Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62005CC0429

Conclusioni dell'avvocato generale Mengozzi del 29 marzo 2007.
Max Rampion e Marie-Jeanne Godard Rampion contro Franfinance SA e K par K SAS.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal d'instance de Saintes - Francia.
Direttiva 87/102/CEE - Credito al consumo - Diritto del consumatore di procedere contro il creditore nell’ipotesi di mancata esecuzione o di esecuzione non conforme del contratto relativo ai beni o ai servizi finanziati dal credito - Presupposti - Menzione del bene o del servizio finanziato nell’offerta di credito - Apertura di credito con possibilità di far uso del credito concesso in momenti differenti - Possibilità, per il giudice nazionale, di rilevare d’ufficio il diritto del consumatore di procedere contro il creditore.
Causa C-429/05.

Raccolta della Giurisprudenza 2007 I-08017

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2007:199

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 29 marzo 2007 (1)

Causa C‑429/05

Max Rampion

e

Marie-Jeanne Godard in Rampion

contro

Franfinance SA

e contro

K par K SAS

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal d’instance de Saintes (Francia)]

«Direttiva 87/102/CEE – Credito al consumo – Interdipendenza tra il contratto di credito e il contratto di fornitura dei beni o servizi finanziati – Presupposti – Menzione dei beni o servizi finanziati nel contratto di credito – Applicabilità d’ufficio da parte del giudice nazionale delle norme interne sull’interdipendenza tra il contratto di credito e il contratto di fornitura adottate in attuazione della direttiva»






I –    Introduzione

1.     Con sentenza del 16 novembre 2005, il Tribunal d’instance de Saintes (Francia) ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, due questioni pregiudiziali sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 22 dicembre 1986, 87/102/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo (2).

2.     In sostanza, la Corte è chiamata, da un lato, a chiarire se gli artt. 11 e 14 della direttiva 87/102 consentano che disposizioni nazionali le quali, in attuazione della stessa direttiva, stabiliscono regole di interdipendenza tra il contratto di credito ed il contratto di fornitura di beni o di servizi il cui acquisto è finanziato mediante tale credito subordinino l’applicazione di tali regole alla menzione del bene o servizio finanziato nel primo contratto; dall’altro, a chiarire le finalità perseguite dalla direttiva 87/102 e se debba ritenersi che, in virtù del diritto comunitario, il giudice nazionale possa applicare d’ufficio le suddette disposizioni nazionali, anche laddove siffatta applicazione d’ufficio sia esclusa dall’ordinamento nazionale.

II – Contesto normativo di riferimento

A –    La normativa comunitaria

3.     Ai sensi del suo art. 1, nn. 1 e 2, lett. c), la direttiva 87/102 «si applica ai contratti di credito», ovverosia a tutti quei contratti in base ai quali «il creditore concede o promette di concedere al consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra analoga facilitazione finanziaria»; sono tuttavia esclusi i contratti di credito enumerati all’art. 2 della direttiva stessa.

4.     L’art. 4 della direttiva 87/102, al n. 1, prescrive la stipulazione in forma scritta del contratto di credito e, al n. 2, lett. a), prevede che il documento scritto debba contenere l’indicazione del tasso annuo effettivo globale, espresso in percentuale. Il n. 3 del citato articolo precisa che «[i]l documento scritto deve inoltre comprendere gli altri elementi essenziali del contratto» e indica che, «[a] titolo d’esempio, nell’allegato [I] della (…) direttiva figura un elenco di elementi di cui gli Stati membri possono imporre l’inclusione obbligatoria nel contratto scritto in quanto essenziali».

5.     L’art. 11 della direttiva 87/102 dispone quanto segue:

«1. Gli Stati membri provvedono affinché l’esistenza di un contratto di credito non pregiudichi in alcun modo i diritti del consumatore nei confronti del fornitore di beni o di servizi acquisiti in base a tale contratto qualora i beni o servizi non siano forniti o non siano comunque conformi al contratto di fornitura.

2. Quando:

a)       per l’acquisto di beni o la fornitura di servizi il consumatore conclude un contratto di credito con una persona diversa dal fornitore, e

b)       tra il creditore e il fornitore dei beni o dei servizi esiste un precedente accordo in base al quale il credito è messo esclusivamente da quel creditore a disposizione dei clienti di quel fornitore per l’acquisto di merci o di servizi di tale fornitore, e

c)       il consumatore di cui alla lettera a) ottiene il credito in conformità al precedente accordo, e

d)       i beni o i servizi considerati dal contratto di credito non sono forniti o sono forniti soltanto in parte, o non sono conformi al relativo contratto di fornitura, e

e)       il consumatore ha proceduto contro il fornitore, ma non ha ottenuto la soddisfazione cui aveva diritto,

il consumatore ha il diritto di procedere contro il creditore.

Gli Stati membri stabiliranno entro quali limiti e a quali condizioni il diritto è esercitabile.

(…)».

6.     Infine, l’art. 14 della direttiva 87/102 prevede quanto segue:

«1. Gli Stati membri provvedono affinché i contratti di credito non deroghino, a detrimento del consumatore, alle disposizioni del diritto nazionale che danno esecuzione o che corrispondono alla presente direttiva.

2. Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per impedire che le norme emanate in applicazione della presente direttiva siano eluse mediante una speciale formulazione dei contratti e in particolare attraverso la distribuzione dell’importo del credito in più contratti».

B –    La normativa nazionale

7.     Nell’ordinamento francese la disciplina del credito al consumo era originariamente contenuta nella legge n. 78-22 del 10 gennaio 1978 (3). Tale disciplina, anteriore rispetto alla direttiva 87/102 ed in seguito integrata con legge n. 89-421 del 23 giugno 1989 (4), è confluita, da ultimo, nel libro III, titolo I, capitolo I, del Code de la consommation (Codice del consumo, in prosieguo: il «Codice») di cui alla legge n. 93‑949 del 26 luglio 1993 (5) e al decreto n. 97-298 del 27 marzo 1997 (6).

8.     A norma dell’art. L. 311-2 del Codice, le disposizioni del suddetto capitolo I «si applicano alle operazioni di credito, ivi comprese eventuali fideiussioni ad esse relative, concesse in via ordinaria da persone fisiche o giuridiche, a titolo oneroso o gratuito» (7).

9.     A norma dell’art. L. 311-8 del Codice, le operazioni di credito contemplate dall’art. L. 311-2 devono concludersi tramite un’offerta preliminare da trasmettere al mutuatario, la quale, ai sensi dell’art. L. 311-10, deve precisare, tra gli altri elementi del credito, «se del caso, il suo tasso effettivo globale» (punto 2), richiamare, tra le altre disposizioni del Codice, «se del caso, gli artt. da L. 311-20 a L. 311-31 e L. 311-13» (punto 3) ed infine indicare, «se del caso, il bene o il servizio finanziato» (punto 4).

10.   A norma dell’art. L. 313-13 del Codice, «[l]’offerta preliminare di credito è redatta in conformità alle condizioni previste dagli articoli precedenti secondo uno dei modelli-tipo fissati dal Comitato di regolamentazione bancaria, previa consultazione del Consiglio nazionale del consumo». L’art. R. 311-6 del Codice prevede a sua volta che «[l]’offerta preliminare di credito prevista all’art. L. 311-8 contiene le indicazioni che appaiono nel modello-tipo che, tra quelli allegati al presente codice, corrisponde all’operazione di credito proposta».

11.   Gli artt. da L. 311-20 a L. 311-28 del Codice stabiliscono poi una disciplina specifica relativa ai «crediti vincolati», caratterizzati da una certa interdipendenza tra contratto di credito e contratto di fornitura, la quale si manifesta tanto in fase di conclusione quanto in fase di esecuzione degli stessi.

12.   In particolare, l’art. L. 311-20 del Codice prevede segnatamente che, «[q]ualora l’offerta preliminare di credito menzioni il bene o il servizio finanziato, gli obblighi del mutuatario prendono effetto solo dal momento della consegna del bene o della fornitura del servizio».

13.   Inoltre, l’art. L. 311-21, primo comma, del Codice così recita:

«In caso di contestazione sull’esecuzione del contratto principale, il tribunale potrà, fino alla definizione della controversia, sospendere l’esecuzione del contratto di credito. Quest’ultimo è risolto o annullato di pieno diritto quando il contratto per il quale è stato concluso è, a sua volta, giudizialmente risolto o annullato».

14.   Infine, l’art. L. 311-33 del Codice, applicabile a tutte le operazioni di credito contemplate dall’art. L. 311-2, sanziona il mancato rispetto da parte del mutuante delle formalità di cui agli artt. da L. 311-8 a L. 311-13 con la decadenza dello stesso dal diritto agli interessi, cui consegue la limitazione dell’obbligo di restituzione gravante sul mutuatario al solo capitale, da restituire secondo le scadenze previste.

III – Fatti, questioni pregiudiziali e svolgimento del procedimento

15.   La controversia principale vede contrapposti il sig. Max Rampion e la sig.ra Marie-Jeanne Godard in Rampion (in prosieguo: i «sigg. Rampion»), da un lato, e le società Franfinance SA e K par K SAS (in prosieguo: la «KpK»), dall’altro.

16.   In forza di scrittura privata firmata il 5 settembre 2003, dopo una visita a domicilio da parte di un rappresentante della KpK, i sigg. Rampion acquistavano da quest’ultima, per il prezzo totale di EUR 6 150, alcune finestre, la cui consegna e installazione, secondo le previsioni del contratto di fornitura, erano da effettuarsi entro un termine di 6-8 settimane a decorrere dalle misurazioni effettuate dal tecnico addetto. Nel contratto di fornitura si menzionava, inoltre, la possibilità di ottenere dalla Franfinance un credito a finanziamento totale dell’acquisto.

17.   Lo stesso giorno i sigg. Rampion stipulavano con la Franfinance un contratto di apertura di credito con scoperto massimo autorizzato fissato ad EUR 6 150, contratto dal quale, tuttavia, se si poteva evincere l’identità del fornitore KpK, non risultava il tipo di bene o servizio il cui acquisto era finanziato.

18.   Il 27 novembre 2003, giorno fissato per la consegna e l’installazione delle finestre, i sigg. Rampion constatavano che i supporti e i controtelai sui quali la KpK si accingeva ad eseguire l’installazione delle finestre erano infestati da parassiti. Pertanto, in data 5 gennaio 2004, mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, essi dichiaravano alla KpK di voler risolvere il contratto di fornitura.

19.   Non avendo ricevuto risposta per loro soddisfacente alla richiesta di risoluzione del contratto di fornitura, con atti del 29 ottobre e del 2 novembre 2004 i sigg. Rampion citavano in giudizio la KpK e la Franfinance dinanzi al Tribunal d’instance de Saintes (in prosieguo: il «Tribunal d’instance»), chiedendo che detto contratto fosse dichiarato nullo, con conseguente risoluzione del contratto di credito, ovvero, in subordine, che il primo contratto fosse risolto per inadempimento del fornitore.

20.   Quanto alla domanda di nullità del contratto di fornitura, i sigg. Rampion, denunciato il carattere meramente potestativo della clausola relativa al termine di consegna, sostenevano che tale contratto era nullo per mancata indicazione precisa del termine di consegna, quale richiesta dall’art. L. 114‑1 del Codice.

21.   Quanto alla domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di fornitura, i sigg. Rampion deducevano che la KpK, avendo omesso di effettuare una verifica ex ante della solidità del supporto e di prevedere la sua sostituzione, era venuta meno all’«obbligo di consigliare» («obligation de conseil») gravante sulla stessa.

22.   Costituitesi in giudizio, sia la KpK che la Franfinance chiedevano il rigetto delle domande degli attori, adducendo, in sintesi, che:

–       la menzione «da sei ad otto settimane a decorrere dalle misurazioni» soddisfaceva i requisiti posti dall’art. L. 114‑1 del Codice;

–       il credito non era contrattualmente vincolato al contratto di fornitura delle finestre, dato che, anche a voler trascurare il fatto che il contratto di credito nella specie concluso costituiva un’apertura di credito, l’applicazione delle disposizioni del Codice relative all’interdipendenza tra contratto di fornitura e contratto di credito era subordinata, ai sensi dell’art. L. 311‑20 del Codice, alla menzione del bene venduto nell’offerta preliminare di credito, menzione che, tuttavia, mancava nella specie.

23.   Con decisione interlocutoria del 1° giugno 2005, il Tribunal d’instance ordinava la riapertura della fase istruttoria per ricevere le osservazioni delle parti su alcuni motivi sollevati d’ufficio in tale decisione e tratti dalle disposizioni degli artt. L. 311‑8 e segg. del Codice, relativi al credito al consumo, e degli artt. L. 121‑21 e segg. dello stesso Codice, relativi alla vendita a domicilio.

24.   Ricevute le osservazioni delle parti, il Tribunal d’instance, con sentenza del 16 novembre 2005 (in prosieguo: la «sentenza di rinvio»), considerava necessario, ai fini della soluzione della controversia, adire la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale.

25.   In primo luogo, il Tribunal d’instance rilevava che:

–       nel diritto interno le disposizioni dell’art. 11 della direttiva 87/102 sono attuate tramite gli artt. L.311‑20 e L.311‑21 del Codice;

–       secondo una parte della dottrina, quando il mutuante sa che il prestito è destinato a finanziare l’acquisto di beni o di servizi, egli deve presentare al mutuatario un’offerta di credito che vincoli il prestito a tale acquisto;

–       la Cour de Cassation fa un’interpretazione letterale dell’art. L. 311‑20 del Codice, subordinando l’applicazione delle norme sull’interdipendenza tra contratto di credito e contratto di fornitura di beni o servizi alla menzione nell’offerta di credito del bene o servizio finanziato;

–       nel caso di specie, anche se il contratto di credito non menziona il vincolo con il contratto di fornitura, un legame tra i due contratti risulta, in concreto, esistente, pur se negato dal fornitore e dal mutuante, i quali però non dimostrano che i sigg. Rampion avevano intenzione di utilizzare il prestito per altri finanziamenti;

–       la conclusione di un’apertura di credito non vincolata in luogo di un prestito personale vincolato avrebbe l’effetto di consentire al mutuante di eludere i diritti del consumatore definiti dagli artt. L. 311‑20 e segg. del Codice e di sfuggire alle restrizioni e ai costi connessi all’interdipendenza tra contratto di credito e contratto di fornitura, nonché di percepire interessi superiori a quelli percepibili in caso di prestito personale vincolato, dato che la soglia dell’usura non è la stessa.

26.   In secondo luogo, il Tribunal d’istance rilevava che:

–       le disposizioni degli artt. L. 311‑20 e segg. del Codice relative all’interdipendenza tra il contratto di credito e il contratto di fornitura di beni o di servizi non sono state fatte valere dagli attori;

–       la giurisprudenza della Cour de Cassation non consente al giudice di rilevare d’ufficio un motivo di diritto tratto dalla disciplina del credito al consumo; essa, infatti, distingue tra le norme di «ordine pubblico di direzione» – adottate nell’interesse generale e rilevabili d’ufficio dal giudice – e quelle di «ordine pubblico di protezione» – adottate nell’interesse di una categoria di soggetti e di cui possono avvalersi solo i soggetti appartenenti a tale categoria –, e ritiene che la disciplina del credito al consumo sia del secondo tipo in quanto stabilita nel solo interesse dei consumatori (8);

–       occorre tuttavia domandarsi se la giurisprudenza della Corte (9) che riconosce al giudice il potere di rilevare d’ufficio motivi tratti dalle disposizioni derivanti dalla direttiva 93/13/CEE (10) possa, contrariamente a quanto ritenuto dalla Cour de Cassation (11) ed in conformità a quanto suggerito da una parte della dottrina, estendersi anche ad altre normative a tutela dei consumatori, quale quella sul credito al consumo;

–       a tal fine occorre una previa analisi delle finalità della direttiva 87/102, volta a chiarire se, nelle intenzioni del legislatore comunitario, la disciplina del credito al consumo sia stata posta nel solo interesse dei consumatori, ovvero persegua anche obiettivi più ampi, relativi all’organizzazione del mercato.

27.   Pertanto, il Tribunal d’instance sospendeva il procedimento pendente dinanzi ad esso per sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli artt. 11 e 14 della direttiva (…) 87/102/CEE vadano interpretati nel senso che consentono al giudice di applicare le norme sull’interdipendenza tra il contratto di credito ed il contratto di fornitura di beni o di servizi, finanziato grazie a tale credito, quando il contratto di credito non menziona il bene il cui acquisto è finanziato o è stato concluso nella forma di apertura di credito senza menzione del bene finanziato.

2)      Se la direttiva (…) 87/102/CEE abbia una finalità più ampia della mera tutela del consumatore, che si estenda all’organizzazione del mercato consentendo al giudice di applicare d’ufficio le disposizioni che ne derivano».

28.   Conformemente all’art. 23 dello Statuto della Corte, hanno presentato osservazioni scritte la Franfinance, i governi austriaco, francese, italiano, spagnolo e tedesco, nonché la Commissione.

29.   All’udienza, tenutasi l’8 febbraio 2007, hanno svolto osservazioni orali i rappresentanti della Franfinance, del governo francese e della Commissione.

IV – Analisi giuridica

A –    Sulla prima questione pregiudiziale

1.      Considerazioni preliminari

30.   Osservo anzitutto che il primo quesito sottoposto alla Corte, così come formulato dal giudice di rinvio, non chiarisce quali siano le norme sull’interdipendenza tra il contratto di credito ed il contratto di fornitura di beni o di servizi che tale giudice eventualmente applicherebbe pur in assenza di menzione del bene finanziato nel contratto di credito, se quelle contenute nella direttiva stessa ovvero quelle nazionali di attuazione.

31.   A questo riguardo è importante sottolineare che, in base alla giurisprudenza della Corte, non può trattarsi nel caso di specie – che concerne una controversia tra singoli – delle disposizioni della direttiva stessa. Infatti, una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti, per cui anche una disposizione chiara, precisa ed incondizionata di una direttiva volta a conferire diritti o a imporre obblighi ai privati non può essere applicata come tale nell’ambito di una controversia che ha luogo esclusivamente tra privati (12).

32.   Il primo quesito deve dunque essere inteso, ed è ricevibile solo se inteso, come volto ad ottenere un’interpretazione degli artt. 11 e 14 della direttiva 87/102 non al fine di una loro applicazione diretta nel caso di specie, ma al fine di consentire al giudice di interpretare ed applicare le norme di diritto interno sull’interdipendenza tra contratto di credito e contratto di fornitura in maniera conforme alle esigenze poste da quegli stessi articoli.

33.   Infatti, per giurisprudenza costante, l’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato come pure il dovere loro imposto dall’art. 10 CE di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali (13). Quindi, nell’applicare il diritto interno, il giudice nazionale deve interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva, onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, CE (14).

34.   Le norme di diritto interno sull’interdipendenza tra il contratto di credito e il contratto di fornitura che sono evocate nella sentenza di rinvio sono quelle di cui agli artt. L. 311‑20 e L. 311‑21 del Codice. Ebbene, è lo stesso giudice di rinvio ad indicare che l’applicazione di tali disposizioni, come interpretate dalla Cour de Cassation, presuppone che il bene o il servizio finanziato sia menzionato nel contratto di credito.

35.   È utile allora ricordare che l’obbligo posto a carico del giudice nazionale di interpretare la normativa interna alla luce del testo e dello scopo di una direttiva è circoscritto a «quanto possibile», opera cioè solo nei casi in cui il dettato della normativa in questione lascia margini per diverse interpretazioni. La portata di siffatto obbligo non si spinge dunque fino a richiedere un’interpretazione contra legem della normativa interna (15).

36.   Ciò posto, spetterà al giudice di rinvio valutare se le suddette disposizioni del Codice possano essere interpretate anche in modo diverso da quello fatto proprio dalla Cour de Cassation, e non per questo contra legem, ed essere applicate quindi ad un caso come quello di specie, in cui è pacifico che difetta la menzione del bene finanziato nel contratto di credito (16).

37.   Al riguardo è peraltro utile ricordare anche che, secondo la Corte, se è vero che il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale riguarda in primo luogo le norme interne introdotte per recepire la direttiva in questione, esso non si limita, tuttavia, all’esegesi di tali norme, bensì esige che il giudice nazionale prenda in considerazione tutto il diritto nazionale per valutare in quale misura possa essere applicato in modo tale da non addivenire ad un risultato contrario a quello cui mira la direttiva (17). A questo proposito, se il diritto nazionale, mediante l’applicazione di metodi di interpretazione da esso riconosciuti, in determinate circostanze consente di interpretare una norma dell’ordinamento giuridico interno in modo tale da evitare un conflitto con un’altra norma di diritto interno o di ridurre a tale scopo la portata di quella norma applicandola solamente nella misura compatibile con l’altra, il giudice ha l’obbligo di utilizzare gli stessi metodi al fine di ottenere il risultato perseguito dalla direttiva (18).

38.   Pertanto, fermo restando che gli artt. 11 e 14 della direttiva 87/102 non possono trovare applicazione diretta nella fattispecie e che la soluzione della causa principale va ricercata nella disciplina nazionale, interpretata, per quanto possibile, in modo conforme al testo e allo scopo della direttiva 87/102, il primo quesito pregiudiziale, ricevibile nell’ottica di un’interpretazione conforme del diritto nazionale (19), potrebbe essere riformulato nei termini seguenti:

se gli artt. 11 e 14 della direttiva 87/102 esigano che le norme nazionali sull’interdipendenza tra il contratto di credito e il contratto di fornitura di beni o servizi adottate in attuazione dello stesso art. 11 possano trovare applicazione anche in assenza della menzione nel contratto di credito del bene o servizio il cui acquisto è finanziato.

2.      Sul merito

39.   Le osservazioni scritte svolte dai vari governi intervenuti e dalla Commissione vanno tutte, in sostanza, nel senso di una risposta affermativa a siffatto quesito. Tali parti evidenziano che l’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102 subordina il diritto del consumatore di procedere contro il creditore ad una serie di condizioni tra le quali non figura la menzione nel contratto di credito del bene o servizio finanziato e che l’art. 14, n. 2, della direttiva stessa corrobora l’interpretazione secondo cui l’art. 11, n. 2, non autorizza gli Stati membri ad imporre una siffatta condizione, la quale permetterebbe di eludere l’applicazione delle disposizioni di tutela del consumatore sull’interdipendenza tra contratto di credito e contratto di fornitura.

40.   La Franfinance imposta il problema in modo diverso. A suo avviso, il primo quesito pone in sostanza la questione dell’applicabilità ad un contratto di apertura di credito come quello di specie (20) delle disposizioni dell’art. 11 della direttiva 87/102 relative all’interdipendenza tra contratto di credito e contratto di fornitura. Siffatta questione andrebbe risolta in senso negativo, in quanto il suddetto art. 11 riguarderebbe, al pari dell’art. 7 della direttiva medesima (21), i soli crediti vincolati, ovverosia quelli in cui il consumatore procede a un solo acquisto finanziandolo attraverso un credito; tale ipotesi andrebbe tenuta ben distinta da quella in cui, in occasione di un acquisto, il consumatore ottiene in realtà un credito rinnovabile che gli consentirà di fare ulteriori acquisti presso il fornitore o altri operatori a lui affiliati (apertura di credito accessoria a una pluralità di acquisti). L’utilizzo, all’art. 11, n. 2, lett. d), dei termini «relativo contratto di fornitura», declinati al singolare, sarebbe sintomatico del fatto che, secondo tale articolo, non può aversi credito vincolato, soggetto alle disposizioni dello stesso articolo, se non quando il credito serve a finanziare un solo contratto di fornitura.

41.   La mancanza di menzione del bene o servizio finanziato in un contratto di apertura di credito come quello di specie sarebbe del tutto coerente con la natura di tale contratto, la quale corrisponderebbe ad una precisa scelta e ad un preciso bisogno del consumatore, che potrà riutilizzare il credito nei limiti delle somme che avrà rimborsato. Si tratterebbe dunque, come risulta d’altronde dall’art. II delle condizioni figuranti nel retro dell’offerta preliminare di credito, di un’apertura di credito in conto corrente.

42.   La Franfinance aggiunge che, peraltro, in diritto francese la menzione del bene o servizio finanziato nel contratto di credito è una condizione per poter qualificare il credito come vincolato e per potervi applicare le regole di interdipendenza di cui agli artt. L. 311‑20 e L. 311‑21. Si tratterebbe di un presupposto fissato dal legislatore nazionale nell’esercizio della facoltà che gli è conferita dall’art. 11, n. 2, secondo comma, della direttiva 87/102 di stabilire, in particolare, «a quali condizioni» il diritto del consumatore di procedere contro il creditore è esercitabile; condizioni che potrebbero essere censurate dalla Corte solo ove siano tali da privare di sostanza le disposizioni della direttiva, il che però non si verificherebbe con riferimento al presupposto in esame.

43.   Al fine di dar risposta al primo quesito, ritengo opportuno trattare, in primo luogo, della questione della qualificazione del contratto di credito sottoscritto dai sigg. Rampion e della rilevanza dell’art. 14 della direttiva 87/102, poi della questione dell’ambito di applicazione dell’art. 11 della medesima direttiva ed infine dell’interpretazione che occorre dare alle prescrizioni dello stesso art. 11 in relazione all’evocata esigenza di menzione del bene o servizio finanziato nel contratto di credito.

a)      Natura del contratto di credito de quo e art. 14 della direttiva 87/102

44.   La Franfinance insiste sul fatto che il contratto che essa ha stipulato con i sigg. Rampion non è relativo ad un credito vincolato, ma ad un’apertura di credito, corrisponde ad uno dei modelli contrattuali tipo di cui agli artt. L. 313‑13 e R. 311‑6 del Codice e non è assoggettato alle regole sull’interdipendenza di cui agli artt. L. 311‑20 e L. 311‑21 del Codice.

45.   Il Tribunal d’instance, nella sentenza di rinvio, evidenzia che la KpK e la Franfinance si avvalgono della forma del contratto di credito e del disposto dell’art. L. 311‑20 per negare qualsiasi legame tra il contratto di credito e il contratto di fornitura conclusi nella specie. Il giudice di rinvio, a riprova dell’esistenza di un legame manifesto tra i due contratti, sottolinea però: che il contratto di credito è stato sottoscritto lo stesso giorno del contratto di fornitura, per un tetto massimo pari al prezzo della fornitura ed un utilizzo dell’importo residuo del credito, una volta detratto l’importo dell’acconto sul prezzo della fornitura, solo dopo il versamento di tale acconto; che l’offerta di credito indica l’identità del fornitore e che nel contratto di fornitura si precisa che la Franfinance preleverà, per riversarlo alla KpK, l’acconto del 10% dell’importo dell’acquisto dal conto bancario dei sigg. Rampion. Il giudice di rinvio osserva altresì che le convenute non dimostrano che gli attori avessero intenzione di utilizzare il prestito per altri finanziamenti, una volta che il capitale preso a prestito fosse stato ricostituito, almeno in parte, per effetto del rimborso. Il giudice di rinvio precisa inoltre che la forma data al contratto di credito lo fa sfuggire, a detrimento del consumatore, all’applicazione delle disposizioni del Codice sull’interdipendenza tra contratto di credito e contratto di fornitura e permette l’applicazione di un tasso di interesse superiore.

46.   Più d’uno dei governi intervenuti sottolinea che le circostanze del caso concreto evocate al paragrafo precedente rivelano l’esistenza di un chiaro collegamento tra i due contratti sottoscritti dai sigg. Rampion nonostante l’assenza della menzione del bene e del servizio finanziato nel contratto di credito.

47.   Le suddette osservazioni mi inducono a segnalare che non spetta alla Corte operare la corretta qualificazione del contratto di credito de quo. Tale qualificazione è di competenza del giudice nazionale e andrà da questi operata in base alle pertinenti norme del diritto nazionale, ivi comprese quelle relative ai poteri del giudice. Queste ultime andranno interpretate dal giudice nazionale, in virtù dei doveri ad esso incombenti in base agli artt. 10 CE e 249 CE, in maniera conforme al risultato prescritto dall’art. 14 della direttiva 87/102, che è quello di evitare che le disposizioni di diritto nazionale che danno esecuzione o corrispondono alla direttiva siano derogate, a detrimento dei consumatori (n. 1), ovvero eluse (n. 2) attraverso pattuizioni o forme contrattuali particolari.

48.   In particolare, le norme nazionali relative ai poteri del giudice dovranno essere interpretate, per quanto possibile, nel senso che esse consentono al giudice di riqualificare, in base alla sostanza del contratto ed al reale scopo perseguito dai contraenti, un’apertura di credito come credito vincolato ai fini dell’applicazione delle disposizioni di tutela del consumatore contenute nel Codice. D’altra parte, la stessa Franfinance nelle sue osservazioni scritte ed il governo francese in udienza hanno riferito di recenti decisioni della Cour de Cassation che avrebbero riconosciuto il potere del giudice nazionale di riqualificare come credito vincolato un contratto di credito presentato dalle parti sotto veste diversa. Osservo inoltre che lo stesso tenore letterale della prima questione pregiudiziale, quale formulata nella sentenza di rinvio, lascia pensare che il Tribunal d’instance non escluda la possibilità di dare al contratto di credito de quo una qualificazione diversa da quella di apertura di credito. Il carattere apparentemente ridondante della doppia ipotesi fatta nella parte finale della questione («quando il contratto di credito non menziona il bene il cui acquisto è finanziato o è stato concluso nella forma di apertura di credito senza menzione del bene finanziato») può spiegarsi proprio in tale ottica.

49.   La funzione dell’art. 14 della direttiva 87/102 è quella di obbligare gli Stati membri ad adottare misure contro comportamenti contrattuali dei singoli idonei a frustrare i risultati perseguiti dalla direttiva, misure cioè che, da un lato, conferiscano carattere imperativo alle norme interne che danno esecuzione o corrispondono alle altre disposizioni della direttiva (n. 1) e, dall’altro, garantiscano che tali norme non vengano eluse mediante accorgimenti fraudolenti in fase di redazione dei contratti (n. 2). Detto articolo è dunque volto a perseguire l’effettiva applicazione di quelle norme interne e non mi pare invece rilevante ai fini della ricostruzione del contenuto che tali norme devono avere in ossequio alle altre disposizioni della direttiva, contenuto che dipende solo dall’interpretazione di queste ultime.

50.   Ritengo con ciò che l’art. 14 non osti a che gli Stati membri subordinino il diritto del consumatore di agire contro il creditore in caso di inadempimento del fornitore alla condizione che il bene o servizio finanziato sia menzionato nel contratto di credito. Se gli Stati membri siano legittimati o meno a subordinare l’applicazione di regole di interdipendenza tra contratto di credito e contratto di fornitura a siffatta menzione è questione in ordine alla quale l’art. 14 è, a mio parere, inconferente e che va invece risolta sulla base del solo art. 11 della direttiva 87/102.

b)      Il contratto di credito de quo rientra nel campo di applicazione dell’art. 11 della direttiva 87/102?

51.   Per l’ipotesi in cui il giudice di rinvio consideri che, come sostenuto dalla Franfinance, il contratto di credito de quo non debba essere riqualificato come credito vincolato, ma costituisca una genuina apertura di credito in conto corrente, occorre verificare se sia fondato il rilievo della Franfinance secondo cui l’art. 11 della direttiva non avrebbe alcun rilievo in quanto non riguarderebbe siffatta tipologia contrattuale.

52.   Facendo un passo indietro, osservo, con la Commissione, che la definizione di «contratto di credito» ai sensi dell’art. 1, n. 2, lett. c), della direttiva 87/102 è sufficientemente ampia da comprendere senz’altro un’apertura di credito in conto corrente.

53.   Inoltre, risulta dall’allegato I alla direttiva ­– che contiene un’elencazione di elementi di cui gli Stati membri possono, a norma dell’art. 4, n. 3, della direttiva, rendere obbligatoria l’inclusione nel contratto di credito – che i «[c]ontratti di credito che concernono la fornitura di determinati beni o servizi» (punto 1 dell’allegato) sono solo una delle tipologie di contratti di credito assoggettate alle disposizioni della direttiva, accanto ai «[c]ontratti di credito operanti mediante carte di credito» (punto 2), ai «[c]ontratti di credito sotto forma di crediti allo scoperto permanenti non altrimenti contemplati dalla direttiva» (punto 3) e agli «[a]ltri contratti di credito che ricadono sotto la direttiva» (punto 4) (22).

54.   Un’apertura di credito in conto corrente non sfugge dunque di per sé al campo di applicazione della direttiva 87/102.

55.   Devo invece rilevare che fra i crediti che, a norma dell’art. 2, n. 1, della direttiva, sono esclusi dal campo di applicazione di quest’ultima figura, alla lett. e), fatta salva comunque l’applicazione ad esso delle disposizioni dell’art. 6 (23), il «credito concesso da un istituto di credito o da un istituto finanziario sotto forma di apertura di credito in conto corrente, divers[o] dai conti coperti da una carta di credito» o, per usare gli equivalenti termini di cui al citato art. 6, i «crediti sotto forma di anticipi su conto corrente che non sia il conto di una carta di credito».

56.   Dal fascicolo di causa non è dato ricavare agevolmente se il conto corrente aperto dalla Franfinance in favore dei sigg. Rampion fosse o meno coperto da una carta di credito. Si tratta, comunque, di un accertamento che compete al Tribunal d’instance, il quale, considerando a pag. 5 della sentenza di rinvio che il modello‑tipo di contratto utilizzato nella specie dalla Franfinance sia quello dell’«offerta preliminare di apertura di credito accessorio a contratti di vendita, utilizzabile in importi frazionati, e accompagnato da carta di credito» (24), sembra ritenere che tale conto fosse effettivamente coperto da carta di credito.

57.   Occorre ora chiedersi, facendo astrazione dalla problematica relativa alla presenza o meno di una carta di credito legata al conto corrente aperto dalla Franfinance in favore dei sigg. Rampion, se l’art. 11 della direttiva 87/102 si presti ad essere applicato (25) alle aperture di credito in conto corrente.

58.   Nessun elemento tratto dalla lettera di tale articolo sembra deporre in senso contrario. Il riferimento, fatto dalla Franfinance, ai termini «relativo contratto di fornitura» utilizzati al n. 2, lett. d), è del tutto inconferente. Tali termini non implicano affatto, quale presupposto di applicazione della norma di cui al n. 2, che un unico contratto di fornitura sia finanziato dal contratto di credito. La parola «relativo» lega grammaticalmente il «contratto di fornitura» non al «contratto di credito», ma «[a]i beni o [a]i servizi considerati» da quest’ultimo. D’altra parte, l’espressione «i beni o i servizi considerati dal contratto di credito», che figura nella stessa lett. d), non va intesa necessariamente come implicante una descrizione di tali beni o servizi nel contratto di credito, ma può e deve a mio avviso essere interpretata nel senso di «beni o servizi il cui acquisto è finanziato dal contratto di credito». Osservo, inoltre, che l’art. 11, n. 2, lett. a), nella misura in cui si riferisce ad un contratto di credito concluso «per l’acquisto di beni o la fornitura di servizi», sembra includere anche contratti di credito conclusi in vista di una pluralità di acquisti o forniture.

59.   Al di là del dato letterale, non può affermarsi che una tutela del consumatore in termini di interdipendenza tra contratto di credito e contratto di fornitura sia priva di giustificazione nel caso in cui il contratto di credito sia rappresentato da un’apertura di credito in conto corrente.

60.   Ai termini del ventunesimo ‘considerando’ della direttiva 87/102, volto a spiegare la ragione che presiede all’introduzione della disciplina di cui all’art. 11, «per quanto riguarda i beni e servizi che il consumatore ha sottoscritto per contratto di acquistare a credito, il consumatore, almeno nelle circostanze sotto definite, deve godere, nei confronti del creditore, di diritti che si aggiungono ai suoi normali diritti contrattuali nei riguardi di questo e del fornitore di beni o servizi». Sempre secondo il medesimo ‘considerando’, «le circostanze di cui sopra sussistono quando tra il creditore e il fornitore di beni o servizi esiste un precedente accordo in base al quale il credito è messo da quel creditore a disposizione esclusivamente dei clienti di quel fornitore per consentire al consumatore l’acquisto di merci o di servizi da tale fornitore».

61.   Si tratta dunque di una tutela aggiuntiva del consumatore nei confronti del creditore che sia persona diversa dal fornitore [art. 11, n. 2, lett. a)], per il caso in cui «i beni o i servizi considerati dal contratto di credito non sono forniti o sono forniti soltanto in parte, o non sono conformi al relativo contratto di fornitura» [art. 11, n. 2, lett. d)], la quale tutela deve valere «almeno» laddove esista tra fornitore e creditore un precedente accordo avente il descritto oggetto e sulla base del quale il consumatore ha ottenuto il credito [art. 11, n. 2, lett. b) e c)]; fermo restando che detta tutela interviene solo dopo che «il consumatore ha proceduto contro il fornitore, ma non ha ottenuto la soddisfazione cui aveva diritto» [art. 11, n. 2, lett. e)].

62.   Siffatta tutela aggiuntiva del consumatore in caso di inadempimento del fornitore, rappresentata dal diritto di procedere contro il creditore, è volta a compensare l’indebolimento della tutela del consumatore (rispetto all’ipotesi di credito concesso direttamente dal fornitore) che altrimenti conseguirebbe a quello «sdoppiamento» della sua controparte che è inerente all’acquisto di beni o servizi tramite credito concesso da persona diversa dal fornitore; sdoppiamento che porrebbe il consumatore nell’impossibilità di far valere la mancata esecuzione della fornitura per sottrarsi al rimborso del credito.

63.   Ebbene, è del tutto evidente che i rischi di un tale indebolimento della tutela del consumatore che l’art. 11 mira a fronteggiare sussistono anche nell’ipotesi in cui il credito sia utilizzabile non per un solo acquisto, ma per una pluralità di acquisti.

64.   Ritengo pertanto che non vi sia ragione di considerare che un’apertura di credito in conto corrente volta a finanziare una serie indeterminata di acquisti di beni o servizi fuoriesca per sua natura dall’ambito di applicazione dell’art. 11 della direttiva 87/102.

65.   Ciò non significa peraltro che la tutela che deve essere offerta al consumatore in ossequio a tale articolo non possa essere modulata in maniera differenziata per poter tener conto delle specificità di un siffatto credito rispetto ad un credito concesso per un singolo acquisto.

66.   L’art. 11, n. 2, è d’altronde strutturato in maniera tale da permettere agli Stati membri di stabilire una normativa di tutela appropriata alle caratteristiche di ciascun tipo di contratto di credito. In effetti, in che cosa debba consistere tale tutela aggiuntiva del consumatore, ossia quale sia esattamente l’oggetto del «diritto di procedere contro il creditore» che deve essere riconosciuto al consumatore, l’art. 11, n. 2, non lo specifica. Tale specificazione è rimessa agli Stati membri, cui il secondo comma demanda di stabilire «entro quali limiti e a quali condizioni il diritto è esercitabile» (26).

67.   Diverse forme di tutela sono ipotizzabili a questo riguardo: cito, a titolo di esempio, l’opponibilità al creditore dell’eccezione di inadempimento del fornitore al fine di evitare o sospendere il rimborso del credito; la richiesta di riduzione del credito o di risoluzione del contratto di credito, con restituzione da parte del creditore di rimborsi già effettuati; la richiesta di corretto adempimento, a spese del creditore, del contratto di fornitura, se avente ad oggetto cose fungibili; e finanche la richiesta di risarcimento da parte del creditore dei danni derivanti dall’inadempimento del fornitore (27). In Francia, gli artt. L. 311-20 e L. 311-21 del Codice prevedono: la decorrenza degli obblighi del mutuatario solo dal momento della consegna del bene o della fornitura del servizio, il che sembra significare in pratica l’opponibilità al creditore dell’eccezione di inadempimento quando quest’ultimo consista nella mancata consegna o fornitura; la sospensione giudiziale dell’esecuzione del contratto di credito in caso di contestazioni afferenti all’esecuzione del contratto di fornitura, e la risoluzione o l’annullamento di pieno diritto del primo di tali contratti in caso di risoluzione o annullamento giudiziale del secondo.

68.   È possibile immaginare che, a fronte dell’inadempimento del fornitore di uno dei diversi beni o servizi che il consumatore acquisti a credito nel tempo avvalendosi di una genuina apertura di credito in conto corrente, il rimedio concesso al consumatore contro il creditore possa essere costituito dall’opponibilità del suddetto inadempimento al fine di sottrarsi temporaneamente o definitivamente agli obblighi che, nell’ambito del contratto di credito, scaturiscono a carico del consumatore in relazione a quella determinata fornitura, e non anche nel diritto alla risoluzione in toto di quel contratto.

69.   Appurato dunque che un contratto di apertura di credito in conto corrente rientrante nel campo di applicazione della direttiva 87/102 è assoggettato anche alle disposizioni dell’art. 11 della medesima, spetterà al giudice di rinvio, ove ritenga di dover qualificare come tale il contratto di credito concluso dai sigg. Rampion nel caso di specie, valutare in quale misura le disposizioni del diritto nazionale volte a dare attuazione o che corrispondono a tale articolo possano essere applicate anche a siffatto contratto (28), in modo tale da non addivenire ad un risultato contrario a quello cui mira la direttiva. 

c)      Interpretazione delle prescrizioni dell’art. 11 della direttiva ed esigenza di menzione del bene o servizio finanziato nel contratto di credito

70.   Resta ora da esaminare se il citato art. 11 consenta che una disposizione nazionale volta a darvi esecuzione subordini il riconoscimento al consumatore del diritto di procedere contro il creditore alla condizione che il bene o servizio finanziato sia menzionato nel contratto di credito.

71.   Al riguardo condivido la posizione assunta dalla Commissione e dai governi intervenuti: una tale condizione non è compatibile con l’art. 11. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Franfinance, la previsione di siffatta condizione non è autorizzata dall’art. 11, n. 2, secondo comma. Tale disposizione, delegando agli Stati membri la determinazione non solo dei «limiti», ma anche delle «condizioni» alle quali il diritto di procedere contro il creditore «è esercitabile», non intende evidentemente rimettere in discussione le condizioni per il sorgere di tale diritto, che l’art. 11, n. 2, primo comma, stabilisce in via esaustiva; essa invece abilita gli Stati membri a precisare le modalità procedurali di esercizio del diritto (29).

72.   Occorre cioè interpretare l’art. 11 della direttiva nel senso che, laddove un consumatore ottenga da persona diversa dal fornitore un credito per l’acquisto di beni o servizi, in forza di un precedente accordo tra tale persona e il fornitore avente le caratteristiche di cui all’art. 11, n. 2, lett. b), il consumatore, in caso di mancata, parziale o inesatta fornitura del bene o servizio acquistato a credito, ha diritto di procedere contro il creditore, dopo avere inutilmente proceduto contro il fornitore, indipendentemente dal fatto che tale bene o servizio sia menzionato nel contratto di credito.

73.   Spetterà naturalmente al giudice di rinvio verificare in quale misura le pertinenti disposizioni del diritto nazionale possano essere applicate in modo tale da non addivenire ad un risultato contrario a quello cui mira l’art. 11 della direttiva in tal modo interpretato. 

74.   Mi pare, infine, utile precisare, visti i riferimenti fatti tanto dal giudice di rinvio quanto da alcuni dei governi intervenuti all’esistenza nella specie di un legame manifesto tra contratto di credito e contratto di fornitura, che l’art. 11 non fa dipendere da una siffatta circostanza l’esistenza del diritto del consumatore di procedere contro il creditore in caso di inadempimento del fornitore. Ciò che tale articolo richiede è che tale diritto sia attribuito al consumatore almeno laddove tra il creditore e il fornitore esista un precedente accordo in base al quale il credito è messo esclusivamente da quel creditore a disposizione dei clienti di quel fornitore per l’acquisto di merci o di servizi di tale fornitore ed il consumatore ottenga il credito in conformità a siffatto accordo [ventunesimo ‘considerando’ e art. 11, n. 2, lett.b) e c), della direttiva].

75.   Suggerisco pertanto alla Corte di rispondere nei seguenti termini alla prima questione pregiudiziale posta dal Tribunal d’instance:

«L’art. 11 della direttiva 87/102 esige che le norme nazionali sull’interdipendenza tra il contratto di credito e il contratto di fornitura di beni o servizi che danno esecuzione o corrispondono allo stesso articolo possano trovare applicazione anche in assenza della menzione nel contratto di credito dei beni o servizi il cui acquisto è finanziato».

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale

1.      Considerazioni preliminari e sulla ricevibilità

76.   Emerge chiaramente dalla sentenza di rinvio che il Tribunal d’instance si interroga sulla possibilità da parte sua di applicare d’ufficio non le disposizioni della direttiva 87/102 (le quali, come ho sopra ricordato, non possono trovare applicazione diretta nell’ambito di una controversia tra singoli), ma alcune disposizioni di diritto interno che danno esecuzione o corrispondono a quelle della direttiva medesima.

77.   Sebbene la sentenza di rinvio, nella parte in fatto, ricordi che, nel corso del giudizio a quo, il Tribunal d’instance aveva, con decisione interlocutoria del 1° giugno 2005, sollevato d’ufficio motivi tratti da articoli del Codice relativi alla vendita a domicilio e dall’art. L. 311-10 del Codice, in quanto impone come obbligatorio il richiamo nel contratto di credito delle disposizioni relative all’interdipendenza di cui agli artt. L. 311-20 e segg. del Codice, la stessa sentenza di rinvio, nella parte motiva dedicata alla seconda questione pregiudiziale, considera invece, e soltanto, l’eventuale applicazione d’ufficio di tali ultime disposizioni, che recepirebbero in diritto interno gli artt. 11 e 14 della direttiva (30).

78.   Pertanto, nonostante la sua formulazione ampia, il secondo quesito pregiudiziale deve a mio avviso essere letto, alla luce della motivazione della sentenza di rinvio, come riferito all’applicabilità d’ufficio da parte del giudice nazionale delle norme sull’interdipendenza tra contratto di credito e contratto di fornitura di cui agli artt. L. 311‑20 e segg. del Codice, nella misura in cui recepiscono l’art. 11 della direttiva 87/102.

79.   Il giudice di rinvio ricorda che, in base alle regole processuali del proprio ordinamento nazionale, quali interpretate dalla Cour de Cassation, solo le norme di «ordine pubblico di direzione», adottate nell’interesse generale, e non anche le norme di «ordine pubblico di protezione», adottate nell’interesse di una categoria di soggetti, sono rilevabili d’ufficio dal giudice. Il giudice di rinvio fa presente che la giurisprudenza della Cour de Cassation, in quanto ritiene che la disciplina del credito al consumo sia stata stabilita nel solo interesse del consumatore e sia dunque estranea all’ordine pubblico di direzione, si oppone all’applicazione d’ufficio delle disposizioni degli artt. L. 311‑20 e segg. del Codice.

80.   Onde verificare la correttezza di tale approccio della Cour de Cassation, il giudice di rinvio chiede alla Corte di precisare se la direttiva 87/102 persegua invece finalità più ampie della mera tutela del consumatore, relative cioè all’organizzazione del mercato del credito al consumo. Il giudice di rinvio sembra ritenere che, in caso affermativo, egli sarebbe legittimato ad applicare d’ufficio le disposizioni degli artt. L. 311‑20 e segg. del Codice in quanto norme di ordine pubblico di direzione.

81.   La precisazione, da parte della Corte, delle finalità della direttiva 87/102 pare dunque sollecitata dal giudice di rinvio essenzialmente al fine dell’applicazione di concetti e regole di diritto processuale interno che potrebbero indurlo ad applicare d’ufficio le norme di cui agli artt. L. 311‑20 e L. 311‑21 del Codice. In tale ottica, si tratterebbe pertanto di un’applicazione d’ufficio di tali norme effettuata in conformità del diritto interno e non in forza del diritto comunitario.

82.   Ciò detto, ritengo però che la Corte debba affrontare la questione pregiudiziale in esame in una prospettiva più ampia, in modo tale cioè da indicare al giudice di rinvio in quale misura l’applicazione d’ufficio delle richiamate norme del Codice sia consentita eventualmente in forza del diritto comunitario stesso, al di là quindi dell’applicazione dei succitati concetti e regole di diritto processuale interno operata alla luce delle finalità perseguite dalla direttiva 87/102.

83.   La Franfinance contesta tuttavia la ricevibilità della seconda questione pregiudiziale, evidenziandone l’inutilità ai fini della risoluzione della controversia principale. Essa sottolinea che, contrariamente a quanto rilevato nella sentenza di rinvio, i sigg. Rampion hanno espressamente sollevato nel loro ricorso la questione dell’interdipendenza tra i contratti di credito e di fornitura da essi sottoscritti, in particolare chiedendo al giudice adito di dichiarare la risoluzione del primo contratto «per effetto» della dichiarazione di nullità del secondo. Non vi sarebbe dunque alcuna necessità di applicare d’ufficio disposizioni che sono state invocate dagli attori.

84.   Al riguardo rilevo che dal fascicolo di causa risulta che i sigg. Rampion hanno chiesto la risoluzione giudiziale del contratto di credito stipulato con la Franfinance «per effetto» della dichiarazione di nullità del contratto di fornitura stipulato con la KpK che essi hanno domandato in via principale. Nondimeno, non risulta che essi abbiano esplicitamente dedotto, a sostegno della richiesta di risoluzione del contratto di credito, gli artt. L. 311-20 e L. 311-21 del Codice. Sebbene non mi paia irragionevole ritenere, come fa in sostanza la Franfinance, che tali articoli possano considerarsi invocati dai sigg. Rampion almeno implicitamente, osservo tuttavia che il giudice di rinvio sembra di contrario avviso e che spetta a tale giudice e non alla Corte pronunciarsi sul punto, trattandosi di una questione di puro diritto processuale nazionale. Per di più, non sembra che i sigg.ri Rampion abbiano domandato la risoluzione giudiziale del contratto di credito anche per effetto della risoluzione giudiziale del contratto di fornitura richiesta in via subordinata.

85.   Non appare dunque in modo manifesto che, come sostiene la Franfinance, l’interpretazione del diritto comunitario sollecitata con la seconda questione pregiudiziale sia priva di relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale o che il problema posto sia di natura ipotetica. La ricevibilità di tale questione non mi sembra pertanto poter essere revocata in dubbio.

2.      Sul merito

86.   Quanto alle finalità perseguite dal legislatore comunitario con l’adozione della direttiva 87/102, emerge dai suoi ‘considerando’ che tale direttiva ha inteso appianare le divergenze tra le legislazioni degli Stati membri in materia di credito al consumo al duplice scopo di assicurare la realizzazione di un mercato comune del credito al consumo (terzo e quinto ‘considerando’) e di proteggere i consumatori che ottengono tale credito (sesto, settimo e nono ‘considerando’) (31). È quanto ricordano, nelle loro osservazioni scritte sulla seconda questione pregiudiziale, la Commissione e i governi francese, italiano e spagnolo.

87.   In particolare, quanto al primo scopo, nei ‘considerando’ della direttiva si evidenzia che «le divergenze tra le legislazioni possono provocare distorsioni di concorrenza fra creditori nel mercato comune» (secondo ‘considerando’), «limitano la possibilità del consumatore di ottenere un credito in altri Stati membri» e «influiscono sul volume e sulla natura dei crediti richiesti, nonché sull’acquisto dei beni e servizi» (terzo ‘considerando’), pertanto «incid[endo] sulla libera circolazione delle merci e dei servizi che il consumatore potrebbe ottenere a credito» e «ostacolan[d]o quindi direttamente il funzionamento del mercato comune» (quarto ‘considerando’), laddove «l’istituzione di un mercato comune del credito al consumo gioverebbe in egual misura ai consumatori, ai creditori, ai produttori, ai commercianti all’ingrosso e al dettaglio di beni e ai fornitori di servizi» (quinto ‘considerando’).

88.   Non vi è dubbio perciò che l’armonizzazione delle normative nazionali in materia di credito al consumo perseguita con la direttiva 87/102 non è volta soltanto ad assicurare un livello minimo di tutela dei consumatori in ogni Stato membro, ma anche e in primo luogo a promuovere, per quanto riguarda il credito al consumo, la creazione di condizioni di concorrenza più omogenee sul territorio della Comunità, rimuovendo le principali cause normative di ostacolo o di distorsione del libero gioco della concorrenza fra creditori, con benefici in termini di efficienza economica sia nel mercato del credito al consumo che nei mercati dei beni e dei servizi che possono essere ottenuti a credito.

89.   Non appare dunque condivisibile un’interpretazione secondo la quale le disposizioni della direttiva 87/102, e di conseguenza quelle nazionali che le traspongono, siano stabilite esclusivamente in un’ottica di protezione dei consumatori. Ciò detto, spetta comunque al giudice di rinvio e non alla Corte valutare se, alla luce delle precisate finalità della direttiva 87/102, le norme nazionali che la traspongono, tra cui gli artt. L. 311‑20 e L. 311‑21 del Codice, debbano essere (come pur mi pare probabile) qualificate come di «ordine pubblico di direzione» ai fini di una loro applicabilità d’ufficio ai sensi del diritto processuale nazionale.

90.   Non ritengo peraltro che la risposta alla seconda questione pregiudiziale possa limitarsi alle suesposte considerazioni. A mio avviso, infatti, tale questione, se letta alla luce della motivazione della sentenza di rinvio, solleva la questione dell’applicabilità d’ufficio delle norme di cui agli artt. L. 311‑20 e L. 311‑21 del Codice in termini più ampi. Domandandosi in quale misura le soluzioni accolte dalla Corte nelle sentenze Océano Grupo Editorial e Salvat Editores e Cofidis siano trasponibili alla disciplina del credito al consumo (32), il Tribunal d’instance invita in sostanza la Corte anche ad indicare se l’applicazione d’ufficio delle norme di cui agli artt. L. 311‑20 e L. 311‑21 del Codice sia consentita al giudice nazionale in virtù del diritto comunitario anche quando il diritto processuale nazionale la precluda.

91.   Condivido perciò il rilievo della Commissione secondo cui occorre, per rispondere alla seconda questione pregiudiziale, determinare se la protezione che la direttiva 87/102 intende assicurare al consumatore implichi che il giudice nazionale possa applicare d’ufficio una disposizione nazionale di tutela del consumatore che trasponga l’art. 11, n. 2, della direttiva stessa (33).

92.   Per una risposta in senso affermativo a siffatto interrogativo si sono espressi la Commissione e i governi italiano e spagnolo, e ciò, in sostanza, sulla base dell’asserita pertinenza anche nella materia in esame delle ragioni che hanno indotto la Corte, nelle sentenze Océano Grupo Editorial e Salvat Editores e Cofidis, a ritenere che una tutela effettiva dei diritti che la direttiva 93/13 ha inteso conferire ai consumatori richieda che il giudice nazionale possa rilevare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale.

93.   Tale posizione non è sposata dai governi austriaco e francese. Il primo fa osservare che spetta solo agli Stati membri determinare le modalità di tutela giurisdizionale dei diritti che la direttiva 87/102 ha inteso conferire al consumatore e che, sebbene essi siano tenuti ad assicurare l’effettività di tale tutela, questa non implica necessariamente l’obbligo o la facoltà per i giudici nazionali di applicare d’ufficio le disposizioni che tutelano il consumatore. Anche il governo francese richiama il principio dell’autonomia processuale degli Stati membri, che sarebbe specificamente ribadito nella materia in esame dall’art. 11, n. 2, secondo comma, della direttiva 87/102, e ritiene che la giurisprudenza della Cour de Cassation che non permette al giudice di sollevare d’ufficio un motivo tratto dalle norme sull’interdipendenza tra contratto di credito e contratto di fornitura non contravvenga ai principi di equivalenza e di effettività che, secondo la giurisprudenza comunitaria, limitano tale autonomia processuale. In particolare, sotto il profilo dell’effettività della tutela, il governo francese sottolinea che detta giurisprudenza non rende né eccessivamente difficile né praticamente impossibile per il consumatore far constatare dal giudice l’esistenza delle condizioni per applicare quelle norme, constatazione, peraltro, che nessuna disposizione del Codice impone al consumatore di sollecitare entro un determinato termine. Infine, secondo il governo francese, le sentenze Océano Grupo Editorial e Salvat Editores e Cofidis non sono pertinenti nel caso di specie, in quanto le soluzioni ivi accolte si fonderebbero su disposizioni della direttiva 93/13 che non hanno equivalenti nella direttiva 87/102.

94.   Per parte mia, comincerò col ricordare che, per giurisprudenza costante, è compito dei giudici nazionali, secondo il principio di collaborazione enunciato dall’art. 10 CE, garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto. In mancanza di disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto. Tuttavia, dette modalità non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (34).

95.    Si tratta dei noti principi dell’«autonomia processuale» degli Stati membri e dei relativi limiti, rappresentati dal rispetto delle condizioni di «equivalenza» e di «effettività» della tutela. Tali principi, affermati con riferimento alla tutela giurisdizionale dei diritti che i singoli traggono da norme di diritto comunitario aventi effetto diretto, devono ritenersi applicabili, alla stessa maniera, con riferimento alla tutela giurisdizionale dei diritti che i singoli traggono da norme nazionali che diano attuazione o corrispondano a disposizioni di una direttiva comunitaria. In effetti, nell’uno come nell’altro caso si tratta sempre di diritti di «derivazione comunitaria» e sarebbe del tutto incongruo ammettere che i limiti all’autonomia processuale di cui gli Stati membri godono nel predisporre la tutela giurisdizionale di tali diritti possano essere meno stringenti quando una direttiva è stata trasposta in diritto nazionale che quando non lo sia stata.

96.   In linea di massima, deve ritenersi che il principio di effettività della tutela sia rispettato quando le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti di derivazione comunitaria offrono al singolo un’adeguata possibilità di far valere tali diritti in sede giudiziale (35). Termini di decadenza troppo brevi o oneri probatori troppo gravosi, ad esempio, possono rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile l’esercizio dei diritti in sede giudiziale da parte del loro titolare.

97.   Appartengono indubbiamente alla sfera delle suddette modalità procedurali anche le norme e i principi di diritto processuale nazionale relativi ai poteri di iniziativa del giudice. Orbene, se è vero che un divieto per il giudice nazionale di applicare d’ufficio norme che attribuiscono diritti di derivazione comunitaria non menoma la possibilità del titolare del diritto di far valere egli stesso quest’ultimo in sede giudiziale, va tuttavia ricordato che la Corte ha già considerato che una tutela effettiva dei diritti di derivazione comunitaria può, in determinate condizioni, richiedere comunque la possibilità di un intervento d’ufficio del giudice nazionale.

98.   Nella sentenza Peterbroeck (36), infatti, la Corte ha dichiarato che il diritto comunitario osta all’applicazione di una norma processuale nazionale che, in condizioni analoghe a quelle del procedimento di cui si trattava nella causa davanti al giudice a quo, vieti al giudice nazionale di valutare d’ufficio la compatibilità di un provvedimento di diritto nazionale con una disposizione comunitaria, quando quest’ultima non sia stata invocata dal singolo entro un determinato termine. Nella stessa sentenza la Corte indicava che «ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto comunitario dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali» (37).

99.   Nella sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores la Corte, pur senza richiamare espressamente la sua giurisprudenza evocata al paragrafo 94 supra, ha ritenuto, con riferimento ad una clausola attributiva di giurisdizione inserita in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista ai sensi della direttiva 93/13, che una tutela effettiva del consumatore potesse essere ottenuta solo se il giudice nazionale aveva facoltà di rilevare d’ufficio il carattere abusivo, ai sensi di quella direttiva, di tale clausola (38). A tale conclusione la Corte perveniva già sulla sola base delle seguenti considerazioni, esposte al punto 26 di quella sentenza:

«L’obiettivo perseguito dall’art. 6 della direttiva [93/13], che obbliga gli Stati membri a prevedere che le clausole abusive non vincolino i consumatori, non potrebbe essere conseguito se questi ultimi fossero tenuti a eccepire essi stessi l’illiceità di tali clausole. In controversie di valore spesso limitato, gli onorari dei legali possono essere superiori agli interessi in gioco, il che può dissuadere il consumatore dall’opporsi all’applicazione di una clausola abusiva. Sebbene in controversie del genere le norme processuali di molti Stati membri consentano ai singoli di difendersi da soli, esiste un rischio non trascurabile che, soprattutto per ignoranza, il consumatore non faccia valere l’illiceità della clausola oppostagli».

100. La Corte deduceva dunque la necessità di permettere un intervento d’ufficio del giudice, al fine di assicurare effettività alla tutela del consumatore voluta dalla direttiva 93/13, dal fatto che la sproporzione tra il valore della controversia e gli onorari da corrispondere ad un legale può indurre il consumatore ad astenersi dal difendere per via giudiziale i propri diritti o, laddove a ciò abilitato dall’ordinamento nazionale, a difenderli da solo, e dunque in modo inadeguato.

101. Tali considerazioni sono state ribadite dalla Corte nella successiva sentenza Cofidis (39) al fine di dichiarare che una norma processuale che vieta al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare d’ufficio o a seguito di un’eccezione sollevata da un consumatore il carattere abusivo di una clausola la cui esecuzione viene richiesta dal professionista è idonea a rendere eccessivamente difficile, nelle controversie in cui i consumatori sono convenuti, l’applicazione della tutela che la direttiva 93/13 intende loro conferire (40).

102. Ebbene, come la Commissione e il governo spagnolo, ritengo anch’io che le suddette considerazioni siano perfettamente valide anche con riferimento alla tutela dei diritti del consumatore scaturenti dalla direttiva 87/102. Direi anzi che esse sono a maggior ragione valide in questo secondo ambito, dal momento che, se il consumatore acquista beni o servizi a credito, è solitamente perché dispone di risorse finanziarie proprie piuttosto limitate, per cui è ancora più concreto il rischio che le spese inerenti all’assistenza legale lo inducano a rinunciare alla difesa, o comunque ad un’adeguata difesa, dei suoi diritti in sede giudiziale.

103. Non mi pare d’altronde che possa rilevare in senso contrario la circostanza, sottolineata dal governo francese, che manchino nella direttiva 87/102 disposizioni analoghe a quelle degli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13.

104. Quanto all’art. 6 di tale ultima direttiva, da cui – è vero – prende le mosse il ragionamento svolto dalla Corte al punto 26 della sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (v. paragrafo 99 supra), non penso che il suo tenore letterale abbia un valore determinante nell’ambito di tale ragionamento. In definitiva, prescrivendo agli Stati membri di prevedere «che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore», tale articolo non fa che descrivere la sostanza della protezione che la direttiva 93/13 intende offrire al consumatore, sul piano del diritto sostanziale, contro clausole contrattuali che non siano state oggetto di negoziato individuale e che siano qualificabili come abusive ai sensi della stessa direttiva; mentre il suddetto ragionamento della Corte si incentra essenzialmente sulle condizioni peculiari attinenti alla natura della controversia e al procedimento necessario per risolverla e al possibile ostacolo che esse rappresentano per una tutela effettiva in sede giudiziale della posizione giuridica sostanziale che la suddetta direttiva ha inteso conferire al consumatore.

105. Ebbene, l’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102, pur non specificando «i limiti» del diritto del consumatore di procedere contro il creditore e rimettendone la determinazione agli Stati membri, vuole nondimeno che tale diritto sia attribuito al consumatore dagli ordinamenti nazionali ricorrendo determinate circostanze; e l’ordinamento comunitario più in generale esige che a tale diritto – attribuito al consumatore dal diritto sostanziale nazionale, ma pur sempre di derivazione comunitaria – sia assicurata dal diritto processuale nazionale una tutela effettiva. Quest’ultima però rischia di essere impedita, ove non sia consentito un intervento d’ufficio del giudice, da quelle stesse condizioni peculiari attinenti alla natura della controversia e al procedimento necessario per risolverla che la Corte ha rilevato al punto 26 della sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores.

106. Per quanto riguarda l’art. 7 della direttiva 93/13, è vero che la Corte, ai punti 27 e 28 della succitata sentenza, ha osservato che la rilevabilità d’ufficio del carattere abusivo di una clausola contrattuale costituisce anche strumento idoneo al fine – che gli Stati membri devono perseguire in ossequio a tale articolo – di far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori. Tuttavia, mi pare che, nell’economia di detta sentenza, tale osservazione costituisca solo una motivazione aggiuntiva della soluzione accolta dalla Corte circa la necessità di permettere un intervento d’ufficio del giudice; soluzione alla quale, come ho già sottolineato, la Corte era già pervenuta in esito al ragionamento svolto al punto 26 della stessa sentenza, unicamente imperniato sulle circostanze atte a dissuadere il consumatore dal difendere in modo adeguato per via giudiziale la posizione giuridica che la direttiva 93/13 ha inteso conferirgli.

107. Sotto altro profilo, osservo poi che il fatto che la causa pendente dinanzi al Tribunal d’instance è stata attivata dai sigg. Rampion e che essi vi sono rappresentati da un legale, mentre nelle cause nazionali che hanno dato luogo alle sentenze Océano Grupo Editorial e Salvat Editores e Cofidis i consumatori convenuti non si erano costituiti in giudizio, non giustifichi nel caso di specie una conclusione diversa, quanto alla necessità di permettere un intervento d’ufficio del giudice ai fini di una tutela effettiva dei diritti del consumatore, da quella accolta in tali sentenze. Il problema va infatti risolto su un piano generale, alla luce cioè della natura della controversia e delle caratteristiche del procedimento necessario per risolverla, facendo dunque astrazione dalle circostanze concrete del singolo procedimento. D’altra parte, non vedo come possa ammettersi che una stessa norma di protezione del consumatore possa considerarsi applicabile d’ufficio nei confronti di un consumatore e non nei confronti di un altro solo perché il primo non ha provveduto a difendersi in giudizio con l’assistenza di un legale e il secondo invece sì.

108. Suggerisco pertanto alla Corte di rispondere alla seconda questione pregiudiziale nei termini seguenti:

«La direttiva 87/102 non persegue soltanto lo scopo di proteggere i consumatori che ottengono credito al consumo, ma anche e in primo luogo quello di assicurare la realizzazione di un mercato comune del credito al consumo.

Una tutela effettiva dei diritti che l’art. 11 della direttiva 87/102 intende conferire ai consumatori implica che il giudice nazionale possa applicare d’ufficio le norme nazionali sull’interdipendenza tra il contratto di credito e il contratto di fornitura di beni o servizi che danno esecuzione o corrispondono a tale articolo».

V –    Conclusioni

109. Alla luce delle considerazioni suesposte, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal Tribunal d’instance de Saintes con sentenza del 16 novembre 2005 nel modo seguente:

«1)      L’art. 11 della direttiva del Consiglio 22 dicembre 1986, 87/102/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, esige che le norme nazionali sull’interdipendenza tra il contratto di credito e il contratto di fornitura di beni o servizi che danno esecuzione o corrispondono allo stesso articolo possano trovare applicazione anche in assenza della menzione nel contratto di credito dei beni o servizi il cui acquisto è finanziato.

2)      La direttiva 87/102 non persegue soltanto lo scopo di proteggere i consumatori che ottengono credito al consumo, ma anche e in primo luogo quello di assicurare la realizzazione di un mercato comune del credito al consumo.

Una tutela effettiva dei diritti che l’art. 11 della direttiva 87/102 intende conferire ai consumatori implica che il giudice nazionale possa applicare d’ufficio le norme nazionali sull’interdipendenza tra il contratto di credito e il contratto di fornitura di beni o servizi che danno esecuzione o corrispondono a tale articolo».


1 – Lingua originale: l’italiano.


2 – GU 1987, L 42, pag. 48. Tale direttiva è stata modificata prima con direttiva del Consiglio 22 febbraio 1990, 90/88/CEE (GU L 61, pag. 14), poi con direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/7/CE (GU L 101, pag. 17).


3 – Loi relative à l’information et à la protection des consommateurs dans le domaine de certaines opérations de crédit (legge relativa all’informazione e alla protezione dei consumatori nell’ambito di determinate operazioni di credito, nota anche come «legge Scrivener», JORF dell’11 gennaio 1978, pag. 299).


4 – Loi relative à l’information et à la protection des consommateurs ainsi qu’à diverses pratiques commerciales (legge relativa all’informazione e alla protezione dei consumatori e a varie pratiche commerciali, JORF del 29 giugno 1989, pag. 8047).


5 – Loi instaurant le Code de la consommation – Partie législative (legge che istituisce il Codice del consumo – Parte legislativa) (JORF del 27 luglio 1993, pag. 10538).


6 – Décret relatif au Code de la consommation – Partie réglementaire (decreto relativo al Codice del consumo – Parte regolamentare) (JORF del 3 aprile 1997, pag. 78).


7 – Come per tutte le disposizioni nazionali richiamate nelle presenti conclusioni, la traduzione non è ufficiale.


8 – In particolare, Cass. Civ., 10 luglio 2002, Bull. I, n. 195, pag. 149, che indicherebbe che la violazione degli obblighi stabiliti dagli artt. L. 311‑2, L. 311‑8 e L. 311‑10 del Codice, anche di ordine pubblico, può essere opposta solo su istanza della persona che tali disposizioni mirano a tutelare.


9 – Sentenze 27 giugno 2000, cause riunite da C‑240/98 a C‑244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (Racc. pag. I‑4941), e 21 novembre 2002, causa C‑473/00, Cofidis (Racc. pag. I‑10875).


10 – Direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29).


11 – Cass. Civ., 23 novembre 2004, Bull. I, n. 287, pag. 241.


12 – Sentenza 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a. (Racc. pag. I-8835, punti 108 e 109, e la giurisprudenza ivi citata).


13 – Ibidem, punto 110.


14 – Ibidem, punto 113.


15 – In tal senso, fra le altre, sentenza 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult (Racc. pag. I-4961, punto 45).


16 – Mi permetto di rilevare al riguardo che nessun riferimento esplicito alla menzione del bene o servizio finanziato nel contratto di credito è fatto dalla norma interna sull’interdipendenza che viene più concretamente in rilievo nella fattispecie, quella cioè che prevede la risoluzione o l’annullamento di pieno diritto del contratto di credito per effetto della risoluzione o dell’annullamento in via giudiziale del contratto di fornitura (art. L. 311‑21, primo comma, seconda frase, del Codice).


17 – Sentenza Pfeiffer e a., cit., punto 115.


18 – Ibidem, punto 116.


19 – In tal senso si è espressa la Commissione ai punti 18 e 19 delle sue osservazioni scritte. Ricordo, peraltro, che, come la Corte ha avuto modo di precisare, è di sua competenza statuire, in via pregiudiziale, sull’interpretazione degli atti emanati dalle istituzioni comunitarie, indipendentemente dal fatto che essi abbiano o meno effetto diretto (sentenza 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani, Racc. pag. I‑4025, punto 21).


20 – La Franfinance evidenzia che l’art. II-1 dell’offerta preliminare di credito sottoscritta dai sigg. Rampion indica che essi sono «abilitati a attingere dal loro conto Franfinance, nei limiti dell’importo dello scoperto massimo autorizzato, per finanziare il pagamento degli acquisti [dagli stessi] effettuati (…) presso [la KpK] o le società a questa affiliate».


21 – L’art. 7 della direttiva 87/102 così dispone: «In caso di crediti concessi per l’acquisizione di beni, gli Stati membri stabiliscono le condizioni alle quali il bene può essere recuperato, in particolare quando il consumatore non abbia dato il suo consenso. Essi curano inoltre che, quando il creditore rientra in possesso del bene, i conteggi tra le parti siano stabiliti in modo che tale recupero non comporti un ingiustificato arricchimento».


22 – Non a caso, l’allegato in questione contempla soltanto al punto 1, ossia per i soli «[c]ontratti di credito che concernono la fornitura di determinati beni o servizi», la «descrizione dei beni o dei servizi che costituiscono l’oggetto del contratto» quale elemento che può essere prescritto come essenziale.


23 – L’art. 6 stabilisce per tale tipo di contratti obblighi informativi a carico dell’istituto di credito o dell’istituzione finanziaria e in favore del consumatore.


24 – Modello-tipo n. 6 allegato al Codice, nella versione in vigore all’epoca dei fatti. Il corsivo è aggiunto.


25 – È appena il caso di specificare che non alludo qui ad un’applicazione diretta.


26 – Esula peraltro dalla problematica posta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale del Tribunal d’instance, e non affronterò dunque in questa sede, la questione volta a determinare se l’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102 sia sufficientemente preciso e incondizionato quanto alla natura dei diritti che devono essere concessi al consumatore.  V. al riguardo, in senso affermativo, le conclusioni presentate dall’avvocato generale Lenz il 7 dicembre 1995 nella causa C‑192/94, El Corte Inglés, definita con sentenza 7 marzo 1996 (Racc. pag. I‑1281, paragrafi 11‑13), il quale desume dall’art. 11 della direttiva 87/102 «un livello minimo ben preciso di esercizio dei (…) diritti» che deve essere assicurato al consumatore.


27 – La disciplina nazionale che estende maggiormente l’ambito della tutela del consumatore contro il creditore sembra essere quella vigente nel Regno Unito. La sezione 75 del Consumer Credit Act del 1974 si spinge infatti fino a prevedere, per un credito soggetto all’applicazione di tale atto e concesso al consumatore in forza di un preesistente accordo tra creditore e fornitore, che in caso di raggiri («misrepresentation») o di inadempimento del fornitore spetti al consumatore contro il creditore un’azione analoga («a like claim») a quella che gli spetta contro il fornitore. Si tratta di una responsabilità solidale («joint and several liabiliy») tra creditore e fornitore (senza dunque obbligo di preventiva escussione del fornitore), la quale comprenderebbe persino la responsabilità per i danni derivanti dall’inadempimento del fornitore.


28 – Penso ad esempio ad un’applicazione in via analogica degli artt. L. 311‑20 e L. 311- 21 del Codice, dettati per i soli «crediti vincolati».


29 – Tali modalità possono a mio avviso comprendere anche la specificazione della condizione di cui all’art. 11, n. 2, lett. e), della direttiva, ossia della preventiva iniziativa che il consumatore ha l’onere di adottare nei confronti del fornitore inadempiente prima di poter esercitare il suo diritto contro il creditore; se basti, ad esempio, un atto di costituzione in mora rimasto inevaso o se sia necessario l’infruttuoso esperimento di un’azione giudiziale.


30 – La seconda questione pregiudiziale non avrebbe del resto rilevanza ai fini della soluzione del giudizio a quo se considerata in relazione all’eventuale applicazione d’ufficio, ipotizzata dal giudice di rinvio nella decisione interlocutoria del 1° giugno 2005, di norme del Codice sulla vendita a domicilio – le quali non attuano la direttiva 87/102, ma la direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985, 85/577/CEE, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali (GU L 372, pag. 31) – o dell’art. L. 311‑10, punto 3, del Codice, che prescrive il richiamo nel contratto di credito delle norme sull’interdipendenza di cui agli artt. L. 311-20 e segg., senza però che siffatto richiamo sia richiesto dalla direttiva 87/102.


31 – Sentenze 23 marzo 2000, causa C-208/98, Berliner Kindl Brauerei (Racc. pag. I‑1741, punto 20), e 4 marzo 2004, causa C-264/02, Cofinoga (Racc. pag. I‑2157, punto 25).


32 – V. paragrafo 26 supra.


33 – V. osservazioni scritte della Commissione, punto 33.


34 – V., in particolare, sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe (Racc. pag. 1989, punto 5), e causa 45/76, Comet (Racc. pag. 2043, punti 12-16); 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio (Racc. pag. 3595, punto 12), e 14 dicembre 1995, C‑312/93, Peterbroeck (Racc. pag. I‑4599, punto 12).


35 – L’avvocato generale Jacobs, nelle sue conclusioni presentate il 15 giugno 1995 nelle cause C‑430/93 e C‑431/93, Van Schijndel e Van Veen, definite con sentenza 14 dicembre 1995 (Racc. pag. I‑4705, paragrafo 25), riteneva «sufficiente», ai fini del rispetto del principio di effettività, «che le norme procedurali nazionali diano ai singoli l’effettiva possibilità di far valere i loro diritti».


36 – Sentenza Peterbroeck, cit., punto 21.


37 – Ibidem, punto 14. Lo stesso criterio di analisi è stato successivamente richiamato dalla Corte anche nella sentenza Cofidis, cit., punto 37.


38 – Sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, cit., punto 26.


39 – Sentenza Cofidis, cit., punti 33 e 34.


40 – Ibidem, punto 36.

Top