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Document 62005CC0281

    Conclusioni dell'avvocato generale Poiares Maduro del 4 luglio 2006.
    Montex Holdings Ltd contro Diesel SpA.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Bundesgerichtshof - Germania.
    Marchi - Direttiva 89/104/CEE - Diritto del titolare di un marchio di vietare il transito di merci recanti un segno identico nel territorio di uno Stato membro in cui il marchio gode di tutela - Fabbricazione illegale - Stato associato.
    Causa C-281/05.

    Raccolta della Giurisprudenza 2006 I-10881

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2006:444

    Conclusioni dell avvocato generale

    Conclusioni dell avvocato generale

    1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale, sottoposta dal Bundesgerichtshof (Germania), verte sostanzialmente sull’interpretazione dell’art. 5, nn. 1 e 3, della prima direttiva 89/104/CEE (2) . Più precisamente, si tratta di accertare se il titolare di un marchio registrato in uno Stato membro abbia il diritto di vietare il mero transito, nel territorio di tale Stato membro, di prodotti recanti un segno identico al suddetto marchio quando nello Stato membro di destinazione il marchio di cui trattasi non gode di tutela e i prodotti possono quindi essere liberamente commercializzati.

    I – Fatti della causa principale, ambito normativo e questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte

    2. La Diesel SpA (in prosieguo: «Diesel») è titolare del marchio DIESEL per i prodotti che rientrano nella classe 25, «Articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria» (3), protetto in particolare in Germania. La Montex Holdings Ltd (in prosieguo: la «Montex») commercia pantaloni jeans con la denominazione DIESEL in Irlanda, dove il marchio di cui è titolare la Diesel non gode di alcuna tutela.

    3. La Montex fabbrica pantaloni jeans esportando le singole componenti, ivi compresi i segni distintivi, mediante trasporto doganale sigillato, in Polonia, ove i pantaloni vengono cuciti, e portando successivamente i pantaloni finiti in Irlanda.

    4. Il 31 dicembre 2000, l’Hauptzollamt Löbau – Zollamt Zittau (ufficio doganale principale di Löbau – ufficio doganale di Zittau) (Germania) tratteneva una fornitura, destinata alla Montex, di 5 076 pantaloni da donna, munita del segno DIESEL, che un’impresa di trasporti ungherese avrebbe dovuto trasportare su autocarro dallo stabilimento di produzione polacco fino alla detta società, attraversando il territorio tedesco. I pantaloni dovevano essere trasportati, senza soluzione di continuità, dall’ufficio doganale polacco a quello di Dublino, ed erano stati sigillati (piombatura doganale) dall’amministrazione polacca contro eventuali asportazioni dal veicolo di trasporto durante il transito.

    5. La Montex ha proposto un reclamo contro l’ordine di sequestro delle merci in questione. Essa afferma che il mero transito dei prodotti nel territorio tedesco non lede alcun diritto di marchio. La Diesel sostiene invece che il transito costituisce un atto lesivo del suo diritto di marchio, dato il rischio che le merci vengano immesse sul mercato nel paese di transito. La Diesel ha chiesto pertanto che venga vietato alla Montex di far transitare o di consentire il transito delle sue merci nel territorio tedesco. Essa ha chiesto inoltre che la Montex sia condannata a dare il proprio consenso alla distruzione dei pantaloni sequestrati ovvero, a sua scelta, a provvedere alla rimozione e alla distruzione di tutte le etichette e degli altri segni distintivi con l’indicazione DIESEL e che sia obbligata a sopportare le spese della distruzione.

    6. Dopo essere stata condannata in primo e in secondo grado, la Montex ha proposto un ricorso per cassazione dinanzi al Bundesgerichtshof. Quest’ultimo ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1) Se il marchio di impresa registrato conferisca al suo titolare il diritto di vietare il transito di merci recanti il relativo segno.

    2) In caso di soluzione affermativa, se profili particolari di valutazione della questione possano risultare nell’ipotesi in cui il segno sia privo di tutela nel paese di destinazione.

    3) Nell’ipotesi di soluzione affermativa della prima questione, e indipendentemente dalla soluzione alla seconda questione, se debba operarsi una distinzione a seconda che le merci destinate ad uno Stato membro provengano da un altro Stato membro, da uno Stato associato ovvero da uno Stato terzo; se rilevi, al riguardo, il fatto che le merci siano state prodotte nel paese di origine legittimamente ovvero in violazione del diritto di contrassegno, ivi esistente, spettante al titolare del relativo marchio».

    7. Con tali questioni si chiede alla Corte di interpretare, segnatamente, l’art. 5 della direttiva sui marchi d’impresa, che disciplina i «Diritti conferiti dal marchio d’impresa» e dispone quanto segue:

    «1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

    a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

    b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa;

    (…)».

    8. Il n. 3 di tale articolo prevede: «[S]i può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

    a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

    b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

    c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

    d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità».

    9. Il regolamento (CE) n. 3295/94 (4), vigente all’epoca dei fatti, è parimenti pertinente all’analisi della causa . Il secondo e il terzo ‘considerando’ di detto regolamento sono del seguente tenore:

    «considerando che la commercializzazione di merci contraffatte, come pure la commercializzazione di merci usurpative, reca notevole pregiudizio ai fabbricanti e commercianti che rispettano le leggi, nonché ai titolari di diritti d’autore o diritti connessi e inganna i consumatori; che occorre impedire, per quanto possibile, l’immissione sul mercato della Comunità di tali merci e adottare a tal fine misure volte a contrastare efficacemente tale attività illegale, pur senza ostacolare la libertà del commercio legittimo; che tale obiettivo è peraltro conforme agli interventi nello stesso senso sul piano internazionale;

    considerando che, qualora le merci contraffatte o usurpative e merci assimilate siano importate da paesi terzi, occorre vietarne l’immissione in libera pratica nella Comunità o il vincolo ad un regime sospensivo, ed istituire una procedura adeguata che consenta l’intervento dell’autorità doganale per assicurare il rispetto di tale divieto nei migliori modi».

    10. L’art. 1, n. 1, di tale regolamento prevede:

    «1. Il presente regolamento stabilisce:

    a) le condizioni d’intervento delle autorità doganali qualora merci sospettate di essere merci di cui al paragrafo 2, lettera a):

    – siano dichiarate per l’immissione in libera pratica, l’esportazione o la riesportazione a norma dell’articolo 61 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (5) ;

    – siano scoperte, in occasione di un controllo effettuato su merci sotto vigilanza doganale a norma dell’articolo 37 del regolamento (CEE) n. 2913/92, vincolate ad un regime sospensivo ai sensi dell’articolo 84, paragrafo 1, lettera a), dello stesso regolamento, riesportate previa notifica o poste in zona franca o deposito franco ai sensi dell’articolo 166 dello stesso regolamento; e

    b) le misure che le autorità competenti devono prendere nei riguardi delle merci anzidette qualora si accerti che sono effettivamente merci di cui al paragrafo 2, lettera a)».

    11. Il n. 2, della stessa disposizione prevede: «Ai sensi del presente regolamento si intende per:

    a) “merci che violano un diritto di proprietà intellettuale”:

    – le “merci contraffatte”, vale a dire:

    – le merci, compreso il loro imballaggio, su cui sia stato apposto senza autorizzazione un marchio di fabbrica o di commercio identico a quello validamente registrato per gli stessi tipi di merci, o che non possa essere distinto nei suoi aspetti essenziali da tale marchio di fabbrica o di commercio e che pertanto violi i diritti del titolare del marchio in questione ai sensi della legislazione comunitaria o della legislazione dello Stato membro in cui è presentata la domanda per l’intervento delle autorità doganali;

    (…)».

    II – Analisi

    12. Le questioni poste dal giudice del rinvio possono essere riassunte sostanzialmente in una sola questione, per la quale occorre fornire un’unica soluzione: se il marchio conferisca al suo titolare il diritto di vietare il transito di merci recanti un segno identico al marchio, prodotte in un paese terzo, nel territorio di uno Stato membro in cui detto marchio è protetto, quando le merci hanno come destinazione finale uno Stato membro in cui possono essere liberamente commercializzate in quanto, in detto Stato, il marchio in questione non gode di tutela. Per risolvere tale questione occorre anzitutto stabilire chiaramente in quale regime doganale si trovassero le merci nel momento in cui sono state trattenute in Germania.

    13. Conformemente all’art. 91, n. 1, lett. a), del codice doganale, «[il[regime di transito esterno consente la circolazione da una località all’altra del territorio doganale della Comunità (...) di merci non comunitarie, senza che tali merci siano soggette ai dazi all’importazione e ad altre imposte, né alle misure di politica commerciale». Si tratta quindi di un regime che riguarda, in generale, le merci provenienti da paesi terzi che non si trovano in libera pratica nella Comunità.

    14. Ora, nella presente causa non si contesta il fatto che, come hanno rilevato in particolare il governo tedesco e la Commissione delle Comunità europee nelle loro osservazioni, le merci in questione si trovassero in un regime doganale sospensivo del transito esterno (6) nel momento in cui sono state trattenute alla dogana di Löbau, il 31 dicembre 2000. Si tratta, infatti, secondo il giudice del rinvio, di pantaloni da donna che provenivano dalla Polonia prima dell’adesione di tale Stato all’Unione europea, che non si trovavano in libera pratica nella Comunità.

    15. L’art. 92 del codice doganale prevede che «[i]l regime di transito esterno ha fine quando le merci e il documento corrispondente sono presentati in dogana all’ufficio doganale di destinazione conformemente alle disposizioni del regime in questione». Orbene, la procedura di sdoganamento e la rimozione dei sigilli doganali apposti sulle merci durante il transito dovrebbero avere luogo alla dogana irlandese. È quindi in Irlanda che le merci dovrebbero essere immesse in libera pratica, per la prima volta, nel territorio della Comunità.

    16. Come la Corte ha dichiarato al punto 34 della sentenza Polo/Lauren (7), il transito esterno di merci non comunitarie si basa su una finzione giuridica. Durante il transito esterno, le merci non sono assoggettate ai dazi all’importazione corrispondenti né alle altre misure di politica commerciale. È come se, prima dell’immissione in libera pratica delle merci che dovrebbe aver luogo in Irlanda, esse non fossero mai entrate nel territorio comunitario.

    17. La Repubblica di Polonia non era ancora uno Stato membro dell’Unione nel momento in cui le merci in questione, in provenienza da detto Stato, sono state sottoposte a sequestro, in Germania, durante il transito a destinazione dell’Irlanda. Di conseguenza, nell’ambito della soluzione da fornire al giudice del rinvio, non occorre prendere in considerazione l’ipotesi che le merci provenissero dalla Polonia dopo l’adesione di questo nuovo Stato all’Unione. L’unica questione pertinente, a tale proposito, è se la circostanza che la Repubblica di Polonia, alla data del sequestro delle merci in Germania, non fosse stata semplicemente un paese terzo bensì un paese associato (8), sia atta a modificare l’analisi della controversia. Ritengo che tale questione debba essere risolta in senso negativo.

    18. L’accordo di associazione mirava semplicemente a costituire un ambito adeguato in vista della progressiva integrazione della Repubblica di Polonia nella Comunità, ai fini della sua eventuale adesione, mentre l’obiettivo del Trattato CE consiste nella creazione di un mercato interno (9) . Benché, in tale contesto, l’accordo di associazione prevedesse la creazione progressiva di una zona di libero commercio tra la Comunità e la Polonia (10), ciò non implicava che le merci di cui è causa abbiano cessato di trovarsi in regime doganale di transito esterno nel momento in cui sono state trattenute in Germania, il 31 dicembre 2000. Le merci in discussione nella presente causa sono originarie della Polonia e la Polonia costituisce effettivamente parte integrante del territorio doganale della Comunità solo dal 1° maggio 2004.

    19. Fatta questa parentesi, vengo quindi alla questione principale del caso di specie, cioè se il titolare del marchio in Germania abbia il diritto di vietare il transito esterno di merci in tale territorio in quanto detto transito comporterebbe una violazione de i suoi diritti di marchio in Germania.

    20. L’art. 5, n. 1, della direttiva sui marchi d’impresa prevede che il titolare può vietare ai terzi di utilizzare nel commercio senza il suo consenso qualsiasi segno identico o che possa dare luogo a confusione con il marchio registrato. Il n. 3 di tale articolo contiene un elenco, non esaustivo, di usi nel commercio che il titolare del marchio può vietare. Fra tali usi rientrano l’importazione e l’esportazione, ma non il transito esterno, che è precisamente la situazione di cui trattasi nella presente causa.

    21. La Corte ha espressamente ricordato, nella sentenza 18 ottobre 2005, Class International (11), che le merci non comunitarie, quando vengono introdotte nella Comunità in regime di transito esterno o di deposito doganale, non si trovano in libera pratica nella Comunità. Pertanto, la mera introduzione materiale di tali merci nel territorio della Comunità, nell’ambito di un transito esterno o di un regime di deposito doganale, non costituisce «importazione» ai sensi dell’art. 5, n. 3, lett. c), della direttiva sui marchi d’impresa e non implica un «uso [del marchio] nel commercio» ai sensi del n. 1 di tale disposizione (12) .

    22. La Corte ha quindi concluso, nella sentenza citata, che l’art. 5, nn. 1 e 3, lett. c), della direttiva sui marchi d’impresa dev’essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio non può opporsi alla mera introduzione nella Comunità, in base al regime doganale di transito esterno, di prodotti che recano tale marchio e che, precedentemente, non sono già stati immessi in commercio nella Comunità dal detto titolare o con il suo consenso (13) .

    23. Ne consegue in sostanza che, secondo la giurisprudenza della Corte, per stabilire se l’introduzione di merci in uno Stato membro, ad esempio nell’ambito di un transito esterno, implichi un uso nel commercio e, pertanto, una violazione del marchio in tale Stato membro, occorre prendere in considerazione la funzione del marchio (14) . Il titolare può far valere il diritto di vietare l’uso del marchio da parte di un terzo solo nel caso in cui detto uso pregiudichi le funzioni del marchio e, in particolare, la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto (15) .

    24. Si deve quindi accertare se un transito, quale quello in discussione nel caso di specie, sia idoneo a pregiudicare gli interessi della Diesel in quanto titolare del marchio in Germania, tenuto conto delle funzioni essenziali di tale marchio.

    25. La commercializzazione dei prodotti è decisiva a tale proposito. Infatti, è l’immissione in commercio dei prodotti nello Stato di transito in cui il marchio è protetto che può pregiudicare le funzioni essenziali del marchio in detto Stato. Per tale motivo, la Corte, nella sentenza Class International, sopramenzionata, ha dichiarato che l’introduzione di prodotti nel territorio di uno Stato membro può essere vietata dal titolare del marchio se tali prodotti vengono introdotti nel territorio della Comunità in cui il marchio è protetto «al fine di esservi immessi in commercio» (16) .

    26. L’importanza fondamentale attribuita alla commercializzazione dei prodotti al fine di constatare l’esistenza di una violazione dei diritti del titolare del marchio nello Stato di transito risulta chiaramente anche dalla sentenza Commissione/Francia (17) e dalla successiva sentenza Rioglass e Transremar (18) . Anche se queste due sentenze riguardano la libertà di circolazione delle merci comunitarie, ne emerge che, sotto il profilo del diritto di proprietà industriale, solo gli atti di commercializzazione dei prodotti sono atti a pregiudicare gli interessi del titolare nello Stato di transito. Ne consegue che, in mancanza di tali atti, non si può constatare l’esistenza di una violazione dei diritti del titolare del marchio nello Stato di transito.

    27. Nella sentenza Commissione/Francia, sopramenzionata, la Corte ha sottolineato che «il transito (…) non risulta pertanto nell’oggetto specifico del diritto di proprietà industriale» (19) . Quando il prodotto di cui trattasi è effettivamente destinato ad essere « commercializzato non sul territorio francese, ove transita soltanto, ma in un altro Stato membro» (20) in cui non è protetto e può quindi essere venduto legalmente, non si può affermare che sussiste una violazione del diritto di proprietà industriale nello Stato di transito. Nella seconda sentenza, Rioglass e Transremar, sopramenzionata, la Corte ha quindi concentrato l’attenzione sulla commercializzazione dei prodotti nello Stato di transito e ha concluso che «un transito (…) non implica alcuna immissione in commercio delle merci in questione e non è quindi idoneo a pregiudicare l’oggetto specifico del diritto di marchio» (21) .

    28. Orbene, nell’ambito di un transito quale quello del caso di specie, può constatarsi una violazione dei diritti del titolare del marchio nello Stato di transito solo nel caso in cui si possa fondatamente supporre che i prodotti saranno commercializzati in tale Stato. Ci si deve quindi domandare quali siano gli indizi pertinenti sui quali può fondarsi siffatta presunzione. In mancanza di tali indizi, un semplice transito esterno non può essere idoneo a pregiudicare le funzioni essenziali del marchio di cui è titolare la Diesel in Germania.

    29. Contrariamente a quanto ha sostenuto la Diesel nelle sue osservazioni scritte e in udienza, il semplice rischio che i prodotti non giungano alla destinazione prevista in Irlanda e possano teoricamente essere oggetto di una commercializzazione fraudolenta in Germania non consente, di per sé, di affermare che il transito pregiudica le funzioni essenziali del marchio in Germania. Se si dovesse seguire questa tesi, ciò implicherebbe che qualsiasi transito esterno di merci recanti il segno dovrebbe essere considerato un uso del marchio nel commercio ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva sui marchi d’impresa. Ebbene, siffatta conclusione contrasterebbe con la giurisprudenza della Corte citata in precedenza.

    30. A priori, è logico supporre che, nel caso di specie, la Montex commercializzerà i suoi prodotti in Irlanda, dove può farlo legalmente. È vero che la Montex potrebbe conseguire vantaggi immediati qualora commercializzasse illegalmente i suoi prodotti negli Stati membri in cui la Diesel SpA ha debitamente registrato il proprio marchio. Tuttavia, tale strategia comporterebbe per la Montex perdite molto consistenti anche nel breve periodo. Infatti, effettuando una siffatta commercializzazione illegale, diverrebbe sempre più difficile far arrivare i prodotti in Irlanda in regime doganale di transito esterno, attraverso il territorio di altri Stati membri in cui il marchio è protetto, con un maggior rischio che le merci vengano sequestrate dalle autorità degli Stati di transito.

    31. A mio parere, il transito esterno dei prodotti della Montex recanti il segno DIESEL, mediante trasporto sigillato, non costituisce, a prima vista, una violazione dei diritti afferenti al marchio di cui la Diesel è titolare in Germania. Tale transito non presenta punti di contatto con il circuito commerciale di detto Stato che possano pregiudicare le funzioni del marchio. È vero che spetta al giudice nazionale effettuare tale verifica in base alle circostanze del caso di specie. In ogni caso, nell’ambito di tale verifica, si deve tener conto del fatto che l’eventuale rischio che durante il transito vengano commessi abusi è palesemente insufficiente per equiparare un mero transito esterno a un uso del segno nel commercio ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 3, della direttiva sui marchi d’impresa.

    32. Si può constatare una violazione dei diritti di marchio nello Stato di transito solo in presenza di indizi che consentano ragionevolmente di supporre che i prodotti recanti il segno DIESEL non saranno commercializzati esclusivamente in Irlanda, ma anche in altri Stati nei quali il marchio gode di tutela, compreso lo Stato di transito. Tuttavia, quali indizi si devono considerare idonei a rendere fondato il sospetto che la Montex commercializzerà i suoi prodotti in Germania?

    33. Il giudice del rinvio s’interroga sull’importanza da attribuire al carattere legittimo o illegittimo della fabbricazione dei prodotti nel paese d’origine ai fini dell’analisi del caso di specie. Passo ora ad esaminare tale questione per accertare l’eventuale rilevanza di una circostanza del genere al fine di stabilire se sussista una violazione dei diritti del titolare del marchio nello Stato di transito. Terminerò quindi con l’esame del regolamento n. 3295/94 e della giurisprudenza della Corte relativa all’interpretazione di tale regolamento, onde stabilire la rilevanza di quest’ultimo ai fini della soluzione da dare alle questioni sottoposte nella presente causa.

    A – Carattere legittimo o illegittimo della fabbricazione nei paesi terzi di provenienza dei prodotti

    34. Contrariamente a quanto hanno sostenuto il governo tedesco e la Commissione, non ritengo che il carattere legittimo o illegittimo della fabbricazione delle merci in Polonia sia determinante per risolvere la questione se sussista una violazione dei diritti della Diesel in Germania, in quanto titolare del marchio in detto Stato membro.

    35. Da un lato, non si potrebbe far dipendere la verifica di una lesione delle funzioni essenziali del marchio nel territorio dello Stato membro in cui le merci si trovano in regime di transito esterno da un accertamento relativo al carattere legittimo o illegittimo della fabbricazione delle merci nel paese terzo d’origine. Di fatto, ciò obbligherebbe le autorità dello Stato di transito a conoscere il diritto dei marchi del paese terzo, qualunque esso sia, in cui sono state prodotte le merci.

    36. D’altro canto, ritengo che i soli indizi pertinenti per constatare l’esistenza di una lesione dei diritti di marchio della Diesel in Germania siano quelli sui quali può fondarsi il sospetto che i prodotti in transito saranno commercializzati dalla Montex non in Irlanda, ma piuttosto nello Stato di transito. Se si accerta che la Montex effettua, o ha effettuato in passato, la commercializzazione dei suoi prodotti recanti il segno DIESEL nello Stato di transito o in un altro paese, sia anche un paese terzo, nel quale la Diesel fruisce di una tutela per il marchio, ciò costituisce un indizio decisivo per ritenere fondata tale sospetto.

    37. Spetta in ogni caso al giudice nazionale verificare se elementi di cui sia venuto a conoscenza dimostrino che la Montex si è attivata, in Germania o in un altro paese in cui il marchio di cui è titolare la Diesel è protetto, a immettere in commercio i propri prodotti recanti il segno DIESEL.

    B – Il regolamento n. 3295/94

    38. L’interpretazione dell’art. 5 della direttiva sui marchi d’impresa, di cui trattasi nel caso di specie, non può essere rimessa in discussione dalla presa in considerazione del regolamento n. 3295/94 e della giurisprudenza della Corte relativa alle misure da adottare per quanto riguarda l’introduzione nella Comunità di merci contraffatte, usurpative o merci assimilate.

    39. Occorre rammentare che la Corte ha dichiarato nella sentenza Rolex (22), relativa all’interpretazione del regolamento n. 3295/94, che detto regolamento vieta il mero transito di merci contraffatte o usurpative nel territorio di uno Stato membro a destinazione di un paese terzo e che occorre sanzionare tale transito. Nella sentenza citata, infatti, la Corte ha dichiarato che l’art. 1 del regolamento n. 3295/94 dev’essere interpretato nel senso che si applica allorché determinate merci, importate da un paese terzo, mentre transitano verso un altro paese terzo, vengono bloccate su richiesta del titolare dei diritti la cui violazione è stata denunciata (23) . Ne consegue che, come ha del pari dichiarato la Corte, quando «le disposizioni rilevanti del diritto nazionale non vietano e dunque non puniscono il mero transito nel territorio dello Stato membro interessato di merci contraffatte, come tuttavia richiesto dagli artt. 2 e 11 del regolamento n. 3295/94, si dovrebbe concludere che questi ultimi contrastano con le dette disposizioni nazionali» (24) .

    40. Orbene, non ritengo che da tale regolamento e dalla giurisprudenza citata della Corte possa dedursi che un mero transito dev’essere considerato idoneo a determinare una violazione dei diritti del titolare del marchio nello Stato di transito. A tale proposito, condivido la posizione della Commissione, secondo cui il regolamento n. 3295/94 disciplina, da un lato, le condizioni d’intervento delle autorità doganali sulle merci sospettate di essere merci contraffate (25) e, dall’altro, le misure che le autorità doganali devono prendere nei riguardi di tali merci (26) . Il regolamento in questione non riguarda invece il giudizio, sotto il profilo del diritto dei marchi, relativo alla questione se i diritti di marchio siano stati violati e quando si verifichi un uso del segno che possa essere vietato in quanto lesivo del diritto di marchio.

    41. Orbene, come ho già rilevato, in mancanza di un sospetto fondato che i prodotti recanti un segno identico al marchio saranno commercializzati nello Stato membro di transito in violazione dei diritti del titolare del marchio in tale Stato, il mero transito non è, di per sé, idoneo a pregiudicare le funzioni essenziali del marchio. Pertanto, non può verificarsi alcuna violazione dei diritti del titolare del marchio nello Stato di transito.

    42. Per contro, allorché un tale sospetto di commercializzazione illegale risulta fondato, sussiste una violazione dei diritti di marchio. In ogni caso, siffatta violazione non risulta dal semplice transito, bensì da circostanze che rivelano l’esistenza di un rischio reale e concreto che le merci vengano commercializzate illegalmente nello Stato membro di transito o in un altro Stato in cui il marchio è protetto.

    43. Proprio il fatto che, nelle cause Polo/Lauren e Rolex, citate, le merci controverse sarebbero state molto probabilmente commercializzate illegalmente nella Comunità ha indotto la Corte ha ritenere che nei loro confronti dovessero adottarsi le misure d’intervento previste dal regolamento n. 3295/94, anche se le merci in questione si trovavano in un regime di transito esterno. L’importanza fondamentale della circostanza che le merci di cui trattasi siano commercializzate illegalmente emerge dal secondo e terzo ‘considerando’ del regolamento n. 3295/94 (27) . La stessa Corte ha espressamente constatato, nella sentenza Polo/Lauren, citata, che le merci controverse «vincolate al regime del transito esterno rischiano di essere fraudolentemente introdotte nel mercato comunitario» (28) . A differenza della situazione oggetto della presente causa, le merci in discussione nella causa Polo/Lauren, citata, non si trovavano in regime di transito esterno a destinazione di uno Stato membro in cui potevano essere liberamente commercializzate.

    44. Quest’ultima circostanza, constatata nel caso di specie, e beninteso, la mancanza di indizi che consentano di supporre fondatamente che le merci saranno commercializzate nello Stato di transito, sono decisive per concludere che il regolamento n. 3295/94 non è pertinente al fine di constatare l’esistenza di un uso del segno che possa essere vietato in quanto idoneo a pregiudicare i diritti del titolare del marchio nello Stato di transito.

    45. Alla luce delle precedenti considerazioni, ritengo che la Corte debba risolvere le questioni sottoposte dal giudice del rinvio dichiarando che l’art. 5, nn. 1 e 3, della direttiva sui marchi d’impresa dev’essere interpretato nel senso che il marchio registrato non conferisce al titolare il diritto di vietare il mero transito di merci recanti un segno identico al detto marchio in mancanza di indizi secondo cui il proprietario delle merci si attivi o si sia attivato a compiere atti destinati ad immettere in commercio i suoi prodotti in Stati nei quali il marchio gode di tutela. Spetta al giudice nazionale accertare se tali indizi sussistano nel caso di specie.

    III – Conclusione

    46. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sottopostele dal Bundesgerichtshof come segue: «L’art. 5, nn. 1 e 3, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1998, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, dev’essere interpretato nel senso che il marchio registrato non conferisce al titolare il diritto di vietare il mero transito di merci recanti un segno identico al detto marchio in mancanza di indizi secondo cui il proprietario delle merci si attivi o si sia attivato a compiere atti destinati ad immettere in commercio i suoi prodotti in Stati nei quali il marchio gode di tutela. Spetta al giudice nazionale accertare se tali indizi sussistano nel caso di specie».

    (1) .

    (2)  – Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva sui marchi»).

    (3)  – Conformemente all’accordo di Nizza del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato.

    (4)  – Regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3295, che fissa misure riguardanti l’introduzione nella Comunità, l’esportazione e la riesportazione dalla Comunità di merci che violano taluni diritti di proprietà intellettuale (GU L 341, pag. 8), come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 25 gennaio 1999, n. 241 (GU L 27, pag. 1). Il regolamento n. 3295/94 è stato sostituito, con effetto dal 1° luglio 2004, dal regolamento (CE) del Consiglio 22 luglio 2003, n. 1383, relativo all’intervento dell’autorità doganale nei confronti di merci sospettate di violare taluni diritti di proprietà intellettuale e alle misure da adottare nei confronti di merci che violano tali diritti (GU L 196, pag. 7).

    (5)  – GU L 302, pag. 1, in prosieguo: il «codice doganale».

    (6)  – V. art. 84, n. 1, lett. a), del codice doganale.

    (7)  – Sentenza 6 aprile 2000, causa C-383/98, (Racc. pag. I‑2519).

    (8)  – Conformemente all’accordo che sancisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Polonia, dall’altra, concluso e approvato a nome della Comunità con decisione CECA, Euratom, del Consiglio e della Commissione 13 dicembre 1993, 93/743/CE (GU L 348, pag. 1; in prosieguo: l’«accordo di associazione»).

    (9)  – Sentenza 27 settembre 2001, causa C‑63/99, Gloszczuk (Racc. pag. I‑6369, punto 50).

    (10)  – V. art. 7 dell’accordo di associazione e art. 2 del protocollo n. 1 dell’accordo di associazione, sui prodotti tessili e sui capi d’abbigliamento.

    (11)  – Causa C‑405/03 (Racc. pag. I‑8735, punti 36 e 37).

    (12)  – Ibid., punto 44.

    (13)  – Ibid., punto 50.

    (14)  – Come ha ricordato l’avvocato generale Jacobs nelle conclusioni relative alla causa Class International, citata, paragrafo 28.

    (15)  – Sentenza 12 novembre 2002, causa C-206/01, Arsenal Football Club (Racc. pag. I-10273, punto 51). Come la Corte ha dichiarato a più riprese, «la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio, consentendo loro di distinguere senza confusione possibile questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa». V. sentenze 23 maggio 1978, causa 102/77, Hoffmann‑La Roche (Racc. pag. 1139, punto 7); 18 giugno 2002, causa C‑299/99, Philips (Racc. pag. I‑5475, punto 30) e Arsenal Football Club, sopramenzionata, punto 48.

    (16)  – Sentenza Class International, citata, punto 34. V. anche punti 58 e 59.

    (17)  – Sentenza 26 settembre 2000, causa C‑23/99 (Racc. pag. I‑7653).

    (18)  – Sentenza 23 ottobre 2003, causa C‑115/02 (Racc. pag. I‑12705).

    (19)  – Punto 43.

    (20)  – Sentenza Commissione/Francia, citata, punto 44 (il corsivo è mio).

    (21)  – Sentenza Rioglass e Transremar, citata, punto 27.

    (22)  – Sentenza 7 gennaio 2004, causa C-60/02, X, detta «Rolex» (Racc. pag. I-651).

    (23)  – Ibid., punto 54. V. anche sentenza Polo/Lauren, citata, punto 29.

    (24)  – Sentenza Rolex, citata, punto 58.

    (25)  – V. art. 1, n. 1, lett. a), del regolamento n. 3295/94.

    (26)  – V. art. 1, n. 1, lett. b), del regolamento n. 3295/94.

    (27)  – V. paragrafo 9 delle presenti conclusioni.

    (28)  – Punto 34.

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