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Document 62005TJ0405

    Sentenza del Tribunale di primo grado (Quinta Sezione) del 15 ottobre 2008.
    Powerserv Personalservice GmbH contro Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI).
    Marchio comunitario - Procedimento di nullità - Marchio comunitario denominativo MANPOWER - Impedimenti assoluti alla registrazione - Carattere descrittivo - Riforma parziale - Carattere distintivo acquisito in seguito all’uso - Artt. 7, n. 1, lett. c), 51, nn. 1 e 2, e 63, n. 3, del regolamento (CE) n. 40/94.
    Causa T-405/05.

    Raccolta della Giurisprudenza 2008 II-02883

    ECLI identifier: ECLI:EU:T:2008:442

    SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

    15 ottobre 2008 ( *1 )

    «Marchio comunitario — Procedimento di nullità — Marchio comunitario denominativo MANPOWER — Impedimenti assoluti alla registrazione — Carattere descrittivo — Riforma parziale — Carattere distintivo acquisito in seguito all’uso — Artt. 7, n. 1, lett. c), 51, nn. 1 e 2, e 63, n. 3, del regolamento (CE) n. 40/94»

    Nella causa T-405/05,

    Powerserv Personalservice GmbH, già Manpower Personalservice GmbH, con sede in Sankt Pölten (Austria), rappresentata dall’avv. B. Kuchar,

    ricorrente,

    contro

    Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. G. Schneider, in qualità di agente,

    convenuto,

    controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

    Manpower, Inc., con sede in Milwaukee, Wisconsin (Stati Uniti), rappresentata inizialmente dal sig. R. Moscona, solicitor, successivamente dai sigg. Moscona e A. Bryson, barrister, e infine dal sig. Bryson e dalla sig.ra V. Marsland, solicitor,

    avente ad oggetto un ricorso di annullamento proposto contro la decisione della quarta commissione di ricorso dell’UAMI 22 luglio 2005 (pratica R 499/2004-4), relativa ad una domanda di nullità del marchio comunitario MANPOWER n. 76059,

    IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),

    composto dai sigg. M. Vilaras, presidente, F. Dehousse e D. Šváby (relatore), giudici,

    cancelliere: sig.ra K. Andová, amministratore

    visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 14 novembre 2005,

    visto il controricorso dell’UAMI depositato presso la cancelleria del Tribunale il 3 marzo 2006,

    visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 23 febbraio 2006,

    in seguito all’udienza dell’11 dicembre 2007,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    Fatti

    1

    Il 26 marzo 1996 l’interveniente, Manpower, Inc., ha presentato una domanda di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio , n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato.

    2

    Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è il segno denominativo MANPOWER.

    3

    I prodotti e servizi per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nelle classi 9, 16, 35, 41 e 42 di cui all’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

    «audiocassette; apparecchi per l’insegnamento audiovisivi; compact disc audio; compact disc video; software; programmi per computer; registratori a nastro magnetico; nastri video; videoregistratori; parti ed accessori per tutti i suddetti prodotti», rientranti nella classe 9;

    «libri; stampati; manuali; riviste; pubblicazioni stampate; trasparenti; materiale didattico; parti ed accessori per tutti i suddetti prodotti», rientranti nella classe 16;

    «servizi di uffici di collocamento; servizi di personale temporaneo», rientranti nella classe 35;

    «organizzazione e direzione di conferenze e seminari; affitto di proiettori ed accessori cinematografici; noleggio di videoregistrazioni, registrazioni audio e film; organizzazione di esposizioni; produzione di nastri audio e video; servizi di educazione e di formazione, tutti concernenti la formazione e la valutazione di personale impiegato in uffici e industrie, tecnico e autisti; servizi di informazione e consulenza, tutti concernenti quanto sopra», rientranti nella classe 41;

    «servizi di consultazioni professionali e specialistiche, tutte concernenti la valutazione attitudinale e la gestione del personale, l’esame della personalità, l’esame psicologico e la consulenza professionale; servizi di esame psicologico e della personalità; consulenze in materia di scelta della professione più adeguata alle attitudini personali; valutazione individuale per determinare le capacità professionali; servizi di psicologia del lavoro; ideazione e sviluppo di software; servizi di consulenza in materia di valutazione, sviluppo e impiego delle risorse umane; alloggi temporanei; servizi d’informazione e di consulenza e redazione di relazioni, tutti relativi a quanto sopra citato; servizi di approvvigionamento», rientranti nella classe 42.

    4

    L’esaminatore ha sollevato obiezioni in merito al marchio richiesto, da lui giudicato descrittivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94. In risposta, l’interveniente ha presentato prove che il marchio aveva acquisito carattere distintivo nel Regno Unito e in Germania. Di conseguenza, il marchio è stato ammesso alla registrazione il 13 gennaio 2000 e pubblicato nel Bollettino dei marchi comunitari del , con il numero 76 059.

    5

    Il 27 ottobre 2000 la ricorrente, Powerserv Personalservice GmbH, già Manpower Personalservice GmbH, allorché era ancora denominata PDV Beteiligungs GmbH, ha proposto una domanda di nullità in base all’art. 51, n. 1, del regolamento n. 40/94, in ragione del fatto che il marchio dell’interveniente era stato registrato in violazione dell’art. 7, n. 1, lett. c), e dell’art. 7, n. 3, di detto regolamento e che i documenti prodotti a sostegno dell’affermazione secondo cui il marchio aveva acquisito carattere distintivo in seguito all’uso non attestavano tale fatto in tutte le parti significative della Comunità europea. L’interveniente ha risposto, in particolare, producendo ulteriori prove relative al carattere distintivo acquisito dal suo marchio. Con decisione , la divisione di annullamento dell’UAMI ha respinto la domanda di nullità (in prosieguo: la «decisione della divisione di annullamento»). Tale decisione era motivata dal fatto che, essendo la parola «manpower» descrittiva soltanto in inglese, al di fuori del Regno Unito e dell’Irlanda i consumatori non l’avrebbero identificata come descrittiva e che, per quanto riguarda questi due paesi, la titolare del marchio aveva provato che esso aveva acquisito carattere distintivo in seguito all’uso. In tale contesto, la divisione di annullamento ha tenuto conto altresì delle prove prodotte risalenti al periodo posteriore alla registrazione del marchio.

    6

    Il ricorso proposto dalla ricorrente contro la decisione della divisione di annullamento è stato respinto dalla quarta commissione di ricorso dell’UAMI con decisione 22 luglio 2005 (in prosieguo: la «decisione controversa»). In essa, la commissione di ricorso ha segnatamente affermato, in primo luogo, per quanto riguarda il carattere descrittivo del marchio dell’interveniente, che in inglese la parola «manpower» aveva carattere descrittivo per i servizi di un ufficio di collocamento o di un’agenzia per il lavoro interinale, poiché si trattava di un termine corrente nella gestione delle risorse umane. Secondo la commissione di ricorso, esso presentava carattere descrittivo anche per la maggior parte dei prodotti e servizi delle classi 9, 16, 41 e 42 di cui all’Accordo di Nizza, poiché tale parola, a suo avviso, poteva essere intesa come indicativa del contenuto di siffatti prodotti e servizi allorquando sono utilizzati nell’ambito dei servizi di un ufficio di collocamento. Tale parola sarebbe anche entrata nel linguaggio commerciale tedesco.

    7

    In secondo luogo, per quanto riguarda i consumatori e i territori di cui trattasi, la commissione di ricorso ha affermato che il senso descrittivo della parola «manpower» era noto ad una parte significativa dei consumatori in questione, ossia gli eventuali datori di lavoro del personale temporaneo e le persone che si occupano di tali impieghi nel Regno Unito, in Irlanda, in Germania, in Austria, nei Paesi Bassi, in Svezia, in Danimarca e in Finlandia. Secondo la commissione di ricorso, i servizi di un’agenzia per il lavoro interinale non si rivolgono unicamente alle persone in cerca di occupazione, bensì anche ai datori di lavoro alla ricerca di personale. Questi ultimi sarebbero addirittura i principali clienti dei prestatori di servizi, dal momento che il loro volume di affari deriverebbe dai redditi tratti dalla locazione di servizi del personale. Secondo la commissione di ricorso, la parola in questione non è descrittiva unicamente per i consumatori nel Regno Unito e in Irlanda, in cui l’inglese è la madrelingua, e nei paesi germanofoni, in cui tale parola è riportata nei dizionari, bensì anche negli Stati membri, in cui una parte significativa dei clienti possiede una conoscenza ed una pratica sufficienti dell’inglese commerciale. Secondo l’esperienza della commissione di ricorso, tale conoscenza e tale uso dell’inglese sono particolarmente presenti in Svezia, in Danimarca, in Finlandia e nei Paesi Bassi. La commissione di ricorso ha messo in evidenza che l’inglese era la lingua commerciale comune in uso nel mondo e parimenti la lingua di lavoro ufficiale di numerose società internazionali. La commissione di ricorso ha ritenuto che, nei paesi di dimensioni più ridotte, gli studenti che effettuano studi commerciali, durante il loro corso di studi, siano spesso confrontati a testi redatti in inglese. Dopo aver concluso i loro studi universitari, essi andrebbero a lavorare negli uffici del personale o ad occupare altri posti in imprese incaricate di assumere personale temporaneo. La commissione di ricorso ha affermato di aver trovato numerosi elementi di prova a sostegno di suddetta ipotesi e li ha elencati. Per quanto riguarda poi gli altri Stati membri di più lunga data dell’Unione europea, la commissione di ricorso ha affermato che l’esperienza faceva apparire una certa riluttanza ad usare l’inglese. Pertanto, essa ha considerato che, in questi altri Stati membri, le persone per le quali la parola «manpower» avrebbe avuto un senso descrittivo non costituivano una parte significativa del pubblico in questione. Per quanto riguarda l’art. 159 bis, n. 1, del regolamento n. 40/94, la commissione di ricorso ha affermato che essa non era tenuta a prendere in considerazione i nuovi Stati membri che vi sono elencati, tenuto conto del secondo paragrafo di detto articolo.

    8

    In terzo luogo, per quanto riguarda il carattere distintivo acquisito dal marchio dell’interveniente alla data del suo deposito, la commissione di ricorso ha affermato che, a causa del carattere descrittivo di detto marchio negli Stati membri sopra citati, l’interveniente avrebbe dovuto dimostrare il carattere distintivo acquisito in seguito all’uso che è stato fatto del suo marchio in tale parte della Comunità, ai sensi dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94. La commissione di ricorso ha affermato che dalla sentenza del Tribunale 9 ottobre 2002, causa T-173/00, KWS Saat/UAMI (Tonalità arancio) (Racc. pag. II-3843, punti 24-27), risultava che, qualora un marchio sia considerato non idoneo alla registrazione in applicazione dell’art. 7, n. 1, lett. b)-d), del regolamento n. 40/94, occorre, ai fini della sua registrazione, dimostrare che esso ha acquisito carattere distintivo per l’uso che ne è stato fatto nella parte significativa della Comunità in cui esso era privo di ogni carattere distintivo ai sensi del menzionato art. 7, n. 1, lett. b)-d). Pertanto, secondo la detta commissione, l’acquisizione del carattere distintivo doveva essere accertata nella parte della Comunità in cui sussiste un impedimento assoluto alla registrazione in modo tale che la parte restante non possa più essere considerata come parte «significativa». La commissione di ricorso ha ritenuto che l’interveniente non avesse provato che il suo marchio aveva acquisito carattere distintivo alla data di deposito della domanda di registrazione, poiché aveva prodotto soltanto prove che coprivano il Regno Unito e la Germania. Secondo la commissione di ricorso, dette prove erano insufficienti, in quanto il territorio sul quale il marchio doveva essere considerato idoneo ad essere usato come termine descrittivo comprendeva altresì l’Austria, i Paesi Bassi, la Danimarca, la Svezia e la Finlandia.

    9

    In quarto luogo, per quanto riguarda il carattere distintivo acquisito dal marchio dell’interveniente dopo la registrazione, la commissione di ricorso ha affermato che le prove prodotte dall’interveniente avevano permesso di concludere che detto marchio aveva acquisito carattere distintivo, a norma dell’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94, alla data di deposito della domanda di nullità negli otto Stati membri in cui il marchio è considerato descrittivo. La commissione di ricorso ha considerato che l’insieme delle prove prodotte dall’interveniente fosse ricevibile in quanto esse permettevano di concludere per il carattere distintivo del segno alla data di deposito della domanda di nullità. La commissione di ricorso ha ritenuto di non essere obbligata a prendere in considerazione soltanto le prove presentate durante il procedimento di registrazione. Essa ha osservato che, a norma dell’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94, la questione pertinente era se il marchio avesse acquisito carattere distintivo in seguito all’uso in qualsiasi momento dopo la sua registrazione. Secondo la commissione di ricorso, l’applicazione di tale disposizione non è peraltro esclusa per il fatto che quest’ultima non menziona espressamente l’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, disposizione questa che, nel caso di specie, sarebbe stata mal interpretata nell’ambito del procedimento di registrazione. La commissione di ricorso ha successivamente affermato che la circostanza che, applicando l’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94, al titolare venisse accordata una data di priorità anteriore a quella che avrebbe avuto qualora avesse presentato la sua domanda quando il marchio aveva davvero assunto un secondo significato non era determinante per l’interpretazione di detta disposizione. Secondo la commissione di ricorso, tale disposizione, vietando espressamente l’annullamento di un marchio qualora questo abbia acquisito carattere distintivo dopo la sua registrazione, riconosce necessariamente che il marchio può avere una data di priorità che non avrebbe avuto se il procedimento di registrazione si fosse svolto correttamente.

    10

    In quinto luogo, per quanto riguarda la valutazione degli elementi di prova, la commissione di ricorso ha constatato che l’interveniente aveva prodotto numerose prove relative all’uso del suo marchio nella maggior parte dei paesi dell’Unione. La commissione di ricorso ha affermato di essere cosciente del fatto che talune prove erano posteriori alla data di deposito della domanda di nullità del marchio. Tuttavia, poiché a suo avviso le prove bastavano a dimostrare il carattere distintivo acquisito sul territorio in questione alla data di deposito della domanda di nullità, essa ha affermato di non doversi pronunciare sulla questione se la data pertinente per valutare l’acquisizione del carattere distintivo, conformemente all’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94, fosse la data della domanda di nullità oppure quella della decisione definitiva sulla domanda di nullità. Inoltre, ad avviso della commissione di ricorso, alcune delle prove posteriori alla data della domanda di nullità riguardavano in realtà il periodo anteriore a tale data. Per contro, a suo parere, le prove posteriori talvolta possono consentire di trarre conclusioni in merito al carattere distintivo durante il periodo considerato. La commissione di ricorso ha affermato che essa non ignorava che la valutazione di tali prove doveva essere eseguita accuratamente. Peraltro, la commissione di ricorso ha osservato che essa aveva preso in considerazione il fatto che l’interveniente era un’impresa operante su scala mondiale, cosa che consentiva di concludere che la sua attività era parzialmente conosciuta anche in paesi in cui essa possedeva soltanto pochi uffici, od addirittura nessuno. Tale conclusione, secondo la commissione di ricorso, era suffragata da uno dei sondaggi di opinione austriaci che evidenziava come molti consumatori sapessero che la parola «manpower» era un marchio utilizzato da un’impresa non austriaca. La commissione di ricorso ha poi sottolineato che, ad eccezione del Regno Unito e dell’Irlanda, l’inglese non era la madrelingua in alcun paese e che espressioni provenienti da una lingua straniera, pur se note alla maggior parte dei consumatori pertinenti, non erano necessariamente note a tutti. A queste persone, secondo la commissione di ricorso, la parola «manpower» apparirà probabilmente come un marchio. Tale conclusione sarebbe corroborata da sondaggi realizzati presso consumatori in Germania e in Austria. Secondo la commissione di ricorso, tali elementi dovevano essere presi in considerazione, in particolare, nei paesi in cui le prove sono più esili che in altri. La commissione di ricorso ha affermato, quindi, che essa non era vincolata né dalla registrazione di marchi nazionali né dalle decisioni dei giudici nazionali.

    11

    Infine, la commissione di ricorso ha concluso, dopo aver valutato le prove relative al carattere distintivo del marchio acquisito in seguito all’uso nel Regno Unito, in Irlanda, in Germania, in Austria, in Svezia, nei Paesi Bassi, in Finlandia e in Danimarca, che l’interveniente aveva effettivamente dimostrato che il suo marchio possedeva un secondo significato per servizi di personale temporaneo nei territori della Comunità in cui il marchio non possedeva ancora carattere distintivo. Secondo la commissione di ricorso, il marchio dell’interveniente non poteva pertanto essere dichiarato nullo, ai sensi dell’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94. La commissione di ricorso ha considerato che il carattere distintivo acquisito si estendeva all’insieme dei prodotti e servizi protetti dalla registrazione, per i quali il marchio sarebbe descrittivo soltanto come indicazione del contenuto di tali prodotti e servizi. A tale riguardo, la commissione di ricorso ha anzitutto sottolineato che l’interveniente aveva dimostrato di utilizzare un gran numero di detti prodotti e servizi nell’ambito dell’affitto di personale temporaneo. La commissione di ricorso ha successivamente affermato che, poiché il termine «manpower» possedeva un secondo significato per servizi di personale temporaneo, i consumatori interessati riterranno che, per esempio, un libro o una conferenza recanti tale nome facciano riferimento all’interveniente e ai suoi servizi.

    Conclusioni delle parti

    12

    La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

    annullare la decisione impugnata;

    annullare il marchio dell’interveniente per tutti i prodotti e servizi da esso protetti;

    in subordine, annullare la decisione impugnata nella parte in cui non è stata apportata la prova del carattere distintivo acquisito in seguito all’uso del marchio dell’interveniente e rinviare la pratica dinanzi alla commissione di ricorso;

    condannare l’UAMI e l’interveniente alle proprie spese nonché al pagamento delle spese sostenute dalla ricorrente nel presente procedimento;

    condannare l’UAMI e l’interveniente al pagamento delle spese sostenute dalla ricorrente nel procedimento dinanzi all’UAMI.

    13

    L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

    respingere il ricorso;

    condannare la ricorrente alle spese.

    14

    L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

    respingere il ricorso;

    ordinare la modifica della decisione impugnata nel senso esposto nel suo controricorso;

    condannare la ricorrente alle spese.

    Sulla ricevibilità del quinto capo delle conclusioni della ricorrente

    15

    Al quinto capo delle sue conclusioni, la ricorrente chiede al Tribunale di condannare l’UAMI e l’interveniente al pagamento delle spese da essa sostenute nel procedimento dinanzi all’UAMI, senza precisare se essa intenda unicamente quelle sostenute dinanzi alla commissione di ricorso durante il procedimento di ricorso ovvero anche quelle sostenute dinanzi alla divisione di annullamento durante il procedimento di nullità.

    16

    A tal riguardo occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 136, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, «[l]e spese indispensabili sostenute dalle parti per il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso, nonché le spese sostenute per la produzione, di cui all’articolo 131, paragrafo 4, secondo comma, delle traduzioni delle memorie o degli altri atti nella lingua processuale sono considerate spese ripetibili». Ne consegue che le spese sostenute per il procedimento di nullità non possono essere considerate spese ripetibili [v. sentenza del Tribunale 11 maggio 2005, cause riunite da T-160/02 a T-162/02, Naipes Heraclio Fournier/UAMI — France Cartes (Spada di un gioco di carte, cavallo di bastoni e re di spade), Racc. pag. II-1643, punti 22 e 24, nonché la giurisprudenza ivi citata].

    17

    Il quinto capo delle conclusioni della ricorrente deve pertanto essere respinto in quanto irricevibile nella parte riguardante le spese sostenute per il procedimento di nullità dinanzi alla divisione di annullamento.

    Nel merito

    18

    Nel ricorso la ricorrente ha dedotto tre motivi a sostegno delle sue pretese. All’udienza ha tuttavia dichiarato di rinunciare alla seconda parte del suo secondo motivo, vertente sulla violazione dell’art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94, nonché al suo terzo motivo, vertente sulla violazione dell’art. 159 bis del medesimo regolamento. Nel processo verbale dell’udienza si è preso atto di tale dichiarazione della ricorrente.

    19

    Pertanto, due sono i motivi che la ricorrente fa attualmente valere. Il primo mira all’annullamento della decisione impugnata per violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94, in quanto il marchio dell’interveniente sarebbe privo di carattere distintivo e sarebbe descrittivo dei prodotti e servizi per i quali è stato registrato, in tutta la Comunità, ossia anche nei paesi per i quali la commissione di ricorso ha concluso, nella decisione impugnata, che esso non era descrittivo.

    20

    Il secondo motivo verte sulla violazione degli artt. 51, n. 2, e 74, n. 1, del regolamento n. 40/94.

    21

    Peraltro, l’interveniente ha chiesto al Tribunale di ordinare la modifica della decisione impugnata nel senso esposto nel suo controricorso. Nella parte del controricorso di cui trattasi, l’interveniente fa valere, in sostanza, che la commissione di ricorso ha erroneamente concluso che il termine «manpower» era descrittivo dei prodotti e servizi contrassegnati dal suo marchio, nel Regno Unito, in Irlanda, nei Paesi Bassi, in Germania, in Austria, in Svezia, in Danimarca e in Finlandia.

    22

    Il Tribunale considera che occorre riqualificare tale capo delle conclusioni dell’interveniente come domanda autonoma di riforma della decisione impugnata.

    23

    Infatti, la commissione di ricorso ha adottato, in realtà, con l’atto unico che costituisce la decisione impugnata, due decisioni, di cui una constata che l’impedimento assoluto alla registrazione di cui all’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 ostava alla registrazione del marchio dell’interveniente, visto il suo carattere descrittivo negli otto paesi summenzionati, e l’altra respinge la domanda di nullità di questo stesso marchio, in quanto dopo la sua registrazione esso aveva acquisito, in questi otto paesi, carattere distintivo in virtù dell’uso che ne era stato fatto, ai sensi dell’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94 (v., in tal senso, sentenza della Corte 20 settembre 2001, causa C-383/99 P, Procter & Gamble/UAMI, Racc. pag. I-6251, punto 23).

    24

    Nella misura in cui essa è risultata vittoriosa nell’ambito della seconda parte della decisione impugnata, contestata con il presente ricorso, l’interveniente ha un interesse a formulare, ai sensi dell’art. 134, n. 2, secondo comma, del regolamento di procedura, una conclusione e un motivo di ricorso autonomi tesi a riformare la prima parte della decisione impugnata, nel senso che l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 non ostava alla registrazione del suo marchio MANPOWER, poiché lo stesso non era descrittivo in nessuno degli otto paesi summenzionati (v., in tal senso, sentenza Procter & Gamble/UAMI, cit. supra al punto 23, punto 26). Se tale conclusione autonoma dell’interveniente e il motivo ad essa sotteso venissero accolti, occorrerà respingere il ricorso della ricorrente senza che sia necessario esaminare il secondo motivo addotto da quest’ultima, che diverrà in tal caso inoperante.

    25

    Ciò premesso, il Tribunale ritiene che sia necessario, in primo luogo, esaminare congiuntamente il primo motivo della ricorrente e l’argomentazione addotta dall’interveniente a sostegno della sua domanda di riformare la decisione impugnata.

    Sul primo motivo di ricorso e sulla domanda di riforma dell’interveniente

    Argomenti delle parti

    26

    La ricorrente fa valere, in primo luogo, che l’UAMI non ha preso in considerazione la necessità concreta, attuale e seria che la parola «manpower» possa essere usata, nella vita economica, «da qualsiasi individuo nonché dai concorrenti» per servizi di uffici di collocamento, servizi di personale temporaneo e per tutti gli altri prodotti e servizi registrati. Secondo la ricorrente, è dunque necessario lasciare la parola «manpower» disponibile.

    27

    La ricorrente sostiene che l’interesse pubblico è fondato sul fatto che la parola «manpower» è puramente descrittiva, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, non soltanto in inglese e in tedesco, ma altresì nella maggior parte delle altre lingue comunitarie, e che essa deve essere mantenuta disponibile in quanto nozione del linguaggio corrente e segnatamente del linguaggio specialistico nel settore delle risorse umane. La parola «manpower» sarebbe intesa su Internet come la designazione plurilingue internazionale della «forza lavoro».

    28

    La ricorrente sostiene che, anche qualora si dovesse tener conto solo del tedesco e dell’inglese, la parola «manpower» sarebbe descrittiva nell’insieme della Comunità. Essa fa valere che, secondo una statistica della Commissione delle Comunità europee riguardante la conoscenza di lingue straniere nella Comunità, il 32% delle persone in questione parla il tedesco e il 47% l’inglese.

    29

    In secondo luogo, l’interesse pubblico e l’imperativo della disponibilità sono fondati, secondo la ricorrente, sul fatto che la parola «manpower» non ha carattere distintivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, in quanto non può servire a contraddistinguere i servizi di uffici di collocamento e i servizi di personale temporaneo di una determinata impresa. Tale parola sarebbe utilizzata sul mercato del lavoro per designare la «forza lavoro».

    30

    La ricorrente sostiene che un marchio giuridicamente valido deve possedere carattere distintivo nell’insieme della Comunità. Nella decisione impugnata, il carattere distintivo non sarebbe stato valutato con riguardo all’insieme della Comunità. La ricorrente fa valere che è inammissibile considerare gran parte degli Stati membri di più antica data, quali la Francia, l’Italia, la Spagna, il Lussemburgo, il Belgio e la Grecia, come Stati nei quali una parte importante del pubblico non parla né inglese né tedesco. La ricorrente sostiene che il Tribunale ha già indicato che è assodato che un certo numero di persone germanofone si sono stabilite in Spagna in via temporanea o anche permanente.

    31

    Per quanto riguarda l’asserita violazione dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, l’UAMI fa valere che la commissione di ricorso ha concluso che il marchio dell’interveniente era percepito come descrittivo unicamente in determinate parti della Comunità.

    32

    Così, secondo l’UAMI, in primo luogo, la commissione di ricorso ha considerato che nelle regioni anglofone della Comunità il vocabolo verrà capito da qualsiasi persona, e sicuramente nel settore della gestione delle risorse umane, e che verrà inoltre capito dal personale specializzato negli uffici del personale, ivi compresi quelli nei paesi in cui l’inglese commerciale è di uso comune.

    33

    In secondo luogo, l’UAMI deduce che, identificando come paesi di questo tipo «la Germania, l’Austria, i Paesi Bassi, la Svezia, la Danimarca e la Finlandia», la commissione di ricorso estende i confini geografici all’interno dei quali il pubblico può percepire il vocabolo «manpower» come descrittivo, disegnandoli in termini più ampi rispetto alla divisione di annullamento, la quale ha preso in considerazione unicamente i paesi delle regioni anglofone. Secondo l’UAMI, si potrebbe mettere in dubbio la fondatezza dell’ampliamento dell’applicabilità dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94.

    34

    In terzo luogo, l’UAMI sostiene che l’argomento della ricorrente, secondo cui una parte sostanziale del pubblico interessato parla correntemente l’inglese nella maggior parte degli Stati membri, è inesatto nel merito. Da un punto di vista fattuale, tale argomento non sarebbe stato dimostrato dalla ricorrente.

    35

    L’interveniente deduce, in primo luogo, che la questione della conformità all’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94 si pone solamente in ordine ai servizi della classe 35 di cui all’Accordo di Nizza (servizi di uffici di collocamento, servizi di personale temporaneo). In inglese, non sarebbe né corrente né naturale designare i servizi in questione con la parola «manpower». Secondo l’interveniente, gli sforzi della ricorrente tesi ad appropriarsi del marchio MANPOWER, segnatamente per l’Austria, sono la prova migliore del valore e del carattere distintivo di quest’ultimo.

    36

    A tal riguardo, l’interveniente sostiene che la divisione di annullamento ha giustamente notato che in inglese la parola «manpower» non era un termine usuale per servizi di collocamento del personale (punto 10 della decisione della divisione di annullamento). Tali servizi sarebbero descritti con i termini «employment», «recruitment» o «placement» (employment services, employment agency services, recruitment agency services, staffing services o placement services). L’interveniente sottolinea che la parola «manpower» non costituisce la modalità abituale di designazione dei servizi di collocamento del personale e non descrive tali servizi in modo tale da non permettere di svolgere la funzione di identificazione dell’impresa che li immette sul mercato. Al fine di dimostrare tali asserzioni l’interveniente rinvia a varie pubblicazioni in materia di risorse umane.

    37

    L’interveniente sostiene che è poco verosimile che soggetti terzi e, più in particolare, i suoi concorrenti utilizzino, nell’ambito delle loro attività commerciali e senza motivi illeciti, il marchio MANPOWER o un marchio simile per designare i servizi che forniscono.

    38

    L’interveniente afferma che la commissione di ricorso ha ritenuto a torto che la parola «manpower» fosse descrittiva anche con riguardo ai prodotti e servizi delle classi 9, 16, 41 e 42 di cui all’Accordo di Nizza, protetti dal marchio di cui trattasi.

    39

    L’interveniente fa valere, in secondo luogo, che la commissione di ricorso non disponeva di alcun elemento di prova per supportare la sua constatazione secondo cui, per i consumatori in sei Stati membri non anglofoni della Comunità, la parola «manpower» era descrittiva dei servizi di collocamento del personale. Nulla proverebbe che per i consumatori dei paesi non anglofoni tale parola non avrebbe carattere distintivo. La divisione di annullamento avrebbe correttamente constatato che, al di fuori del Regno Unito e dell’Irlanda, il termine «manpower» è considerato un termine di fantasia o suggestivo atto a servire per designare l’origine dei prodotti o servizi in causa (punto 10 della decisione della divisione di annullamento).

    40

    In particolare, per quanto riguarda la Germania e l’Austria, l’interveniente fa valere che il solo fatto che la parola «manpower» figuri in un unico dizionario tedesco non significa che sia generalmente utilizzato e compreso dal pubblico germanofono ovvero che sia conosciuto da ampia parte del pubblico. A suo avviso, il consumatore medio di lingua tedesca dovrebbe operare una complessa associazione di idee per comprendere il significato di tale parola. Secondo l’interveniente, anche ammettendo che la parola «manpower» sia entrata nel linguaggio commerciale tedesco — il che non costituirebbe alcun elemento di prova —, ciò non significherebbe che, quando viene usata in relazione a servizi di collocamento del personale, essa venga compresa dai consumatori germanofoni pertinenti come puramente descrittiva di tali servizi. L’espressione «manodopera» non avrebbe lo stesso significato dell’espressione «servizi di collocamento del personale».

    41

    Secondo l’interveniente, non sussiste alcuna prova che dimostri un uso della parola «manpower» su Internet, in una lingua diversa dall’inglese, che non sia un riferimento ad essa interveniente e alle sue attività. Anche sui siti anglofoni, in almeno nove casi su dieci, la parola sarebbe utilizzata per operare tale riferimento. I risultati dell’esame presentati dall’interveniente non farebbero che confermare di fatto le sue asserzioni in merito alla sua notorietà a livello internazionale.

    Giudizio del Tribunale

    42

    Per quanto riguarda l’asserita violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, riguardante i marchi privi di carattere distintivo, l’UAMI fa valere che, nel suo ricorso dinanzi alla commissione di ricorso, la ricorrente non aveva invocato la violazione di tale disposizione. Secondo l’UAMI, tale parte del primo motivo deve essere respinta per irricevibilità.

    43

    A tale proposito, il Tribunale rileva che dall’esame del fascicolo dell’UAMI nella presente controversia, nonché dalla decisione impugnata, emerge che, nel suo ricorso dinanzi alla commissione di ricorso, la ricorrente non ha sollevato la censura relativa alla violazione, da parte della divisione di annullamento, di suddetta disposizione. La commissione di ricorso non ha esaminato l’applicabilità di quest’ultima. Dall’art. 135, n. 4, del regolamento di procedura risulta che le parti di un procedimento dinanzi al Tribunale non possono modificare l’oggetto della controversia quale definito dinanzi alla commissione di ricorso. Di conseguenza, la parte del primo motivo della ricorrente, relativa alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, deve essere respinta perché irricevibile.

    44

    Per quanto concerne l’asserita violazione dell’art. 7, n. 1), lett. c), del regolamento n. 40/94, va rilevato che, ai sensi di questa disposizione, sono esclusi dalla registrazione «i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio».

    45

    Secondo una giurisprudenza costante, l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 persegue una finalità di interesse generale, la quale impone che i segni o le indicazioni descrittivi delle caratteristiche di prodotti o servizi per i quali si chiede la registrazione possano essere liberamente utilizzati da tutti [v. sentenza del Tribunale 14 giugno 2007, causa T-207/06, Europig/UAMI (EUROPIG), Racc. pag. II-1961, punto 24 nonché la giurisprudenza ivi citata].

    46

    Inoltre, l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 riguarda i segni inidonei a svolgere la funzione sostanziale del marchio, cioè quella di identificare l’origine commerciale del prodotto o servizio, al fine di consentire così al consumatore che acquista il prodotto o il servizio designato dal marchio di fare, al momento di un successivo acquisto, la stessa scelta, qualora l’esperienza si riveli positiva, o di fare un’altra scelta, qualora essa risulti negativa (v. sentenza EUROPIG, cit. supra al punto 45, punto 25 nonché la giurisprudenza ivi citata).

    47

    Infatti, i segni e le indicazioni di cui all’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 sono quelli che, in un uso normale dal punto di vista del pubblico destinatario, possono servire per designare, direttamente o tramite la menzione di una delle sue caratteristiche essenziali, il prodotto o il servizio per cui è chiesta la registrazione (v. sentenza EUROPIG, cit. supra al punto 45, punto 26 nonché la giurisprudenza ivi citata).

    48

    Ne consegue che, affinché il divieto enunciato dalla suddetta disposizione si applichi a un segno, questo deve presentare con i prodotti o servizi in causa un nesso sufficientemente diretto e concreto da consentire al pubblico destinatario di percepire immediatamente, e senza altra riflessione, una descrizione di tali prodotti o servizi ovvero di una delle loro caratteristiche (v. sentenza EUROPIG, cit. supra al punto 45, punto 27 nonché la giurisprudenza ivi citata).

    49

    In primo luogo, occorre esaminare se sia corretta la constatazione della commissione di ricorso secondo cui il marchio dell’interveniente era descrittivo nella parte della Comunità in cui la lingua maggioritaria del pubblico pertinente è l’inglese, vale a dire nel Regno Unito e in Irlanda, cosa che l’interveniente contesta.

    50

    Tenuto conto del carattere eterogeneo dei prodotti e servizi coperti da detto marchio, occorre suddividere in due parti l’analisi dei prodotti e servizi stessi, prendendo, da un lato, «i servizi di uffici di collocamento» e «i servizi di personale temporaneo» rientranti nella classe 35 e, dall’altro, gli altri prodotti e servizi coperti dal marchio di cui trattasi (rientranti nelle classi 9, 16, 41 e 42).

    51

    La commissione di ricorso stessa ha proceduto a una siffatta analisi bipartita, affermando, al punto 12 della decisione impugnata, da un lato, che «il termine “manpower” ha in inglese carattere descrittivo per i servizi di un ufficio di collocamento o di un’agenzia per il lavoro interinale, trattandosi di un termine corrente nella gestione delle risorse umane», e, dall’altro, che la parola «manpower»«riveste altresì carattere descrittivo per la maggior parte dei prodotti e servizi [coperti dal marchio dell’interveniente facenti parte] delle classi 9, 16, 41 e 42, potendo tale parola essere compresa come indicativa del contenuto di tali prodotti e servizi quando è usata nell’ambito dei servizi di un ufficio di collocamento».

    52

    La commissione di ricorso ha affermato che il termine «manpower» è una parola inglese che, secondo il The New Shorter Oxford English Dictionary (Thumb Index Edition, 1993), significa «la forza o l’azione di un uomo al lavoro; un’unità di velocità di esecuzione di un lavoro; l’insieme di persone disponibili o necessarie ad un servizio militare, ad un lavoro o ad un altro fine; i lavoratori considerati come risorsa quantificabile, la manodopera». Secondo la commissione di ricorso, si tratta di un termine usuale nell’inglese commerciale, largamente impiegato e ben noto nell’ambito della gestione delle risorse umane.

    53

    A tale proposito, la commissione di ricorso fa riferimento al Wideman Comparative Glossary of Project Management Terms, secondo il quale il vocabolo «manpower» significa il numero complessivo di persone adeguato per un determinato tipo di lavoro. La pianificazione della manodopera (manpower planning) sarebbe il processo che consiste nel progettare nel tempo le esigenze di manodopera dell’organizzazione, tanto dal punto di vista numerico quanto da quello delle competenze, e nel reperire le risorse umane necessarie per rispondere ai bisogni dell’organizzazione.

    54

    Secondo la commissione di ricorso, tenuto conto di siffatte definizioni, sarebbe fuori dubbio che i servizi protetti dal marchio dell’interveniente, ossia i servizi di personale temporaneo, possono essere qualificati come «fornitura di manodopera» (providing manpower). Al punto 14 della decisione impugnata, la commissione di ricorso rileva che numerose sono le prove che dimostrano l’uso descrittivo della parola in questione.

    55

    Il Tribunale rileva che, per quanto riguarda il Regno Unito e l’Irlanda, la divisione di annullamento si è basata su un lemma del dizionario inglese Collins (edizione 1996) secondo il quale, in inglese, la parola «manpower» significava «la forza lavoro di un uomo; un’unità di forza fondata su un ritmo al quale un uomo può lavorare; all’incirca 75 watt; il numero di persone necessarie o disponibili per un lavoro» («power supplied by man; a unit of power based on a rate at which a man can work; roughly 75 watts; the number of people needed or available for a job»). Essa ne ha ricavato la sua affermazione secondo cui, in inglese, detta parola era impiegata in relazione con la forza lavoro, specificando e sottolineando che la parola «manpower» non era, in tale lingua, la parola più usuale per designare i servizi di cui trattasi.

    56

    Il Tribunale constata al riguardo, in primo luogo, che, in applicazione della giurisprudenza citata al punto 47 di cui sopra, la valutazione del carattere asseritamente descrittivo del marchio dell’interveniente consiste nel rispondere alla questione se la parola «manpower» possa, nell’uso comune dal punto di vista del pubblico destinatario, servire a designare, direttamente oppure tramite la menzione di una delle loro caratteristiche essenziali, i prodotti o i servizi protetti dal marchio dell’interveniente.

    57

    In secondo luogo, per quanto riguarda il pubblico destinatario, occorre considerare che nel caso di specie, tenuto conto della specificazione relativamente ampia dei servizi in questione, esso è costituito dall’insieme della popolazione in età lavorativa. Infatti, tanto i datori di lavoro quanto i lavoratori, e tanto le persone effettivamente attive nell’ambito del lavoro interinale quanto le altre persone in età lavorativa, possono ricorrere ai servizi di un ufficio di collocamento o di un’agenzia per il lavoro interinale, protetti dal marchio dell’interveniente.

    58

    Il Tribunale considera, tenendo conto di tutti gli elementi summenzionati e, più in particolare, delle definizioni del significato, in inglese, della parola «manpower» apportate dalla commissione di ricorso e dalla divisione di annullamento, che giustamente la commissione di ricorso ha affermato che tale parola era descrittiva, nel Regno Unito e in Irlanda, dei servizi di un ufficio di collocamento o di un’agenzia per il lavoro interinale.

    59

    Infatti, va constatato che la parola inglese «manpower» presenta effettivamente, con i servizi di cui trattasi, un nesso sufficientemente diretto e concreto da consentire al pubblico destinatario, nel Regno Unito e in Irlanda, di percepire immediatamente e senza ulteriore riflessione una descrizione di tali servizi, nel senso di cui alla giurisprudenza citata supra al punto 48.

    60

    Nessuno degli argomenti dedotti dall’interveniente è atto a rimettere in questione tali considerazioni.

    61

    Anzitutto, per quanto riguarda l’asserzione secondo la quale i servizi in questione sono descritti in inglese con «employment», «recruitment», «placement» o «staffing», va rilevato che essa non può rimettere in discussione il nesso diretto e concreto tra la parola «manpower» e questi stessi servizi, dato che in inglese è usuale avere diversi sinonimi per designare uno stesso contenuto semantico.

    62

    L’interveniente sostiene poi che in inglese non è né corrente né naturale designare i servizi di cui trattasi con la parola «manpower» e che, d’altronde, nessuna delle definizioni menzionate nella decisione impugnata fa corrispondere la parola «manpower» a servizi di collocamento del personale. Orbene, si deve constatare che, anche ammettendo che la parola «manpower» nell’accezione di «forza lavoro» non sia in inglese il termine più usuale per designare i servizi di uffici di collocamento o i servizi di personale temporaneo, essa può nondimeno essere sempre considerata descrittiva di tali servizi, tenuto conto del suo nesso diretto con questi ultimi.

    63

    A tale proposito, le definizioni menzionate nella decisione impugnata consentono di constatare che detta parola ha un significato sufficientemente vicino ai servizi di cui trattasi, cosicché il pubblico pertinente nel Regno Unito e in Irlanda stabilirà immediatamente e senza ulteriore riflessione un collegamento concreto e diretto tra la parola e i servizi in questione. Ne consegue che, nell’uso comune dal punto di vista del pubblico destinatario, detta parola può servire a designare siffatti servizi. Peraltro, al punto 14 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha apportato indizi concreti circa l’uso, nell’inglese commerciale, della parola «manpower» in senso descrittivo. Ad ogni modo, la questione se la parola «manpower» sia effettivamente usata a tali fini descrittivi è indifferente, posto che è sufficiente che possa essere usata a tali fini [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 12 gennaio 2005, cause riunite da T-367/02 a T-369/02, Wieland-Werke/UAMI (SnTEM, SnPUR, SnMIX), Racc. pag. II-47, punto 40 nonché la giurisprudenza ivi citata].

    64

    Gli elementi di prova invocati dall’interveniente per suffragare la sua argomentazione secondo cui la parola «manpower» non è la parola impiegata abitualmente in inglese per designare i servizi in questione consentono, tutt’al più, di constatare che altre parole diverse da «manpower» sono altresì utilizzate per designare tali servizi. Orbene, va notato che per l’applicazione al marchio dell’interveniente dell’impedimento assoluto alla registrazione, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, è indifferente che esistano o meno sinonimi che consentano parimenti di designare i prodotti o i servizi in questione (v., per analogia, sentenza SnTEM, SnPUR, SnMIX, cit. supra al punto 63, punto 41).

    65

    Infine, l’argomento dell’interveniente secondo cui non sarebbe verosimile che il marchio MANPOWER venga usato da terzi nell’ambito delle loro attività commerciali (v. supra, punto 37) non è di rilievo per quanto riguarda l’esame della questione se la parola «manpower» sia descrittiva o meno e, di conseguenza, va anch’esso respinto.

    66

    Per quanto riguarda gli altri prodotti e servizi protetti dal marchio dell’interveniente, il Tribunale considera, relativamente al Regno Unito e all’Irlanda, che giustamente la commissione di ricorso ha affermato che la parola «manpower» presentava carattere descrittivo anche per la maggior parte dei prodotti e servizi protetti dal marchio dell’interveniente rientranti nelle classi 9, 16, 41 e 42.

    67

    Al riguardo va rilevato, in primo luogo, in accordo con la commissione di ricorso, che tale parola può essere compresa come indicativa del contenuto di tali prodotti e servizi quando sono usati nell’ambito dei servizi di un ufficio di collocamento. Pertanto, in tale ambito, il pubblico pertinente — che d’altronde per questi prodotti e servizi è lo stesso di quello definito supra al punto 57 — vedrebbe nel marchio dell’interveniente un riferimento diretto e concreto a detti prodotti e servizi.

    68

    In secondo luogo, nella misura in cui tali prodotti e servizi includono prodotti o servizi che non presentano alcun nesso con i servizi di collocamento e di personale temporaneo, si deve rilevare che l’interveniente ha registrato la parola «manpower» per ciascuno di essi nel loro insieme. Pertanto, si deve concludere che la commissione di ricorso non ha commesso alcun errore affermando che il marchio dell’interveniente, nel Regno Unito e in Irlanda, era descrittivo dell’insieme dei prodotti e servizi protetti dal marchio stesso [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 3 dicembre 2003, causa T-16/02, Audi/UAMI (TDI), Racc. pag. II-5167, punto 35 nonché la giurisprudenza ivi citata].

    69

    Occorre poi valutare se detto marchio sia descrittivo anche in uno o più altri Stati membri dell’Unione.

    70

    A tal riguardo, la divisione di annullamento e la commissione di ricorso hanno adottato posizioni differenti. Infatti, la divisione di annullamento aveva ritenuto che la parola «manpower» fosse descrittiva soltanto nel Regno Unito e in Irlanda, e non negli altri paesi dell’Unione (punti 9 e 10 della decisione della divisione di annullamento). A suo avviso, la parola di cui trattasi, in quanto termine esistente unicamente in inglese, non era considerata una parola descrittiva al di fuori di detti due paesi anglofoni, poiché i consumatori pertinenti nei paesi non anglofoni impiegherebbero parole della propria lingua per riferirsi ai concetti di forza lavoro o di manodopera. La divisione di annullamento ha aggiunto che, in inglese, la parola «manpower» non è peraltro la parola più usuale per riferirsi ai servizi di un ufficio di collocamento o di un’agenzia per il lavoro interinale. Pertanto, secondo la divisione di annullamento, i consumatori pertinenti nei paesi non anglofoni considererebbero detta parola come termine di fantasia o suggestivo, che può servire come indicazione di origine dei prodotti e servizi protetti dal marchio dell’interveniente.

    71

    Per quanto riguarda la commissione di ricorso, essa ha considerato che il marchio dell’interveniente era descrittivo non soltanto nel Regno Unito e in Irlanda, bensì anche nei paesi germanofoni, ossia in Germania e in Austria, dove la parola «manpower» sarebbe entrata nel linguaggio commerciale (punti 15 e 16 della decisione impugnata), e nei paesi dell’Unione in cui l’inglese sarebbe ben impiantato, ossia, secondo la commissione di ricorso, nei Paesi Bassi, in Svezia, in Danimarca e in Finlandia (punto 16 della decisione impugnata).

    72

    Dinanzi al Tribunale, le parti della presente controversia hanno mostrato disaccordo riguardo all’estensione del territorio nel quale il pubblico pertinente poteva percepire la parola «manpower» come descrittiva.

    73

    Va evidenziato che, in applicazione della giurisprudenza sopra citata al punto 47, per valutare se il marchio dell’interveniente sia descrittivo dei prodotti e dei servizi di cui trattasi negli Stati membri non anglofoni, si deve stabilire se esso, in tali Stati, possa servire, nell’uso comune dal punto di vista del pubblico destinatario, a designare, direttamente oppure tramite la menzione di una delle loro caratteristiche essenziali, i prodotti o i servizi protetti dal marchio dell’interveniente.

    74

    Tale verifica può trovare una risposta positiva in due ipotesi.

    75

    La prima corrisponde al caso in cui la parola inglese «manpower» sia entrata nella lingua del paese di cui trattasi e possa essere utilizzata in sostituzione del termine di tale lingua avente il significato di «forza lavoro» o «manodopera», perlomeno nella misura in cui sia interessato il pubblico destinatario. Infatti, in tal caso, un membro di tale pubblico, confrontato nel suo contesto linguistico nazionale alla parola «manpower», la percepirà di primo acchito come riferimento alla «forza lavoro» oppure alla «manodopera».

    76

    La seconda ipotesi corrisponde al caso in cui, nel contesto in cui rientrano i prodotti e servizi protetti dal marchio dell’interveniente, l’inglese sia usato, anche solo in alternativa alla lingua nazionale, per rivolgersi ai membri del pubblico pertinente. In tal caso, evidentemente, il termine «manpower», che è una parola inglese, sarà percepito come descrittivo di detti prodotti e servizi. Tuttavia, non è sufficiente una semplice conoscenza diffusa dell’inglese da parte del pubblico pertinente o di una parte significativa del medesimo, se l’inglese non viene effettivamente utilizzato, in detto contesto, per rivolgersi a questo stesso pubblico.

    77

    Per quanto riguarda la questione se la situazione in uno o più Stati membri non anglofoni dell’Unione corrisponda a una delle due ipotesi menzionate ai punti 75 e 76 di cui sopra, va rilevato anzitutto che la commissione di ricorso ha affermato, al punto 15 della decisione impugnata, che la parola «manpower», in quanto parola corrente nell’inglese commerciale, era entrata anche nel linguaggio commerciale tedesco.

    78

    L’interveniente fa valere che il semplice fatto che il vocabolo «manpower» figuri in un solo dizionario tedesco non significa che sia generalmente impiegato e compreso dal pubblico germanofono o che sia noto ad una parte rilevante del pubblico. Orbene, a tal riguardo va constatato che la commissione di ricorso non ha fondato il suo giudizio sopra citato soltanto sul fatto che il termine «manpower» era contenuto nel «dizionario tedesco “Duden”, largamente diffuso», bensì anche sul fatto che tale vocabolo risultava menzionato in un elenco delle parole tedesche «superflue», e che era utilizzato dal consiglio degli studenti della scuola commerciale di Bamberga in Germania, nonché in un progetto di ricerca condotto al Politecnico (TU) di Vienna (Austria) (punto 15 della decisione impugnata).

    79

    Gli elementi sopra illustrati, presi nel loro insieme, consentono di constatare che la commissione di ricorso ha giustamente affermato che il termine «manpower» era descrittivo anche in tedesco e, pertanto, in Germania e in Austria. Come indicato nella decisione impugnata, secondo il dizionario Duden tale termine è l’equivalente del termine «Arbeitskraft» (forza lavoro). I consumatori germanofoni pertinenti stabilirebbero dunque immediatamente e senza ulteriore riflessione un collegamento concreto e diretto tra il vocabolo e i servizi di uffici di collocamento e di personale temporaneo. Ciò è tanto più vero per il fatto che, come emerge dall’introduzione all’elenco sopra citato delle parole tedesche superflue, la parola «manpower» è un termine alla moda nel referenziale linguistico germanofono.

    80

    Per quanto riguarda i prodotti e i servizi protetti dal marchio dell’interveniente rientranti nelle classi 9, 16, 41 e 42, il Tribunale giudica che il ragionamento seguito ai punti 66-68 di cui sopra è valido anche per quanto riguarda la Germania e l’Austria.

    81

    Occorre poi esaminare se il marchio dell’interveniente possa essere considerato descrittivo in qualcuno degli altri Stati membri non anglofoni della Comunità.

    82

    A tal riguardo, si deve rilevare che la commissione di ricorso ha affermato, al punto 16 della decisione impugnata, che il marchio dell’interveniente era descrittivo anche negli Stati membri in cui «una parte significativa dei clienti possiede una conoscenza e una pratica sufficiente dell’inglese commerciale», vale a dire, secondo la commissione di ricorso, nei Paesi Bassi, in Svezia, in Danimarca e in Finlandia.

    83

    Nella sua analisi la commissione di ricorso si è fondata, in primo luogo, sulla propria «esperienza» secondo cui tale conoscenza e tale uso dell’inglese erano stati riscontrati in particolare nei paesi summenzionati. In secondo luogo, essa ha sottolineato che l’inglese era la lingua commerciale comune in uso nel mondo ed anche la lingua di lavoro ufficiale di molte società internazionali. In terzo luogo, essa ha affermato che nei paesi di dimensioni più ridotte gli studenti che effettuano studi commerciali si trovano spesso a confrontarsi, durante il loro corso di studi, con testi redatti in inglese e che, dopo i loro studi universitari, essi vanno a lavorare in uffici del personale o ad occupare altri posti in imprese incaricate di assumere personale temporaneo. Infine, la commissione di ricorso ha menzionato «numerosi elementi di prova» che sorreggerebbero la sua decisione su tale punto (punti 16 e 17 della decisione impugnata).

    84

    Il Tribunale ritiene che l’analisi summenzionata della commissione di ricorso sia erronea.

    85

    In primo luogo, giova ricordare, a tal riguardo, che il pubblico pertinente consiste nell’insieme della popolazione, quale definita al punto 57 di cui sopra, e non unicamente o «principalmente» nei datori di lavoro che cercano personale (in particolare i loro uffici del personale), dei quali la commissione di ricorso ha tenuto conto nella sua analisi al punto 16 della decisione impugnata.

    86

    Quanto alla questione se il marchio possa servire, nell’uso comune dal punto di vista del pubblico destinatario, per designare i prodotti o i servizi in questione, va rilevato che tale «uso comune» può manifestamente divergere a seconda che si tratti, da un lato, della pratica della lingua tra specialisti nel settore delle risorse umane oppure, dall’altro, di una pratica corrente della stessa lingua da parte di persone richiedenti un impiego, segnatamente temporaneo, o di altre persone in età lavorativa non specializzate nelle risorse umane.

    87

    In secondo luogo, va rilevato che, in merito alla Svezia, alla Danimarca, alla Finlandia e ai Paesi Bassi, la commissione di ricorso non ha constatato che la parola «manpower» sarebbe entrata nella lingua di tali paesi, secondo i criteri menzionati al punto 75 di cui sopra.

    88

    Di conseguenza, va valutato unicamente se, in ordine a questi paesi, la situazione possa avvicinarsi a quella considerata al punto 76 di cui sopra.

    89

    Il Tribunale ritiene che non ricorra tale caso. Oltre al fatto summenzionato di non aver preso in considerazione l’insieme del pubblico pertinente, la commissione di ricorso non ha neppure dimostrato che, nel contesto dei prodotti e servizi protetti dal marchio dell’interveniente, l’inglese fosse utilizzato, anche solo in alternativa alla lingua nazionale, per rivolgersi ai membri del pubblico da essa presi in considerazione.

    90

    Pertanto, si deve concludere che la commissione di ricorso ha commesso un errore di valutazione affermando che nei Paesi Bassi, in Svezia, in Danimarca e in Finlandia il marchio dell’interveniente era descrittivo dei servizi e dei prodotti in questione.

    91

    Per contro, per quanto riguarda i restanti Stati membri non anglofoni della Comunità, giustamente la commissione di ricorso ha constatato che in essi il marchio dell’interveniente non era descrittivo.

    92

    A tal riguardo occorre rilevare che nessuna delle affermazioni della ricorrente può inficiare tale constatazione. Infatti, da un lato, la statistica relativa alla percentuale degli abitanti della Comunità che parlano inglese o tedesco non vale evidentemente a dimostrare che l’inglese venga utilizzato, anche solo in alternativa alla lingua nazionale, per rivolgersi ai membri del pubblico pertinente in detti paesi nel contesto in cui si inseriscono i prodotti e servizi protetti dal marchio dell’interveniente.

    93

    Dall’altro lato, per quanto riguarda l’affermazione della ricorrente in ordine al fatto che molti lavoratori, di ritorno da Stati membri anglofoni o germanofoni, portano nei loro paesi d’origine il vocabolario acquisito e che esiste uno scambio linguistico attraverso il turismo di cittadini inglesi e tedeschi, va constatato che tali affermazioni sono palesemente troppo vaghe per dimostrare che la parola «manpower» sia entrata nella lingua di uno dei paesi europei non presi in considerazione dalla commissione di ricorso nella sua analisi.

    94

    Ne consegue che, ai sensi dell’art. 63, n. 3, del regolamento n. 40/94, occorre riformare la decisione impugnata nel senso che il marchio dell’interveniente non è descrittivo dei prodotti e servizi per i quali è stato registrato nei Paesi Bassi, in Svezia, in Danimarca e in Finlandia. Pertanto, entro tali limiti, occorre accogliere parzialmente la domanda autonoma dell’interveniente.

    95

    La domanda autonoma dell’interveniente è infondata per il resto.

    96

    Inoltre, tenuto conto di quanto precede, si deve respingere il primo motivo della ricorrente come infondato nella parte in cui ha ad oggetto la violazione dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94.

    Sul secondo motivo, relativo alla violazione degli artt. 51, n. 2, e 74, n. 1, del regolamento n. 40/94 concernente l’uso del marchio dell’interveniente nel Regno Unito, in Irlanda, in Germania e in Austria

    Argomenti delle parti

    97

    In primo luogo, per quanto riguarda la violazione dell’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94, la ricorrente sostiene che tale articolo rinvia all’art. 7, n. 1, lett. b)-d), di tale regolamento e non è applicabile a vizi iniziali che inficiano la valutazione ai sensi dell’art. 7, n. 3, del medesimo regolamento. Pertanto, a suo avviso, non era possibile alcuna sanatoria del vizio iniziale di registrazione. Anche qualora fosse applicabile l’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94, la decisione impugnata, secondo la ricorrente, non sarebbe corretta. La medesima sostiene che è fondandosi su un pubblico sbagliato, poiché considerato in modo troppo restrittivo, che la commissione di ricorso è giunta alla conclusione che il marchio MANPOWER, inizialmente registrato in violazione dell’art. 7, n. 1, lett. c), di detto regolamento, ha successivamente acquisito carattere distintivo. La ricorrente sostiene che questo è il motivo per cui la commissione di ricorso ha successivamente giudicato in modo erroneo la notorietà richiesta per il carattere distintivo, ai sensi dell’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94.

    98

    Poiché, secondo la ricorrente, l’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94 non è applicabile ai casi di cui all’art. 7, n. 3, dello stesso regolamento, la data pertinente per valutare il carattere distintivo è il giorno di deposito della domanda di registrazione del marchio dell’interveniente. A tale data, secondo la ricorrente, il segno MANPOWER non aveva alcuna notorietà. La ricorrente fa valere che, anche se fosse applicabile l’art. 51, n. 2, di detto regolamento, l’UAMI non poteva prendere in considerazione come data pertinente per valutare l’acquisizione del carattere distintivo «qualsiasi momento dopo la registrazione del marchio». Secondo la ricorrente, la data pertinente è quella della decisione sulla domanda di nullità.

    99

    La ricorrente sostiene che, anche ritenendo che ci fosse notorietà del marchio dell’interveniente, la sua priorità avrebbe dovuto essere «corretta» alla data di accertamento dell’acquisizione del carattere distintivo in seguito all’uso. La ricorrente afferma che gli effetti del carattere distintivo acquisito successivamente e le sue conseguenze sulla priorità non hanno ancora formato oggetto di una decisione di diritto comunitario. La ricorrente rinvia alla soluzione adottata in Germania su tale punto di diritto. Essa fa valere che, in base a questa soluzione, il carattere distintivo acquisito successivamente non è applicabile retroattivamente alla data della domanda di registrazione del marchio di cui trattasi, il che garantisce pertanto l’esistenza di marchi più recenti, nati dopo la data della domanda di registrazione del marchio anteriore, ma prima della notorietà di quest’ultimo.

    100

    La ricorrente sostiene che l’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94 rinvia tacitamente all’art. 7, n. 2, del medesimo regolamento, di modo che la registrazione è esclusa qualora gli impedimenti alla registrazione sussistano solo in una parte della Comunità. Secondo la ricorrente, anche un solo Stato membro costituisce una parte della Comunità ai sensi di tale norma.

    101

    La ricorrente deduce, in secondo luogo, che il carattere distintivo e dunque la notorietà dovrebbero esistere in tutta la Comunità, tanto secondo l’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94 quanto in forza dell’art. 51, n. 2, di tale regolamento.

    102

    La ricorrente fa valere che la commissione di ricorso non ha tenuto conto del fatto che l’acquisizione dell’idoneità del marchio dell’interveniente a essere registrato a motivo del suo uso esigeva che almeno una frazione significativa del pubblico identificasse la parola «manpower» come rinvio all’interveniente e ai suoi prodotti e servizi e non unicamente che i consumatori non effettuassero alcuna associazione con la parola «manpower». Infatti, secondo la ricorrente, tutte le parti sostanziali del pubblico destinatario del territorio pertinente devono identificare i prodotti e servizi di cui trattasi come provenienti dall’interveniente. Ciò non sarebbe stato provato.

    103

    Di conseguenza, secondo la ricorrente, la commissione di ricorso non ha rispettato le condizioni obbligatorie di acquisizione del carattere distintivo in seguito all’uso, ai sensi dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94 e del combinato disposto degli artt. 51, n. 2, e 7, n. 1, lett. c), di quest’ultimo, che sarebbero più restrittive di quelle figuranti all’art. 7, n. 1, lett. b), del medesimo regolamento.

    104

    La ricorrente deduce, in terzo luogo, che il pubblico destinatario deve essere valutato in funzione della natura dei prodotti e servizi. La ricorrente afferma che i servizi di uffici di collocamento e i servizi di personale temporaneo sono servizi quotidiani e che il consumatore medio di cui trattasi presta soltanto un livello di attenzione piuttosto debole ai segni e ai marchi ad essi relativi. Pertanto, a suo giudizio, sarebbe necessaria una penetrazione molto forte del mercato affinché i consumatori comprendano la parola «manpower» come marchio. Tale parola non supererebbe l’«ostacolo alla registrazione» costituito dall’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94.

    105

    La ricorrente contesta, in quarto luogo, che sia possibile estendere la notorietà di taluni prodotti e servizi ad altri (punto 34 della decisione impugnata). Essa sostiene che, ai sensi dell’art. 51, n. 3, del regolamento n. 40/94, la nullità di un marchio privo di carattere distintivo ovvero avente carattere descrittivo dovrebbe essere dichiarata almeno per i prodotti e servizi per i quali non è stato possibile provare la notorietà.

    106

    La ricorrente sostiene che, poiché l’interveniente ha tentato di provare l’esistenza del carattere distintivo in base alla notorietà del suo marchio solamente per i servizi di personale temporaneo, anche qualora il Tribunale dovesse considerare che il marchio in causa aveva acquisito carattere distintivo per tali servizi, occorrerebbe accogliere la domanda di nullità per gli altri prodotti e servizi coperti da detto marchio, in ordine al cui uso l’interveniente non ha prodotto alcuna prova.

    107

    In quinto luogo, la ricorrente deduce che, in violazione dell’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94, l’UAMI non ha sufficientemente richiesto all’interveniente prove della notorietà del suo marchio nell’insieme della Comunità e si è pronunciato in modo errato basandosi su documenti insufficienti.

    108

    A tal riguardo, essa sostiene che la commissione di ricorso non ha rispettato le condizioni richieste per l’acquisizione del carattere distintivo enunciate dalla Corte nella sentenza 4 maggio 1999, cause riunite C-108/97 e C-109/97, Windsurfing Chiemsee (Racc. pag. I-2779), prendendo in considerazione, al punto 27 della decisione impugnata, soltanto il volume d’affari nonché la pubblicità nei giornali e negli elenchi telefonici [sentenza del Tribunale , causa T-402/02, Storck/UAMI (Forma di una farfalletta), Racc. pag. II-3849, punti 82 e seguenti].

    109

    Secondo la ricorrente, è senza alcuna prova e valutazione dettagliata che la commissione di ricorso ha considerato come molto probabile il fatto che la posizione, peraltro dubbia, della titolare del marchio comunitario nel Regno Unito si sarebbe in futuro estesa all’Irlanda. L’argomento secondo cui la notorietà potrebbe estendersi da uno Stato verso un altro e quello secondo cui «una forte reputazione in uno Stato limitrofo di dimensioni più grandi» sarebbe sufficiente per dare un carattere distintivo in altri Stati (la ricorrente si riferisce ai punti 32 e 33 della decisione impugnata) renderebbero assurda la questione della notorietà in una parte sostanziale della Comunità. La ricorrente deduce che, in un caso del genere, qualora venissero apportate prove di notorietà per un solo Stato membro, si potrebbe presumere che questa sussista anche negli Stati limitrofi. Ciò avrebbe inoltre ripercussioni per quanto riguarda l’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94. La presunzione di un’«estensione» della notorietà sarebbe dunque inammissibile. Lo stesso varrebbe per la presunzione secondo cui la notorietà potrebbe essere dedotta da una domanda di marchio nazionale senza prova di notorietà (punto 33 della decisione impugnata).

    110

    La ricorrente sostiene che costituisce una violazione della regola suddetta anche il fatto che la commissione di ricorso tenga conto soltanto della pubblicità in un unico paese, e poi affermi che per riconoscere la notorietà è sufficiente che il marchio dell’interveniente venga utilizzato su scala internazionale e che occorre sempre fondarsi sulla madrelingua (la ricorrente si riferisce al punto 32 della decisione impugnata). Sottolineare l’uso internazionale di un marchio comunitario per quanto riguarda la notorietà in seno alla Comunità sarebbe un ragionamento circolare inammissibile. L’argomento della «madrelingua» sarebbe comunque contraddetto per la Finlandia dal punto 16 della decisione impugnata. La ricorrente fa valere che, in merito a tale punto, è stato constatato che in Svezia, in Danimarca e in Finlandia la parola «manpower» è puramente descrittiva e non ha carattere distintivo.

    111

    Secondo la ricorrente, per quanto riguarda il Regno Unito, la commissione di ricorso non ha valutato la percentuale del pubblico pertinente che comprenderebbe il marchio dell’interveniente come contrassegno dei prodotti e servizi di quest’ultima. A suo avviso, l’UAMI avrebbe dovuto chiedere pareri obiettivi alle camere di commercio, all’industria o ad altre associazioni professionali nonché fondarsi su sondaggi di opinione.

    112

    Per quanto riguarda la Germania, la ricorrente sostiene che, ancorché la commissione di ricorso rinvii a un sondaggio che dimostra che il 54% delle persone che lavorano nel settore delle risorse umane conosce il marchio MANPOWER e consideri tale sondaggio rappresentativo del pubblico interessato, ciò è contraddetto dal punto 16 della decisione impugnata. In tale punto si menzionerebbero i «consumatori pertinenti, ossia i datori di lavoro di lavoratori temporanei e le persone incaricate di tali contratti di lavoro», il che sarebbe notevolmente più ampio rispetto a «persone che lavorano nei servizi delle risorse umane» (punto 28 della decisione impugnata). La ricorrente fa valere che la commissione di ricorso non tiene conto del fatto che il pubblico interessato include, in ogni caso, anche il personale temporaneo, ed anzi addirittura l’insieme dei lavoratori, dei datori di lavoro e delle persone che si trovano in formazione in quanto persone potenzialmente in cerca di un impiego. In aggiunta, la commissione di ricorso istituirebbe un indebito collegamento tra il dato statistico del 54% delle persone interrogate che conosce il «marchio» e il 70% che conosce la parola descrittiva «manpower» (punto 28 della decisione impugnata). Secondo la ricorrente, tali percentuali delle persone interrogate non coincidono e non possono dunque essere confrontate.

    113

    L’UAMI sostiene, in primo luogo, che, ai sensi dell’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94, da applicare al caso di specie, un marchio registrato in violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), c) o d), del regolamento n. 40/94 non può essere dichiarato nullo se, per l’uso che ne è stato fatto, ha acquisito carattere distintivo. Da tutte le versioni linguistiche, ad eccezione della versione tedesca, emergerebbe che tale «imposizione sul mercato» può aver luogo anche dopo la registrazione.

    114

    L’UAMI deduce, in secondo luogo, che, per quanto riguarda il territorio pertinente, è assodato che il marchio deve avere acquisito carattere distintivo attraverso l’uso unicamente laddove sussisteva un impedimento. Seguendo la stessa logica, il carattere distintivo acquisito in seguito all’uso deve essere provato, secondo l’UAMI, unicamente per i prodotti e servizi per i quali è operante il relativo impedimento assoluto alla registrazione. L’UAMI sostiene che la commissione di ricorso ha esaminato numerosi elementi di prova relativi all’uso del marchio dell’interveniente e che essa è giunta ad un risultato corretto concludendo che tale marchio aveva acquisito carattere distintivo in seguito all’uso nei paesi in questione.

    115

    L’UAMI asserisce, in terzo luogo, che la commissione di ricorso ha valutato l’imposizione sul mercato del marchio dell’interveniente fondandosi su un esame approfondito delle prove. Un riesame di tali prove non sarebbe necessario in quanto la commissione di ricorso vi si è più volte riferita nella decisione impugnata.

    116

    Secondo l’UAMI, per quanto riguarda il Regno Unito, non potrebbero esserci dubbi circa l’imposizione sul mercato del marchio dell’interveniente, tenuto conto del giro d’affari di quest’ultima, del numero delle sue succursali (292 uffici nel 2000) e degli innumerevoli resoconti stampa. Alla luce di questi elementi, non sarebbe stato necessario produrre altri documenti o pareri indipendenti di camere di commercio.

    117

    L’UAMI sostiene che la situazione è chiara anche in Germania, tenuto conto del numero di succursali dell’interveniente (126 nel 1999), del suo volume di affari annuo e degli articoli di stampa prodotti. Esso mette in evidenza i sondaggi di opinione da cui emerge che il 54% dei consumatori pertinenti ha conoscenza del marchio. L’UAMI contesta l’affermazione della ricorrente secondo cui tali cifre sono troppo basse. Esso ritiene che la commissione di ricorso abbia correttamente proceduto ad un esame differenziato delle prove, tenuto conto della natura dei prodotti e dei servizi nonché del mercato specifico, allorquando ha messo le cifre citate in relazione con il numero di consumatori in grado di percepire la parola inglese «manpower» come descrittiva. L’UAMI fa valere che gli elementi prodotti per l’Austria attestano l’insediamento del marchio dell’interveniente anche in tale Stato.

    118

    In sostanza, l’interveniente afferma, in primo luogo, per quanto riguarda la data pertinente per valutare l’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso, che la commissione di ricorso si fonda correttamente sul testo letterale dell’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94, e che il carattere distintivo acquisito in seguito all’uso si applica «retroattivamente» al giorno della domanda di marchio comunitario (data di priorità) e non al giorno in cui esso ha acquisito detto carattere distintivo (data di priorità «corretta»). Secondo l’interveniente, il principio di una data di priorità «corretta» non è compatibile con il testo del regolamento n. 40/94, il quale non conterrebbe alcuna indicazione in suo favore.

    119

    In secondo luogo, l’interveniente fa valere che essa ha presentato all’UAMI un numero considerevole di elementi di prova che dimostrano la lunga durata e l’intensità del suo uso del marchio di cui trattasi nella Comunità, nonché la sua posizione di leader mondiale del mercato nel settore dei servizi di lavoro temporaneo. Tali elementi di prova, nel loro insieme, darebbero un’immagine chiara della posizione di prim’ordine e della rinomanza del marchio MANPOWER nei settori del lavoro temporaneo e del collocamento di personale nella Comunità.

    120

    L’interveniente afferma, in terzo luogo, che le prove da essa presentate si estendono a tutti i paesi interessati e conferiscono un fondamento, laddove è necessario, per ammettere che il carattere distintivo è stato acquisito dal suo marchio per quanto riguarda i consumatori nel Regno Unito nonché in Irlanda, in Francia, in Germania, in Italia, in Spagna, in Portogallo, in Austria, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Lussemburgo, in Danimarca, in Svezia, in Finlandia e in Grecia.

    121

    A tal proposito, essa asserisce che le numerose prove da lei prodotte contenevano, inoltre, esemplari del materiale usato nella Comunità per la diffusione del suo marchio comunitario attraverso vari mass media, ossia opuscoli, volantini, materiale di marketing e pubblicitario, nonché regali pubblicitari distribuiti ai clienti e carta da lettera con l’intestazione dell’impresa. L’interveniente fa valere che tali elementi di prova, classificati per paese, contengono dati quantitativi rappresentativi sullo smaltimento del materiale di marketing e pubblicitario e sulle spese in materia.

    122

    In quarto luogo, l’interveniente indica che, durante la fase di esame, essa è stata invitata dall’esaminatore a produrre prove relative all’acquisizione del carattere distintivo soltanto per quanto riguarda il Regno Unito e l’Irlanda. Essa ha proposto, di propria iniziativa, anche prove riguardanti la Germania. Le prove relative agli altri paesi della Comunità sarebbero state prodotte soltanto durante il procedimento di nullità. Nulla permetterebbe dunque di affermare che, essendo state fornite, in fase di esame, soltanto prove per determinati paesi, il marchio comunitario non avesse già acquisito carattere distintivo attraverso l’uso in altri paesi. Peraltro, a causa della natura delle prove in questo tipo di controversia, sarebbe sempre difficile stabilire quale fosse la situazione di un marchio vari anni prima.

    Giudizio del Tribunale

    123

    In primo luogo, occorre constatare che, in seguito alla riforma della decisione impugnata, il secondo motivo è diventato inoperante nella misura in cui riguardava l’uso del marchio dell’interveniente nei Paesi Bassi, in Svezia, in Danimarca e in Finlandia. Tale motivo va dunque esaminato unicamente per quanto riguarda l’uso del marchio suddetto nel Regno Unito, in Irlanda, in Germania e in Austria.

    124

    In secondo luogo, anche la censura della ricorrente vertente sulla violazione dell’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94 deve essere respinta. Infatti, la ricorrente fa valere, in sostanza, da un lato, che la commissione di ricorso non poteva, in base agli elementi di prova forniti dall’interveniente, concludere per l’uso, ai sensi dell’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94, del marchio dell’interveniente negli otto paesi in cui secondo la detta commissione tale marchio è descrittivo e, dall’altro, che, tenuto conto dell’insufficienza di siffatte prove, la commissione di ricorso avrebbe dovuto, in applicazione dell art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94, esigere dall’interveniente prove supplementari circa l’uso del suo marchio. È giocoforza constatare che, se fosse fondata, la prima censura, relativa alla violazione dell’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94, è sufficiente per comportare l’annullamento della decisione impugnata. Peraltro, il fatto che l’UAMI abbia asseritamente omesso di invitare l’interveniente, in applicazione dell’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94, a fornire prove supplementari relative all’uso del suo marchio, anche presumendo che sia vero, non è sfavorevole alla ricorrente, la quale non ha dunque alcun interesse a farlo valere.

    125

    In terzo luogo, si deve esaminare l’argomentazione della ricorrente secondo cui, in sostanza, l’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94 non consente, al fine di respingere una domanda di nullità, la presa in considerazione di un eventuale carattere distintivo che il marchio di cui viene richiesto l’annullamento abbia acquisito in seguito all’uso dopo la sua registrazione.

    126

    Tale argomentazione non può essere accolta. Da un lato, la ricorrente non può utilmente invocare la sola versione tedesca dell’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94 a sostegno della sua tesi. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, la necessità di un’interpretazione uniforme del diritto comunitario esclude, in caso di dubbio, che il testo di una disposizione venga considerato isolatamente, ma esige, al contrario, che sia interpretato ed applicato alla luce delle versioni stabilite nelle altre lingue ufficiali (sentenza del Tribunale 16 dicembre 2004, causa T-11/02, Pappas/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-381 e II-1773, punto 34 nonché la giurisprudenza ivi citata; ordinanza del Tribunale , causa T-392/05, MMT/Commissione, punto 30). Orbene, è giocoforza constatare che la maggior parte delle versioni linguistiche dell’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94, diverse dalla versione tedesca, si riferiscono expressis verbis all’uso «dopo la registrazione» del marchio di cui si chiede l’annullamento.

    127

    Dall’altro lato, va rilevato che, se tale disposizione dovesse essere intesa nel senso che non riguarda l’uso del marchio di cui si chiede l’annullamento dopo la sua registrazione, essa sarebbe superflua e priva di senso. Infatti, un segno descrittivo che, per l’uso che ne è stato fatto anteriormente al deposito di una domanda diretta alla sua registrazione come marchio comunitario, abbia acquisito carattere distintivo per i prodotti o servizi contemplati dalla domanda di registrazione, viene ammesso alla registrazione in forza dell’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94. Un marchio così registrato non può essere annullato a norma dell’art. 51, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, poiché non si tratta di un marchio «registrato in contrasto con le disposizioni di cui all’art. 7». L’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94 non è dunque per nulla rilevante in questa ipotesi. Ne consegue che quest’ultima disposizione riguarda soltanto i marchi alla cui registrazione ostavano gli impedimenti di cui all’art. 7, n. 1, lett. b)-d), del regolamento n. 40/94 e che, in mancanza di una disposizione quale il menzionato art. 51, n. 2, avrebbero dovuto essere annullati ai sensi dell’art. 51, n. 1, del medesimo regolamento. L’art. 51, n. 2, del regolamento n. 40/94 ha precisamente come obiettivo di mantenere la registrazione di quei marchi che, per l’uso che ne è stato fatto, hanno acquisito nel frattempo, vale a dire dopo la loro registrazione, un carattere distintivo per i prodotti o servizi per i quali sono stati registrati, nonostante la circostanza che siffatta registrazione, nel momento in cui è intervenuta, fosse contraria all’art. 7 del regolamento n. 40/94.

    128

    Per quanto riguarda l’argomentazione della ricorrente relativa alla priorità del marchio dell’interveniente, va constatato che la decisione impugnata non ha fissato alcuna data di priorità per tale marchio. La questione relativa alla priorità di detto marchio non è rilevante nell’ambito dell’esame di una domanda diretta al suo annullamento a motivo di un impedimento assoluto alla registrazione. Anche ammettendo che la priorità di tale marchio possa essere fatta risalire soltanto ad una data posteriore al deposito della domanda che ha condotto alla sua registrazione, tale circostanza da sola non è sufficiente a comportare la nullità del marchio stesso. Infatti, la questione della priorità che bisogna attribuire al marchio dell’interveniente diventa rilevante solo quando tale marchio viene invocato a sostegno di un’opposizione contro un altro marchio [v. art. 8, n. 2, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94]. Orbene, nel caso di specie non si tratta di un tale procedimento.

    129

    Infine, per quanto riguarda gli argomenti della ricorrente secondo cui l’uso del marchio da parte dell’interveniente, dopo la sua registrazione, non è stato dimostrato nel Regno Unito, in Irlanda, in Germania e in Austria, va ricordata, in primo luogo, la giurisprudenza relativa all’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, che può essere trasposta altresì al carattere distintivo acquisito in seguito all’uso ai sensi dell’art. 51, n. 2, di detto regolamento, secondo cui ai fini dell’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso del marchio è necessario che quanto meno una frazione significativa del pubblico destinatario identifichi, grazie al marchio, i prodotti o i servizi di cui trattasi come provenienti da una determinata impresa [v. sentenza del Tribunale 6 marzo 2007, causa T-230/05, Golf USA/UAMI (GOLF USA), punto 79 nonché la giurisprudenza ivi citata].

    130

    Per stabilire se un marchio abbia acquisito carattere distintivo dopo l’uso che ne è stato fatto, l’autorità competente deve valutare globalmente gli elementi che possono dimostrare che il marchio è divenuto atto ad identificare i prodotti o servizi di cui trattasi come provenienti da un’impresa determinata e dunque a contraddistinguere tali prodotti e servizi da quelli di altre imprese. A tal proposito occorre prendere in considerazione, in particolare, la quota di mercato detenuta dal marchio, l’intensità, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo, la percentuale degli ambienti interessati che, grazie al marchio, identifica il prodotto come proveniente da una determinata impresa, le dichiarazioni di camere di commercio e d’industria o di altre associazioni professionali nonché i sondaggi di opinione (v. sentenza GOLF USA, cit. supra al punto 129, punto 79 nonché la giurisprudenza ivi citata).

    131

    Le circostanze in cui la condizione connessa all’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso può ritenersi soddisfatta non possono dunque essere accertate solo in base a dati generali ed astratti, come percentuali determinate [v. sentenza del Tribunale 12 settembre 2007, causa T-141/06, Glaverbel/UAMI (Struttura di una superficie di vetro), punto 32 nonché la giurisprudenza ivi citata].

    132

    Peraltro, va rilevato che il carattere distintivo di un marchio, ivi compreso quello acquisito in seguito all’uso, dev’essere valutato anche in relazione ai prodotti o servizi per cui viene richiesta la registrazione del marchio e prendendo in considerazione la percezione presumibile di un consumatore medio della categoria dei prodotti o dei servizi in questione normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto [v. sentenza del Tribunale 5 marzo 2003, causa T-237/01, Alcon/UAMI — Dr. Robert Winzer Pharma (BSS), Racc. pag. II-411, punto 51 nonché la giurisprudenza ivi citata].

    133

    Va rammentato, in secondo luogo, che nel caso di specie la commissione di ricorso ha segnatamente constatato che l’interveniente aveva prodotto numerose prove relative all’uso del suo marchio nella maggior parte dei paesi dell’Unione. A suo avviso, tali prove bastano a dimostrare il carattere distintivo acquisito da tale marchio sul territorio di cui trattasi alla data di deposito della domanda di nullità. Inoltre, alcune delle prove posteriori alla data della domanda di nullità riguardanti il periodo anteriore a tale data consentono, a suo avviso, di trarre conclusioni sul carattere distintivo nel corso del periodo considerato. Peraltro, la commissione di ricorso ha preso in considerazione il fatto che l’interveniente era un’impresa operante su scala mondiale.

    134

    Per quanto riguarda, nello specifico, il Regno Unito, la commissione di ricorso ha precisato, al punto 26 della decisione impugnata, che l’interveniente aveva prodotto prove relative ai volumi d’affari annui notevoli ed in progressione costante tra il 1990 e 1999, al numero di filiali, passato da 162 nel 1991 a 292 nel 2000, agli importi relativi alle spese pubblicitarie e alla quota di mercato del 9% nel 2000, nonché documenti sui partenariati pubblicitari e innumerevoli ritagli di stampa, di cui un gran numero è stato pubblicato attorno alla data di deposito della domanda di nullità del marchio dell’interveniente. Secondo la commissione, tali prove sono più che sufficienti per concludere che detto marchio è riconosciuto non soltanto come termine descrittivo, ma anche come marchio nel Regno Unito per servizi di lavoro temporaneo.

    135

    Il Tribunale considera, tenuto conto dell’insieme di tali prove e alla luce degli atti di causa, che giustamente la commissione di ricorso ha ritenuto che il carattere distintivo acquisito in seguito all’uso dal marchio dell’interveniente fosse stato dimostrato nel Regno Unito.

    136

    Infatti, va rilevato, in particolare, il numero elevato di filiali dell’interveniente. Tale elemento, preso in considerazione con la natura dei servizi e dei prodotti proposti dall’interveniente, permette di considerare che l’impresa dell’interveniente fosse ben visibile sul mercato di cui trattasi. A ciò si aggiunge il volume di affari, l’elevata quota di mercato, gli innumerevoli ritagli di stampa, nonché gli altri elementi invocati dalla commissione di ricorso che indicano sufficientemente la forte posizione del marchio dell’interveniente nel Regno Unito.

    137

    Tali elementi sono globalmente sufficienti — senza che sia necessario chiedere pareri alle camere di commercio, all’industria o ad altre associazioni professionali oppure riferirsi a sondaggi di opinione, come fatto valere dalla ricorrente — per dimostrare che una frazione significativa del pubblico pertinente nel Regno Unito, grazie al marchio dell’interveniente, identificherebbe i prodotti o i servizi considerati come provenienti da un’impresa di quest’ultima. I detti elementi dimostrano l’intensità, la durata e l’ampia copertura geografica dell’uso del marchio dell’interveniente nel Regno Unito.

    138

    Per quanto riguarda l’Irlanda, la commissione di ricorso ha constatato, al punto 27 della decisione impugnata, che il marchio dell’interveniente era utilizzato in questo paese come marchio nel settore dell’assunzione di personale da oltre 25 anni e che, nel 1993, l’impresa dell’interveniente generava già un ragguardevole giro d’affari per oltre 897000 lire sterline (GBP) e ha varcato la soglia del milione di GBP nel 1995. Inoltre, la commissione di ricorso ha constatato che il marchio dell’interveniente era stato oggetto di pubblicità nei giornali e negli elenchi telefonici. Secondo la commissione di ricorso, non si poteva ignorare che era molto probabile che la rinomanza del marchio dell’interveniente nel Regno Unito ricadesse in parte anche sull’Irlanda.

    139

    Alla luce degli atti di causa, il Tribunale considera che la lunga durata di uso del marchio in Irlanda e il volume di affari, nonché le prove tratte dalle pubblicità nei giornali e negli elenchi telefonici, consentono effettivamente di concludere che la commissione di ricorso non ha commesso alcun errore di valutazione riconoscendo il carattere distintivo acquisito dal marchio dell’interveniente in Irlanda. Va aggiunto che, nelle circostanze del caso di specie, non si può accusare la commissione di ricorso di non aver preso in considerazione tutti gli elementi menzionati al punto 51 della sentenza Windsurfing Chiemsee, citata supra al punto 108.

    140

    Per quanto riguarda la Germania e l’Austria, occorre considerare che la commissione di ricorso ha correttamente ritenuto che il marchio dell’interveniente avesse acquisito carattere distintivo in seguito all’uso in questi due paesi. Infatti, da una parte, la commissione di ricorso ha esattamente considerato che il numero elevato di uffici dell’interveniente in Germania, il suo volume di affari in tale paese, il numero di imprese clienti, incluse talune multinazionali, l’apparizione frequente del marchio dell’interveniente in diversi giornali, anche di portata nazionale, i vari annunci pubblicitari presentati, nonché il volume delle spese di marketing e l’estensione geografica dell’uso del marchio, consentono di constatare che in Germania tale marchio ha acquisito carattere distintivo in seguito all’uso.

    141

    Dall’altra parte, per quanto riguarda l’Austria, gli elementi sui quali si è fondata la commissione di ricorso, nel loro insieme, consentono altresì di dimostrare, in particolare, l’intensità dell’uso del marchio dell’interveniente, la durata di tale uso, nonché il carattere geograficamente svariato di quest’ultimo e la frequenza e regolarità della sua apparizione nella pubblicità, e dunque di affermare che il marchio dell’interveniente, in Austria, ha acquisito carattere distintivo nel caso in cui dovesse essere considerato descrittivo anche in questo paese.

    142

    Occorre considerare che le constatazioni sopra sviluppate, secondo cui il marchio dell’interveniente ha acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso nei quattro paesi summenzionati, non possono essere inficiate dalle affermazioni della ricorrente basate sul fatto che il carattere distintivo acquisito in seguito all’uso non era stato dimostrato per i prodotti e servizi rientranti nelle classi 9, 16, 41 e 42, protetti dal marchio dell’interveniente.

    143

    Infatti, per quanto riguarda il carattere distintivo acquisito in seguito all’uso del marchio dell’interveniente per gli altri prodotti e servizi in questione, rientranti nelle classi 9, 16, 41 e 42, al punto 34 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha segnatamente affermato che l’interveniente utilizzava molti di questi prodotti e servizi nell’ambito dell’affitto di personale temporaneo e che, possedendo la parola «manpower» un secondo significato per i servizi di lavoro temporaneo, i consumatori interessati riterranno che, per esempio, un libro o una conferenza che porta tale nome faccia riferimento all’interveniente e ai suoi servizi.

    144

    Il Tribunale considera che la commissione di ricorso ha giustamente concluso che il carattere distintivo acquisito dal marchio dell’interveniente per i servizi rientranti nella classe 35 doveva estendersi ai prodotti e servizi protetti dal marchio rientranti nelle altre classi.

    145

    Infatti, come si evince dal punto 12 della decisione impugnata, il marchio dell’interveniente è descrittivo soltanto rispetto a taluni prodotti e servizi delle classi 9, 16, 41 e 42. La parola «manpower» può essere intesa come indicativa del contenuto unicamente di quei prodotti e servizi che sono utilizzati nell’ambito dei servizi di un ufficio di collocamento, e i consumatori che fanno il collegamento tra questi prodotti e servizi delle classi 9, 16, 41 e 42 e i servizi di un ufficio di collocamento e di un ufficio per il lavoro interinale potrebbero intendere il marchio dell’interveniente come indicazione della provenienza di tali prodotti e servizi, che fanno riferimento all’interveniente.

    146

    Per quanto riguarda il fatto che la commissione di ricorso avrebbe preso in considerazione una data erronea come data decisiva alla quale andava valutato il carattere distintivo acquisito in seguito all’uso, si deve constatare che, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, la commissione di ricorso ha senz’altro tenuto conto della data di deposito della domanda di nullità come data pertinente, in base alla quale bisognava valutare il carattere distintivo acquisito in seguito all’uso (punti 22 e 25 della decisione impugnata). Essa ha dunque agito conformemente alla giurisprudenza secondo cui la data concreta di cui si deve tenere conto nell’analisi del carattere distintivo acquisito attraverso l’uso dopo la registrazione è quella della domanda di nullità (v., in tal senso, sentenza BSS, cit. supra al punto 132, punto 53). Peraltro, la commissione poteva, senza in tal modo incorrere in una motivazione contraddittoria o in un errore di diritto, tener conto di elementi che, sebbene posteriori alla data della domanda di nullità, consentivano di trarre conclusioni in ordine alla situazione quale si presentava a quella stessa data (v., per analogia, ordinanza della Corte 5 ottobre 2004, causa C-192/03 P, Alcon/UAMI, Racc. I-8993, punto 41).

    147

    Dall’insieme delle considerazioni sopra esposte consegue che la commissione di ricorso non ha commesso alcun errore di valutazione considerando che il marchio dell’interveniente aveva acquisito carattere distintivo in seguito all’uso nel Regno Unito, in Irlanda, in Germania e in Austria. Di conseguenza, il secondo motivo della ricorrente deve essere dichiarato infondato nella sua interezza.

    148

    Sulla scorta dei motivi che precedono (v. punti 94-96 e 147), il ricorso deve essere respinto.

    Sulle spese

    149

    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere dunque condannata alle spese, conformemente alle domande dell’UAMI e dell’interveniente.

     

    Per questi motivi,

    IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

    dichiara e statuisce:

     

    1)

    La decisione della quarta commissione di ricorso dell’UAMI 22 luglio 2005 (pratica R 499/2004-4), relativa ad una domanda di nullità del marchio comunitario MANPOWER n. 76059, è riformata nel senso che detto marchio non è descrittivo dei prodotti e servizi per i quali è stato registrato nei Paesi Bassi, in Svezia, in Finlandia e in Danimarca. Il dispositivo di tale decisione è mantenuto.

     

    2)

    La domanda della Manpower, Inc., diretta alla riforma della summenzionata decisione della commissione di ricorso, è respinta per il resto.

     

    3)

    Il ricorso è respinto.

     

    4)

    La Powerserv Personalservice GmbH è condannata alle spese.

     

    Vilaras

    Dehousse

    Šváby

    Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 ottobre 2008.

    Il cancelliere

    E. Coulon

    Il presidente

    M. Vilaras


    ( *1 )  Lingua processuale: il tedesco.

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