli eventuali ulteriori cambiamenti, non troverebbe conferma nel testo delle disposizioni applicabili.

90      La ricorrente allega che la posizione della Commissione è piena di contraddizioni, nella misura in cui la sua proposta che la ricorrente impugnasse ogni pagamento mensile sarebbe totalmente incoerente con il principio di semplificazione. Peraltro, la posizione della Commissione consistente nel rifiutare di monitorare lo stato civile degli END sarebbe indebolita dal fatto, ammesso da quest’ultima, che casi che richiedono un riesame sarebbero rari.

91      La Commissione ribatte che il quarto capo del primo motivo è parzialmente irricevibile e, in ogni caso, infondato.

92      In primo luogo, non ci sarebbe necessità di fornire motivazioni supplementari quanto ad una circostanza di fatto assolutamente innegabile, vale a dire che nessuna modificazione della situazione giuridica della ricorrente è intervenuta durante il periodo di distacco; questo elemento di fatto servirebbe, in ogni caso, soltanto a corroborare il ragionamento del Tribunale secondo cui la ricorrente non poteva aver subìto una discriminazione rispetto ad un END non sposato poiché era sposata e lo status di coniugato è giuridicamente diverso da quello di celibe.

93      In secondo luogo, facendo valere un difetto di motivazione inesistente nella fattispecie, la ricorrente cercherebbe in realtà di ottenere un semplice riesame da parte della Corte di argomenti già svolti e disattesi in primo grado circa la necessità di prendere in considerazione le modifiche della situazione personale dell’END sopravvenute nel corso del suo distacco.

94      In terzo luogo, e in ogni caso, l’art. 20, n. 3, lett. b) della decisione END imporrebbe di verificare la sussistenza della condizione di riduzione delle indennità al momento della domanda di distacco presso la Commissione.

ii)  Giudizio della Corte

95      Occorre, in primo luogo, ricordare che, ai sensi dell’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione END, per determinare il luogo di residenza dell’END si deve tener conto del luogo di residenza di quest’ultimo al momento della domanda di distacco.

96      Pertanto, l’argomento della ricorrente secondo cui la posizione del Tribunale, in base alla quale il meccanismo dell’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione END trova applicazione una volta per tutte a ogni END e la determinazione del luogo di residenza deve essere effettuata al momento della domanda di distacco, non trova alcun fondamento nel testo della decisione END è contraddetto dal tenore stesso del suddetto art. 20, n. 3, lett. b).

97      In secondo luogo, anche gli addebiti relativi alla violazione dell’obbligo di motivazione da parte del Tribunale devono essere respinti. Infatti, constatando, giustamente, che la valutazione della situazione dell’END si effettuava una volta per tutte al momento della domanda di distacco, il Tribunale ha risposto a sufficienza di diritto all’argomento della ricorrente secondo cui doveva esserle versata l’integralità dell’indennità a partire dal momento della separazione di fatto o quanto meno dal deposito dell’atto di divorzio. Questi cambiamenti dello status giuridico della ricorrente non potevano, dunque, essere pertinenti.

98      D’altro canto, è solo ad abundantiam che il Tribunale ha rilevato che la ricorrente è rimasta coniugata per tutta la durata del distacco. Ebbene, com’è stato ricordato al precedente punto 52, le censure dirette contro elementi ultronei della motivazione di una decisione del Tribunale non possono comportare l’annullamento della stessa e sono dunque inoperanti.

99      Per quanto riguarda, in terzo luogo, gli argomenti delle ricorrente diretti a dimostrare l’incoerenza della posizione della Commissione, è sufficiente constatare che la ricorrente intende ottenere un mero riesame del ricorso già presentato dinanzi al Tribunale, ciò che esula, conformemente alla giurisprudenza ricordata ai punti 85 e 86 della presente sentenza, dalla competenza della Corte nell’ambito di un’impugnazione.

100    Ne consegue che il quarto capo del primo motivo deve essere respinto in parte come infondato e in parte come irricevibile.

3.     Sul secondo motivo, vertente sull’errore di diritto che il Tribunale avrebbe commesso respingendo l’eccezione di illegittimità dell’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione END

a)     Argomenti delle parti

101    La ricorrente ritiene che, respingendo come irricevibile l’eccezione di illegittimità, ai sensi dell’art. 241 CE, sollevata nei confronti dell’art. 20, n. 3, lett. b), della decisione END, il Tribunale sia incorso in un vizio di motivazione; la ricorrente avrebbe esposto in maniera dettagliata e immediatamente comprensibile i motivi di fatto e di diritto a sostegno della propria domanda. Ella avrebbe indicato all’udienza, dinanzi al Tribunale, che l’eccezione di illegittimità andava ricollegata alle già esposte ragioni alla base della censura di disparità di trattamento. Apparirebbe dunque chiaro che, invocando l’art. 241 CE, ella mirava ad ottenere una pronuncia sulle questioni dedotte, pure nella denegata ipotesi di tardività dell'impugnazione.

102    La Commissione fa valere che il rigetto dell’eccezione di illegittimità ai punti 35‑37 della sentenza impugnata è debitamente motivato.

b)     Giudizio della Corte

103    Dal titolo stesso del secondo motivo, quale figura negli scritti della ricorrente, risulta che quest’ultima accusa il Tribunale di essere venuto meno all’obbligo di motivazione respingendo l’eccezione di illegittimità ai sensi dell’art. 241 CE. Tuttavia, risulta dei punti 123-125 del ricorso in impugnazione che la ricorrente contesta, in realtà, la fondatezza di tale rigetto. La ricorrente ritiene che, contrariamente a quanto statuito dal Tribunale, il suo ricorso fosse conforme alle regole di ricevibilità enunciate al punto 35 della sentenza impugnata.

104    La Corte ha già statuito che il Tribunale è tenuto a respingere come irricevibile un capo di conclusioni del ricorso a lui presentato allorché gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali tale capo di conclusioni si fonda non risultano con coerenza e chiarezza dal testo del ricorso, l’assenza di tali elementi non potendo essere ovviata dalla loro presentazione all’udienza (v. sentenza 18 luglio 2006, causa C‑214/05, Rossi/UAMI, Racc. pag. I‑7057, punto 37).

105    Nella fattispecie, al punto 36 della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato che nelle sue memorie la ricorrente si è limitata ad enunciare il motivo vertente sull’eccezione di illegittimità in modo molto astratto, senza indicare precisamente in cosa sarebbe consistita l’asserita violazione del principio di uguaglianza.

106    Orbene, la ricorrente non ha prodotto dinanzi alla Corte nessun argomento idoneo a dimostrare che, contrariamente a quanto statuito dal Tribunale, il ricorso presentato a quest’ultimo avrebbe contenuto elementi precisi di fatto e di diritto a sostegno dell’eccezione di illegittimità invocata; in realtà, l’indicazione resa all’udienza, secondo cui gli elementi di fatto e di diritto alla base del primo motivo fonderebbero altresì l’eccezione di illegittimità, non sarebbe pertinente al riguardo, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 104 della presente sentenza.

107    Ciò considerato, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto e il secondo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

B –  Sulla parte dell’impugnazione avente ad oggetto la condanna alle spese

1.     Argomenti delle parti

108    Secondo la ricorrente, il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto e in un vizio di motivazione condannandola alle spese sostenute dalla Commissione. Infatti, da un lato, l’END deve essere considerato un dipendente della Commissione, per cui la disposizione generale dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale non era applicabile nella fattispecie, e, dall’altro lato, sebbene la questione sia stata espressamente posta, il Tribunale non avrebbe spiegato perché la posizione giuridica dell’END non sia identica o assimilabile a quella dei funzionari e degli agenti.

109    La novità e la complessità giuridica delle questioni sollevate, poi, nonché il comportamento tenuto per tutto il tempo dalla Commissione, costituirebbero motivi eccezionali, che avrebbero dovuto condurre il Tribunale, in applicazione dell’art. 87, n. 3, primo comma, del suo regolamento di procedura, a condannare la Commissione a sopportare le sue proprie spese.

110    La Commissione fa valere che, siccome la ricorrente era un END, la cui situazione è chiaramente distinta da quella dei funzionari e degli agenti della Commissione, la controversia ricadrebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 230 CE, cosicché le disposizioni sulle spese nelle controversie relative ai funzionari o agli agenti della Commissione non troverebbero applicazione. Non emergerebbe, inoltre, nessun motivo eccezionale per cui il Tribunale avrebbe dovuto ripartire o compensare le spese.

2.     Giudizio della Corte

111    Occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 58, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, «[l]’impugnazione non può avere ad oggetto unicamente l’onere e l’importo delle spese». Inoltre è giurisprudenza costante che, nell’ipotesi in cui ogni altro motivo di impugnazione sia stato respinto, le conclusioni attinenti alla pretesa irregolarità della decisione del Tribunale quanto alle spese devono essere respinte come irricevibili in forza di detta disposizione (v., in particolare, sentenze 14 settembre 1995, causa C‑396/93 P, Henrichs/Commissione, Racc. pag. I‑2611, punti 65 e 66; 12 luglio 2001, cause riunite C‑302/99 P e C‑308/99 P, Commissione e Francia/TF1, Racc. pag. I‑5603, punto 31, nonché 26 maggio 2005, causa C‑301/02 P, Tralli/BCE, Racc. pag. I‑4071, punto 88).

112    Ne consegue che, nella misura in cui tutti gli altri motivi di impugnazione presentati dalla ricorrente sono respinti, l’ultimo motivo, concernente la ripartizione delle spese, deve essere dichiarato irricevibile.

VI –  Sulle spese

113    Ai termini dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura della Corte, applicabile al procedimento di impugnazione ai sensi dell’art. 118 del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della sig.ra Gualtieri, quest’ultima, essendo rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      La sig.ra Gualtieri è condannata alle spese.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.

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