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Document 62005CC0032

    Conclusioni dell'avvocato generale Sharpston del 18 maggio 2006.
    Commissione delle Comunità europee contro Granducato del Lussemburgo.
    Inadempimento di uno Stato membro - Ambiente - Direttiva 2000/60/CE - Omessa comunicazione delle misure di trasposizione - Obbligo di adottare una normativa-quadro nazionale - Omissione - Incompleta od omessa trasposizione degli artt. 2, 7, n. 2, e 14.
    Causa C-32/05.

    Raccolta della Giurisprudenza 2006 I-11323

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2006:334

    Conclusioni dell avvocato generale

    Conclusioni dell avvocato generale

    1. Con il presente ricorso la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che il Lussemburgo, non avendo adottato le misure necessarie per conformarsi alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque (2), e, in ogni caso, non avendole comunicate alla Commissione, è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono ai sensi di tale direttiva (3) .

    2. In primo luogo, la Commissione afferma che la corretta attuazione della direttiva 2000/60 richiede l’adozione di una «legge quadro» a livello nazionale. È pacifico che ciò non è avvenuto. In subordine, la Commissione identifica (nella replica) una serie di disposizioni specifiche della direttiva che, a suo parere, il Lussemburgo non ha provveduto ad attuare.

    3. Il Lussemburgo, al contrario, ritiene che una direttiva quadro non richieda necessariamente, per la sua corretta attuazione nell’ordinamento giuridico nazionale, l’adozione di specifiche e formali misure legislative, regolamentari o amministrative. Ciò che conta è se gli obiettivi concreti perseguiti dalla direttiva siano soddisfatti in pratica entro i diversi termini specificati dalla direttiva. Nello svolgimento della sua difesa dinanzi alla Corte il Lussemburgo ha altresì sostenuto per la prima volta che, in ogni caso, la legislazione nazionale esistente corrispondeva in larga parte ai requisiti della direttiva.

    Contesto normativo

    Il Trattato CE

    4. Ai sensi dell’art. 249 CE una direttiva «vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi».

    5. L’art. 174, n. 1, CE attribuisce alla Comunità il potere di adottare una politica comunitaria in materia ambientale che contribuisca a perseguire gli obiettivi di salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità ambientale, di protezione della salute umana, di utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali e di promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale.

    6. L’art. 175, n. 1, CE prevede che il Consiglio, deliberando secondo la procedura di codecisione di cui all’art. 251 CE, decida in merito alle azioni che devono essere intraprese dalla Comunità per realizzare gli obiettivi dell’art. 174.

    La direttiva 2000/60

    7. La direttiva 2000/60 è stata adottata sulla base dell’art. 175, n. 1, CE.

    8. Il nono ‘considerando’ del preambolo afferma che «[è] necessario sviluppare una politica comunitaria integrata in materia di acque». Il diciottesimo ‘considerando’ spiega che una tale politica «richiede un quadro legislativo trasparente, efficace e coerente. La Comunità dovrebbe fornire principi comuni e il quadro globale in cui inserire gli interventi. La presente direttiva dovrebbe fornire tale quadro e coordinare, integrare e, nel lungo periodo, sviluppare ulteriormente i principi e le strutture generali idonei a garantire la protezione e un utilizzo sostenibile delle acque comunitarie, nel rispetto del principio della sussidiarietà».

    9. L’art. 1 stabilisce che lo scopo della direttiva è istituire «un quadro [comunitario] per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee».

    10. L’art. 2 definisce 41 concetti rilevanti ai fini della direttiva. Alcuni riguardano gli standard di qualità idrica che gli Stati membri sono tenuti a raggiungere ai sensi della direttiva, in particolare dell’art. 4. A titolo esemplificativo, l’art. 2, n. 22, definisce «buono stato ecologico» lo stato di un corpo idrico superficiale classificato come «buono» in base all’allegato V della direttiva. Ai sensi dell’art. 2, n. 23, per «buon potenziale ecologico» si intende lo stato di un corpo idrico fortemente modificato o artificiale, così classificato in base all’allegato V, che stabilisce condizioni dettagliate per l’analisi, la classificazione e il monitoraggio dello stato qualitativo dei corpi idrici cui si riferisce la direttiva. L’art. 2, n. 24, definisce «buono stato chimico delle acque superficiali» lo stato chimico richiesto per conseguire gli obiettivi ambientali per le acque superficiali fissati dall’art. 4, n. 1, lett. a), ossia lo stato raggiunto da un corpo idrico superficiale nel quale la concentrazione di inquinanti non supera gli standard di qualità ambientali fissati dall’allegato IX, dall’art. 16, n. 7, e da altre normative comunitarie pertinenti che istituiscono standard di qualità ambientale a livello comunitario. In modo analogo, l’art. 2, n. 25, dispone che per «buono stato chimico delle acque sotterranee» si intende lo stato chimico di un corpo idrico sotterraneo che risponda a tutti parametri di cui alla tabella 2.3.2 dell’allegato V.

    11. Per quanto qui rileva, l’art. 3 (intitolato «Coordinamento delle disposizioni amministrative all’interno dei distretti idrografici») dispone ciò che segue:

    «1. Gli Stati membri individuano i singoli bacini idrografici presenti nel loro territorio e, ai fini della presente direttiva, li assegnano a singoli distretti idrografici. (...)

    2. Gli Stati membri provvedono a adottare le disposizioni amministrative adeguate, ivi compresa l’individuazione dell’autorità competente, per l’applicazione delle norme previste dalla presente direttiva all’interno di ciascun distretto idrografico presente nel loro territorio.

    3. Gli Stati membri provvedono affinché un bacino idrografico che si estende sul territorio di più Stati membri sia assegnato a un distretto idrografico internazionale. Su richiesta degli Stati membri interessati, la Commissione interviene per agevolare l’assegnazione di tali distretti idrografici internazionali.

    Ciascuno Stato membro provvede a adottare le disposizioni amministrative adeguate, ivi compresa l’individuazione dell’autorità competente, per l’applicazione delle norme previste dalla presente direttiva in ogni parte di distretto idrografico internazionale presente nel suo territorio.

    4. Gli Stati membri provvedono affinché i requisiti stabiliti dalla presente direttiva per conseguire gli obiettivi ambientali di cui all’articolo 4, in particolare tutti i programmi di misure, siano coordinati in tutto il distretto idrografico. Per i distretti idrografici internazionali, gli Stati membri interessati provvedono congiuntamente al coordinamento e possono avvalersi a tal fine di strutture esistenti risultanti da accordi internazionali. Su richiesta degli Stati membri interessati, la Commissione interviene per agevolare la definizione dei programmi di misure.

    (…)

    6. Ai fini della presente direttiva, gli Stati membri possono individuare quale autorità competente un organismo nazionale o internazionale esistente.

    7. Gli Stati membri individuano l’autorità competente entro il termine di cui all’articolo 24.

    8. Entro sei mesi dalla data di cui all’articolo 24 gli Stati membri forniscono alla Commissione un elenco delle rispettive autorità competenti e delle autorità competenti di tutti gli organismi internazionali di cui fanno parte. Per ciascuna autorità competente forniscono le informazioni stabilite nell’allegato I.

    9. Gli Stati membri comunicano alla Commissione eventuali cambiamenti delle informazioni presentate in base al paragrafo 8 entro tre mesi dalla data in cui essi hanno effetto».

    12. L’art. 4 stabilisce gli obiettivi ambientali che gli Stati membri sono tenuti a raggiungere nel rendere operativi i programmi di misure specificate nei piani di gestione dei bacini idrografici per le acque superficiali, per le acque sotterranee e per le aree protette. In sostanza, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato delle acque e delle aree protette considerate, nonché a migliorare e a ripristinare [i corpi idrici] in modo da raggiungere i livelli qualitativi definiti dalle disposizioni della direttiva, in particolare dall’art. 2. L’art. 4 dispone altresì che, in linea generale, gli standard e gli obiettivi stabiliti dalla direttiva devono essere conseguiti entro 15 anni dalla sua entrata in vigore.

    13. Per quanto riguarda le acque utilizzate per l’«estrazione» di acqua per il consumo umano, l’art. 7, n. 1, impone agli Stati membri di identificare, all’interno di ciascun distretto idrografico, tutti i corpi idrici rilevanti.

    14. L’art. 7, n. 2, prevede che «[p]er ciascuno dei corpi idrici individuati a norma del paragrafo 1, gli Stati membri, oltre a conseguire gli obiettivi di cui all’articolo 4 attenendosi ai requisiti prescritti dalla presente direttiva per i corpi idrici superficiali, compresi gli standard di qualità fissati a livello comunitario a norma dell’articolo 16, provved[a]no a che, secondo il regime di trattamento delle acque applicato e conformemente alla normativa comunitaria, l’acqua risultante soddisfi i requisiti di cui alla direttiva 80/778/CEE, modificata dalla direttiva 98/83/CE».

    15. L’art. 7, n. 3, fa obbligo agli Stati membri di provvedere alla necessaria protezione dei corpi idrici individuati a norma dell’art. 7, n. 1, e offre loro la possibilità di definire, se lo desiderano, zone di salvaguardia per tali corpi idrici.

    16. L’art. 14, intitolato «Informazione e consultazione pubblica», dispone quanto segue:

    «1. Gli Stati membri promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all’attuazione della presente direttiva, in particolare all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici. Gli Stati membri provvedono affinché, per ciascun distretto idrografico, siano pubblicati e resi disponibili per eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti:

    a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del piano, inclusa una dichiarazione delle misure consultive che devono essere prese almeno tre anni prima dell’inizio del periodo cui il piano si riferisce;

    b) una valutazione globale provvisoria dei problemi di gestione delle acque importanti, identificati nel bacino idrografico, almeno due anni prima dell’inizio del periodo cui si riferisce il piano;

    c) copie del progetto del piano di gestione del bacino idrografico, almeno un anno prima dell’inizio del periodo cui il piano si riferisce.

    Su richiesta, si autorizza l’accesso ai documenti di riferimento e alle informazioni in base ai quali è stato elaborato il progetto del piano di gestione del bacino idrografico.

    2. Per garantire l’attiva partecipazione e la consultazione, gli Stati membri concedono un periodo minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte sui documenti in questione.

    3. I paragrafi 1 e 2 si applicano anche agli aggiornamenti dei piani in questione».

    17. Gli artt. 16 e 17 della direttiva sono rivolti alle istituzioni comunitarie. Prevedono che il Parlamento europeo e il Consiglio, su proposta della Commissione, adottino misure specifiche, rispettivamente, per combattere l’inquinamento idrico prodotto da singoli inquinanti o gruppi di inquinanti e per prevenire e controllare l’inquinamento delle acque sotterranee. Ai sensi dell’art. 18, la Commissione deve pubblicare una relazione sull’attuazione della direttiva entro 12 anni dalla data della sua entrata in vigore e, successivamente, ogni sei anni.

    18. L’art. 23 recita: «Gli Stati membri determinano le sanzioni applicabili alle violazioni delle norme nazionali di attuazione della presente direttiva. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive».

    19. L’art. 24 dispone:

    «1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 22 dicembre 2003. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

    (…)

    2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle principali disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva. La Commissione ne informa gli altri Stati membri».

    Le disposizioni nazionali

    20. Il Lussemburgo si basa sulle disposizioni della legge 29 luglio 1993 riguardante la protezione e la gestione delle acque superficiali e sotterranee, sia pubbliche che private (in prosieguo: la «legge 1993») (4) .

    21. L’art. 2 afferma che l’obiettivo della legge 1993 è di combattere l’inquinamento idrico e di assicurare la rigenerazione idrica con lo scopo di soddisfare, in particolare, i requisiti necessari per

    – la tutela della salute dell’uomo e degli animali, nonché dell’equilibrio ecologico;

    – la vita biologica degli ecosistemi acquatici di acque riceventi, in particolare della fauna ittica;

    – l’approvvigionamento di acqua per il consumo umano e per gli usi industriali;

    – la tutela delle risorse idriche;

    – la balneazione, gli sport acquatici ed altre attività ricreative;

    – la tutela del paesaggio e dei siti nonché

    – l’agricoltura, l’industria, i trasporti e tutte le altre attività umane di interesse generale.

    22. L’art. 3 definisce 12 concetti ai fini della legge 1993.

    23. Gli artt. 18 e 19 riguardano la tutela dei corpi idrici destinati al consumo umano e l’istituzione di zone per la loro salvaguardia. L’art. 18 definisce diverse zone di protezione in base alla vicinanza alla fonte di acqua e ai poteri goduti delle pubbliche autorità in relazione alle stesse, fra i quali il potere di nazionalizzare le zone immediatamente adiacenti alla fonte di acqua potabile e il potere di regolamentare ogni attività o uso delle zone dichiarate di protezione che potrebbe pregiudicare la qualità dell’acqua. L’art. 19 descrive nel dettaglio la procedura per la dichiarazione di zona di salvaguardia, che comprende una fase di informazione e di consultazione pubblica.

    Fatti

    Procedimento precontenzioso

    24. La Commissione, in considerazione del fatto che il Lussemburgo non aveva notificato le misure adottate per attuare la direttiva 2000/60 entro il termine fissato nell’art. 24 (ossia il 22 dicembre 2003), con lettera 26 gennaio 2004 ha invitato il detto Stato a presentare le proprie osservazioni ai sensi dell’art. 226 CE (5) .

    25. Con lettera 14 aprile 2004, il Lussemburgo ha risposto che un disegno di legge volto ad attuare la direttiva 2000/60 sarebbe stato votato dal Parlamento nazionale alla fine del 2004 o all’inizio del 2005. Inoltre, ha informato la Commissione che entro maggio 2004 sarebbe stata istituita un’amministrazione centralizzata per la gestione delle acque.

    26. Con lettera 9 luglio 2004, la Commissione ha emesso un laconico parere motivato ai sensi dell’art. 226 CE con cui invitava il Lussemburgo ad adottare le misure necessarie entro due mesi.

    27. Il Lussemburgo ha risposto il 27 settembre 2004. Ha comunicato che intendeva approfittare della necessità di trasporre la direttiva «quadro» 2000/60 nel diritto nazionale per intraprendere una «revisione sostanziale» della propria legislazione esistente in materia di qualità idrica. Tra l’altro, ha informato la Commissione che il disegno di legge di attuazione della direttiva progrediva e che una nuova amministrazione centralizzata per la gestione delle risorse idriche era stata istituita con legge 28 maggio 2004 ed era operativa dalla fine di giugno 2004.

    28. La Commissione ha ritenuto insufficiente tale risposta e ha proposto il presente ricorso.

    Procedimento dinanzi alla Corte

    29. Nel ricorso, la Commissione ha sostenuto che il Lussemburgo, non avendo adottato le misure legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2000/60, e, in ogni caso, non avendole comunicate, è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono ai sensi di tale direttiva.

    30. Nel controricorso, il Lussemburgo ha dedotto, tra l’altro, due nuovi motivi. In primo luogo, ha affermato di aver debitamente comunicato alla Commissione, il 24 agosto 2004, il nome e l’indirizzo dell’autorità competente per ogni distretto idrografico del Granducato, conformandosi in tal modo all’art. 3 della direttiva 2000/60.

    31. In secondo luogo, il Lussemburgo ha sostenuto che la legislazione nazionale esistente, cioè la legge 1993 (qui nominata per la prima volta), attribuiva alle sue autorità nazionali poteri sufficienti per assicurare il raggiungimento degli obiettivi operativi della direttiva 2000/60.

    32. Nella replica, la Commissione ha riconosciuto di non essere stata a conoscenza, per un difetto di coordinamento dei propri servizi, della lettera 24 agosto 2004, e ha ammesso che le misure notificate nella detta lettera costituivano corretta attuazione dell’art. 3 della direttiva 2000/60.

    33. La Commissione ha ammesso altresì che l’art. 7, n. 3, della direttiva 2000/60 era debitamente attuato dagli artt. 18 e 19 della legge 1993.

    34. La Commissione ha pertanto adattato la portata del suo ricorso originario (6) e riformulato le conclusioni nella replica. Ha chiesto alla Corte di dichiarare che il Lussemburgo, non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2000/60/CE, salvi l’art. 3, nn. 1, 2, 3, 5, 6 e 7, e l’art. 7, n. 3, e, in ogni caso, non avendole comunicate alla Commissione, è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono ai sensi di tale direttiva.

    35. La Commissione ha mantenuto il suo motivo principale in base al quale per attuare la direttiva 2000/60 era necessaria una specifica legge quadro nazionale.

    36. La Commissione ha inoltre ritenuto che la legge 1993 non costituisse un’attuazione completa della direttiva 2000/60. In via esemplificativa, la Commissione ha esaminato la legge 1993 alla luce di talune disposizioni della direttiva 2000/60. All’udienza, essa ha cercato di estendere la propria analisi, esaminando la compatibilità della legge 1993 con disposizioni della direttiva 2000/60 diverse da quelle che aveva indicato nella replica, per giungere alla medesima conclusione.

    37. In seguito alle osservazioni orali del Lussemburgo, la Commissione ha ammesso che quest’ultimo si è ora conformato agli obblighi sostanziali derivanti dall’art. 7, n. 1.

    Valutazione

    Il motivo riguardante l’omessa notifica delle misure di attuazione

    38. È preferibile trattare prima questo motivo.

    39. Ai sensi dell’art. 24 della direttiva 2000/60, gli Stati membri dovevano informare la Commissione delle misure adottate per attuare la direttiva entro il 22 dicembre 2003.

    40. Come costantemente sostenuto dalla Corte, un inadempimento di uno Stato membro può essere constatato soltanto in relazione alla situazione sussistente alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato (7), ossia, nel caso di specie, alla data dell’8 settembre 2004.

    41. Dalle osservazioni presentate alla Corte emerge che l’unica informazione fornita dal Lussemburgo alla Commissione entro tale termine era la lettera 24 agosto 2004. La risposta formale del Lussemburgo al parere motivato era datata 27 settembre 2004.

    42. La lettera 24 agosto 2004 era stata inviata prima della scadenza del termine di due mesi fissato dal parere motivato della Commissione del 9 luglio 2004. La Commissione ha in ogni caso ammesso che essa provava un’adeguata attuazione degli obblighi derivanti dalla maggior parte dei paragrafi dell’art. 3 della direttiva. Di conseguenza, la Commissione ha ritirato il proprio ricorso in relazione alla mancata comunicazione da parte del Lussemburgo delle misure di attuazione adottate ai sensi dell’art. 3 della direttiva 2000/60. Non è pertanto necessario esaminare ulteriormente tale aspetto.

    43. È pacifico che il Lussemburgo ha fatto valere per la prima volta che la legge 1993 costituiva un’adeguata attuazione della direttiva nello svolgimento della sua difesa dinanzi alla Corte. La succitata giurisprudenza chiarisce che un tale riferimento tardivo non può sanare un precedente difetto di comunicazione delle informazioni necessarie entro la data prescritta nel parere motivato.

    44. Il ricorso della Commissione è pertanto fondato al riguardo.

    Il motivo riguardante la mancata adozione delle misure necessarie per attuare la direttiva 2000/60

    45. In via preliminare, vorrei chiarire che il fatto che la Commissione abbia introdotto due nuovi motivi e modificato le conclusioni nella replica non pregiudica l’ammissibilità del ricorso nel presente caso. Come ha dichiarato la Corte in circostanze molto simili, la Commissione può legittimamente apportare precisazioni alle proprie conclusioni al fine di tener conto delle informazioni fornite da uno Stato membro nel controricorso (8) ; pertanto non può essere censurata per aver trattato per la prima volta nella replica gli argomenti fondati sulla legge 1993.

    Argomenti delle parti

    46. La Commissione sostiene, in via principale, che dagli obiettivi stabiliti dall’art. 1 discende che la direttiva 2000/60 impone agli Stati membri di adottare in primo luogo una legge quadro per attuare nell’ordinamento giuridico nazionale gli obblighi principali derivanti dalla direttiva. Una tale legge quadro fornirebbe quindi una base giuridica soddisfacente per adottare, quale passo successivo, le misure più specifiche necessarie per raggiungere gli obiettivi perseguiti dalle altre disposizioni della direttiva. Una legge quadro avrebbe pertanto dovuto essere adottata e notificata alla Commissione entro il termine fissato nell’art. 24 della direttiva.

    47. La tesi sostenuta in subordine dalla Commissione nella replica è che, in ogni caso, le disposizioni della legge 1993 non attuano interamente la direttiva 2000/60. In via esemplificativa, la Commissione fa valere che gli artt. 1, 2, 3, n. 4, e 7, nn. 1 e 2, nonché 14 della direttiva sono stati trasposti in maniera non adeguata. All’udienza, la Commissione ha chiesto di aggiungere gli artt. 4, 8, 11, 13 e 23 a tale elenco.

    48. Da parte sua, il Lussemburgo ammette che l’adozione di una legge quadro per attuare la direttiva 2000/60 potrebbe essere opportuna a fini interni. Tuttavia, dissente fondamentalmente dall’opinione della Commissione secondo cui la direttiva impone uno specifico obbligo giuridico di adottare una tale legge quadro. La direttiva 2000/60 non costituisce una misura di armonizzazione nel senso dell’art. 95 CE. È una direttiva che pone un «framework for a Community policy in the field of water management» (quadro per una politica comunitaria in materia di gestione idrica) (9) . Il suo scopo principale non è di obbligare gli Stati membri a creare un formale quadro giuridico nazionale equivalente attraverso l’armonizzazione dell’ordinamento giuridico interno, ma di obbligarli ad adottare delle misure per raggiungere determinati obiettivi ambientali concreti stabiliti nell’art. 4.

    49. La replica del Lussemburgo alla tesi proposta in subordine dalla Commissione è che la legge 1993 consente alle autorità nazionali di adottare tutte le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi operativi della direttiva 2000/60 entro i termini specificati.

    – La corretta attuazione della direttiva 2000/60 richiede l’adozione di una legge quadro?

    50. La direttiva 2000/60 è una direttiva inusuale. Non mira all’armonizzazione di leggi nazionali. Piuttosto, il suo obiettivo complessivo è di istituire un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque. Da un esame più attento risulta evidente che, a tal fine, la direttiva contiene tre diverse classi di disposizioni.

    51. Primo: vi sono disposizioni che impongono obblighi alle stesse istituzioni comunitarie. Ad esempio, gli artt. 16 e 17 impongono alle istituzioni comunitarie di adottare misure comunitarie in materia di inquinamento idrico e di acque sotterranee.

    52. Secondo: vi sono disposizioni che impongono agli Stati membri obblighi nei confronti della Commissione e della Comunità. Così gli obblighi di informazione ai sensi degli artt. 3, n. 1, e 24, n. 2.

    53. Terzo: vi sono disposizioni che impongono agli Stati membri obblighi nei confronti dei singoli, con o senza efficacia diretta. Così, ad esempio, l’art. 4, che fissa gli obiettivi ambientali perseguiti dalla direttiva, impone agli Stati membri di attuare le misure necessarie per raggiungere i detti obiettivi. L’art. 14 obbliga gli Stati membri ad assicurare il coinvolgimento attivo di tutte le parti interessate nell’attuazione della direttiva.

    54. Inoltre, per l’attuazione di queste diverse disposizioni si applicano diverse scadenze (10) .

    55. Il fatto che le disposizioni della direttiva siano tutt’altro che omogenee deve a sua volta avere implicazioni per il modo in cui tali disposizioni possono o dovrebbero essere attuate a livello nazionale (alcune, infatti, possono non richiedere alcuna attuazione). Come la Corte ha riconosciuto altrove, «la prassi legislativa comunitaria dimostra che possono esistere grandi differenze quanto al tipo di obblighi imposti dalle direttive agli Stati membri e, dunque, quanto ai risultati che debbono essere raggiunti. Infatti, talune direttive impongono che vengano adottate misure legislative a livello nazionale e che la loro osservanza sia sottoposta ad un controllo giurisdizionale o amministrativo. Altre direttive prescrivono che gli Stati membri adottino le misure necessarie ad assicurare che taluni obiettivi enunciati in maniera generale e non quantificabile vengano raggiunti, lasciando però agli Stati membri un certo margine di discrezionalità circa il tipo di provvedimenti da adottare. Altre direttive ancora impongono agli Stati membri che vengano raggiunti risultati assai precisi e concreti entro un certo termine. Pertanto, posto che un inadempimento può essere constatato soltanto se, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, sussiste una situazione contraria al diritto comunitario oggettivamente imputabile allo Stato membro interessato, la declaratoria dell’inadempimento in questione dipende dal tipo di obblighi imposti dalle disposizioni [della direttiva in questione]» (11) . La direttiva 2000/60 sembra contenere tutti i diversi tipi di disposizioni identificati nel testo citato.

    56. La Corte ha parimenti sostenuto che, in linea di principio, una disposizione di una direttiva riguardante unicamente i rapporti fra gli Stati membri e la Commissione non deve essere trasposta nell’ordinamento giuridico nazionale. In tali circostanze, la Commissione ha comunque la facoltà di dimostrare che è necessaria l’adozione di specifiche misure di trasposizione (12) .

    57. La Commissione ha insistito durante tutto il procedimento dinanzi alla Corte che, in considerazione degli obiettivi della direttiva come delineati all’art. 1, il Lussemburgo avrebbe dovuto adottare una «legge quadro» al fine di attuare correttamente la direttiva nel diritto nazionale. La Commissione ha evitato di identificare, nel rispondere ai quesiti di svariati membri della Corte all’udienza, quale(i) precisa(e) disposizione(i) della direttiva imponga(no) un tale obbligo o potrebbe(ro) essere interpretata(e) come suscettibile(i) di attuazione solo con quella tecnica.

    58. L’art. 249 CE indica chiaramente che gli Stati membri possono scegliere la forma e i mezzi per attuare le direttive che meglio garantiscono il risultato da raggiungere. Salvo, ovviamente, il principio di effettività, è così concesso agli Stati membri un ampio potere discrezionale in merito alle modalità di attuazione di una direttiva (13) .

    59. La Corte ha inoltre ripetutamente statuito che «non è sempre richiesta una formale riproduzione delle disposizioni di una direttiva in una norma di legge espressa e specifica, posto che per la trasposizione di una direttiva può essere sufficiente, in base al suo contenuto, un contesto normativo generale. In particolare, l’esistenza di principi generali di diritto costituzionale o amministrativo può rendere superflua la trasposizione mediante provvedimenti legislativi o regolamentari ad hoc, a condizione tuttavia che tali principi garantiscano effettivamente la piena applicazione della direttiva da parte dell’amministrazione nazionale, che, nel caso in cui la disposizione in parola sia diretta a creare diritti per i singoli, la situazione giuridica risultante da tali principi sia sufficientemente precisa e chiara e che i beneficiari siano messi in grado di conoscere la pienezza dei loro diritti e, se del caso, di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali» (14) .

    60. È parimenti giurisprudenza consolidata che, nei procedimenti ai sensi dell’art. 226 CE, spetta alla Commissione provare che lo Stato membro è venuto meno ai propri obblighi, fornendo le informazioni necessarie alla Corte, che così non può fondarsi su alcuna presunzione (15) . Nella presente causa, la Commissione ha l’onere di provare che una legge quadro era l’unico mezzo per attuare efficacemente la direttiva 2000/60 nel diritto nazionale.

    61. A mio avviso la Commissione non è riuscita a fornire tale prova. Mentre ha fatto riferimenti generali agli obiettivi stabiliti nell’art. 1 e alle misure di attuazione adottate in altri Stati membri, essa non è riuscita ad addurre alcun argomento convincente nel senso che la direttiva 2000/60 richieda l’adozione di una legge quadro a livello nazionale al fine di essere pienamente efficace, con esclusione di qualsiasi altro mezzo di attuazione.

    62. Un obbligo in questo senso non può neppure essere dedotto dalla formulazione della direttiva 2000/60 in generale o dagli artt. 1 e 24 in particolare. La Commissione stessa ha ammesso all’udienza che l’art. 1 della direttiva non richiedeva attuazione. Come sottolineato dal Lussemburgo, l’art. 24 meramente impone agli Stati membri di adottare le misure «necessarie» per dare effetto alla direttiva, siano esse di natura legislativa, regolamentare o amministrativa. Tale disposizione non può essere interpretata nel senso di imporre un rigido obbligo di adottare un legge quadro.

    63. Aggiungo che, data la varia natura delle disposizioni della direttiva 2000/60, non mi è chiaro come e perché una legge quadro a livello nazionale costituirebbe un mezzo adeguato per trasporre le disposizioni della direttiva 2000/60 che impongono obblighi alle istituzioni comunitarie stesse o riguardano i rapporti tra gli Stati membri e la Commissione.

    64. Infine, osservo che la Commissione ha ammesso – in varie fasi del procedimento dinanzi alla Corte – che: a) la lettera del Lussemburgo del 24 agosto 2004 provava una corretta attuazione della maggior parte dei paragrafi dell’art. 3; b) il Lussemburgo si è conformato all’art. 7, n. 1 (16) ; c) gli artt. 18 e 19 della legge 1993 attuano correttamente l’art. 7, n. 3; e d) l’art. 1 non necessita di essere attuato nel diritto nazionale (e la Commissione ha di conseguenza ritirato le corrispondenti parti del suo ricorso iniziale). Logicamente, questo è difficile da conciliare con la tesi che «è indispensabile una legge quadro».

    65. Concludo pertanto che la Commissione non ha dimostrato la propria tesi che era richiesta una legge quadro a livello nazionale per attuare la direttiva 2000/60.

    – Compatibilità della legge 1993 con la direttiva 2000/60

    66. La Corte deve, tuttavia, esaminare anche gli argomenti proposti in via subordinata dalla Commissione in rapporto alla questione se la legge 1993 attui correttamente le disposizioni specifiche della direttiva 2000/60 o meno. Ricordo che, in un recente caso molto simile, lo Stato membro convenuto ha sostenuto unicamente nel controricorso dinanzi alla Corte che la direttiva in questione era già stata attuata dal diritto interno esistente. La Corte ha respinto la tesi della Commissione per cui il riferimento tardivo alle addotte disposizioni attuative non poteva sanare l’asserito inadempimento da parte dello Stato membro dell’obbligo di attuare la direttiva. Anzi, la Corte ha argomentato che «[a] tal riguardo, poiché le disposizioni di diritto interno fatte valere [dallo Stato membro convenuto] erano in vigore alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, esse devono essere prese in considerazione dalla Corte per valutare l’esistenza di tale inadempimento» (17) . Pertanto, per verificare il difetto di attuazione, la Corte ha proceduto ad una comparazione delle disposizioni della direttiva in questione con le misure nazionali con cui lo Stato membro convenuto riteneva di aver attuato la direttiva (18) .

    67. Analogamente, nella presente causa solo un confronto tra le disposizioni della legge 1993 ed i requisiti della direttiva dimostrerà se il Lussemburgo abbia o non abbia adempiuto al proprio obbligo di attuare la direttiva 2000/60.

    68. Detto ciò, a mio avviso la Corte dovrebbe limitare il suo esame alle disposizioni della direttiva menzionate dalla Commissione nella sua replica (cioè agli artt. 1, 2, 3, n. 4, 7, nn. 1 (19) e 2, e 14) e non dovrebbe considerare le ulteriori disposizioni della direttiva invocate dalla Commissione all’udienza.

    69. Ciò in quanto è solo in relazione alle disposizioni menzionate nella replica che la Commissione ha, come richiesto dalla giurisprudenza (20), fornito informazioni sufficienti a consentire alla Corte di stabilire se sia fondata o meno l’allegata mancata attuazione della direttiva 2000/60. Inoltre, al Lussemburgo non è stata data dovuta notifica delle censure della Commissione in relazione alle disposizioni della direttiva invocate solo all’udienza o un’adeguata opportunità di replicarvi. A mio avviso, l’esame di quelle censure da parte della Corte costituirebbe una violazione dei diritti della difesa del Lussemburgo e una mancata osservanza della ratio sottostante al procedimento di cui all’art. 226 CE (21) .

    70. Nella replica la Commissione ha avuto l’opportunità di esaminare in maniera completa in che misura la legge 1993 attuasse o meno la direttiva, ma ha utilizzato tale opportunità solo parzialmente.

    71. Fatte queste premesse, passo ad esaminare la compatibilità della legge 1993 con gli obblighi previsti dagli artt. 1, 2, 3, n. 4, 7, n. 2, e 14 della direttiva 2000/60.

    – Articolo 1

    72. La Commissione conferma che gli obiettivi generali stabiliti nell’art. 1 della direttiva 2000/60 sono più ampi di quelli perseguiti dalla legge 1993, che sono limitati alla lotta dell’inquinamento idrico e alla rigenerazione delle risorse idriche. Tuttavia, nel rispondere a un quesito della Corte all’udienza, la Commissione ha ammesso che l’art. 1 della direttiva 2000/60 non richiedeva di essere attuato nel diritto nazionale. Concludo pertanto che la Commissione ha rinunciato alla censura in relazione all’art. 1. Nel caso in cui la Corte ritenesse necessario esaminare ulteriormente la questione, osserverei solamente che il dettato dell’art. 2 della legge 1993, che descrive gli obiettivi della legge, è (come l’art. 1 della direttiva 2000/60) formulato in termini piuttosto generali e non quantificabili (22) . Potrebbe pertanto ricomprendere tutti gli obiettivi fissati dall’art. 1 della direttiva 2000/60 (23) . La censura della Commissione relativa all’art. 1 sarebbe pertanto in ogni caso infondata.

    – Articolo 2

    73. La Commissione osserva che la legge 1993 contiene solo alcune delle definizioni di cui all’art. 2 della direttiva 2000/60. In particolare, la Commissione si riferisce alle nozioni di «bacino idrografico», «buon potenziale ecologico» e «buono stato chimico», tutte assenti nella legge 1993.

    74. Il Lussemburgo non asserisce che la legge 1993 include tali definizioni. All’udienza, la sua difesa sembrava essere che i concetti definiti nell’art. 2 rilevano esclusivamente al fine di definire gli obblighi operativi che la direttiva impone agli Stati membri. In quanto tali essi non necessitano, perciò, di essere attuati.

    75. Non condivido tale affermazione. L’art. 2 non può essere letto isolatamente. Alcune delle definizioni dell’art. 2 fissano precisi standard di qualità idrica (24) che gli Stati membri devono raggiungere entro i termini stabiliti, in particolare, all’art. 4 (come regola generale, entro 15 anni dall’entrata in vigore della direttiva) (25) . L’art. 2, in combinato disposto con l’art. 4, impone quindi obblighi specifici agli Stati membri – ed eventualmente anche diritti ai singoli (ma la questione non deve essere decisa in questa sede) – i quali vanno adempiuti entro un tempo determinato.

    76. La Corte ha ripetutamente sostenuto che «[s]emplici prassi amministrative, per natura modificabili a piacimento dall’amministrazione e prive di adeguata pubblicità, non possono essere considerate valido adempimento degli obblighi del Trattato» (26) e che «le disposizioni di una direttiva devono essere attuate con efficacia cogente incontestabile, con la specificità, la precisione e la chiarezza necessarie per garantire pienamente la certezza del diritto, la quale esige che, qualora la direttiva miri ad attribuire diritti ai singoli, i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti» (27) .

    77. Contrariamente alla posizione sostenuta dal Lussemburgo, i termini per il raggiungimento degli standard fissati nell’art. 4 sono diversi dal termine generale di cui all’art. 24 per l’adozione delle misure necessarie per attuare la direttiva 2000/60. Non includendo le definizioni degli standard contenute nell’art. 2 o i termini entro cui tali standard devono essere raggiunti come stabilito dall’art. 4 (e non rendendo pertanto cogenti per le autorità nazionali competenti gli obblighi nascenti dall’art. 2, in combinato disposto con l’art. 4), la legge 1993 non soddisfa i requisiti della direttiva 2000/60.

    – Articolo 3, n. 4

    78. La Commissione ritiene che nessuna disposizione della legge 1993 attui correttamente l’art. 3, n. 4, della direttiva 2000/60, che impone agli Stati membri di coordinare tutte le misure pertinenti in tutti i distretti idrografici identificati.

    79. Il Lussemburgo ammette che sussiste un obbligo di coordinamento ai sensi dell’art. 3, n. 4. Sostiene, tuttavia, che non vi sono bacini idrografici nazionali nel Lussemburgo. Gli unici due distretti idrografici nel territorio del Lussemburgo ai fini della direttiva 2000/60 sono bacini idrografici internazionali, cioè il bacino idrografico del Reno e della Mosella e il bacino idrografico della Mosa. Nell’ambito della Commissione internazionale per la protezione del Reno (CIPR) è stato istituito un comitato di coordinamento ad hoc, in cui sono rappresentati tutti gli Stati membri interessati, con il compito specifico di dare effetto all’obbligo di coordinamento di cui alla direttiva 2000/60. In relazione alla Mosa, è stata specificamente creata una Commissione internazionale per la protezione della Mosa al fine, tra l’altro, di assicurare il coordinamento richiesto dalla direttiva 2000/60. Il Lussemburgo, a sostegno della sua tesi, ha allegato alla controreplica il testo del Comunicato della Conferenza dei ministri della CIPR del 29 gennaio 2001 e della Convenzione internazionale riguardante la Mosa del 3 dicembre 2002. Entrambi i testi fanno riferimento al fatto che le misure di coordinamento richieste dalla direttiva 2000/60 saranno adottate nell’ambito di tali organismi internazionali (28) .

    80. Concordo con il Lussemburgo sul fatto che gli obblighi sorgenti dall’art. 3, n. 4, variano secondo che il bacino idrografico sia nazionale o internazionale ai fini della direttiva. Nel caso di un distretto idrografico internazionale, l’art. 3, n. 4, dispone che «gli Stati membri interessati provved[a]no congiuntamente al coordinamento e poss[a]no avvalersi a tal fine di strutture esistenti risultanti da accordi internazionali». L’art. 3, n. 6, prevede inoltre che, ai fini della direttiva, gli Stati membri possano individuare quale autorità competente un organismo nazionale o internazionale esistente.

    81. La Commissione non ha contestato l’affermazione del Lussemburgo che i due soli distretti idrografici del Lussemburgo ai fini della direttiva sono bacini idrografici internazionali anziché nazionali.

    82. Dai documenti allegati dal Lussemburgo alla controreplica emerge che, come sostenuto dal Lussemburgo, il compito di assicurare il coordinamento delle misure relative all’attuazione dalla direttiva 2000/60 per quanto riguarda tali bacini idrografici internazionali è stato effettivamente affidato, da parte di tutti gli Stati membri interessati, a due organismi internazionali. Pertanto, il Lussemburgo, quale membro di tali organismi internazionali, ha adempiuto ai propri obblighi di cui all’art. 3, n. 4, della direttiva 2000/60 in relazione ai bacini idrografici nel suo territorio.

    83. Di conseguenza, concludo che la censura della Commissione relativa all’art. 3, n. 4, non è fondata.

    – Articolo 7, n. 2

    84. Secondo la Commissione nessuna disposizione della legge 1993 attua, neppure parzialmente, gli obblighi derivanti dall’art. 7, n. 2, che impone agli Stati membri il conseguimento di specifici standard di qualità per i corpi idrici per il consumo umano (29) .

    85. Il Lussemburgo non ha addotto alcuna difesa su questo punto.

    86. Come l’art. 2, in combinato disposto con l’art. 4, l’art. 7, n. 2, contiene un obbligo chiaro e preciso che può (eventualmente) attribuire diritti ai singoli. Secondo la giurisprudenza citata prima (30), il Lussemburgo avrebbe dovuto attuare tale disposizione con misure dotate di efficacia cogente nell’ordinamento giuridico nazionale entro il termine fissato dall’art. 24. Dato che la legge 1993 non contiene alcuna disposizione corrispondente all’art. 7, n. 2, e non è stata adottata alcun’altra misura di attuazione, il Lussemburgo non ha adempiuto al proprio obbligo di attuare l’art. 7, n. 2, della direttiva 2000/60.

    – Articolo 14

    87. Infine, la Commissione lamenta che l’obbligo di organizzare le procedure di informazione e consultazione pubblica volte a «[promuovere] la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all’attuazione della presente direttiva, in particolare all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici» contenuto nell’art. 14 della direttiva 2000/60 non trovi riscontro nella legge 1993.

    88. Il Lussemburgo non asserisce che la legge 1993 contenga una disposizione simile all’art. 14 della direttiva. Sostiene, tuttavia, che discende dall’art. 14, n. 1, in combinato disposto con l’art. 13 della direttiva 2000/60, che il termine per conformarsi agli obblighi di informazione del pubblico di cui all’art. 14 non è ancora scaduto.

    89. Il Lussemburgo ha ragione nell’affermare che, ai sensi dell’art. 13, n. 6, i piani di gestione dei bacini idrografici devono essere pubblicati entro nove anni dall’entrata in vigore della direttiva; e che, ai sensi dell’art. 14, n. 1, il pubblico deve essere informato e avere l’opportunità di fare osservazioni, secondo le misure, da uno a tre anni prima dell’inizio del periodo cui si riferisce il piano. Tuttavia, è altresì chiaro che l’art. 14 mira ad attribuire ai singoli e alle parti interessate un diritto ad essere attivamente coinvolti nell’attuazione della direttiva, «in particolare [ne]ll’elaborazione, [ne]l riesame e [ne]ll’aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici».

    90. Quando sono in gioco diritti individuali, gli Stati memb ri non devono solo adempiere gli obblighi generali attinenti all’attuazione delle direttive quali definiti dalla giurisprudenza (31) succitata, ma sono altresì richiesti di assicurare che la situazione giuridica risultante dall’attuazione sia «sufficientemente precisa e chiara e che i beneficiari siano messi in grado di conoscere la pienezza dei loro diritti e obblighi e, se del caso, di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali» (32) .

    91. Ritengo pertanto che, nella presente causa, le misure nazionali di attuazione avrebbero dovuto essere di natura tale da rendere il termine dell’art. 13, n. 6, giuridicamente vincolante per le competenti autorità nazionali e da consentire ai singoli di conoscere pienamente i loro diritti secondo le procedure di cui all’art. 14, n. 1.

    92. L’assenza di qualsiasi misura di attuazione non soddisfa, ovviamente, tali condizioni. Contrariamente a quanto sostenuto dal Lussemburgo, il fatto che i piani di gestione di bacini idrografici e le relative procedure di informazione debbano essere pubblicati e discussi con il pubblico solo in un momento indefinito nel futuro non fa venir meno l’obbligo degli Stati membri di predisporre una misura precisa, chiara e con efficacia cogente che assicuri l’adempimento di tali obblighi. In mancanza di una disposizione specifica che provveda diversamente, era applicabile il termine generale stabilito dall’art. 24.

    93. Concludo pertanto che, non avendo adottato le misure necessarie a livello nazionale per attuare l’art. 14 della direttiva 2000/60, il Lussemburgo è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono ai sensi della direttiva 2000/60.

    Spese

    94. Ai sensi dell’art. 69, n. 3, del proprio regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, la Corte può ripartire le spese. Questo è il caso nel presente procedimento, dove la Commissione risulta solo parzialmente vincitrice nel suo ricorso. Ritengo pertanto che ciascuna parte debba sopportare le proprie spese.

    Conclusione

    95. In considerazione di quanto sopra, sono dell’avviso che la Corte dovrebbe:

    1) dichiarare che

    – non avendo comunicato alla Commissione le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali di attuazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/60, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, ad eccezione dell’art. 3 della stessa, il Lussemburgo è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono ai sensi dell’art. 24 di tale direttiva;

    – non avendo adottato, entro il termine previsto, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali al fine di conformarsi agli artt. 2, 7, n. 2, e 14 della direttiva 2000/60, il Lussemburgo è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono ai sensi dell’art. 24 di tale direttiva;

    2) respingere il resto del ricorso;

    3) ordinare a ciascuna parte di sopportare le proprie spese.

    (1) .

    (2)  – Del 23 ottobre 2000 (GU L 237, pag. 1).

    (3)  – La portata del ricorso della Commissione è stata successivamente modificata nel corso del procedimento. V. infra, paragrafi 32-34 e 37.

    (4)  – Mém. 1993, 1302.

    (5) – Tale lettera era formulata in maniera generale ed informava semplicemente lo Stato membro interessato che era scaduto il termine per la trasposizione di una serie di direttive (elencate in un allegato tratto da un tabulato informatico), indicando che non erano state notificate misure di attuazione, per cui prima facie lo Stato membro in questione stava violando i propri obblighi ai sensi di quelle direttive, e invitando a formulare osservazioni.

    (6) – E pertanto la formulazione del petitum.

    (7)  – V., tra l’altro, sentenza 9 settembre 2004, causa C-113/03, Commissione/Francia (non pubblicata, punto 13 e giurisprudenza ivi citata).

    (8)  – V. sentenza 16 giugno 2005, causa C-456/03, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑5335, punti 33 e 34). V. anche infra, paragrafi 66-70.

    (9)  – Il Lussemburgo si riferisce al titolo della direttiva 2000/60 nella versione francese (recante «cadre pour une politique communautaire dans le domaine de l'eau»), che è lievemente diversa da quella inglese (recante « framework for a Community action in the field of water policy»). V. supra, paragrafo 1. La traduzione proposta nel testo è la mia traduzione dal francese.

    (10)  – V., ad esempio, gli artt. 4, n. 1, lett. a), sub ii) e iii), lett. b), sub ii), e lett. c), 8, n. 2, 10, n. 2, 11, nn. 7 e 8, 13, n. 6, e 16, n. 4.

    (11)  – Sentenza 18 giugno 2002, causa C-60/01, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑5679, punti 25‑29) .

    (12)  – Sentenze 20 novembre 2003, causa C-296/01, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑13909, punto 92), e 20 giugno 2003, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I‑6597, punti 19 e 20) .

    (13)  – V., tra l’altro, sentenze 7 maggio 2002, causa C-478/99, Commissione/Svezia (Racc. pag. I‑4147, punto 15), e 26 giugno 2003, causa C-233/00, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑6625, punto 75).

    (14)  – Sentenza Commissione/Italia, cit. alla nota 8, punto 51 e la giurisprudenza ivi citata.

    (15)  – V., tra l’altro, sentenza 29 aprile 2004, causa C-194/01, Commissione/Austria (Racc. pag. I‑4579, punti 34, con la giurisprudenza ivi citata, e 74).

    (16)  – V. supra, paragrafo 37.

    (17)  – Sentenza Commissione/Italia, cit. alla nota 8, punto 48 e giurisprudenza ivi citata. V. altresì supra, paragrafo 45.

    (18)  – Ibidem, punto 49.

    (19)  – Il motivo concernente l’art. 7, n. 1, è stato in seguito lasciato cadere all’udienza. V. supra, paragrafo 37.

    (20)  – V. supra, nota 14.

    (21) – A mio avviso, non si tratta di un caso in cui può propriamente dirsi che la Commissione sta cercando, nell’invocare all’udienza quegli ulteriori articoli della direttiva, di «precisare» le conclusioni al fine di tener conto delle informazioni fornite da uno Stato membro nel suo controricorso. Non rappresenta neppure l’introduzione di un nuovo motivo in corso di causa basato su elementi di diritto o di fatto emersi durante il procedimento, come consentito dall’art. 42, n. 2, del regolamento di procedura.

    (22)  – V. supra, paragrafo 21.

    (23) – In tal senso, il riferimento nell’art. 2 della legge 1993 ai requisiti necessari per «tutte le altre attività umane di interesse generale» mi sembra essere onnicompresivo.

    (24)  – V. supra, paragrafo 10.

    (25)  – V. art. 4, n. 1, lett. a), sub ii) e iii), lett. b), sub ii), e lett. c).

    (26)  – Sentenza 13 marzo 1997, causa C-197/96, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑1489, punto 14 e giurisprudenza ivi citata).

    (27)  – Sentenza 8 luglio 1999, causa C-354/98, Commissione/Francia (Racc. pag. I-4927, punto 11 e giurisprudenza ivi citata).

    (28)  – Per quanto riguarda la CIPR, v. pag. 13 della controreplica del Lussemburgo (nell’allegato 1) e gli artt. 1, 2 e 5 della Convenzione internazionale sulla Mosa.

    (29)  – Con riferimento alla censura della Commissione relativa all'art. 7, nn. 1 e 3, v. anche supra, paragrafi 33 e 37.

    (30)  – V. supra, nota 26.

    (31)  – V. supra, note 25 e 26.

    (32)  – V., tra l’altro, sentenza Commissione/Italia, cit. alla nota 8, punto 51 e giurisprudenza ivi citata.

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