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Document 62005CC0279

Conclusioni dell'avvocato generale Sharpston del 7 giugno 2006.
Vonk Dairy Products BV contro Productschap Zuivel.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: College van Beroep voor het bedrijfsleven - Paesi Bassi.
Agricoltura - Organizzazione comune dei mercati - Formaggio - Artt. 16-18 del regolamento (CEE) n. 3665/87 - Restituzioni all'esportazione differenziate - Riesportazione quasi immediata dal paese d'importazione - Prova di una pratica illecita - Ripetizione dell'indebito - Art. 3, n. 1, secondo comma, del regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95 - Irregolarità permanente o ripetuta.
Causa C-279/05.

Raccolta della Giurisprudenza 2007 I-00239

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2006:373

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

SHARPSTON

presentate il 7 giugno 2006 1(1)

Causa C‑279/05

Vonk Dairy Products BV

contro

Productschap Zuivel






1.        Nel presente rinvio pregiudiziale si chiede alla Corte di interpretare le disposizioni che regolano il recupero delle restituzioni erogate per promuovere le esportazioni di prodotti lattiero-caseari (2) dalla Comunità quando tali prodotti siano stati successivamente riesportati in un diverso paese di destinazione. La questione si pone poiché prodotti esportati negli Stati Uniti sono stati successivamente riesportati in Canada: le esportazioni effettuate direttamente dalla Comunità in Canada avrebbero beneficiato di un’aliquota di restituzione inferiore rispetto a quella pagabile per le esportazioni verso gli Stati Uniti.

2.        In particolare, il College van beroep voor het bedrijfsleven (Tribunale amministrativo per il Commercio e l’Industria) dei Paesi Bassi chiede se, una volta divenuta definitiva, la restituzione in questione possa essere considerata un «pagamento indebito» solo nel caso di abuso da parte dell’esportatore, ovvero, in caso contrario, in quali circostanze possa essere considerata come tale. Il giudice del rinvio chiede anche delucidazioni sui presupposti in base ai quali stabilire se una «irregolarità» sia permanente o ripetuta ai sensi della normativa applicabile.


 Normativa comunitaria applicabile

 Il sistema delle restituzioni alle esportazioni per il latte e i prodotti lattiero‑caseari

3.        All’epoca delle operazioni in questione, la disciplina generale per la concessione delle restituzioni differenziate all’esportazione di latte e prodotti lattiero‑caseari era stabilita dall’art. 17 del regolamento (CEE) n. 804/68 (3) relativo all’organizzazione dei mercati di tali prodotti.

4.        Il regolamento (CEE) n. 876/68 (4) conteneva le norme di attuazione relative alla concessione delle restituzioni all’esportazione nel settore del latte e di prodotti lattiero-caseari.

5.        L’art. 4 del detto regolamento stabiliva che le restituzioni dovevano essere differenziate in base alla destinazione dei prodotti qualora le condizioni di mercato lo avessero reso necessario.

6.        L’art. 6 così disponeva:

«1. La restituzione è pagata quando è fornita la prova che i prodotti:

- sono stati esportati fuori della Comunità, e

- sono di origine comunitaria (...)

2. In caso di applicazione delle disposizioni dell’articolo 4, la restituzione è pagata alle condizioni di cui al paragrafo 1, purché venga fornita la prova che il prodotto ha raggiunto la destinazione per la quale è stata fissata la restituzione».


 Restituzione all’esportazione per il formaggio pecorino

7.        È noto che, all’epoca in cui si sono svolti i fatti della causa principale, le restituzioni per il formaggio pecorino erano fissate a tassi sistematicamente superiori per le esportazioni verso gli Stati Uniti rispetto alle esportazioni verso il Canada.

 Norme dettagliate sulle restituzioni all’esportazione applicabili all’epoca dei fatti della causa principale

8.        All’epoca dei fatti il regolamento (CEE) n. 3665/87 (5) stabiliva norme dettagliate sull’applicazione del regime delle restituzioni all’esportazione in generale, comprese le restituzioni relative al latte e ai prodotti lattiero-caseari. Alcuni ‘considerando’ sottolineavano l’importanza di assicurare che i prodotti la cui esportazione era promossa mediante tali restituzioni raggiungessero effettivamente il mercato nel paese terzo di destinazione dichiarato (6).

9.        L’art. 4, n. 1, così recitava:

«Fatto salvo il disposto degli articoli 5 e 16, il pagamento della restituzione è subordinato alla presentazione della prova che i prodotti per i quali è stata accettata la dichiarazione di esportazione hanno, nel termine massimo di 60 giorni da tale accettazione, lasciato come tal[i] il territorio doganale della Comunità».

10.      L’art. 5 così recitava:

«1.   Il versamento della restituzione, sia essa differenziata o meno, è subordinato, oltre alla condizione che il prodotto abbia lasciato il territorio doganale della Comunità, alla condizione che esso – salvo deperimento durante il trasporto per un caso di forza maggiore – sia stato importato in un paese terzo ed eventualmente in un paese terzo determinato, entro 12 mesi dalla data di accettazione della dichiarazione d’esportazione:

a)     allorché sussistano seri dubbi circa la destinazione effettiva del prodotto,

(...)

Tuttavia dei termini supplementari possono essere concessi (…)

Nei casi di cui al primo comma si applicano le disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 3, e dell’articolo 18.

Inoltre, i servizi competenti degli Stati membri possono esigere prove supplementari atte a dimostrare, in maniera giudicata soddisfacente dalle autorità competenti, che il prodotto è stato effettivamente immesso come tale sul mercato del paese terzo d’importazione.

2.     (…)

Ove sussistano seri dubbi circa la destinazione effettiva del prodotto, la Commissione può chiedere agli Stati membri di applicare le disposizioni di cui al paragrafo 1.

(…)».

11.      Gli artt. 16‑21 del regolamento n. 3665/87 stabilivano una normativa dettagliata e specifica applicabile alle restituzioni all’esportazione differenziate.

12.      L’art. 16 subordinava il pagamento di siffatte restituzioni alle condizioni aggiuntive di cui agli artt. 17 e 18.

13.      L’art. 17, n. 1, così recitava:

«Il prodotto deve essere stato importato come tale nel paese terzo o in uno dei paesi terzi per i quali è prevista la restituzione entro 12 mesi dalla data di accettazione della dichiarazione d’esportazione(...)».

14.      L’art. 17, n. 3, stabiliva quanto segue:

«Il prodotto si considera importato quando sono state espletate le formalità doganali di immissione in consumo nel paese terzo».

15.      L’art. 18 conteneva un elenco tassativo delle prove documentali che gli esportatori erano tenuti a produrre per dimostrare l’espletamento delle formalità doganali di immissione in consumo (7). In tale elenco figurava una copia del documento di trasporto.

16.      L’art. 19 autorizzava gli Stati membri a dispensare l’esportatore dalla presentazione delle prove di cui all’art. 18, diverse dal documento di trasporto, al di sotto di un determinato valore della restituzione, «per un’operazione che offra garanzie sufficienti circa l’arrivo a destinazione dei prodotti oggetto di una dichiarazione d’esportazione» (8).

17.      Gli artt. 22 e 23 stabilivano, per quanto rileva nel caso di specie, quanto segue:

«Articolo 22:

1       Su richiesta dell’esportatore, gli Stati membri anticipano, del tutto o in parte, l’importo della restituzione non appena sia stata accettata la dichiarazione d’esportazione, a condizione che il rimborso di detto anticipo, maggiorato del 15 %, sia garantito mediante costituzione di una cauzione.

Gli Stati membri possono determinare le condizioni alle quali è possibile chiedere l’anticipo di una parte della restituzione.

2.     L’importo dell’anticipo è calcolato tenuto conto del tasso della restituzione applicabile per la destinazione dichiarata (…) (9).

Articolo 23

1.     Se la somma anticipata supera l’importo effettivamente dovuto per l’esportazione in causa o per un’esportazione equivalente, l’esportatore rimborsa la differenza fra questi due importi, maggiorata del 15%.

(…)».

 Modifiche successive

18.      Poco dopo l’ultima operazione di esportazione che ha dato luogo al presente rinvio pregiudiziale, il regolamento (CE) n. 2945/94 (10) ha introdotto una modifica all’art. 11 (11) del regolamento n. 3665/87. Il primo ‘considerando’ del regolamento n. 2945/94 stabiliva che, alla luce dell’esperienza acquisita, doveva essere potenziata la lotta contro le irregolarità e, in particolare, contro le frodi a danno del bilancio comunitario e che a tal fine era necessario adottare disposizioni per il recupero degli importi indebitamente versati. Il quinto ‘considerando’ affermava che l’esperienza acquisita e le irregolarità ‑ in particolare le frodi ‑ già accertate in tale contesto dimostravano che tale misura era necessaria, proporzionata e sufficientemente dissuasiva. Il regolamento n. 2945/94 ha poi sostituito l’art. 11 del regolamento n. 3665/87 con il seguente testo:

«1.   Qualora si constati che, per ottenere una restituzione all’esportazione, un esportatore ha chiesto una restituzione superiore a quella spettante, la restituzione dovuta è quella relativa all’effettiva esportazione ridotta di un importo pari:

a)      a metà della differenza tra la restituzione richiesta e la restituzione relativa all’effettiva esportazione;

b)      al doppio della differenza tra la restituzione richiesta e la restituzione dovuta, qualora l’esporta[tore] abbia fornito deliberatamente false informazioni.

(…)

3.     (…) in caso di pagamento indebito di una restituzione il destinatario è tenuto a rimborsare gli importi indebitamente percepiti - incluse eventuali sanzioni in forza del paragrafo 1, primo comma - maggiorati di un interesse calcolato in funzione del periodo trascorso tra il pagamento e il rimborso. Tuttavia,

–        qualora l’obbligo del rimborso sia garantito da una cauzione non ancora svincolata, l’incameramento della stessa a norma dell’articolo 23, paragrafo 1 o dell’articolo 33, paragrafo 1 costituisce il rimborso degli importi dovuti;

–        qualora la cauzione sia stata svincolata, il destinatario versa l’importo della cauzione che sarebbe stato incamerato, maggiorato di interessi calcolati a partire dalla data dello svincolo fino al giorno precedente la data del pagamento.

(…)».

19.      Tale modifica è entrata in vigore il 1° aprile 1995.


 Irregolarità finanziarie

20.      Il regolamento (CEE) n. 729/70 (12) stabiliva in linea generale le condizioni relative al finanziamento della politica agricola comune. L’art. 1, n. 2, stabiliva che la sezione garanzia del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (in prosieguo: «il FEAOG») avrebbe finanziato le restituzioni all’esportazione.

21.      L’art. 8, n. 1, del regolamento n. 729/70 poneva a carico degli Stati membri l’obbligo specifico di accertare che le operazioni finanziate dal FEAOG fossero reali e regolari, di prevenire e perseguire le irregolarità e di recuperare le somme perse a seguito di irregolarità o negligenza.

22.      Successivamente, il regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95 (13) ha dettato disposizioni procedurali specifiche a livello comunitario per la gestione delle «irregolarità».

23.      L’art. 1 dispone quanto segue:

«1.   Ai fini della tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee è adottata una normativa generale relativa a dei controlli omogenei e a delle misure e sanzioni amministrative riguardanti irregolarità relative al diritto comunitario.

2.     Costituisce “irregolarità” qualsiasi violazione di una disposizione del diritto comunitario derivante da un’azione o un’omissione di un operatore economico che abbia o possa avere come conseguenza un pregiudizio al bilancio generale delle Comunità o ai bilanci da queste gestite, attraverso la diminuzione o la soppressione di entrate provenienti da risorse proprie percepite direttamente per conto delle Comunità, ovvero una spesa indebita».

24.      L’art. 3 così recita:

«1.   Il termine di prescrizione delle azioni giudiziarie è di quattro anni a decorrere dall’esecuzione dell’irregolarità di cui all’articolo 1, paragrafo 1. Tuttavia, le normative settoriali possono prevedere un termine inferiore e comunque non inferiore a tre anni.

Per le irregolarità permanenti o ripetute, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui cessa l’irregolarità. (...)

La prescrizione delle azioni giudiziarie è interrotta per effetto di qualsiasi atto dell’autorità competente, portato a conoscenza della persona interessata, che abbia natura istruttoria o che sia volto a perseguire l’irregolarità. Il termine di prescrizione decorre nuovamente dal momento di ciascuna interruzione.

Tuttavia, la prescrizione è acquisita al più tardi il giorno in cui sia giunto a scadenza un termine pari al doppio del termine di prescrizione senza che l’autorità competente abbia irrogato una sanzione (…).

(…)

3.     Gli Stati membri mantengono la possibilità di applicare un termine più lungo di quello previsto rispettivamente al [paragrafo 1]».

25.      L’art. 4 così recita:

«1.   Ogni irregolarità comporta, in linea generale, la revoca del vantaggio indebitamente ottenuto:

–        mediante l’obbligo di (...) rimborsare gli importi (...) indebitamente percetti;

(…)

2.     L’applicazione delle misure di cui al paragrafo 1 è limitata alla revoca del vantaggio indebitamente ottenuto aumentato, se ciò è previsto, di interessi che possono essere stabiliti in maniera forfettaria.

3.     Gli atti per i quali si stabilisce che hanno per scopo il conseguimento di un vantaggio contrario agli obiettivi del diritto comunitario applicabile nella fattispecie, creando artificialmente le condizioni necessarie per ottenere detto vantaggio, comportano (...) la revoca del vantaggio stesso.

4.     Le misure previste dal presente articolo non sono considerate sanzioni».


 Fatti e procedimento nazionale

26.      La Vonk Dairy Products (in prosieguo: la «Vonk») è una società con sede nei Paesi Bassi. Nel periodo compreso fra il 1988 e il 1994 la Vonk ha esportato annualmente circa 300 partite di formaggio pecorino negli Stati Uniti.

27.      L’Algemene Inspectiedienst (ispettorato generale del Ministero dell’agricoltura, natura e qualità alimentare; in prosieguo: l’«AID») ha effettuato dei controlli sull’attività della Vonk. Da tali controlli è risultato che fra il 1988 e il 1994 la Vonk aveva esportato 75 partite (14) di formaggio negli Stati Uniti, le quali erano state poi esportate in Canada.

28.      L’ordinanza di rinvio pregiudiziale riporta alcuni estratti del rapporto ufficiale dell’AID del 5 marzo 1997 al Ministero cui appartiene. Fra l’altro si legge:

«l’amministrazione doganale di New York, USA, su richiesta dell’Algemene Inspectiedienst, ha svolto un’inchiesta presso l’Orlando Food Corporation, New Jersey, una degli acquirenti dei formaggi italiani della Vonk Dairy Products BV (...). A seguito dell’inchiesta svolta dall’amministrazione doganale statunitense il 5 luglio 1996 è stata aperta un’indagine dal procuratore di Roermond (…) contro la (…) Vonk Dairy Products BV (…)

(...)

Dall’inchiesta emerge che negli anni 1988-1994 la Vonk Dairy Products BV ha esportato 75 containers di formaggio italiano verso la Orlando Food Corporation, USA, e che successivamente lo stesso formaggio italiano è stato trasportato verso acquirenti in Canada, in primo luogo a destinazione della National Cheese & Food Company, Ontario. Detti 75 containers di formaggio riguardavano un quantitativo di circa 1,47 milioni di kg di formaggio. La Vonk Dairy Products BV ha chiesto le restituzioni all’esportazione per detto quantitativo, destinato agli Stati Uniti d’America, e ha ricevuto circa NLG 8,1 milioni [circa EUR 3 675 000].

Dall’indagine risulta altresì che, riguardo alle suddette esportazioni di formaggio, si è svolta una corrispondenza fra la Vonk Dairy Products BV e la National Cheese & Food Company.

Dall’indagine risulta che il ruolo svolto dalla Vonk Dairy Products BV non si limita alle esportazioni di formaggio italiano negli Stati Uniti d’America, ma che la stessa Vonk Dairy Products BV è al corrente del trasporto successivo verso il Canada, e che la stessa è anche interessata alla vendita di formaggi italiani in questione in Canada».

29.      Nel luglio 1997 i locali della Vonk sono stati perquisiti.

30.      Nel settembre 1997 la Productschap Zuivel (Commissione sui prodotti lattiero-caseari) informava la Vonk di avere ricevuto il rapporto ufficiale dell’AID e allegava una copia di detto rapporto.

31.      Nell’agosto 2000 l’AID redigeva un (secondo) rapporto sulla base delle indagini giudiziarie. In tale rapporto si affermava che il formaggio in questione era stato immesso in libera pratica negli Stati Uniti e che i dazi all’importazione erano stati corrisposti alle autorità statunitensi. Le partite, tuttavia, erano state successivamente riesportate in Canada poco dopo essere state importate – nella maggior parte dei casi dopo alcuni giorni, negli altri dopo alcune settimane (15).

32.      Nell’aprile 2001 la Productschap revocava il rimborso concesso alla Vonk e chiedeva la differenza fra il rimborso applicabile agli Stati Uniti e quello applicabile al Canada (circa NLG 2,4 – poco meno di EUR 1 100 000), maggiorata del 15%. La Productschap chiedeva pertanto alla Vonk il rimborso di una somma complessiva pari a NLG 2 795 841,72 (circa EUR 1 300 000) in relazione alle suddette operazioni.

33.      La Vonk presentava reclamo avverso tale decisione nel maggio 2001. Con un’ulteriore decisione del 24 gennaio 2002, la Productschap dichiarava infondato il reclamo della Vonk.

34.      La Vonk interponeva appello presso il College van beroep, il quale ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)   Se gli artt. 16‑18 del regolamento (CEE) n. 3665/87, come vigenti all’epoca che rileva nel caso in esame, debbano essere interpretati nel senso che, qualora restituzioni differenziate siano state versate definitivamente dopo l’accettazione dei documenti di importazione, la successiva prova che le merci sono state riesportate può rendere indebito il pagamento delle restituzioni soltanto in caso di abuso da parte dell’esportatore.

2)     Qualora la prima questione debba essere risolta negativamente, quali criteri valgano al fine di potere stabilire in quali circostanze la riesportazione di merci rende indebite le restituzioni differenziate versate definitivamente.

3)     Quali criteri valgano al fine di poter stabilire se sussista un’irregolarità permanente o ripetuta ai sensi dell’art. 3, n. 1, secondo comma, del regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95. In particolare il College intende appurare se sussista un’irregolarità permanente o ripetuta qualora l’irregolarità riguardi una parte relativamente esigua di tutte le operazioni svoltesi in un dato periodo e le operazioni per le quali si è accertata un’irregolarità riguardino sempre partite diverse».


 Questioni pregiudiziali

 Osservazioni preliminari

35.      Vi sono differenze importanti, in termini economici, fra le restituzioni all’esportazione differenziate e quelle fisse. In assenza di controlli efficaci, se i costi di trasporto e gli altri costi dell’operazione sono sufficientemente bassi e la differenza fra le due aliquote di restituzione differenziata per due distinti paesi terzi è sufficientemente elevata, un operatore economico può trarre profitto dichiarando che le merci sono destinate all’esportazione nel paese A (con un’aliquota di restituzione differenziata elevata), esportando le stesse verso tale destinazione e poi riesportandole nel paese B (con un’aliquota di restituzione differenziata inferiore). L’operatore ricava pertanto dalla vendita delle merci un utile aggiuntivo eccedente il normale utile di esercizio. Per contro, la Comunità ha pagato una somma maggiore per promuovere lo smercio di un prodotto nel paese B rispetto alla somma reputata necessaria dal legislatore comunitario, riflessa nell’aliquota di restituzione (inferiore) stabilita per il paese B. Nel caso di restituzioni non differenziate, non sussiste un analogo incentivo all’uso scorretto (anzi, all’abuso) del regime comunitario di restituzioni all’esportazione.

36.      La giurisprudenza della Corte riflette tale realtà economica. Nella sentenza Eichsfelder Schlachtbetrieb (16), infatti, la Corte ha dichiarato che «[i]l sistema delle restituzioni differenziate all’esportazione ha lo scopo di aprire o di mantenere aperti alle esportazioni comunitarie i mercati dei paesi terzi interessati, mentre la variabilità della restituzione è stata istituita onde tener conto delle caratteristiche specifiche di ciascun mercato d’importazione sul quale la Comunità intende esser presente» (17). Partendo da tale presupposto la Corte ha anche statuito che «(...) la ratio del sistema di differenziazione della restituzione verrebbe disattesa qualora il semplice scarico della merce fosse sufficiente a conferire il diritto al versamento di una restituzione ad un’aliquota più elevata» (18).

37.      Analogamente, sia i ‘considerando’ sia le disposizioni sostanziali del regolamento n. 3665/87 palesano come il legislatore comunitario fosse perfettamente consapevole del potenziale economico di abuso del sistema delle restituzioni all’esportazione. Fino al pagamento integrale delle restituzioni, le disposizioni sostanziali del detto regolamento sono dirette ad assicurare che le merci siano effettivamente immesse in commercio nel paese terzo di destinazione dichiarato. Pertanto l’art. 5, n. 1, ultima frase, del regolamento n. 3665/87 sottolinea che «i servizi competenti degli Stati membri possono esigere prove supplementari atte a dimostrare, in maniera giudicata soddisfacente dalle autorità competenti, che il prodotto è stato effettivamente immesso come tale sul mercato del paese terzo d’importazione» (il corsivo è mio); l’art. 22 (calcolo dell’anticipo erogabile) si esprime in termini di «tasso della restituzione applicabile per la destinazione dichiarata»; l’art. 23 stabilisce come presupposto per il recupero di una somma anticipata a titolo di restituzione all’esportazione che «la somma anticipata super[i] l’importo effettivamente dovuto per l’esportazione in causa o per un’esportazione equivalente» (il corsivo è mio).

38.      Il pagamento di una restituzione differenziata è pertanto subordinato alla prova che il prodotto sia stato immesso in libera pratica nel paese terzo di destinazione dichiarato (19). Laddove i documenti principali elencati all’art. 18, n. 1, del regolamento n. 3665/87 siano indisponibili ovvero siano considerati inadeguati, l’art. 18, n. 2, fornisce un elenco tassativo di altri documenti che costituiscono la prova dello sdoganamento per l’immissione in consumo. È significativo che due di tali opzioni (20) comprendano specificamente una certificazione attestante che, sulla base delle conoscenze dell’autorità emittente, il prodotto in questione non è stato nuovamente caricato ai fini della riesportazione.

39.      Inoltre, nella fase in cui l’esportatore ha ottenuto solo un anticipo (dietro cauzione) della restituzione erogabile, anche la prova dell’espletamento delle formalità doganali costituisce semplicemente una presunzione iuris tantum che l’obiettivo delle restituzioni differenziate all’esportazione è stato effettivamente conseguito. Nella sentenza Möllman, ad esempio, la Corte ha spiegato che la prova normalmente associata ad un certificato di sdoganamento può essere disattesa qualora sussistano ragionevoli dubbi circa l’effettiva immissione sul mercato nel paese di destinazione, e che spetta al giudice nazionale decidere se siffatti seri dubbi sussistano (21).

40.      Cosa cambia quando la restituzione è versata nella sua totalità? A quel punto le formalità doganali interne per l’ingresso nel paese di destinazione sono (per definizione) terminate. Spesso (anche se non sempre) il controllo sulle merci è passato dall’operatore al proprio cliente. In linea di principio, dunque, l’interesse alla certezza del diritto induce a ritenere definitiva l’attribuzione della restituzione.

41.      Alla luce di queste considerazioni mi accingo ad analizzare le due questioni pregiudiziali. Dal momento che la seconda questione comprende parzialmente la prima, mi sembra logico riformularle e trattarle congiuntamente.

42.      La terza questione solleva la distinta problematica delle condizioni in base a cui stabilire se le irregolarità siano permanenti o ripetute secondo l’accezione dell’art. 3, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 2988/95; la affronterò per ultima.


 La prima e la seconda questione

43.      Con tali due questioni il giudice nazionale chiede sostanzialmente quali criteri rendono una restituzione differenziata versata a titolo definitivo un pagamento indebito, ed in particolare, se vi siano circostanze, diverse dal comportamento dell’esportatore qualificabile come un abuso, che inducono a concludere che le restituzioni definitive sono state pagate indebitamente. Sembra utile affrontare tali questioni chiedendosi in primo luogo quali condizioni debbano essere soddisfatte affinché una restituzione differenziata possa essere versata e poi esaminare in quali circostanze l’esportatore non conserva ciononostante il beneficio della restituzione definitiva che ha ricevuto.

 Condizioni per il pagamento delle restituzioni e dottrina delle «pratiche abusive».

44.      La Vonk deduce che, conformemente al principio della certezza del diritto, le restituzioni all’esportazione possono essere rimborsate solo in base alla normativa applicabile all’epoca dei fatti del procedimento principale. Non sussiste alcun fondamento normativo per chiedere il rimborso del pagamento definitivo da essa ricevuto. Consentire alla Productschap di chiedere la restituzione di tale pagamento comporterebbe una violazione dei principi della tutela del legittimo affidamento, di ordinaria diligenza, di parità di trattamento e di proporzionalità.

45.      L’argomentazione della Vonk è sostanzialmente la seguente: essa ha sdoganato il formaggio e lo ha venduto ad un cliente stabilito negli Stati Uniti. Il formaggio, pertanto, è stato «immesso in consumo sul mercato statunitense». La Vonk ha fatto ciò che si era impegnata a fare nei confronti della Comunità. Perché dovrebbe essere ritenuta responsabile se il formaggio viene successivamente venduto ad un altro operatore in Canada? Ciò che avviene al formaggio dopo che la Vonk lo vende al proprio cliente negli Stati Uniti è irrilevante (22).

46.      I Paesi Bassi sono dell’avviso che, perché un esportatore abbia diritto a mantenere una restituzione all’esportazione, i prodotti devono essere stati utilizzati in qualche modo nel paese di destinazione, ovvero consumati, modificati o lavorati in modo significativo. Siffatto uso costituisce la prova che i prodotti sono stati di fatto immessi in consumo. Qualora sussistano seri dubbi circa l’ingresso sul mercato e l’effettiva messa in commercio delle merci, l’esportatore deve fornire la prova che le merci sono state effettivamente immesse sul mercato del paese di destinazione (23).

47.      La Commissione è dell’avviso che è necessario produrre la prova della pratica abusiva dell’esportatore perché la restituzione venga considerata come pagata indebitamente e pertanto ripetibile, e che ciò deve essere appurato dal giudice nazionale. La Commissione evidenzia alcune circostanze di fatto che, a suo avviso, potrebbero indurre il giudice nazionale a concludere che ciò si è effettivamente verificato nel caso di specie.

48.      Sono dell’opinione che dagli artt. 4 e 6 del regolamento n. 876/68 si deduce che il diritto al pagamento di una restituzione differenziata sussiste se vi sono le prove che le merci: i) sono state esportate fuori della Comunità; ii) sono di origine comunitaria e iii) hanno raggiunto la destinazione per la quale è stata fissata la restituzione differenziata. Ciò tuttavia si limita a sollevare la questione di cosa si intenda per «raggiungere la destinazione».

49.      Tale quesito trova risposta negli artt. 16‑18 del regolamento n. 3665/87, che introducono l’ulteriore condizione iv) che le merci siano state importate nel paese di destinazione entro 12 mesi dall’accettazione della dichiarazione di esportazione (24). I prodotti sono considerati «importati» quando «sono state espletate le formalità doganali di immissione in consumo nel paese terzo» (25).

50.      È certo che tali quattro condizioni per stabilire se sia dovuto il pagamento di una restituzione differenziata sono cumulative.

51.      Per determinare se l’esportatore sia autorizzato a trattenere la restituzione una volta divenuta definitiva, è sufficiente che l’esportatore sia in grado di dimostrare di avere prodotto le necessarie prove documentali per dimostrare che tali condizioni sono state soddisfatte?

52.      Su questo punto ritengo che, da un punto di vista sia economico che giuridico, possa e debba essere effettuata una distinzione fra due situazioni alquanto differenti. Nella situazione A, l’operatore ha venduto le merci in questione ad un terzo, con cui ha scambi in regime di libera concorrenza, al momento in cui queste vengono sdoganate per essere immesse in consumo nel paese terzo. Egli non ha alcun ruolo nella lavorazione, rivendita o smercio di tali prodotti. Non può pertanto essere legittimamente tenuto a seguirne il percorso e dovrebbe essergli concessa la restituzione definitiva (differenziata o non differenziata).

53.      Nella situazione B, l’operatore commerciale resta legato al destino delle merci dopo lo sdoganamento per l’immissione in consumo. Egli beneficia dei profitti eventualmente derivanti dallo sfruttamento del sistema (ad esempio, riesportando le merci nella Comunità o riesportando le merci tali e quali in un diverso paese terzo, al cui mercato erano effettivamente destinate). In simili circostanze, non sembra normale che egli debba trattenere la restituzione definitiva che gli è stata nel frattempo concessa.

54.      Sarebbe possibile risolvere la situazione B (coinvolgimento continuativo dell’operatore) permettendo allo Stato membro di esaminare la successiva serie di eventi e di applicare una diversa (e più elaborata) definizione sostanziale di cosa si intenda effettivamente per formalità doganali «di immissione in consumo nel paese terzo». Ad esempio, uno Stato membro potrebbe fare riferimento alla linea temporale, allo schema negoziale e alla presenza o assenza di un effettivo uso economico delle merci nel paese di destinazione per stabilire se veramente per quelle merci «sono state espletate le formalità doganali di immissione in consumo» nel paese terzo in questione.

55.      Questa non mi sembra una buona soluzione in quanto, credo, confonderebbe la situazione A (la normale situazione commerciale che non richiede particolari considerazioni) con la situazione B (che invece le richiede). Essa impone agli operatori prudenti, che non vogliano incorrere nel rischio di vedersi revocare in un secondo momento le proprie restituzioni definitive, l’onere inutilmente gravoso di tenere una documentazione aggiuntiva o di espletare ulteriori indagini. Potenzialmente, tale soluzione subordinerebbe il diritto dell’operatore alla restituzione ad eventi o comportamenti commerciali che sfuggono al suo controllo (26). Essa è difficilmente conciliabile con l’assunto secondo cui, normalmente, il principio della certezza del diritto preclude il rimborso delle restituzioni divenute definitive.

56.      Mi sembra che la Corte abbia avuto ragione a non modificare le quattro condizioni cumulative dal cui rispetto dipende il pagamento di una restituzione e ad affrontare invece questo problema adottando un concetto ampio e pragmatico di pratica abusiva (di cui tratterò nel prosieguo). Essa non dovrebbe modificare il proprio approccio nel presente caso.

57.      Nella sentenza Emsland-Stärke (27) la Corte ha ribadito il principio generale secondo cui il pagamento di una restituzione (diversamente da un acconto) è definitivo. La detta controversia riguardava restituzioni all’esportazione non differenziate relative all’esportazione di prodotti a base di fecola di patate verso la Svizzera. Le merci erano state sdoganate e le restituzioni erano state debitamente pagate. Successivamente si era scoperto che alcune partite erano state ritrasportate (tali e quali) in Germania e che altre erano state inoltrate (sempre tali e quali) in Italia. Gli artt. 9, n. 1, 10, n. 1, e 20, nn. 2‑6, del regolamento (CEE) n. 2730/79 (28) (pertinente in quel caso) imponevano quattro condizioni cumulative che dovevano essere soddisfatte per ottenere la restituzione: esse erano simili, mutatis mutandis, a quelle di cui agli artt. 4, n. 1, 5, n. 1, e 17, nn. 3 e 18, rispettivamente, del regolamento n. 3665/87 relativo ai prodotti lattiero‑caseari.

58.      La Corte ha stabilito che tali quattro condizioni cumulative per la concessione delle restituzioni erano soddisfatte (29). Le merci erano conformi al requisito di cui all’art. 9, n. 1, ovvero erano uscite dal territorio geografico della Comunità. Le altre condizioni che gli Stati membri erano autorizzati ad introdurre ex art. 10, n. 1, (30) «avrebbero potuto essere imposte solamente prima della concessione della restituzione» (il corsivo è mio) (31).

59.      Nella sentenza Emsland-Stärke la Corte si è spinta ad esaminare se, nonostante ciò, in casi eccezionali sussistesse a volte l’obbligo di rimborsare una restituzione definitiva. Essa ha statuito in modo chiaro che «l’applicazione dei regolamenti comunitari non può estendersi fino alla tutela di pratiche abusive (32) di operatori economici» (33). La Corte prosegue:

«La constatazione che si tratta di una pratica abusiva richiede, da una parte, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l’obiettivo perseguito dalla detta normativa non è stato raggiunto.

Essa richiede, d’altra parte, un elemento soggettivo che consiste nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento. L’esistenza di un simile elemento soggettivo può essere dimostrata, in particolare, dalla prova di una collusione tra l’esportatore comunitario, beneficiario delle restituzioni, e l’importatore della merce nel paese terzo.

Spetta al giudice nazionale stabilire l’esistenza dei due detti elementi, la cui prova può essere fornita conformemente alle norme del diritto nazionale, purché ciò non pregiudichi l’efficacia del diritto comunitario» (34).

60.       Successivamente, nella sentenza Eichsfelder Schlachtbetrieb (35), la Corte ha applicato la definizione di abuso (36) elaborata nella sentenza Emsland-Stärke nel contesto delle restituzioni differenziate. Essa ha concluso che il rimborso di una restituzione (differenziata) può essere richiesto nonostante siano state soddisfatte le condizioni per ottenerla, qualora il giudice nazionale ritenga che sia stata prodotta la prova di una pratica abusiva dell’esportatore, conformemente alla normativa nazionale (37).

61.      Risulta chiaramente da tale giurisprudenza che l’accertamento di una siffatta pratica abusiva comporta l’esame complessivo delle circostanze di specie e delle prove. Solo a partire da tale analisi complessiva i giudici nazionali possono stabilire se sia stata perpetrata una pratica abusiva e se gli Stati membri abbiano ottemperato ai propri obblighi ai sensi dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 729/70 e/o dell’art. 10 CE (38).

62.      La difficoltà che sembra avere indotto il giudice nazionale ad operare un rinvio pregiudiziale per la prima e la seconda questione è in sostanza la seguente. Nella sua ordinanza di rinvio pregiudiziale (39), il giudice del rinvio afferma: «Il College constata che la decisione utilizzata nel provvedimento controverso per il recupero delle restituzioni versate non si basa sull’inadeguatezza dei documenti di importazione presentati dalla ricorrente, né sull’abuso da parte della stessa ricorrente, ma sulla semplice circostanza che le partite di formaggio di cui trattasi sono state riesportate in Canada subito dopo l’importazione negli USA».

63.      La decisione della Productschap, datata 24 gennaio 2002 (40), (reperibile nel fascicolo depositato dal giudice nazionale presso la cancelleria della Corte) è, almeno in parte, ambigua. Ad esempio, essa segnala che «Vonk had immers zelf twijfels over de werkelijke bestemming van de door haar uitgevoerde kaas» (41). D’altro canto, si rinviene la seguente affermazione: «Het bestreden besluit is bovendien niet gebaseerd op enig gebrek betreffende deze documenten zelf, maar op de feitelijke weg die de onderhavige zendingen hebben afgelegd» (42).

64.      Come giustamente rilevato dalla Commissione, spetta al giudice nazionale valutare se sia stata perpetrata una pratica abusiva. Tale valutazione deve essere effettuata conformemente alle norme nazionali sull’onere della prova, senza che venga compromessa l’efficacia del diritto comunitario (43). È chiaro dalla definizione di pratica abusiva tracciata dalla Corte che la valutazione se una condotta particolare, propriamente intesa, corrisponda ad una pratica abusiva comporta un esame globale delle circostanze di specie e delle prove. Se, e in quale misura, tale valutazione debba essere condotta dall’autorità competente per l’esame dei pagamenti delle restituzioni (la Productschap) o dal giudice nazionale cui spetta il sindacato sulla legittimità della decisione dell’autorità competente, o da entrambi in sequenza, sono questioni che riguardano l’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato.

 L’obbligo degli Stati membri di recuperare le somme corrisposte indebitamente

65.      I Paesi Bassi asseriscono inoltre che il rimborso delle restituzioni differenziate pagate in violazione del diritto comunitario può essere richiesto anche se l’esportatore non ha commesso alcun abuso. Essi basano la propria argomentazione sugli artt. 10 CE e 8, n. 1, del regolamento n. 729/70. A loro avviso, gli Stati membri sono tenuti a richiedere il rimborso delle somme versate indebitamente anche quando l’esportatore non abbia commesso alcun errore. Le modalità del rimborso sono dettate dalla normativa nazionale. Il caso di cui si discute riguarda semplicemente la mancata ottemperanza alle condizioni di pagamento della restituzione.

66.      Tale tesi contrasta con il principio enunciato chiaramente nella sentenza Emsland-Stärke (44), secondo cui se le quattro condizioni cumulative richieste sono soddisfatte il pagamento della restituzione è dovuto. Ciò premesso, è necessario esaminare brevemente due pronunce citate dai Paesi Bassi, le sentenze Deutsche Milchkontor (45) e Steff-Houlberg (46), nonché la precedente sentenza della Corte nella causa BayWa (47). In tali sentenze è stata definita la regola giurisprudenziale secondo cui i) «gli Stati membri devono adottare i provvedimenti necessari per prevenire e perseguire le irregolarità che possano viziare le operazioni [del FEAOG] e per ricuperare le somme perse in seguito ad irregolarità o a negligenze» (48) e ii) «le autorità amministrative nazionali incaricate della gestione dei sistemi d’intervento agricolo (...) [non possono] (...) valutare discrezionalmente l’opportunità di pretendere la restituzione del denaro comunitario indebitamente od irregolarmente versato» (49). Tuttavia, tutte e tre le cause riguardavano situazioni in cui la relativa normativa comunitaria non era stata rispettata e pertanto vi erano state «irregolarità» e «pagamenti indebiti». Nel caso in esame, invece, vi è stata ottemperanza alle regole formali, ma i prodotti sono stati successivamente riesportati verso un paese terzo (il Canada) diverso da quello per cui era stata concessa una restituzione differenziata (gli Stati Uniti).

 Effetti (eventuali) del regolamento n. 2988/95

67.      Anche la Grecia afferma che il rimborso delle restituzioni differenziate può essere richiesto anche quando l’esportatore non abbia commesso un abuso. Ai sensi degli artt. 1, n. 2, e 4, n. 1, del regolamento n. 2988/95, le somme pagate indebitamente possono essere recuperate quando le attività dell’operatore economico contengono una irregolarità. Non è necessario esaminare se vi sia un legame fra l’irregolarità e il comportamento soggettivo dell’operatore.

68.      Sono dell’avviso che non sia corretto stabilire se le condizioni sostanziali applicabili al momento alle restituzioni differenziate (contenute nel regolamento n. 3665/87) siano o meno soddisfatte facendo riferimento al disposto di un successivo regolamento procedurale (regolamento n. 2988/95). In ogni caso, l’ambito di applicazione della definizione ex art. 1, n. 2, del regolamento n. 2988/95 (e il conseguente obbligo di cui all’art. 4, n. 1, dello stesso) può essere accertato solo con riferimento alle norme sostanziali in vigore all’epoca dei fatti della causa principale.

69.      Al tempo in cui sono state effettuate le esportazioni, l’art. 11 del regolamento n. 3665/87 non era stato modificato dal regolamento n. 2945/94, cha ha introdotto la possibilità di recuperare le somme pagate in eccesso per le restituzioni sulla base di informazioni false. Al tempo dei fatti, pertanto, solo il comportamento di un operatore che mostrasse un insieme di caratteristiche oggettive e soggettive integranti una pratica abusiva, così come definita dalla Corte, dava origine ad una irregolarità nell’accezione di cui all’art. 1, n. 2, del regolamento n. 2988/95 e al relativo obbligo di rimborsare una restituzione definitiva.

 L’asserita violazione dei principi fondamentali

70.      Possono essere affrontati brevemente gli argomenti sostenuti dalla Vonk, secondo cui chiedere il rimborso di restituzioni differenziate dopo che il pagamento è diventato definitivo rappresenterebbe una violazione dei principi di certezza del diritto, di legittimo affidamento, di ordinaria diligenza, di parità di trattamento e di proporzionalità. Come la Corte ha chiarito anche nella sentenza Emsland-Stärke, l’obbligo di rimborsare le restituzioni percepite, qualora l’esistenza dei due elementi costitutivi di una pratica abusiva venga confermata, non viola il principio di legalità. Infatti, l’obbligo di rimborso non costituisce una sanzione (50), per la quale sarebbe necessario un fondamento giuridico chiaro e non ambiguo, bensì la semplice conseguenza della constatazione che le condizioni richieste per l’ottenimento del beneficio derivante dalla normativa comunitaria sono state create artificiosamente, rendendo indebite le restituzioni concesse e giustificando, di conseguenza, l’obbligo di restituzione (51).

71.      Ritengo pertanto che, prima dell’entrata in vigore del regolamento n. 2945/94, e dunque nel presente procedimento, solamente in base all’accertamento di una pratica abusiva dell’esportatore si poteva considerare come indebitamente pagata una restituzione versata a titolo definitivo.

72.      In risposta alla prima e alla seconda questione pregiudiziale, concludo pertanto, conformemente agli artt. 4 e 6 del regolamento n. 876/68 e agli artt. 16‑18 del regolamento n. 3665/87, che il diritto definitivo al pagamento di una restituzione differenziata è accertato quando sia fornita la prova che le merci in questione:

–        hanno origine comunitaria,

–        sono state esportate fuori della Comunità,

–        hanno raggiunto la destinazione per la quale è stata fissata la restituzione differenziata e

–        sono state importate nel paese terzo di destinazione entro 12 mesi dall’accettazione della dichiarazione di esportazione, mediante espletamento delle formalità doganali di immissione in consumo nel paese interessato.

Tuttavia, per potere mantenere il beneficio della concessione definitiva di una restituzione differenziata, l’esportatore non deve avere tenuto un comportamento propriamente caratterizzabile come pratica abusiva.

L’accertamento di una pratica abusiva richiede, in primo luogo, un insieme di circostanze oggettive per cui, nonostante il rispetto formale delle condizioni sancite dalla normativa comunitaria, lo scopo di detta normativa non viene conseguito e, in secondo luogo, un elemento soggettivo consistente nell’intenzione di ottenere un vantaggio dalla normativa comunitaria tramite la creazione artificiosa delle condizioni stabilite per ottenerlo.

Spetta al giudice nazionale accertare l’esistenza dei suddetti due elementi, la cui prova deve essere prodotta conformemente alla normativa nazionale, a condizione che l’efficacia del diritto comunitario non ne risulti compromessa.

All’epoca dei fatti di cui alla causa principale, solamente in base all’accertamento di una pratica abusiva dell’esportatore si poteva considerare come indebitamente pagata una restituzione corrisposta a titolo definitivo.

 La terza questione

73.      La terza questione del giudice del rinvio riguarda il significato del termine «irregolarità permanenti o ripetute» di cui all’art. 3, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 2988/95. In particolare si chiede i) se le irregolarità debbano essere considerate «permanenti» o «ripetute» qualora esse riguardino una parte relativamente esigua di tutte le operazioni svoltesi in un periodo determinato e ii) se le operazioni per le quali siano accertate irregolarità riguardino partite diverse.

74.      La Vonk contesta l’applicabilità del regolamento n. 2988/95 al caso di specie. I Paesi Bassi si chiedono anche se il regolamento sia applicabile retroattivamente, dal momento che l’ultima irregolarità è stata commessa nel 1994 e il regolamento n. 2988/95 è entrato in vigore solo il 26 dicembre 1995. Tuttavia, entrambe le parti discutono le possibili modalità di applicazione del regolamento n. 2988/95.

75.      La Vonk asserisce che i criteri per definire le irregolarità permanenti o ripetute sono rinvenibili nella sentenza José Martí Peix (52). Vi devono essere una o più azioni relative alla medesima fornitura o alla medesima domanda di restituzione.

76.      I Paesi Bassi osservano che l’art. 3 del regolamento n. 2988/95 è finalizzato ad accordare un tempo sufficiente per richiedere il rimborso delle somme corrisposte indebitamente, tutelando in tal modo gli interessi finanziari della Comunità. Le irregolarità permanenti o ripetute devono essere atti analoghi che violino la stessa legge. I Paesi Bassi motivano tale opinione sopratutto sulla base della sentenza Montecatini (53), in cui la Corte ha stabilito:

«(...) sebbene la nozione di infrazione continuata abbia un contenuto leggermente diverso negli ordinamenti giuridici dei vari Stati membri, essa comporta in ogni caso una pluralità di comportamenti illeciti, o di atti di esecuzione di un’unica infrazione, unificati da un elemento soggettivo comune».

77.      Il fatto che le differenti spedizioni debbano essere considerate singolarmente non può impedire di qualificarle come irregolarità permanenti o ripetute ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento n. 2988/95.

78.      La Commissione cita inoltre la definizione di irregolarità permanenti o ripetute data dalla Corte nella sentenza José Martí Peix, nonché la precedente interpretazione fornita dal Tribunale di primo grado in tale procedimento e confermata in appello, ovvero che le irregolarità sono «permanenti» ai sensi dell’art. 3, n. 1, quando hanno un medesimo oggetto (54). Sebbene la decisione spetti al giudice nazionale, la Commissione considera, sulla base del materiale contenuto nell’ordinanza di rinvio, che vi è stata ripetizione di un’identica irregolarità.

79.      Secondo una giurisprudenza costante, le norme di procedura si applicano, come si ritiene in generale, a tutte le controversie pendenti al momento della loro entrata in vigore (55). L’art. 3, n. 1, del regolamento n. 2988/95 si applica pertanto a tutti i procedimenti pendenti alla data del 26 dicembre 1995, quando il detto regolamento è entrato in vigore. In base all’ordinanza di rinvio pregiudiziale non è possibile verificare se il procedimento contro la Vonk fosse «pendente» alla data del 26 dicembre 1995 o se non fosse ancora iniziato a tale data. In entrambi i casi, comunque, l’art. 3, n. 1, del regolamento n. 2988/95 troverebbe applicazione.

80.      Concordo con la Commissione sul fatto che la decisione concreta sull’esistenza di irregolarità permanenti o ripetute nel caso presente competa al giudice nazionale. La Corte tuttavia può fornire un orientamento circa il significato giuridico di tali termini.

81.      Come evidenziato dalla Commissione, il caso in esame riguarda distinte operazioni di esportazione riguardanti lo stesso tipo di prodotto (formaggio pecorino) verso la stessa destinazione dichiarata (Stati Uniti) e la stessa destinazione finale (Canada). La Vonk ha effettuato dichiarazioni distinte per la richiesta di restituzioni, ma lo schema di ciò che è avvenuto alle merci (importate negli Stati Uniti, tenute in tale luogo ed esportate poco dopo in Canada tali e quali) è identico.

82.      Concordo sostanzialmente con l’analisi dei Paesi Bassi. Perché le irregolarità siano considerate permanenti o ripetute ai sensi dell’art. 3, n. 1, esse devono essere simili sotto i seguenti profili: devono rivelare un’analoga pluralità di atti in violazione della medesima norma comunitaria e devono inoltre permettere allo stesso operatore economico di beneficiare del medesimo vantaggio economico, come risultato dell’applicazione delle norme comunitarie.

83.      Infine concordo con la Commissione, la Grecia e i Paesi Bassi sul fatto che, al fine di accertare se siano configurabili irregolarità permanenti o ripetute, non rileva in quale proporzione le operazioni, in un periodo definito, siano viziate dalle irregolarità né se queste ultime si siano alternate ad operazioni regolari.

84.      Concludo pertanto che le irregolarità devono essere considerate permanenti e ripetute ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento n. 2988/95 se rivelano un’analoga pluralità di atti in violazione della medesima norma comunitaria. Devono anche permettere allo stesso operatore economico di beneficiare del medesimo vantaggio economico a seguito dell’applicazione delle norme comunitarie. In tale contesto, non rileva in quale proporzione le operazioni, in un periodo definito, siano viziate dalle irregolarità di cui trattasi né se queste ultime si siano alternate ad operazioni regolari.


 Conclusione

85.      Propongo pertanto che le questioni pregiudiziali sottoposte dal College van beroep voor het bedrijfsleven dei Paesi Bassi debbano essere risolte nei seguenti termini:

Prima e seconda questione

Ai sensi degli artt. 4 e 6 del regolamento (CEE) del Consiglio 28 giugno 1968, n. 876, che stabilisce nel settore del lattee dei prodotti lattiero‑caseari, le norme generali relative alla concessione delle restituzioni all’esportazione e ai criteri per la fissazione del loro ammontare e degli artt. 16‑18 del regolamento (CEE) della Commissione 27 novembre 1987, n. 3665, recante modalità comuni di applicazione del regime delle restituzioni all’esportazione per i prodotti agricoli, il diritto definitivo al pagamento di una restituzione differenziata sorge quando è fornita la prova che le merci in questione:

–        sono di origine comunitaria,

–        sono state esportate fuori della Comunità,

–        hanno raggiunto la destinazione per la quale è stata fissata la restituzione differenziata, e

–        sono state importate nel paese terzo di destinazione entro 12 mesi dall’accettazione della dichiarazione di esportazione mediante espletamento delle formalità doganali di immissione in consumo nel paese interessato.

Tuttavia, per conservare il beneficio della concessione definitiva di una restituzione differenziata, l’esportatore non deve avere posto in essere un comportamento propriamente qualificabile come pratica abusiva.

L’accertamento di una pratica abusiva presuppone, in primo luogo, un insieme di circostanze oggettive per cui, nonostante l’osservanza formale delle condizioni sancite dalla normativa comunitaria, lo scopo della detta normativa non viene conseguito e, in secondo luogo, un elemento soggettivo consistente nell’intenzione di ottenere un vantaggio dalla normativa comunitaria tramite la creazione artificiosa delle condizioni ivi stabilite per ottenerlo.

Spetta al giudice nazionale accertare l’esistenza dei suddetti due elementi, la cui prova deve essere prodotta conformemente alla normativa nazionale, a condizione che l’efficacia del diritto comunitario non ne risulti compromessa.

All’epoca dei fatti di cui alla causa principale, solamente in base all’accertamento di una pratica abusiva dell’esportatore, si poteva considerare come indebitamente pagata una restituzione corrisposta a titolo definitivo.

Terza questione

Le irregolarità devono essere considerate permanenti e ripetute ai sensi dell’art. 3, n. 1 del regolamento (CE, Euratom) del Consiglio 18 dicembre 1995, n. 2988, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità, se rivelano un’analoga pluralità di azioni in violazione della stessa norma comunitaria. Devono anche permettere allo stesso operatore economico di beneficiare del medesimo vantaggio economico come risultato dell’applicazione di norme comunitarie. In tale contesto non rileva in quale proporzione le operazioni, in un periodo definito, siano viziate dalle irregolarità di cui trattasi né se queste ultime si siano alternate ad operazioni regolari.


1 – Lingua originale: l'inglese.


2 – Le restituzioni all'esportazione possono essere di due tipi: variabili (o «differenziate») e fisse (o «non differenziate»). Il caso di specie riguarda restituzioni differenziate. L'importanza della distinzione è esaminata brevemente infra, al paragrafo 35.


3 – Regolamento (CEE) del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero‑caseari (GU L 48, pag. 13). Con effetto al 1° gennaio 2000, il regolamento n. 804/68 è stato abrogato dal regolamento (CE) del Consiglio 17 maggio 1999, n. 1255, recante lo stesso titolo (GU L 160, pag. 48).


4 – Regolamento (CEE) del Consiglio 28 giugno 1968, n. 876, che stabilisce, nel settore del latte e dei prodotti lattiero‑caseari, le norme generali relative alla concessione delle restituzioni all'esportazione e ai criteri per la fissazione del loro ammontare (GU L 155, pag. 1). Tale regolamento è stato abrogato, con effetto al 1° gennaio 1995, dal regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3290, relativo agli adattamenti e alle misure transitorie necessarie nel settore dell'agricoltura per l'attuazione degli accordi conclusi nel quadro dei negoziati commerciali multilaterali dell'Uruguay Round (GU L 349, pag. 105).


5 – Regolamento (CEE) della Commissione 27 novembre 1987, n. 3665, recante modalità comuni di applicazione del regime delle restituzioni all'esportazione per i prodotti agricoli (GU L 351, pag. 1). A tempo debito il regolamento n. 3665/87 è stato sostituito dal regolamento (CE) della Commissione 15 aprile 1999, n. 800, recante lo stesso titolo (GU L 102, pag. 11), in vigore dal 1° luglio 1999.


6 – V. in particolare i ‘considerando’ 4, 13 e 24.


7 – L'art. 18 è stato modificato in diverse occasioni durante il periodo in questione: tali modifiche non rilevano ai fini dell'esito della presente controversia.


8 – Verso la metà del 1993 sono state apportate modifiche all'art. 19; neanche queste rilevano ai fini del presente procedimento.


9 – Modifiche all'art. 22, che non rilevano per il caso di specie, sono state parimenti apportate verso la metà del 1993.


10 – Regolamento (CE) della Commissione 2 dicembre 1994, n. 2945, che modifica il regolamento (CEE) n. 3665/87 recante modalità comuni di applicazione del regime delle restituzioni all'esportazione per i prodotti agricoli, riguardo al recupero degli importi indebitamente versati e alle relative sanzioni (GU L 310, pag. 57).


11 – Il testo originale dell'art. 11 recitava semplicemente: «La restituzione può non essere versata se il suo importo, per ogni domanda relativa ad una o più dichiarazioni d'esportazione, è inferiore o uguale a 25 ECU».


12 – Regolamento (CEE) del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU 94, pag. 13). Con effetto al 1° gennaio 2000, il regolamento n. 729/70 è stato abrogato dal regolamento (CE) del Consiglio 17 maggio 1999, n. 1258, avente lo stesso titolo (GU L 160, pag. 103).


13 – Regolamento (CE, Euratom) del Consiglio 18 dicembre 1995, n. 2988, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità (GU L 312, pag. 1).


14 – Mentre l'ordinanza di rinvio pregiudiziale in generale fa riferimento a 75 partite come quantità riesportata fra il 1988 e il 1994, in un'occasione (a pag. 5) essa afferma che l'inchiesta condotta dalle autorità doganali degli Stati Uniti ha rilevato che in tale periodo erano state riesportare circa 70 partite.


15 – Sembra infatti che inizialmente la Vonk abbia chiesto e ottenuto il rimborso dei dazi all'importazione pagati relativamente alle riesportazioni. Dopo il 1° gennaio 1989 tale pratica è stata abbandonata.


16 – Sentenza 21 luglio 2005, causa C‑515/03, Racc. pag. I‑7355.


17 – Punto 26, in cui si citano le sentenze 2 giugno 1976, causa 125/75, Milch, Fett und Eier-Kontor (Racc. pag. 771, punto 5); 11 luglio 1984, causa 89/83, Dimex, (Racc. pag. 2815, punto 8), nonché la sentenza 9 agosto 1994, causa C‑347/93, Boterlux, (Racc. pag. I‑3933, punto 18).


18 – Sentenza Eichsfelder Schlachtbetrieb, punto 27; sentenza Boterlux, punto 19.


19 – Sentenza Boterlux, punto 30. Infatti, qualora sussista il sospetto o la certezza del compimento di abusi, gli Stati membri possono altresì esigere siffatta prova prima della concessione di una restituzione non differenziata (ibidem). L'art. 17, n. 3, del regolamento n. 3665/87 ha affinato l'esame al punto di richiedere che «[siano] state espletate le formalità doganali di immissione in consumo nel paese terzo» (il corsivo è mio).


20 – Art. 18, n. 2, lett. b) e c).


21 – Sentenza 31 marzo 1993, causa C‑27/92, Racc. pag. I‑1701, punti 13‑17. Mentre questa causa, come la causa Dimex citata supra alla nota 17, riguardava il regolamento (CEE) n. 192/75 (precedente al regolamento n. 3665/87), non sembrano esservi motivi per ritenere che i principi derivanti dalle dette pronunce non possano essere applicati parimenti al regolamento n. 3665/87.


22 – In sede di udienza la Vonk ha osservato che, dal momento che la Comunità riconosce differenze fra restituzioni all'esportazione in base al paese di destinazione, essa non può legittimamente reclamare un rimborso ad un esportatore che ha rispettato tutti i requisiti imposti dal diritto comunitario in materia di concessione di restituzioni differenziate. Le autorità comunitarie, inoltre, erano a conoscenza di tale riesportazione dagli Stati Uniti in Canada da molti anni e avrebbero potuto effettuare prima ulteriori controlli per risolvere tale situazione.


23 – La Grecia esprime una tesi analoga.


24 – Art. 17, n 1.


25 – Art. 17, n 3.


26 – Si veda la sentenza Eichsfelder Schlachtbetrieb (citata supra alla nota 16), punto 36, in cui la Corte ha respinto l'argomentazione secondo la quale un rimborso ad un diverso operatore economico dei dazi all'importazione pagati dall'operatore nel paese terzo di destinazione possa privare retroattivamente la restituzione all'esportazione del fondamento normativo.


27 – Sentenza 14 dicembre 2000, causa C‑110/99, Racc. pag. I‑11569.


28 – Regolamento (CEE) della Commissione 29 novembre 1979, n. 2730, recante modalità comuni di applicazione del regime delle restituzioni all'esportazione per i prodotti agricoli (GU L 317, pag. 1).


29 – V. punto 46.


30 – In merito alla prova che le merci erano state effettivamente immesse in libera pratica nel paese terzo di destinazione, v. art. 5, n. 1, ultimo comma, del regolamento n. 3665/87, che si esprime in termini analoghi.


31 – Punto 48, ripetuto – citando la sentenza Boterlux, punto 30 – al punto 49.


32 – Il testo inglese della sentenza Emsland-Stärke utilizza il termine «abuse», mentre il testo francese riporta «pratique abusive».


33 – Punto 51, in cui si cita la sentenza 11 ottobre 1977, causa 125/76, Cremer/BALM (Racc. pag. 1593), punto 21 (dove nel testo inglese figura «abusive practices»).


34 – Sentenza Emsland-Stärke, punti 52‑54. Per quanto riguarda le norme sulle prove, si vedano anche le sentenze citate al punto 54.


35 – Citata supra alla nota 16; v. punto 39 della sentenza.


36 – Nella sentenza Eichsfelder Schlachtbetrieb la dicitura utilizzata nel testo inglese è nuovamente «abusive practices».


37 – Sentenza Eichsfelder Schlachtbetrieb, punti 41‑42.


38 – Sentenza 2 giugno 1994, causa C‑2/93, Exportslachterijen van Oordegem, Racc. pag. I‑2283, punto 17.


39 – Al punto 3.6.


40 – V. supra paragrafo 33.


41 – «In effetti la stessa Vonk nutriva dubbi circa la reale destinazione del formaggio da essa esportato» (la traduzione è mia) (pag. 7 della decisione).


42 – «Inoltre la decisione impugnata non si basa su difetti della documentazione stessa, ma sull'effettivo itinerario delle consegne in questione» (la traduzione è mia). (pag. 8 della decisione).


43 – Sentenza Eichsfelder Schlachtbetrieb, punto 40.


44 – V. supra paragrafi 57 e 58.


45 – Sentenza 21 settembre 1983, cause riunite da 205/82 a 215/82, Racc. pag. 2633.


46 – Sentenza 12 maggio 1998, causa C‑366/95, Racc. pag. I‑2661.


47 – Sentenza 6 maggio 1982, cause riunite 146/81, 192/81 e 193/81, Racc. pag. 1503.


48 – Sentenza Deutsche Milchkontor, punto 18; sentenza Steff-Houlberg, punto 14; v. anche sentenza BayWa, punto 30.


49 – Sentenza BayWa, punto 30; sentenza Deutsche Milchkontor, punto 22; sentenza Steff-Houlberg, punto 14.


50 – V. art. 4, n. 4, del regolamento n. 2988/95.


51 – Punto 56.


52 – Sentenza 2 dicembre 2004, causa C‑226/03 P, Racc. pag. I‑11421. Ai punti 16 e 17 la Corte ha statuito: «[A]i sensi dell’art. 1, n. 2, del regolamento n. 2988/95, un’irregolarità presuppone la violazione di una disposizione del diritto comunitario derivante “da un’azione o un’omissione” di un operatore economico. Qualora l’omissione all’origine della violazione della disposizione del diritto comunitario considerata si perpetui, l’irregolarità è “permanente” nel senso dell’art. 3, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 2988/95».


53 – Sentenza 8 luglio 1999, causa C‑235/92 P, Racc. pag. I‑4539, punto 195.


54 – V. punto 81 della sentenza del Tribunale di primo grado, citato al punto 7 della sentenza della Corte di giustizia.


55 – V. sentenza 23 febbraio 2006, causa C‑201/04 Molenbergnatie, Racc. I‑0000, punto 31 e giurisprudenza ivi citata.

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