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Document 62006CJ0116

Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 20 settembre 2007.
Sari Kiiski contro Tampereen kaupunki.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tampereen käräjäoikeus - Finlandia.
Parità di trattamento tra uomini e donne - Tutela delle lavoratrici gestanti - Art. 2 della direttiva 76/207/CEE - Diritto al congedo di maternità - Artt. 8 e 11 della direttiva 92/85/CEE - Incidenza sul diritto di ottenere una modifica della durata di un "congedo di educazione".
Causa C-116/06.

Raccolta della Giurisprudenza 2007 I-07643

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2007:536

Parti
Motivazione della sentenza
Dispositivo

Parti

Nel procedimento C‑116/06,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tampereen käräjäoikeus (Finlandia) con ordinanza 24 febbraio 2006, pervenuta in cancelleria il 28 febbraio 2006, nella causa tra

Sari Kiiski

e

Tampereen kaupunki,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. G. Arestis, J. Malenovský (relatore) e T. von Danwitz, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale dell’8 febbraio 2007,

considerate le osservazioni presentate:

– per la sig.ra Kiiski, dal sig. A. Vainio, asianajaja;

– per il Tampereen kaupunki, dalla sig.ra T. Kyöttilä, in qualità di agente;

– per il governo finlandese, dalle sig.re E. Bygglin e J. Himmanen, in qualità di agenti;

– per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. W. Ferrante, avvocato dello Stato;

– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. M. van Beek e M. Huttunen, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 marzo 2007,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 2 della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE (GU L 269, pag. 15; in prosieguo: la «direttiva 76/207»), nonché sull’interpretazione degli artt. 8 e 11 della direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/85/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (GU L 348, pag. 1).

2. Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Kiiski ed il Tampereen kaupunki (Comune di Tampere) riguardo al rifiuto di quest’ultimo di accordare alla ricorrente una modifica della durata del suo congedo di educazione.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

3. A norma dell’art. 2 della direttiva 76/207:

«1. Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.

2. Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

– discriminazione diretta: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga,

– discriminazione indiretta: situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari,

(...)

7. La presente direttiva non pregiudica le misure relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità.

Alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza.

Ai sensi della presente direttiva un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE costituisce una discriminazione.

(…)».

4. A norma dell’art. 8 della direttiva 92/85, intitolato «Congedo di maternità»:

«1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui all’articolo 2 fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.

2. Il congedo di maternità di cui al paragrafo 1 deve includere un congedo di maternità obbligatorio di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».

5. L’art. 11 della direttiva 92/85, intitolato «Diritti connessi con il contratto di lavoro», dispone:

«Per garantire alle lavoratrici di cui all’articolo 2 l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo:

1) nei casi contemplati agli articoli 5, 6 e 7, alle lavoratrici di cui all’articolo 2 devono essere garantiti, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, i diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata;

2) nel caso contemplato all’articolo 8, devono essere garantiti:

a) i diritti connessi con il contratto di lavoro delle lavoratrici di cui all’articolo 2, diversi da quelli specificati nella lettera b) del presente punto;

b) il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata alle lavoratrici di cui all’articolo 2;

3) l’indennità di cui al punto 2), lettera b) è ritenuta adeguata se assicura redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi allo stato di salute, entro il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali;

4) gli Stati membri hanno la facoltà di subordinare il diritto alla retribuzione o all’indennità di cui al punto 1) e al punto 2), lettera b) al fatto che la lavoratrice interessata soddisfi le condizioni previste dalle legislazioni nazionali per usufruire del diritto a tali vantaggi.

Tali condizioni non possono in alcun caso prevedere periodi di lavoro preliminare superiori a dodici mesi immediatamente prima della data presunta del parto».

6. La direttiva del Consiglio 3 giugno 1996, 96/34/CE, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU L 145, pag. 4), mira ad attuare l’accordo quadro sul congedo parentale concluso il 14 dicembre 1995 tra le organizzazioni interprofessionali a carattere generale (in prosieguo: l’«accordo quadro»).

7. Ai sensi dell’accordo quadro:

«(...)

9. considerando che il presente accordo è un accordo quadro che stabilisce prescrizioni minime e disposizioni sul congedo parentale, distinto dal congedo di maternità, (…)

(...)

Clausola 1 : Oggetto e campo d’applicazione

1. Il presente accordo stabilisce prescrizioni minime volte ad agevolare la conciliazione delle responsabilità professionali e familiari dei genitori che lavorano.

2. Il presente accordo si applica a tutti i lavoratori, di ambo i sessi, aventi un contratto o un rapporto di lavoro definito dalla legge, da contratti collettivi o dalle prassi vigenti in ciascuno Stato membro.

Clausola 2 : Congedo parentale

1. Fatta salva la clausola 2.2, il presente accordo attribuisce ai lavoratori, di ambo i sessi, il diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l’adozione di un bambino, affinché possano averne cura per un periodo minimo di tre mesi fino a un’età non superiore a 8 anni determinato dagli Stati membri e/o dalle parti sociali.

2. Per promuovere la parità di opportunità e di trattamento tra gli uomini e le donne le parti firmatarie del presente accordo considerano che il diritto al congedo parentale previsto alla clausola 2.1 dovrebbe, in linea di principio, essere attribuito in forma non trasferibile.

3. Le condizioni di accesso e le modalità di applicazione del congedo parentale sono definite dalla legge e/o dai contratti collettivi negli Stati membri, nel rispetto delle prescrizioni minime del presente accordo. Gli Stati membri e/o le parti sociali possono in particolare:

(...)

d) fissare i termini del preavviso che il lavoratore deve dare al datore di lavoro allorché intende esercitare il diritto al congedo parentale; tale preavviso deve indicare l’inizio e la fine del periodo di congedo;

(...)

(...)

7. Gli Stati membri e/o le parti sociali definiscono le modalità del contratto o del rapporto di lavoro per il periodo del congedo parentale.

(...)».

La normativa nazionale

8. Ai sensi del capitolo 4, paragrafo 3, della työsopimuslaki (26.1.2001/55) (legge sui contratti di lavoro), il lavoratore può, per un motivo fondato, modificare la data e la durata del congedo di educazione comunicandolo al datore di lavoro al più tardi un mese prima del cambiamento.

9. A norma degli artt. 11 e 12 del titolo V del k unnallinen yleinen virka- ja työehtosopimus 2003‑2004 (contratto collettivo 2003‑2004, relativo alle condizioni di lavoro dei dipendenti comunali di ruolo e contrattuali; in prosieguo: il «contratto collettivo»), il dipendente ha il diritto di ottenere su domanda, per un motivo imprevedibile e fondato, la modifica della data e della durata del congedo di educazione accordatogli. Si ritiene quale motivo imprevedibile e fondato qualsiasi cambiamento imprevisto ed essenziale quanto alle possibilità pratiche di occuparsi del figlio, che il dipendente non ha potuto prendere in considerazione quando ha sollecitato il congedo di educazione.

10. A norma delle circolari di applicazione del contratto collettivo, tra i motivi fondati figura, ad esempio, la malattia grave o la morte del figlio o dell’altro genitore ovvero il divorzio. Viceversa non sono generalmente ritenuti motivi fondati il trasloco in un’altra località, l’inizio di un altro rapporto di lavoro o una nuova gravidanza. L’interruzione del congedo di educazione presuppone che il dipendente riprenda servizio.

Controversia nella causa principale e questioni pregiudiziali

11. La sig.ra Kiiski è professoressa presso il Tampereen Lyseon Lukio (liceo di Tampere). Il suo datore di lavoro è il Tampereen kaupunki, con il quale ha avviato un rapporto di lavoro di diritto pubblico soggetto al contratto collettivo. Il 3 maggio 2004 il preside del liceo le ha accordato il congedo di educazione da lei richiesto, per il periodo 11 agosto 2004 ‑ 4 giugno 2005, per poter accudire suo figlio, nato nel 2003.

12. Di nuovo incinta, la sig.ra Kiiski ha sollecitato, il 1° luglio 2004, una modifica della decisione relativa al suddetto congedo di educazione affinché quest’ultimo coprisse a questo punto il periodo 11 agosto 2004 ‑ 22 dicembre 2004.

13. Il preside del liceo ha tuttavia comunicato all’interessata che nella sua domanda non erano menzionati motivi imprevedibili e fondati idonei a modificare la durata del congedo di educazione, conformemente al contratto collettivo. Il 9 agosto 2004 la sig.ra Kiiski ha completato la domanda indicando che era incinta di cinque settimane e che la gravidanza implicava un cambiamento essenziale delle possibilità pratiche di accudire suo figlio. Essa comunicava la sua intenzione di riprendere il lavoro dal 23 dicembre 2004 poiché dal suo punto di vista il congedo di educazione non poteva essere del tutto annullato. Il padre del figlio in questione aveva l’intenzione di prendere egli stesso un congedo siffatto nella primavera del 2005.

14. Il preside del liceo ha respinto tale domanda con decisione 19 agosto 2004 in cui egli fa valere, rinviando alle circolari di applicazione del contratto collettivo ed alla giurisprudenza finlandese, che una nuova gravidanza non costituiva un fondato motivo per modificare la durata di un congedo di educazione.

15. Il padre in questione non ha ottenuto alcun congedo di educazione per la primavera 2005 poiché, a norma del valtion yleinen virka- ja työehtosopimus (contratto collettivo generale concluso tra lo Stato ed i suoi dipendenti di ruolo e contrattuali), può avervi diritto un solo genitore per volta. La sig.ra Kiiski ha allora dichiarato di voler interrompere il suo congedo di educazione il 31 gennaio 2005 ed usufruire del congedo di maternità a partire da tale data affinché il suo coniuge potesse ottenere egli stesso un congedo di educazione. Il preside del liceo ha tuttavia respinto tale nuova domanda il 10 dicembre 2004 per il motivo che la decisione del datore di lavoro del coniuge di rifiutare il congedo di educazione non costituiva un motivo fondato ai sensi del contratto collettivo o della legge finlandese.

16. Ritenendosi vittima di una discriminazione illecita, la sig.ra Kiiski ha adito il Tampereen käräjäoikeus (Tribunale di primo grado di Tampere) con un ricorso avverso il suo datore di lavoro al fine di ottenere il risarcimento dei danni materiali e morali che essa riteneva di aver subìto. A sostegno del suo ricorso essa ha citato, in particolare, la sentenza 27 febbraio 2003, causa C‑320/01, Busch (Racc. pag. I‑2041) . Essa ha considerato, in effetti, di essere stata oggetto di una discriminazione diretta e indiretta per un motivo fondato sul sesso in conseguenza del suo nuovo stato di gravidanza quando il suo datore di lavoro, non riconoscendo la sua nuova gravidanza quale motivo sufficiente, ha rifiutato qualsiasi cambiamento del periodo del suo co ngedo di educazione e, con ciò, le ha impedito di riprendere il suo lavoro, addirittura di fruire di un congedo di maternità.

17. Per il Tampereen kaupunki l’interruzione del congedo di educazione non è stata rifiutata in ragione della nuova gravidanza, ma perché quest’ultima, a norma del contratto collettivo e secondo la giurisprudenza finlandese applicabili, non costituiva un motivo imprevedibile e fondato idoneo a giustificare un’interruzione siffatta. La nuova gravidanza non avrebbe causato alle possibilità pratiche di accudire il suo primo figlio cambiamenti sostanziali e imprevedibili per i quali l’interessata ne sarebbe stata a lungo impedita.

18. Il Tampereen kaupunki ha ritenuto inoltre che la citata sentenza Busch non fosse pertinente nel caso di specie. In ogni caso, qualunque sia la presunzione di discriminazione che possa sussistere, la sua reazione sarebbe stata motivata da ragioni obiettive e legittime. Dal suo punto di vista la ripresa anticipata del servizio da parte di un lavoratore che fruisce di un congedo di educazione non è mai senza conseguenza per gli altri lavoratori e, in particolare, per il supplente.

19. Dati tali elementi, il Tampereen käräjäoikeus ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se sussista una discriminazione diretta o indiretta, contraria all’art. 2 della direttiva 76/207, qualora un datore di lavoro rifiuti di cambiare la data di un congedo di educazione accordato ad una lavoratrice o di consentirne l’interruzione a causa di una nuova gravidanza di cui la lavoratrice è venuta a conoscenza prima dell’inizio di tale congedo, invocando l’interpretazione consolidata di disposizioni nazionali a norma delle quali una nuova gravidanza non è, in linea generale, un motivo imprevedibile e fondato sulla cui base possono essere cambiate la data e la durata del congedo di educazione.

2) Se un datore di lavoro possa giustificare la propria condotta, descritta sub 1) e che costituisce eventualmente una discriminazione indiretta, in modo sufficiente con riferimento alla menzionata direttiva, adducendo il fatto che la modifica dell’organizzazione didattica e la continuità didattica comporterebbero problemi abituali, ma non seri impedimenti o che il datore di lavoro dovrebbe, a norma delle disposizioni nazionali, indennizzare la perdita di salario causata al supplente dell’insegnante che si trovi in congedo di educazione se l’insegnante già in congedo di educazione ritornasse in servizio durante il medesimo.

3) Se sia applicabile la direttiva 92/85 (…) e, in caso affermativo, se la condotta del datore di lavoro descritta sub 1) contrasti con gli artt. 8 e 11 di codesta direttiva allorché la lavoratrice, proseguendo il suo congedo di educazione, perde la possibilità di fruire dei benefici salariali del congedo di maternità fondati sul rapporto di lavoro».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima e sulla terza questione

20. Va preliminarmente osservato, da una parte, che, secondo le indicazioni fornite dal giudice nazionale, proprio il rifiuto da parte del datore di lavoro della sig.ra Kiiski di interrompere il congedo di educazione di cui essa fruiva avrebbe privato quest’ultima di vantaggi connessi al congedo di maternità di cui alla direttiva 92/85. Dall’altra, se il datore di lavoro della sig.ra Kiiski non ha inteso dar seguito, per varie considerazioni, alle tre domande da essa presentate in successione, il suo rifiuto è stato sempre basato, almeno indirettamente ed implicitamente, sull’applicazione di disposizioni nazionali disciplinanti il congedo di educazione che escludono generalmente lo stato di gravidanza dai motivi fondati che autorizzano una modifica del periodo di tale congedo. Infine gli atti di causa sottoposti alla Corte non permettono di considerare che il suddetto congedo di educazione non sarebbe annoverato tra quelli rientranti nella disciplina del congedo parentale previsto dall’accordo quadro.

21. Si deve intendere in tale contesto che, con la prima e la terza questione, il giudice nazionale chiede in sostanza se l’art. 2 della direttiva 76/207, che vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso per quanto concerne le condizioni di lavoro, nonché gli artt. 8 e 11 della direttiva 92/85, relativi al congedo di maternità, ostino a disposizioni nazionali disciplinanti il congedo di educazione, che escludono generalmente lo stato di gravidanza, ivi inclusa la sua ultima parte corrispondente al periodo del congedo di maternità, dai motivi fondati che autorizzano una modifica del periodo del suddetto congedo di educazione.

22. La risposta così sollecitata presuppone anzitutto che la persona la quale, come la sig.ra Kiiski, rivendica il godimento di diritti inerenti al congedo di maternità rientri nel campo di applicazione della direttiva 92/85, cioè che essa sia una «lavoratrice gestante» ai sensi dell’art. 2, lett. a), di tale direttiva.

23. Secondo tale disposizione, per «lavoratrice gestante» si intende «ogni lavoratrice gestante che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».

24. Ne risulta che, ai fini dell’applicazione della direttiva 92/85, il legislatore comunitario ha inteso fornire una definizione comunitaria della nozione di «lavoratrice gestante», anche se, per uno degli aspetti di tale definizione, quello relativo alle modalità secondo cui la lavoratrice informa del suo stato il proprio datore di lavoro, ha rinviato alle legislazioni e/o prassi nazionali.

25. Per quanto riguarda la nozione di lavoratore, occorre ricordare che, in forza di una giurisprudenza costante, essa non può essere interpretata in vario modo, con riferimento agli ordinamenti nazionali, ma ha portata comunitaria. Tale nozione dev’essere definita in base a criteri obiettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate. Orbene, la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione (v., segnatamente, sentenze 3 luglio 1986, causa 66/85, Lawrie-Blum, Racc. pag. 2121, punti 16 e 17; 13 aprile 2000, causa C‑176/96, Lehtonen e Castors Braine, Racc. pag. I‑2681, punto 45; 23 marzo 2004, causa C‑138/02, Collins, Racc. pag. I‑2703, punto 26; 7 settembre 2004, causa C‑456/02, Trojani, Racc. pag. I‑7573, punto 15, e 26 aprile 2007, causa C‑392/05, Alevizos, Racc. pag. I‑3505, punto 67).

26. La Corte ha considerato inoltre che la natura giuridica sui generis del rapporto di lavoro riguardo al diritto nazionale non può avere alcuna conseguenza sulla qualità di lavoratore ai sensi del diritto comunitario (v. sentenze 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035, punto 16; 31 maggio 1989, causa 344/87, Bettray, Racc. pag. 1621, punti 15 e 16; 19 novembre 2002, causa C‑188/00, Kurz, Racc. pag. I‑10691, punto 32, e Trojani, cit., punto 16).

27. Se è certo che la sig.ra Kiiski, prima di fruire del suo congedo di educazione, si trovava in un rapporto di lavoro avente la caratteristica richiamata al punto 25 della presente sentenza ed era quindi in possesso della qualità di lavoratrice ai sensi del diritto comunitario, è ugualmente necessario, affinché essa possa avanzare pretese riguardo ai diritti attribuiti dalla direttiva 92/85, che la fruizione del congedo di educazione non le abbia fatto perdere tale qualità.

28. Va in proposito rilevato, in primo luogo, che la direttiva 92/85 non esclude dal suo campo di applicazione la situazione delle lavoratrici che fruiscono già di un congedo quale il congedo di educazione.

29. È vero che, secondo i ‘considerando’ primo, quinto e sesto, la direttiva 92/85 è rivolta al miglioramento dell’ambiente di lavoro per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori, in particolare della donna gestante sul lavoro. Tuttavia, secondo il quattordicesimo ‘considerando’ di tale direttiva, il legislatore comunitario ha ritenuto che la vulnerabilità delle donne gestanti, puerpere e in periodo di allattamento rendesse necessario il diritto ad un congedo di maternità.

30. Se il legislatore comunitario ha, in tal modo, inteso in particolare premunire le lavoratrici gestanti in maniera generale dai rischi che può far ad esse correre l’esercizio della loro attività lavorativa, riconoscendo loro il diritto ad un congedo di maternità che permetta loro di essere momentaneamente allontanate dal proprio lavoro, è certo che non ha subordinato tale diritto al presupposto che la donna gestante, la quale sollecita la fruizione di tale congedo, versi necessariamente, a titolo personale, in una situazione che le faccia correre un rischio siffatto.

31. Pertanto la circostanza che la direttiva 92/85 ha per obiettivo il miglioramento della protezione della donna incinta sul posto di lavoro non può in quanto tale permettere di considerare che il legislatore comunitario abbia inteso escludere dalla fruizione di tale congedo una lavoratrice che, nel momento in cui auspichi porsi sotto il regime di tale congedo, si sia già allontanata temporaneamente dall’esercizio della sua attività lavorativa, fruendo di un altro congedo.

32. È opportuno rilevare in secondo luogo che, a norma della clausola 2, punto 7, dell’accordo quadro, gli Stati membri e/o le parti sociali definiscono le modalità del contratto o del rapporto di lavoro per il periodo del congedo parentale previsto da tale accordo. Ne risulta che il legislatore comunitario, adottando la direttiva 96/34 che attua il suddetto accordo, ha considerato che durante il periodo di tale congedo restasse valido il rapporto di lavoro tra il dipendente ed il suo datore di lavoro. Di conseguenza il beneficiario di un congedo siffatto rimane, durante tale periodo, un lavoratore ai sensi del diritto comunitario.

33. Non è peraltro contestato che, quando è stata adottata la decisione 10 dicembre 2004 che ha avuto per effetto, secondo il giudice nazionale, di privare in parte la sig.ra Kiiski del diritto alla retribuzione o ad un’indennità adeguata di cui all’art. 11 della direttiva 92/85, l’interessata aveva informato del suo stato di gravidanza il datore di lavoro conformemente alla legislazione o alla prassi nazionale. A tale data essa rientrava dunque nel campo di applicazione di tale direttiva.

34. Occorre quindi accertare se le regole che disciplinano il congedo di educazione, in particolare quelle che definiscono i presupposti grazie a cui si può modificare il periodo di tale congedo, potevano privare la sig.ra Kiiski dei diritti inerenti al congedo di maternità.

35. Va ricordato in proposito che la clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro attribuisce ai lavoratori, di ambo i sessi, un diritto individuale ad un congedo della durata minima di tre mesi. Tale congedo è concesso ai genitori affinché essi possano aver cura del loro bambino. È possibile usufruire del suddetto congedo sino ad una determinata età di quest’ultimo, non superiore a otto anni (v. sentenza 14 aprile 2005, causa C‑519/03, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I‑3067, punti 31 e 32).

36. Va anche ricordato che, come dichiarato al punto 32 della presente sentenza, l’accordo quadro rinvia agli Stati membri e/o alle parti sociali la definizione delle modalità del contratto o del rapporto di lavoro durante il periodo del congedo previsto da tale accordo quadro.

37. Dato che la concessione di un congedo siffatto influisce sull’organizzazione dell’impresa o del servizio cui fa capo l’impiego del lavoratore che fruisce di tale congedo e può necessitare in particolare l’assunzione di un supplente, è legittimo che il diritto nazionale fissi rigorosamente i presupposti in base ai quali può aver luogo una modifica del periodo del suddetto congedo.

38. Tuttavia, tenuto conto dell’obiettivo dell’accordo quadro che attribuisce ai lavoratori, di ambo i sessi, il diritto individuale al congedo per la nascita o l’adozione di un bambino affinché possano averne cura, è del pari legittimo che gli eventi i quali, successivamente alla domanda o alla concessione di tale congedo, pongono incontestabilmente il lavoratore interessato nell’impossibilità di accudire il figlio alle condizioni inizialmente previste possono essere invocati dall’interessato al fine di ottenere una modifica del periodo del suddetto congedo.

39. Nella causa principale, da una parte, il contratto collettivo riconosce al dipendente interessato il diritto, per un motivo imprevedibile e fondato, di ottenere su domanda la modifica della data e della durata del congedo di educazione accordatogli. Dall’altra, questo stesso contratto considera quale motivo fondato qualsiasi cambiamento imprevedibile ed essenziale nelle possibilità pratiche di accudire un figlio, che non si sia potuto prendere in considerazione nel momento in cui il congedo di educazione è stato richiesto.

40. Per quanto concerne le circolari di applicazione del contratto collettivo, esse citano, relativamente ai motivi fondati di cui trattasi, eventi come il fatto che il figlio o l’altro genitore si ammali gravemente o deceda ed il divorzio. Invece le suddette circolari considerano che un trasloco in un’altra località, la sopravvenienza di un altro rapporto di lavoro o un nuovo stato di gravidanza non costituiscono, in linea di principio, motivi imprevedibili e fondati.

41. Va rilevato che, se il trasloco in un’altra località o la sopravvenienza di un altro rapporto di lavoro, dipendenti esclusivamente dalla volontà degli interessati, possono fondatamente considerarsi non imprevedibili, lo stato di gravidanza non può essere paragonato, da tale punto di vista, ad eventi siffatti.

42. L’imprevedibilità che essenzialmente è connaturata a tale stato rende quest’ultimo più comparabile ad eventi come il fatto che il figlio o l’altro genitore si ammali gravemente o deceda ed il divorzio.

43. Tali eventi, che le circolari di cui trattasi nella causa principale considerano imprevedibili, riflettono tutti cambiamenti essenziali che si sono prodotti nella famiglia e nei rapporti tra i genitori, da un lato, e tra i genitori e il figlio, dall’altro, caratterizzati dalla perdita o dalla forte diminuzione della disponibilità di un membro della famiglia, oppure dalla perdita o dalla forte diminuzione delle possibilità effettive per il genitore in questione di educare il figlio o per quest’ultimo di essere educato. Per tale ragione i suddetti eventi costituiscono un ostacolo a che siano soddisfatte le condizioni in base alle quali, al momento in cui il congedo di educazione era stato richiesto, si era previsto, conformemente all’obiettivo del suddetto congedo, di accudire il figlio.

44. Quanto allo stato di gravidanza, non si può contestare che esso cambia i rapporti in seno alla famiglia e che i rischi ad esso connessi, sia per la madre sia per il feto, pregiudicano la disponibilità dell’interessata e le sue possibilità di educare un figlio nell’ambito del congedo di educazione. Ciò posto, da questo non risulta tuttavia che tale stato, di per se stesso, comporti in linea di principio cambiamenti essenziali o di importanza tale da costituire un ostacolo affinché vengano soddisfatte le condizioni in base alle quali, nel momento in cui il congedo di educazione è stato richiesto, si era previsto di accudire il figlio.

45. Tuttavia non si può porre in non cale che la gravidanza evolve ineluttabilmente e che la donna interessata subirà necessariamente, nell’ultimo periodo precedente al parto e nelle prime settimane successive a quest’ultimo, cambiamenti nelle sue condizioni di esistenza di importanza tale da costituire un ostacolo alla possibilità per l’interessata di accudire il suo primo figlio.

46. Proprio tale evoluzione è stata presa in considerazione dal legislatore comunitario attribuendo alle lavoratrici gestanti un diritto speciale, cioè il diritto al congedo di maternità quale previsto dalla direttiva 92/85, che è volto, da un lato, alla protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza e, dall’altro, alla protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto, evitando che queste relazioni siano turbate dal cumulo degli oneri derivanti dal contemporaneo svolgimento di un’attività lavorativa (v., in tal senso, sentenze 29 novembre 2001, causa C‑366/99, Griesmar, Racc. pag. I‑9383, punto 43; 18 marzo 2004, causa C‑342/01, Merino Gómez, Racc. pag. I‑2605, punto 32, e Commissione/Lussemburgo, cit., punto 32).

47. Gli Stati membri devono quindi, a norma dell’art. 8 della direttiva 92/85, adottare le misure necessarie affinché le lavoratrici fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane.

48. Risulta in proposito dal quinto e dal sesto ‘considerando’ di tale direttiva che il legislatore comunitario ha inteso conformarsi agli obiettivi della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata alla riunione del Consiglio europeo svoltasi a Strasburgo il 9 dicembre 1989. L’art. 136 CE si riferisce anche alla Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e riveduta a Strasburgo il 3 maggio 1996, di cui tutti gli Stati membri sono parti avendo aderito a quest’ultima nella versione originaria, nella versione modificata o nelle due versioni. L’art. 8 della Carta sociale europea, consacrato al diritto delle lavoratrici alla protezione della maternità, è diretto a garantire a queste ultime il diritto a un congedo di maternità di una durata minima, nella versione originaria, di dodici settimane e, nella versione riveduta, di quattordici settimane.

49. Dati tali elementi, il diritto al congedo di maternità riconosciuto alle lavoratrici gestanti va considerato come un mezzo di protezione del diritto sociale che riveste un’importanza particolare. Il legislatore comunitario ha quindi ritenuto che i cambiamenti essenziali nelle condizioni di esistenza delle interessate nel corso del limitato periodo di almeno quattordici settimane, precedente e successivo al parto, costituissero un motivo fondato per sospendere l’esercizio della loro attività lavorativa, senza che la legittimità di tale motivo potesse essere rimessa in questione, in qualsiasi modo, dalle pubbliche autorità o dai datori di lavoro.

50. Come discende dalla giurisprudenza della Corte richiamata al punto 46 della presente sentenza, la protezione accordata alla madre sotto forma di un congedo di maternità mira ad evitare il cumulo dei suoi oneri. Orbene, le cure da prodigare al primo figlio conformemente all’obiettivo assegnato al congedo parentale previsto dall’accordo quadro rappresentano per la madre, durante la fase finale della sua gravidanza, un onere cumulato di carattere ed importanza comparabili. È quindi legittimo esigere che un cumulo siffatto possa essere evitato consentendo all’interessata, per effetto di tale stato, di modificare il periodo del suddetto congedo.

51. Risulta da tutto quanto precede che il limitato periodo di almeno quattordici settimane, precedente e successivo al parto, va considerato come una situazione che, alla luce della finalità del congedo parentale previsto dall’accordo quadro, costituisce un ostacolo alla realizzazione di quest’ultima e dunque come un motivo fondato che autorizza la modifica del periodo di tale congedo.

52. Eppure, disposizioni nazionali come quelle di cui trattasi nella causa principale escludono generalmente lo stato di gravidanza dal novero di tali motivi fondati, mentre ritengono il fatto che il figlio o l’altro genitore si ammalino gravemente o decedano, nonché il divorzio, come motivi siffatti che autorizzano la modifica del periodo del congedo di educazione.

53. Alla luce di quanto precede disposizioni siffatte, non trattando in maniera identica una situazione che, in rapporto all’obiettivo del congedo parentale previsto dall’accordo quadro ed agli ostacoli che possono comprometterne la realizzazione, è tuttavia comparabile a quella risultante dalla malattia grave del figlio o del consorte, dal decesso di questi ultimi o dal divorzio, si rivelano discriminatorie senza che un trattamento del genere sia obiettivamente giustificato.

54. Tuttavia, secondo la giurisprudenza consolidata, il rispetto del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v., in particolare, se ntenze 26 ottobre 2006, causa C‑248/04, Koninklijke Coöperatie Cosun, Racc. pag. I‑10211, punto 72, e 3 maggio 2007, causa C‑303/05, Advocaten voor de Wereld, Racc. pag. I‑3633, punto 56).

55. Poiché il trattamento discriminatorio risultante da disposizioni come quelle di cui trattasi nella causa principale può riguardare solo le donne, le disposizioni in parola, che definiscono le condizioni del rapporto di lavoro rimasto valido durante il congedo di educazione, comportano una discriminazione diretta fondata sul sesso vietata dall’art. 2 della direttiva 76/207 (v., in tal senso, sentenza Busch, cit., punto 38).

56. La Corte ha peraltro già dichiarato che un congedo garantito dal diritto comunitario non può pregiudicare il diritto di godere di un altro congedo garantito da tale diritto (sentenze Commissione/Lussemburgo, cit., punto 33, e 6 aprile 2006, causa C‑124/05, Federatie Nederlandse Vakbeweging, Racc. pag. I‑3423, punto 24).

57. Ne risulta che il diritto comunitario osta alla decisione di un datore di lavoro, come quella adottata nella causa principale il 10 dicembre 2004, che, per i suoi effetti, non permette ad una lavoratrice gestante di ottenere dietro sua domanda una modifica del periodo del suo congedo di educazione nel momento in cui essa richiede il congedo di maternità, privandola così dei diritti inerenti a tale congedo di maternità risultanti dagli artt. 8 e 11 della direttiva 92/85.

58. Alla luce delle precedenti considerazioni, occorre risolvere la prima e la terza questione sollevate dichiarando che l’art. 2 della direttiva 76/207, che vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso per quanto concerne le condizioni di lavoro, nonché gli artt. 8 e 11 della direttiva 92/85, relativi al congedo di maternità, ostano a disposizioni nazionali disciplinanti il congedo di educazione che, nei limiti in cui non tengono conto dei cambiamenti causati dallo stato di gravidanza alla lavoratrice interessata per il limitato periodo di almeno quattordici settimane, precedente e successivo al parto, non permettono all’interessata di ottenere dietro sua domanda una modifica del periodo del suo congedo di educazione nel momento in cui essa fa valere i suoi diritti al congedo di maternità, privandola quindi di diritti connessi a quest’ultimo.

Sulla seconda questione

59. La seconda questione è stata sollevata solo per l’ipotesi in cui la Corte ritenga che le disposizioni nazionali di cui trattasi nella causa principale implichino una discriminazione indiretta.

60. Dalla valutazione condotta al punto 55 della presente sentenza risulta che disposizioni nazionali come quelle di cui trattasi nella causa principale implicano, ai sensi dell’art. 2, n. 2, della direttiva 76/207, una discriminazione diretta e non una discriminazione indiretta.

61. Non occorre pertanto risolvere la seconda questione.

Sulle spese

62. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Dispositivo

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

L’art. 2 della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, come modificata dalla direttiva del Parlamento e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE, che vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso per quanto concerne le condizioni di lavoro, nonché gli artt. 8 e 11 della direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/85/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), relativi al congedo di maternità, ostano a disposizioni nazionali disciplinanti il congedo di educazione che, nei limiti in cui non tengono conto dei cambiamenti causati dallo stato di gravidanza alla lavoratrice interessata per il limitato periodo di almeno quattordici settimane, precedente e successivo al parto, non permettono all’interessata di ottenere dietro sua domanda una modifica del periodo del suo congedo di educazione nel momento in cui essa fa valere i suoi diritti al congedo di maternità, privandola quindi di diritti connessi a quest’ultimo.

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