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Document 62005CC0278

    Conclusioni dell'avvocato generale Kokott del 13 luglio 2006.
    Carol Marilyn Robins e a. contro Secretary of State for Work and Pensions.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division - Regno Unito.
    Tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro - Direttiva 80/987/CEE - Attuazione - Art. 8 - Regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali - Prestazioni di vecchiaia - Tutela dei diritti maturati - Ampiezza della tutela - Responsabilità di uno Stato membro per incorretta attuazione di una direttiva - Presupposti.
    Causa C-278/05.

    Raccolta della Giurisprudenza 2007 I-01053

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2006:476

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    JULIANE KOKOTT

    presentate il 13 luglio 20061(1)

    Causa C-278/05

    Carol Marilyn Robins, John Burnett e altri

    contro

    Secretary of State for Work and Pensions

    [Domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, Regno Unito]

    «Tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro – Tutela dei diritti dei lavoratori a prestazioni di vecchiaia maturati ovvero in corso di maturazione – Portata dell’obbligo – Art. 8 della direttiva 80/987/CEE – Responsabilità degli Stati membri per violazioni del diritto comunitario – Sufficiente qualificazione dell’infrazione»





    I –    Introduzione

    1.        Nel presente procedimento la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, chiede alla Corte di interpretare l’art. 8 della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (2). L’art. 8 della direttiva ha come oggetto la tutela degli interessi dei lavoratori, in caso di insolvenza del datore di lavoro, relativamente al loro diritto alla previdenza professionale (ovvero aziendale).

    2.        I ricorrenti nella causa principale sono ex dipendenti di un’impresa divenuta insolvente, che finanziava due piani di previdenza aziendali. Conseguentemente all’insolvenza dell’impresa sono stati chiusi anche i predetti piani e, in tale frangente, è emerso che le loro risorse finanziarie non erano sufficienti a soddisfare tutti i diritti degli iscritti. Per tale motivo i ricorrenti si sono visti esposti a una notevole diminuzione della propria pensione professionale concordata contrattualmente. Essi hanno proposto ricorso contro il competente Ministero del Regno Unito sul fondamento dell’art. 8 della direttiva 80/987 per rivendicare il diritto ad una compensazione economica di questa diminuzione della pensione.

    3.        Su tale premessa, il giudice del rinvio chiede alla Corte di pronunciarsi sul contenuto dell’art. 8 della direttiva 80/987. Il giudice del rinvio chiede, inoltre, che vengano precisati i presupposti della responsabilità di uno Stato per non aver attuato correttamente una direttiva.

    II – Contesto normativo

    A –    Diritto comunitario

    1.      La direttiva 80/987

    4.        Il primo ‘considerando’ della direttiva 80/987 recita quanto segue:

    «(...) sono necessarie disposizioni per tutelare i lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, in particolare per garantire loro il pagamento dei diritti non pagati tenendo conto della necessità di un equilibrato sviluppo economico e sociale nella Comunità».

    5.        Nella sezione II della direttiva, sotto la rubrica «Disposizioni relative agli organismi di garanzia», è contenuta la disciplina in materia di garanzia dei diritti economici dei lavoratori.

    6.        L’art. 4, n. 1, riconosce agli Stati membri la facoltà di limitare l’obbligo di pagamento degli organismi di garanzia relativamente alle retribuzioni sancito all’art. 3. Ai sensi dell’art. 4, n. 3, gli Stati membri possono, «per evitare di versare delle somme che vanno oltre il fine sociale della presente direttiva, (...) fissare un massimale per la garanzia di pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati».

    7.        Nella sezione III, sotto la rubrica «Disposizioni relative alla sicurezza sociale», la direttiva prevede misure a tutela dei diritti previdenziali.

    8.        Ai sensi dell’art. 6, gli Stati membri possono prevedere che «gli articoli 3, 4 e 5 non si applichino ai contributi dovuti a titolo dei regimi legali nazionali di sicurezza sociale o d[e]i regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale».

    9.        Ai sensi dell’art. 7, gli Stati membri adottano le misure necessarie «per garantire che il mancato pagamento ai loro organismi assicurativi di contributi obbligatori dovuti dal datore di lavoro prima dell’insorgere dell’insolvenza a titolo dei regimi legali nazionali di sicurezza sociale non leda i diritti alle prestazioni dei lavoratori subordinati nei confronti di questi organismi assicurativi (…)».

    10.      L’art. 8 della direttiva 80/987 così dispone:

    «Gli Stati membri si assicurano che vengano adottate le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati e quelli delle persone che hanno già lasciato l’impresa o lo stabilimento del datore di lavoro alla data dell’insorgere della insolvenza di quest’ultimo, per quanto riguarda i diritti maturati o i diritti in corso di maturazione, in materia di prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, previste dai regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale».

    2.      La direttiva 2002/74/CE, che modifica la direttiva 80/987 (3) (in prosieguo: la «direttiva di modifica 2002/74»)

    11.      La direttiva di modifica 2002/74 non ha apportato modifiche al testo dell’art. 8.

    12.      Il suo secondo ‘considerando’ così recita:

    «La direttiva 80/987/CEE ha lo scopo di garantire ai lavoratori subordinati un minimo di tutela in caso d’insolvenza del datore di lavoro. A tal fine, essa obbliga gli Stati membri a creare un organismo che garantisca ai lavoratori interessati il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori».

    3.      La direttiva 2003/41/CE, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (4)

    13.      Il diciottesimo ‘considerando’ della direttiva precisa che, in «caso di fallimento dell’impresa promotrice, gli aderenti rischiano di perdere sia il loro posto di lavoro, sia i diritti di pensione acquisiti». E continua: «Occorre dunque che vi sia una netta separazione tra l’ente e l’impresa promotrice e che vengano fissate norme prudenziali minime per tutelare gli aderenti».

    14.      Una disciplina dell’insolvenza dell’impresa promotrice è contenuta solo all’art. 8 della direttiva, che prevede una separazione giuridica tra imprese promotrici ed enti pensionistici aziendali o professionali.

    15.      L’art. 16, n. 2, della direttiva consente in via temporanea un finanziamento insufficiente dell’ente pensionistico e prevede per quest’eventualità ulteriori misure.

    B –    Diritto nazionale

    16.      La normativa in vigore nel Regno Unito per la tutela dei lavoratori subordinati in ordine alle loro pensioni in caso di insolvenza del datore di lavoro prevede essenzialmente che il patrimonio dell’ente pensionistico professionale sia sottratto alle azioni dei creditori e che il National Insurance Fund provveda ad un pagamento parziale dei contributi che non siano stati versati all’ente pensionistico per l’insolvenza del datore di lavoro.

    17.      L’applicazione delle misure di tutela dei lavoratori in vigore nel Regno Unito non ha però impedito che, a seguito dell’insolvenza del datore di lavoro, i diritti pensionistici in via di maturazione della prima ricorrente siano pari ancora soltanto al 20% e quelli del secondo ricorrente pari soltanto al 49% delle prestazioni cui avrebbero avuto diritto.

    III – Fatti e causa principale

    18.      I ricorrenti nella causa principale erano dipendenti dell’impresa ASW Limited (in prosieguo: l’«ASW»), sottoposta a procedura concorsuale e messa in liquidazione coatta il 24 aprile 2003.

    19.      La ASW finanziava due regimi pensionistici, ovvero l’«ASW Pension Plan» e l’«ASW Sheerness Steel Group Pension Fund» (in prosieguo: i «regimi pensionistici»). Entrambi erano organizzati come regimi pensionistici complementari professionali con le seguenti caratteristiche:

    L’importo dei diritti alle prestazioni veniva determinato con riferimento ad un coefficiente di crescita, alla retribuzione finale ed alla durata del servizio presso l’impresa di ciascun iscritto. Questo tipo di prestazione viene denominato «prestazione basata sull’ultima retribuzione». I regimi pensionistici venivano finanziati, in conformità delle norme vigenti, da un lato, dai versamenti dei lavoratori, che erano tenuti a corrispondere a titolo di contributo una percentuale della propria retribuzione, e, dall’altro lato, dai versamenti del datore di lavoro, che era tenuto a contribuire nella misura necessaria ad assicurare il pagamento delle prestazioni. Questo tipo di regime pensionistico viene denominato «regime di equilibrio dei costi». I regimi pensionistici venivano gestiti dal datore di lavoro come fondi fiduciari indipendenti.

    20.      I regimi pensionistici della ASW venivano soppressi nel luglio 2002 dopo l’apertura della procedura di insolvenza a carico della società e versano ora in liquidazione. Secondo i calcoli dei loro attuari, al 31 luglio 2002 essi contavano perdite per GBP 99,7 milioni (ASW Pension Plan) e per GBP 41,2 milioni (ASW Sheerness Steel Group Pension Fund). Non c’è nessuna possibilità che a tali regimi possano affluire ulteriori risorse finanziarie da parte della ASW o di altre imprese.

    21.      Le risorse finanziarie dei regimi pensionistici non sono, dunque, sufficienti per soddisfare tutti i diritti, già maturati o in corso di maturazione, dei lavoratori aderenti ai predetti regimi.

    22.      Le disposizioni di legge vigenti per i regimi pensionistici stabiliscono, per un simile caso di mancata copertura, un certo ordine di priorità in base al quale soddisfare i diritti degli affiliati: gli amministratori sono obbligati ad utilizzare le risorse finanziarie dei regimi innanzi tutto per il soddisfacimento dei diritti degli aderenti che al momento della messa in liquidazione hanno già maturato il diritto alle prestazioni pensionistiche e, successivamente, sempre che residuino risorse, per la corresponsione delle prestazioni ai lavoratori che a quello stesso momento non ricevono ancora alcuna pensione.

    23.      L’applicazione di tale disciplina alla fattispecie del procedimento di rinvio ha comportato una diminuzione dei diritti pensionistici in corso di maturazione dei lavoratori della ASW che ancora non percepivano una pensione. Secondo i calcoli degli attuari di entrambi i regimi pensionistici, l’aspettativa di pagamento della prima ricorrente è pari appena al 20% di quanto la stessa avrebbe avuto originariamente diritto a percepire dal regime pensionistico professionale, quella del secondo ricorrente è pari soltanto al 49%.

    24.      Queste previsioni di pagamento risultano incontestabilmente da una valutazione dei meccanismi messi a punto dall’ordinamento del Regno Unito a tutela dei diritti dei lavoratori a ricevere la pensione professionale in caso di insolvenza del datore di lavoro.

    25.      Dal momento che il sistema pensionistico statale del Regno Unito corrisponde ai pensionati mediamente un importo di appena il 37% della loro ultima retribuzione, secondo le indicazioni dei ricorrenti le pensioni complementari dei regimi pensionistici costituivano la maggior parte della loro pensione di vecchiaia.

    26.      I ricorrenti hanno, conseguentemente, promosso dinanzi al giudice del rinvio un’azione di risarcimento contro il governo del Regno Unito, rivendicando il pagamento della differenza tra la rendita pensionistica contrattualmente prevista e quella che si devono, ad oggi, attendere a seguito dell’insolvenza del loro datore di lavoro. A fondamento del ricorso fanno valere l’art. 8 della direttiva 80/987.

    IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

    27.      Con ordinanza 22 giugno 2005 il giudice del rinvio ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)      Se l’art. 8 della direttiva 80/987/CEE debba essere interpretato nel senso che esso obbliga gli Stati membri ad assicurare con tutti i mezzi necessari di finanziare integralmente essi medesimi i diritti acquisiti dai lavoratori subordinati a titolo di regimi di previdenza complementare, professionali o interprofessionali, basati sull’ultima retribuzione, qualora il datore di lavoro privato diventi insolvente e le risorse finanziarie di tali regimi siano insufficienti a finanziare le dette prestazioni.

    2)      In caso di soluzione negativa della questione sub 1), se i requisiti di cui all’art. 8 siano adeguatamente attuati da una legislazione come quella prima descritta, in vigore nel Regno Unito.

    3)      Nel caso in cui le disposizioni legislative del Regno Unito non siano conformi all’art. 8, quale criterio debba applicare il giudice nazionale per stabilire se la violazione del diritto comunitario sia sufficientemente qualificata da far sorgere un obbligo di risarcimento. In particolare, se il mero inadempimento basti a integrare una violazione sufficientemente caratterizzata o se debba esserci stato anche un grave e manifesto eccesso di potere legislativo da parte dello Stato membro oppure ancora se debbano essere applicati altri criteri e, se sì, quali».

    28.      Hanno presentato osservazioni scritte sulla domanda di pronuncia pregiudiziale i ricorrenti nella causa principale, il governo del Regno Unito, l’Irlanda e la Commissione. All’udienza del 1° giugno 2006 hanno svolto osservazioni i ricorrenti nella causa principale, l’Irlanda, il governo dei Paesi Bassi, il governo del Regno Unito e la Commissione.

    V –    Analisi giuridica

    A –    Sulla prima e sulla seconda questione pregiudiziale

    29.      Con la prima questione pregiudiziale il giudice del rinvio vuole sapere se l’art. 8 della direttiva 80/987 obblighi gli Stati membri ad effettuare essi stessi pagamenti per compensare le perdite che sorgono quando, a seguito dell’insolvenza di un datore di lavoro, le risorse finanziarie di un regime pensionistico non sono sufficienti a soddisfare tutti i diritti dei lavoratori.

    30.      Con la seconda questione pregiudiziale chiede alla Corte di valutare se disposizioni legislative come quelle vigenti nel Regno Unito traspongano in maniera adeguata l’art. 8 della direttiva 80/987.

    31.      Con riferimento alla seconda questione pregiudiziale occorre innanzi tutto ricordare che, in un procedimento instaurato ai sensi dell’art. 234 CE, la Corte non è chiamata a statuire sulla compatibilità delle misure nazionali con il diritto comunitario. La Corte può, tuttavia, fornire al giudice del rinvio tutte le indicazioni sull’interpretazione del diritto comunitario atte a consentirgli di pronunciarsi su tale compatibilità per la definizione della causa pendente dinanzi a lui (5).

    32.      Pertanto, sia la prima, sia la seconda questione pregiudiziale concernono, in sostanza, l’interpretazione dell’art. 8 della direttiva 80/987.

    33.      È dunque opportuno risolvere congiuntamente le prime due questioni pregiudiziali, appurando, in primo luogo, che tipo di tutela richieda l’art. 8 della direttiva 80/987, vale a dire contro quali pregiudizi e in quale misura l’art. 8 tuteli gli interessi dei lavoratori. In secondo luogo, occorre chiarire se dall’art. 8 derivi un obbligo per gli Stati membri di garantire questa tutela con prestazioni finanziare proprie, nel senso di una responsabilità sussidiaria.

    34.      Secondo costante giurisprudenza della Corte, nell’interpretare la portata di una disposizione di diritto comunitario bisogna tener conto allo stesso tempo del suo dettato, del suo contesto e delle sue finalità (6).

    1.      La portata della tutela dell’art. 8 della direttiva 80/987

    35.      Secondo l’art. 8 della direttiva 80/987, gli Stati membri assicurano «(...) che vengano adottate le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati (...) per quanto riguardai diritti maturati o i diritti in corso di maturazione, in materia di prestazioni di vecchiaia (...)» (7).

    36.      La portata della tutela dell’art. 8 deve, pertanto, essere determinata con l’interpretazione dei concetti di «tutela degli interessi per quanto riguarda i diritti maturati in materia di prestazioni di vecchiaia» e di «misure necessarie». La portata della tutela dell’art. 8 viene, poi, determinata da un ulteriore requisito, e cioè dalla necessità che il pregiudizio dei diritti alle prestazioni di vecchiaia derivi da una situazione di insolvenza.

    a)      Gli interessi tutelati dall’art. 8 della direttiva 80/987

    37.      È evidente, innanzi tutto, che l’art. 8 della direttiva 80/987 ha come finalità la tutela degli interessi dei lavoratori e non dei loro diritti o aspettative. Con questa formulazione il legislatore comunitario tiene solo conto del fatto che con l’insolvenza del datore di lavoro non viene intaccata l’esistenza giuridica dei diritti del lavoratore, ma il valore economico degli stessi. Se l’art. 8 della direttiva avesse sancito una tutela dei diritti del lavoratore, questa sarebbe stata inefficace dal momento che i diritti di per sé non vengono pregiudicati dall’insolvenza del datore di lavoro. L’insolvenza del datore di lavoro può però pregiudicare il loro soddisfacimento. La formulazione scelta per l’art. 8 precisa, pertanto, chiaramente, che deve essere tutelato l’interesse economico dei lavoratori sotteso ai diritti, affinché tali diritti, che permangono integri, siano concretamente soddisfatti.

    38.      Volendo, così, tutelare l’interesse dei lavoratori per quanto riguarda i diritti a prestazioni di vecchiaia maturati o in corso di maturazione, l’art. 8 intende, in altre parole, tutelare l’interesse dei lavoratori al pagamento dei loro diritti pensionistici.

    39.      Prima di affrontare, però, la questione se questo interesse dei lavoratori sia tutelato in maniera completa dall’art. 8, occorre anzitutto esaminare contro quali pregiudizi la predetta disposizione garantisca una tutela.

    b)      Necessità che il pregiudizio derivi da una situazione di insolvenza

    40.      Il requisito che il pregiudizio derivi da una situazione di insolvenza risulta dall’oggetto della direttiva 80/987, che intende garantire ai lavoratori una tutela dei loro diritti dai pregiudizi derivanti proprio dall’insolvenza del datore di lavoro.

    41.      L’insufficiente finanziamento di un regime pensionistico professionale causa senza dubbio un pregiudizio degli interessi dei lavoratori riguardo alle loro aspettative di pensione, non risultando, in questo caso, sufficienti le risorse finanziarie dell’ente previdenziale a soddisfare tutti i diritti.

    42.      Non è chiaro, tuttavia, se l’art. 8 della direttiva 80/987 richieda una tutela dei lavoratori anche contro questa forma di pregiudizio. Secondo i governi del Regno Unito, dell’Irlanda e dei Paesi Bassi, la tutela dal pregiudizio derivante da un insufficiente finanziamento di un regime pensionistico non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 8, dal momento che questo tipo di pregiudizio non sarebbe condizionato all’esistenza di una situazione di insolvenza. Per tutelare gli interessi dei lavoratori sarebbe, pertanto, sufficiente una separazione tra il patrimonio del datore di lavoro e quello del regime pensionistico, circostanza che precluderebbe ai creditori di potersi rivalere sui beni del regime pensionistico in caso di insolvenza del datore di lavoro.

    43.      Anche l’insufficiente finanziamento di un regime pensionistico può, però, presentarsi – secondo la configurazione del sistema di previdenza professionale di volta in volta considerato – come un pregiudizio degli interessi dei lavoratori determinato da uno stato di insolvenza (8).

    44.      La stabilità dei regimi pensionistici professionali può venire pregiudicata, secondo la rispettiva configurazione, da una molteplicità di fattori interni al sistema. Ad esempio, sviluppi imprevisti dei mercati finanziari, il mancato verificarsi di previsioni demografiche o una cattiva gestione possono avere come effetto che il regime pensionistico non abbia una copertura sufficiente, che il calcolo alla base delle prestazioni promesse non sia corretto e che, al momento dell’erogazione, il regime pensionistico professionale non sia più in condizione di pagare al lavoratore la pensione concordata.

    45.      La direttiva 80/987 ha tuttavia per oggetto – come illustrato dal titolo e dalla valutazione d’insieme delle sue disposizioni – esclusivamente la tutela degli interessi dei lavoratori dai pregiudizi determinati da uno stato di insolvenza. L’art. 8 garantisce una tutela solo nel senso che richiede l’adozione di misure per garantire che l’insolvenza del datore di lavoro non arrechi un pregiudizio ai diritti alle pensioni lavorative complementari.

    46.      Da quanto sopra consegue che, prima facie, un insufficiente finanziamento del regime pensionistico professionale non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 8, poiché l’avverarsi dei summenzionati rischi generali di un regime pensionistico non è collegato, in linea di principio, con una qualche insolvenza del datore di lavoro, ma piuttosto è indipendente da essa.

    47.      La configurazione individuale adottata di volta in volta da un regime pensionistico professionale può, però, diversamente dalla predetta valutazione di fondo, avere come conseguenza che anche l’avverarsi di rischi immanenti al sistema costituisca, in caso di insolvenza del datore di lavoro, un pregiudizio determinato da uno stato di insolvenza nel senso previsto dall’art. 8.

    48.      Ciò risulta in maniera particolare allorquando il datore di lavoro si è obbligato a pagare le prestazioni pensionistiche indipendentemente dall’evolversi della situazione economica del regime pensionistico. Questa situazione è alla base anche del regime di equilibrio dei costi di cui trattasi nel caso di specie. In un regime di equilibrio dei costi, nel quale viene riconosciuta ai lavoratori una pensione determinata in percentuale della loro retribuzione finale ed il datore di lavoro ha un obbligo di contribuzione per la differenza tra l’importo corrisposto dal regime pensionistico professionale e quello riconosciuto, il diritto dei lavoratori al pagamento di tale differenza è esposto al rischio dell’insolvenza del datore di lavoro. Pertanto, nella misura in cui osta ad una piena realizzazione di questo diritto alla differenza, l’insolvenza del datore di lavoro integra un pregiudizio per l’interesse dei lavoratori determinato da uno stato di insolvenza.

    49.      Il fatto che la quantificazione della differenza a carico del datore di lavoro dipenda anche dall’avverarsi di singoli rischi non legati ad uno stato di insolvenza non può portare ad una diversa valutazione. All’interno di un regime di equilibrio dei costi basato sull’ultima retribuzione l’avverarsi dei rischi rappresenta, infatti, di per sé una turbativa dei calcoli del datore di lavoro, che si vede costretto a confrontarsi con obblighi di compensazione maggiori di quelli originariamente preventivati. Come sia stato determinato l’importo delle somme dovute dal datore di lavoro è tuttavia ininfluente sulla qualificazione del mancato pagamento delle stesse come un pregiudizio dei diritti del lavoratore causato da uno stato di insolvenza. Senza il verificarsi dell’insolvenza sarebbe, infatti, sorto a carico del datore di lavoro un corrispondente obbligo di pagamento, indipendentemente dalle modalità di quantificazione dell’importo da versare.

    50.      L’insufficiente finanziamento del regime pensionistico al momento dell’insorgere dell’insolvenza determina – in senso figurato – una cementificazione di questo stato di insufficienza economica. Nel caso in cui le risorse finanziarie non siano sufficienti a soddisfare tutte le aspettative di pagamento e questo deficit non possa più venire risanato a causa dello stato di insolvenza, lo stato di insufficiente finanziamento è una conseguenza dell’insorgere dello stato di insolvenza del datore di lavoro. Con l’insolvenza di quest’ultimo si realizza per gli interessi dei lavoratori il rischio dell’insufficienza di finanziamento in via temporanea, perché così vengono meno i pagamenti ad integrazione. Il rischio diventa un pregiudizio irreversibile per tali interessi.

    51.      Si deve, quindi, constatare che nel presente caso non è necessario esaminare quali evoluzioni abbiano condotto alla situazione di insufficiente finanziamento del regime pensionistico. E ciò perché, se anche con questa situazione di finanziamento insufficiente non fosse stato possibile il soddisfacimento integrale delle prestazioni dovute attingendo ai fondi, in ogni caso sarebbe sussistito l’obbligo di intervento del datore di lavoro, che non può, ormai, più essere adempiuto per sopravvenuta insolvenza.

    52.      In conclusione si deve rilevare che l’insufficiente finanziamento di un regime pensionistico non rappresenta, in linea di principio, un pregiudizio contro cui l’art. 8 tutela il lavoratore in caso di insolvenza del datore di lavoro. La particolare organizzazione e configurazione di un regime pensionistico può, però, far sì che questa valutazione di base vada corretta e che anche l’insufficiente finanziamento rappresenti un pregiudizio determinato da uno stato di insolvenza, come tale sanzionato dall’art. 8. Il «regime di equilibrio dei costi» scelto nella fattispecie integra proprio un caso in cui un insufficiente finanziamento del regime pensionistico comporta, dinanzi all’insolvenza del datore di lavoro, un pregiudizio degli interessi dei lavoratori determinato da uno stato di insolvenza.

    53.      Questa conclusione non contrasta neppure con la direttiva 2003/41 relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali. A tale riguardo occorre preliminarmente precisare che la direttiva 2003/41 è entrata in vigore solo dopo l’apertura della procedura concorsuale e la soppressione dei regimi pensionistici del caso di specie. Essa non ha, pertanto, conseguenze giuridiche dirette sul caso in oggetto, potendone scaturire solo un effetto indiziario per l’interpretazione dell’art. 8. Sebbene i governi del Regno Unito, dell’Irlanda e dei Paesi Bassi rilevino, a giusto titolo, che solo la direttiva 2003/41 ha introdotto in maniera esplicita disposizioni sul finanziamento degli enti pensionistici aziendali o professionali e che l’art. 16, n. 2, di tale direttiva permette addirittura una situazione di insufficienza di finanziamento in via temporanea, da ciò non è possibile dedurre alcunché per l’interpretazione dell’art. 8 della direttiva 80/987, dal momento che le due direttive hanno contenuti diversi. La direttiva 80/987 ha come oggetto la tutela degli interessi dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro, mentre la direttiva 2003/41 ha come oggetto la previdenza aziendale o professionale. La circostanza che la direttiva 2003/41 permetta un’insufficienza di finanziamento in via temporanea non consente di trarre alcuna indicazione circa la tutela che ricevono gli interessi dei lavoratori nel caso in cui un regime pensionistico sia interessato dall’insolvenza del datore di lavoro e, a causa dell’insolvenza, sia impossibile risanare la detta situazione di insufficiente finanziamento. Siffatta tutela dei lavoratori è disciplinata dalla direttiva 80/987 nel senso sopra precisato.

    2.      Livello di tutela dell’art. 8 della direttiva 80/987

    54.      Secondo il governo del Regno Unito e l’Irlanda, l’art. 8 della direttiva 80/987 non richiede una tutela completa dei diritti, maturati o in corso di maturazione, dei lavoratori alla pensione, ma solo una tutela minima. Essi non indicano, però, quale contenuto concreto debba avere questa tutela minima. Dall’interpretazione dell’art. 8 risulta, tuttavia, che esso impone una tutela integrale.

    a)      Il tenore letterale dell’art. 8 della direttiva 80/987

    55.      Il testo dell’art. 8 utilizza una formulazione ampia per definire gli interessi dei lavoratori in materia di pensioni che devono essere oggetto di tutela. L’espressione «interesse per quanto riguarda i diritti» indica, come già esposto, l’interesse economico all’adempimento sotteso ad un diritto.

    56.      L’interesse relativo ad un diritto alla pensione professionale è l’interesse economico all’adempimento dei diritti alla pensione professionale pattuita. Questo interesse economico tende all’adempimento integrale dei trattamenti pensionistici concordati. Non risponde all’interesse di un lavoratore ricevere solo il pagamento pro quota dei diritti pensionistici concordati contrattualmente. Dall’utilizzo della nozione di «interesse» non si può evincere, pertanto, in contrasto con l’opinione del governo del Regno Unito, che l’art. 8 non richiede una tutela integrale. Questo concetto tiene conto, piuttosto, della circostanza che, formalmente, i diritti dei lavoratori non vengono pregiudicati dall’insolvenza del datore di lavoro (9). Dal testo non risultano peraltro altri elementi che facciano presupporre un livello di tutela ridotto.

    57.      Si deve ora esaminare se l’interpretazione letterale trovi conferma in considerazioni sistematiche e teleologiche oppure se da queste risulti un livello di tutela inferiore.

    b)      Argomenti sistematici

    58.      Per quanto riguarda il contesto normativo della direttiva 80/987, si deve, innanzi tutto, constatare che essa non contiene alcuna disposizione che preveda in maniera esplicita una limitazione dell’ambito di applicazione dell’art. 8, presente nella sezione III della direttiva.

    59.      Per contro, nella sezione II della direttiva, avente ad oggetto la tutela dei diritti alla retribuzione dei lavoratori, limitazioni di tutela sono elencate espressamente. Il combinato disposto dell’art. 4, n. 1, e dell’art. 4, n. 3, prevede che, «per evitare di versare delle somme che vanno oltre il fine sociale della presente direttiva, [si possa] fissare un massimale per la garanzia di pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati».

    60.      Da quanto sopra il governo del Regno Unito deduce che, in linea di principio, sarebbe compatibile con il fine sociale della direttiva una tutela inferiore alla tutela integrale e ciò anche nell’ambito dell’art. 8. L’Irlanda argomenta in maniera simile ed insiste per un’applicazione analogica dell’art. 4, n. 3, all’art. 8. Una siffatta interpretazione sistematica non può, però, sottrarsi alla considerazione che la norma prevista dall’art. 4, n. 3, si trova in un’altra sezione della direttiva e che quest’ultima è rigidamente articolata. La sezione II ha come oggetto disposizioni sugli organismi di garanzia per assicurare il pagamento delle retribuzioni dei lavoratori in caso di insolvenza, mentre la sezione III contiene disposizioni sulla previdenza sociale.

    61.      I ricorrenti nella causa principale rilevano, inoltre, a ragione, che questi distinti ambiti normativi si differenziano notevolmente nel contenuto l’uno dall’altro e hanno, peraltro, alla base interessi non paragonabili. I mancati pagamenti delle retribuzioni sono immediatamente percepibili dai lavoratori ed hanno per lo più breve durata. In ogni caso, i lavoratori possono reagirvi in maniera relativamente rapida. I regimi pensionistici, invece, nella maggior parte dei casi, presentano una complessità difficilmente discernibile e gli effetti della mancata erogazione delle prestazioni pensionistiche attese sono pesanti, di lunga durata e difficilmente correggibili. Già solo la non comparabilità degli interessi che stanno alla base delle varie sezioni osta, pertanto, ad un’applicazione analogica dell’art. 4, n. 3, all’art. 8.

    62.      Neanche l’art. 6, che si trova nella sezione III della direttiva e che, con un riferimento agli artt. 3 e segg., stabilisce un certo nesso con la sezione II, osta alle considerazioni sopra esposte, dal momento che, affrontando il problema del destino degli ulteriori contributi dei lavoratori agli enti pensionistici in caso di insolvenza del datore di lavoro, esso disciplina solo un aspetto ben delimitato delle norme in materia di previdenza sociale ed ha come oggetto diritti dei lavoratori che non sono stati ancora acquisiti.

    63.      Anche l’interpretazione sistematica conduce, quindi, a concludere che l’art. 8 esige una tutela integrale degli interessi dei lavoratori.

    c)      Interpretazione teleologica dell’art. 8 della direttiva 80/987

    64.      La soluzione proposta innanzi è parimenti sorretta da un’interpretazione volta ad esaminare il senso e le finalità della norma. Il primo ‘considerando’ indica chiaramente, a questo proposito, che lo scopo della direttiva è la tutela dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro.

    65.      Si è già sottolineato, al riguardo, che esiste una particolare esigenza di tutela dei lavoratori per quanto riguarda i loro diritti alla pensione in caso di insolvenza del datore di lavoro. E ciò perché, da un lato, il lavoratore può fare, a ragione, affidamento di avere a disposizione durante la vecchiaia, oltre alla pensione prevista per legge, anche le prestazioni pensionistiche professionali promesse, e, dall’altro lato, solo la presenza di entrambe le componenti della sua pensione gli garantirà, di norma, uno standard di vita adeguato durante la vecchiaia. Un’elevata esigenza di tutela del lavoratore con riferimento ai diritti pensionistici acquisiti – proprio rispetto ai crediti di lavoro in situazioni di insolvenza, che hanno effetti solo di breve durata – si evince, in particolare, anche dalla circostanza che una riduzione dei diritti pensionistici esplica i suoi effetti per tutta la durata della pensione e che, di norma, non esiste alcuna possibilità di compensare questa lacuna in un secondo momento. Qualora, inoltre, la pensione obbligatoria di vecchiaia offra solo una garanzia di base, come è pacifico che avviene nel caso di specie, l’esigenza di tutela delle pensioni professionali diventa ancora più forte.

    66.      Né si ricava una diversa valutazione dalla giurisprudenza della Corte sulla ratio della direttiva 80/987. La Corte ha ripetutamente affermato che la finalità sociale della direttiva sarebbe di garantire a tutti i lavoratori subordinati una tutela comunitaria minima in caso di insolvenza del datore di lavoro (10). Il governo del Regno Unito richiama questa giurisprudenza per argomentare che anche l’art. 8 richiederebbe solo una tutela minima e non una tutela completa degli interessi dei lavoratori. Non è, tuttavia, chiaro quale concreta tutela minima si possa ricavare dall’art. 8.

    67.      In nessun caso, comunque, la giurisprudenza della Corte sopra richiamata aveva ad oggetto l’interpretazione dell’art. 8 della direttiva 80/987, occupandosi essenzialmente delle disposizioni della direttiva sui crediti di lavoro dei lavoratori. Tali disposizioni contengono, ebbene, in maniera esplicita la possibilità di introdurre limitazioni o conferiscono agli Stati membri diversi mezzi di azione alternativi che hanno anche una portata di tutela diversa. Già dal loro testo si ricava che esse garantiscono solamente una tutela minima. Lo stesso non si può desumere, invece, dall’art. 8. Per questi motivi, nemmeno dalla valutazione generale della Corte, secondo la quale la direttiva perseguirebbe una tutela minima, può dedursi una limitazione alla portata della tutela richiesta dall’art. 8.

    68.      Per gli stessi motivi non si può essere d’accordo con l’argomento del governo del Regno Unito che farebbe discendere da un ‘considerando’ della direttiva di modifica 2002/74 (11) una portata solo limitata dell’art. 8 della direttiva 80/987. Sul punto occorre preliminarmente ricordare che la direttiva di modifica è entrata in vigore solo dopo l’apertura della procedura concorsuale a carico della ASW e la soppressione dei suoi regimi pensionistici (12). Da essa non può, pertanto, ricavarsi un’efficacia diretta sulla valutazione giuridica della presente fattispecie, ma, al massimo, criteri indiziari per l’interpretazione dell’art. 8. La direttiva non ha apportato, del resto, nessuna modifica all’art. 8 della direttiva 80/987.

    69.      Il governo del Regno Unito fa riferimento al secondo ‘considerando’, nel quale si afferma che la direttiva 80/987 deve «garantire ai lavoratori subordinati un minimo di tutela in caso di insolvenza del datore di lavoro» e obbligare, pertanto, gli Stati membri a creare un organismo che garantisca ai lavoratori interessati il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori. Da questo utilizzo del concetto di «tutela minima» il governo del Regno Unito intende dedurre che anche la norma speciale dell’art. 8 dovrebbe garantire, con riferimento agli interessi dei lavoratori in materia dei loro diritti pensionistici, solo una tutela minima e non una tutela completa. Così facendo, però, non tiene conto del fatto che il concetto di «tutela minima» viene utilizzato in collegamento con gli organismi di garanzia per i crediti da lavoro dei lavoratori e non, invece, in riferimento agli altri istituti della direttiva 80/987. Dalla formulazione del ‘considerando’ non si può, pertanto, dedurre che per tutti i diritti dei lavoratori che siano stati pregiudicati dall’insolvenza del datore di lavoro deve essere garantita solo una tutela minima, anche dove questi, a rigore di testo, vengono garantiti senza limitazioni nella direttiva 80/987. Del resto, una direttiva di modifica non può ridurre la portata della tutela di una precedente direttiva solamente attraverso un ‘considerando’ e non invece attraverso una modifica dell’articolo considerato (13).

    70.      Occorre, pertanto, rilevare a titolo di conclusione parziale che l’art. 8 della direttiva 80/987 esige una tutela integrale degli interessi dei lavoratori in materia di diritti alla pensione professionale in caso di insolvenza del datore di lavoro.

    71.      Nella fattispecie, resta da vedere se, in circostanze eccezionali, possa essere eventualmente giustificata una limitazione di siffatta tutela integrale. Un riferimento alla possibilità di apportare deroghe a questa tutela generalmente integrale potrebbe risultare dal primo ‘considerando’ della direttiva 80/987, secondo il quale la tutela del lavoratore subordinato deve essere garantita tenendo conto – e, così, non in maniera assoluta – delle necessità di un equilibrato sviluppo economico e sociale nella Comunità. In questo contesto acquisiscono rilevanza, in particolare, gli effetti economici derivanti dalla garanzia di copertura dei diritti dei lavoratori, dal momento che le relative misure di tutela hanno costi ovviamente non irrilevanti, a loro volta non privi di impatto sull’economia del paese. Nella determinazione dell’ampiezza della tutela dell’art. 8 deve essere, tuttavia, posta in rilievo la particolarmente elevata necessità di tutela dei lavoratori per quanto riguarda i loro diritti pensionistici, in maniera tale che solo in limitate circostanze eccezionali potrebbe venire in considerazione una deroga alla tutela fondamentalmente integrale dei diritti dei lavoratori. Se sussistesse solo una limitata esigenza di tutela dei lavoratori, da un lato, e, dall’altro lato, una totale copertura avesse come conseguenza costi non proporzionati, si potrebbe pensare di essere in presenza di un caso eccezionale, dove potrebbe essere adeguato un minor livello di tutela, che tenga conto di entrambi gli aspetti. Potrebbero essere ipotizzabili, per esempio, ragionevoli limitazioni dei diritti in via di maturazione dei lavoratori che fossero ancora molto lontani dall’età pensionabile e che avessero, pertanto, possibilità di compensazione, oppure limitazioni di diritti pensionistici ampiamente superiori alla media. Circostanze eccezionali siffatte non sono, però, ravvisabili nel caso di specie. Inoltre, anche per ragioni di certezza del diritto, un siffatto abbassamento del livello di tutela dovrebbe essere previsto per legge.

    72.      Una misura di attuazione nazionale, come quella che è alla base del presente caso, che abbia come risultato che, a seguito di insolvenza del datore di lavoro, resta ai lavoratori solo il 49% o addirittura solo il 20% delle prestazioni pensionistiche assicurate, indipendentemente dall’ammontare della pensione – come è successo ai primi due ricorrenti nella causa principale –, non può in nessun caso realizzare il livello di tutela richiesto dall’art. 8 (neanche ove si consideri la predetta possibilità di derogare alla tutela integrale richiesta da tale disposizione).

    3.      Quale tipo di misure deve essere promosso dagli Stati membri al fine di garantire la tutela degli interessi dei lavoratori?

    73.      Occorre di seguito verificare quali misure l’art. 8 della direttiva 80/987 imponga agli Stati membri al fine di garantire il livello di tutela richiesto. In particolare, occorre chiarire, con riguardo alla prima questione pregiudiziale, se l’art. 8 contenga anche un obbligo per gli Stati membri di compensare con prestazioni finanziarie proprie le diminuzioni delle pensioni causate da situazioni di insolvenza.

    74.      Ai sensi dell’art. 8 della direttiva, gli Stati membri si assicurano che vengano adottate le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori colpiti.

    75.      I ricorrenti nella causa principale sostengono che, sebbene l’art. 8 non preveda alcun obbligo di garanzia degli Stati membri, ma lasci la possibilità di indicare i soggetti tenuti alla compensazione in caso di diminuzione delle prestazioni pensionistiche, gli Stati membri hanno un obbligo in tal senso nel caso in cui non sussista una garanzia sufficiente.

    76.      Si deve, però, concordare con il governo del Regno Unito, con l’Irlanda e con la Commissione quando affermano che la direttiva non pone direttamente a carico degli Stati membri una responsabilità per le diminuzioni delle prestazioni che non sono state sufficientemente garantite.

    77.      Come osservato, infatti, da tutte le parti in causa, il testo dell’art. 8 della direttiva non prevede né che gli Stati membri debbano rispondere direttamente delle diminuzioni delle prestazioni pensionistiche, né che debbano fungere da garanti ultimi nel caso in cui i sistemi di tutela apprestati non siano in grado di offrire una copertura sufficiente. Al contrario, il tenore letterale dell’art. 8 chiarisce, con l’utilizzo consapevole dell’espressione «si assicurano», che gli Stati membri devono solamente assicurare che ai lavoratori sia, alla fine, garantita una tutela. Con quali mezzi si raggiunga il risultato, è lasciato alla loro libera valutazione. La formulazione è scelta in maniera tale che, in particolare, le misure necessarie possono essere riversate anche sui datori di lavoro, ai quali può, ad esempio, venire imposto per legge un obbligo di assicurare le pensioni da loro stessi promesse o di istituire fondi di garanzia comuni (14).

    78.      Questa interpretazione trova una conferma a contrario nel testo dell’art. 7, là dove dispone che gli Stati membri «adottano le misure necessarie per garantire (...)». Se l’art. 8, che viene immediatamente dopo l’art. 7, non ripete la formulazione di quest’ultimo, ma richiede, discostandosene ed in maniera più tenue, solo un’assicurazione da parte degli Stati membri, ciò significa che l’art. 8 non pretende misure dirette degli Stati membri, misure che invece possono essere delegate anche a terzi. Gli Stati membri non devono, così, divenire i garanti ultimi e non sono, pertanto, tenuti a pagare direttamente le prestazioni pensionistiche.

    79.      Infine, occorre ancora chiarire, ai fini dell’interpretazione dell’art. 8 della direttiva 80/987, cosa siano le «misure necessarie» ai sensi di tale norma. Sono necessarie quelle misure che garantiscono una tutela completa degli interessi dei lavoratori. Quali esse siano, non può essere determinato in via generale, dipendendo dal tipo e dall’organizzazione del sistema pensionistico professionale. Contrariamente all’opinione del Regno Unito, dell’Irlanda e dei Paesi Bassi, non è, pertanto, sufficiente in ogni caso una separazione tra il patrimonio del datore di lavoro e quello del regime pensionistico (15). In un regime di equilibrio dei costi, qual è quello oggetto della presente fattispecie, non basta una separazione dei patrimoni per tutelare gli interessi dei lavoratori. Ciò emerge, non da ultimo, dalle notevoli diminuzioni delle pensioni con cui devono confrontarsi i ricorrenti nella causa principale.

    80.      Contrariamente a quanto ritiene il Regno Unito, neanche i lavori preparatori consentono di interpretare l’art. 8 nel senso che esso richiede solamente una separazione del patrimonio del regime pensionistico da quello del datore di lavoro. Sebbene il verbale di una seduta del «Gruppo di lavoro per le questioni sociali» del Consiglio, depositato, tra le altre cose, dal governo del Regno Unito, riporti la dichiarazione di un rappresentante della Commissione secondo cui l’art. 8 (16) comprenderebbe la separazione dei patrimoni (17), tale dichiarazione non è di per sé netta. Il fatto che l’art. 8 comprenda la separazione dei patrimoni, non significa, infatti, che tale norma non possa richiedere anche altre misure.

    81.      I lavori preparatori sono, peraltro, di importanza secondaria al fine dell’interpretazione (18). Secondo la giurisprudenza della Corte, non possono essere prese in considerazione per interpretare una disposizione del diritto derivato neppure le dichiarazioni a verbale del procedimento di adozione dell’atto normativo, qualora il contenuto delle dichiarazioni non trovi alcun riscontro nel testo della disposizione di cui trattasi (19). La portata oggettiva di una norma del diritto comunitario sarebbe determinata solo dalla norma stessa, tenuto conto del suo contesto (20). Questa dichiarazione della Corte deve valere a fortiori per le dichiarazioni che un rappresentante della Commissione rende dinanzi a un gruppo di lavoro del Consiglio. Dal momento che, come sopra rilevato, dal testo dell’art. 8 non risulta alcuna indicazione nel senso che, per la sua attuazione, è sufficiente una separazione dei patrimoni, neanche considerazioni di ordine storico possono condurre ad un diverso risultato interpretativo.

    82.      L’art. 8 della direttiva 80/987 non richiede necessariamente che un regime pensionistico sia integralmente finanziato in ogni momento, come ha osservato, a ragione, in udienza il governo dei Paesi Bassi. Tale norma richiede, tuttavia, che, nel caso in cui l’insufficienza di finanziamento unitamente all’insolvenza del datore di lavoro causi un pregiudizio agli interessi dei lavoratori, venga adottata (almeno un’altra) misura atta a garantire il soddisfacimento dei diritti pensionistici dei lavoratori.

    4.      Conclusione parziale

    83.      Come conclusione parziale si deve osservare che, in linea di principio, l’art. 8 della direttiva 80/987 esige una tutela integrale degli interessi dei lavoratori con riferimento ai loro diritti, maturati o in corso di maturazione, a prestazioni pensionistiche professionali. In un regime pensionistico caratterizzato, come nel caso di specie, da un equilibrio dei costi, questa tutela si estende alle conseguenze che derivano, a danno dei diritti pensionistici, dall’insufficiente finanziamento del regime. L’art. 8 non obbliga, però, gli Stati membri a garantire direttamente questa tutela con prestazioni finanziarie proprie, come se esistesse una loro responsabilità per gli ammanchi.

    B –    Sulla terza questione pregiudiziale

    84.      Con la terza questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede quale verifica debba essere intrapresa, ove sia invocata la responsabilità di uno Stato membro per violazione del diritto comunitario, per stabilire se tale violazione sia sufficientemente qualificata.

    85.      Secondo la giurisprudenza della Corte, uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario quando sussistono tre condizioni (21):

    –        in primo luogo, la norma giuridica violata deve conferire ai singoli diritti il cui contenuto possa essere determinato sulla base della direttiva;

    –        in secondo luogo, si deve trattare di una violazione sufficientemente qualificata; e,

    –        in terzo luogo, deve sussistere un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo di diritto comunitario incombente allo Stato ed il danno subito dall’interessato.

    86.      Benché, secondo la giurisprudenza, spetti in linea di massima ai giudici nazionali accertare se sussistano o meno le condizioni della responsabilità degli Stati membri (22), la Corte, nei casi in cui le sono state fornite informazioni sufficienti, ha nondimeno precisato talune circostanze di cui i giudici nazionali potessero tener conto nelle loro valutazioni (23).

    1.      Diritti dei singoli

    87.      È giurisprudenza della Corte che la norma giuridica violata deve essere preordinata a conferire ai singoli diritti il cui contenuto possa essere determinato con sufficiente precisione sulla base della direttiva (24).

    88.      L’art. 8 della direttiva 80/987 esige – come sopra rilevato – l’assicurazione di una tutela integrale dei diritti al pagamento delle prestazioni pensionistiche maturati dai lavoratori. La categoria di soggetti interessati, che beneficeranno dei diritti sanciti dall’art. 8 della direttiva, è, in questo, individuata in maniera sufficientemente precisa, come già dichiarato dalla Corte nella sentenza Francovich con riferimento ai diritti previsti dall’art. 3 della direttiva (25). La categoria di soggetti tutelata dell’art. 8, qui in esame, non si differenzia da quella dell’art. 3 della direttiva.

    89.      Anche il contenuto dei diritti dei lavoratori è stabilito in maniera sufficientemente precisa. Come è stato sopra rilevato, l’art. 8 esige, in caso di insolvenza del datore di lavoro, una tutela completa degli interessi dei lavoratori in materia di diritti pensionistici.

    2.      Violazione sufficientemente qualificata

    90.      Secondo la giurisprudenza della Corte, una violazione è sufficientemente qualificata quando uno Stato membro, nell’esercizio del suo potere normativo, ha violato in modo grave e manifesto i limiti posti al suo potere discrezionale (26).

    91.      La semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente ad integrare una violazione grave e manifesta se lo Stato membro interessato, al momento in cui l’ha commessa, non aveva la possibilità di operare scelte normative disponendo, invece, di un potere discrezionale considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente (27).

    92.      Alla luce della formulazione dell’art. 8, che consente agli Stati membri di stabilire quali mezzi adottare, non si può certo affermare che l’art. 8 non lasci agli Stati membri alcun potere discrezionale o che conferisca ai medesimi solo un potere assai ridotto. Del resto, non si può nemmeno rimproverare al Regno Unito di non avere adottato alcuna misura per la trasposizione della direttiva (28). Esso ha affermato di aver adottato, per l’attuazione dell’art. 8, la misura della separazione del patrimonio del datore di lavoro da quello degli enti pensionistici, nonché un parziale pagamento ex post dei contributi, e di aver con ciò provveduto in maniera sufficiente a quanto richiesto dall’art. 8.

    93.      Il giudice del rinvio deve, quindi, valutare, alla luce degli ulteriori criteri che la Corte ha indicato, se lo Stato membro abbia violato in modo grave e manifesto i limiti posti al suo potere discrezionale. Nella sua valutazione egli deve, tra l’altro, considerare il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, l’ampiezza del potere discrezionale riservato alle autorità nazionali, eventualmente il carattere intenzionale della trasgressione commessa o del danno causato, un’eventuale scusabilità dell’errore di diritto ed il possibile concorso di un’istituzione comunitaria al compimento della trasgressione (29). È giurisprudenza della Corte che deve altresì considerare se l’interpretazione della norma della direttiva che il legislatore nazionale ha posto alla base della sua attuazione era sostenibile o se, viceversa, era manifestamente contraria al testo della direttiva o allo scopo da questa perseguita (30).

    94.      Alla luce di questi criteri appare dubbio che la violazione qui in esame sia sufficientemente qualificata.

    95.      È problematico, in particolare, stabilire se l’art. 8 della direttiva 80/987 descriva con la necessaria chiarezza la portata ed il livello della tutela degli interessi dei lavoratori da esso richiesta. In particolare, sembrerebbe mancare della dovuta precisione il criterio, risultante dall’economia della direttiva, della necessità che il pregiudizio sia determinato da uno stato di insolvenza. Che l’avverarsi dei rischi generali vada qualificato, in caso di insolvenza, come pregiudizio determinato da quest’ultima, secondo la configurazione del regime pensionistico professionale di volta in volta considerato, non è, quanto meno, di palmare evidenza. L’interpretazione data dal Regno Unito al criterio della necessità di uno stato di insolvenza, secondo la quale l’insufficiente finanziamento di un regime pensionistico non è necessariamente conseguenza di una situazione di insolvenza, non è, come tale, insostenibile. Neanche l’interpretazione del livello di tutela richiesto dall’art. 8 fornita dal detto governo è irragionevole. Si è espressa in tal senso, in udienza, anche la Commissione, osservando come il livello di tutela dell’art. 8 non sia facilmente definibile.

    96.      Non osta a questa valutazione neppure il fatto che l’avvocato generale Lenz già nel 1988 abbia constatato, nelle sue conclusioni, come per l’attuazione dell’art. 8 non sia sufficiente una tutela «che si limiti all’intangibilità di fondi effettivamente costituiti e non si estenda a fare in modo che i fondi vengano dotati di mezzi sufficienti» (31). Sebbene nella sentenza la Corte non si sia pronunciata sulla questione in maniera più esplicita, si potrebbe argomentare che il Regno Unito avrebbe dovuto riconoscere già dall’interpretazione offerta nelle conclusioni che l’art. 8 della direttiva 80/987 richiede l’adozione di misure più incisive. Tuttavia, sarebbe eccessivo dedurre da un’insufficiente considerazione delle conclusioni di un avvocato generale che una violazione da parte del legislatore è sufficientemente qualificata (32); il legislatore non può, con una domanda di pronuncia pregiudiziale, ricavare un parere della Corte su un problema affrontato, sì, dall’avvocato generale, ma su cui la Corte medesima non ha statuito.

    97.      La sufficiente gravità di una violazione può, del resto, dover essere esclusa anche in presenza di un errore scusabile di diritto o quando i comportamenti di un organo comunitario hanno potuto contribuire all’omissione, all’adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti nazionali contrari al diritto comunitario (33).

    98.      In questo contesto acquista rilevanza una relazione della Commissione del 1995, nella quale quest’ultima, in sede di valutazione delle misure nazionali di attuazione della direttiva 80/987, osservava che le misure adottate dal Regno Unito «sembrano» rispondere ai requisiti posti all’art. 8 (34). Sebbene si debba concordare con i ricorrenti nella causa principale sul fatto che la Commissione abbia adottato una formulazione prudente (35), mentre ha scelto espressioni più esplicite per i regimi di tutela instaurati da altri Stati membri (36), ciò non può tuttavia tradursi in uno svantaggio per il Regno Unito, tanto più che la detta relazione ne ha rafforzato la convinzione di aver, con le misure di attuazione adottate, ottemperato adeguatamente all’art. 8.

    99.      In conclusione, le circostanze di specie indicano che la violazione non è sufficientemente qualificata.

    VI – Conclusione

    100. Alla luce delle suesposte considerazioni propongo alla Corte di giustizia di risolvere le questioni pregiudiziali formulate dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, nei seguenti termini:

    1)      L’art. 8 della direttiva 80/987/CEE richiede, in linea di principio, una tutela integrale degli interessi dei lavoratori per quanto riguarda i loro diritti, maturati o in corso di maturazione, a prestazioni di regimi professionali o interprofessionali. La tutela dell’art. 8 della direttiva 80/987 si estende anche ai pregiudizi derivanti dall’insufficiente finanziamento del regime pensionistico quando a determinarli è una situazione di insolvenza.

    2)      L’art. 8 della direttiva 80/987 non obbliga gli Stati membri a garantire la tutela degli interessi dei lavoratori con prestazioni finanziarie proprie.

    3)      Secondo la giurisprudenza della Corte, una violazione del diritto comunitario è sufficientemente qualificata quando lo Stato membro, nell’esercizio del suo potere normativo, ha violato in modo grave e manifesto i limiti posti al suo potere discrezionale. La semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente a integrare una violazione sufficientemente qualificata se lo Stato membro interessato, al momento in cui l’ha commessa, non aveva la possibilità di operare scelte normative, ma disponeva di un potere discrezionale considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente.


    1 – Lingua originale: il tedesco.


    2 – GU L 283, pag. 23.


    3 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/74/CE, che modifica la direttiva 80/987/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (GU L 270, pag. 10). La direttiva è entrata in vigore l’8 ottobre 2002 con termine ultimo per la sua attuazione 8 ottobre 2005.


    4 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 3 giugno 2003, 2003/41/CE, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (GU L 235, pag. 10), entrata in vigore il 23 settembre 2003, con termine ultimo per la sua attuazione 23 settembre 2005.


    5 – V., per tutte, le sentenze 3 maggio 2001, causa C‑28/99, Verdonck (Racc. pag. I‑3399, punto 28), e 30 aprile 1998, cause riunite C‑37/96 e C‑38/96, Sodiprem e a. (Racc. pag. I‑2039, punto 22).


    6 – V. per tutte, tra le più recenti, le sentenze 8 dicembre 2005, causa C–280/04, Jyske Finans (Racc. pag. I‑10683, punto 34), e 9 marzo 2006, causa C–323/03, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑2161, punto 32).


    7 – Il corsivo è mio.


    8 – In questo senso già l’avvocato generale Lenz nelle conclusioni del 15 novembre 1988, causa 22/87, Commissione/Italia (Racc. pag. I–143, paragrafo 49), secondo il quale gli autori della direttiva 80/987 «volevano sicuramente considerare il problema dell’alimentazione del fondo anche in relazione all’art. 8». Nella sentenza la Corte non ha statuito in merito.


    9 – V. supra, paragrafo 37.


    10 – V. sentenze 11 settembre 2003, causa C–201/01, Walcher (Racc. pag. I–8827, punto 38), 18 ottobre 2001, causa C–441/99, Gharehveran (Racc. pag. I–7687, punto 26), 14 luglio 1998, causa C–125/97, Regeling (Racc. pag. I–4493, punto 20), 10 luglio 1997, causa C–373/95, Maso e a. (Racc. pag. I–4051, punto 56), 19 novembre 1991, cause riunite C–6/90 e C–9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I–5357, punti 3 e 21), e 2 febbraio 1989, causa 22/87, Commissione/Italia (Racc. pag. I–143, punto 23).


    11 – Con la quale è stata modificata la direttiva 80/987.


    12 – La direttiva è entrata in vigore l'8 ottobre 2002, i regimi previdenziali sono stati chiusi dopo l'apertura della procedura concorsuale a carico della ASW nel luglio 2002.


    13 – Secondo la giurisprudenza della Corte, i ‘considerando’ di un atto comunitario non hanno valore giuridico vincolante e non possono essere fatti valere né per derogare alle disposizioni dell’atto di cui trattasi, né per interpretare tali disposizioni in un senso manifestamente in contrasto con la loro formulazione. V. sentenze 19 novembre 1998, causa C–162/97, Nilsson e a. (Racc. pag. I–7477, punto 54), e 24 novembre 2005, causa C–136/04, Deutsches Milch‑Kontor (Racc. pag. I–10095, punto 32). Ciò deve tanto più valere per il preambolo di una direttiva di modifica che non modifica essa stessa l’articolo in questione.


    14 – Così anche l’avvocato generale Lenz nelle conclusioni per la causa Commissione/Italia (citate alla nota 8, paragrafo 50). Nella sentenza la Corte non ha affrontato questo punto.


    15 – In questo senso anche le conclusioni dell’avvocato generale Lenz (citate alla nota 8, paragrafo 48).


    16 Nel procedimento legislativo denominato ancora art. 7.


    17 Summary of Proceedings of the Working Party on Social Questions on 14 and 15 March 1979, documento del 19 marzo 1979, n. 5581/79, pag. 13a.


    18 V. sentenza 21 gennaio 1992, causa C–310/90, Egle (Racc. pag. I–177, punto 12), nella quale la genesi dell’atto è stata presa in considerazione solo come conferma delle interpretazioni raggiunte attraverso altri metodi.


    19 V. sentenze 26 febbraio 1991, causa C–292/89, Antonissen (Racc. pag. I–745, punto 18), e 10 gennaio 2006, causa C‑402/03, Skov e a. (Racc. pag. I‑199, punto 42); già nella sua sentenza 23 febbraio 1988, causa 429/85, Commissione/Italia (Racc. pag. 843, punto 9), la Corte ha affermato che un argomento basato su una dichiarazione del Consiglio non può giustificare un’interpretazione diversa da quella che si evince dalla lettera della direttiva.


    20 Sentenza 15 aprile 1986, causa 237/84, Commissione/Belgio (Racc. pag. 1247, punto 17).


    21 – V., tra le altre, le sentenze 4 luglio 2000, causa C–424/97, Haim (Racc. pag. I‑5123, punto 36); 5 marzo 1996, cause riunite C–46/93 e C–48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame (Racc. pag. I–1029, punto 51), e 22 aprile 1998, causa C–127/95, Norbrook Laboratories (Racc. pag. I–1531, punto 107).


    22 – Sentenze 26 marzo 1996, causa C–392/93, British Telecommunications (Racc. pag. I‑1631, punto 41), 17 ottobre 1996, cause riunite C‑283/94, C‑291/94 e C‑292/94, Denkavit e a. (Racc. pag. I‑5063, punto 49), e 24 settembre 1998, causa C‑319/96, Brinkmann (Racc. pag. I‑5255, punto 26).


    23 – V., per tutte, sentenza 18 gennaio 2001, causa C‑150/99, Stockholm Lindöpark (Racc. pag. I‑493, punto 38).


    24 – V. sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C‑6/90 e C‑9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I‑5357, punti 40 e 44), e 15 giugno 1999, causa C‑140/97, Rechberger e a. (Racc. pag. 3499, punti 22 e 23).


    25 – V. sentenza Francovich e a. (citata alla nota 24, punti 13 e 14).


    26 – V. sentenze Brasserie du Pêcheur (citata alla nota 21, punto 55), Rechberger e a. (citata alla nota 24, punto 50), British Telecommunications (citata alla nota 22, punto 42) e 8 ottobre 1996, cause riunite C‑178/94, C‑179/94 e da C‑188/94 a C‑190/94, Dillenkofer e a. (Racc. pag. I‑4845, punto 25).


    27 – V. sentenze 23 maggio 1996, causa C–5/94, Hedley Lomas (Racc. pag. I–2553, punto 28), e Dillenkofer e a. (citata alla nota 26, punto 25).


    28 – La completa omissione di misure di attuazione potrebbe essere già di per sé sufficiente ad integrare una violazione grave e manifesta da parte di uno Stato membro dei limiti posti al suo potere discrezionale; v. sentenza Dillenkofer e a. (citata alla nota 26, punto 26).


    29 – V., per tutte, sentenza Brasserie du Pêcheur e Factortame (citata alla nota 21, punti 55 e 56) e, da ultimo, sentenza 30 settembre 2003, causa C‑224/01, Köbler (Racc. pag. I‑10239, punto 55). Il giudice nazionale dovrebbe tener conto dei detti criteri anche se si giungesse alla conclusione che nel caso di specie il potere discrezionale del legislatore era notevolmente ridotto, se non azzerato. È giurisprudenza della Corte che in questa ipotesi, come osservato supra, la mera trasgressione del diritto comunitario può integrare, ma non integra necessariamente, una violazione qualificata. Per accertare se la violazione è sufficientemente qualificata, il giudice nazionale deve tener conto anche in questo caso dei criteri sopraelencati. Cfr. sentenze Haim (citata alla nota 21, punti 41 e segg.) e 28 giugno 2001, causa C‑118/00, Larsy (Racc. pag. I‑5063, punto 39).


    30 – Sentenza British Telecommunications (citata alla nota 22, punto 43).


    31 – V. le conclusioni dell’avvocato generale Lenz nella causa Commissione/Italia (citata alla nota 8, paragrafo 48).


    32 – Non può probabilmente dirsi lo stesso in ordine al problema se la mancata sottoposizione da parte di un giudice di ultima istanza di una questione pregiudiziale alla Corte rappresenti una violazione del diritto comunitario sufficientemente grave e manifesta.


    33 – V. sentenze Brasserie du Pêcheur e Factortame (citata alla nota 21, punto 56) e Köbler (cit. alla nota 29, punto 55), secondo le quali l'intervento di un organo comunitario che abbia contribuito alla violazione potrebbe essere sussunto nel criterio dell'errore di diritto scusabile.


    34 – Relazione della Commissione 15 giugno 1995, sul recepimento della direttiva del Consiglio [80/987/CEE], COM/95/164 def.


    35 – La relazione conclude la descrizione delle disposizioni del Regno Unito con le parole: «Le misure summenzionate sembrano rispondere ai requisiti posti all’art. 8».


    36 – V., ad esempio, pag. 46 della relazione della Commissione (cit. alla nota 34) a proposito delle misure di attuazione spagnole: «Con queste disposizioni l’ordinamento spagnolo si conforma all’art. 8 della direttiva».

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