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Document 62004CC0490

Conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 14 dicembre 2006.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania.
Ricorso per inadempimento - Ricevibilità - Art. 49 CE - Libera prestazione dei servizi - Distacco di lavoratori - Restrizioni - Versamento dei contributi alla cassa nazionale per le ferie retribuite - Traduzione di documenti - Dichiarazione riguardante il luogo di occupazione dei lavoratori distaccati.
Causa C-490/04.

Raccolta della Giurisprudenza 2007 I-06095

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2006:778

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER

presentate il 14 dicembre 2006 1(1)

Causa C-490/04

Commissione delle Comunità europee

contro

Repubblica federale di Germania

«Ricorso per inadempimento – Ricevibilità – Criteri di valutazione della conformità del diritto nazionale al diritto comunitario – Durata del procedimento precontenzioso – Chiarezza del ricorso – Concordanza tra il parere motivato ed il ricorso – Obbligo delle imprese che distaccano dipendenti in Germania di versare contributi alla cassa ferie, di tradurre i documenti e di indicare le occupazioni successive»





I –    Introduzione

1.        La Commissione delle Comunità europee ha proposto un ricorso a norma dell’art. 226 CE, in cui chiede alla Corte di giustizia di dichiarare che la Repubblica federale di Germania è venuta meno ai propri obblighi in forza dell’art. 49 CE, avendo stabilito che le imprese con sede in un altro Stato membro che distaccano lavoratori in Germania sono tenute a versare i contributi per le ferie alla cassa tedesca competente, salvo il caso in cui versino già tali contributi ad un «organismo analogo», e a fornire la traduzione di determinati documenti, e avendo altresì previsto che le imprese straniere di lavoro interinale debbano dichiarare ogni offerta di lavoro al dipendente e l’impiego affidato.

2.        Tuttavia, prima di esaminare se il diritto comunitario censuri tali obblighi, dobbiamo definire i pertinenti criteri di valutazione, tenendo conto della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 1996, 96/71/CE, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (2).

3.        Inoltre, la Repubblica federale di Germania eccepisce l’irricevibilità del ricorso, per mancanza di chiarezza e di concordanza con il parere motivato, nonché per la durata prolungata della fase amministrativa della causa.

II – Ambito normativo

A –    La normativa comunitaria

1.      Il Trattato CE

4.        A termini dell’art. 49 CE, primo comma, «le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione».

2.      La direttiva 96/71

5.        Allorché un’impresa, nell’esercizio di tale libertà fondamentale, distacca temporaneamente una parte del personale in un altro Stato membro (3), la coesistenza di ordinamenti giuridici diversi genera alcuni problemi specifici (4). In tale contesto si colloca la direttiva 96/71, che mira ad instaurare «un clima di leale concorrenza» e «misure che garantiscano il rispetto dei diritti» dei lavoratori (quinto ´considerando’) (5).

6.        L’art. 1, n. 1, limita il campo di applicazione della direttiva alle imprese stabilite in uno Stato membro che, nel quadro di una prestazione transnazionale di servizi e nel rispetto delle modalità stabilite al n. 3, distacchino lavoratori in un altro Stato membro: a) nell’ambito di un contratto concluso tra l’impresa che invia il lavoratore e il destinatario della prestazione; b) in uno stabilimento o impresa appartenente al gruppo, o c) , in quanto imprese di lavoro temporaneo o in quanto imprese che effettuano la cessione ad un’impresa utilizzatrice che opera nel territorio di un altro Stato membro.

7.        Dopo aver definito la nozione di «lavoratore distaccato» (art. 2) e previsto un nucleo di disposizioni minime in materia di condizioni di lavoro e di impiego (art. 3), la direttiva, all’art. 4, propone un sistema di «cooperazione in materia di informazione», nei seguenti termini:

«1.      Ai fini dell’attuazione della presente direttiva, gli Stati membri, secondo le legislazioni e/o prassi nazionali, designano uno o più uffici di collegamento o uno o più organismi nazionali competenti.

2. Gli Stati membri predispongono una cooperazione tra le amministrazioni pubbliche che, secondo la legislazione nazionale, sono competenti per la vigilanza sulle condizioni di lavoro e di occupazione di cui all’articolo 3. Tale cooperazione consiste, in particolare, nel rispondere alle richieste motivate di informazioni da parte di dette amministrazioni a proposito della cessione temporanea transnazionale di lavoratori, compresi gli abusi evidenti o presunti casi di attività transnazionali illegali.

La Commissione e le amministrazioni pubbliche di cui al primo comma collaborano strettamente per valutare le difficoltà che potrebbero eventualmente sorgere nell’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 10.

La reciproca assistenza amministrativa è fornita a titolo gratuito.

3.      Ogni Stato membro adotta provvedimenti idonei affinché le informazioni relative alle condizioni di lavoro e di occupazione di cui all’articolo 3 siano generalmente accessibili.

4. Ogni Stato membro comunica agli altri Stati e alla Commissione gli uffici di collegamento e/o gli organismi competenti di cui al paragrafo 1».

8.        La direttiva obbliga poi gli Stati membri ad adottare le misure adeguate in caso di inosservanza delle sue disposizioni (art. 5), determina la competenza giudiziaria (art. 6) e infine, all’art. 7, stabilisce un termine per la sua attuazione, indicando che:

«Gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva non oltre il 16 dicembre 1999. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

(…)».

9.        L’art. 8 disciplina la verifica da parte della Commissione (6) e l’art. 9 individua negli Stati membri i destinatari della direttiva.

B –    La normativa tedesca

10.      La mobilità dei lavoratori dipendenti è disciplinata in Germania dall’Arbeitnehmer-Entsendegesetz (legge sul distacco dei lavoratori; in prosieguo: l’«AEntG»), del 26 febbraio 1996 (7), che è entrato in vigore il 1° marzo 1996.

11.      L’art. 1, n. 1, estende, in determinate circostanze, al rapporto giuridico che lega il datore di lavoro stabilito in un altro paese ai suoi dipendenti, gli effetti delle clausole dei contratti collettivi con efficacia obbligatoria generale del settore edile che stabiliscono la retribuzione minima, la durata dei permessi e le ferie retribuite. A tenore del n. 3, devono inoltre essere osservate le disposizioni sul pagamento dei contributi per le ferie retribuite, salvo nel caso in cui tali contributi vengano versati ad un «organismo analogo» dello Stato di stabilimento dell’impresa.

12.      L’art. 2 prevede meccanismi di «controllo», come quello indicato al n. 3, che impone alle imprese straniere di produrre una copia in lingua tedesca dei documenti attestanti l’adempimento degli obblighi di cui all’art. 1: il contratto, le buste paga e le certificazioni dell’orario di lavoro e degli stipendi versati.

13.      L’art. 3, n. 2, obbliga le imprese straniere di lavoro interinale a trasmettere, prima dell’inizio di ciascuna opera, una dichiarazione, redatta in tedesco, recante le seguenti informazioni: nome, cognome e data di nascita dei dipendenti messi a disposizione; l’inizio e la fine della messa a disposizione della manodopera; il luogo di esecuzione del lavoro; un luogo, in Germania, ove sia reperibile la documentazione richiesta all’art. 2, n. 3; il nome di un mandatario in Germania; il nome e l’indirizzo dell’impresa che utilizza i lavoratori. Il contratto concluso tra l’impresa di lavoro interinale e l’impresa che riceve la manodopera può stipulare che vengano comunicati i cambiamenti che riguardano il luogo di occupazione.

III – Procedimento precontenzioso

14.      La Commissione, avendo ricevuto numerose denunce riguardanti l’AEntG, il 12 novembre 1998 inviava alla Repubblica federale di Germania una lettera di diffida, completata da un’altra missiva del 17 agosto 1999, alle quali tale Stato membro rispondeva con lettere dell’8 marzo, del 4 maggio e del 25 ottobre 1999.

15.      Non reputando soddisfacenti le spiegazioni fornite dallo Stato membro interessato, il 25 luglio 2001 la Commissione emetteva un parere motivato, invitando le autorità tedesche ad adottare le misure necessarie per conformarvisi nel termine di due mesi a decorrere dalla data di trasmissione del parere medesimo.

16.      Il governo tedesco formulava osservazioni, rispettivamente in data 1° ottobre 2001, 10 dicembre 2001, 3 febbraio 2003 e 4 dicembre 2003. Il 23 gennaio 2004, tale Stato membro informava la Commissione di aver emendato l’AEntG con il Drittes Gesetz für moderne Dienstleistungen am Arbeitsmarkt (terza legge sulla moderna prestazione dei servizi nel mercato del lavoro), del 23 dicembre 2003 (8).

17.      La Commissione, ritenendo che la detta riforma avesse eliminato solo alcune delle incompatibilità dell’AEntG con l’ordinamento comunitario, adiva la Corte di giustizia chiedendo una dichiarazione di inadempimento a norma dell’art. 226 CE.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

18.      Nel ricorso, pervenuto nella cancelleria della Corte il 29 novembre 2004, si chiede di dichiarare che la Repubblica federale di Germania ha violato gli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 49 CE, avendo stabilito che: a) le imprese straniere sono tenute a versare i contributi per le ferie alla cassa tedesca competente, anche nel caso in cui i lavoratori godano di una tutela analoga secondo la normativa dello Stato di stabilimento del datore di lavoro (art. 1 n. 3, AEntG); b) le imprese straniere sono tenute a far tradurre in tedesco il contratto di lavoro, le buste paga, i certificati attestanti l’orario di lavoro e gli stipendi versati, nonché qualsiasi altro documento eventualmente richiesto dalle autorità tedesche (art. 2 dell’AEntG); e c) le imprese straniere di lavoro interinale devono notificare non soltanto ogni messa a disposizione di un lavoratore ad un’impresa che intende impiegarlo in Germania, ma anche l’affidamento di ogni incarico (art. 3, n. 2, dell’AEntG) (9). La ricorrente chiede inoltre la condanna dello Stato convenuto alle spese.

19.      Nel controricorso, depositato il 4 febbraio 2005, il convenuto deduce che il ricorso è irricevibile e infondato.

20.      Il 29 marzo 2005 è stata presentata una replica ed il 17 maggio una controreplica.

21.      Con ordinanza 7 giugno 2005, il presidente della Corte ha autorizzato l’intervento della Francia, che ha depositato le sue memorie il 22 settembre 2005 a sostegno della difesa della Repubblica federale di Germania contro il secondo motivo di inadempimento. Sia la Commissione, il 28 novembre 2005, che la Repubblica federale di Germania, il 27 ottobre 2005, hanno formulato osservazioni in merito a tale intervento.

22.      All’udienza dell’8 novembre 2006, erano presenti i rappresentanti della Repubblica federale di Germania e della Commissione.

V –    Ricevibilità del ricorso per inadempimento

23.      Il governo convenuto sostiene che le disposizioni nazionali controverse dovrebbero essere esaminate alla luce della direttiva 96/71 e non già dell’art. 49 CE, mettendo così in dubbio l’ammissibilità delle pretese formulate dalla ricorrente (A). Inoltre, tale governo ha eccepito tre irregolarità di ordine procedurale che comporterebbero l’irricevibilità parziale o totale del ricorso: si tratta della durata del procedimento precontenzioso (B), della mancanza di precisione del ricorso (C) e della modifica del terzo motivo (D).

A –    Il criterio per la valutazione

24.      La direttiva 96/71 non era ancora stata approvata all’epoca in cui veniva avviato il procedimento amministrativo; tuttavia, quando è stato emesso il parere motivato, era già scaduto il termine per il recepimento della stessa negli ordinamenti nazionali. Il governo tedesco mette in evidenza tale successione cronologica per proporre una valutazione dell’AEntG alla luce della direttiva 96/71, e non dell’art. 49 CE, che sarebbe applicabile unicamente se, nella trasposizione della direttiva, gli Stati membri oltrepassassero il margine discrezionale che è loro concesso.

25.      La Commissione non replica con chiarezza a tale obiezione e cade anzi in contraddizione, poiché, al punto 1 del ricorso, per esempio, spiega che la verifica della compatibilità con il diritto comunitario dovrebbe fondarsi sul detto precetto del Trattato, mentre, quattro righe più avanti, si riferisce a tale disposizione e alla direttiva 91/76. Neppure all’udienza, nonostante gli fosse stata rivolta una domanda in proposito, l’agente della Commissione ha fornito spiegazioni sulla menzionata obiezione.

26.      Tale discussione invita a riflettere sulla normativa comunitaria di riferimento e sulle ripercussioni di una scelta sbagliata di tale normativa. In tal senso, se la discordanza fosse evidente, mancherebbe il presupposto giuridico essenziale per il ricorso e quest’ultimo sarebbe infondato; qualcosa di simile accadrebbe qualora si adducesse la violazione di una norma del diritto derivato che non era stata emanata nel momento in cui si sono verificati i fatti di causa; al di fuori di tali ipotesi, si deve però entrare nel merito della causa, senza esaminare l’irricevibilità.

27.      Nella controversia di specie, non è possibile respingere il ricorso in limine litis, poiché, al fine di accertare l’inadempimento, è opportuno riferirsi al Trattato e prescindere dalla direttiva 96/71, che non attua in maniera esaustiva il contenuto dell’art. 49 CE; infatti, da un lato, il tredicesimo ‘considerando’ della direttiva esprime l’intento di coordinare le legislazioni degli Stati membri per definire un nucleo di norme vincolanti ai fini della protezione minima cui deve attenersi nel paese ospite il datore di lavoro che distacca dipendenti (10); e dall’altro, l’art. 5 concede alle autorità nazionali un ampio margine discrezionale, a condizione che rispettino le libertà fondamentali (11).

28.      Così, una normativa nazionale in materia di prestazioni di lavoro transnazionali può violare tanto il diritto primario quanto quello derivato. Qualora violi la direttiva, è esclusa l’applicazione del Trattato, anche se, essendo quest’ultimo la fonte di ispirazione della direttiva, ogni violazione della direttiva implica necessariamente anche una violazione del Trattato. Tuttavia, qualora una normativa nazionale violi direttamente il Trattato, eludendo la norma specifica della direttiva che lo attua, l’unico riferimento possibile è proprio il Trattato.

29.      Pertanto, la disposizione di cui trattasi indicata nel ricorso, è valida, giacché le censure formulate eccedono la portata della direttiva 96/71, risultando perciò ininfluente la circostanza che il parere motivato sia stato emesso dopo che era scaduto il termine per la trasposizione della direttiva, ferma restando la possibilità che quest’ultima acquisti rilevanza in ambiti connessi tra loro o come criterio interpretativo.

B –    La durata del procedimento precontenzioso

30.      La Germania sostiene che erano trascorsi i termini per adire la Corte di giustizia, poiché, avendo avviato il procedimento amministrativa nell’anno 1998, il ricorso è stato proposto il 23 novembre 2004; così facendo sarebbero stati violati i principi di legittimo affidamento e di certezza del diritto; inoltre, nel 2001, la Corte di giustizia ha verificato la compatibilità dell’AEntG con il diritto comunitario.

31.      La Commissione obietta che lo stesso convenuto ha lasciato credere che, con gli emendamenti in programma, le incompatibilità sarebbero state eliminate.

32.      Sebbene la fase amministrativa del ricorso a norma dell’art. 226 CE si sia protratta per oltre sei anni, esistono diversi argomenti in grado di respingere l’obiezione fatta valere.

33.      In primo luogo, la giurisprudenza ha affermato che la durata eccessiva di questa fase amministrativa può condurre all’irricevibilità solo nel caso in cui il comportamento della Commissione abbia reso difficile confutare i suoi argomenti, pregiudicando così i diritti della difesa, e che spetta allo Stato membro interessato «addurre la prova di un’incidenza siffatta» (12). In questa occasione, il governo tedesco non ha dimostrato in alcun modo una menomazione delle sue capacità di difesa.

34.      In secondo luogo, il ricorso per inadempimento si fonda sulla constatazione oggettiva dell’inosservanza di un obbligo sancito dal Trattato o dal diritto derivato (13); l’ammissione del legittimo affidamento come giustificazione della detta violazione contrasterebbe con l’obiettivo perseguito dall’art. 226 CE (14). Lo stesso dicasi per la certezza del diritto (15). In mancanza di una decisione che sospenda l’esecuzione della regola controversa, gli interessati sono tenuti a conformarvisi, anche nel corso della causa.

35.      In terzo luogo, nonostante il fatto che la compatibilità dell’AEntG con l’ordinamento giuridico dell’Unione sia stata già verificata nell’ambito delle sentenze 25 ottobre 2001, Finalarte e a. (16), 24 gennaio 2002, Portugaia Construções (17), 12 ottobre 2004, Wolf & Müller (18), e 14 aprile 2005, Commissione/Germania (19), tali cause vertevano su aspetti diversi da quelli di cui si discute nella presente causa, sebbene vi siano alcuni punti in comune:

–        la sentenza Finalarte e a. presenta un collegamento importante con uno dei motivi dedotti nel presente ricorso per inadempimento, in quanto anche in quel caso la Corte si è pronunciata sul regime tedesco di ferie retribuite, concludendo che l’estensione della normativa alle prestazioni di servizi transnazionali è compatibile con il Trattato purché concorrano due condizioni (20). Tuttavia, nel ricorso in esame, la Commissione nega che sussistano tali condizioni;

–        la sentenza Portugaia Construções ha esaminato la questione delle retribuzioni minime dei lavoratori distaccati;

–        analogamente, la sentenza Wolf & Müller ha affrontato la questione delle retribuzioni, e, in particolare, del soggetto tenuto al pagamento, interpretando l’art. 5 della direttiva 96/71 alla luce dell’art. 49 CE;

–        infine, la sentenza Commissione/Germania, successiva alla presentazione del ricorso in esame, ha constatato la mancata attuazione dell’art. 3 della direttiva 96/71 con riguardo agli elementi che integrano il salario.

36.      In quarto luogo, dopo che, nel 2001, era stato emesso il parere motivato, alla fine del 2003 la legge tedesca è stata modificata, per cui non si può certo censurare la Commissione per aver esaminato le modifiche prima di presentare il ricorso, nel novembre 2004.

37.      Le precedenti considerazioni confutano i criteri invocati dalla Germania per valutare la ragionevolezza dei termini che come indica la Commissione, si applicano nelle cause in materia di concorrenza (21) e in quelle di competenza del Tribunale di primo grado (22).

C –    La precisione del ricorso

38.      Il governo tedesco chiede inoltre che venga dichiarato irricevibile il ricorso per mancanza di precisione, giacché si limiterebbe ad esporre in astratto una serie di circostanze giuridiche senza tuttavia riportare alcun esempio concreto di distacco di lavoratori dal quale risulti l’incompatibilità dell’AEntG con l’art. 49 CE.

39.      La Commissione sottolinea l’importanza del petitum e replica che la causa in questione non è sorta sulla base del reclamo di un lavoratore o di un’impresa, né di prassi giudiziarie o amministrative, ma ha all’origine la non conformità dell’ordinamento giuridico nazionale con quello comunitario.

40.      L’art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura della Corte di giustizia (23) stabilisce che il ricorso deve indicare «l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi». Tale indicazione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e alla Corte di esercitare il suo controllo. Ne discende che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali un ricorso si basa «devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso stesso» (24).

41.      Nella specie, i suddetti requisiti sussistono. La Commissione ha articolato il ricorso in quattro parti: la prima, dedicata ai fatti ed al procedimento precontenzioso, riporta le formalità espletate e identifica i cinque punti contestati nel parere motivato; nella seconda parte, vengono precisate le pertinenti disposizioni comunitarie e nazionali; la terza parte, che contiene la valutazione giuridica, comincia con una premessa sulla riforma della legge nazionale controversa, per poi commentare i singoli motivi di inadempimento, confutando le osservazioni esposte durante la fase amministrativa; la quarta parte contiene le conclusioni, coerenti con le parti precedenti del ricorso, che censurano singolarmente gli artt. 1, n. 3, 2 e 3, n. 2, dell’AEntG poiché contrari all’art. 49 CE.

42.      La Corte di giustizia conosce perfettamente le censure ed i loro fondamenti, al pari dello Stato convenuto, che le ha respinte; tuttavia la semplice descrizione degli argomenti di fatto e di diritto non deve essere confusa con la veridicità e la correttezza degli stessi.

43.      La produzione di elementi di prova di natura specifica risulta necessaria quando l’inadempimento deriva dall’applicazione di una disposizione nazionale, non quando si fonda sul contenuto della disposizione medesima; perciò soltanto il primo caso richiederebbe la prova documentata e circostanziata della prassi censurata (25).

44.      Di conseguenza, nel presente ricorso l’eccezione di irricevibilità sollevata non può essere accolta.

D –    Sulla modifica del primo motivo

45.      La Germania eccepisce un altro vizio di forma del primo motivo di ricorso, poiché la censura esposta nel parere motivato non coinciderebbe con quella formulata nel ricorso. La Commissione nega un’alterazione in tal senso, poiché le differenze tra i due atti deriverebbero da una precisazione d quanto fatto valere nella fase amministrativa.

46.      La Corte di giustizia ha più volte ricordato che l’ oggetto di un ricorso proposto ai sensi dell’ art. 226 CE è determinato dalla fase amministrativa precontenziosa, talché il ricorso ed il parere motivato devono essere basati sui medesimi motivi e mezzi (26), anche ove non vi sia una perfetta coincidenza tra l’esposizione degli addebiti nella lettera di diffida, il dispositivo del parere motivato e le conclusioni del ricorso, purché l’oggetto della controversia non sia stato ampliato o modificato (27).

47.      Per poter constatare una qualsiasi deviazione e determinarne la portata occorre operare un confronto tra il documento amministrativo ed il ricorso giurisdizionale:

–        il parere motivato prende in esame «l’obbligo di versare i contributi per le ferie retribuite alla cassa tedesca», concludendo che esso viola l’art. 49 CE, poiché impone tale onere alle imprese straniere che continuano ad essere assoggettate all’obbligo di pagare direttamente le ferie ai loro dipendenti nello Stato di stabilimento.

–        Il ricorso formula tale censura allo stesso modo, ma aggiunge che la violazione deriva dall’obbligo incombente alle imprese straniere di versare i contributi all’ente tedesco, anche quando i lavoratori godono di una tutela equivalente conformemente alla legislazione applicabile nello Stato membro di stabilimento del datore di lavoro.

48.      Il confronto tra i due documenti mostra alcune differenze, ma non prova che siano stati articolati motivi diversi, in quanto i termini del motivo in discussione, uguali in ambedue i testi, evidenziano che, secondo la Commissione, l’art. 1, n. 3, dell’AEntG fa sì che le imprese che non versano i contributi ad un ente analogo alla cassa tedesca debbano effettuare più di un versamento, in denaro o in natura.

49.      Si discute, perciò, e in tal senso lo ha inteso il convenuto, se la normativa nazionale comporti un duplice onere economico per chi distacca manodopera nell’ambito di una prestazione transnazionale. Le sfumature con cui viene descritto il motivo servono a completare quest’ultimo, senza tuttavia alterarne il contenuto o pregiudicare i diritti di difesa.

50.      Inoltre, individuo una ragione supplementare a favore della precisazione; infatti, dopo l’emissione del parere motivato, è stata pronunciata la sentenza Finalarte e a., richiamata nel ricorso, in particolare nelle conclusioni del medesimo.

51.      Di conseguenza, le differenze di carattere formale censurate tra i testi del parere motivato e del ricorso, non costituiscono una ragione sufficiente per comportare l’irricevibilità.

VI – Analisi del ricorso di inadempimento

52.      Se, come suggerisco, la Corte di giustizia decidesse di respingere i motivi di irricevibilità dedotti dal governo tedesco, dovremmo passare all’esame degli addebiti contestati.

A –    Osservazioni preliminari

53.      Gli obblighi sanciti dall’AEntG comportano oneri supplementari a carico delle imprese stabilite in un altro Stato membro, ciò che ostacola l’esercizio delle attività lavorative da parte di queste ultime in Germania e riduce l’interesse nel medesimo, causando restrizioni alla libera prestazione dei servizi.

54.      Nelle mie conclusioni relative alla causa in cui è stata pronunciata la sentenza 23 novembre 1999, Arblade e a. (28), richiamo la giurisprudenza relativa a tali restrizioni (paragrafi 53‑60), che rimane immutata, pur con le debite puntualizzazioni che ciascun caso richiede.

55.      Sottolineo poi che la libera prestazione dei servizi mira a facilitare l’esercizio di attività professionali di ogni genere nel territorio della Comunità, attraverso l’eliminazione di qualsiasi discriminazione a causa della nazionalità e delle restrizioni che, anche qualora si applichino indistintamente ai prestatori di servizi nazionali ed a quelli degli altri Stati membri, sono tali da vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività prestate da questi ultimi (29).

56.      Spiego inoltre che le limitazioni di tale libertà fondamentale possono essere giustificate qualora sussistano le seguenti condizioni: a) che tali limitazioni siano dettate da un motivo imperativo di interesse generale; b) che siano obiettivamente necessarie a garantire la realizzazione dell’obiettivo che perseguono, e c) che il provvedimento adottato sia proporzionato (30).

57.      Quanto alla prima condizione, è stato stabilito che «la tutela sociale dei lavoratori» rientra fra i motivi imperativi di interesse generale (31), anche qualora tale interesse non venga salvaguardato dalle norme cui è soggetto il cittadino comunitario nello Stato di stabilimento (32).

58.      Tali premesse forniscono un quadro interpretativo dei tre motivi di inadempimento.

B –    Primo motivo: l’obbligo di versare contributi alla cassa ferie tedesca

1.      Impostazione

59.      Per capire meglio la controversia tra la Commissione e la Repubblica federale di Germania su tale argomento, è consigliabile soffermarsi sul sistema della cassa per le ferie retribuite.

60.      Come spiega l’avvocato generale Mischo nelle conclusioni relative alla causa in cui è stata pronunciata la sentenza Finalarte e a., tale sistema presuppone che il lavoratore cumuli durante l’anno di riferimento i diritti alle ferie acquisiti lavorando per diversi datori di lavoro e li eserciti tutti in una sola volta nei confronti dell’ultimo datore di lavoro, che gli versa un’indennità per i giorni di ferie maturati nel corso degli altri rapporti di lavoro. Con l’intenzione di ripartire equamente gli oneri finanziari, è stata istituita la cassa, alla quale i datori di lavoro tedeschi versano una percentuale degli stipendi lordi e in contropartita acquistano il diritto al rimborso integrale o parziale delle prestazioni erogate ai lavoratori.

61.      L’art. 1, n. 3, dell’AEntG estende tale obbligo di contribuzione alle imprese di altri Stati membri che distaccano temporaneamente lavoratori in Germania, tranne nel caso in cui versino i contributi ad un organismo analogo dello Stato membro di stabilimento.

62.      Siffatta regola, secondo la sentenza Finalarte e a., arreca un «pregiudizio alla libera prestazione dei servizi» (punto 37), che può essere giustificato qualora sia necessario per perseguire efficacemente un obiettivo d’interesse generale, come la tutela dei lavoratori (punto 33), e sempreché si utilizzino mezzi appropriati. La riflessione sui due requisiti ha indotto la Corte di giustizia a dichiarare una legge come quella tedesca compatibile con il Trattato «a condizione che, da una parte, i lavoratori non beneficino di una tutela sostanzialmente equivalente in forza della normativa dello Stato membro in cui ha sede il loro datore di lavoro, di modo che l’applicazione della normativa nazionale del primo Stato membro attribuisca loro un effettivo vantaggio che contribuisce (…), alla loro tutela sociale, e, dall’altra, che l’applicazione di tale normativa del primo Stato membro sia proporzionata all’obiettivo di interesse generale perseguito» (punto 53 e dispositivo).

63.      Quindi, la sentenza Finalarte e a. ha subordinato a due condizioni la compatibilità della detta misura con il diritto comunitario – unicità della tutela e proporzionalità –, affidandone la valutazione al giudice del rinvio. Nella specie, la Commissione non constata la sussistenza delle dette condizioni, e pertanto denuncia le restrizioni imposte dalla normativa tedesca ai fini del pagamento dei contributi per ferie.

2.      Analisi del motivo

64.      La cassa ferie risponde ad un problema inerente alle prestazioni di lavoro. Secondo le informazioni fornite dal governo tedesco, riportate nel parere motivato, organismi analoghi sono stati istituiti in Francia (Caisse Nationale de Surcompensation du Bâtiment et des Travaux Publics de France), in Austria (Bauarbeiter-Urlaubs- und Abfertigungskasse), in Belgio (Office National de Sécurité Sociale), in Italia (Commissione Nazionale Paritetica per le Casse Edili), e, in un certo senso, nei Paesi Bassi (Stichting Vakantiefonds voor de Bouwnijverheid y Stichting Vakantiefonds voor de Landbouw) (33).

65.      L’eccezione contenuta nell’art. 1 n. 3, dell’AentG spiega interamente i suoi effetti con riguardo a tali enti, poiché impedisce che il datore di lavoro venga assoggettato a doppia contribuzione, risultando pertanto equilibrata. Questo almeno in teoria, giacché in pratica occorre verificare se gli enti ai quali vengono versati i contributi siano «analoghi» alla cassa tedesca, verifica per la quale sono di aiuto gli accordi bilaterali menzionati, soprattutto, nel controricorso.

66.      Tuttavia, le casse ferie non costituiscono l’unica soluzione del suindicato problema; di fatto, alcuni Stati membri non conoscono tali enti, come avviene per il Regno Unito, la Svezia, l’Irlanda, il Portogallo e, in certa misura, i Paesi Bassi. Come spiega la Commissione, in taluni casi la tutela del lavoratore non si esplica attraverso le contribuzioni ma con l’assunzione diretta degli obblighi inerenti alle ferie da parte del datore di lavoro.

67.      Esula dall’ambito del presente ricorso per inadempimento l’analisi delle soluzioni possibili e la valutazione di quale tra queste si mostri più vantaggiosa, il che dipende dalla situazione specifica di ciascun paese e da elementi di altra natura, non necessariamente giuridica – lo stesso ricorso non vuole mettere in discussione il sistema tedesco –. Possiamo osservare che esistono varie opzioni al riguardo (34).

68.      Il sistema tedesco ne ammette una sola, senza considerare le altre. Non dice nulla circa la tutela elargita ai lavoratori allorché il datore di lavoro si fa carico, nel paese di stabilimento, degli obblighi inerenti alle ferie retribuite, indipendentemente dal luogo in cui siano state maturate; non è plausibile, al riguardo, la spiegazione data dal rappresentante del governo tedesco all’udienza, secondo cui le imprese stabilite in paesi che non hanno istituito una cassa ferie sarebbero comunque esentate dal pagamento dei contributi, giacché la lettera della disposizione nazionale dice esattamente il contrario. Il detto criterio, pertanto, risulta insufficiente, a prescindere dal modo in cui viene applicato; infatti, esso si basa esclusivamente sulla partecipazione ad un fondo parallelo a quello nazionale, imponendo un indebito onere supplementare, qualora la cassa dello Stato membro in cui è stabilita l’impresa prestatrice dei servizi non sia paragonabile a quella tedesca, senza per questo rinforzare i diritti dei lavoratori distaccati, già tutelati nel paese di origine (35).

69.      Il governo tedesco giustifica la disposizione allegando che l’applicazione dell’art. 1, n. 3, dell’AEntG è subordinata ad una previa valutazione della tutela elargita ai lavoratori, sicché entrerebbe in gioco soltanto qualora si riscontrasse un deficit in tal senso, come si deduce dagli accordi bilaterali sottoscritti dalla Germania e dalla sentenza 20 luglio 2004 del Bundesarbeitsgericht (tribunale federale del lavoro).

70.      Non condivido tale giustificazione. La dichiarazione della Corte di giustizia secondo cui la tutela dei lavoratori implica una prima valutazione volta a individuare le norme più vantaggiose non è un ostacolo per determinarle successivamente. Il confronto tra due regimi rispetto ai periodi massimi di lavoro e minimi di riposo, alla durata minima delle ferie retribuite, alle tariffe minime salariali o alle misure di previdenza e di igiene fa pendere il piatto della bilancia (36).

71.      La tesi della Germania presuppone che, qualora la sua legislazione garantisca ad un lavoratore comunitario distaccato migliori aspettative circa le ferie retribuite – e non soltanto rispetto alla durata delle stesse –, essa regolerà l’intero regime delle ferie, di guisa che il datore di lavoro dovrà pagare i contributi, a meno che li abbia già versati ad un «organismo analogo», rimanendo esclusa qualsiasi altra controprestazione, con il rischio di una duplice contribuzione.

72.      Tuttavia, da un lato, la previsione di un mutuo riconoscimento all’interno di accordi bilaterali subordina la conformità al diritto comunitario alla loro esistenza ed al loro contenuto, senza considerare il fatto che, mettendo a confronto i vari «organismi», non si tiene conto di altre ipotesi, come ad esempio il caso in cui tali organismi non vi siano in alcuno Stato.

73.      Dall’altro lato, il Bundesarbeitsgericht ha esteso a tale materia il principio della «disposizione più favorevole» per evitare un’incompatibilità che, di fatto, viene presunta, giacché non sempre il precetto considerato avrebbe richiesto un’interpretazione giurisprudenziale. Si tratta dell’ipotesi opposta rispetto a quella che è stata oggetto della sentenza 9 dicembre 2003, Commissione/Italia (37), ove la Corte ha rilevato la neutralità della disposizione nazionale contestata, individuando uno sviamento nella forma in cui essa veniva interpretata e applicata dall’amministrazione e da un settore considerevole degli organi giurisdizionali, compresi i giudici della Corte suprema di cassazione. Nel presente ricorso, la Commissione contesta alla Germania la non conformità con l’ordinamento comunitario della normativa nazionale oggettivamente considerata, indipendentemente dal modo in cui viene applicata. Il confronto letterale con il testo delle disposizioni di riferimento è di per sé sufficiente per dimostrare l’inadempimento contestato.

74.      Di conseguenza, ritengo che l’art. 1, n. 3, dell’AEntG, sia contrario all’art. 49 CE.

C –    Secondo motivo: l’obbligo di tradurre i documenti

1.      Impostazione

75.      Dall’art. 2, n. 3, dell’AEntG si evince che, quando un’impresa distacca lavoratori in Germania, deve far tradurre in lingua tedesca una serie di documenti, come il contratto di lavoro, le buste paga e le certificazioni dell’orario di lavoro e del pagamento degli stipendi.

76.      La Commissione ribadisce che tale obbligo comporta una restrizione ingiustificata della libera prestazione dei servizi, in quanto, se, a tenore della sentenza Arblade e a., l’obbligo di conservare i documenti presso lo Stato ospitante non trova fondamento nella funzione di controllo che spetta alle autorità, nemmeno l’obbligo di tradurli può essere giustificato su tali basi. Inoltre, la detta istituzione considera la disposizione controversa eccessiva e sproporzionata, giacché la cooperazione stabilita dall’art. 4 della direttiva 96/71 rende superflua la trascrizione.

77.      Per la Germania e la Francia, tale limitazione è legittima, poiché consente di verificare l’osservanza della legislazione in materia di lavoro, che garantisce la tutela dei lavoratori. La sentenza invocata dalla Commissione non deve essere estrapolata dal suo contesto, data la portata ridotta della misura controversa nella presente causa, poiché, in considerazione dell’esiguo numero dei documenti interessati, della loro brevità e ripetizione, risulta proporzionata, in quanto non comporta gravosi oneri amministrativi o finanziari. Del resto, il regime di cooperazione istituito dalla direttiva 96/71, convive con l’ordinamento nazionale, poiché le autorità degli Stati membri non possiedono i documenti richiesti e non possono fornirli alle autorità tedesche.

2.      Analisi del motivo di ricorso

78.      Le precedenti osservazioni indicano che le parti concordano sul fatto che il detto obbligo di traduzione costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi e che le divergenze riguardano la sua compatibilità con il diritto comunitario. Tale polemica richiede uno studio della sentenza Arblade e a. (a), nonché dei meccanismi di reciproca assistenza istituiti dalla direttiva 96/71 (b), al fine di proporre una soluzione che miri a garantire la tutela dei lavoratori (c).

a)      La sentenza Arblade e a.

79.      Tale sentenza è stata resa in risposta ad alcune questioni pregiudiziali del Tribunal correctionnel (tribunale penale di primo grado) di Huy (Belgio) riguardanti le «modalità di tenuta e conservazione dei documenti sociali» (punti 71-79). Tra gli argomenti trattati figurava l’obbligo, per un datore di lavoro stabilito in un altro Stato membro, di tenere determinati documenti a disposizione delle autorità dello Stato membro ospitante presso il cantiere, o, quanto meno, in un luogo accessibile e chiaramente identificato del territorio di tale Stato membro. La Corte ha ritenuto che il detto obbligo fosse giustificato (punto 74) ed ha stabilito che, in merito alla proporzionalità, spettava al giudice nazionale valutare quali documenti dovessero essere oggetto di un obbligo del genere (punto 75).

80.      La Corte si è inoltre pronunciata sull’obbligo di tenere i documenti a disposizione e di conservarli per cinque anni presso il domicilio di una persona fisica nello Stato membro ospitante. In linea con quanto da me suggerito al paragrafo 86 delle conclusioni relative a tale causa, la Corte di giustizia ha concluso che «esigenze del genere non [erano] giustificate» (punti 77 e 78), ed ha poi aggiunto che «il sistema organizzato di cooperazione o di scambio di informazioni fra Stati membri previsto dall’art. 4 della direttiva 96/71 renderà prossimamente superflua la conservazione dei documenti nello Stato membro ospitante dopo che il datore di lavoro ha cessato di occuparvi lavoratori» (punto 79).

b)      La cooperazione ai sensi della direttiva 96/71

81.      Si deve anzitutto ricordare che la direttiva 96/71 non rientra tra i parametri di valutazione utilizzati nel presente ricorso per violazione dell’art. 49 CE; essa infatti copre solo la verifica delle condizioni che giustificano una limitazione della libera prestazione dei servizi derivante dall’obbligo di tradurre in tedesco determinati documenti di lavoro.

82.      L’art. 4 delinea due canali di cooperazione nell’ambito dello scambio di informazioni, annunciati nei ‘considerando’ ventitreesimo (tra gli Stati membri) e ventiquattresimo (tra gli Stati membri e la Commissione). Il testo di tale disposizione indica che la cooperazione così introdotta:

–        ha ad oggetto l’attuazione della direttiva;

–        opera a livello delle amministrazioni pubbliche competenti per la vigilanza sulle condizioni di lavoro;

–        consiste nel rispondere alle richieste di informazioni sulla cessione temporanea transnazionale di lavoratori e sulle condizioni di lavoro e di occupazione di cui all’art. 3;

–        opera attraverso uffici di collegamento o organismi competenti in comunicazione tra loro.

c)      Soluzione proposta

83.      La sentenza Arblade e a. ha esaminato la conservazione di documenti, mentre la questione che ci occupa si incentra piuttosto sulla lingua di redazione degli stessi. Tale sfumatura ci impedisce di importare la dottrina di tale sentenza, che è estranea a qualsiasi considerazione di carattere linguistico.

84.      Alla luce di tale premessa, è evidente che, qualora un documento non fosse disponibile in lingua tedesca, sarebbe più difficile per gli ispettori svolgere le loro funzioni, poiché, come ha segnalato all’udienza il rappresentante del governo convenuto, essi non hanno accesso diretto alle informazioni. La redazione nella lingua del paese in cui viene prestato il servizio agevola i controlli e contribuisce alla tutela dei lavoratori (38). La regola della traduzione è pertanto giustificata.

85.      Tale misura, risulta inoltre proporzionata ed appropriata, poiché gli inconvenienti che si creerebbero qualora lo Stato dovesse farsi carico della traduzione supererebbero gli inconvenienti causati al datore di lavoro dal medesimo obbligo. In effetti, nel primo caso, le autorità nazionali dovrebbero predisporre i mezzi necessari per affrontare i trasferimenti da qualsiasi altro Stato membro, ciò che potrebbe comportare ritardi tali da pregiudicare i diritti dei lavoratori (39) e le funzioni di controllo, che dipenderebbero dalle conoscenze linguistiche dei funzionari. Nel secondo caso, tale operazione non comporterebbe oneri smisurati, in quanto riguarda tre documenti, alquanto ripetitivi, che generalmente contengono dati equivalenti in tutte le lingue, vengono redatti su moduli-tipo e sono di media lunghezza (40); secondo le indicazioni fornite dal rappresentante tedesco durante l’udienza, non è necessaria una traduzione ufficiale.

86.      Senza dubbio, esisterebbero alcune alternative, come predisporre documenti multilingue (41). Tuttavia, fino ad oggi, non sono stati adottati strumenti normativi in proposito (42). Alla mancanza di tali strumenti, alla luce di quanto esposto al paragrafo precedente, non si può ovviare attribuendo l’onere di provvedere alla traduzione allo Stato che riceve i lavoratori.

87.      Tuttavia, i meccanismi di cooperazione previsti dalla direttiva 96/71 risultano insufficienti al fine di sostituire il detto obbligo di traduzione con una medesima garanzia di efficacia (43). Gli obiettivi e i soggetti responsabili di tali meccanismi sono diversi, compatibili con la detta esigenza ma non alternativi. Appoggio la tesi della Germania e della Francia secondo cui le autorità nazionali competenti in materia di lavoro non sarebbero in grado di trasmettere i documenti tradotti, poiché non dispongono di tali documenti (44).

88.      In altri termini, dissento dalla censura della Commissione relativa ad un obbligo generale di traduzione, ammettendone l’utilità solo in casi concerti, poiché: a) la mancata trasmissione di tali documenti nella lingua del paese ospitante esclude, di fatto, i controlli preventivi e a sorpresa; b) è fonte di maggior incertezza giuridica per il datore di lavoro, e c) causa ritardi nella tutela dei diritti dei lavoratori.

89.      In sintesi, l’art. 2, n. 3, dell’AEntG è conforme all’art. 49 CE.

D –    Terzo motivo: l’obbligo di indicare il posto di lavoro

1.      Impostazione

90.      L’art. 3, n. 2, dell’AEntG richiede alle imprese straniere di lavoro interinale di presentare una dichiarazione relativa al personale distaccato prima di iniziare una prestazione, e altresì di comunicare i cambiamenti del posto di lavoro, sebbene quest’ultimo obbligo possa essere trasferito, mediante accordo, sul soggetto che riceve il lavoratore.

91.      La Commissione sottolinea che le imprese tedesche di lavoro interinale sono esentate da tale obbligo di comunicazione, motivo per cui la prestazione transnazionale di servizi viene resa più difficile. Essa spiega che nessuna ragione può giustificare tale disparità di trattamento, la quale non viene eliminata neppure con la possibilità di trasferimento.

92.      Il governo tedesco afferma la compatibilità di tale regola con la direttiva 96/71, che autorizza ad adottare disposizioni particolari per le imprese di lavoro interinale, e con l’art. 49 CE, in quanto essa facilita l’esecuzione di controlli efficaci e contribuisce ad una migliore tutela dei lavoratori, senza comportare costi eccessivi. Esso richiama inoltre l’attenzione sul fatto che è in corso una riforma legislativa, diretta a far sì che il detto onere ricada sempre sul soggetto che impiega il lavoratore.

2.      Analisi del motivo

93.      Nonostante quanto ha affermato il rappresentante tedesco all’udienza, non viene messo in discussione l’obbligo di notificare i posti di lavoro occupati, bensì il soggetto sul quale grava il relativo onere. Orbene, l’art. 3, n. 2, dell’AEntG si applica soltanto ai prestatori di servizi comunitari non stabiliti in Germania, per cui viene a crearsi una disuguaglianza tra questi ultimi e i prestatori di servizi residenti in Germania.

94.      La Corte di giustizia ha più volte affermato che una normativa che riservi alle imprese di prestazione dei servizi domiciliate in un altro Stato membro un trattamento peggiore di quello dispensato alle imprese stabilite sul territorio nazionale, dando così origine ad una discriminazione fondata sulla residenza del prestatore o sul luogo di origine dell’attività, è compatibile con il Trattato solo qualora rientri in una delle eccezioni ivi espressamente previste, come quelle di cui all’art. 46, primo comma, CE (45).

95.      Pertanto, tali restrizioni sono giustificate solo da ragioni di ordine pubblico, di sanità pubblica e di pubblica sicurezza, mentre non valgono quelle connesse all’interesse generale, di origine giurisprudenziale, come la tutela dei lavoratori, che sono ammesse a giustificare solo le misure indistintamente applicabili (46).

96.      Le circostanze addotte dal governo tedesco per giustificare le disparità non sono connesse con l’ordine pubblico, né con la sanità pubblica o la pubblica sicurezza. Non vi è alcun dubbio che, come spiego nelle mie conclusioni relative alla causa Arblade, «buona parte delle norme che costituiscono il diritto sociale hanno il carattere di regole di ordine pubblico» poiché sono applicabili «a chiunque si trovi nel territorio dello Stato membro in questione» (paragrafo 85), ciò che non succede nel caso dell’obbligo in esame. La nozione di «ordine pubblico» nel contesto comunitario, specie in quanto autorizza una deroga alla libera prestazione dei servizi, dev’essere intesa in senso stretto (47); essa può essere invocata solo nell’ipotesi in cui esista una minaccia effettiva e grave che comprometta un interesse fondamentale della collettività (48), circostanza che non è stata dimostrata nel caso presente.

97.      Per concludere, neppure la facoltà di trasferire il detto onere all’impresa che utilizza il lavoratore in Germania riesce ad appianare la disparità, giacché costituisce una mera possibilità. Nel momento in cui l’obbligo di comunicazione ricadrà su tale impresa sparirà la limitazione che, tra l’altro, non sembra particolarmente adeguata, poiché, come riconosce il governo tedesco, l’impresa che si avvale del lavoratore dispone di «informazioni più recenti e più precise» circa l’assegnazione del lavoratore (49). Nel frattempo, si deve constatare una violazione dell’art. 49 CE, in quanto la sussistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, considerato che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi (50).

VII – Corollario

98.      In seguito alle riflessioni esposte in precedenza, concludo nel senso che le eccezioni di irricevibilità del ricorso sollevate dal governo tedesco devono essere respinte; quanto ai motivi di inadempimento, l’art. 1, n. 3 e l’art. 3, n. 2, dell’AEntG violano l’art. 49 CE; al contrario, l’art. 2, n. 3, della medesima legge è conforme a tale disposizione comunitaria.

VIII – Sulle spese

99.      A tenore dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura della Corte di giustizia la parte soccombente deve essere condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’art. 69, n. 3, del medesimo regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

100. Tenuto conto del fatto che sia la Commissione sia la Repubblica federale di Germania hanno chiesto l'attribuzione reciproca delle spese e che propongo di accogliere due dei tre motivi di ricorso, lo Stato menzionato deve assumersi i due terzi delle spese della Commissione che, a sua volta, deve sostenere un terzo delle spese sopportate dal convenuto.

101. Conformemente all’art. 69, n. 4, primo comma, del citato regolamento, gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese.

IX – Conclusione

102. In base alle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di:

1)         dichiarare che la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 49 CE, avendo stabilito che le imprese con sede in un altro Stato membro che, nell’ambito di una prestazione di servizi, distaccano i lavoratori nel suo territorio sono tenute a versare i contributi per le ferie alla cassa tedesca competente, anche quando i lavoratori godono di una tutela analoga conforme alla normativa dello Stato di stabilimento, e avendo previsto che le imprese di lavoro interinale ubicate in un qualsiasi altro Stato membro sono tenute a comunicare ogni messa a disposizione di un lavoratore ad un’impresa che lo impiega in Germania nonché ogni lavoro che gli viene affidato.

2)         respingere il ricorso per il resto;

3)         condannare la Repubblica federale di Germania a pagare i due terzi delle spese sostenute dalla Commissione;

4)         condannare la Commissione a versare un terzo delle spese sostenute dalla Repubblica federale di Germania;

5)         ordinare che la Repubblica francese si faccia carico delle proprie spese.


1 – Lingua originale: lo spagnolo.


2 – GU 1997, L 18, pag. 1.


3 – Palao Moreno, G., «La Ley 45/1999, de 29 de noviembre, sobre el desplazamiento de trabajadores en el marco de una prestación de servicios transnacional. Un nuevo paso hacia la consolidación de un mercado de trabajo integrado en Europa», in Gaceta Jurídica de la Unión Europea y de la Competencia, luglio-agosto 2000, n. 208, pag. 46, sostiene che la mobilità non costituisce soltanto una delle tante conseguenze dell’integrazione europea, ma anche un’esigenza consustanziale al sistema.


4 – García Ninet, J.I., e Vicente Palacio, A., «La Ley 45/1999, de 29 de noviembre, relativa al desplazamiento (temporal y no permanente) de trabajadores en el marco de una prestación de servicios transnacional», in Revista del Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales, n. 27, 2000, pag. 14.


5 – Secondo la dottrina, l’idea fondamentale sottostante consiste nell’impedire che paesi meno avanzati nel riconoscimento dei diritti dei lavoratori e con costi del lavoro piú bassi ottengano vantaggi in altri paesi in cui la manodopera è più cara a causa di una maggior tutela accordata ai lavoratori (De Vicente Pachés, F., «Desplazamiento temporal de trabajadores para la ejecución de un contrato en otro Estado miembro. Comentario a la Sentencia del Tribunal de Justicia de las Comunidades Europeas (Pleno), de 23 de noviembre de 1999», in Revista del Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales, nº 27, 2000, pag. 240); in tal senso, v., Landa Zapirain, J.P. e Fotinopulou Basurko, O., «Breve comentario de la Ley 45/1999 sobre desplazamiento de trabajadores en el marco de una prestación de servicios transnacional, que incorpora al ordenamiento jurídico español la Directiva 96/71/CE», in Relaciones Laborales, n. 9, 2000, pag. 10, sostengono che la direttiva ha un orientamento più «economico che sociale ».


6 – La Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni «L'applicazione della direttiva 96/71/CE negli Stati membri» 25 luglio 2003 [COM(2003) 458 def], conclude che, per il momento, non appare necessaria una modifica della direttiva, in quanto le difficoltà incontrate non sono tanto di ordine giuridico quanto piuttosto di ordine pratico (pag. 19).


7 – BGBl. 1996 I, pag. 227.


8 – BGBl I, pag. 2848.


9 – La Commissione ritira due motivi dedotti nella fase precontenziosa, relativi ai requisiti per possedere la qualifica di impresa di costruzioni (punti 24-26 del ricorso) e alle multe (punto 64), poiché le discriminazioni fondate sulla nazionalità sono state eliminate con la modifica legislativa introdotta nel 2003.


10 – Mi associo all’avvocato generale Léger quando, nella nota 15 delle sue conclusioni relative alla causa definita con sentenza 21 settembre 2006, C-168/04, Commissione/Austria (Racc. pag. I‑9041), riconosce che «la direttiva 96/71 non prevede alcuna procedura particolare per effettuare un distacco di lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi transnazionale. Essa si limita in sostanza a garantire, in linea di principio, ai lavoratori che sono distaccati nel detto ambito, l’applicazione a loro favore di talune norme, vigenti nello Stato membro nel territorio del quale si svolge la detta prestazione, limitatamente ad alcune condizioni di lavoro e di impiego. Del resto, se tale direttiva lascia agli Stati membri il compito di garantire l'osservanza di tali norme, (…) a condizione di adottare mezzi idonei a tal fine, (…) che non violino le disposizioni del Trattato in materia di libera prestazione dei servizi».


11 – Sentenza 25 marzo 2004, causa C-71/02, Karner (Racc. pag. I-3025, punti 33 e 34).


12 – Sentenze 16 maggio 1991, causa C-96/89, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑2461, punti 15 e 16); 21 gennaio 1999, causa C-207/77, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-275, punti 24 e 25); 12 maggio 2005, causa C‑207/03, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-3761, punto 14); e 8 dicembre 2005, causa C-33/04, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I-10629, punto 76).


13 – Sentenze 1° ottobre 1998, causa C-71/97, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-5991, punto 14); 18 gennaio 2001, causa C-83/99, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑445, punto 23), e 4 maggio 2006, causa C-508/03, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I-3969, punto 67).


14 – Sentenza 5 novembre 2002, causa C-475/98, Commissione/Austria (Racc. pag. I‑9797, punto 38).


15 – La sentenza 4 maggio 2006, Commissione/Regno Unito, cit. supra, basandosi su un consolidato filone giurisprudenziale, ha dichiarato che «se è vero che i principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento richiedono che la revoca di un atto illegittimo avvenga entro un termine ragionevole, e che si tenga conto della misura in cui l’interessato ha potuto eventualmente confidare nella legittimità dell’atto, nondimeno tale revoca è in linea di principio consentita» (punto 68).


16 – Cause riunite C-49/98, C-50/98, C-52/98-54/98 e C-68/98-71/98 (Racc. pag. I‑7831).


17 – Causa C-164/99 (Racc. pag. I-787).


18 – Causa C-60/03 (Racc. pag. I-9553).


19 – Causa C-341/02 (Racc. pag. I-2733).


20 – La Corte si è pronunciata ugualmente su altre questioni connesse con le ferie retribuite, riguardanti, per esempio, la possibilità di estendere ai lavoratori distaccati la durata delle medesime prevista dalla normativa di uno Stato membro.


21 – Sentenza 15 ottobre 2002, cause riunite C-238/99 P, C-244/99 P, C-245/99 P, C‑247/99 P, C‑250/99 P a C-252/99 P e C-254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (Racc. pag. I-8375, punto 187), cit. nella nota 7 del controricorso.


22 – Sentenza 17 dicembre 1998, causa C-185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione (Racc. pag. I‑8417, punto 29), anch’essa citata nella nota 7 del controricorso.


23 – GU 1991, L 176, pag. 7 e GU 1992, L 383, pag. 117 – rettifica –, successivamente modificato.


24 – Sentenze 9 gennaio 2003, causa C-178/00, Italia/Commissione (Racc. pag. I-303, punto 6), e 15 settembre 2005, causa C-199/03, Irlanda/Commissione (Racc. pag. I‑8027, punto 50).


25 – Sentenze 12 maggio 2005, causa C-287/03, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑3761, punto 28), e 27 aprile 2006, causa C-441/02, Commissione/Germania (Racc. pag. I-3449, punto 49).


26 – Sentenze 1° dicembre 1993, causa C-234/91, Commissione/Danimarca (Racc. pag. I‑6273, punto 16); 12 gennaio 1994, causa C-296/92, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑1, punto 11); 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑3851, punto 28); 15 gennaio 2002, causa C‑439/99, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑305, punto 11), e 20 giugno 2002, causa C‑287/00, Commissione/Germania (Racc. pag. I-5811, punto 18).


27 – Sentenze 16 settembre 1997, causa C-279/94, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑4743, punti 24 e 25); 29 settembre 1998, causa C-191/95, Commissione/Germania (Racc. pag. I-5449, punto 56); 9 novembre 1999, causa C-365/97, Commissione/Italia (Racc. pag. I-7773, punto 25); 25 aprile 2002, causa C-52/00, Commissione/Francia (Racc. pag. I-3827, punto 44); 11 luglio 2002, causa C-139/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-6407, punti 18 e 19); 14 marzo 2006, causa C‑177/04, Commissione/Francia (Racc. pag. I-2461, punto 37), e 27 aprile 2006, Commissione/Germania, cit. supra (punto 61).


28 – Cause riunite C-369/96 e C-376/96 (Racc. pag. I-8453). Si trattava, in particolare, di valutare «se il diritto comunitario osti a che uno Stato membro imponga alle imprese con sede in un altro Stato membro, che distacchino lavoratori sul suo territorio per effettuarvi una prestazione di servizi, l'obbligo di rispettare le norme di diritto nazionale relative alla tenuta e alla conservazione dei documenti sociali dei lavoratori e alle tabelle minime in materia salariale, disposizioni che hanno per oggetto la protezione dei lavoratori e la lotta contro il lavoro nero, qualora tali imprese siano già soggette, per gli stessi lavoratori e per lo stesso periodo di attività, a obblighi identici o simili nel loro Stato membro di stabilimento» (paragrafo 1 delle conclusioni).


29 – Sentenze 25 luglio 1991, causa C-76/90, Säger (Racc. pag. I-4221, punto 12); 9 agosto 1994, causa C-43/93, Vander Elst (Racc. pag. I-3803, punto 14); 28 marzo 1996, causa C-272/94, Guiot (Racc. pag. I-1905, punto 10; 12 dicembre 1996, causa C-3/95, Reisebüro Broede (Racc. pag. I-6511, punto 25); 9 luglio 1997, causa C-222/95, Parodi (Racc. pag. I-3899, punto 18); Arblade e a., (punto 33); Finalarte e a. (punto 28), e Portugaia Construções (punto 16), già citate.


30 – Sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus (Racc. pag. I-1663, punto 32); 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard (Racc. pag. I-4165, punto 37); 20 febbraio 2001, causa C-205/99, Analir e a. (Racc. pag. I-1271, punto 25); 15 marzo 2001, causa C-165/98, Mazzoleni e ISA (Racc. pag. I-2189, punto 26); e le sentenze citate, Säger (punto 15); Guiot (punti 11 e 13); Arblade e a. (punto 35); Portugaia Construções (punto 19), e Wolf & Müller (punto 34). Secondo Davis, P., «Posted workers Directive and EC Treaty», in Industrial Law Journal, 2002, pag. 299, se applicassimo tali criteri giurisprudenziali alla direttiva 96/71, una buona parte del suo contenuto dovrebbe essere dichiarata contraria all’art. 49 CE, poiché difficilmente soddisferebbe i requisiti relativi alla giustificazione ed alla proporzianalità che sono necessari al fine di limitare la detta libertà fondamentale.


31 – Sentenze 17 dicembre 1981, causa 279/80, Webb (Racc. pag. 3305, punto 19); 3 febbraio 1982, cause riunite 62/81 e 63/81, Seco e Desquenne & Giral (Racc. pag. 223, punto 14); 27 marzo 1990, causa C‑113/89, Rush Portuguesa (Racc. pag. I‑1417, punto 18); e le sentenze citate Guiot, (punto 16); Arblade e a. (punto 36), Finalarte e a. (punto 33); Portugaia Construções, (punto 20); e Wolf & Müller (punto 35).


32 – Sentenze 26 febbraio 1991, causa C-180/89, Commissione/Italia (Racc. pag. I-709, punto 17), e C-198/89, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-727, punto 18); Webb, (punto 17); Säger (punto 15); Vander Elst (punto 16); Guiot (punto 11); Arblade e a. (punto 34), e Finalarte e a. (punto 31), queste ultime cit. supra. Si afferma cosí il principio di equivalenza, che sfugge alla legge del luogo di destinazione, Molina Navarrete, C., e Esteban de la Rosa, G., «Mercados nacionales de trabajo, libertad comunitaria de prestación de servicios y defensa de la competencia. Comentario de la Ley 45/1999, sobre desplazamiento de trabajadores en el marco de una prestación transnacional de servicios», in Revista de Trabajo y Seguridad Social (Centro de Estudios Financieros), n. 205, aprile 2000, pagg. 21 e 32.


33 – Figura tra questi paesi anche la Danimarca, (Arbejdsmerkedets Feriefond), ma la Commissione e la Germania indicano entrambe tale Stato membro come un esempio che avvalora le loro tesi opposte.


34 – Anche l’avvocato generale Mischo, nelle conclusioni relative alla causa Finalarte e a., descrive varie alternative, tra le quali, il caso del datore di lavoro che è soggetto al regime della cassa ferie tedesca e non può essere dispensato, conformemente alla legislazione del paese di stabilimento, dal pagamento diretto dei giorni di ferie spettanti ai suoi dipendenti distaccati; in tale ipotesi, i contributi versati alla cassa si cumulerebbero con quest'ultimo obbligo, generando «una forte restrizione alla libera prestazione dei servizi, se non addirittura un ostacolo insormontabile al suo esercizio» (paragrafo 70).


35 – Come avverte l’avvocato Mischo nelle ricordate conclusioni relative alla causa Finalarte e a. «[p]otrebbe darsi tuttavia che il lavoratore benefici, ai sensi della legislazione del suo paese d'origine, di vantaggi essenzialmente identici a prescindere dall'intervento di una cassa ferie» (paragrafo 112).


36 – Sebbene non debba necessariamente pendere a favore dello Stato in cui viene eseguita la prestazione; il diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva 96/71 indica che la protezione minima in vigore nel paese ospite non deve ostacolare l'applicazione di condizioni di lavoro e di occupazione che siano più favorevoli ai lavoratori.


37 – Causa C-129/00 (Racc. pag. I-14637).


38 – Come indica la Commissione nella Comunicazione su «L'applicazione della direttiva 96/71/CE», cit. all’inizio delle presenti conclusioni, «[t]ra le difficoltà legate al controllo delle situazioni di distacco figura innanzitutto l'ostacolo linguistico» (pag. 15).


39 – Non dobbiamo dimenticare il carattere «temporaneo» del distacco di manodopera; può accadere che, nel momento in cui viene scoperta la violazione di un diritto e ci si appresta a reagire, il lavoratore interessato sia già ritornato nel paese di origine.


40 – La direttiva del Consiglio 14 ottobre 1991, 91/533/CEE, relativa all'obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro (GU L 288, pag. 32), all’art. 2, prevede un contenuto minimo.


41 – Al punto 24 del controricorso e al punto 25 delle osservazioni presentate dal governo francese si esprime un parere favorevole ad una proposta in tal senso. È possibile che le associazioni degli imprenditori optino per l’utilizzo di modelli europei uniformi


42 – L’agente della Commissione ha dichiarato, in riposta ad una domanda che gli avevo rivolto in udienza, di non essere a conoscenza di iniziative in tal senso; tuttavia il governo tedesco ha segnalato l’esistenza di un gruppo di studio misto Commissione/Stati membri che, comunque, non avrebbe ancora raggiunto alcun accordo.


43 – La Comunicazione della Commissione 4 aprile 2006 [COM(2006) 159 def.], «Orientamenti relativi al distacco di lavoratori nell’ambito della prestazione di servizi», che dedica il punto 3 alla «Cooperazione in materia di informazione», ammette implicitamente la necessità di migliorare quest’ultima in tempi rapidi.


44 – Come avviene in Germania, secondo quanto ha dichiarato il suo rappresentante all’udienza. In tali casi, per poter reperire il documento, le autorità devono inoltrare una richiesta all’impresa.


45 – Sentenze 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT (Racc. pag. I-2925, punto 24); 25 luglio 1991, causa C-288/89, Collectieve Antennevoorziening Gouda e a. (Racc. pag. I-4007, punto 11), e causa C-353/89, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I-4069, punto 15); 16 dicembre 1992, causa C-211/91, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑6757, punti 10 e 11); 4 maggio 1993, causa C‑17/92, Distribuidores Cinematográficos (Racc. pag. p. I-2239, punto 16); 14 novembre 1995, causa C-484/93, Svensson e Gustavsson (Racc. pag. I-3955, punto 15), e 21 marzo 2002, causa C-451/99, Cura Anlagen (Racc. pag. I-3193, punto 31).


46 – Sentenza 21 ottobre 1999, causa C-67/98, Zenatti (Racc. pag. I-7289, punto 29); v. sentenze, citata supra, Kraus (punto 32); Gebhard (punto 37), e Cura Anlagen (punto 32).


47 – Sentenze 4 dicembre 1974, causa 41/74, Van Duyn (Racc. pag. 1337, punto 18); 27 ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau (Racc. pag. 1999, punto 33); 19 gennaio 1999, causa C-348/96, Calfa (Racc. I-11, punto 23); 29 aprile 2004, cause riunite C- 482/01 e C-493/01, Orfanopoulos e Oliveri (Racc. pag. I-5257, punti 64 e 65), e 14 ottobre 2004, causa C-36/02, Omega (Racc. pag. I-9609, punto 30).


48 – Sentenze 28 ottobre 1975, causa 36/75, Rutili (Racc. pag. 1219, punto 28); 18 maggio 1982, cause riunite 115/81 e 116/81, Adoui e Cornuaille (Racc. pag. 1665, punto 8); 14 marzo 2000, causa C-54/99, Église de scientologie (Racc. pag. I-1335, punto 17); v., inoltre, sentenze Bouchereau (punto 35) e Omega (punto 30), ambedue citate supra.


49 – Punto 38 della replica.


50 – Sentenze 27 novembre 1990, causa C-200/88, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑4299, punto 13); 2 maggio 1996, causa C-133/94, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-2323, punto 17); 30 gennaio 2002, causa C-103/00, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-1147, punto 23); 16 gennaio 2003, causa C‑63/02, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I-821, punto 11), e 13 marzo 2003, causa C-333/01, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-2623, punto 8).

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