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Document 62005CC0101

    Conclusioni dell'avvocato generale Bot del 11 settembre 2007.
    Skatteverket contro A.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Regeringsrätten - Svezia.
    Libera circolazione dei capitali - Restrizione ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi - Imposta sui redditi da capitale - Dividendi percepiti da una società stabilita in uno Stato membro del SEE - Esenzione - Dividendi percepiti da una società stabilita in un paese terzo - Esenzione subordinata all’esistenza di una convenzione fiscale che preveda uno scambio di informazioni - Efficacia dei controlli fiscali.
    Causa C-101/05.

    Raccolta della Giurisprudenza 2007 I-11531

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2007:493

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    YVES BOT

    presentate l’11 settembre 2007 (1)

    Causa C‑101/05

    Skatteverket

    contro

    A

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Regeringsrätten (Svezia)]

    «Libera circolazione dei capitali – Relazioni con un paese terzo – Normativa tributaria – Tassazione dei dividendi distribuiti sotto forma di azioni di una società controllata – Nozione di “restrizione ad un movimento di capitali” – Giustificazione – Efficacia dei controlli fiscali»





    1.     A differenza delle altre libertà di circolazione sancite dal Trattato CE, la libertà di circolazione dei capitali non si applica esclusivamente ai rapporti tra gli Stati membri, ma vieta altresì le restrizioni ai movimenti di capitali tra gli Stati membri ed i paesi terzi. Con il presente procedimento pregiudiziale il giudice nazionale chiede alla Corte di precisare se tale libertà di circolazione abbia uguale portata nel caso delle relazioni tra gli Stati membri ed i paesi terzi e nell’ambito dei movimenti intracomunitari.

    2.     Il presente procedimento trae origine da una lite vertente sulla concessione, ad una persona fisica residente in Svezia, di un’esenzione dall’imposta sul reddito per i dividendi distribuiti da una società stabilita in Svizzera sotto forma di partecipazioni in una società controllata.

    3.     Ai sensi della normativa svedese applicabile, tale esenzione è soggetta a varie condizioni. Il Regno di Svezia, ritenendo di dover essere in grado di controllare il rispetto di tali condizioni nel caso in cui la società distributrice sia stabilita all’estero, ha previsto che tale esenzione venga concessa nei soli casi in cui la detta società abbia la propria sede in un paese dello Spazio economico europeo (SEE) ovvero in uno Stato con il quale la Svezia abbia concluso una convenzione in materia fiscale contenente una clausola sullo scambio di informazioni.

    4.     Si tratta allora di stabilire se siffatta normativa debba essere considerata una restrizione ad un movimento di capitali ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE e, eventualmente, se una restrizione di tal genere possa essere giustificata

    5.     Nelle presenti conclusioni sosterrò che le nozioni di «movimento di capitali» e di «restrizione», di cui all’art. 56, n. 1, CE, devono avere la stessa portata nel caso delle operazioni tra Stati membri e paesi terzi e nell’ambito delle relazioni tra Stati membri. Di conseguenza, concluderò che la normativa nazionale in questione costituisce in effetti una restrizione al movimento di capitali ai sensi di tale disposizione.

    6.     Di seguito, passerò ad esaminare entro quali limiti tale normativa possa ritenersi giustificata.

    7.     In proposito ricorderò che la necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali può giustificare una restrizione alla libera circolazione dei capitali nei limiti in cui tale misura risulti idonea al conseguimento dell’obiettivo perseguito e non vada oltre quanto necessario per raggiungerlo. Preciserò poi che, nelle relazioni tra Stati membri e paesi terzi, tale motivo alla base di una restrizione può giustificare il fatto che il beneficio di un vantaggio fiscale sia subordinato all’esistenza di una convenzione che prevede lo scambio di informazioni, qualora la normativa nazionale assoggetti la concessione di tale vantaggio a condizioni che le autorità fiscali dello Stato membro interessato non sono in grado di verificare con i propri mezzi.

    8.     Ne deriverà che la restrizione controversa nella causa a qua risulterà conforme agli artt. 56 CE e 58 CE qualora il giudice nazionale accerti che l’esenzione dall’imposta sui redditi dei dividendi distribuiti sotto forma di azioni di una società controllata è soggetta a condizioni la cui verifica, da parte delle autorità fiscali nazionali, richiede informazioni ottenibili unicamente dalle autorità competenti del paese in cui ha sede la società madre distributrice.

    I –    Normativa nazionale

    9.     In base alla legge svedese n. 1229 del 1999 (2), i dividendi versati ad una persona fisica da una società per azioni sono di norma assoggettati all’imposta sui redditi.

    10.   Ai sensi dell’art. 16, del capitolo 42, della legge svedese, i dividendi distribuiti da una società per azioni sotto forma di azioni di una società controllata non sono inclusi nel reddito imponibile qualora sussistano le seguenti condizioni:

    1)      la distribuzione sia effettuata in proporzione al numero di azioni detenute nella società controllante;

    2)      le azioni della società madre siano quotate in Borsa;

    3)      tutte le quote sociali della società controllante nella società controllata siano distribuite;

    4)      dopo la distribuzione, le quote sociali nella società controllata non siano detenute da una società che appartiene allo stesso gruppo della società controllante;

    5)      la società controllata sia una società per azioni svedese o straniera, e

    6)      l’attività principale della controllata sia a carattere industriale o commerciale ovvero consista, direttamente o indirettamente, nel detenere quote di società la cui attività è essenzialmente a carattere industriale o commerciale e in cui la società controllata, direttamente o indirettamente, detiene quote sociali che rappresentano un numero di diritti di voto superiore alla metà dei diritti di voto di tutte le quote sociali della società.

    11.   Tali disposizioni sono entrate in vigore per la prima volta nel 1992 e si applicavano solo ai dividendi distribuiti da società per azioni svedesi. Esse sono state abrogate nel 1994 e poi reintrodotte a partire dal 1995.

    12.   Il governo svedese spiega che la normativa in questione è stata adottata allo scopo di agevolare la ristrutturazione delle imprese e la ripartizione delle società. Grazie a tale normativa, un azionista che abbia percepito utili da una società madre distributrice sotto forma di azioni detenute dalla società madre in una società controllata può ritardare la tassazione degli utili così distribuiti fino alla vendita delle azioni ricevute.

    13.   Tale distribuzione degli utili non è soggetta ad imposizione, secondo quanto indica il governo svedese, poiché si ritiene che le azioni detenute nella società madre abbiano perduto il valore rappresentato dalle azioni nella società controllata. In realtà dalla detta distribuzione deriva unicamente che i proprietari indiretti della controllata diventano i proprietari diretti della stessa, senza che il valore delle azioni detenute venga modificato. Al momento della distribuzione, il prezzo d’acquisto delle azioni della società madre viene ripartito tra queste ultime e le azioni della controllata. Quando le azioni vengono cedute, la plusvalenza o la perdita in conto capitale vengono calcolate in base alla frazione corrispondente del prezzo di acquisto.

    14.   In forza dell’art. 16a, del capitolo 42, della legge svedese – introdotto nel 2001 –, l’esenzione prevista all’art. 16 dello stesso capitolo si applica ugualmente nel caso in cui la distribuzione di dividendi sia effettuata da una società straniera che abbia uno statuto analogo a quello di una società per azioni svedese e la sede principale in uno Stato all’interno del SEE o in uno Stato con il quale il Regno di Svezia abbia concluso una convenzione fiscale contenente una disposizione sullo scambio di informazioni.

    15.   Il 7 maggio 1965 la Confederazione svizzera ed il Regno di Svezia hanno stipulato un accordo con l’obiettivo di evitare la doppia imposizione in materia d’imposte sul reddito e sul patrimonio (3). In particolare, la ripartizione del potere impositivo sui dividendi è disciplinata dall’art. 10 di tale convenzione (4).

    16.   La convenzione non contiene disposizioni riguardanti lo scambio di informazioni tra le autorità competenti dei due Stati contraenti. L’art. 27 di tale accordo prevede il ricorso ad una procedura di composizione amichevole tra le autorità interessate, al fine di evitare un’imposizione non conforme alle disposizioni della convenzione stessa nonché per appianare le difficoltà e dissipare i dubbi che possano sorgere in ordine all’interpretazione o all’applicazione della convenzione (5).

    17.   Inoltre, come emerge dal punto 5 del protocollo di negoziazione e di firma redatto al momento della conclusione della convenzione, la delegazione svizzera ha inteso che i soli elementi che dovevano poter formare oggetto di uno scambio di informazioni erano quelli necessari ai fini di una corretta applicazione della convenzione e quelli che consentivano di evitare di applicare quest’ultima abusivamente. Dal medesimo punto emerge altresì che il Regno di Svezia ha preso atto di tale dichiarazione ed ha rinunciato all’inserimento di una disposizione esplicita sullo scambio di informazioni.

    18.   D’altronde, il 17 agosto 1993 la Confederazione svizzera ed il Regno di Svezia hanno concluso un accordo (in prosieguo: l’«accordo») relativo all’esecuzione degli artt. 10 e 11 della convenzione (6). Tale accordo definisce, da una parte, la procedura che deve seguire chi intenda ottenere uno sgravio d’imposta ai sensi dei citati artt. 10 e 11, e dall’altra, precisa il trattamento che tali domande devono ricevere da parte delle autorità fiscali degli Stati contraenti.

    II – Causa principale e questione pregiudiziale

    19.   A, persona fisica residente in Svezia, è azionista della società X, che ha sede in Svizzera e che intende distribuire le azioni detenute in una delle sue consociate. A ha chiesto allo Skatterättsnämden (commissione tributaria) una decisione preliminare per sapere se tale distribuzione fosse esente da imposta. A ritiene che la società X abbia uno statuto analogo a quello di una società per azioni svedese e che le condizioni per l’esenzione fiscale richieste dalla legge svedese siano soddisfatte, tranne quella relativa all’ubicazione della sede di tale società.

    20.   Nella decisione notificata il 19 febbraio 2003, lo Skatterättsnämden ha risposto che la distribuzione di cui trattasi doveva essere esonerata da imposta in applicazione delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali.

    21.   Da un lato, tale organo ha ritenuto non soddisfatta la condizione enunciata all’art. 16a, del capitolo 42, della legge svedese, relativa all’esistenza di una disposizione che prevede uno scambio di informazioni. Infatti, tale condizione si riferirebbe ad una forma di cooperazione come quella prevista dall’art. 26 del modello di convenzione fiscale elaborato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), laddove nessuna clausola avente tale contenuto figura negli accordi conclusi con la Confederazione svizzera.

    22.   D’altro lato, lo Skatterättsnämnden ha sostenuto che la distribuzione in oggetto costituiva un movimento di capitali e che la mancata esenzione in proposito doveva pertanto essere considerata una restrizione ai sensi dell’art. 56 CE. Secondo tale organo, la detta restrizione non rientrava tra le ipotesi contemplate dall’art. 57, n. 1, CE, in quanto non si trattava di investimenti diretti.

    23.   Lo Skatterättsnämnden ha pertanto ritenuto che la detta restrizione, motivata dall’impossibilità, per lo Skatteverket (amministrazione tributaria svedese), di verificare il rispetto delle condizioni di concessione dell’esenzione fiscale, risultava sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, benché le disposizioni della direttiva del Consiglio 77/799/CEE (7) non fossero applicabili nell’ambito degli accordi con la Confederazione svizzera. Infatti, l’accordo sembrava dare all’amministrazione fiscale svedese una qualche possibilità di ottenere le informazioni necessarie per applicare il diritto interno e al contribuente A la possibilità di dimostrare lui stesso che le condizioni richieste dalla legislazione svedese erano soddisfatte.

    24.   Lo Skatteverket ha impugnato tale decisione dinanzi al Regeringsrätten (Corte suprema amministrativa) (Svezia).

    25.   Lo Skatteverket ritiene che le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali siano poco chiare per quanto concerne i movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi, in particolare quelli che si oppongono allo scambio di informazioni ai fini di controllo fiscale. Quando le possibilità di ottenere informazioni sono assai limitate, una restrizione come quella controversa nella causa principale potrebbe risultare giustificata in base al diritto degli Stati membri di garantire l’efficacia dei controlli fiscali. Infatti, la giurisprudenza della Corte di giustizia avrebbe riconosciuto che tale esigenza costituisce un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare l’applicazione di una restrizione ad una libertà garantita dal Trattato.

    26.   Al contrario, A ha sostenuto che la restrizione controversa non può essere giustificata, giacché al contribuente interessato può essere intimato di dimostrare che tutte le condizioni richieste per la concessione dell’esenzione fiscale sono soddisfatte.

    27.   Date queste premesse, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

    «Se le disposizioni sulla libera circolazione dei capitali tra Stati membri e paesi terzi ostino a che, in una situazione come quella [di cui alla causa principale], A sia tassato per i dividendi distribuiti da X in quanto X non ha la propria sede in uno Stato membro del SEE o in uno Stato con cui [il Regno di] Svezia ha concluso una convenzione fiscale contenente una clausola che preveda lo scambio di informazioni».

    III – Analisi

    28.   In limine, si deve rammentare che, se è pur vero che attualmente la materia delle imposte dirette, di cui fa parte la tassazione dei dividendi, rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario e, in particolare, delle libertà di circolazione sancite dal Trattato (8).

    29.   Occorre parimenti osservare che, conformemente alla domanda posta dal giudice del rinvio, è proprio alla luce delle disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione dei capitali che dev’essere esaminata la compatibilità della normativa controversa con il diritto comunitario.

    30.   Infatti, come risulta dalla giurisprudenza, una normativa nazionale che assoggetti la riscossione di dividendi ad un’imposta la cui aliquota dipende dall’origine, nazionale o meno, di tali dividendi a prescindere dall’entità della partecipazione detenuta dall’azionista nella società distributrice, può rientrare nell’ambito di applicazione sia dell’art. 43 CE, relativo alla libertà di stabilimento, sia dell’art. 56 CE, relativo alla libera circolazione dei capitali (9).

    31.   È altresì pacifico che il capo del Trattato relativo al diritto di stabilimento non prevede alcuna disposizione che estenda la sfera di applicazione delle proprie disposizioni alle situazioni relative allo stabilimento in un paese terzo di un cittadino di uno Stato membro o di una società costituita secondo la legislazione di uno Stato membro (10).

    32.   Poiché la situazione controversa nella causa principale riguarda la distribuzione di dividendi da parte di una società stabilita in un paese terzo ad un azionista residente in uno Stato membro, solo le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali sono applicabili alla fattispecie.

    33.   Con la presente questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se gli artt. 56 CE e 58 CE debbano essere interpretati nel senso che una normativa in base alla quale la concessione di un’esenzione dall’imposta sul reddito per i dividendi distribuiti da una società sotto forma di azioni detenute in una società controllata – che è subordinata ad una serie di condizioni – può essere accordata soltanto qualora la società distributrice sia stabilita in un paese del SEE o in uno Stato con cui lo Stato membro interessato abbia stipulato una convenzione fiscale contenente una disposizione che prevede lo scambio di informazioni, costituisca una restrizione al movimento di capitali e, in caso di risposta affermativa, se tale restrizione possa essere giustificata.

    34.   Tale questione contiene pertanto due interrogativi. Essa ci induce a stabilire, anzitutto, se la normativa controversa debba essere considerata una restrizione ad un movimento di capitali ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE. In caso di risposta affermativa al primo interrogativo, si pone poi il problema di sapere se tale restrizione possa essere giustificata.

    35.   Prima di esaminare i suddetti due interrogativi, appare utile, da un lato, richiamare il contenuto delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali nonché le tappe principali che hanno portato all’adozione delle stesse, e dall’altro, illustrare brevemente lo stato delle disposizioni applicabili per quanto riguarda lo scambio di informazioni in materia di fiscalità diretta, a livello intracomunitario e nell’ambito delle relazioni tra gli Stati membri ed i paesi terzi.

    A –    Le disposizioni del Trattato riguardanti la libera circolazione dei capitali

    36.   Le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali comprendono un principio, enunciato all’art. 56 CE, nonché alcune limitazioni di tale principio, previste, segnatamente, agli artt. 57 CE‑60 CE.

    1.      Il riconoscimento del principio della libera circolazione dei capitali

    37.   I movimenti di capitali tra Stati membri, da un lato, e tra Stati membri e paesi terzi, dall’altro, sono stati oggetto di una liberalizzazione progressiva.

    38.   Nel Trattato di Roma che ha istituito la Comunità economica europea, i movimenti di capitali interni ed esterni alla Comunità facevano oggetto di disposizioni diverse e poco vincolanti. Così, sul piano interno, in forza dell’art. 67 del Trattato CEE (divenuto art. 67 del Trattato CE e successivamente abrogato dal Trattato di Amsterdam), gli Stati membri erano tenuti a sopprimere gradatamente le restrizioni ai movimenti di capitali, durante il periodo transitorio, solo «nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune». Sul piano esterno, l’art. 70 del Trattato CEE (divenuto art. 70 del Trattato CE, e a sua volta abrogato dal Trattato di Amsterdam) prevedeva unicamente il coordinamento progressivo delle politiche di cambio degli Stati membri nei confronti dei paesi terzi.

    39.   Tenuto conto della debole efficacia dell’art. 67 del Trattato, la Corte aveva dichiarato che tale disposizione non aveva effetto diretto alla scadenza del periodo transitorio, contrariamente alle disposizioni del Trattato che istituivano le altre libertà di circolazione, pur riconoscendo che anche la libera circolazione dei capitali costituiva una delle «libertà fondamentali» garantite dal Trattato (11).

    40.   Un passo importante è stato compiuto con l’adozione della direttiva del Consiglio 88/361/CEE (12). Tale direttiva ha previsto la liberalizzazione completa ed incondizionata dei movimenti di capitali tra gli Stati membri, poiché il suo art. 1 stabiliva che gli Stati membri sopprimessero le restrizioni ai movimenti di capitali effettuati tra le persone residenti nel loro territorio. Il termine impartito agli Stati membri per conformarsi a tale obbligo è scaduto il 1° luglio 1990. Nella sentenza 23 febbraio 1995, Bordessa e a. (13), la Corte ha dichiarato che l’art. 1 della direttiva 88/361 aveva effetto diretto.

    41.   Al contrario, sul piano delle relazioni esterne, l’efficacia delle disposizioni della direttiva 88/361 era meno vincolante, poiché, a tenore dell’art. 7 della medesima, gli Stati membri dovevano solamente adoperarsi per raggiungere, nell’ambito del regime da essi applicato ai trasferimenti relativi ai movimenti di capitali con i paesi terzi, lo stesso grado di liberalizzazione delle operazioni che si verificavano all’interno della Comunità.

    42.   Il Trattato sull’Unione europea ha rappresentato la seconda tappa importante di tale processo di liberalizzazione. Sul piano formale, il detto Trattato ha previsto la sostituzione degli artt. 67‑73 del Trattato CEE (divenuto art. 73 del Trattato CE, e poi a sua volta abrogato dal Trattato di Amsterdam) con gli artt. 73 B‑73 G del Trattato CE (divenuti artt. 56 CE‑60 CE), a partire dal 1° gennaio 1994.

    43.   Sul piano sostanziale, il Trattato UE ha consacrato la libera circolazione di capitali come libertà fondamentale garantita dal Trattato, non soltanto per quanto concerne i movimenti tra gli Stati membri, ma anche con riguardo ai movimenti tra questi ultimi ed i paesi terzi. Così a termini dell’art. 73 B, n. 1, del Trattato CE (divenuto art. 56, n. 1, CE) «[n]ell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi».

    44.   Dato il carattere preciso ed incondizionato di tale disposizione, la Corte di giustizia ha dichiarato, in occasione della sentenza 14 dicembre 1995, Sanz de Lera e a. (14), che il principio della libera circolazione dei capitali ha effetto diretto, in quanto vieta le restrizioni tanto tra gli Stati membri quanto tra gli Stati membri ed i paesi terzi (15).

    45.   Il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1° maggio 1999, ha proceduto alla rinumerazione degli articoli del Trattato ed ha ripreso, all’art. 56, n. 1, CE le disposizioni dell’art. 73 B, n. 1, del Trattato.

    2.      Limitazioni del principio della libera circolazione dei capitali

    46.   I limiti al principio della libera circolazione dei capitali comprendono due gruppi di disposizioni, che consistono, da una parte, in clausole di salvaguardia e dall’altra, in alcune deroghe.

    a)      Le clausole di salvaguardia

    47.   Le clausole di salvaguardia sono previste dagli artt. 59 CE e 60 CE e riguardano esclusivamente i paesi terzi. Esse hanno carattere temporaneo e sono destinate a rispondere a situazioni di natura eccezionale.

    48.   L’art. 59 CE consente di far fronte a difficoltà di ordine economico. A termini di tale articolo, qualora, in circostanze eccezionali, i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti causino o minaccino di causare difficoltà gravi per il funzionamento dell’Unione economica e monetaria, il Consiglio dell’Unione europea, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione delle Comunità europee e previa consultazione della Banca Centrale europea può prendere nei confronti di paesi terzi misure di salvaguardia di durata limitata, per un periodo non superiore a sei mesi, purché siano strettamente necessarie.

    49.   Quanto poi all’art. 60 CE, esso ha una connotazione politica e consente al legislatore comunitario di adottare misure di ritorsione sul piano dei movimenti di capitali qualora la Comunità, nell’ambito di un’azione comune a norma delle disposizioni del Trattato in materia di politica estera e di sicurezza comune, abbia deciso di ridurre o di interrompere i rapporti economici con uno o più paesi terzi.

    b)      Le deroghe

    50.   Le deroghe sono enunciate agli artt. 57 CE e 58 CE.

    51.   Anche l’art. 57 CE riguarda unicamente le relazioni con i paesi terzi e interessa i movimenti di capitali considerati particolarmente sensibili. Si tratta di movimenti di capitali che implicano investimenti diretti, inclusi gli investimenti in proprietà immobiliari, lo stabilimento, la prestazione di servizi finanziari o l’ammissione di valori mobiliari nei mercati finanziari. L’art. 57, n. 1, CE prevede il mantenimento in essere delle restrizioni nazionali o comunitarie, in vigore alla data del 31 dicembre 1993.

    52.   L’art. 57, n. 2, CE autorizza il Consiglio a adottare nuove misure riguardanti i medesimi movimenti di capitali. A termini di tale disposizione, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, qualora voglia ampliare tale libertà, e all’unanimità, quando invece intenda restringerla.

    53.   Da parte sua, l’art. 58 CE descrive le competenze riservate agli Stati membri, che consentono a questi ultimi di restringere i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti. Esso così recita:

    «1.   Le disposizioni dell’articolo 56 non pregiudicano il diritto degli Stati membri:

    a)      di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale;

    b)      di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza».

    2.      Le disposizioni del presente capo non pregiudicano l’applicabilità di restrizioni in materia di diritto di stabilimento compatibili con il presente Trattato.

    3.      Le misure e le procedure di cui ai paragrafi 1 e 2 non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 56».

    54.   Dalla giurisprudenza emerge che i provvedimenti considerati indispensabili per impedire le infrazioni alle leggi e ai regolamenti di uno Stato membro comprendono, in particolare, i provvedimenti intesi a garantire l’efficacia dei controlli fiscali (16).

    55.   Inoltre, l’elenco delle misure che giustificano una restrizione della libera circolazione di capitali, contenute nell’art. 58, n. 1, lett. b), CE, non è esaustivo. La Corte ha ammesso che la libera circolazione di capitali, alla stregua delle altre libertà di circolazione, può essere limitata sulla base di altri motivi, riconducibili a ragioni o a esigenze imperative e d’interesse generale (17). È stato più volte affermato che l’efficacia dei controlli fiscali costituisce un motivo imperativo d’interesse generale idoneo a giustificare una restrizione dell’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato (18).

    56.   Tuttavia, a prescindere dal motivo invocato, è rilevante che la misura di cui trattasi risulti idonea al conseguimento dell’obiettivo perseguito e che non vada oltre quanto necessario a tal fine.

    57.   Infine, nella sentenza 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (19), la Corte ha precisato che non si può escludere che uno Stato membro possa dimostrare che una limitazione dei movimenti di capitali a destinazione di o in provenienza da paesi terzi sia giustificata da un determinato motivo in circostanze in cui tale motivo non potrebbe costituire una giustificazione valida per una restrizione ai movimenti di capitali tra Stati membri.

    B –    Disposizioni applicabili con riguardo all’obbligo dello scambio di informazioni per motivi fiscali

    1.      Lo scambio di informazioni tra Stati membri per fini fiscali

    58.   Lo scambio di informazioni tra Stati membri per fini legati al controllo fiscale è disciplinato principalmente dalla direttiva 77/799.

    59.   Tale direttiva è stata adottata sulla base della seguente duplice constatazione: da una parte, la pratica della frode e dell’evasione fiscale al di là dei confini degli Stati membri conduce a perdite di bilancio e all’inosservanza del principio della giustizia fiscale e può pregiudicare il funzionamento del mercato comune; dall’altra, dato il carattere internazionale del problema, le misure nazionali, limitate ai confini degli Stati membri, sono insufficienti, come, del resto, la collaborazione fra amministrazioni instaurata sulla base di accordi bilaterali (20).

    60.   La direttiva 77/799 prevede che le competenti autorità degli Stati membri scambino, conformemente alle sue disposizioni, ogni informazione atta a permettere loro una corretta determinazione delle imposte sul reddito e sul patrimonio. Ai sensi di tale direttiva, e conformemente alla giurisprudenza, uno Stato membro può pertanto chiedere all’autorità competente di un altro Stato membro di trasmettergli tutte le informazioni che esso ritenga necessarie per valutare l’ammontare esatto dell’imposta sul reddito dovuta da un soggetto passivo in relazione alla propria normativa nazionale (21).

    61.   Non si tratta, tuttavia, di un obbligo assoluto. La direttiva, infatti, non pone a carico dello Stato membro cui viene inoltrata la richiesta di informazioni un obbligo di far effettuare ricerche o di trasmettere informazioni qualora la legislazione o la prassi amministrativa di tale Stato non autorizzino l’autorità competente né ad effettuare tali ricerche né a raccogliere o ad utilizzare le informazioni richieste per le necessità proprie dello Stato medesimo.

    62.   Sulla stessa linea, la direttiva del Consiglio 2003/48/CE (22) ha messo a punto un sistema di scambio automatico di talune informazioni relative al pagamento degli interessi.

    2.      Lo scambio di informazioni a fini fiscali tra gli Stati membri e i paesi terzi

    63.   Con riguardo allo scambio di informazioni per fini fiscali tra i paesi terzi e gli Stati membri, misure analoghe a quelle previste dalla direttiva 2003/48 nel campo specifico disciplinato da tale direttiva hanno formato oggetto di appositi accordi tra la Comunità europea, da un lato, e la Confederazione svizzera, il Principato di Andorra, il Principato del Lichtenstein, il Principato di Monaco e la Repubblica di San Marino, dall’altro (23).

    64.   Al di fuori di tali accordi specifici, lo scambio di informazioni a fini fiscali tra i paesi terzi e gli Stati membri continua a essere regolato tramite convenzioni bilaterali o multilaterali. Tale è il caso, in particolare, per quanto riguarda lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e i paesi appartenenti al SEE, vale a dire, la Repubblica d’Islanda, il Principato del Lichtenstein e il Regno di Norvegia. Tali paesi non sono tenuti, in forza dell’accordo 2 maggio 1992 sullo Spazio economico europeo (24), a trasporre nel proprio ordinamento nazionale gli atti di diritto derivato relativi allo scambio di informazioni in materia fiscale, come, appunto, la direttiva 77/799.

    65.   L’art. 26 del Modello di convenzione fiscale dell’OCSE fornisce la norma generalmente più seguita in questo tipo di convenzioni (25). Nel testo entrato in vigore il 29 aprile 2000, tale articolo è redatto come segue:

    «1.    Le autorità competenti degli Stati contraenti si scambieranno le informazioni necessarie per applicare le disposizioni della presente Convenzione o quelle delle leggi interne riguardanti le imposte di qualsiasi genere o denominazione percepite per conto degli Stati contraenti, delle loro suddivisioni politiche o degli enti locali, nella misura in cui la tassazione che tali leggi prevedono non è contraria alla Convenzione (...)

    2.      Le disposizioni del paragrafo 1 non possono in nessun caso essere interpretate nel senso di imporre ad uno Stato contraente l’obbligo:

    a)       di adottare provvedimenti amministrativi in deroga alla propria legislazione o alla propria prassi amministrativa o a quella dell’altro Stato contraente;

    b)       di fornire informazioni che non potrebbero essere ottenute in base alla propria legislazione o nel quadro della propria normale prassi amministrativa o di quella dell’altro Stato contraente;

    c)       di fornire informazioni che potrebbero rivelare un segreto commerciale, industriale, professionale o un processo commerciale oppure informazioni la cui comunicazione sarebbe contraria all’ordine pubblico».

    66.   È sulla base di tale presentazione che procederò ad esaminare se la legge svedese di cui trattasi debba essere esaminata come una restrizione ad un movimento di capitali ed, in tal caso, se possa essere giustificata.

    C –    Sull’esistenza di una restrizione ad un movimento di capitali

    67.   La prima domanda cui occorre rispondere ci induce a stabilire se una normativa, in base alla quale l’esenzione dall’imposta sul reddito dei dividendi distribuiti sotto forma di azioni di una società controllata può essere concessa unicamente quando la società madre distributrice dei dividendi è stabilita in un paese del SEE ovvero in uno Stato con cui lo Stato membro interessato ha concluso una convenzione contenente una disposizione che prevede lo scambio di informazioni, costituisca una restrizione ad un movimento di capitali.

    68.   Lo Skatteverket, unitamente ai governi tedesco, svedese, francese e olandese, propone di risolvere tale interrogativo in senso negativo. Secondo tali governi intervenienti, l’art. 56, n. 1, CE non dovrebbe avere, nel caso dei movimenti con i paesi terzi, la stessa portata che gli viene riconosciuta nell’ambito dei movimenti intracomunitari. Essi invocano numerosi argomenti a sostegno di tale tesi, che possono essere riassunti come segue.

    69.   Da un lato, la liberalizzazione dei movimenti di capitali con i paesi terzi non perseguirebbe lo stesso obiettivo della liberalizzazione di tali movimenti tra gli Stati membri. Nel caso delle relazioni con i paesi terzi si tratterebbe, infatti, non di realizzare il mercato interno, bensì di garantire la credibilità della moneta unica comunitaria sui mercati finanziari mondiali e di mantenere, all’interno degli Stati membri, centri finanziari di portata mondiale.

    70.   D’altra parte, la liberalizzazione dei movimenti di capitali con i paesi terzi avrebbe preso le mosse da un’azione unilaterale della Comunità cui non ha seguito necessariamente un’azione in contropartita da parte dei paesi terzi. Riconoscere all’art. 56, n. 1, CE una stessa portata con riguardo ai paesi terzi ed all’ambito comunitario indebolirebbe quindi la posizione della Comunità nei negoziati con tali paesi. Siffatta interpretazione estensiva contrasterebbe altresì con gli accordi di associazione, all’interno dei quali le clausole relative alla libera circolazione dei capitali hanno una portata ridotta.

    71.   Infine, l’interpretazione dell’art. 56, n. 1, CE, per quanto attiene alle relazioni con i paesi terzi, dovrebbe tener conto del fatto che questi ultimi non sono tenuti al rispetto del diritto comunitario, né, pertanto, della direttiva 77/799. Occorrerebbe ugualmente prendere in considerazione il fatto che il campo d’applicazione della libertà di circolazione dei capitali può coincidere con la sfera della libertà di stabilimento. Sarebbe quindi opportuno evitare che l’interpretazione dell’art. 56, n. 1, CE, per quanto riguarda le relazioni con i paesi terzi, consentisse a taluni operatori economici che non soddisfano le condizioni richieste per poter esercitare la libertà di stabilimento in uno Stato membro di eludere queste ultime.

    72.   Da questi argomenti i governi svedese, tedesco, francese e olandese deducono che la nozione di «movimento di capitali», di cui all’art. 56, n. 1, CE, non contempla l’ipotesi di una distribuzione dei dividendi da parte di una società stabilita in un paese terzo e che la legge svedese non costituisce una restrizione ai sensi di tale disposizione.

    73.   Non condivido tale analisi. Alla stregua di A e della Commissione sono del parere che le nozioni di «movimento di capitali» e di «restrizione», contemplate dall’art. 56, n. 1, CE, debbano avere la stessa portata per quanto riguarda le relazioni tra gli Stati membri e i paesi terzi e i movimenti effettuati in ambito intracomunitario. La mia posizione si fonda sui seguenti motivi.

    74.   Mi riferisco anzitutto al contenuto dell’art. 56, n. 1, CE. Faccio osservare che tale disposizione pone in termini uguali il principio della libera circolazione dei capitali tra Stati membri, da una parte, e tra Stati membri e paesi terzi, dall’altra. Tenuto conto della genesi di tale disposizione, il contenuto di quest’ultima riveste, a mio parere, un carattere determinante, al fine di interpretare la portata dell’art. 56, n. 1, CE, per quanto concerne i movimenti di capitali a livello non comunitario.

    75.   Infatti, come ho ricordato nei precedenti paragrafi, fino all’adozione del Trattato UE i movimenti di capitali tra Stati membri, da una parte, e tra questi ultimi ed i paesi terzi, dall’altra, erano disciplinati da svariate disposizioni distinte aventi un diverso contenuto. Inoltre, ai sensi della direttiva 88/631, il principio della libera circolazione dei capitali tra Stati membri era stato già affermato in termini chiari ed incondizionati. Di conseguenza, il fatto che, con il Trattato UE, gli Stati membri abbiano deciso di affermare, nello stesso articolo e negli stessi termini, tale principio tanto all’interno della Comunità, quanto con riguardo alle relazioni tra gli Stati membri ed i paesi terzi, a mio parere dimostra la loro volontà di conferire a tale libertà di circolazione una stessa portata ad entrambi i livelli, intracomunitario e non comunitario.

    76.   Non mi sembra invalidare tale analisi l’argomento dedotto dai governi intervenuti nel presente procedimento, secondo cui la liberalizzazione dei movimenti di capitali con i paesi terzi non perseguirebbe lo stesso obiettivo della libertà di circolazione di capitali in seno all’Unione.

    77.   Il Trattato non indica i motivi per cui l’ambito di applicazione della detta libertà è stato esteso ai paesi terzi. È comunemente ammesso che siffatta estensione dev’essere messa in rapporto con lo sviluppo della politica monetaria della Comunità. Tuttavia, se gli Stati membri avessero voluto far sì che tale differenza negli obiettivi venisse riflessa nella portata della detta liberalizzazione con riguardo alle relazioni degli Stati membri con i paesi terzi, essi avrebbero dovuto, a rigor di logica, esprimere il principio della libera circolazione dei capitali all’interno e all’esterno della Comunità in termini differenti, come era avvenuto in passato. Il fatto che, malgrado la suddetta differenza di obiettivi, gli Stati membri abbiano scelto di sancire tale libertà di circolazione in termini identici e all’interno dello stesso articolo del Trattato si spiega soltanto, secondo me, con l’intenzione di conferire alla libertà in parola un’identica portata in entrambi i casi.

    78.   In secondo luogo, trovo conferma di tale tesi in altre disposizioni del capitolo dedicato alla libertà di circolazione dei capitali.

    79.   Infatti, è possibile constatare che, agli artt. 57 CE, 59 CE e 60 CE, il legislatore comunitario ha espressamente previsto le clausole di salvaguardia, di carattere economico e politico, nonché le deroghe applicabili specificamente alla libertà di circolazione dei capitali con i paesi terzi. Sono dunque queste disposizioni che, unitamente all’art. 58 CE, sono destinate a dar rilievo alle differenze degli obiettivi e del contesto giuridico della libera circolazione dei capitali tra gli Stati membri ed i paesi terzi, e non già l’art. 56, n. 1, CE. In altri termini, è proprio in conseguenza del fatto che quest’ultimo articolo ha una stessa portata nel caso delle relazioni tra Stati membri e paesi terzi e nell’ambito comunitario che è apparso necessario prevedere clausole di salvaguardia e deroghe con riguardo alle relazioni esterne alla Comunità.

    80.   Quanto alle disposizioni dell’art. 57, n. 2, prima frase, CE, secondo cui il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può adottare misure concernenti i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti «[n]ell’ambito degli sforzi volti a conseguire, nella maggior misura possibile e senza pregiudicare gli altri capi del presente trattato» (26), non ritengo, contrariamente a quanto sostiene il governo tedesco, che esse siano la prova del fatto che l’art. 56, n. 1, CE avrebbe una portata minore in relazione alla dimensione non comunitaria.

    81.   L’art. 57, n. 2, prima frase, CE dev’essere messo in relazione con il n. 1, dello stesso articolo, che autorizza il mantenimento delle restrizioni in vigore alla data del 31 dicembre 1993 in virtù delle legislazioni nazionali o della legislazione comunitaria, per quanto concerne i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o da essi diretti, che implichino investimenti diretti, inclusi gli investimenti in proprietà immobiliari, lo stabilimento, la prestazione di servizi finanziari o l’ammissione di valori mobiliari sui mercati finanziari.

    82.   Quest’ultima disposizione autorizza pertanto il mantenimento in essere delle restrizioni vigenti senza limiti di durata. L’art. 57, n. 2, prima frase, CE deve quindi essere inteso, secondo me, nel senso che consente alla Comunità e agli Stati membri di stipulare una convenzione con uno Stato terzo contenente disposizioni in materia di libera circolazione di capitali, le cui clausole possano essere applicate uniformemente in tutti gli Stati membri senza che siano ad esse opponibili le restrizioni di cui all’art. 57, n. 1, CE. L’art. 57, n. 2, prima frase, CE costituisce pertanto la base giuridica che legittima il legislatore comunitario ad eludere l’applicazione di tali restrizioni, adottate a livello nazionale o comunitario, nell’ambito di un accordo con un paese terzo (27).

    83.   Infine, quanto all’art. 57, n. 2, seconda frase, CE, esso permette al Consiglio di adottare misure restrittive della libera circolazione di capitali nei confronti di uno o più paesi terzi, conferendo alla Comunità un mezzo di pressione da utilizzare nell’ambito dei negoziati con tale o tali paesi.

    84.   In terzo luogo, non credo che tale interpretazione trovi gli ostacoli esposti dallo Skatteverket e dai governi svedese, tedesco, francese e olandese.

    85.   Così, non credo che, da una parte, siffatta interpretazione sia tale da indebolire la posizione della Comunità nell’ambito di un negoziato con un paese terzo né che possa risultare in contrasto con le clausole di un accordo di associazione riguardanti la libera circolazione di capitali tra la Comunità ed il paese terzo, parte di tale accordo.

    86.   Infatti, come ho già illustrato in precedenza, la libertà di circolazione di capitali tra Stati membri e paesi terzi istituita con l’art. 56 CE va incontro ai numerosi limiti esposti negli artt. 57 CE‑60 CE. Si tratta, in particolare, del mantenimento delle restrizioni a determinati movimenti di capitali in vigore alla data del 31 dicembre 1993, adottate sul piano nazionale o comunitario. Si possono altresì citare in proposito gli ostacoli a tale libertà di circolazione derivanti dalle misure adottate dagli Stati membri per impedire le violazioni delle regolamentazioni nazionali, in particolare, nel settore fiscale, previste dall’art. 58, n. 1, lett. b), CE. Infine, si può trattare di misure nazionali giustificate da motivi imperativi di interesse generale.

    87.   Come avrò modo di esporre in termini più concreti nella seconda parte della mia analisi, e come emerge dalla summenzionata sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, si deve riconoscere al motivo che giustifica l’adozione di una restrizione in base alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali una portata più ampia nel caso dei movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti che non nel caso dei movimenti intracomunitari, tenuto conto del fatto, in particolare, che gli obblighi incombenti agli Stati membri in forza del diritto comunitario derivato in materia di scambio d’informazioni non s’impongono a tali paesi.

    88.   In considerazione dell’insieme dei suesposti limiti alla portata dell’art. 56, n. 1, CE, non mi sembra che il potere di negoziazione della Comunità con i paesi terzi risulti indebolito per il fatto che questi ultimi non hanno ancora intrapreso le azioni necessarie per sopprimere i detti limiti nell’ambito delle convenzioni o degli accordi di associazione conclusi con la Comunità.

    89.   Non credo neppure, d’altra parte, che la mia proposta di interpretazione dell’art. 56, n. 1, CE avrebbe l’effetto di consentire ad una persona fisica o giuridica, che non soddisfi le condizioni previste per avvalersi delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento, di eludere tali condizioni.

    90.   Occorre anzitutto rilevare che un tale rischio non sussiste nella causa principale. Il movimento di capitali di cui trattasi consiste, infatti, nella distribuzione di dividendi, da parte della società madre stabilita in un paese terzo, sotto forma di azioni detenute in una controllata anch’essa stabilita in un paese terzo, ad un azionista residente in uno Stato membro. Con siffatta operazione, quindi, detto azionista potrebbe acquisire una partecipazione nella controllata straniera della società distributrice, la cui entità gli consentirebbe di esercitare una determinata influenza sulle decisioni della controllata. Al contrario, tale operazione non permette ad un azionista residente in un paese terzo di controllare una consociata stabilita in uno Stato membro.

    91.   Inoltre, la giurisprudenza della Corte ha recentemente fornito chiarimenti circa la delimitazione dei rispettivi campi di applicazione della libertà di stabilimento e della libera circolazione di capitali.

    92.   Come emerge da tale giurisprudenza, la normativa di uno Stato membro che, a motivo del suo oggetto, si applichi alle situazioni in cui la partecipazione di un azionista in una società sia tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni di quest’ultima, come nel caso di una normativa nazionale sulle società controllate stabilite all’estero (28), o di una normativa mirante a contrastare la sottocapitalizzazione (29), è alla luce delle disposizioni del Trattato sulla libertà di stabilimento e di queste soltanto che dev’essere esaminata la normativa di cui trattasi (30).

    93.   In tale ipotesi, gli effetti restrittivi che la detta normativa potrebbe avere sulla libertà di circolazione dei capitali si configurano come la conseguenza ineluttabile di un eventuale ostacolo alla libertà di stabilimento e pertanto non giustificano un esame della legislazione in parola alla luce degli artt. 56 CE‑60 CE. Detto altrimenti, le disposizioni del Trattato sulla libera circolazione dei capitali non trovano applicazione in tale caso e pertanto non possono essere invocate allo scopo di ovviare all’impossibilità, per il cittadino di un paese terzo residente al di fuori dell’Unione, di avvalersi degli articoli del Trattato sulla libertà di stabilimento.

    94.   Per contro, è vero che una normativa nazionale che assoggetti la riscossione dei dividendi ad un’imposta la cui aliquota dipende dall’origine, nazionale o meno, di tali dividendi, a prescindere dall’entità della partecipazione detenuta dall’azionista nella società distributrice, tende a rientrare nell’ambito di applicazione della libera circolazione dei capitali. Si può pertanto prevedere che un azionista cittadino di un paese terzo, residente al di fuori del territorio dell’Unione, che detenga una partecipazione importante nel capitale di una società stabilita in uno Stato membro, possa avvalersi delle disposizioni dell’art. 56, n. 1, CE al fine di impugnare tale normativa.

    95.   Infatti, la circostanza che l’entità della partecipazione del detto azionista nel capitale di una società stabilita in uno Stato membro gli consenta di esercitare una determinata influenza sulle decisioni di quest’ultima e di indirizzarne le attività non sembra costituire, di per sé, un motivo sufficiente per eludere l’applicazione dell’art. 56, n. 1, CE, alla luce del contenuto dell’art. 57, n. 1, CE. Quest’ultima disposizione, come abbiamo osservato in precedenza, autorizza gli Stati membri a mantenere in essere le restrizioni ai movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti, in vigore alla data del 31 dicembre 1993, allorché tali movimenti implicano lo «stabilimento». Da tale disposizione sembra quindi potersi dedurre che movimenti di capitali con paesi terzi possono implicare lo stabilimento.

    96.   Tuttavia, anche qualora un azionista cittadino di un paese terzo e residente al di fuori dell’Unione, la cui partecipazione nel capitale di una società residente in uno Stato membro sia dell’entità descritta, potesse avvalersi delle disposizioni dell’art. 56 CE, il rischio di un’elusione delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento, in tale caso, può essere eliminato anche in virtù dell’art. 58, n. 2, CE. Tale disposizione, a mio parere, autorizza gli Stati membri a adottare misure restrittive per quanto riguarda la distribuzione di dividendi ai detti azionisti.

    97.   Sulla base di tali considerazioni ritengo che le nozioni di «movimento di capitali» e di «restrizioni», di cui all’art. 56, n. 1, CE, devono ricevere una medesima interpretazione tanto per il caso delle relazioni tra Stati membri e paesi terzi quanto nel caso delle relazioni intracomunitarie.

    98.    Data tale premessa, non sembra seriamente criticabile, in primo luogo, il fatto che una distribuzione dei dividendi sotto forma di azioni detenute in una società controllata costituisca un movimento di capitali ai sensi di tale disposizione.

    99.   Infatti, nella sentenza 6 giugno 2000, Verkooijen (31), la Corte ha affermato che la circostanza che un cittadino di uno Stato membro e residente sul territorio di quest’ultimo, percepisca dividendi di azioni di una società non residente costituisce un movimento di capitali ai sensi dell’art. 1 della direttiva 88/361. Essa ha fondato tale analisi sul motivo secondo cui la detta riscossione presuppone necessariamente una partecipazione ad imprese nuove o esistenti, considerata al titolo I, sub 2, della nomenclatura riportata in allegato alla direttiva medesima.

    100. Tale analisi è applicabile al caso dei dividendi che vengono distribuiti sotto forma di azioni di una controllata poiché, come rileva la Commissione, tale distribuzione presuppone che il beneficiario detenga azioni della società distributrice. Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, considerato che l’art. 56 CE ha ripreso in sostanza il contenuto dell’art. 1 della direttiva 88/361, la nomenclatura dei «movimenti di capitali» figurante nel suo allegato conserva il valore indicativo che le era proprio per definire la nozione di «movimento di capitali» (32).

    101. In secondo luogo, è indubbio il fatto che la legge svedese costituisce una restrizione a tale movimento di capitali. Infatti, la detta legge, privando del beneficio dell’esenzione i dividendi distribuiti da società stabilite in paesi che non sono membri del SEE e che non hanno stipulato convenzioni con il Regno di Svezia contenenti clausole sullo scambio di informazioni, disincentiva i contribuenti di tale Stato membro ad investire i loro capitali in società stabilite nei detti paesi terzi.

    102. Allo stesso modo, la legge svedese in parola costituisce un ostacolo alla raccolta di capitali in Svezia da parte di siffatte società. Tale normativa si configura come una restrizione anche sotto tale aspetto, poiché le società di cui trattasi hanno il diritto di avvalersi delle disposizioni del Trattato sulla libera circolazione di capitali, come risulta dalla giurisprudenza (33).

    103. Una normativa che conceda l’esenzione dall’imposta sul reddito dei dividendi distribuiti sotto forma di azioni di una società controllata unicamente nel caso in cui la società madre distributrice sia stabilita in un paese del SEE o in uno Stato con cui lo Stato membro interessato abbia concluso una convenzione fiscale contenente una clausola che prevede lo scambio di informazioni costituisce pertanto una restrizione al movimento di capitali ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE.

    104. Occorre ora esaminare se una restrizione del genere possa essere giustificata

    D –    Sulla giustificazione di tale restrizione

    105. Lo Skatteverket ed il governo svedese, nonché gran parte dei governi intervenuti, fanno valere che la detta restrizione si giustifica in base all’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli fiscali. Il governo italiano, da parte sua, sostiene che tale restrizione rientra tra le ipotesi contemplate dall’art. 57, n. 1, CE.

    106. Comincerò con l’esaminare se la restrizione di cui trattasi rientri fra le misure in essere di cui all’art. 57, n. 1, CE, poiché, in tal caso, non sarebbe necessario analizzare se essa possa essere giustificata sulla base dell’art. 58 CE.

    1.      Sull’applicazione dell’art. 57, n. 1, CE

    107. L’art. 57, n. 1, CE autorizza gli Stati membri a mantenere le restrizioni ai movimenti di capitali che implicano investimenti diretti le quali erano in vigore alla data del 31 dicembre 1993. Contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, non ritengo che tale disposizione possa applicarsi alla legge svedese in parola.

    108. È pur vero che dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio emerge che la normativa nazionale che prevede l’esenzione dei dividendi era in vigore alla data del 31 dicembre 1993 e che si applicava unicamente ai dividendi versati da società svedesi, di guisa che le società stabilite nei paesi terzi ne rimanevano escluse. Si potrebbe quindi sostenere che, sotto tale aspetto, la normativa in questione escludeva già dal beneficio dell’esenzione i dividendi distribuiti dalle società stabilite nei paesi terzi che non avevano concluso con il Regno Unito convenzioni che prevedevano lo scambio di informazioni.

    109. Tuttavia, il giudice del rinvio precisa anche che la detta normativa è stata abrogata nel 1994 e poi reintrodotta a partire dal 1995. Tenuto conto di tale abrogazione, non credo che la detta legge svedese possa essere assimilata alle «restrizioni in vigore alla data del 31 dicembre 1993», di cui all’art. 57, n. 1, CE, e ciò a prescindere dal fatto se il movimento di capitali di cui trattasi implichi un investimento diretto ai sensi di questa stessa disposizione.

    110. Infatti, la disposizione in parola dev’essere interpretata in relazione al sistema in cui si inserisce. L’art. 57, n. 1, CE costituisce una deroga al principio enunciato all’art. 56, n. 1, CE e deve pertanto essere interpretato restrittivamente. Inoltre, come risulta dall’art. 57, n. 2, seconda frase, CE, ogni nuova restrizione può essere adottata solo dal Consiglio, che delibera all’unanimità.

    111. Di conseguenza, la nozione di «restrizioni in vigore alla data del 31 dicembre 1993» presuppone, secondo me, che l’ambito giuridico in cui si inserisce la restrizione di cui trattasi abbia fatto ininterrottamente parte dell’ordinamento giuridico nazionale a partire dal 31 dicembre 1993. L’art. 57, n. 1, CE consente agli Stati membri di mantenere in essere sine die le restrizioni ivi contemplate, ma non li autorizza a reintrodurre restrizioni che erano state abrogate.

    112. Infatti, abrogando tale restrizione, lo Stato membro interessato ha dimostrato di non ritenere più necessaria tale misura nell’ambito delle sue relazioni con i paesi terzi. Ammettere che esso possa reintrodurre la detta restrizione in qualsiasi momento sarebbe in contrasto con il principio sancito dall’art. 56 CE nonché con gli artt. 57, n. 2, CE e 58 CE‑60 CE, in base ai quali l’adozione di misure di salvaguardia, di ordine economico o politico, è assoggettata a condizioni assai rigide ed ogni misura nuova che comporti un regresso nell’ambito della libertà di circolazione dei capitali con i paesi terzi può essere adottata solo con l’unanimità del Consiglio.

    113. Tale analisi mi sembra conforme alla giurisprudenza. Nella sentenza Konle, citata in precedenza, la Corte ha interpretato la nozione di «legislazione in vigore», di cui all’art. 70 dell’Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli adattamenti dei trattati sui quali si basa l’Unione europea (34), che autorizzava la Repubblica d’Austria a mantenere temporaneamente in vigore la normativa esistente in materia di residenze secondarie. La Corte ha altresì applicato tale interpretazione nel contesto delle normative sull’imposizione dei dividendi in occasione delle citate sentenze Test Claimants in FII Group Litigation (35) e Holböck (36).

    114. Da tale giurisprudenza risulta che ogni disposizione nazionale adottata posteriormente al 31 dicembre 1993 non è, per questo solo fatto, automaticamente esclusa dal regime derogatorio istituito dall’art. 57, n. 1, CE. La Corte ha ammesso che tale articolo contempla altresì le disposizioni che siano sostanzialmente identiche alla legislazione anteriore o che si limitino a ridurre o ad eliminare ostacoli all’esercizio dei diritti e delle libertà comunitarie che esistevano nella legislazione precedente.

    115. Tuttavia, né dalle motivazioni di tali sentenze né dal contesto in cui esse sono state pronunciate si evince che la nozione di «restrizioni in vigore» dev’essere considerata applicabile anche nel caso in cui la legislazione che era in vigore al momento rilevante sia stata abrogata e poi reintrodotta nell’ordinamento giuridico nazionale dopo un dato intervallo di tempo. Nelle cause che hanno dato luogo alle citate sentenze Konle, Test Claimants in the FII Group Litigation e Holböck, la normativa contestata costituiva una modifica della legislazione in vigore nel periodo rilevante. Non vi era stato, diversamente dalla fattispecie nella causa principale, un periodo durante il quale la restrizione iniziale era stata soppressa dall’ordinamento giuridico nazionale, quando la normativa contestata non era ancora entrata in vigore.

    116. Non ho neanche riscontrato, nelle sentenze della Corte che hanno interpretato la nozione di «normativa in vigore» in un contesto giuridico non riguardante la fiscalità diretta, alcun esempio che possa confutare la mia analisi.

    117. Sono pertanto del parere che la restrizione controversa nella causa principale non possa essere giustificata in base all’art. 57, n. 1, CE.

    2.      Sulla giustificazione fondata sull’art. 58 CE

    118. Lo Skatteverket, unitamente al governo svedese, appoggiato, su tale punto, dai governi danese, spagnolo, francese, olandese e del Regno Unito, sostiene che la detta restrizione è giustificata dall’impossibilità, per le autorità fiscali svedesi, di verificare il rispetto delle condizioni cui è subordinato il beneficio dell’esenzione presso un paese terzo come la Confederazione svizzera.

    119. Secondo il governo svedese, si tratta della prima, della terza, della quarta e dell’ultima condizione imposte dalla legge svedese secondo cui, lo ricordo, la distribuzione dev’essere effettuata proporzionalmente al numero di azioni detenute nella società madre; tutte le quote detenute dalla società madre nella controllata devono essere distribuite; a distribuzione avvenuta le quote della controllata non devono essere detenute da una società appartenente al medesimo gruppo della società madre e l’attività principale della controllata dev’essere a carattere industriale o commerciale ovvero consistere, direttamente o indirettamente, nel detenere quote in società che svolgono tali attività. Secondo il governo svedese, quando la società madre distributrice ha sede all’estero, le informazioni necessarie alla verifica di tali condizioni possono essere ottenute unicamente tramite le autorità del paese di stabilimento.

    120. Le dette parti intervenienti sostengono che le autorità fiscali nazionali devono essere in grado di verificare la correttezza degli elementi di prova forniti dal contribuente. In mancanza di disposizioni che prevedano lo scambio di informazioni tra le autorità nazionali competenti sussisterebbe infatti un rischio di violazione della normativa fiscale. L’esclusione dal beneficio dell’esenzione quando la società distributrice è stabilita in un paese terzo che non ha voluto concludere convenzioni che prevedono lo scambio di informazioni non costituisce, pertanto, una misura sproporzionata.

    121. La convenuta nella causa a qua contesta tale analisi e asserisce che la restrizione controversa nella causa principale non è proporzionata rispetto all’obiettivo di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, giacché essa è in grado di fornire personalmente la prova che le condizioni richieste dalla legge svedese sono soddisfatte.

    122. Al riguardo, A si riferisce alla posizione adottata dalla Corte di giustizia nelle sentenze 8 luglio 1999, Baxter e a. (37) e 3 ottobre 2002, Danner (38), secondo cui uno Stato membro non può rifiutare ad un contribuente il beneficio di un vantaggio fiscale con il motivo che tale Stato dovrebbe avere la possibilità di controllare le informazioni da lui fornite relativamente ad operazioni effettuate all’estero.

    123. Anche la Commissione esprime dubbi circa il rispetto del principio di proporzionalità da parte della restrizione controversa nella causa principale. Essa ritiene che la prova della sussistenza delle diverse condizioni dettate dalla legge svedese potrebbe effettivamente essere fornita dal contribuente e che spetta al giudice nazionale accertare se un controllo da parte dell’amministrazione fiscale competente sia o meno necessario.

    124. Del pari allo Skatteverket ed ai governi intervenienti, ritengo che la restrizione di cui trattasi possa essere giustificata in base alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali. La mia tesi si fonda sui motivi di seguito esposti.

    125. È noto che la necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali costituisce un motivo imperativo di interesse generale capace di giustificare una restrizione ad un movimento di capitali. Tale motivo può anche venire collegato all’art. 58, n. 1, lett. b), CE, che si riferisce alle misure adottate dagli Stati membri per impedire le violazioni delle leggi o delle regolamentazioni nazionali. Tuttavia, perché la restrizione possa essere giustificata, secondo la giurisprudenza, la misura nazionale in questione dev’essere idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e non deve eccedere quanto è necessario a tal fine, conformemente al principio di proporzionalità (39).

    126. Siffatta giurisprudenza riguardante la portata dell’art. 58 CE nell’ambito dei movimenti di capitali all’interno della Comunità è trasferibile al caso in cui si tratta di verificare la compatibilità con tale articolo delle restrizioni ai movimenti di capitali in provenienza di paesi terzi o ad essi diretti, in quanto tale disposizione, del pari all’art. 56 CE, non pone distinzioni tra le due suddette categorie di movimenti di capitali.

    127. Nel caso di specie, non sembra contestabile il fatto che l’esclusione dal beneficio dell’esenzione dall’imposta sul reddito dei dividendi distribuiti da società stabilite in paesi terzi che non hanno concluso con il Regno di Svezia una convenzione contenente una clausola sullo scambio di informazioni per fini di controllo fiscale sia una misura idonea a realizzare l’obiettivo perseguito, cioè a garantire che tale esenzione venga concessa unicamente nel caso di distribuzioni conformi ai requisiti imposti dalla legge svedese.

    128. La questione su cui verte il presente caso consiste quindi nello stabilire se la restrizione controversa nella causa principale sia proporzionata a tale obiettivo.

    129. Più precisamente, tale questione si pone in quanto l’esclusione dal beneficio dell’esenzione dei dividendi distribuiti da una società stabilita in un paese terzo che non ha concluso con il Regno di Svezia una convenzione contenete una clausola sullo scambio di informazioni impedisce in modo assoluto al contribuente percettore dei detti dividendi di dimostrare che le condizioni imposte dalla legge svedese sono soddisfatte. Si tratta dunque di stabilire se tale esclusione, fondata sulla premessa in base alla quale gli elementi probatori forniti dal contribuente non possono essere verificati presso le autorità competenti del paese di stabilimento, possa essere considerata una misura proporzionata.

    130. Sulla base del seguito del ragionamento che mi accingo ad esporre, ritengo che tale premessa sia ben fondata nel caso di specie. Al riguardo, dai documenti e dalle spiegazioni forniti dal governo svedese emerge che solo le informazioni ottenibili presso le autorità svizzere in forza di accordi conclusi con la Confederazione svizzera sono quelle necessarie a una corretta applicazione della convenzione. Tuttavia, nei limiti in cui lo Skatterättsnämnden ha ritenuto, al contrario, che l’accordo con la Confederazione svizzera avrebbe consentito di ottenere le informazioni necessarie alla verifica delle condizioni previste dalla legge svedese, spetterà al giudice nazionale verificare tale aspetto.

    131. Supponendo, quindi, che la premessa secondo cui gli elementi di prova forniti dal contribuente non possono essere verificati presso le autorità svizzere competenti sia fondata, ritengo che l’esclusione in oggetto nella causa principale debba essere considerata proporzionata, per i due motivi di seguito esposti.

    132. Anzitutto, occorre constatare che l’impossibilità, per lo Stato membro interessato, di ottenere presso le autorità competenti del paese di stabilimento le informazioni necessarie alla verifica degli elementi forniti dal contribuente, allorché solo tali autorità sono in grado di raccogliere le dette informazioni, riduce considerevolmente la possibilità per tale Stato di esercitare un controllo efficace. In tale caso lo Stato membro interessato può basarsi unicamente sulle prove fornite dal contribuente e, eventualmente, da terzi.

    133. Inoltre, poiché il contribuente è a conoscenza del fatto che tali elementi non possono essere sottoposti a verifica presso le autorità del paese di stabilimento della società distributrice, lo Stato membro interessato si trova esposto ad un maggior rischio di violazione della normativa tributaria nazionale.

    134. Di conseguenza, non mi sembra eccessivo che tale Stato membro escluda dal vantaggio fiscale di cui trattasi le situazioni in cui non è in grado di procedere ad un controllo reale ed efficace del rispetto delle condizioni cui la legislazione nazionale subordina tale vantaggio.

    135. Non credo che la giurisprudenza invocata da A, in particolare le ricordate sentenze Baxter e a. e Danner, osti a tale analisi.

    136. Conformemente a tale giurisprudenza, in ambito comunitario, l’impossibilità o le difficoltà, per uno Stato membro, di ottenere da un altro Stato membro le informazioni necessarie alla verifica delle condizioni previste dalla propria normativa nazionale non giustificano una misura che impedisca in maniera assoluta al contribuente stesso di provare che le dette condizioni sono ampiamente soddisfatte.

    137. Tale impossibilità, o tali difficoltà, possono verificarsi sul piano comunitario. Come ho osservato infatti, se, in forza della direttiva 77/799, uno Stato membro può chiedere all’autorità competente di un altro Stato membro di trasmettergli tutte le informazioni che esso ritenga necessarie per valutare l’importo esatto dell’imposta sul reddito dovuta da un contribuente in applicazione della propria legislazione nazionale, tuttavia, tale possibilità non è illimitata. Ai sensi dell’art. 8, n. 1, di tale direttiva, lo Stato cui vengono richieste le informazioni non ha l’obbligo di far effettuare ricerche né di trasmettere informazioni qualora la propria legislazione o la propria prassi amministrativa non autorizzi l’autorità competente né ad effettuare tali ricerche né a raccogliere o a utilizzare dette informazioni per le necessità dello Stato medesimo.

    138. In tale caso, conformemente ad una giurisprudenza consolidata, gli Stati membri non sono autorizzati ad escludere, a priori, la concessione di un vantaggio fiscale quale quello di cui trattasi nella causa principale. La Corte ricorda che le autorità fiscali nazionali possono esigere dal contribuente le prove che esse reputino necessarie, rifiutando, se del caso, il beneficio di tale vantaggio qualora le dette prove non vengano fornite (40).

    139. Di conseguenza, quando, nell’ambito comunitario, l’esclusione a priori di un vantaggio fiscale del genere, laddove sia impossibile verificare presso un altro Stato la sussistenza delle condizioni imposte dalla legislazione nazionale, è considerata sproporzionata, ciò si verifica perché, a mio parere, tale situazione rientra nella deroga prevista dall’art. 8 della direttiva 77/799. Quando tale deroga trova applicazione, l’ostacolo all’esercizio delle libertà di circolazione, che comporterebbe l’esclusione a priori dal detto vantaggio fiscale, risulterebbe sproporzionato, poiché la mancata assistenza da parte dello Stato membro sul cui territorio vengono effettuate le operazioni in parola rientra nei limiti accettati dell’obbligo di reciproca assistenza previsto dalla direttiva 77/799.

    140. Siffatta giurisprudenza è pertanto legata all’esistenza di un obbligo di reciproca assistenza previsto dalla direttiva in parola ed al fatto che tale obbligo non è illimitato. Di conseguenza, essa non è applicabile, secondo me, all’ambito dei movimenti di capitali provenienti da un paese terzo o ad esso diretto, allorché tale paese, per definizione escluso dal campo di applicazione della direttiva 77/799, non ha assunto alcun obbligo di mutua assistenza.

    141. Si può altresì ritenere che la giurisprudenza invocata da A si fondi anche sulla constatazione che, grazie ad ulteriori disposizioni applicabili del diritto comunitario, il contribuente è in grado di fornire elementi probatori che sono idonei a costituire una base di controllo affidabile e pertinente.

    142. Così, nella citata sentenza Baxter e a., cui A si riferisce, la Corte ha dovuto confrontarsi con la normativa francese che riservava la facoltà di dedurre dalla base imponibile del contributo straordinario posto a carico delle imprese farmaceutiche le spese per le operazioni di ricerca effettuate in Francia. Tale limitazione della deducibilità delle spese di ricerca impediva in tal modo alle imprese comunitarie operanti in Francia attraverso uno stabilimento secondario di dedurre le spese di ricerca sostenute in altri Stati membri. Tale normativa è stata analizzata dalla Corte come restrizione alla libertà di stabilimento. Il governo francese sosteneva che la detta limitazione era indispensabile affinché le autorità fiscali nazionali fossero messe in condizione di verificare l’effettività e la natura delle spese sostenute.

    143. La Corte ha dichiarato che tale motivo non poteva essere accolto e che non poteva escludersi a priori che il contribuente fosse in grado di produrre validi documenti probatori che avrebbero consentito alle autorità fiscali francesi di verificare, in modo chiaro e preciso, la reale esistenza e la natura delle spese per la ricerca sostenute in altri Stati membri Relativamente alla tesi difesa dalla Commissione, si può legittimamente supporre che la Corte abbia tenuto conto del fatto che il contribuente poteva fornire dati risultanti dalla contabilità delle società madri stabilite in altri Stati membri e che tali dati contabili potevano costituire una base di controllo attendibile, in quanto erano stati stabiliti a norma della quarta direttiva del Consiglio 78/660/CEE (41) e della settima direttiva del Consiglio 83/349/CEE (42).

    144. In sintesi, è dunque in presenza di un obbligo di reciproca assistenza e, in una determinata misura, perché gli elementi di prova forniti dal contribuente sono contemplati da disposizioni dell’ordinamento comunitario che l’impossibilità di verificare tali elementi presso un altro Stato membro non è considerato un motivo sufficiente per impedire, in maniera assoluta, al contribuente interessato, di dimostrare ch’egli soddisfa adeguatamente le condizioni cui la normativa nazionale applicabile assoggetta la concessione del vantaggio fiscale di cui trattasi.

    145. Tale giurisprudenza non è applicabile nell’ambito dei movimenti di capitali con paesi terzi che non hanno concluso accordi sulla reciproca assistenza e che non sono vincolati dal diritto comunitario (43).

    146. Il secondo motivo sul quale si fonda la mia posizione si riferisce alla necessità di incoraggiare i paesi terzi a concludere convenzioni che prevedano lo scambio di informazioni con la Comunità, o almeno, con gli Stati membri.

    147. Faccio infatti notare che il legislatore comunitario ha ritenuto necessario adottare la direttiva 77/799 per combattere le pratiche di frode e di evasione fiscale, in quanto tali pratiche potevano compromettere il funzionamento del mercato comune. Sul piano comunitario, le libertà di circolazione sono quindi accompagnate da un sistema di reciproca assistenza tra le autorità competenti degli Stati membri, volto ad assicurare una corretta determinazione delle imposte sul reddito e sul patrimonio.

    148. Tale preoccupazione è parimenti condivisa dagli Stati contraenti dell’OCSE che, all’art. 26 del modello di convenzione fiscale relativa alle imposte sul reddito e sul patrimonio, hanno ugualmente previsto un obbligo di scambio delle informazioni che appaiono rilevanti al fine di assicurare il rispetto delle normative fiscali nazionali.

    149. Infine, sembra che, malgrado le suddette misure, la frode fiscale si stia aggravando e che la lotta contro tale pratica richieda o abbia richiesto un rinforzo dei mezzi di azione a livello comunitario (44) ed internazionale (45).

    150. Se la Corte fosse del parere che l’esclusione dal beneficio di un vantaggio fiscale nell’ambito dei movimenti di capitali con un paese terzo che non ha stipulato convenzioni che prevedano uno scambio di informazioni con lo Stato membro interessato costituisce una misura sproporzionata, la Comunità e gli Stati membri perderebbero inevitabilmente un mezzo di pressione che può indurre i paesi terzi a concludere tali accordi. Ciò renderebbe più difficoltosa la lotta contro la frode fiscale e creerebbe una situazione di squilibrio ai danni della Comunità.

    151. Personalmente ritengo che tale mezzo di pressione sia necessario al fine di contrastare la frode e l’evasione fiscale e che l’art. 56 CE, nella parte in cui riguarda i movimenti di capitali in provenienza dai paesi terzi o ad essi diretti, debba essere inteso come una liberalizzazione soggetta a condizioni. Uno Stato membro ha pertanto il diritto, secondo me, di subordinare tale liberalizzazione alla condizione che i detti paesi assumano obblighi di cooperazione amministrativa e di assistenza reciproca con le sue autorità nazionali, di livello equivalente a quello imposto sul piano comunitario in forza della direttiva 77/799.

    152. Tale esigenza mi sembra giustificata anche in considerazione del fatto che la direttiva in parola, in virtù del limite allo scambio di informazioni di cui al suo art. 8, impone agli Stati membri l’obbligo di rispettare comunque una sorta di «principio di equivalenza», nel senso che, per garantire la corretta determinazione dell’imposta dovuta allo Stato richiedente l’informazione, essi sono tenuti ad effettuare, a beneficio di quest’ultimo, le medesime ricerche che avrebbero il diritto di effettuare in applicazione della propria legislazione, e non già a intraprendere iniziative non autorizzate dalla legislazione o dalle pratiche amministrative nazionali (46).

    153. Le suesposte considerazioni mi portano a concludere nel senso che una normativa, in forza della quale l’esenzione dall’imposta sul reddito dei dividendi distribuiti sotto forma di azioni di una società controllata – esenzione che è assoggettata ad una serie di condizioni –, viene concessa unicamente qualora la società madre distributrice sia stabilita in un paese del SEE o in uno Stato con il quale lo Stato membro interessato abbia concluso una convenzione fiscale che preveda espressamente lo scambio di informazioni, può essere giustificata in base alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali.

    154. Tuttavia tale conclusione è soggetta ad una riserva. Siffatta giustificazione può essere considerata valida solo nel caso in cui lo Stato membro interessato non sia in grado di verificare con i propri mezzi il rispetto delle condizioni cui la legge nazionale assoggetta la concessione del vantaggio fiscale di cui trattasi. È evidente che, qualora le autorità nazionali siano in grado di procedere a tale verifica con i propri mezzi, l’assenza di una convenzione che preveda lo scambio di informazioni con il paese terzo interessato non impedisce allo Stato membro di procedere ad un controllo puntuale ed efficace del rispetto della sua legislazione.

    155. Nella fattispecie, lo Skatteverket, del pari al governo svedese, ha sostenuto che le autorità fiscali nazionali non erano in condizione di verificare il rispetto della prima, della terza, della quarta e dell’ultima condizione imposte dalla legge svedese. Ritengo che tale questione rientri nella valutazione dei fatti che è di competenza del giudice nazionale. La restrizione controversa può pertanto essere dichiarata conforme agli artt. 56 CE e 58 CE solo nei limiti in cui il giudice nazionale constati che le dette condizioni non possono essere accertate dalle autorità fiscali svedesi con i propri mezzi e richiedono informazioni che solo le autorità competenti del paese di stabilimento della società distributrice sono in grado di ottenere.

    156. Alla luce delle suesposte considerazioni propongo di risolvere la presente questione pregiudiziale dichiarando che gli artt. 56 CE e 58 CE devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale, in forza della quale l’esenzione dall’imposta sul reddito dei dividendi distribuiti sotto forma di azioni di una società controllata viene concessa unicamente quando la società madre distributrice è stabilita in un paese del SEE o in uno Stato con il quale lo Stato membro interessato abbia concluso una convenzione fiscale che prevede espressamente lo scambio di informazioni, costituisce una restrizione al movimento dei capitali. Tale restrizione è giustificata dalla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali qualora la detta esenzione sia assoggettata a condizioni che non possono essere verificate dalle autorità fiscali nazionali con i propri mezzi e che richiedono informazioni ottenibili solo dalle autorità competenti del paese in cui è stabilita la società distributrice.

    IV – Conclusione

    157. Tenuto conto delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere come segue la questione pregiudiziale sottopostale dal Regeringsrätten:

    «Gli artt. 56 CE e 58 CE devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale, in forza della quale l’esenzione dall’imposta sul reddito dei dividendi distribuiti sotto forma di azioni di una società controllata viene concessa unicamente quando la società madre distributrice è stabilita in un paese dello Spazio economico europeo o in uno Stato con il quale lo Stato membro abbia concluso una convenzione fiscale che prevede espressamente lo scambio di informazioni, costituisce una restrizione al movimento dei capitali.

    Tale restrizione è giustificata dalla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali qualora la detta esenzione sia assoggettata a condizioni che non possono essere verificate dalle autorità fiscali nazionali con i propri mezzi e che richiedono informazioni ottenibili solo dalle autorità competenti del paese in cui è stabilita la società distributrice».


    1 – Lingua originale: il francese.


    2 – Legge relativa all’imposta sul reddito [Inkomstkattelagen (1999:1929); in prosieguo: la «legge svedese»].


    3 – In prosieguo: la «convenzione».


    4 – L’art. 10, n. 1, della convenzione stabilisce che i dividendi pagati da una società residente di uno Stato contraente ad una persona residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in quest’ultimo Stato. L’art. 10, n. 2, della convenzione prevede tuttavia che tali dividendi possano essere assoggettati ad imposta nello Stato in cui ha sede la società distributrice, entro il limite del 15% dell’importo lordo dei dividendi. Qualora l’applicazione di tale clausola comporti l’imposizione sui dividendi in entrambi gli Stati contraenti, siffatta doppia imposizione è disciplinata dall’art. 25 della convenzione. Così una persona fisica residente in Svezia che percepisce dividendi da una società che ha sede in Svizzera deve ottenere la detrazione dell’imposta sul reddito pagata in Svizzera dalla relativa imposta dovuta in Svezia.


    5 – L’art. 27 così recita:


    «1. Quando un residente di uno Stato contraente ritiene che i provvedimenti adottati da uno o da entrambi gli Stati contraenti implichino o implicheranno per lui un’imposizione non conforme alle disposizioni della presente convenzione, egli può, indipendentemente dalle vie di ricorso previste dalla legislazione nazionale di detti Stati, sottoporre il caso all’autorità competente dello Stato del quale è residente.


    2. Detta autorità competente, se il ricorso le appare fondato e se essa stessa non è in grado di trovare una soluzione soddisfacente, si sforzerà di risolvere la questione in via di composizione amichevole con l’autorità competente dell’altro Stato contraente, al fine di evitare un’imposizione non conforme alle disposizioni della convenzione.


    3. Le autorità competenti degli Stati contraenti si sforzeranno, in via di composizione amichevole, di appianare le difficoltà e di dissipare i dubbi che possano sorgere in ordine all’interpretazione o all’applicazione della convenzione. Esse possono altresì concertarsi al fine di evitare la doppia imposizione nei casi non previsti dalla convenzione.


    4. Le autorità competenti degli Stati contraenti possono comunicare direttamente fra di loro al fine di pervenire ad un accordo nel senso dei paragrafi precedenti. Se per giungere a detto accordo appare consigliabile uno scambio dei rispettivi punti di vista, esso può aver luogo in seno ad una commissione composta da rappresentanti delle autorità competenti degli Stati contraenti».


    6 – L’art. 11 disciplina la ripartizione del potere d’imposizione sugli interessi.


    7 – Direttiva 19 dicembre 1977 relativa alla reciproca assistenza delle autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (GU L 336, pag. 15).


    8 – Sentenza 24 maggio 2007, causa C‑157/05, Holböck (Racc. pag. I‑4051, punto 21 e giurisprudenza ivi citata).


    9 – Ibidem (punto 24 e giurisprudenza ivi citata).


    10 – Ibidem (punto 28 e giurisprudenza ivi citata).


    11 – Sentenza 11 novembre 1981, causa 203/80, Casati (Racc. pag. 2595, punto 8).


    12 – Direttiva 24 giugno 1988, per l’attuazione dell’art. 67 del trattato (GU L 178, pag. 5).


    13 – Cause riunite C‑358/93 e C‑416/93 (Racc. pag. I‑361, punto 34).


    14 – Cause riunite C‑163/94, C‑165/94 e C‑250/94 (Racc. pag. I‑4821).


    15 – Nell’ambito di un procedimento pregiudiziale che si riferiva a controversie riguardanti l’esportazione di valuta verso paesi terzi, la Corte ha affermato che «le disposizioni di cui all’art. 73 B, n. 1, del Trattato, che sanciscono il principio della libera circolazione tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi, conferisc[o]no ai privati diritti che essi possono far valere in giudizio e che i giudici nazionali devono tutelare» (punto 43). Nelle sue osservazioni scritte presentate nel presente procedimento, il governo tedesco sostiene che, al punto 46 della citata sentenza Sanz de Lera e a., la Corte avrebbe limitato l’effetto diretto dell’art. 73 B, n. 1, del Trattato ai movimenti di capitali diversi da quelli che implicano un investimento diretto. Non condivido tale interpretazione. A mio parere, al summenzionato punto 46, la Corte ha precisato che il divieto di cui all’art. 73 B, n. 1, del Trattato riguarda le restrizioni non rientranti nell’art. 73 C, n. 1, del Trattato CE (divenuto art. 57, n. 1, CE), laddove tale ultima disposizione riguarda le restrizioni ai movimenti di capitali che implicano investimenti diretti, in vigorealla data del 31 dicembre 1993 (il corsivo è mio). La Corte non ha pertanto escluso dal divieto di cui all’art. 73 B, n. 1, del Trattato tutti i movimenti di capitali che implicavano investimenti diretti ma solamente quelli esistenti al 31 dicembre 1993. È per questo motivo che la citata sentenza Sanz de Lera e a. deve essere interpretata, secondo me, nel senso che il principio della libera circolazione di capitali consacrato dall’art. 73 B, n. 1, del Trattato ha effetto diretto nella parte in cui si riferisce alle relazioni con i paesi terzi e con riguardo a tutti i movimenti di capitali ai sensi di tale disposizione.


    16 – Sentenza 26 settembre 2000, causa C‑478/98, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑7587, punto 38 e giurisprudenza ivi citata; v., inoltre, punto 39).


    17 – V., in particolare, sentenza 1° giugno 1999, causa C‑302/97, Konle (Racc. pag. I‑3099, punto 40).


    18 – V., in particolare, sentenze 14 settembre 2006, causa C‑386/04, Centro di Musicologia Walter Stauffer (Racc. pag. I‑8203, punto 47 e giurisprudenza ivi citata) e 30 gennaio 2007, causa C‑150/04, Commissione/Danimarca (Racc. pag. I‑1163, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).


    19 – Causa C‑446/04 (Racc. pag. I‑11753, punto 171).


    20 – Primo e terzo ‘considerando’ della direttiva 77/799.


    21 – Sentenza 3 ottobre 2002, causa C‑136/00, Danner (Racc. pag. I‑8147, punto 49, e giurisprudenza ivi citata).


    22 – Direttiva 3 giugno 2003, in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi (GU L 175, pag. 38).


    23 – V., per quanto riguarda la Confederazione svizzera, l’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera che stabilisce misure equivalenti a quelle definite nella direttiva 2003/48 (GU 2004, L 385, pag. 30).


    24 – GU L 1994, pag. 3, in prosieguo: l’«accordo SEE».


    25 – Secondo le informazioni disponibili sul sito Internet dell’OCSE, più di 2.000 convenzioni bilaterali si sono basate sul modello dell’OCSE.


    26 – L’art. 57, n. 2, prima frase, CE, così recita:


    «Nell’ambito degli sforzi volti a conseguire, nella maggior misura possibile e senza pregiudicare gli altri capi del presente trattato, l’obiettivo della libera circolazione di capitali tra Stati membri e paesi terzi, il Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può adottare misure concernenti i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti, in relazione a investimenti diretti, inclusi gli investimenti in proprietà immobiliari, lo stabilimento, la prestazione di servizi finanziari o l’ammissione di valori mobiliari nei mercati finanziari».


    27 – V., in particolare, la decisione del Consiglio 28 settembre 2000, 2000/658/CE, relativa alla conclusione dell'accordo di partenariato economico, di coordinamento politico e di cooperazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e gli Stati Uniti del Messico, dall'altra (GU L 276, pag. 44).


    28 – V., in proposito, sentenza 12 settembre 2006, causa C‑196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (Racc. pag. I‑7995, punti 31‑33).


    29 – V. sentenza 13 marzo 2007, causa C‑524/04, Test Claimants in Thin Cap Group Litigation (Racc. pag. I‑2107, punti 26‑34) e ordinanza 10 maggio 2007, causa C‑492/04, Laesertec (Racc. pag. I‑3775, punti 18‑26).


    30 – In merito all’applicazione dello stesso principio con riguardo alla delimitazione del campo di applicazione della libera circolazione dei capitali e della libera prestazione dei servizi, v. sentenza 3 ottobre 2006, causa C‑452/04, Fidium Finanz (Racc. pag. I‑9521, punti 34, 48 e 49).


    31 – Causa C‑35/98 (Racc. pag. I‑4071).


    32 – Sentenza Fidium Finanz, cit. (punto 41 e giurisprudenza ivi citata).


    33 – Sentenze citate Fidium Finanz (punto 25) e Holböck (punto 30).


    34 – GU 1994, C 241, pag. 21 e GU 1995, L 1, pag. 1.


    35 – Punti 189‑195.


    36 – Punti 40‑43.


    37 – Causa C‑254/97 (Racc. pag. I‑4809). 


    38 – Causa C‑136/00 (Racc. pag. I‑8147).


    39 – V., in particolare, sentenza Centro di Musicologia Walter Stauffer, cit. (punto 32).


    40 – V., per un’applicazione recente di tale giurisprudenza, sentenza Commissione/Danimarca, cit. (punto 54).


    41 – Direttiva 25 luglio 1978, basata sull'articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa ai conti annuali di taluni tipi di società (GU L 222, pag. 11).


    42 – Direttiva 13 giugno 1983, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato, e relativa ai conti consolidati (GU L 193, pag. 1).


    43 – Inoltre, non credo che la normativa svedese in oggetto debba essere considerata sproporzionata con riguardo ad una situazione di un contribuente come A, tenuto conto del fatto che l’esenzione controversa nella causa principale non viene esclusa allorché la società distributrice è stabilita in un paese del SEE che non è membro dell’Unione e che, pertanto, non è tenuto a recepire nel diritto interno la direttiva 77/799. Infatti, la Confederazione svizzera, che non ha ratificato l’accordo SEE, non appare in posizione comparabile a quella della Repubblica d’Islanda, del Principato del Liechtenstein e del Regno di Norvegia. Per quanto riguarda la Repubblica d’Islanda ed il Regno di Norvegia, tali paesi hanno stipulato una convenzione multilaterale sull’assistenza amministrativa con il Regno di Svezia, che include disposizioni relative allo scambio di informazioni ed altre norme riguardanti l’assistenza amministrativa in materia fiscale. Quanto al Principato del Liechtenstein, che io sappia, tale paese non ha concluso accordi di questo tipo con il Regno di Svezia. Quest’ultimo avrebbe quindi avuto il diritto, secondo me, di escludere dal beneficio dell’esenzione di cui trattasi nella causa principale anche i dividendi distribuiti dalle società stabilite in Liechtenstein. Tuttavia, il fatto che tali dividendi non siano esclusi da tale esenzione non dimostra che la normativa svedese in esame sia sproporzionata relativamente ai dividendi distribuiti da una società avente sede in Svizzera. Inoltre, la situazione di una società stabilita in Svizzera non è assimilabile a quella di una società con sede nel Liechtenstein, nei limiti in cui tale Stato, a differenza della Confederazione svizzera, è tenuto, in forza dell’accordo SEE, a recepire nell’ordinamento nazionale gli atti di diritto derivato adottati in applicazione delle libertà di circolazione, segnatamente, le direttive di armonizzazione del diritto societario e, in particolare, le direttive relative ai conti societari (v. allegato XXII all’accordo SEE).


    44 – V., in proposito, la comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo sulla necessità di sviluppare una strategia coordinata al fine di migliorare la lotta contro la frode fiscale [COM(2006)254 def.].


    45 – V. le modifiche all’art. 26 del modello di convenzione fiscale dell’OCSE approvate dal comitato degli affari fiscali dell’OCSE il 1° giugno 2004.


    46 – Tale limite è stato chiaramente confermato dalla direttiva del Consiglio 21 aprile 2004, 2004/56/CEE, che modifica la direttiva 77/799 (GU L 127, pag. 70).

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