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Document 62007CJ0388

    Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 5 marzo 2009.
    The Queen, su istanza di The Incorporated Trustees of the National Council for Ageing (Age Concern England) contro Secretary of State for Business, Enterprise and Regulatory Reform.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: High Court of Justice, Queen's Bench Division (Administrative Court) - Regno Unito.
    Direttiva 2000/78 - Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro - Discriminazione fondata sull’età - Licenziamento per collocamento a riposo - Giustificazione.
    Causa C-388/07.

    Raccolta della Giurisprudenza 2009 I-01569

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2009:128

    SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

    5 marzo 2009 ( *1 )

    «Direttiva 2000/78 — Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro — Discriminazione fondata sull’età — Licenziamento per collocamento a riposo — Giustificazione»

    Nel procedimento C-388/07,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla High Court of Justice (England and Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) (Regno Unito), con decisione 24 luglio 2007, pervenuta in cancelleria il , nella causa

    The Queen, su istanza di:

    The Incorporated Trustees of the National Council on Ageing (Age Concern England)

    contro

    Secretary of State for Business, Enterprise and Regulatory Reform,

    LA CORTE (Terza Sezione),

    composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. A. Ó Caoimh, J. Klučka, U. Lõhmus e dalla sig.ra P. Lindh (relatore), giudici,

    avvocato generale: sig. J. Mazák

    cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 luglio 2008,

    considerate le osservazioni presentate:

    per The Incorporated Trustees of the National Council on Ageing (Age Concern England), dal sig. R. Allen, QC, dal sig. A. Lockley, solicitor, e dal sig. D. O’Dempsey, barrister;

    per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra E. Jenkinson, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra D. Rose, QC;

    per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra W. Ferrante, avvocato dello Stato;

    per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. J. Enegren e dalla sig.ra N. Yerrell, in qualità di agenti,

    sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 23 settembre 2008,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1

    La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16).

    2

    Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia in cui si contesta la legittimità della trasposizione della direttiva 2000/78 nel Regno Unito e che vede contrapposti The Incorporated Trustees of the National Council on Ageing (Age Concern England) e il Secretary of State for Business, Enterprise and Regulatory Reform (Segretario di Stato agli Affari economici, alle Imprese e alla Riforma della regolamentazione).

    Contesto normativo

    La normativa comunitaria

    3

    Il quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/78 enuncia quanto segue:

    «La presente direttiva lascia impregiudicate le disposizioni nazionali che stabiliscono l’età pensionabile».

    4

    Il venticinquesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/78 così recita:

    «Il divieto di discriminazione basata sull’età costituisce un elemento essenziale per il perseguimento degli obiettivi definiti negli orientamenti in materia di occupazione e la promozione della diversità nell’occupazione. Tuttavia in talune circostanze, delle disparità di trattamento in funzione dell’età possono essere giustificate e richiedono pertanto disposizioni specifiche che possono variare secondo la situazione degli Stati membri. È quindi essenziale distinguere tra le disparità di trattamento che sono giustificate, in particolare, da obiettivi legittimi di politica dell’occupazione, mercato del lavoro e formazione professionale, e le discriminazioni che devono essere vietate».

    5

    A termini del suo art. 1, la direttiva 2007/78 «mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

    6

    L’art. 2 della direttiva 2000/78, rubricato «Nozione di discriminazione», dispone quanto segue:

    «1.   Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

    2.   Ai fini del paragrafo 1:

    a)

    sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

    b)

    sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:

    i)

    tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che

    ii)

    nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all’articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi.

    (…)».

    7

    L’art. 3, n. 1, della direttiva 2000/78, intitolato «Campo d’applicazione», prevede quanto segue:

    «Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:

    (…)

    c)

    all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione;

    (…)».

    8

    Ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78, rubricato «Giustificazione delle disparità di trattamento collegate all’età»:

    «Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

    Tali disparità di trattamento possono comprendere in particolare:

    a)

    la definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, onde favorire l’inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi;

    b)

    la fissazione di condizioni minime di età, di esperienza professionale o di anzianità di lavoro per l’accesso all’occupazione o a taluni vantaggi connessi all’occupazione;

    c)

    la fissazione di un’età massima per l’assunzione basata sulle condizioni di formazione richieste per il lavoro in questione o la necessità di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento».

    La normativa nazionale

    9

    Il giudice del rinvio afferma che nel Regno Unito, prima del 3 aprile 2006, non esistevano disposizioni legislative volte ad impedire le discriminazioni fondate sull’età in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. I datori di lavoro potevano licenziare i lavoratori subordinati che avessero raggiunto la normale età pensionabile in vigore nella loro impresa ovvero, in assenza di questa, i 65 anni di età. Gli artt. 109 e 156 della legge del 1996 sui diritti del lavoro (Employment Rights Act 1996; in prosieguo: la «legge del 1996») prevedevano che i lavoratori non potessero pretendere alcuna indennità di licenziamento in tali circostanze.

    10

    Il 3 aprile 2006 il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha trasposto la direttiva 2000/78 mediante l’adozione del regolamento del 2006 relativo all’uguaglianza nel settore del lavoro (età) [Employment Equality (Age) Regulations 2006], SI 1031/2006 (in prosieguo: il «regolamento»), entrato in vigore il .

    11

    L’art. 3 del regolamento, che figura nella parte 1 di quest’ultimo, definisce nei seguenti termini le condizioni alle quali una prassi discriminatoria può essere considerata illegittima:

    «(1)   Ai fini del presente regolamento, una persona (“A”) compie un atto di discriminazione nei confronti di un’altra persona (“B”) allorché

    (a)

    in base all’età di B, A riserva a B un trattamento meno favorevole rispetto al trattamento che riserva o riserverebbe ad altre persone, ovvero

    (b)

    A adotta nei confronti di B una disposizione, criterio o prassi che applica o applicherebbe anche nei confronti di persone appartenenti ad una fascia di età diversa rispetto a quella cui appartiene B, ma

    (i)

    che pone o porrebbe le persone della stessa fascia di età di B in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone, e

    (ii)

    che pone B in tale posizione di svantaggio,

    ed A non è in grado di dimostrare che il trattamento o, a seconda dei casi, la disposizione, il criterio o la prassi è un mezzo proporzionato per il conseguimento di una finalità legittima».

    12

    Le parti 2 e 3 del regolamento definiscono le circostanze in cui una discriminazione è illegittima in forza del regolamento.

    13

    A titolo di deroga, l’art. 30 del regolamento dispone che:

    «(1)   Il presente articolo si applica ai lavoratori subordinati ai sensi dell’art. 230, n. 1, della legge del 1996, alle persone al servizio della Corona, ai membri interessati del personale della Camera dei Comuni nonché ai membri interessati del personale della Camera dei Lords.

    (2)   Il licenziamento di una persona che ha raggiunto o superato i 65 anni di età e alla quale si applica il presente articolo, se la causa del licenziamento stesso è il pensionamento, non può essere dichiarato illegittimo in base a nessuna delle disposizioni contenute nelle parti 2 e 3.

    (3)   Ai fini del presente articolo, la causa del licenziamento — sia essa o meno il pensionamento — deve essere determinata secondo quanto disposto dagli artt. 98 ZA - 98 ZF della legge del 1996».

    14

    La questione se il pensionamento sia la causa del licenziamento dipende dall’applicazione dei criteri esposti nell’allegato 8 del regolamento. Tali criteri sono l’età, a seconda che il lavoratore abbia raggiunto o superato l’età di 65 anni o, eventualmente, abbia raggiunto la cosiddetta «normale età pensionabile» stabilita dal datore di lavoro, nonché l’attuazione di un procedimento preventivo di cui all’allegato 6 del regolamento. Sulla base di questi criteri, il suo allegato 8 determina, per quattordici tipologie di situazioni, se il pensionamento costituisca il motivo di licenziamento.

    15

    In base all’allegato 6 del regolamento, il datore di lavoro, qualora intenda fondarsi sull’art. 30 di questo adducendo che il motivo del licenziamento è il collocamento a riposo, deve concedere al proprio dipendente un preavviso di durata compresa tra sei mesi e un anno rispetto alla data prevista per il licenziamento. Durante tale periodo il dipendente può chiedere di non essere licenziato per pensionamento e tale domanda deve essere esaminata dal datore di lavoro, senza tuttavia che questi sia obbligato a darle accoglimento.

    16

    In base alla decisione di rinvio, né il regolamento né alcun altro testo prevede uno specifico ricorso che consenta di ottenere un sindacato giurisdizionale sulla compatibilità della decisione del datore di lavoro in merito alla suddetta domanda con il principio di parità di trattamento sancito dalla direttiva 2000/78.

    17

    Il giudice del rinvio precisa altresì che l’art. 7, n. 4, del regolamento integra l’art. 30 dello stesso consentendo ai datori di lavoro di operare, in materia di assunzioni, una discriminazione fondata sull’età nei confronti di persone che abbiano compiuto o superato i 65 anni di età. Detto art. 7 così recita:

    «1.   Un datore di lavoro agisce illegittimamente se, nell’offrire un impiego presso uno stabilimento situato in Gran Bretagna, opera una discriminazione nei confronti di una persona

    (a)

    nelle disposizioni che adotta al fine di individuare l’individuo al quale offrire un impiego;

    (…)

    (c)

    rifiutando di offrirgli o non offrendogli deliberatamente un impiego.

    (…)

    4.   Fatto salvo il n. 5, il n. l, lett. a) e c), non si applica

    (a)

    a persone la cui età sia superiore alla normale età pensionabile stabilita dal datore di lavoro o, se il datore di lavoro non applica una normale età pensionabile, ai 65 anni; ovvero

    (b)

    a persone che, in un periodo di sei mesi a decorrere dalla data della candidatura presso il datore di lavoro, raggiungono la normale età pensionabile stabilita dal datore di lavoro o, se il datore di lavoro non applica una normale età pensionabile, l’età di 65 anni.

    5.   Il n. 4 si applica esclusivamente alle persone alle quali potrebbe applicarsi l’art. 30 (eccezione relativa al pensionamento) qualora fossero assunte dal datore di lavoro.

    (…)

    8.   La “normale età pensionabile” di cui al n. 4 coincide con l’età di 65 anni o più, nel rispetto dei requisiti posti dall’art. 98 ZH della legge del 1996».

    Causa principale e questioni pregiudiziali

    18

    The National Council on Ageing (Age Concern England; in prosieguo: l’«Age Concern England») è un ente assistenziale avente lo scopo di promuovere il benessere degli anziani. Con il suo ricorso dinanzi al giudice del rinvio, l’Age Concern England contesta la legittimità degli artt. 3, n. 1, e 7, n. 4, nonché dell’art. 30 del regolamento, in quanto non costituiscono una corretta trasposizione della direttiva 2000/78. La ricorrente rileva essenzialmente che, prevedendo al suo art. 30 un’eccezione al principio di non discriminazione quando la causa di licenziamento di un lavoratore dipendente che abbia raggiunto o superato i 65 anni di età è il pensionamento, il regolamento disattende l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 nonché il principio di proporzionalità.

    19

    Dinanzi al suddetto giudice le autorità del Regno Unito, dal canto loro, hanno sostenuto che, in conformità del quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/78, a termini del quale quest’ultima «lascia impregiudicate le disposizioni nazionali che stabiliscono l’età pensionabile», le disposizioni del regolamento di cui alla causa principale non ricadono nell’ambito di applicazione della stessa. In subordine, esse adducono che tali disposizioni sono conformi all’art. 6 della direttiva in parola.

    20

    In tale contesto, la High Court of Justice (England and Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) (Tribunale di secondo grado d’Inghilterra e del Galles per questioni di diritto amministrativo), ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «Relativamente alla direttiva 2000/78 (…):

    [Quanto all’]età pensionabile nazionale e [all’]ambito di applicazione della direttiva[:]

    1)

    Se le norme nazionali che consentono ai datori di lavoro di licenziare i lavoratori che hanno raggiunto o superato i 65 anni d’età a causa del pensionamento rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva;

    2)

    Se le norme nazionali che consentono ai datori di lavoro di licenziare i lavoratori che hanno raggiunto o superato i 65 anni d’età a causa del pensionamento rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva, qualora tali norme siano state introdotte dopo l’adozione della direttiva stessa.

    3)

    Alla luce delle soluzioni che verranno fornite ai quesiti [che precedono,]

    se gli artt. 109 e 156 della legge del 1996 e

    se gli artt. 30 e 7 [del regolamento,] in combinato disposto con gli allegati 8 e 6 del regolamento,

    fossero o, rispettivamente, siano da considerarsi disposizioni nazionali che definiscono l’età pensionabile ai sensi del quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva;

    [Quanto alla] definizione di discriminazione diretta fondata sull’età[, in particolare quanto al] motivo di giustificazione[:]

    4)

    Se l’art. 6, n. 1, della direttiva consenta agli Stati membri di emanare disposizioni legislative ai sensi delle quali una disparità di trattamento in ragione dell’età non configura una discriminazione se è stabilito che essa costituisce un mezzo proporzionato per il conseguimento di una finalità legittima, oppure se [detto] art. 6, n. 1, imponga agli Stati membri di definire le tipologie di disparità di trattamento che potrebbero essere in tal modo giustificate, per mezzo di un elenco o altro strumento analogo per forma e contenuto al [suddetto] art. 6, n. 1.

    [Quanto ai] criteri di giustificazione delle discriminazioni dirette e indirette[:]

    5)

    Se esista una qualsivoglia differenza pratica di rilievo tra i criteri di giustificazione di cui all’art. 2, n. 2, della direttiva stabiliti in relazione alle discriminazioni indirette ed i criteri di giustificazione di cui all’art. 6, n. 1, della direttiva stabiliti in relazione alle discriminazioni dirette fondate sull’età e, in caso di soluzione affermativa, quale».

    Sulle questioni pregiudiziali

    Sulle prime tre questioni

    21

    Con le sue prime tre questioni, che è d’uopo esaminare congiuntamente, il giudice a quo chiede, in sostanza, se una normativa come quella oggetto della controversia di cui alla causa principale rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78.

    22

    In seguito alla sentenza 16 ottobre 2007, causa C-411/05, Palacios de la Villa (Racc. pag. I-8531), tutti gli interessati che hanno presentato osservazioni alla Corte riconoscono concordemente che il regolamento ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78.

    23

    In proposito occorre rammentare che la direttiva 2000/78 si propone di fissare un quadro generale per garantire ad ogni individuo la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, offrendo una protezione efficace contro le discriminazioni fondate su uno dei motivi di cui all’art. 1, fra i quali è menzionata l’età (v. sentenza Palacios de la Villa, cit., punto 42).

    24

    Più in particolare, dall’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 2000/78 risulta che essa si applica, nel contesto delle competenze devolute alla Comunità, «a tutte le persone (…) per quanto attiene (…) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione».

    25

    Invero, ai sensi del suo quattordicesimo ‘considerando’, la direttiva 2000/78 lascia impregiudicate le disposizioni nazionali che stabiliscono l’età pensionabile. Tuttavia tale ‘considerando’ si limita a precisare che la direttiva in parola non incide sulla competenza che spetta agli Stati membri nello stabilire l’età per poter accedere al pensionamento e non osta in alcun modo all’applicazione della direttiva di cui trattasi alle misure nazionali che disciplinano le condizioni per il termine di un contratto di lavoro al raggiungimento dell’età pensionabile così fissata (sentenza Palacios de la Villa, cit., punto 44).

    26

    Dalla decisione di rinvio emerge che l’art. 30 del regolamento ha l’effetto di autorizzare il licenziamento di un lavoratore avente 65 anni o più d’età per motivi di pensionamento. Inoltre, l’art. 7, n. 4, del regolamento in discorso prevede che un datore di lavoro possa operare una discriminazione fondata sull’età in sede di assunzioni nei confronti di persone che, se fossero lavoratori dipendenti, potrebbero rientrare nel campo di applicazione dell’art. 30 del suddetto regolamento. Infine, per i lavoratori di età inferiore ai 65 anni, dal combinato disposto degli artt. 3 e 30 del regolamento risulta che ogni licenziamento a causa di pensionamento deve essere considerato discriminatorio, a meno che il datore di lavoro non dimostri che si tratta di un «mezzo proporzionato per il conseguimento di una finalità legittima».

    27

    Ne consegue che un regolamento come quello oggetto della causa principale non istituisce un regime imperativo di pensionamento d’ufficio. Esso prevede le condizioni in presenza delle quali un datore di lavoro può derogare al principio del divieto delle discriminazioni fondate sull’età e licenziare un lavoratore per il fatto che questi ha raggiunto l’età pensionabile. Di conseguenza, un simile regolamento può direttamente incidere sulla durata del rapporto di lavoro che lega le parti nonché, in maniera più generale, sull’esercizio da parte del lavoratore interessato della sua attività professionale. Inoltre, una disposizione come quella dell’art. 7, n. 5, del regolamento priva i lavoratori che hanno raggiunto o stanno per raggiungere i 65 anni d’età e ricadono nel suo art. 30 di ogni tutela contro le discriminazioni fondate sull’età nell’ambito delle assunzioni, limitando così la partecipazione futura di tale categoria di lavoratori alla vita attiva.

    28

    Si deve ritenere che una normativa nazionale di questo tipo definisca norme relative all’«occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione», ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 2000/78 e, pertanto, rientri nell’ambito di applicazione di quest’ultima.

    29

    Siffatta conclusione non può essere messa in discussione per il fatto che una simile normativa nazionale è stata introdotta dopo l’adozione della direttiva, circostanza che il giudice del rinvio ha sottolineato nell’ambito della sua seconda questione.

    30

    In tale contesto occorre risolvere le prime tre questioni sollevate dichiarando che una normativa nazionale come quella sancita dagli artt. 3, 7, nn. 4 e 5, nonché 30 del regolamento di cui alla causa principale rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78.

    Sulla quarta questione

    31

    Con la sua quarta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri di specificare le tipologie di disparità di trattamento basate sull’età che possono derogare al principio di non discriminazione. Dagli atti risulta che tale questione è volta a chiarire se detto art. 6, n. 1, si opponga ad una disposizione come l’art. 3 del regolamento, in forza del quale una disparità di trattamento fondata sull’età non configura una discriminazione qualora venga dimostrato che si tratta di un «mezzo proporzionato per il conseguimento di una finalità legittima». Dato che il giudice del rinvio ha circoscritto la propria questione all’interpretazione dell’art. 6, n. 1, della suddetta direttiva, non è necessario che la Corte si pronunci sull’interpretazione di altre disposizioni, in particolare dell’art. 4 della stessa.

    32

    Va innanzi tutto rammentato che, in conformità del suo art. 1, la direttiva 2000/78 è diretta a lottare, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, contro taluni tipi di discriminazioni, tra cui rientrano le discriminazioni fondate sull’età, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento.

    33

    A termini dell’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/78, ai fini di quest’ultima per «principio della parità di trattamento» si deve intendere l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’art. 1 di tale direttiva. L’art. 2 della stessa specifica, al n. 2, lett. a), che, ai fini dell’applicazione del suo n. 1, sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’art. 1 della direttiva 2000/78, una persona è trattata meno favorevolmente rispetto ad un’altra che versa in una situazione analoga.

    34

    Orbene, l’art. 3 del regolamento consente ad un datore di lavoro di licenziare lavoratori di età inferiore ai 65 anni — i quali non rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 30 del regolamento — allorché costoro raggiungono l’età stabilita dall’impresa per il pensionamento, qualora una simile misura costituisca «un mezzo proporzionato per il conseguimento di una finalità legittima». Occorre affermare che siffatta normativa riserva un trattamento meno vantaggioso ai lavoratori che hanno raggiunto detta età di pensionamento rispetto a tutti gli altri soggetti attivi. Siffatta normativa è quindi atta a dar luogo ad una disparità di trattamento fondata direttamente sull’età, come prevista dall’art. 2, nn. 1 e 2, lett. a), della direttiva 2000/78.

    35

    Dall’art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78 risulta tuttavia che tali disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscono una discriminazione vietata in forza dell’art. 2 della stessa «laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari». Il secondo comma dello stesso numero elenca vari esempi di disparità di trattamento aventi caratteristiche come quelle menzionate al suddetto primo comma.

    36

    L’Age Concern England afferma che il legislatore comunitario, avendo in tal modo fatto ricorso, all’art. 6, n. 1, secondo comma, della direttiva 2000/78, ad un elenco di giustificazioni obiettive e ragionevoli, ha inteso imporre agli Stati membri l’obbligo di predisporre, nei loro strumenti di trasposizione, uno specifico elenco di disparità di trattamento atte ad essere giustificate in considerazione di una finalità legittima. L’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 osterebbe pertanto ad una normativa nazionale che prevede che una disparità di trattamento fondata sull’età, qualunque essa sia, non sia illegittima qualora possa dimostrarsi che essa costituisce un mezzo proporzionato per il conseguimento di una finalità legittima.

    37

    Ad avviso dell’Age Concern England, il regolamento non specifica alcuna circostanza tale da giustificare una disparità di trattamento idonea a configurare una discriminazione diretta fondata sull’età e non contiene alcuna disposizione specifica del tipo di quelle contemplate dal venticinquesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/78.

    38

    Il governo del Regno Unito contesta tale interpretazione e sostiene che gli Stati membri non sono tenuti ad enumerare in un elenco le differenze di trattamento idonee a beneficiare della deroga di cui all’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78.

    39

    Il governo italiano sostiene sostanzialmente la stessa tesi adducendo il margine di manovra di cui gli Stati membri dispongono nel trasporre le direttive.

    40

    La Commissione delle Comunità europee rileva che il principio di non discriminazione in funzione dell’età è un principio fondamentale del diritto comunitario, rinviando in proposito alla sentenza 22 novembre 2005, causa C-144/04, Mangold (Racc. pag. I-9981, punto 75), nonché all’art. 21, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il (GU C 364, pag. 1), e che ogni deroga a tale principio deve essere giustificata da un obiettivo pubblico di politica sociale. A suo avviso, l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 va interpretato così come chiarito dal venticinquesimo ‘considerando’ del suo preambolo, ossia nel senso che tale norma prevede una limitata forma di deroga al suddetto principio fondamentale giustificata da considerazioni particolari di politica sociale proprie di un determinato Stato membro. Le disposizioni del suddetto art. 6, n. 1, presuppongono quindi, a giudizio della Commissione, l’adozione di una misura nazionale specifica che rifletta un insieme di circostanze e di obiettivi particolari.

    41

    A tale riguardo è d’uopo rammentare che, a termini dell’art. 249 CE, una direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Gli Stati membri sono obbligati, nel trasporre una direttiva, a garantire la piena efficacia di questa, pur disponendo di un ampio margine di discrezionalità in relazione alla scelta dei mezzi (v., in particolare, sentenza 9 novembre 2006, causa C-216/05, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-10787, punto 26).

    42

    La trasposizione in diritto interno di una direttiva del resto non esige sempre la formale riproduzione delle disposizioni della stessa in una norma legislativa espressa e specifica. Infatti, la Corte ha dichiarato che l’attuazione di una direttiva può, in funzione del contenuto della stessa, essere assolta in uno Stato membro mediante principi generali o un contesto giuridico generale, qualora essi siano idonei ad assicurare effettivamente la piena applicazione della direttiva stessa e qualora, nel caso in cui una disposizione di quest’ultima miri ad attribuire diritti ai singoli, la situazione giuridica derivante da tali principi generali o da tale contesto giuridico generale sia sufficientemente precisa e chiara e i beneficiari siano messi in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti nonché, se del caso, di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali (v. in tal senso, rispettivamente, sentenze 23 maggio 1985, causa 29/84, Commissione/Germania, Racc. pag. 1661, punto 23, e , causa 363/85, Commissione/Italia, Racc. pag. 1733, punto 7). Una direttiva può essere del pari attuata tramite una misura generale, purché essa soddisfi le medesime condizioni.

    43

    In ossequio a tali principi, l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 non può essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri di stabilire, nelle misure di trasposizione da essi adottate, un elenco specifico di disparità di trattamento che possono essere giustificate da una finalità legittima. D’altronde, dal tenore della disposizione citata emerge che le finalità legittime e le disparità di trattamento ivi contemplate hanno un valore meramente indicativo, come attesta il ricorso all’avverbio «in particolare» ad opera del legislatore comunitario.

    44

    Di conseguenza, dall’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 non può evincersi che la mancanza di precisione da parte della normativa nazionale quanto alle finalità che possono ritenersi legittime alla luce di tale disposizione abbia l’effetto di escludere automaticamente che detta normativa possa essere giustificata ai sensi della disposizione menzionata (v., in tal senso, sentenza Palacios de la Villa, cit., punto 56).

    45

    In difetto di una simile precisione, rileva nondimeno che altri elementi, attinenti al contesto generale della misura interessata, consentono l’identificazione dell’obiettivo sotteso a quest’ultima al fine di esercitare un sindacato giurisdizionale quanto alla sua legittimità e al carattere appropriato e necessario dei mezzi adottati per realizzare detto obiettivo (sentenza Palacios de la Villa, cit., punto 57).

    46

    Dall’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 risulta che le finalità che possono ritenersi «legittime» ai sensi di tale disposizione e conseguentemente atte a giustificare una deroga al principio del divieto delle discriminazioni fondate sull’età sono obiettivi di politica sociale, come quelli connessi alla politica del lavoro, del mercato del lavoro o della formazione professionale. Per il loro carattere d’interesse generale, tali finalità legittime sono diverse dai motivi puramente individuali propri della situazione del datore di lavoro, come la riduzione dei costi o il miglioramento della competitività, senza che peraltro si possa escludere che una norma nazionale riconosca, nel perseguimento delle suddette finalità legittime, un certo grado di flessibilità in favore dei datori di lavoro.

    47

    Spetta in ultima istanza al giudice nazionale, il solo competente a valutare i fatti della controversia di cui è investito e ad interpretare la normativa nazionale applicabile, determinare se e in che misura una disposizione che consente ai datori di lavoro di licenziare i lavoratori che hanno raggiunto l’età del pensionamento sia giustificata da finalità «legittime» ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78.

    48

    Tuttavia, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, la Corte può, ove necessario, fornire precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua interpretazione (v., in particolare, sentenza 23 novembre 2006, causa C-238/05, Asnef-Equifax e Administración del Estado, Racc. pag. I-11125, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

    49

    Compete al giudice del rinvio verificare se gli obiettivi contemplati dall’art. 3 del regolamento siano legittimi ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78, in quanto ricadono in una finalità di politica sociale, come quelle connesse alla politica del lavoro, del mercato del lavoro o della formazione professionale.

    50

    A tale giudice spetterà altresì verificare, alla luce di tutti gli elementi pertinenti e tenendo conto della possibilità di conseguire con altri mezzi la finalità legittima di politica sociale individuata, se l’art. 3 del regolamento, in quanto mezzo destinato al perseguimento di tale finalità, sia, secondo la stessa formulazione dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78, «appropriat[o] e necessari[o]».

    51

    In proposito occorre rilevare che gli Stati membri dispongono di un ampio margine di valutazione discrezionale nella scelta delle misure atte a realizzare i loro obiettivi di politica sociale (v., in tal senso, sentenza Mangold, cit., punto 63). Tuttavia, tale margine di valutazione discrezionale non può avere l’effetto di svuotare della sua sostanza l’attuazione del principio di non discriminazione in funzione dell’età. Semplici affermazioni generiche, riguardanti l’attitudine di un provvedimento determinato a partecipare alla politica del lavoro, del mercato del lavoro o della formazione professionale, non sono sufficienti affinché risulti che l’obiettivo perseguito da tale provvedimento possa essere tale da giustificare una deroga al principio in discorso, né costituiscono elementi sulla scorta dei quali poter ragionevolmente ritenere che gli strumenti prescelti siano atti alla realizzazione di tale obiettivo (v., per analogia, sentenza 9 febbraio 1999, causa C-167/97, Seymour-Smith e Perez, Racc. pag. I-623, punti 75 e 76).

    52

    Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la quarta questione sollevata dichiarando che l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che non osta ad un provvedimento nazionale che, come l’art. 3 del regolamento, non contenga un elenco puntuale delle finalità che giustificano un’eventuale deroga al principio del divieto delle discriminazioni fondate sull’età. Tuttavia, il suddetto art. 6, n. 1, consente di derogare a tale principio unicamente in relazione ai soli provvedimenti giustificati da finalità legittime di politica sociale, come quelle connesse alla politica del lavoro, del mercato del lavoro o della formazione professionale. Spetta al giudice nazionale verificare se la normativa in esame nella causa principale risponda ad una simile finalità legittima e se l’autorità legislativa o regolamentare nazionale potesse legittimamente ritenere, tenuto conto del margine di valutazione discrezionale di cui gli Stati membri dispongono in materia di politica sociale, che i mezzi prescelti fossero appropriati e necessari alla realizzazione di tale finalità.

    Sulla quinta questione

    53

    La quinta questione pregiudiziale è volta a chiarire se le condizioni alle quali l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 subordina un’eventuale deroga al principio del divieto delle discriminazioni fondate sull’età divergano in maniera significativa da quelle poste dall’art. 2, n. 2, lett. b), di tale direttiva relativamente alle discriminazioni indirette.

    54

    L’Age Concern England sostiene che i criteri giustificativi enunciati dall’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 sono più ristretti rispetto a quelli di cui al suo art. 2, n. 2. Detto art. 6, n. 1, infatti, limiterebbe le deroghe consentite ai soli provvedimenti giustificati alla luce del loro carattere obiettivo e ragionevole. Questo duplice requisito, unico in diritto comunitario derivato, sarebbe direttamente ispirato alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Gaygusuz c. Austria del 16 settembre 1996 (Recueil des arrêts et décisions 1996-IV, pag. 1141, § 42), in relazione a discriminazioni fondate sul sesso o sulla razza. Dal momento che il principio di non discriminazione in ragione dell’età è un principio generale del diritto comunitario, come emerge dal punto 75 della citata sentenza Mangold, l’Age Concern England afferma che qualsiasi giustificazione di una disparità di trattamento fondata sull’età idonea a configurare una discriminazione diretta deve essere soggetta ad un controllo di intensità particolarmente elevata, equivalente a quello operato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di discriminazioni fondate sul sesso o sulla razza.

    55

    Il governo del Regno Unito ritiene che l’impiego congiunto, all’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78, dei termini «ragionevolmente» e «obiettivamente» non abbia rilevanza. Infatti, non sarebbe concepibile che una disparità di trattamento possa essere giustificata da una finalità legittima, perseguita con mezzi appropriati e necessari, ma che tale giustificazione non sia ragionevole. Del resto, la disposizione in parola riguarderebbe ipotesi di discriminazione non solo diretta, ma anche indiretta, come dimostrerebbe l’esempio di condizioni minime d’anzianità o di esperienza professionale richieste per l’accesso all’occupazione di cui al secondo comma, lett. b), di detto art. 6, n. 1. In genere, giustificazioni obiettive e proporzionate potrebbero essere invocate per escludere l’esistenza di una discriminazione, alla luce vuoi del diritto comunitario, vuoi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Istituire in materia di discriminazioni dirette in funzione dell’età un criterio diverso rispetto a quello applicabile in materia di discriminazione indiretta sarebbe foriero di incertezza giuridica, anche se il divieto delle discriminazioni fondate sull’età conosce numerose attenuazioni ed eccezioni che non hanno equivalenti in relazione alla discriminazione razziale o sessuale.

    56

    Il governo italiano rileva che gli artt. 2, n. 2, e 6, n. 1, della direttiva 2000/78 non hanno lo stesso ambito di applicazione. Quest’ultima disposizione, laddove si riferisce ai «giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale», implicherebbe che l’ambito delle deroghe al principio di non discriminazione in funzione dell’età sia più ampio di quello delle deroghe che rientrano nell’art. 2, n. 2, lett. b), della direttiva 2000/78.

    57

    La Commissione ritiene che non vada attribuita un’importanza particolare al fatto che l’art. 2, n. 2, della direttiva 2000/78 non faccia riferimento al carattere ragionevole della giustificazione di un provvedimento idoneo a costituire una discriminazione. La differenza sostanziale tra tale disposizione e l’art. 6, n. 1, di detta direttiva riguarderebbe la questione di quale sia il soggetto che deve fornire la giustificazione, quale sia la natura di questa e come debba essere provata. Quanto a quest’ultima disposizione, dal punto 57 della citata sentenza Palacios de la Villa risulterebbe che la finalità legittima perseguita dallo Stato membro interessato deve potersi dedurre direttamente dal tenore letterale del provvedimento interessato o dal suo contesto generale, segnatamente facendo ricorso a documenti ufficiali. Per contro, per quanto riguarda l’art. 2, n. 2, della suddetta direttiva, l’accento verrebbe posto sulla capacità del datore di lavoro di giustificare le sue prassi in materia di occupazione.

    58

    È giocoforza rilevare che gli ambiti di applicazione rispettivi degli artt. 2, n. 2, lett. b), e 6, n. 1, della direttiva 2000/78 non sono perfettamente coincidenti.

    59

    Infatti, l’art. 2 definisce la nozione di discriminazione fondata sulla religione o ideologia di altra natura, su un handicap, sull’età o su una particolare tendenza sessuale in relazione all’occupazione e al lavoro. Al suo n. 2 esso opera una distinzione tra, da un lato, le discriminazioni direttamente fondate su tali motivi e, dall’altro, le discriminazioni cosiddette «indirette» che, benché basate su una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri, sono idonee a mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale rispetto ad altre persone. Solo le disposizioni, criteri o prassi atti a configurare discriminazioni indirette possono, in forza dell’art. 2, n. 2, lett. b), della direttiva 2000/78, essere esclusi dalla qualificazione di discriminazione, essendo tale il caso, a termini del punto i), quando si tratta di «[una] disposizione, [di un] criterio o [di una] prassi (…) oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento [sono] appropriati e necessari». Per le disparità di trattamento che costituiscono discriminazioni dirette, in effetti, l’art. 2, n. 1, della predetta direttiva non prevede alcuna deroga.

    60

    Dal canto suo, l’art. 6 della direttiva 2000/78 instaura un regime derogatorio peculiare alle disparità di trattamento fondate sull’età, in considerazione della statura specifica riconosciuta all’età nell’ambito dei motivi di discriminazione proibiti dalla stessa. Il venticinquesimo ‘considerando’ di tale direttiva sottolinea, infatti, che è «essenziale distinguere tra le disparità di trattamento che sono giustificate, in particolare, da obiettivi legittimi di politica del lavoro, mercato del lavoro e formazione professionale, e le discriminazioni che devono essere vietate».

    61

    Come è stato ricordato al punto 35 della presente sentenza, l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 autorizza gli Stati membri a prevedere, fatto salvo l’art. 2, n. 2, della stessa, che talune disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazioni laddove esse siano «oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari». Il secondo comma del suddetto art. 6, n. 1, enumera vari esempi di disparità di trattamento che rivestono caratteristiche come quelle menzionate al primo comma della stessa disposizione e che, in linea di principio, possono essere considerate «oggettivamente e ragionevolmente giustificate» da una finalità legittima.

    62

    Orbene, l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 consente agli Stati membri di adottare nel loro diritto nazionale disposizioni che stabiliscono disparità di trattamento fondate sull’età e che ricadono in particolare nella categoria delle discriminazioni dirette, come definite dall’art. 2, n. 2, lett. a), della direttiva stessa. D’altronde è questo il motivo per cui, in particolare, detto art. 6, n. 1, deve essere interpretato nel senso che si applica, a termini del suo primo comma, «[f]atto salvo l’articolo 2, paragrafo 2», della direttiva stessa. Tale facoltà, in quanto configura un’eccezione al principio del divieto delle discriminazioni, è tuttavia strettamente delimitata dalle condizioni previste dallo stesso art. 6, n. 1.

    63

    Dalla decisione di rinvio risulta che la causa principale verte sulla legittimità di disposizioni nazionali disciplinanti le condizioni di licenziamento in ragione dell’età di pensionamento. Dal momento che esse instaurano condizioni di licenziamento meno favorevoli per i lavoratori che hanno raggiunto l’età del pensionamento, queste disposizioni prevedono una forma di discriminazione diretta ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. a), della direttiva 2000/78.

    64

    Per contro, ai fini della soluzione della controversia oggetto della causa principale, non pare necessario fornire l’interpretazione dell’art. 2, n. 2, lett. b), della direttiva 2000/78, che attiene unicamente alle discriminazioni indirette.

    65

    Tuttavia, giacché il giudice del rinvio solleva la questione della sussistenza di una distinzione nell’applicazione dei criteri sanciti dall’art. 2, n. 2, lett. b), della direttiva 2000/78, rispetto a quella dei criteri indicati dal suo art. 6, n. 1, occorre sottolineare che quest’ultima disposizione offre agli Stati membri la possibilità di prevedere, nell’ambito del diritto nazionale, che determinate forme di disparità di trattamento basate sull’età non configurino discriminazioni ai sensi della direttiva in parola qualora siano «oggettivamente e ragionevolmente» giustificate. Pur constatando che il termine «ragionevolmente» non compare nell’art. 2, n. 2, lett. b), di detta direttiva, va rilevato che non è concepibile che una disparità di trattamento possa essere giustificata da una finalità legittima, perseguita con mezzi appropriati e necessari, ma che simile giustificazione non sia ragionevole. Pertanto, non deve attribuirsi un significato particolare al fatto che il termine summenzionato sia stato impiegato soltanto all’art. 6, n. 1, di tale direttiva. Va peraltro sottolineato che quest’ultima disposizione ha come destinatari gli Stati membri imponendo loro, nonostante l’ampio margine di valutazione discrezionale di cui dispongono in materia di politica sociale, l’onere di dimostrare la legittimità dell’obbiettivo perseguito nel rispetto di un’elevata soglia probatoria.

    66

    Senza che nel presente caso sia necessario pronunciarsi sulla questione se detta soglia probatoria sia più elevata di quella applicabile nell’ambito dell’art. 2, n. 2, lett. b), della direttiva 2000/78, è giocoforza rilevare che, se una disposizione, un criterio o una prassi non configura, in ragione di una giustificazione oggettiva ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. b), della suddetta direttiva, una «discriminazione» ai sensi della stessa, non è necessario ricorrere di conseguenza all’art. 6, n. 1, della predetta direttiva, il quale, come risulta dal punto 62 della presente sentenza, è segnatamente volto a consentire di giustificare talune disparità di trattamento che, senza quest’ultima disposizione, costituirebbero discriminazioni di quel tipo.

    67

    Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la quinta questione sollevata dichiarando che l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 offre la possibilità agli Stati membri di prevedere, nell’ambito del diritto nazionale, talune forme di disparità di trattamento fondate sull’età qualora siano «oggettivamente e ragionevolmente» giustificate da una finalità legittima, quale la politica del lavoro, del mercato del lavoro o della formazione professionale, e purché i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari. Esso impone agli Stati membri l’onere di dimostrare il carattere legittimo della finalità invocata quale giustificazione in funzione dell’osservanza di un’elevata soglia probatoria. Non deve attribuirsi un significato particolare al fatto che il termine «ragionevolmente», impiegato all’art. 6, n. 1, della suddetta direttiva, non compaia nell’art. 2, n. 2, lett. b), della stessa.

    Sulle spese

    68

    Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

     

    Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

     

    1)

    Una normativa nazionale come quella sancita dagli artt. 3, 7, nn. 4 e 5, nonché 30 del regolamento del 2006 relativo all’uguaglianza nel settore del lavoro (età) [Employment Equality (Age) Regulations 2006] rientra nell’ambito di applicazione della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

     

    2)

    L’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che non osta ad un provvedimento nazionale che, come l’art. 3 del regolamento di cui alla causa principale, non contenga un elenco puntuale delle finalità che giustificano un’eventuale deroga al principio del divieto delle discriminazioni fondate sull’età. Tuttavia, il suddetto art. 6, n. 1, consente di derogare a tale principio unicamente in relazione ai soli provvedimenti giustificati da finalità legittime di politica sociale, come quelle connesse alla politica del lavoro, del mercato del lavoro o della formazione professionale. Spetta al giudice nazionale verificare se la normativa in esame nella causa principale risponda ad una simile finalità legittima e se l’autorità legislativa o regolamentare nazionale potesse legittimamente ritenere, tenuto conto del margine di valutazione discrezionale di cui gli Stati membri dispongono in materia di politica sociale, che i mezzi prescelti fossero appropriati e necessari alla realizzazione di tale finalità.

     

    3)

    L’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 offre la possibilità agli Stati membri di prevedere, nell’ambito del diritto nazionale, talune forme di disparità di trattamento fondate sull’età qualora siano «oggettivamente e ragionevolmente» giustificate da una finalità legittima, quale la politica del lavoro, del mercato del lavoro o della formazione professionale, e purché i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari. Esso impone agli Stati membri l’onere di dimostrare il carattere legittimo della finalità invocata quale giustificazione nel rispetto di un’elevata soglia probatoria. Non deve attribuirsi un significato particolare al fatto che il termine «ragionevolmente», impiegato all’art. 6, n. 1, della suddetta direttiva, non compaia nell’art. 2, n. 2, lett. b), della stessa.

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

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