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Document 62007CC0546
Opinion of Mr Advocate General Mazák delivered on 30 September 2009. # European Commission v Federal Republic of Germany. # Failure of a Member State to fulfil obligations - Freedom to provide services - Article 49 EC - Annex XII to the Act of Accession - List referred to in Article 24 of the Act of Accession: Poland - Chapter 2, paragraph 13 - Possibility of derogation by the Federal Republic of Germany from the first paragraph of Article 49 EC - ‘Standstill’ clause - Agreement of 31 January 1990 between the Government of the Federal Republic of Germany and the Government of the Republic of Poland on the posting of workers from Polish undertakings to carry out works contracts - Exclusion of the possibility for undertakings established in other Member States to conclude works contracts with Polish undertakings for work to be carried out in Germany - Extension of the restrictions existing at the date of signature of the Treaty of Accession relating to the access of Polish workers to the German labour market. # Case C-546/07.
Conclusioni dell'avvocato generale Mazák del 30 settembre 2009.
Commissione europea contro Repubblica federale di Germania.
Inadempimento di uno Stato - Libera prestazione dei servizi - Art. 49 CE - Allegato XII dell’Atto di adesione - Elenco di cui all’art. 24 dell’Atto di adesione: Polonia - Capitolo 2, n. 13 - Possibilità, per la Repubblica federale di Germania, di derogare all’art. 49, n. 1, CE - Clausola di "standstill" - Convenzione tra il governo della Repubblica federale di Germania e il governo della Repubblica di Polonia del 31 gennaio 1990, relativa al distacco di lavoratori di imprese polacche per l’esecuzione di contratti d’appalto - Esclusione della possibilità, per le imprese stabilite in altri Stati membri, di stipulare con imprese polacche contratti di lavoro aventi ad oggetto appalti da eseguire in Germania - Ampliamento delle restrizioni esistenti al momento della firma del Trattato di adesione relative all’accesso dei lavoratori polacchi al mercato del lavoro tedesco.
Causa C-546/07.
Conclusioni dell'avvocato generale Mazák del 30 settembre 2009.
Commissione europea contro Repubblica federale di Germania.
Inadempimento di uno Stato - Libera prestazione dei servizi - Art. 49 CE - Allegato XII dell’Atto di adesione - Elenco di cui all’art. 24 dell’Atto di adesione: Polonia - Capitolo 2, n. 13 - Possibilità, per la Repubblica federale di Germania, di derogare all’art. 49, n. 1, CE - Clausola di "standstill" - Convenzione tra il governo della Repubblica federale di Germania e il governo della Repubblica di Polonia del 31 gennaio 1990, relativa al distacco di lavoratori di imprese polacche per l’esecuzione di contratti d’appalto - Esclusione della possibilità, per le imprese stabilite in altri Stati membri, di stipulare con imprese polacche contratti di lavoro aventi ad oggetto appalti da eseguire in Germania - Ampliamento delle restrizioni esistenti al momento della firma del Trattato di adesione relative all’accesso dei lavoratori polacchi al mercato del lavoro tedesco.
Causa C-546/07.
Raccolta della Giurisprudenza 2010 I-00439
ECLI identifier: ECLI:EU:C:2009:586
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
JÁN MAZÁK
presentate il 30 settembre 2009 ( 1 )
Causa C-546/07
Commissione europea
contro
Repubblica federale di Germania
«Inadempimento di uno Stato — Libera prestazione dei servizi — Art. 49 CE — Allegato XII dell’Atto di adesione — Elenco di cui all’art. 24 dell’Atto di adesione: Polonia — Capitolo 2, n. 13 — Possibilità, per la Repubblica federale di Germania, di derogare all’art. 49, n. 1, CE — Clausola di “standstill” — Convenzione tra il governo della Repubblica federale di Germania e il governo della Repubblica di Polonia del 31 gennaio 1990, relativa al distacco di lavoratori di imprese polacche per l’esecuzione di contratti d’appalto — Esclusione della possibilità, per le imprese stabilite in altri Stati membri, di stipulare con imprese polacche contratti d'appalto aventi ad oggetto lavori da eseguire in Germania — Estensione delle restrizioni esistenti al momento della firma del Trattato di adesione relative all’accesso dei lavoratori polacchi al mercato del lavoro tedesco»
I — Introduzione
1. |
Con il presente ricorso la Commissione chiede che sia dichiarato che la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell’art. 49 CE e che ha violato la clausola di standstill di cui al capitolo 2, punto 13, dell’allegato XII dell’Atto 16 aprile 2003 con cui la Polonia ha aderito all’Unione europea ( 2 ) (in prosieguo: la «clausola di standstill»), per i seguenti motivi:
|
2. |
La presente causa solleva sostanzialmente due questioni giuridiche. In primo luogo, si deve esaminare a quali condizioni, alla luce della giurisprudenza pertinente della Corte, uno Stato membro possa negare l’estensione a imprese stabilite in un altro Stato membro, nell’ambito della prestazione di servizi, dei vantaggi conferiti alle imprese stabilite nel suo territorio da una convenzione bilaterale. |
3. |
In secondo luogo, si deve esaminare se la clausola di standstill osti solo a che la Germania adotti in tale settore nuovi provvedimenti (legislativi o amministrativi) più restrittivi di quelli in vigore alla data della firma dell’Atto di adesione del 2003, o se, più in generale, essa osti a qualsiasi ampliamento delle restrizioni all’accesso al mercato nazionale del lavoro, non a seguito dell’adozione di nuovi provvedimenti, ma piuttosto per effetto di mutamenti delle circostanze di fatto rilevanti cui si applicano le misure vigenti. |
II — Contesto normativo
A — L’Atto di adesione del 2003
4. |
Ai sensi delle disposizioni transitorie contenute nell’Atto di adesione del 2003, la Germania e l’Austria sono legittimate, inter alia, a mantenere — in deroga alle disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione dei servizi — misure nazionali, o misure risultanti da accordi bilaterali, che limitano il ricorso a lavoratori con contratto a tempo determinato occupati presso imprese stabilite in Polonia. Il punto 13 del capitolo 2 (intitolato «Libera circolazione delle persone») dell’allegato XII (intitolato «Elenco di cui all’articolo 24 dell’atto di adesione: Polonia»), per quanto qui interessa, dispone quanto segue: «Per far fronte a gravi perturbazioni, o al rischio di gravi perturbazioni, di specifici settori sensibili di servizi dei rispettivi mercati del lavoro che potrebbero verificarsi in talune regioni in seguito alla prestazione di servizi transnazionali, secondo quanto definito all’articolo 1 della direttiva 96/71/CE, la Germania e l’Austria, qualora applichino, in virtù delle misure transitorie suindicate, misure nazionali o misure contemplate da accordi bilaterali concernenti la libera circolazione di lavoratori polacchi, possono, previa comunicazione alla Commissione, derogare all’articolo 49, paragrafo 1 del trattato CE, al fine di limitare, nell’ambito della prestazione di servizi da parte di imprese stabilite in Polonia, la temporanea circolazione di lavoratori il cui diritto di svolgere un’attività lavorativa in Germania o in Austria è soggetto a misure nazionali. (…)». |
5. |
Il medesimo punto prevede poi la seguente clausola di standstill: «L’applicazione del presente punto non deve determinare condizioni di temporanea circolazione dei lavoratori, nell’ambito della prestazione di servizi transnazionali tra la Germania o l’Austria e la Polonia, più restrittive di quelle esistenti alla data della firma del trattato di adesione». |
B — Normativa nazionale
6. |
L’art. 1 della convenzione dispone quanto segue: «Sono rilasciati permessi di lavoro ai lavoratori polacchi distaccati per un’attività temporanea in relazione a un contratto di appalto concluso tra un datore di lavoro polacco e un’impresa della controparte (lavoratori con contratto a tempo determinato), a prescindere dalla situazione e dalle tendenze del mercato del lavoro». |
7. |
L’art. 2 della convenzione fissa una quota in relazione ai lavoratori polacchi con contratto a tempo determinato. L’art. 2, n. 5, dispone quanto segue: «Nell’attuare la presente convenzione in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali della Repubblica di Polonia, l’Ufficio federale [per l’impiego] della Repubblica federale di Germania [Bundesanstalt für Arbeit] garantisce che non si creino concentrazioni di lavoratori con contratto a tempo determinato in una data regione o in un dato settore. (…)». |
8. |
Le direttive di attuazione adottate dalla Bundesagentur für Arbeit (Agenzia federale per l’impiego) includono le direttive contenute nell’opuscolo 16a, «Impiego di lavoratori stranieri dei nuovi Stati membri dell’UE con contratti di lavoro nella Repubblica federale di Germania» (allegato XI). Detto opuscolo contiene una clausola relativa alla tutela del mercato del lavoro, secondo la quale i contratti che coinvolgono lavoratori stranieri, in linea di principio, non sono ammessi quando i lavori debbano essere svolti in distretti dell’Agenzia federale per l’impiego nei quali il tasso di disoccupazione medio degli ultimi sei mesi è stato superiore almeno del 30% rispetto al tasso di disoccupazione complessivo della Repubblica federale di Germania. L’elenco dei distretti soggetti all’applicazione di tale clausola viene aggiornato ogni tre mesi (allegato XII). |
III — Fase precontenziosa e procedimento giurisdizionale
9. |
Con lettera del 3 aprile 1996 la Commissione richiamava l’attenzione del governo federale tedesco sul fatto che la sua interpretazione della convenzione sembrava in contrasto con l’art. 49 CE. Con lettera del il governo federale contestava il parere della Commissione. |
10. |
Il 12 novembre 1997 la Commissione emanava un parere motivato, concedendo alla Germania un termine di dodici mesi per replicare. In seguito a un incontro con i rappresentanti della Commissione tenutosi il , la Germania affermava, con lettera del , che si stavano compiendo tutti gli sforzi possibili per trovare una soluzione politica nel contesto dell’accordo europeo del , che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Polonia, dall’altra. Tuttavia, i tentativi di risolvere il problema a livello politico non avevano alcun successo. |
11. |
La Polonia ha aderito all’Unione europea il 1o maggio 2004. In risposta a un quesito della Commissione del , il governo federale tedesco dichiarava, con lettera del , di confermare la propria prassi interpretativa in ordine alla convenzione; esso affermava inoltre che, visto il tempo trascorso, si poteva legittimamente ritenere che non sussistesse più alcun fondamento per proseguire la procedura di inadempimento. |
12. |
Con lettera di diffida integrativa del 10 aprile 2006 la Commissione richiamava l’attenzione del governo federale sul fatto che, oltre alla palese violazione dell’art. 49 CE, la prassi amministrativa tedesca relativa all’applicazione della convenzione sembrava incompatibile con la clausola di standstill. Secondo la Commissione, l’ampliamento delle restrizioni regionali in base alla clausola di tutela del mercato del lavoro, fondata sull’art. 2, n. 5, della convenzione e contenuta nelle direttive di attuazione dell’Agenzia federale per l’impiego, contravveniva al divieto di ampliamento delle restrizioni esistenti. |
13. |
Con lettera dell’8 giugno 2006 il governo federale contestava tale argomento, sostenendo che l’applicazione della convenzione bilaterale a tutti gli Stati membri e alle loro imprese era inopportuna. |
14. |
Nel parere motivato integrativo del 15 dicembre 2006 la Commissione ribadiva le proprie censure. Poiché, con lettera del , il governo federale tedesco ha ribadito la sua posizione, la Commissione ha proposto il presente ricorso, depositato presso la cancelleria della Corte il . |
IV — Analisi
A — Sulla ricevibilità
1. Principali argomenti delle parti
15. |
Il governo tedesco sostiene, in primo luogo, che il ricorso è irricevibile, quantomeno nella parte relativa all’asserita violazione dell’art. 49 CE. |
16. |
A suo parere, la Commissione avrebbe perduto il diritto di avviare un procedimento, in quanto non avrebbe fatto nulla per quasi sette anni in relazione all’asserita violazione dell’art. 49 CE. Infatti, visti i ritardi nel procedimento e le particolari circostanze del caso di specie, il governo tedesco avrebbe potuto legittimamente presumere che la Commissione avesse abbandonato la censura in questione. Tale legittima aspettativa sarebbe stata rafforzata dalla lettera inviata dal Commissario Monti nel luglio 1998, in cui quest’ultimo affermava che non avrebbe accolto favorevolmente la rescissione della convenzione e avrebbe atteso fino al novembre 1998 per vedere se si potesse trovare un’altra soluzione. Tuttavia, non sono stati adottati ulteriori provvedimenti fino all’aprile 2003, quando era chiaro che la Germania non avrebbe più potuto rescindere la convenzione senza contravvenire alla clausola di standstill. Così facendo, la Commissione, secondo il governo tedesco, avrebbe deliberatamente abusato della sua fiducia. |
17. |
La Commissione respinge questa tesi, affermando che il suo modo di procedere non poteva conferire alla Germania alcuna legittima aspettativa quanto al fatto che il procedimento si fosse concluso. Sottolineando la discrezionalità di cui dispone in ordine alla scelta del momento in cui proporre un ricorso per inadempimento, la Commissione afferma che i ritardi della procedura erano giustificati, viste le circostanze del caso di specie. |
2. Valutazione
18. |
In limine, si deve ricordare che, conformemente al sistema istituito dall’art. 226 CE, la Commissione dispone di un potere discrezionale, riconosciuto dalla giurisprudenza, in ordine sia alla proposizione di un ricorso per inadempimento, sia al momento in cui proporlo ( 4 ). |
19. |
Così, per quanto riguarda più specificamente il secondo aspetto, la Commissione non è tenuta ad osservare un termine prestabilito, salvo i casi in cui la durata eccessiva del procedimento precontenzioso previsto dall’art. 226 CE possa aumentare, per lo Stato membro coinvolto, la difficoltà di confutare gli argomenti della Commissione e violare, pertanto, i diritti della difesa. Spetta allo Stato membro interessato addurre la prova di siffatta incidenza ( 5 ). |
20. |
Ritengo, tuttavia, che il governo tedesco non abbia prodotto elementi atti a dimostrare che, nel caso di specie, la durata del procedimento precontenzioso abbia violato i suoi diritti della difesa. |
21. |
A tal riguardo si deve rilevare anzitutto che il fatto, richiamato dal governo tedesco, che la clausola di standstill sia entrata in vigore mentre era in corso il procedimento precontenzioso — con la conseguenza che la Germania non poteva più rescindere la convenzione con la Polonia — non poteva, di per sé, rendere più difficile per il governo tedesco confutare le accuse e gli argomenti della Commissione. In secondo luogo, nel 2006 la Commissione ha emesso una lettera di diffida integrativa e un parere motivato integrativo, in cui venivano sostanzialmente ribadite le censure già formulate, fornendo così al governo tedesco una nuova opportunità per presentare le proprie difese. |
22. |
Inoltre, per quanto riguarda l’argomento del governo tedesco secondo cui, nelle circostanze del caso di specie, esso poteva legittimamente ritenere che il procedimento si fosse concluso, la discrezionalità di cui dispone la Commissione in ordine al momento in cui proporre un ricorso per inadempimento implica che un periodo di inerzia da parte della stessa nel contesto del procedimento precontenzioso non è idoneo, di per sé, — neppure nel caso in cui si protragga per anni — a far nascere nello Stato membro interessato la legittima aspettativa che la Commissione non proseguirà il procedimento. Ciò vale in particolare in un caso come quello in esame, in cui, come emerge chiaramente dagli atti, nel periodo al quale fa riferimento il governo tedesco, tra il 1997 e l’adesione della Polonia, si è tentato di trovare una soluzione politica nel contesto dell’accordo europeo del 16 dicembre 1991 e, quindi, di porre fine all’asserita infrazione. |
23. |
Infine, in tale contesto, per quanto riguarda la lettera inviata dal Commissario Monti nel luglio 1998, richiamata anch’essa dal governo tedesco, secondo costante giurisprudenza, anche ammettendo che uno Stato membro possa far valere il principio di tutela del legittimo affidamento per evitare di essere dichiarato inadempiente ai propri obblighi ai sensi dell’art. 226 CE ( 6 ), esso non può invocare una violazione di detto principio in mancanza di assicurazioni precise fornitegli dalle autorità comunitarie ( 7 ). |
24. |
A tal riguardo, è sufficiente rilevare che il governo tedesco non ha neppure affermato che nella lettera sopra menzionata la Commissione abbia fornito assicurazioni precise nel senso che avrebbe abbandonato le censure in questione o che il procedimento sarebbe stato interrotto. Anzi, nella lettera in questione il Commissario Monti indicava in sostanza che avrebbe preferito che il problema sollevato dalle modalità di applicazione della medesima convenzione in Germania fosse risolto in modo costruttivo, anziché mediante una rescissione della convenzione, e chiariva al contempo che, in tali circostanze, non era possibile archiviare il caso. |
25. |
A mio parere, dalle suesposte considerazioni discende che l’eccezione di irricevibilità sollevata dal governo tedesco dev’essere respinta. |
B — Nel merito
1. Sulla violazione dell’art. 49 CE
a) Principali argomenti delle parti
26. |
Nella prima parte della sua censura, la Commissione sostiene in sostanza che, secondo la prassi amministrativa tedesca, l’art. 1 della convenzione viene interpretato nel senso che solo le imprese tedesche possono concludere contratti di appalto ai sensi della medesima convenzione. Di conseguenza, le imprese di altri Stati membri — salvo che costituiscano una controllata in Germania — non possono esercitare il diritto alla libera prestazione dei servizi loro conferito dall’art. 49 CE concludendo, in virtù della convenzione, contratti di appalto da eseguire in Germania con imprese polacche e avvalendosi così della quota di lavoratori polacchi con contratto a tempo determinato. |
27. |
Secondo la Commissione, ciò comporta una discriminazione diretta in base alla nazionalità di un’impresa, o dell’ubicazione della sua sede, che non è giustificata da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica ai sensi dell’art. 46 CE, in combinato disposto con l’art. 55 CE. |
28. |
A tal riguardo la Commissione nega, in particolare, che la disposizione controversa, secondo cui l’impresa appaltante/committente deve avere sede in Germania, sia necessaria per verificare la corretta attuazione della convenzione, per garantire l’effettiva esecuzione degli obblighi dell’impresa quanto al versamento dei contributi previdenziali e al pagamento delle sanzioni per violazioni di legge, o per impedire applicazioni non corrette o l’elusione delle disposizioni transitorie dell’Atto di adesione. |
29. |
Infine, la Commissione ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte, il principio fondamentale della parità di trattamento impone allo Stato membro parte contraente di una convenzione bilaterale di concedere ai cittadini di un altro Stato membro gli stessi vantaggi di cui godono i suoi stessi cittadini grazie alla detta convenzione, a meno che esso non sia in grado di addurre una giustificazione oggettiva del suo rifiuto ( 8 ). Tuttavia, tale giustificazione oggettiva non sussiste nel caso di specie. |
30. |
Il governo polacco, che è stato autorizzato con ordinanza del presidente della Corte 2 luglio 2008 ad intervenire a sostegno della Commissione, condivide in sostanza tali argomenti. Esso rileva in particolare che, vista la natura della convenzione, l’estensione dei suoi benefici ai cittadini di altri Stati membri non turberebbe l’equilibrio e la reciprocità di detta convenzione ai sensi della pertinente giurisprudenza della Corte ( 9 ). La convenzione, infatti, non si fonda sul principio di reciprocità. |
31. |
Il governo tedesco contesta le tesi della Commissione e del governo polacco. Esso sottolinea anzitutto che, alla luce del tenore letterale dell’art. 1 della convenzione, è corretto interpretare tale disposizione nel senso che si riferisce alle imprese tedesche. Inoltre, detta disposizione non comporterebbe una discriminazione vietata dall’art. 49 CE, dato che, in particolare, le imprese di altri Stati membri e le imprese tedesche non si trovano in situazioni equiparabili rispetto alla convenzione. |
32. |
Il governo tedesco sostiene che, vista la natura particolare della convenzione bilaterale in esame e la reciprocità sulla quale essa è fondata, i vantaggi derivanti da tale convenzione non possono essere concessi ai cittadini o alle imprese di tutti gli altri Stati membri ( 10 ). Inoltre, verrebbero violate le disposizioni transitorie dell’Atto di adesione del 2003. In ogni caso, anche se le modalità con cui la convenzione è stata applicata in Germania dovessero essere considerate una restrizione del diritto alla libera prestazione dei servizi, tale restrizione sarebbe giustificata ai sensi dell’art. 46 CE, in combinato disposto con l’art. 55 CE, dall’esigenza di controllare adeguatamente l’attuazione della convenzione e di garantire, inter alia, l’effettiva esecuzione degli obblighi dell’impresa appaltante/committente quanto al versamento dei contributi previdenziali e al pagamento delle sanzioni comminate per violazioni di legge. |
b) Valutazione
33. |
In limine, si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la libera prestazione dei servizi implica, in particolare, l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore a causa della sua cittadinanza o perché stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui la prestazione viene fornita ( 11 ). |
34. |
Nella specie, è pacifico che, secondo la prassi amministrativa tedesca criticata dalla Commissione, solo le imprese tedesche — vale a dire, le imprese aventi sede in Germania — possono concludere contratti di appalto con imprese polacche ai sensi della convenzione e quindi avvalersi — a prescindere dalle disposizioni transitorie dell’Atto di adesione del 2003 relative al distacco temporaneo di lavoratori —, qualora prestino servizi in Germania, della quota di lavoratori polacchi consentita da detta convenzione, mentre le imprese stabilite in altri Stati membri non possono avvalersi di tale possibilità allorché forniscono servizi in Germania, a meno che costituiscano una propria controllata in tale Stato membro. |
35. |
Risulta quindi chiaramente, per quanto riguarda la conclusione di contratti di appalto con imprese polacche ai fini della prestazione di servizi in Germania, che la prassi amministrativa contestata crea una distinzione basata sulla sede dell’impresa che presta il servizio e costituisce quindi — in quanto la sede di un’impresa ne determina la «nazionalità» ( 12 ) — una discriminazione in base alla nazionalità, vietata dall’art. 49 CE. |
36. |
Si deve pertanto esaminare se il governo tedesco abbia addotto motivi che possano comunque validamente giustificare il fatto che la Germania consente solo alle proprie imprese di avvalersi della possibilità di eseguire lavori nel suo territorio in collaborazione con imprese polacche subappaltanti e con i relativi dipendenti ai sensi della convenzione. |
37. |
A tal riguardo si deve osservare, anzitutto, che il fatto che le imprese stabilite in altri Stati membri possano beneficiare a loro volta della convenzione costituendo controllate in Germania non può giustificare la disparità di trattamento in questione, dato che, secondo costante giurisprudenza della Corte, il requisito consistente nell’avere un centro di attività stabile o una controllata è direttamente in contrasto con l’essenza del diritto alla libera prestazione di servizi ( 13 ). |
38. |
Per quanto riguarda, poi, il tentativo del governo tedesco di giustificare il suo rifiuto di estendere il vantaggio in questione alle imprese stabilite in altri Stati membri in ragione del fatto che tale vantaggio deriva dalle disposizioni di una convenzione internazionale bilaterale, si deve rilevare che, come discende dal principio di prevalenza del diritto comunitario e come ha confermato la Corte nella sua giurisprudenza, nel dare attuazione ad impegni assunti ai sensi di convenzioni internazionali, siano esse convenzioni fra Stati membri o fra uno Stato membro e uno o più paesi terzi, gli Stati membri sono tenuti, fatte salve le disposizioni dell’art. 307 CE, ad adempiere gli obblighi loro incombenti in forza del diritto comunitario ( 14 ). |
39. |
Pertanto, la Corte ha costantemente dichiarato che, anche nel dare attuazione a una convenzione internazionale, uno Stato membro rimane vincolato dal principio della parità di trattamento inerente alle libertà fondamentali e pertanto, di regola, è tenuto a concedere ai cittadini di altri Stati membri, o, a seconda dei casi, alle imprese stabilite o residenti in altri Stati membri, gli stessi vantaggi conferiti ai cittadini o alle imprese nazionali da una determinata convenzione. |
40. |
Così, nella sentenza Matteucci la Corte ha dichiarato, in riferimento a un accordo culturale tra due Stati membri secondo cui talune borse di studio erano riservate esclusivamente ai cittadini di tali Stati, che, in base al principio della parità di trattamento rispetto ai lavoratori nazionali sancito dalle disposizioni in materia di libera circolazione dei lavoratori, le autorità dei due Stati membri in questione erano tenute ad estendere il vantaggio delle suddette borse di studio ai lavoratori comunitari stabiliti nel loro territorio ( 15 ). La Corte ha inoltre costantemente dichiarato, a partire dalla sentenza Saint-Gobain ZN, che il principio del trattamento nazionale sancito dall’art. 43 CE impone allo Stato membro parte contraente di una convenzione internazionale bilaterale conclusa con un paese terzo per evitare la doppia imposizione di concedere ai centri di attività stabili di società aventi sede in altri Stati membri le agevolazioni previste dalla convenzione alle stesse condizioni applicate alle società con sede nello Stato membro parte contraente della detta convenzione ( 16 ). Analogamente, nella sentenza Gottardo la Corte ha dichiarato, in relazione a una convenzione internazionale bilaterale sulla previdenza sociale concernente il computo di periodi contributivi, che il principio fondamentale della parità di trattamento impone a tale Stato membro di concedere ai cittadini degli altri Stati membri gli stessi vantaggi di cui godono i suoi stessi cittadini grazie alla detta convenzione, a meno che esso non sia in grado di addurre una giustificazione oggettiva del suo rifiuto ( 17 ). |
41. |
Da tale giurisprudenza discende che, conformemente al principio del trattamento nazionale, anch’esso sancito, come si è già rilevato, dall’art. 49 CE ( 18 ), la Germania è tenuta, in linea di massima, a concedere alle imprese stabilite in un altro Stato membro e non aventi la sede né una controllata in Germania i vantaggi — alle stesse condizioni applicate alle imprese aventi sede in tale Stato — derivanti dalla detta convenzione, vale a dire la possibilità di concludere con imprese stabilite in Polonia contratti di appalto da eseguire in Germania, avvalendosi della quota di lavoratori polacchi fissata dalla medesima convenzione. |
42. |
È pur vero che, come ha affermato il governo tedesco, la Corte ha dichiarato che l’equilibrio e la reciprocità di una convenzione internazionale bilaterale stipulata da uno Stato membro con un paese terzo può costituire una giustificazione oggettiva del rifiuto opposto dallo Stato membro parte contraente di tale convenzione di estendere ai cittadini degli altri Stati membri i vantaggi che i suoi cittadini ricavano dalla detta convenzione ( 19 ). |
43. |
Si deve rilevare, tuttavia, che tale giustificazione è stata formulata in riferimento a convenzioni internazionali concluse con uno o più paesi terzi e quindi allo scopo di evitare, conformemente alla deroga di cui all’art. 307 CE, che siano lesi i diritti conferiti a un paese terzo da detta convenzione o che a tale paese vengano imposti nuovi obblighi ( 20 ). |
44. |
Per contro, la convenzione è stata conclusa solo tra due Stati membri, che sono quindi entrambi tenuti, in forza dell’art. 10 CE, ad adottare tutte le misure atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal Trattato e a prestarsi reciproca assistenza per conseguire tale scopo ( 21 ). |
45. |
In tale contesto si deve inoltre rilevare che, come ha giustamente osservato il governo polacco, l’estensione ad imprese stabilite in altri Stati membri della possibilità prevista dalla convenzione di concludere contratti di appalto con imprese polacche, di per sé, non incide sulla quota di lavoratori polacchi con contratto a tempo determinato fissata dall’art. 2, n. 5, della convenzione. Al di là di questo, quand’anche la Germania avesse concluso la convenzione interpretandola nel senso che ne avrebbero beneficiato solo le imprese tedesche, tale circostanza non sarebbe sufficiente per evitare l’applicazione, nel contesto in esame, di un principio fondamentale sancito dal Trattato. |
46. |
Ritengo pertanto che si debbano respingere gli argomenti del governo tedesco fondati sul carattere della convenzione bilaterale di cui trattasi e sulla reciprocità che caratterizza la stessa. |
47. |
Inoltre, per quanto riguarda il fatto che il governo tedesco contesta l’obbligo di estendere i vantaggi previsti dalla convenzione alle imprese stabilite in altri Stati membri in ragione del fatto che tali imprese non si trovano in una situazione equiparabile a quella delle imprese tedesche contemplate dalla convenzione, la Corte ha dichiarato, in varie pronunce concernenti vantaggi previsti da convenzioni bilaterali in materia fiscale, che il diritto comunitario non osta a che il vantaggio in questione non venga riconosciuto ad un residente di un terzo Stato membro, in quanto quest’ultimo non si trova in una situazione assimilabile a quella dei residenti contemplati dalla detta convenzione ( 22 ). |
48. |
Tale giurisprudenza, tuttavia, va interpretata alla luce delle specifiche circostanze dalle quali è scaturita e, a mio parere, non può essere semplicemente trasposta alle circostanze del caso di specie. In particolare, si deve rilevare in proposito che tali cause vertevano su convenzioni bilaterali in materia fiscale e che, come emerge chiaramente dalla giurisprudenza della Corte, nel settore del diritto tributario, il luogo di residenza o di stabilimento può servire da fattore di collegamento ai fini della ripartizione del potere impositivo ( 23 ). Ne consegue che, per quanto riguarda i vantaggi previsti da convenzioni in materia fiscale, un residente di un altro Stato membro, o un’impresa ivi stabilita, possono trovarsi in una situazione obiettivamente diversa da quella dei residenti o delle imprese stabilite nello Stato membro parte contraente di tale convenzione, con la conseguenza che la parità di trattamento non dev’essere necessariamente rispettata per quanto riguarda i vantaggi previsti dalla detta convenzione ( 24 ). |
49. |
Nella presente causa, invece, non sembrano sussistere validi motivi per ritenere che la situazione di un’impresa stabilita in un altro Stato membro e che non possieda una controllata in Germania non sia equiparabile a quella delle imprese aventi sede in tale Stato sotto il profilo della possibilità di stipulare contratti di appalto con imprese polacche, in vista della prestazione di servizi in Germania. A mio avviso, pertanto, non si può affermare che, non essendovi possibilità di equiparare le imprese interessate, la dibattuta disparità di trattamento rispetto alla convenzione non costituisca una discriminazione. |
50. |
Infine, per quanto riguarda il tentativo del governo tedesco di giustificare la prassi in questione sul fondamento dell’art. 46 CE, in combinato disposto con l’art. 55 CE, si deve ricordare che la Corte ha già dichiarato che normative nazionali che non siano indistintamente applicabili alle prestazioni di servizi, indipendentemente dalla loro origine, sono compatibili con il diritto comunitario soltanto se rientrano in una disposizione derogatoria espressa, quale l’art. 46 CE al quale rinvia l’art. 55 CE. A questo proposito, dall’art. 46 CE, il quale va interpretato restrittivamente, risulta che norme discriminatorie possono essere giustificate solo da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica ( 25 ). Inoltre, le ragioni che possono essere addotte da uno Stato membro al fine di giustificare una deroga al principio della libera prestazione dei servizi devono essere corredate di un’analisi dell’opportunità e della proporzionalità della misura restrittiva adottata da tale Stato, nonché di elementi circostanziati che consentano di suffragare la sua argomentazione ( 26 ). |
51. |
Nella specie, il governo tedesco ha sostanzialmente invocato difficoltà nell’attuazione della convenzione, per quanto riguarda l’effettiva applicazione ed esecuzione della normativa nazionale e, in particolare, l’esecuzione degli obblighi delle imprese quanto al versamento dei contributi previdenziali e al pagamento delle sanzioni. |
52. |
Tuttavia, tali motivazioni non rientrano tra quelle espressamente menzionate all’art. 46 CE. Dette motivazioni potrebbero, in una certa misura, essere considerate connesse all’ordine pubblico ai sensi dell’art. 46 CE, tuttavia la Corte ha interpretato tale nozione restrittivamente, richiedendo, in particolare, una minaccia effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività ( 27 ). Le circostanze richiamate dal governo tedesco non soddisfano tale condizione e non possono essere considerate sufficienti per giustificare una deroga al principio fondamentale della libera prestazione dei servizi. Inoltre, come hanno rilevato la Commissione e il governo polacco, né considerazioni di natura economica, né difficoltà amministrative di ordine pratico possono costituire motivi di ordine pubblico ai sensi dell’art. 46 CE ( 28 ). |
53. |
Risulta da quanto precede che la prassi amministrativa contestata, secondo cui l’art. 1 della convenzione viene interpretato nel senso che solo le imprese tedesche possono stipulare contratti di appalto ai sensi della medesima convenzione, costituisce una violazione degli obblighi sanciti dall’art. 49 CE. Il primo capo del ricorso proposto dalla Commissione sembra quindi fondato. |
2. Violazione della clausola di standstill
a) Principali argomenti delle parti
54. |
Con il secondo capo del ricorso, la Commissione afferma che la clausola di tutela del mercato del lavoro, quale applicata nella prassi amministrativa tedesca, contravviene alla clausola di standstill. La Commissione sostiene che dal tenore letterale della clausola risulta chiaramente che si tratta di un obbligo assoluto e che è vietata qualsiasi restrizione all’accesso dei lavoratori polacchi con contratto determinato al mercato del lavoro tedesco che collochi detti lavoratori in una posizione peggiore rispetto a quella in cui si trovavano al 16 aprile 2003, a prescindere dalla circostanza che siano o meno intervenute variazioni nella situazione giuridica o nella prassi amministrativa. |
55. |
La Commissione osserva che, secondo la clausola di tutela del mercato del lavoro, che viene applicata costantemente nella prassi amministrativa dell’Agenzia federale per l’impiego, i contratti di appalto non sono ammessi, in linea di principio, quando debbano trovare esecuzione in un distretto dell’agenzia in cui il tasso di disoccupazione medio degli ultimi sei mesi sia stato superiore almeno del 30% rispetto al tasso di disoccupazione complessivo della Germania. L’elenco dei distretti dell’agenzia soggetti all’applicazione di tale normativa viene aggiornato su base trimestrale. Di conseguenza, la clausola di standstill sarebbe stata violata in quanto, successivamente al 16 aprile 2003, sono stati inseriti nell’elenco dei distretti «vietati» nuovi distretti dell’agenzia, con conseguente ulteriore restrizione, di fatto, dell’accesso al mercato del lavoro tedesco. |
56. |
Il governo polacco concorda in sostanza con la Commissione e afferma che l’art. 2, n. 5, della convenzione non fornisce un valido fondamento normativo per la clausola di tutela del mercato del lavoro. |
57. |
Il governo tedesco sottolinea, invece, che né la situazione giuridica in Germania, né la prassi amministrativa con cui viene data attuazione all’art. 2, n. 5, della convenzione sono state modificate dopo il 4 gennaio 1993 per quanto riguarda l’accesso al mercato del lavoro ai sensi della detta convenzione. Pertanto, non si potrebbe lamentare alcuna violazione della clausola di standstill, dato che siffatta violazione presupporrebbe l’adozione di misure legislative o amministrative da parte dello Stato membro interessato. Nella specie, per contro, sono cambiate solo le circostanze di fatto, vale a dire la situazione del mercato del lavoro tedesco. |
b) Valutazione
58. |
In limine, si deve rilevare che alla Corte non spetta risolvere la questione se la clausola di tutela del mercato del lavoro contenuta nelle direttive di attuazione dell’Agenzia federale per l’impiego e la sua applicazione nella prassi amministrativa tedesca recepiscano correttamente l’art. 2, n. 5, della convenzione, che fissa la quota di lavoratori polacchi con contratto a tempo determinato ( 29 ); alla Corte spetta invece accertare se tale prassi amministrativa contravvenga alla clausola di standstill. |
59. |
A tal riguardo, si deve rilevare che è pacifico che la clausola di tutela del mercato del lavoro era già in vigore, e veniva applicata dalle autorità tedesche, prima della data in cui è stato firmato l’Atto di adesione del 2003, e non è più stata modificata dopo tale data. |
60. |
La censura della Commissione, tuttavia, si riferisce più specificamente al fatto che, a decorrere dal 16 aprile 2003, sono stati aggiunti nuovi distretti all’elenco dei distretti in cui non sono ammessi contratti di appalto ai sensi della convenzione, il che ha determinato di fatto un’ulteriore restrizione dell’accesso al mercato del lavoro tedesco. |
61. |
Non condivido il parere della Commissione secondo cui ciò equivarrebbe ad una violazione della clausola di standstill. |
62. |
Come ha sottolineato il governo tedesco, secondo le direttive di attuazione applicate dalle autorità tedesche, i distretti contemplati dalla clausola di tutela del mercato del lavoro sono pubblicati in un elenco che viene aggiornato su base trimestrale. Tale elenco e i suoi aggiornamenti sono quindi la mera conseguenza dell’applicazione della regola, introdotta dalle direttive di attuazione, secondo cui non sono ammessi i contratti di appalto che debbano trovare esecuzione in un distretto dell’agenzia in cui il tasso di disoccupazione medio degli ultimi sei mesi sia stato superiore almeno del 30% rispetto al tasso di disoccupazione medio della Germania: pertanto, in tal senso, l’elenco ha natura meramente declaratoria. In altre parole, il controverso incremento di distretti «vietati» dopo il 16 aprile 2003 è solo il risultato dell’applicazione a circostanze di fatto mutevoli — vale a dire un aumento del tasso di disoccupazione in taluni distretti — delle stesse condizioni o di restrizioni già applicate nella prassi amministrativa anteriormente a tale data. |
63. |
Se è pur vero che la conseguenza potrebbe essere che, di fatto, possono essere inviati meno lavoratori polacchi ai fini della prestazione di servizi in Germania ( 30 ), tale incremento di distretti non può essere considerato una «condizione» più restrittiva per lo spostamento temporaneo di lavoratori che la clausola di standstill è diretta ad impedire. Di regola, le condizioni giuridiche, per loro stessa natura, possono operare anche a svantaggio dei titolari dei diritti cui le condizioni stesse si applicano, qualora intervengano mutamenti nelle circostanze fattuali rilevanti, senza tuttavia che le condizioni stesse siano cambiate o siano divenute più restrittive. |
64. |
Alle luce di quanto precede, il secondo capo del ricorso, con cui la Commissione afferma che la Germania ha violato la clausola di standstill, dev’essere respinto in quanto infondato. |
V — Sulle spese
65. |
Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’art. 69, n. 3, dello stesso regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese. |
66. |
Nelle circostanze del caso di specie, essendo stato accolto uno dei due capi del ricorso, la Commissione dev’essere condannata a sopportare metà della spese, e la Repubblica federale di Germania a sopportarne l’altra metà. |
67. |
La Repubblica di Polonia dev’essere condannata a sopportare le proprie spese ai sensi dell’art. 69, n. 4, del regolamento di procedura. |
VI — Conclusione
68. |
Pertanto, suggerisco alla Corte di:
|
( 1 ) Lingua originale: l’inglese.
( 2 ) Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU L 236, pag. 875; in prosieguo: l’«Atto di adesione del 2003»).
( 3 ) BGBl. 1990 II, pag. 602, nella versione dell’8 dicembre 1990 (BGBl. 1992 II, pag. 93). Poiché la modifica dell’ ha abrogato l’art. 1, n. 2, della convenzione, in prosieguo farò riferimento all’art. 1, e non all’art. 1, n. 1, della convenzione. Le versioni tedesca e polacca sono le sole facenti fede; la traduzione in lingua inglese cui si fa riferimento nelle presenti conclusioni è basata sulla versione pubblicata nella Serie dei Trattati UN (United Nations Treaty Series, vol. 1708, n. I-29540).
( 4 ) V., in tal senso, sentenze 10 maggio 2001, causa C-152/98, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I-3463, punto 20), e , causa C-96/89, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I-2461, punto 15).
( 5 ) V., inter alia, sentenze 18 luglio 2007, causa C-490/04, Commissione/Germania (Racc. pag. I-6095, punto 26), e , causa C-475/98, Commissione/Austria (Racc. pag. I-9797, punto 36).
( 6 ) V., in tale contesto, sentenze 18 gennaio 2001, causa C-83/99, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-445, punto 25), e 1o giugno 1985, causa 288/83, Commissione/Irlanda (Racc. pag. 1761, punto 22).
( 7 ) In tal senso, v., inter alia, sentenze 16 dicembre 2008, causa C-47/07 P, Masdar (Racc. pag. I-9761, punto 81), e , causa C-213/06 P, AER (Racc. pag. I-6733, punto 33).
( 8 ) V., in particolare, sentenza 15 gennaio 2002, causa C-55/00, Gottardo, (Racc. pag. I-413, punti 32-34).
( 9 ) Il governo tedesco richiama, in particolare, le sentenze Gottardo, cit. alla nota 8; 5 novembre 2002, causa C-476/98, Commissione/Germania (Racc. pag. I-9855), e , causa C-376/03, D. (Racc. pag. I-5821).
( 10 ) Richiamando, in particolare, le conclusioni dell’avvocato generale Van Gerven nella causa C-23/92, Graba-Novoa, decisa con sentenza 2 agosto 1993 (Racc. pag. I-4505, paragrafo 12), nonché la sentenza D., cit. alla nota 9 (punti 61 e segg.).
( 11 ) V., in particolare, sentenze 25 luglio 1991, causa C-76/90, Säger (Racc. pag. I-4221, punto 12); , causa C-353/89, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I-4069, punto 14); , causa C-17/92, Distribuidores Cinematográficos (Racc. pag. I-2239, punto 13), e Commissione/Germania, causa C-490/04, cit. alla nota 5 (punto 83).
( 12 ) In tal senso v., ad esempio, sentenze 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia (Racc. pag. 273, punto 18), e , causa C-1/93, Halliburton Services (Racc. pag. I-1137, punto 15).
( 13 ) In tal senso, v., ad esempio, sentenze 9 marzo 2000, causa C-355/98, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-1221, punto 27), e , causa 205/84 Commissione/Germania (Racc. pag. 3755, punto 52).
( 14 ) V., in tal senso, sentenza Gottardo, cit. alla nota 8 (punto 33); v. anche, a questo proposito, le mie recenti conclusioni nella causa C-301/08, Bogiatzi, pendente dinanzi alla Corte (paragrafo 55).
( 15 ) Sentenza 27 settembre 1988, causa 235/87 (Racc. pag. 5589, punto 16).
( 16 ) V. sentenze 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint-Gobain ZN, (Racc. pag. I-6161, punti 57-59); Commissione/Germania, causa C-476/98, cit. alla nota 9 (punto 149), e Gottardo, cit. alla nota 8 (punto 32).
( 17 ) Sentenza Gottardo, cit. alla nota 8 (punto 34).
( 18 ) V., supra, paragrafo 33.
( 19 ) V., in tal senso, sentenze Gottardo, cit. alla nota 8 (punto 36), e Saint-Gobain ZN, cit. alla nota 16 (punti 59 e 60).
( 20 ) V., in tal senso, sentenze Gottardo, cit. alla nota 8 (punti 36 e 37); Saint-Gobain ZN, cit. alla nota 16 (punto 59); v. anche, per quanto riguarda lo scopo dell’art. 307 CE, sentenza 14 gennaio 1997, causa C-124/95, Centro-Com (Racc. pag. I-81, punti 55 e 56).
( 21 ) V., in tale contesto, sentenza Matteucci, cit. alla nota 15 (punti 19-22): a tale riguardo è irrilevante che la convenzione sia stata conclusa prima che la Polonia divenisse uno Stato membro.
( 22 ) V., in tal senso, sentenze D., cit. alla nota 9 (punti 59-63); 12 dicembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (Racc. pag. I-11673, punti 88-93), e , causa C-194/06, Orange European Smallcap Fund (Racc. pag. I-3747, punto 51).
( 23 ) V., in tal senso, sentenze D., cit. alla nota 9 (punto 52), e Saint-Gobain ZN, cit. alla nota 16 (punto 56).
( 24 ) In tale contesto v. anche sentenze 12 maggio 1998, causa C-336/96, Gilly (Racc. pag. I-2793, punto 30), e Commissione/Francia, causa 270/83, cit. alla nota 12 (punto 19).
( 25 ) V., inter alia, sentenze Commissione/Germania, causa C-490/04, cit. alla nota 5 (punto 86) e 21 marzo 2002, causa C-451/99, Cura Anlagen (Racc. pag. I-3193, punto 31).
( 26 ) V., in tal senso, sentenza 19 giugno 2008, causa C-319/06, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I-4323, punto 51).
( 27 ) V., in tal senso, sentenze 19 gennaio 1999, causa C-348/96, Calfa (Racc. pag. I-11, punto 21), e Commissione/Lussemburgo, cit. alla nota 26, punto 50.
( 28 ) V., in tal senso, sentenze Distribuidores Cinematográficos, cit. alla nota 11 (punto 21); 25 luglio 1991, causa C-288/89, Mediavet (Racc. pag. I-4007, punto 11), e , causa C-10/90, Masgio (Racc. pag. I-1119, punto 24).
( 29 ) V., in tale contesto, sentenze Centro-Com, cit. alla nota 20 (punto 58); 28 marzo 1995, causa C-324/93, Evans Medical e Macfarlan Smith (Racc. pag. I-563, punto 29), e , causa C-141/99, Algemene Maatschappij voor Investering (AMID) (Racc. pag. I-11619, punto 18).
( 30 ) Può tuttavia verificarsi il contrario.