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Document 62004CC0308

Conclusioni dell'avvocato generale Geelhoed del 19 gennaio 2006.
SGL Carbon AG contro Commissione delle Comunità europee.
Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado - Concorrenza - Intesa - Elettrodi di grafite - Art. 81, n. 1, CE - Ammende - Orientamenti per il calcolo dell'importo delle ammende - Comunicazione sulla cooperazione - Principio del non bis in idem.
Causa C-308/04 P.

Raccolta della Giurisprudenza 2006 I-05977

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2006:54

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GEELHOED


presentate il 19 gennaio 2006 1(1)

Causa C-308/04 P

SGL Carbon AG

contro

Commissione delle Comunità europee

(Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado – Concorrenza – Elettrodi di grafite – Art. 81, n. 1, CE – Ammende – Orientamenti per il calcolo delle ammende – Comunicazione sulla cooperazione)





1.        La presente causa verte su un ricorso proposto dalla SGL Carbon AG (in prosieguo: la «SGL») contro la sentenza del Tribunale di primo grado 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon Co. Ltd e a./Commissione delle Comunità europee (in prosieguo: la «sentenza impugnata»).

I –    Disposizioni pertinenti

A –    L’art. 81 CE e il regolamento n. 17/62

2.        L’art. 81 CE vieta «tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune».

3.        La Commissione può sanzionare tali condotte infliggendo ammende alle imprese che le abbiano poste in essere.

4.        L’art. 15 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato (2) (in prosieguo: il «regolamento n. 17»), dispone quanto segue:

«1. La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni d’imprese ammende varianti da cento a cinquemila unità di conto quando intenzionalmente o per negligenza:

(…)

b) forniscano informazioni inesatte in risposta a una domanda rivolta a norma dell’articolo 11, paragrafi 3 e 5 (…).

2. La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di mille unità di conto ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza:

a)      commettano un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 85, paragrafo 1 o dell’articolo 86 del Trattato (…)

(…)

Per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».

B –    Gli orientamenti

5.        Il preambolo della comunicazione della Commissione intitolata «Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del Trattato CECA» (3) (in prosieguo: gli «orientamenti») enuncia quanto segue:

«I principi indicati (…) dovrebbero consentire di assicurare la trasparenza ed il carattere obiettivo delle decisioni della Commissione, di fronte sia alle imprese che alla Corte di giustizia, ponendo l’accento, nel contempo, sul margine discrezionale lasciato dal legislatore alla Commissione nella fissazione delle ammende, entro il limite del 10% del volume d’affari globale delle imprese. La Commissione intende tuttavia inquadrare tale margine in una linea politica coerente e non discriminatoria, che sia funzionale agli obiettivi perseguiti con la repressione delle infrazioni alle regole della concorrenza.

La nuova metodologia applicabile per la determinazione dell’ammontare dell’ammenda si baserà ormai sullo schema seguente, che consiste nella fissazione di un importo di base, al quale si applicano maggiorazioni in caso di circostanze aggravanti e riduzioni in caso di circostanze attenuanti».

C –    La comunicazione sulla cooperazione

6.        Nella comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (4) (in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), la Commissione ha definito le condizioni alle quali un’impresa che coopera con la Commissione nel corso delle sue indagini relative ad un’intesa potrà evitare l’imposizione dell’ammenda che altrimenti le sarebbe inflitta o beneficiare di una riduzione del suo ammontare, come indicato nella sezione A, punto 3, di detta comunicazione.

7.        La sezione A, punto 5, della comunicazione sulla cooperazione enuncia quanto segue:

«La cooperazione di un’impresa è soltanto uno dei vari elementi di cui la Commissione tiene conto nel determinare l’ammontare di un’ammenda (…)».

D –    La convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

8.        L’art 4 del protocollo n. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU») dispone quanto segue:

«1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato.

2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta».

II – Fatti e contesto della sentenza impugnata

9.        Nella sentenza impugnata, il Tribunale di primo grado ha riassunto i fatti di causa nei termini seguenti:

«1. Con decisione 18 luglio 2001, 2002/271/CE (…), la Commissione ha accertato la partecipazione di varie imprese ad una serie di accordi e di pratiche concordate, ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE e dell’art. 53, n. 1, dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (in prosieguo: l’“accordo SEE”) nel settore degli elettrodi di grafite.

2. Gli elettrodi di grafite sono utilizzati prevalentemente nella produzione d’acciaio in forni elettrici ad arco. La produzione d’acciaio mediante tali forni è sostanzialmente un processo di riciclaggio, nel quale rottami d’acciaio sono trasformati in acciaio nuovo, contrariamente al procedimento classico di produzione a partire dal minerale di ferro negli altiforni ad ossigeno. Per fondere i rottami d’acciaio si utilizzano nove elettrodi, raggruppati in colonne di tre. Per l’intensità del processo di fusione, si consuma all’incirca un elettrodo ogni otto ore. La produzione di un elettrodo richiede circa due mesi. Non esistono prodotti che possano sostituire gli elettrodi di grafite nell’ambito di questo processo produttivo.

3. La domanda di elettrodi di grafite è direttamente legata alla produzione di acciaio nei forni elettrici ad arco; i clienti sono prevalentemente produttori di acciaio, che rappresentano l’85% della domanda. Nel 1998, la produzione mondiale d’acciaio grezzo è stata pari a 800 milioni di tonnellate, 280 milioni delle quali sono state prodotte in forni elettrici ad arco (…).

(…)

5.      Durante gli anni Ottanta, i progressi tecnologici hanno determinato una sostanziale riduzione del consumo di elettrodi per ogni tonnellata di acciaio prodotto. Nello stesso periodo, anche l’industria siderurgica ha attraversato una fase di profonda ristrutturazione. La riduzione della domanda di elettrodi ha cagionato un processo di ristrutturazione dell’industria mondiale degli elettrodi. Molte fabbriche sono state chiuse.

6. Nel 2001, nove produttori occidentali hanno rifornito il mercato europeo di elettrodi di grafite (…).

7. Il 5 giugno 1997, in applicazione dell’art. 14, n. 3, del regolamento del Consiglio (…) [n. 17], taluni funzionari della Commissione hanno condotto, contemporaneamente e senza preavviso, accertamenti (…).

8. Lo stesso giorno, agenti del Federal Bureau of Investigation (FBI) hanno effettuato negli Stati Uniti perquisizioni presso le sedi di numerosi produttori. A seguito di tali accertamenti è stata avviata un’azione penale nei confronti della SGL (…) per intesa illecita. Tutti gli imputati si sono riconosciuti colpevoli e hanno accettato di pagare le ammende, stabilite in una somma pari a USD 135 milioni per la SGL (…).

(…).

10. Negli Stati Uniti sono state intentate azioni civili di risarcimento danni (triple damages) nei confronti della SGL (…) per conto di un gruppo di acquirenti.

11. In Canada (…) [n]el luglio 2000 la SGL ha ammesso la sua colpevolezza e ha accettato di pagare un’ammenda di CAD 12,5 milioni per la stessa infrazione. Azioni civili sono state intentate nel giugno 1998 in Canada da alcuni produttori d’acciaio nei confronti della SGL (…) per intesa illecita.

12. Il 24 gennaio 2000 la Commissione ha inviato alle imprese censurate una comunicazione degli addebiti. Il procedimento amministrativo ha portato all’adozione, il 18 luglio 2001, della Decisione, con la quale si contesta alle imprese ricorrenti (…) di aver fissato i prezzi su scala mondiale e di aver ripartito i mercati nazionali e regionali del prodotto di cui trattasi secondo il principio del «produttore nazionale»: la UCAR era responsabile per gli Stati Uniti e per talune aree dell’Europa, la SGL per il resto dell’Europa (…).

13. Sempre secondo la Decisione, i principi direttivi dell’intesa erano i seguenti:

–        i prezzi degli elettrodi di grafite dovevano essere fissati a livello mondiale;

–        le decisioni relative ai prezzi di ciascuna società dovevano essere prese esclusivamente dai presidenti o dai direttori generali;

–        il “produttore nazionale” doveva fissare il prezzo di mercato all’interno del suo “territorio”, e gli altri produttori si sarebbero adeguati;

–        per i mercati “non nazionali”, cioè i mercati sui quali non era presente un produttore “nazionale”, i prezzi sarebbero stati decisi di comune accordo;

–        i produttori “non nazionali” non dovevano farsi una concorrenza aggressiva e si ritiravano dai mercati “nazionali” degli altri;

–        non doveva esserci alcuna espansione della capacità (i produttori giapponesi avrebbero dovuto ridurre la propria);

–        non si doveva procedere a trasferimenti di tecnologia al di fuori della cerchia di produttori partecipanti all’intesa.

14. La Decisione prosegue esponendo che tali principi direttivi sono stati applicati mediante riunioni dell’intesa che si svolgevano a vari livelli: riunioni degli “alti dirigenti” e riunioni “di lavoro”, riunioni del gruppo dei produttori europei (senza le imprese giapponesi), riunioni nazionali o regionali dedicate a mercati specifici e a contatti bilaterali tra le imprese.

(…)

16. In base agli accertamenti fattuali e alle valutazioni giuridiche di cui alla Decisione, la Commissione ha condannato le imprese censurate al pagamento di ammende il cui importo è stato calcolato in conformità al metodo esposto negli orientamenti (…).

17. L’art. 3 del dispositivo della Decisione infligge le seguenti ammende:

–        SGL: EUR 80,2 milioni;

(…).

18. L’art. 4 del dispositivo ingiunge alle imprese interessate di pagare le ammende entro tre mesi dalla data di notifica della Decisione, sotto pena di pagamento degli interessi pari all’8,04%».

III – Procedimento dinanzi al Tribunale di primo grado e sentenza impugnata

10.      La SGL, con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 20 ottobre 2001, e altre imprese destinatarie della decisione controversa hanno proposto ricorso contro la suddetta decisione.

11.      Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato, tra l’altro, quanto segue:

«(…)

2) Nella causa T‑239/01, SGL Carbon/Commissione:

–        L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente dall’art. 3 della Decisione 2002/271 è stabilito in EUR 69 114 000 ;

–        Il ricorso è respinto per il resto;

(…)».

IV – Ricorso contro la sentenza del Tribunale

12.      La SGL chiede che la Corte voglia

–        fatte salve le domande presentate in primo grado, annullare parzialmente la sentenza nella causa T‑239/01 in quanto respinge il ricorso nella parte in cui è rivolto contro gli artt. 3 e 4 della decisione della Commissione 18 luglio 2001;

–        in subordine, ridurre adeguatamente l’ammenda inflitta alla ricorrente nell’art. 3 della decisione della Commissione nonché gli interessi di mora e di litispendenza stabiliti nell’art. 4 della decisione in combinato disposto con la lettera della Commissione del 23 luglio 2001;

–        in ulteriore subordine, rimettere la controversia al Tribunale di primo grado per una nuova decisione che tenga conto degli orientamenti giuridici della Corte;

–        condannare la Commissione a tutte le spese di causa.

13.      La Commissione chiede che la Corte voglia

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

V –    Motivi e principali argomenti

14.      La SGL deduce sette motivi:

–        Il primo riguarda la violazione del principio del ne bis in idem.

–        Il secondo concerne la fissazione dell’importo di base, in particolare il mancato adeguamento verso il basso.

–        Il terzo motivo attiene all’aumento del 25% dell’importo di base (in funzione di una circostanza aggravante) in considerazione degli avvertimenti rivolti ad altri membri dell’intesa prima dell’indagine del 1997.

–        Il quarto motivo riguarda la mancata presa in considerazione del limite massimo delle ammende pari al 10% del volume d’affari complessivo previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

–        Il quinto argomento concerne la violazione dei diritti della difesa per insufficiente accesso ai documenti.

–        Il sesto argomento riguarda la capacità della ricorrente di pagare l’ammenda (mancata presa in considerazione della sua limitata capacità contributiva).

–        Il settimo motivo concerne la fissazione degli interessi di mora.

VI – Analisi

Osservazioni preliminari

15.      La ricorrente nella presente causa, al pari della ricorrente nella causa C‑289/04 P, altro procedimento in cui ho presentato le mie conclusioni in data odierna, ha dedotto motivi concernenti alcuni aspetti dell’ammenda. Nella causa C‑289/04 P, i motivi sono incentrati in particolare sul coefficiente moltiplicatore di dissuasione. Nella presente fattispecie, i motivi riguardano invece alcuni aspetti del procedimento di determinazione delle ammende.

16.      Pertanto, inizierò la mia analisi con alcune osservazioni generali sulla giurisprudenza relativa alla politica della Commissione in materia di determinazione delle ammende.

17.      Anzitutto, nella sentenza Musique Diffusion française (5), frequentemente citata, la Corte ha dichiarato che il compito della Commissione comprende indubbiamente quello di indagare e reprimere le singole infrazioni, ma implica pure il dovere di seguire una politica generale mirante ad applicare, in fatto di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese (6).

18.      Inoltre, per valutare la gravità di un’infrazione, onde determinare l’importo dell’ammenda, la Commissione deve tener conto non solo delle circostanze particolari della fattispecie, ma anche del contesto in cui si colloca l’infrazione e curare che la sua azione abbia carattere dissuasivo, soprattutto per i tipi di trasgressioni particolarmente nocivi per il conseguimento degli scopi della Comunità (7).

19.      Pertanto, nella detta sentenza, la Corte ha chiarito che la ratio sottesa all’irrogazione delle ammende consiste nel garantire l’attuazione della politica di concorrenza della Comunità.

20.      Da questa e da altre sentenze successive è emerso con chiarezza che occorre tener conto di molti fattori, che la Commissione non deve applicare una specifica formula matematica; che essa può prendere in considerazione sia il fatturato complessivo dell’impresa che quello relativo al territorio e ai prodotti considerati, purché non si attribuisca ad alcuno di questi fattori un peso eccessivo rispetto agli altri criteri, e pertanto, che la determinazione dell’ammenda adeguata non può costituire il risultato di un semplice calcolo del fatturato complessivo.

21.      Inoltre, nell’ambito della sua politica in materia di ammende, la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale, anche se deve tenere conto dei principi generali del diritto comunitario e non può superare il limite massimo in termini di fatturato previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Inoltre, se pubblica orientamenti che istituiscono regole di comportamento, la Commissione non può discostarsene in un singolo caso senza fornire una motivazione compatibile con il principio della parità di trattamento. Ovviamente, la Commissione può modificare i propri orientamenti, che possono essere applicati solo a partire dalla data in cui sono stati adottati.

22.      Nel frattempo, la Commissione ha pubblicato gli orientamenti. Essi riflettono grosso modo la giurisprudenza dei giudici comunitari. Il metodo di calcolo previsto dagli orientamenti è stato oggetto di una recente pronuncia, la cosiddetta sentenza «Tubi preisolati» (8). A tale proposito, la Corte ha osservato che «il metodo di calcolo indicato dagli orientamenti, prevedendo la presa in considerazione di un gran numero di elementi per determinare la gravità dell’infrazione al fine di fissare l’importo dell’ammenda, tra i quali figurano, in particolare, gli utili realizzati grazie all’infrazione o il bisogno di garantire l’effetto dissuasivo delle ammende, pare meglio corrispondere ai principi prescritti dal regolamento n. 17 quali interpretati dalla Corte, in particolare nella citata sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, rispetto alla pretesa prassi anteriore della Commissione invocata dai ricorrenti, nella quale il fatturato rilevante avrebbe avuto un ruolo preponderante e relativamente meccanico» (9). La Corte ha inoltre dichiarato che «(…) gli orientamenti contengono vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il proprio potere discrezionale in conformità al disposto dell’art. 15 del regolamento n. 17, come interpretato dalla Corte (…)» (10).

23.      Conformemente agli orientamenti, la Commissione stabilisce l’ammenda in varie fasi. La prima consiste nel fissare l’importo di base in funzione della gravità dell’infrazione (lieve, grave o molto grave) e della sua durata (breve, media o lunga). La Commissione inizia determinando l’importo di base in funzione della gravità dell’infrazione. Qualora esista una notevole disparità tra le dimensioni delle imprese coinvolte, la Commissione può raggruppare tali imprese in funzione delle loro dimensioni e fissare un importo di base differenziato per ciascun gruppo, al fine di tenere conto del peso specifico e quindi della reale incidenza del comportamento costituente infrazione di ciascuna impresa. Dopo aver valutato la gravità di una data infrazione, e prima di calcolarne la durata, la Commissione può adeguare l’ammenda verso l’alto per garantire che essa abbia un effetto sufficientemente dissuasivo (applicando quindi il «moltiplicatore di dissuasione»). Dopo aver aumentato l’ammenda in funzione della durata, la Commissione passa alla fase successiva, esaminando le circostanze aggravanti e attenuanti.

24.      Quindi, qualora la collaborazione di un’impresa con la Commissione sia qualificabile come cooperazione ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, la fase successiva consiste nell’applicazione di detta comunicazione.

25.      Qualora venga superato il limite massimo del 10% di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione può anzitutto ridurre l’importo dell’ammenda (risultante dal calcolo basato sugli orientamenti) fino a detto livello massimo, prima di applicare la comunicazione sulla cooperazione al fine di darle pieno effetto.

26.      Nella fattispecie ora in esame, la Commissione ha diviso le imprese interessate in tre categorie, in funzione della loro importanza relativa sul mercato rilevante, sulla base del fatturato mondiale complessivo relativo al prodotto e sulla quota di mercato. Gli importi di base adeguati delle ammende sono stati fissati in EUR 40 milioni, EUR 16 milioni e EUR 8 milioni. La SGL è stata collocata nel primo gruppo. L’importo di base è stato aumentato del 55% in funzione della durata dell’infrazione commessa dalla SGL. Nella fase successiva, la Commissione ha aumentato l’importo di base dell’85% in funzione di circostanze aggravanti, di cui il 25% è stato imputato al fatto che la SGL aveva avvertito altri membri dell’intesa delle imminenti indagini. Non sussistevano circostanze attenuanti. La Commissione ha quindi ridotto l’ammenda del 30% in base alla comunicazione sulla cooperazione. Il Tribunale ha ridotto l’importo dell’ammenda in quanto la Commissione non aveva valutato correttamente la cooperazione della SGL. Tale elemento costituisce l’oggetto dell’impugnazione nella causa C-301/04 P, altro procedimento in cui ho presentato le mie conclusioni in data odierna. La presente impugnazione, come ho già rilevato, è incentrata per lo più sulle varie fasi del processo di determinazione dell’ammenda.

27.      Prima di esaminare i vari motivi, rilevo che nel contesto dell’impugnazione lo scopo del controllo della Corte consiste in primo luogo nell’esaminare se il Tribunale abbia tenuto conto in maniera giuridicamente corretta di tutti gli elementi essenziali per valutare la gravità del singolo comportamento alla luce dell’art. 81 CE e dell’art. 15 del regolamento n. 17 e, in secondo luogo, nel verificare se il Tribunale abbia risposto sufficientemente a tutti gli argomenti dedotti dalla ricorrente al fine di ottenere l’annullamento o la riduzione dell’ammenda.

28.      Inoltre, non spetta alla Corte, quando si pronuncia su questioni di diritto nell’ambito di un ricorso d’impugnazione, sostituire, per motivi di equità, la sua valutazione a quella del Tribunale che statuisce, nell’esercizio della sua competenza anche di merito, sull’ammontare delle ammende inflitte ad imprese che hanno violato il diritto comunitario.

29.      Pertanto, i motivi vanno dichiarati inammissibili nella parte in cui sono diretti ad ottenere un riesame generale delle ammende.

A –    Sul primo motivo: violazione del principio del ne bis in idem

30.      In primo grado, la SGL ha sostenuto che la Commissione, rifiutandosi di dedurre dall’ammenda fissata dalla decisione controversa l’importo delle ammende già inflitte negli Stati Uniti e in Canada, aveva violato il divieto di applicare sanzioni concorrenti per la stessa infrazione.

31.      In risposta a questo argomento, il Tribunale si è anzitutto richiamato alla giurisprudenza precedente in cui ha dichiarato che il principio del ne bis in idem costituisce un principio generale del diritto comunitario e che nell’ambito della concorrenza detto principio vieta che un’impresa sia condannata o perseguita di nuovo dalla Commissione per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia già stata sanzionata.

32.      Il Tribunale ha quindi dichiarato, al punto 134 della sentenza impugnata, che il principio del ne bis in idem non poteva trovare applicazione nel caso di specie, dato che i procedimenti svolti e le sanzioni inflitte dalla Commissione, da un lato, e dalle autorità americane e canadesi, dall’altro, evidentemente non perseguivano gli stessi obiettivi. Se nel primo caso si trattava di preservare una concorrenza non falsata nel territorio dell’Unione europea o nel SEE, lo scopo di tutela riguardava, nel secondo caso, il mercato americano o canadese. L’applicazione del principio del ne bis in idem è subordinata non solo all’identità dei fatti costitutivi dell’infrazione e dei soggetti sanzionati, ma anche all’unità del bene giuridico protetto. Tale conclusione è confermata dalla portata del principio che vieta il cumulo delle sanzioni, come sancito dall’art. 4 del protocollo n. 7 della CEDU. Dalla formulazione del detto articolo risulta che tale principio ha il solo effetto di vietare ad un giudice nazionale di giudicare o di reprimere un reato per il quale la persona in questione è già stata assolta o condannata nello stesso Stato. Per contro, il principio del ne bis in idem non vieta che una persona sia perseguita o condannata più di una volta per lo stesso fatto in due o più Stati (11).

33.      Il Tribunale ha anche sottolineato che le ricorrenti non avevano invocato alcuna convenzione o norma di diritto pubblico internazionale che vieti ad autorità o a giudici di Stati diversi di perseguire e di condannare una persona per gli stessi fatti e ha dichiarato che un «tale divieto potrebbe quindi risultare, a tutt’oggi, soltanto da una cooperazione internazionale molto stretta che sfociasse nell’adozione di disposizioni comuni come quelle che figurano nella Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, sopra citato. A tale proposito, le ricorrenti non hanno eccepito l’esistenza di un testo convenzionale che vincoli la Comunità e Stati terzi quali gli Stati Uniti o il Canada e che preveda un tale divieto» (12).

34.      Il Tribunale ha ammesso che «l’art. 50 della (…) Carta dei diritti fondamentali prevede che nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge. Tuttavia si deve necessariamente rilevare che questo testo si applica solo nel territorio dell’Unione e limita espressamente la portata del diritto previsto nel suo art. 50 ai casi in cui la decisione di assoluzione o di condanna in questione sia stata pronunciata all’interno del detto territorio» (13).

35.      La SGL ha anche lamentato che la Commissione aveva interpretato erroneamente la sentenza Boehringer (14), secondo cui la Commissione ha l’obbligo di tener conto delle sanzioni irrogate dalle autorità di uno Stato terzo qualora gli addebiti contestati all’impresa ricorrente da parte della Commissione, da un lato, e dalle dette autorità, dall’altro, siano identici.

36.      A tale proposito, il Tribunale ha ricordato che, in detta sentenza, la Corte aveva precisato quanto segue (punto 3): «(…) la questione, poi, del se la Commissione debba tener conto delle sanzioni irrogate dalle autorità di uno Stato terzo [alla ricorrente da parte della Commissione, da un lato, e da parte delle autorità americane, dall’altro] va risolta solo qualora gli addebiti siano identici» e ha rilevato che «[r]isulta evidente da tale passaggio che la Corte, lungi dall’aver risolto la questione se la Commissione debba tener conto delle sanzioni irrogate dalle autorità di uno Stato terzo nell’ipotesi in cui gli addebiti contestati ad un’impresa da parte di tale istituzione e delle dette autorità siano identici, ha considerato l’identità dei fatti censurati dalla Commissione e dalle autorità di uno Stato terzo come una condizione preliminare per la questione di cui sopra» (15).

37.      Il Tribunale ha quindi osservato che «è in considerazione della situazione particolare derivante, da un lato, dalla stretta interdipendenza dei mercati nazionali degli Stati membri e del mercato comune e, dall’altro, dal sistema specifico di ripartizione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri in materia di intese in uno stesso territorio, quello del mercato comune, che la Corte, avendo ammesso la possibilità di un duplice procedimento, ha ritenuto necessario, considerata l’eventuale duplice sanzione che ne deriva, prendere in considerazione la prima decisione repressiva conformemente ad un’esigenza di equità (…). Orbene, è evidente che una situazione di questo tipo non sussiste nella presente fattispecie. Non essendo dedotta una disposizione convenzionale espressa che preveda l’obbligo per la Commissione, nella fissazione dell’importo di un’ammenda, di tener conto delle ammende già inflitte alla stessa impresa per il medesimo fatto da autorità o giudici di uno Stato terzo, come gli Stati Uniti o il Canada, le ricorrenti non possono validamente contestare alla Commissione di essere venuta meno, nel caso di specie, a tale preteso obbligo» (16).

38.      Ad ogni modo, ha proseguito il Tribunale, «anche supponendo che dalla sentenza [Boheringer] si possa dedurre a contrario che la Commissione deve tener conto delle sanzioni irrogate dalle autorità di uno Stato terzo nell’ipotesi in cui gli addebiti contestati all’impresa in questione da parte di tale istituzione e delle dette autorità siano identici, occorre sottolineare che, sebbene la sentenza pronunciata nei confronti della SGL negli Stai Uniti evochi il fatto che l’intesa sugli elettrodi di grafite aveva lo scopo di diminuire la produzione e di aumentare i prezzi del prodotto “negli Stati Uniti e altrove”, non è assolutamente dimostrato che la condanna pronunciata negli Stati Uniti si sia riferita ad atti compiuti in conseguenza o ad effetti dell’intesa diversi da quelli che hanno avuto luogo nel detto paese (v., in tal senso, sentenza [Boheringer], punto 6) e in particolare nel SEE, il che, del resto, avrebbe manifestamente sconfinato nella competenza territoriale della Commissione. Quest’ultima osservazione è ugualmente valida per la condanna pronunciata in Canada» (17).

39.      Nella presente causa, la SGL lamenta il fatto che, nella sua sentenza, il Tribunale non abbia dichiarato che la Commissione ha violato il principio del ne bis in idem (o, in subordine, non abbia rispettato l’esigenza generale di equità) in quanto non ha tenuto conto della sanzione che era già stata inflitta alla SGL negli Stati Uniti prima che la Commissione adottasse la decisione controversa.

40.      La SGL afferma che la Commissione era obbligata a tener conto delle ammende già inflitte dalle autorità di paesi terzi per la stessa infrazione. Ciò discenderebbe dal principio del ne bis in idem e, in ogni caso, dal principio di proporzionalità. A tale proposito, la SGL lamenta il fatto che il Tribunale abbia interpretato erroneamente la sentenza Boehringer. La SGL sostiene che il principio del ne bis in idem può essere interpretato in due modi, uno restrittivo e uno più ampio. L’interpretazione restrittiva – quanto meno quale applicabile nell’ambito della Comunità – riguarda un autentico divieto, nel senso che non si può perseguire e sanzionare una seconda volta qualora sia già stata inflitta una precedente sanzione per la stessa infrazione. Conformemente all’interpretazione più ampia, applicabile in particolare nei casi esaminati dalle autorità di paesi terzi, il principio del ne bis in idem si traduce nell’obbligo di tener conto delle sanzioni inflitte all’estero.

41.      Inoltre, la SGL afferma che le tre condizioni per l’applicazione del principio del ne bis in idem (identità del trasgressore, identità dei fatti e unicità del diritto tutelato) sono soddisfatte. Le ammende sono state inflitte alla SGL, che è una persona giuridica unica e autonoma; i fatti sono identici (un’intesa globale) e gli interessi giuridici tutelati in Europa e negli Stati Uniti coincidono.

42.      La SGL contesta la conclusione del Tribunale secondo cui i procedimenti svolti e le sanzioni inflitte dalla Commissione, da un lato, e dalle autorità degli Stati Uniti, dall’altro, evidentemente non perseguono lo stesso scopo. A tale proposito, la SGL rinvia alle conclusioni dell’avvocato generale Ruíz‑Jarabo Colomer nella causa Italcementi (18). La SGL sostiene che il ragionamento svolto in quella sede può essere applicato per analogia ai paesi terzi. A suo parere, entrambi gli ordinamenti giuridici mirano a garantire la libera concorrenza. La SGL afferma che il principio di territorialità non è pertinente rispetto alla questione se sussista un’«identità», ma soltanto per quanto riguarda la competenza della Commissione a perseguire le infrazioni. Benché sia indubbio che possono esistere procedure parallele a difesa della concorrenza, si dovrebbe tenere conto delle ammende già inflitte dalle autorità di paesi terzi.

43.      Quand’anche il principio del ne bis in idem non fosse applicabile in relazione ai paesi terzi, la Commissione e il Tribunale avrebbero dovuto tener conto delle ammende già inflitte. Ciò discenderebbe dal principio di proporzionalità o dall’esigenza di equità menzionata nella sentenza Walt Wilhelm (19).

44.      La SGL afferma inoltre che l’esistenza di un trattato internazionale non è necessaria ai fini dell’applicazione del principio del ne bis in idem. A tale proposito, essa fa riferimento a vari ordinamenti giuridici in cui tale principio è riconosciuto e pertanto non esiste alcun accordo internazionale di reciprocità.

45.      La Commissione condivide la conclusione del Tribunale.

Analisi

46.      La questione di una probabile violazione del principio del ne bis in idem è già stata esaminata dall’avvocato generale Tizzano nelle conclusioni relative alla causa Archer Daniels Midland (20). Anche detta causa riguardava una situazione in cui erano state inflitte ammende sia dalla Commissione che dalle autorità statunitensi e canadesi. Nella sentenza relativa a detto procedimento (21), il Tribunale era pervenuto alla stessa conclusione cui è giunto nella presente fattispecie, vale a dire che il principio del ne bis in idem non era applicabile e non sussistevano motivi per imporre alla Commissione di tener conto delle ammende già inflitte dalle suddette autorità.

47.      Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Tizzano ha rilevato come non possa ritenersi che esista un principio di diritto pubblico internazionale che vieti ad autorità o a giudici di Stati diversi di perseguire e di condannare una persona per gli stessi fatti e che gli strumenti multilaterali che sanciscono il principio del ne bis in idem ne limitano in generale l’applicabilità alle sole decisioni giudiziarie di un medesimo Stato. A tale proposito, l’avvocato generale ha fatto riferimento all’art. 14, settimo comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, all’art. 4 del protocollo n. 7 della CEDU e alla giurisprudenza del Tribunale penale internazionale per la ex Yugoslavia e di alcune corti costituzionali nazionali. Egli ha inoltre osservato che, perfino in un contesto integrato come quello comunitario, il principio ne bis in idem si è affermato solo grazie alla sua previsione in apposite norme convenzionali, quali la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen.

48.      Ma, ha proseguito l’avvocato generale Tizzano, anche supponendo che esista un principio generale di diritto (ossia che uno stesso soggetto non può essere sanzionato più volte in Stati diversi per un medesimo comportamento illecito), occorrerebbe che fossero soddisfatte le tre condizioni stabilite dalla giurisprudenza della Corte. Egli ha concordato con il Tribunale che mancava una di tali condizioni, l’unicità dell’interesse giuridico tutelato, in quanto non si può affermare che la normativa antitrust statunitense e il diritto comunitario della concorrenza tutelino lo stesso bene giuridico. Egli ha rilevato, e io sono d’accordo, che la politica sanzionatoria della Commissione è volta a salvaguardare la libera concorrenza nel mercato comune, che, per definizione, costituisce un bene distinto da quello tutelato dalle autorità di paesi terzi.

49.      Condivido queste osservazioni. Non esiste alcuna norma internazionale che vieti alla Comunità di infliggere ammende quando un’altra autorità abbia già sanzionato una violazione di regole di concorrenza, o di infliggere un’ammenda ridotta. In secondo luogo, normalmente il principio del ne bis in idem si applica solo all’interno di uno Stato. In terzo luogo, non si può affermare che esista un accordo bilaterale tra la Comunità e gli Stati Uniti o il Canada. Gli attuali accordi di cooperazione in materia di concorrenza (22) non riguardano questo aspetto. Ma quand’anche il principio del ne bis in idem fosse applicabile, le tre condizioni sopra menzionate dovrebbero sussistere cumulativamente. Concordo con la Commissione e con il Tribunale che manca la terza condizione, quella dell’unicità dell’interesse giuridico. Un’intesa commette infrazioni in ognuno dei territori in cui opera. Pertanto, la circostanza che un’intesa operi su scala mondiale non toglie che la normativa antitrust statunitense e il diritto comunitario della concorrenza tengono conto in primo luogo degli effetti dell’intesa sul loro rispettivo territorio. Di conseguenza, poiché le tre condizioni non sono soddisfatte, è irrilevante il riferimento della SGL ad alcuni ordinamenti giuridici nazionali in cui una decisione straniera è considerata equiparabile ad una sentenza nazionale.

50.      Per quanto riguarda l’esigenza generale di equità, vorrei rilevare che, a mio parere, le sentenze Walt Wilhelm e Boehringer non possono essere trasposte sic et simpliciter alle situazioni interne a paesi terzi. A parte il fatto che la sentenza Walt Wilhelm non riguarda propriamente la questione del ne bis in idem – e lo stesso vale per la sentenza Boehringer –, la peculiarità di detta causa, visto peraltro che le autorità consideravano l’infrazione sotto un profilo diverso, consisteva nel fatto che l’illecito era stato commesso nel territorio della Comunità. Pertanto, vi erano validi motivi per prendere in considerazione la sovrapposizione territoriale e quindi pretendere che la seconda autorità per la concorrenza tenesse conto della prima ammenda nell’infliggere qualsiasi sanzione pecuniaria successiva (23). Tale motivo non sussiste in relazione ai paesi terzi, in quanto essi, sotto il profilo territoriale, sono distinti. Il fatto che la Commissione non sia obbligata a tenere conto di ammende precedentemente inflitte in un paese terzo non implica che essa non abbia il potere discrezionale per farlo; tuttavia, se non vi è reciprocità, non si può affermare che la Commissione è obbligata a tenere conto di tali sanzioni.

51.      Infine, vorrei sottolineare che gli ordinamenti giuridici sono diversi e che tali differenze comportano parametri giuridici di valutazione del comportamento sul mercato aventi contenuto e portata diversi; infatti, un’infrazione non solo ha conseguenze diverse e divergenti nei diversi ordinamenti giuridici, ma anche nell’ambito dello stesso ordinamento giuridico le sue conseguenze vanno valutate in funzione della loro incidenza nell’ordinamento considerato.

52.      La tesi sostenuta dalla SGL comporterebbe che la nozione di territorialità inerente al diritto pubblico dell’economia perderebbe la propria valenza. Ciò significherebbe che le norme che disciplinano le condizioni del comportamento delle imprese sul mercato sarebbero identiche in tutto il mondo, il che, ovviamente, non è possibile.

B –    Sul secondo motivo

53.      Con il secondo motivo, che riguarda le conclusioni del Tribunale relative alla fissazione degli importi di base dell’ammenda, la SGL afferma che il Tribunale ha errato nel non adeguare verso il basso l’importo di base relativo alla SGL, mentre ciò sarebbe risultato necessario se si fossero applicati in modo non discriminatorio i criteri per il calcolo definitivo stabiliti dalla Corte.

54.      A tale proposito, la SGL fa riferimento alla riclassificazione di altri membri dell’intesa, che ha condotto alla fissazione di un importo di base dell’ammenda più basso. Anzitutto, la SGL dubita che sia ammissibile determinare nell’ambito della stessa categoria il fatturato medio e le quote di mercato, in quanto, a suo parere, la valutazione dell’impatto sul mercato di ciascuna impresa dovrebbe essere svolta su base individuale e non a livello collettivo. In secondo luogo, la SGL afferma che la differenza tra la sua quota di mercato e quella della UCAR è troppo accentuata perché possa ammettersi la collocazione delle due imprese nella stessa categoria. La differenza massima che poteva registrarsi tra le quote di mercato è superiore alle parti percentuali utilizzate dalla Commissione nella sua decisione. Pertanto, l’importo di base andrebbe modificato. In terzo luogo, la riclassificazione di alcuni altri membri dell’intesa sarebbe avvenuta in circostanze in cui la differenza tra le quote di mercato era inferiore.

Analisi

55.      Anzitutto, si deve ricordare che la Commissione dispone di un ampio margine discrezionale nel fissare gli importi delle ammende e che a tal fine non è tenuta ad applicare una formula matematica precisa. Tuttavia, spetta al giudice comunitario verificare che la Commissione non abbia ecceduto i limiti del suo potere discrezionale. Infine, secondo costante giurisprudenza, non spetta alla Corte, quando si pronuncia su questioni di diritto nell’ambito di un ricorso d’impugnazione, sostituire, per motivi di equità, la sua valutazione a quella del Tribunale che statuisce, nell’esercizio della sua competenza anche di merito, sull’ammontare delle ammende inflitte ad imprese che hanno violato il diritto comunitario (24).

56.      Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che, di per sé, la suddivisione in determinate categorie è ammessa. Esso ha inoltre stabilito che qualora le imprese vengano suddivise in categorie ai fini della determinazione delle ammende, la determinazione dei valori limite per ogni singola categoria così individuata deve essere coerente ed obiettivamente giustificata. Il Tribunale ha quindi esaminato se la determinazione dei valori limite che separano le tre categorie fosse coerente ed obiettivamente giustificata.

57.      Come ha spiegato il Tribunale, e come emerge dalla decisione della Commissione, nell’individuare le tre categorie e nel fissare i vari importi di partenza, la Commissione si è basata su un unico criterio, cioè i fatturati e le quote di mercato concreti che i membri dell’intesa hanno realizzato con la vendita del prodotto in questione sul mercato mondiale. La Commissione si è riferita ai fatturati relativi all’anno 1998 e all’evoluzione delle quote di mercato tra il 1992 e il 1998. Essa ha applicato un metodo di calcolo basato su multipli di una certa parte di quota di mercato, in cui ciascuna parte corrispondeva a un determinato importo in euro. L’importo di partenza è stato quindi aumentato in base alle «parti». In tal modo, alla SGL, date le sue quote di mercato, così come alla UCAR, è stato attribuito un importo di partenza di EUR 40 milioni. Il Tribunale ha concluso che la scelta degli importi che costituivano le parti e hanno condotto ad una cifra di partenza pari a EUR 40 milioni per le imprese della prima categoria non era arbitraria e non superava i limiti del potere discrezionale di cui la Commissione dispone in materia. Il Tribunale ha quindi approvato il fatto che la Commissione avesse inserito la SGL e la UCAR nella stessa categoria, visti i loro fatturati rilevanti e le loro rispettive quote di mercato.

58.      La SGL non contesta l’importo di partenza della prima categoria, quanto piuttosto, in sostanza, il fatto di essere stata collocata nella prima categoria. Essa afferma che il Tribunale si è discostato dal suo proprio metodo consolidato, il che costituisce sia una violazione del principio di non discriminazione che un errore di valutazione.

59.      Non condivido questo punto di vista. Anzitutto, il Tribunale non ha sostituito il metodo della Commissione con il proprio. Esso si è limitato a verificare che la Commissione avesse applicato il suo metodo in maniera coerente e uniforme. Come si è detto, il Tribunale ha approvato il metodo in base al quale i membri dell’intesa sono stati collocati in varie categorie, il che ha condotto alla determinazione di un importo di partenza forfettario per tutte le imprese inserite in ogni singola categoria. Ha verificato e approvato i valori limite che separavano le categorie. Ha anche esaminato se la composizione di una categoria risultasse sufficientemente coerente dal punto di vista delle differenze tra le dimensioni e in confronto alla categoria successiva. In tal modo, è rimasto nella logica generale del sistema utilizzato dalla Commissione per i membri dell’intesa.

60.      Per quanto riguarda la prima categoria, il Tribunale ha approvato, visti i rapporti dimensionali, la classificazione nella stessa categoria della SGL e della UCAR. Esso ha solo riclassificato alcuni membri collocati nella seconda categoria, in quanto i rapporti dimensionali erano troppo diversi rispetto ad altri membri della stessa categoria. Di conseguenza, i membri in questione sono stati collocati nella terza categoria. In tal modo, la ex terza categoria è stata ulteriormente suddivisa creando una quarta categoria, al fine di mantenere l’equilibrio del metodo utilizzato dalla Commissione. Tale procedimento, tuttavia, non ha interessato la SGL.

61.      Di fatto, però, la SGL intende contestare un sistema di classificazione, in quanto a suo parere ogni differenza in termini di quota di mercato o di fatturato dovrebbe tradursi in una «categoria» a sé stante per ciascuna impresa partecipante all’intesa e quindi in un importo di partenza individuale. Tuttavia, ciò svuoterebbe di significato l’uso di un sistema di categorie, che implica l’impiego di certi valori limite. Come ha giustamente rilevato il Tribunale, non vi è nulla di sbagliato nella suddivisione in categorie dei membri di un’intesa in sede di determinazione della gravità delle infrazioni, anche se tale criterio non tiene conto delle differenze tra le dimensioni delle imprese inserite nella stessa categoria, purché il metodo di formazione delle categorie sia conforme al principio della parità di trattamento e quindi all’esigenza che la determinazione dei valori limite per ogni singola categoria individuata sia coerente ed obiettivamente giustificata.

62.      Il secondo motivo va quindi respinto.

C –    Sul terzo motivo

63.      La SGL afferma che lo specifico aumento del 25% dell’importo di base dell’ammenda, equivalente a EUR 15,5 milioni, in considerazione degli avvertimenti rivolti ad altri membri dell’intesa prima dell’inizio delle ispezioni della Commissione, era illegittimo. Confermando la conclusione della Commissione, il Tribunale avrebbe violato il principio nulla poena sine lege, il principio in dubio pro reo nonché il principio della parità di trattamento.

64.      Tali argomenti riguardano i punti 312-317 e 436-438 della sentenza impugnata. Nella sua decisione, la Commissione ha aumentato l’importo di base del 25% in quanto ha ritenuto che i tentativi della SGL di ostacolare il procedimento della Commissione avvertendo le altre imprese dell’imminenza delle verifiche costituissero un’importante circostanza aggravante.

65.      Dinanzi al Tribunale, la SGL ha fatto valere che gli avvertimenti non potevano essere sanzionati con un aumento dell’ammenda, in quanto non costituivano una violazione di legge. La ricorrente ha inoltre sottolineato che gli avvertimenti erano basati su informazioni rivelate da un funzionario della Commissione. Peraltro, la UCAR, che dopo aver ricevuto gli avvertimenti aveva modificato i suoi fascicoli e distrutto o rimosso i documenti a carico, non era stata punita dalla Commissione per tale comportamento.

66.      Secondo il Tribunale, «[i]l fatto che la SGL abbia avvertito altre imprese dell’imminenza delle citate verifiche poteva del pari essere correttamente qualificato come circostanza aggravante (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑334/94, Sarrió/Commissione, Racc. pag. II‑1439, punto 320). Contrariamente a quanto affermato dalla SGL, non si tratta qui di un’infrazione specifica ed autonoma, non prevista dal Trattato né dal regolamento n. 17, bensì di un comportamento aggravante rispetto all’infrazione iniziale. Mediante tali avvertimenti rivolti ad altri membri dell’intesa, la SGL intendeva infatti dissimulare l’esistenza dell’intesa e mantenerla operante, il che peraltro è stato realizzato con successo fino al marzo 1998» (25).

67.      Il Tribunale ha inoltre dichiarato che, in tale contesto, il riferimento della SGL all’art. 15, n. 1, lett. c), del regolamento n. 17 non era pertinente, in quanto la citata norma considera tali atti di ostruzionismo quali infrazioni autonome e indipendenti dall’eventuale esistenza di un’intesa, mentre gli avvertimenti forniti dalla SGL miravano a garantire la continuazione di un’intesa che evidentemente rappresentava una flagrante e indiscutibile violazione del diritto comunitario della concorrenza (26).

68.      Per quanto riguarda il riferimento della SGL al principio della parità di trattamento rispetto alla UCAR, per la quale la distruzione di documenti a suo carico non è stata presa in considerazione come circostanza aggravante, il Tribunale ha dichiarato che tale riferimento non era tale da incidere sulla qualificazione nel senso di circostanza aggravante degli avvertimenti citati. Secondo il Tribunale, «essendo rivolti ad altre imprese, tali avvertimenti andavano al di là della sfera puramente interna della SGL, e miravano al fallimento dell’indagine della Commissione nel suo complesso, così da garantire la continuazione dell’intesa, mentre la UCAR aveva distrutto i propri documenti in modo da evitare che fosse scoperto il suo stesso coinvolgimento nell’intesa. Si tratta di due comportamenti diversi, e pertanto non può essere contestato alla Commissione di aver trattato situazioni analoghe in maniera diversa».

69.      Come si è detto, la SGL, a sostegno della sua domanda di annullamento di questa parte della sentenza impugnata, deduce tre argomenti.

70.      Per quanto riguarda l’asserita violazione del principio nulla poena sine lege, la SGL fa riferimento all’art. 7 della CEDU e all’art. 49, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali. Essa si richiama inoltre alla giurisprudenza della Corte secondo cui una sanzione, anche di natura non penale, può essere inflitta solo se ha un fondamento giuridico chiaro ed inequivoco. La SGL afferma che l’aumento dell’importo di base in considerazione degli avvertimenti rivolti ad altri membri dell’intesa lede il suddetto principio, in quanto tali avvertimenti non violano alcuna norma di divieto. Non sarebbe né un elemento dell’art. 15, n. 1, lett. c), del regolamento n. 17 né potrebbe essere considerato un elemento del divieto sancito dagli artt. 81 CE e 82 CE e dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. La ricorrente sostiene che il regolamento n. 17 e il nuovo regolamento n. 1/2003 prevedono l’irrogazione di sanzioni solo in caso di ostruzionismo durante le indagini in loco. Se non è stata disposta un’ispezione, nessuna norma vieterebbe la distruzione di documenti. Non vi sarebbe alcuna norma che vieti di avvertire altri membri dell’intesa. Pertanto, la Commissione e il Tribunale non potrebbero aggirare tale situazione giuridica e aumentare l’ammenda classificando illegittimamente tale comportamento come circostanza aggravante.

71.      La SGL deduce che il Tribunale ha anche violato il principio in dubio pro reo, in quanto ha basato la sua valutazione su presunzioni. A tale proposito, la ricorrente osserva che la sentenza Sarrió non può essere applicata per analogia alla presente fattispecie, in quanto la dissimulazione non costituisce un elemento degli accordi tra i membri dell’intesa. In secondo luogo, le presunzioni del Tribunale, cioè che la SGL ha avvertito altri membri dell’intesa nel tentativo di dissimulare l’esistenza dell’intesa e di mantenerla operante, e che ciò le è riuscito fino al marzo 1998, non sarebbero state dimostrate né sarebbero plausibili.

72.      Infine, la SGL afferma che l’aumento dell’ammenda in considerazione degli avvertimenti rivolti ad altri membri dell’intesa, rispetto al fatto che la UCAR non è stata sanzionata per avere distrutto documenti, costituisce una discriminazione.

73.      Secondo la Commissione, il primo e il terzo argomento sono irricevibili. In ogni caso, le tre censure andrebbero respinte. Per quanto riguarda la presunta mancanza di fondamento giuridico, la Commissione afferma che la SGL dimentica che la Commissione non ha inflitto una specifica ammenda per gli avvertimenti rivolti ad altri membri dell’intesa, ma ha considerato tale comportamento quale circostanza aggravante ai fini del calcolo dell’ammenda. Per quanto riguarda il presunto trattamento discriminatorio, la Commissione osserva che gli avvertimenti rivolti ad altri membri dell’intesa non sono paragonabili alla distruzione di documenti. A tale proposito, la Commissione afferma che la SGL non si è limitata ad occultare o a distruggere propri documenti, o ad impedire che venissero redatti documenti compromettenti, ma anche tentato di far fallire le indagini relative ad altre imprese. Infine, la Commissione sostiene che l’argomento concernente le asserite presunzioni del Tribunale non è persuasivo.

Analisi

74.      Nell’ambito di un’impugnazione, spetta alla Corte accertare che il Tribunale non abbia commesso alcun errore di diritto o di motivazione e che non abbia snaturato gli elementi di prova.

75.      Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che l’aumento dell’ammenda in funzione degli avvertimenti rivolti ad altre imprese non risultava sproporzionato o discriminatorio e ha confermato la qualifica data dalla Commissione al comportamento ostruzionistico della SGL.

76.      La questione che occorre risolvere è se la SGL possa validamente affermare che non esiste alcun fondamento giuridico per sanzionare gli ostruzionismi, salvo nel caso in cui la Commissione abbia disposto un’ispezione mediante decisione ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 17.

77.      A mio parere, è corretta l’affermazione del Tribunale secondo cui il comportamento in questione non costituiva un’infrazione specifica ed autonoma, bensì un comportamento aggravante rispetto all’infrazione iniziale. Il fatto che l’art. 15, n. 1, si riferisca a determinate forme di ostruzionismo in un contesto specifico, che costituiscono infrazioni autonome, non significa che un comportamento tenuto al di fuori di tale contesto non possa contribuire ad aggravare una violazione dell’art. 81 CE o dell’art. 82 CE.

78.      Infatti, per quanto riguarda quest’ultimo comportamento, il fondamento giuridico di un aumento dell’ammenda va cercato nell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 (27). Pertanto, la SGL è in torto per quanto riguarda la presunta mancanza di fondamento giuridico. Non sussiste alcuna violazione del principio nulla poena sine lege.

79.      In tale contesto, mi richiamo alla costante giurisprudenza secondo cui l’importo dell’ammenda va determinato in base alla gravità dell’infrazione (iniziale), quest’ultima va accertata in funzione di un gran numero di fattori, la Commissione dispone di un potere discrezionale per determinare (gli elementi de) le ammende e può anche adeguare in qualunque momento il livello delle stesse al fine di garantire il rispetto delle regole di concorrenza. La presa in considerazione delle circostanze aggravanti al fine di stabilire l’ammenda è coerente con il compito della Commissione di garantire l’osservanza delle norme sulla concorrenza. A tale proposito, mi richiamo anche all’elenco di esempi di circostanze aggravanti contenuto al punto 2 degli orientamenti.

80.      L’elenco di circostanze aggravanti che giustificano un aumento dell’ammenda non è tassativo, come emerge dall’ultimo trattino, ma tale circostanza non rileva nella presente fattispecie. La risposta alla questione se sussista una circostanza aggravante che giustifica un aumento dell’ammenda dipenderà da ogni singolo caso. È evidente che la circostanza aggravante che legittima un aumento dell’ammenda deve presentare un nesso sufficiente con l’infrazione (o costituire un elemento della stessa). Pertanto, ad esempio, in caso di recidiva, deve risultare chiaro che l’impresa interessata ha già commesso un’infrazione dello stesso tipo. Qualora tale circostanza sussista, il fatto che l’impresa partecipi per la seconda volta ad un’infrazione analoga aggrava l’infrazione di cui trattasi. Lo stesso vale per i profitti ricavati dall’infrazione. Tali profitti costituiscono uno degli elementi da prendere in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione. Qualora si possa calcolare obiettivamente l’entità degli utili realizzati illegittimamente, tale entità si traduce in un aumento corrispondente dell’ammenda. Lo stesso può dirsi per le reazioni ostruzionistiche o gli avvertimenti rivolti ad altri membri dell’intesa che abbiano un effetto ostruzionistico.

81.      Il membro di un’intesa che venga avvertito, in qualsiasi modo, di un’eventuale indagine imminente può reagire in vari modi: 1) può avvertire gli altri membri dell’intesa e consigliare loro di porre fine all’intesa; 2) può avvertire gli altri membri e proporre di mantenere l’intesa, il che implica anche l’adozione di misure intese a dissimulare l’intesa, come ad esempio la distruzione di documenti a carico; e 3) invece di avvertire gli altri membri, può decidere di trarre vantaggio dalla politica della Commissione in materia di cooperazione, collaborando con detta istituzione.

82.      Pertanto, non si può affermare che l’avvertimento rivolto ad altri membri dell’intesa concernente indagini imminenti aggravi inevitabilmente l’infrazione; tuttavia, ritengo che nella presente fattispecie la Commissione e il Tribunale potessero considerare che ciò si era verificato. Nella sua giurisprudenza precedente, il Tribunale ha confermato il giudizio della Commissione secondo cui il fatto che le imprese non solo fossero consapevoli della illiceità del loro comportamento ma avessero anche preso provvedimenti per dissimularlo determinava un aggravamento dell’infrazione. Gli avvertimenti dati nella presente fattispecie si pongono sullo stesso piano. Nella fattispecie, gli avvertimenti relativi ad un’indagine imminente sono stati rivolti dalla SGL, un importante membro europeo dell’intesa, ad altri membri (europei) dell’intesa. Inoltre, è comprovato che tali avvertimenti hanno inciso sulle indagini della Commissione relative all’intesa, dal momento che, quando la Commissione ha svolto le ispezioni senza preavviso nei locali delle imprese partecipanti all’intesa, molti elementi di prova erano andati persi. Secondo la Commissione, tali circostanze costituivano ragioni obiettive per qualificare gli avvertimenti come circostanza aggravante che giustificava un aumento dell’ammenda. A mio parere, l’affermazione della SGL secondo cui gli avvertimenti rivolti ad altri membri dell’intesa avevano il solo scopo di impressionarli non è persuasiva. L’effetto degli avvertimenti conduce decisamente ad una conclusione diversa. Pertanto, il Tribunale poteva legittimamente concludere, senza violare il principio in dubio pro reo, che gli avvertimenti erano intesi a dissimulare l’intesa e a garantirne la continuazione, e che fino a una certa data essi hanno conseguito tale obiettivo. Peraltro, come ho rilevato al paragrafo precedente, la SGL avrebbe anche potuto decidere di collaborare con la Commissione ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, nel qual caso avrebbe beneficiato di una riduzione dell’ammenda molto superiore. La decisione di cooperare è stata presa in una fase molto più avanzata. Anche la decisione di porre fine all’intesa è stata presa solamente in una fase successiva.

83.      Va disatteso anche l’argomento concernente la discriminazione. È importante mantenere distinti, come ha fatto il Tribunale, gli effetti esterni del comportamento da quelli interni. Infatti, non esiste alcun obbligo generale di conservare i documenti a carico. Pertanto, per evitare che venga scoperta la sua partecipazione ad un’intesa, l’impresa in questione, dal punto di vista interno, può decidere di distruggere alcuni documenti (a meno che, come nella causa Sarrió, la dissimulazione sistematica sia parte di un piano). Tale comportamento non può essere considerato di per sé una circostanza aggravante. Tuttavia, gli avvertimenti rivolti ad altri membri dell’intesa producono effetti che oltrepassano la sfera puramente interna. Essi sono intesi a vanificare l’intera indagine della Commissione. Pertanto, il Tribunale ha correttamente dichiarato che tali comportamenti sono completamente diversi e quindi che la Commissione non può essere censurata per aver trattato situazioni simili in maniera diversa.

D –    Sul quarto motivo

84.      Con tale motivo, la SGL fa valere 1) che il Tribunale non ha tenuto conto, ai punti 366-368 della sentenza impugnata, del fatto che l’ammenda fissata (o il livello intermedio fissato) dalla Commissione era superiore al limite massimo delle ammende stabilito dall’art. 15, n. 2, del regolamento; 2) che la determinazione di tale importo costituisce una violazione del principio nulla poena sine lege e 3) del principio della parità di trattamento e che inoltre, a tale proposito, 4) la motivazione è inadeguata.

85.      La SGL sostiene che il Tribunale non ha tenuto conto del fatto che una parte del fatturato del 2000 doveva essere imputata ad un’altra impresa, che la SGL ha acquisito all’inizio del 2000, e quindi dopo la fine dell’infrazione (nel marzo 1998). A tale proposito, la SGL si richiama alla sentenza Cemento (28). La ricorrente fa anche riferimento alla sua censura relativa alla lunghezza del procedimento amministrativo, la cui durata avrebbe inciso negativamente sui suoi interessi finanziari. Pertanto, la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione i dati relativi al bilancio del 1999.

86.      Inoltre, nonostante dinanzi ad esso fossero stati sviluppati ampi argomenti in proposito, il Tribunale non ha risolto la questione se la Commissione fosse tenuta a fare riferimento al fatturato del 1999 (EUR 980 milioni) o a quello del 2000 (EUR 1,08 o 1,26 miliardi). Rispondendo che ciò che conta è che l’ammenda finale inflitta non sia superiore al 10% del fatturato mondiale, vale a dire, dopo la presa in considerazione di eventuali circostanze aggravanti o attenuanti e dopo l’eventuale applicazione di riduzioni in funzione della cooperazione, e che gli argomenti basati su un’eccessiva durata del procedimento amministrativo e sulla sentenza Cemento non erano pertinenti (29), il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto che la Commissione, nel caso della UCAR, ha applicato il limite massimo pari al 10% del fatturato relativo all’esercizio precedente prima di applicare la comunicazione sulla cooperazione. Pertanto, il Tribunale avrebbe errato nel dichiarare, al punto 353 della sentenza impugnata, che la SGL non si trovava nella stessa situazione della UCAR. La SGL afferma che la presunzione del Tribunale è infondata. Il fatturato complessivo della SGL relativo al 1999, nonché quello relativo al 2000, ridotti del fatturato ascritto alla Keramchemie, erano tali che il limite massimo del 10% era stato superato prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione. Pertanto, il Tribunale non avrebbe potuto lasciare irrisolta la questione dell’anno di fatturato da prendere in considerazione.

87.      In secondo luogo, la SGL contesta le conclusioni tratte dal Tribunale al punto 368 della sentenza impugnata, in cui esso ha affermato che nessuna norma di diritto comunitario prevede sanzioni amministrative minime o massime per i vari tipi di infrazioni e che la Commissione è quindi libera, in linea di principio, di determinare l’importo delle ammende in funzione della gravità e della durata di queste ultime, sempreché l’importo finale dell’ammenda non superi il limite massimo del 10% di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. A tale proposito, la SGL afferma, richiamandosi all’art. 7 della CEDU e all’art. 49, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali, che il limite del 10%, che costituisce una sanzione massima di stretta interpretazione, non dev’essere superato in alcuna circostanza e che si applica anche ai calcoli intermedi dell’ammenda.

88.      In terzo luogo, la SGL deduce anche una violazione del principio della parità di trattamento in quanto la Commissione, nel caso della UCAR, avrebbe ridotto la quota eccedente il limite massimo del 10% del fatturato prima di applicare la comunicazione sulla cooperazione. A tale proposito, la SGL fa riferimento all’osservazione, svolta anche dal Tribunale al punto 232 della sentenza impugnata, che la Commissione è tenuta ad applicare il suo stesso metodo in modo corretto, coerente e, in particolare, non discriminatorio. Pertanto, la Commissione avrebbe errato nel dichiarare che solo nel caso della UCAR l’importo di base fissato prima di applicare la comunicazione sulla cooperazione superava il limite massimo consentito.

89.      Infine, la SGL afferma che il Tribunale ha commesso un errore di diritto negando che fosse stato infranto l’obbligo di motivazione. Contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, la SGL sostiene che la Commissione avrebbe dovuto specificare nella decisione i motivi per cui, nel caso della UCAR, ha applicato una riduzione prima di applicare la comunicazione sulla cooperazione e non ha fatto lo stesso nel caso della SGL. Quest’ultima afferma che il criterio adottato dalla Commissione ha collocato la stessa SGL in una posizione svantaggiata, dato che la sua situazione era analoga. Pertanto, la Commissione avrebbe violato l’art. 253 CE.

90.      La Commissione osserva che il Tribunale ha già respinto tali argomenti, correttamente, ai punti 366-368 della sentenza impugnata. Essa fa valere che né l’ammenda inflitta dalla Commissione né l’ammenda ridotta dal Tribunale superano il limite massimo del 10% di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

Analisi

91.      Per quanto riguarda il presunto errore di interpretazione del Tribunale, osservo quanto segue. Il criterio adottato dalla Commissione per fissare le ammende è già stato spiegato. Come ha correttamente dichiarato il Tribunale, la divisione in tre gruppi era basata sui dati relativi al fatturato del 1998, anno in cui si è posto fine all’infrazione, e sulle quote di mercato degli anni precedenti. Pertanto, non si può affermare che il Tribunale non abbia esaminato tale questione. Inoltre, come ha osservato anche la Commissione, vi è una differenza tra il calcolo dell’ammenda, da un lato, e il fatto di garantire che, alla fine del calcolo, l’ammenda non superi il limite massimo del 10% fissato dal regolamento n. 17, dall’altro. L’anno di riferimento ai fini del suddetto calcolo non dev’essere necessariamente lo stesso. Come si è già detto, il calcolo dell’ammenda si basa sulle cifre relative al 1998. Per stabilire se fosse stato raggiunto il limite massimo, la Commissione ha tenuto conto delle cifre relative al fatturato del 2000, che costituiva il riferimento corretto ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Pertanto, non sussiste alcun contrasto neanche con la giurisprudenza Cemento.

92.      Il Tribunale ha respinto la tesi secondo cui il procedimento aveva avuto una durata eccessiva. La SGL non deduce alcun nuovo argomento persuasivo per dimostrare che il Tribunale ha commesso un errore a tale riguardo.

93.      Per quel che concerne gli argomenti relativi alla violazione del principio nulla poena sine lege, mi richiamo alla recente sentenza di secondo grado nella causa «Tubi preisolati» (30). Tale sentenza chiarisce che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 non vieta alla Commissione di fare riferimento, nel suo calcolo, ad un importo intermedio che superi questo stesso limite, e non osta neppure a che operazioni di calcolo intermedio che tengano conto della gravità e della durata dell’infrazione siano effettuate su un importo superiore a detto limite (31). Pertanto, solo l’importo finale posto a carico di un’impresa non deve superare il limite massimo del 10%.

94.      Non sussiste neanche una violazione del principio di non discriminazione. Il Tribunale ha semplicemente dichiarato che, visti i dati relativi al fatturato della SGL e quelli relativi al fatturato della UCAR, la posizione della SGL non era analoga.

95.      Il fatto che la Commissione non abbia spiegato nella stessa decisione di aver ridotto l’importo dell’ammenda inflitta alla UCAR prima di applicare la comunicazione sulla cooperazione non riguarda la SGL.

E –    Sul quinto motivo

96.      Con questo motivo, la SGL censura il fatto che non sia stata prestata sufficiente attenzione all’importanza di alcuni documenti cui essa non ha avuto accesso. In aggiunta agli argomenti svolti in primo grado, la SGL afferma che nuovi documenti a carico, di cui essa non era a conoscenza e sui quali non aveva avuto modo di esprimersi in precedenza, sono stati persino utilizzati per la prima volta nella decisione del Tribunale.

97.      La SGL fa valere che le conclusioni del Tribunale sono contraddittorie. Esso avrebbe dichiarato, dapprima, che i documenti concernenti la cooperazione delle imprese non facevano parte del fascicolo interno, bensì erano contenuti nel fascicolo istruttorio della Commissione, cui le imprese avevano accesso (32). Successivamente, invece, sarebbe emerso che il fascicolo interno conteneva informazioni fornite dalla UCAR e concernenti la cooperazione delle imprese, che rappresentavano elementi probatori o che, in ogni caso, il Tribunale ha utilizzato come prova, e che avrebbero potuto essere utili alla difesa della ricorrente (33).

98.      Solo durante il procedimento dinanzi al Tribunale la SGL sarebbe venuta a conoscenza del fatto che la UCAR aveva informato la Commissione che l’Ufficio europeo per la lotta antifrode era intervenuto nei confronti del funzionario assertivamente responsabile della fuga di notizie e che in Italia era stata avviata un’indagine penale nei confronti del funzionario incriminato (34). La SGL ritiene che anche tali informazioni facessero parte del fascicolo interno della Commissione e costituissero elementi che sarebbero stati utili alla sua difesa.

99.      Neanche tali documenti, secondo la SGL, potrebbero essere qualificati come documenti interni, e quindi non accessibili. Ciò discenderebbe dalla comunicazione della Commissione relativa alle regole procedimentali interne per l’esame delle domande di accesso al fascicolo (35). Sulla base di detta comunicazione e della giurisprudenza (36) la SGL deduce inoltre che i documenti probatori devono essere resi accessibili in tempo utile. Pertanto, contrariamente a quanto dichiarato dal Tribunale (37), non sarebbe stato necessario richiedere un elenco o una sintesi non riservata di documenti contenenti elementi segreti o riservati. Di conseguenza, la Commissione avrebbe dovuto indicare i documenti non accessibili.

100. Per lo stesso motivo, secondo la SGL, la relazione del consigliere-auditore conterrebbe degli errori. Conformemente alla suddetta comunicazione, per quanto riguarda l’accesso al fascicolo, la classificazione dei documenti interni (non accessibili) è soggetta al controllo di un consigliere-auditore, che, se necessario, certifica la natura di «documenti interni» delle informazioni ivi raccolte (38). La relazione non menziona le obiezioni sollevate dalla SGL. Pertanto, il Tribunale avrebbe errato nel dichiarare che il consigliere–auditore è tenuto a comunicare al collegio dei membri della Commissione solamente le censure rilevanti ai fini della valutazione della legittimità dello svolgimento del procedimento amministrativo. Secondo la SGL, la relazione finale sarebbe superflua se dovesse menzionare solo le obiezioni fondate.

Analisi

101. Il motivo della SGL va respinto nella parte in cui essa afferma che la sua lettera alla Commissione contiene, oltre alla richiesta di accesso ai documenti interni della stessa, la richiesta di un elenco o di una sintesi non riservata di documenti contenenti elementi segreti o riservati. La ricorrente non contesta un elemento di diritto, bensì una constatazione di fatto. A tale proposito, il Tribunale ha accertato che la richiesta della SGL non riguardava un elenco o una sintesi non riservata.

102. Tale motivo va respinto anche nella parte in cui la SGL afferma che la relazione finale del consigliere-auditore conteneva degli errori. In primo luogo, per quanto riguarda la presunta classificazione errata di alcuni documenti come documenti interni, all’epoca dei fatti il consigliere-auditore non era tenuto a verificare se la classificazione come documenti interni fosse corretta o meno. Tale controllo viene svolto solo «se necessario», come emerge dalla formulazione del punto II.A.2 della comunicazione. La SGL non ha sollevato la questione dinanzi al consigliere-auditore, ma si è limitata a criticare la Commissione per non averle dato accesso al suo fascicolo interno o per non averle fornito un elenco o una sintesi dei documenti riservati. In secondo luogo, il Tribunale ha già esaminato tali censure, in maniera corretta, ai punti 50-54 della sentenza impugnata. La SGL non ha dedotto alcun argomento nuovo pertinente.

103. Per quanto riguarda i documenti concernenti la cooperazione delle imprese, si deve tenere presente che il Tribunale ha utilizzato tali documenti a sostegno della domanda con cui la UCAR ha chiesto un’ulteriore riduzione dell’ammenda, in considerazione delle informazioni che essa aveva fornito alla Commissione, ancorché oralmente (e che sono state riportate in una nota interna redatta da funzionari della Commissione e non inclusa nel fascicolo di indagine della stessa). A tale proposito, il Tribunale, secondo cui anche le informazioni non documentali sono rilevanti nel contesto della politica della Commissione in materia di cooperazione, non ha utilizzato tali documenti compromettenti contro la SGL. Quest’ultima non ha spiegato in che modo sarebbero stati lesi i suoi diritti di difesa. Lo stesso vale per il presunto documento interno relativo all’indagine dell’OLAF. Inoltre, si deve rilevare che la SGL ha ammesso dinanzi alla Commissione di avere partecipato all’intesa e ha collaborato essa stessa con la Commissione ai sensi della comunicazione sulla cooperazione.

104. A parte ciò, quand’anche la Commissione avesse dovuto comunicare tali documenti, o quanto meno segnalarne l’esistenza, secondo costante giurisprudenza la mancata comunicazione di un documento costituisce una violazione dei diritti della difesa solo se l’impresa interessata dimostra, da un lato, che la Commissione si è basata su tale documento per suffragare il suo addebito relativo all’esistenza di un’infrazione e, dall’altro, che tale addebito può essere provato solo facendo riferimento al detto documento. Inoltre, in presenza di altre prove documentali, di cui le parti erano a conoscenza durante il procedimento amministrativo e che sostenevano specificamente le conclusioni della Commissione, l’eliminazione dai mezzi di prova del documento a carico non comunicato non inficerebbe la fondatezza degli addebiti accertati nella decisione contestata. La Corte ha inoltre dichiarato che spetta all’impresa interessata dimostrare che il risultato al quale è pervenuta la Commissione nella sua decisione sarebbe stato diverso se dai mezzi di prova a carico avesse dovuto essere eliminato un documento non comunicato sul quale la Commissione si è basata per incriminare tale impresa (39).

105. Come si è già rilevato, la SGL lamenta di non avere avuto sufficiente accesso al fascicolo per quanto riguarda la cooperazione di altre imprese, ma non spiega in che modo tale circostanza avrebbe inciso sulla sua posizione.

F –    Sul sesto motivo (capacità contributiva)

106. Con questo motivo, la SGL contesta la decisione categorica di non tener conto della sua limitata capacità contributiva nel momento in cui è stata calcolata l’ammenda. Essa afferma che tale omissione costituisce una violazione del principio di proporzionalità e lede la sua libertà di disporre delle proprie risorse; fa valere che le ammende inflitte in forza delle regole di concorrenza non possono mettere a rischio l’esistenza dei soggetti cui tali ammende sono inflitte e che l’impresa operativa deve rappresentare il modello in base al quale va valutata l’adeguatezza e l’opportunità delle sanzioni in ogni singolo caso. La ricorrente sostiene che, in generale, è inammissibile concentrarsi sulle parti di un’impresa che potrebbero ancora essere salvate dal fallimento cagionato dall’irrogazione di un’ammenda. Ogni ammenda, secondo la SGL, andrebbe calcolata in modo da non emettere «sentenze di morte» economica.

107. Nella decisione controversa, la Commissione, dopo aver esaminato la situazione finanziaria della SGL, ha concluso che non era appropriato adeguare l’importo dell’ammenda. Tale conclusione è stata confermata dal Tribunale. Quest’ultimo, richiamandosi a una giurisprudenza costante, ha dichiarato che la Commissione non è obbligata a tener conto della situazione deficitaria di un’impresa ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, considerato che ammettere un obbligo del genere si risolverebbe nel procurare un ingiustificato vantaggio concorrenziale alle imprese meno adeguate alle condizioni di mercato. Il Tribunale ha osservato che l’obbligo di tener conto della capacità contributiva reale di un’impresa, ai sensi del punto 5, lett. b), degli orientamenti, rileva solamente in un «contesto sociale particolare», rappresentato dalle conseguenze che deriverebbero dal pagamento dell’ammenda, in particolare, a livello di aumento della disoccupazione ovvero di deterioramento dei settori economici a monte e a valle dell’impresa interessata. Il Tribunale ha rilevato inoltre come il fatto che un provvedimento assunto da un’autorità comunitaria cagioni il fallimento ovvero la liquidazione di una determinata impresa non risulta essere, in quanto tale, vietato dal diritto comunitario (40).

Analisi

108. Il motivo non può essere accolto nella parte in cui la SGL critica il Tribunale per aver respinto il suo argomento secondo cui la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione la sua capacità contributiva e aveva fissato l’importo dell’ammenda ad un livello tale da mettere a rischio la sopravvivenza dell’impresa. Come ha correttamente dichiarato il Tribunale, la Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’ammontare dell’ammenda, a prendere in considerazione la situazione di passività di un’impresa, dal momento che il riconoscimento di un tale obbligo procurerebbe un vantaggio concorrenziale ingiustificato alle imprese meno idonee alle condizioni del mercato (41).

109. Inoltre, il suddetto argomento non può essere accolto neanche nella parte con cui si fa valere che la Commissione avrebbe dovuto tener conto delle ammende già inflitte dalle autorità di paesi terzi, circostanza che ha determinato la riduzione della capacità contributiva. Benché quest’ultima si distingua rispetto alla nozione di ne bis in idem, in entrambi i casi la Commissione non è tenuta a prendere in considerazione ammende inflitte dalle autorità di paesi terzi.

110. Pertanto, la capacità contributiva non costituisce un criterio pertinente ai fini della determinazione delle ammende. Ciò non significa che la Commissione non possa tener conto di una riduzione della capacità contributiva. La Corte, nelle pronunce in cui si è occupata della capacità contributiva, ha dichiarato soltanto che la Commissione non è obbligata a tener conto della situazione finanziaria dell’impresa interessata, ma non le ha vietato di farlo.

111. La capacità contributiva è ora espressamente menzionata negli orientamenti della Commissione, al punto 5, lett. b), sotto il titolo «Osservazioni generali». Come ha correttamente dichiarato il Tribunale al punto 371 della sua sentenza, il suddetto punto non contraddice la giurisprudenza in materia. In secondo luogo, l’enunciato degli orientamenti secondo cui occorre prendere in considerazione la capacità contributiva reale dei trasgressori in un contesto particolare, adeguando di conseguenza gli importi delle ammende, è subordinato alla condizione «secondo le circostanze» e, come ha correttamente rilevato il Tribunale, a quella relativa al «contesto sociale particolare». Pertanto, a tale proposito non esiste alcun automatismo.

112. La SGL censura anche la tesi secondo cui le sanzioni possono cagionare la sua uscita dal mercato. Essa fa valere che ciò equivale ad una violazione della sua libertà di disporre delle proprie risorse e a tale proposito si richiama agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In secondo luogo, essa contesta il parallelismo con la giurisprudenza in materia di aiuti di Stato.

113. Per quanto riguarda il riferimento alla libertà negli affari e al diritto di proprietà, si deve rilevare che tale libertà e tale diritto sono soggetti a limiti. Infatti, essi non danno sicuramente «carta bianca» ai cartelli e non forniscono alcuna difesa quando uno di essi viene scoperto.

114. Per quanto riguarda il parallelismo con gli aiuti di Stato, il Tribunale ha semplicemente osservato in via generale, richiamandosi alla giurisprudenza relativa al settore degli aiuti di Stato, come il fatto che un provvedimento assunto da un’autorità comunitaria cagioni il fallimento ovvero la liquidazione di una determinata impresa non risulta essere, in quanto tale, vietato dal diritto comunitario. Tale osservazione, di per sé, è corretta e la SGL non può rimetterla in discussione. Incidentalmente, aggiungerei che la nozione di libera concorrenza effettiva implica, tra l’altro, che gli operatori meno efficienti normalmente devono ritirarsi dal mercato. È altresì noto che, per effetto dei cartelli, tali operatori inefficienti possono sopravvivere più a lungo. Pertanto, le disposizioni in materia di aiuti di Stato e quelle in materia di concorrenza hanno in comune il fatto di voler garantire l’esistenza di mercati concorrenziali e, a tale proposito, entrambe le normative sono intese a prevenire o ad eliminare i danni, anche se in modi diversi. La Commissione, nell’ambito della sua politica in materia di ammende, può sicuramente tener conto degli effetti delle ammende che infligge e, se del caso, di una capacità contributiva limitata. Infatti, un’ammenda superiore alla capacità contributiva di un’impresa, che ne determini l’insolvenza e in ultima analisi il fallimento, diviene priva di effetti. Nella presente fattispecie, tuttavia, la Commissione ha verificato la situazione finanziaria della ricorrente ma non ha individuato motivi per modificare l’ammenda stabilita. Inoltre, il fatto che un’ammenda risulti lesiva in quanto ne deriva l’esigenza di adottare provvedimenti interni per reperire i fondi necessari non ha alcuna rilevanza per la Commissione.

115. Il Tribunale ha anche correttamente dichiarato che la SGL non può trarre alcun argomento dalla cosiddetta decisione grafite speciale (42). In detta decisione, la Commissione ha tenuto conto della ridotta capacità contributiva. L’argomento della SGL, secondo cui la Commissione avrebbe dovuto fare lo stesso nella presente fattispecie, è fuori luogo. Nella decisione successiva ora in esame, la Commissione ha tenuto conto della capacità contributiva della SGL proprio in considerazione della gravissima ammenda già inflittale e in quanto non era necessario applicare l’importo integrale dell’ammenda per assicurare un effetto dissuasivo. Pertanto, il Tribunale ha correttamente dichiarato che la Commissione non ha commesso alcun errore di diritto né un errore manifesto di valutazione.

116. Questo argomento va quindi disatteso.

G –    Sul settimo motivo (concernente gli interessi di mora)

117. Nel procedimento dinanzi al Tribunale, la SGL ha contestato la legittimità del tasso di interesse, nonché la legittimità del tasso di interesse applicato nell’ipotesi in cui un’impresa abbia costituito una garanzia bancaria. La SGL ha ammesso che la Commissione può applicare tassi d’interesse al fine di evitare ricorsi temerari e ad evitare un vantaggio per le imprese che pagano «in ritardo», ma solo se i tassi in questione corrispondono a quelli effettivamente applicati nella pratica. Secondo la SGL, non sarebbe giustificato applicare ai tassi di mercato un aumento di 3,5 punti percentuali.

118. Con il settimo motivo, la SGL fa valere che il Tribunale non ha esaminato tutte le censure da essa sollevate, ma ha deciso sulla base di un argomento che la ricorrente non aveva dedotto.

119. Tale motivo è privo di fondamento.

120. Nella propria sentenza, il Tribunale si è richiamato alla costante giurisprudenza secondo cui il potere di cui la Commissione è investita ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 comprende la facoltà di determinare la data di esigibilità delle ammende e quella relativa al decorso degli interessi di mora, di fissare il tasso di questi interessi e di stabilire le modalità di esecuzione della sua decisione esigendo, all’occorrenza, la costituzione di una garanzia bancaria a copertura dell’importo del capitale e degli interessi delle ammende inflitte. In mancanza di siffatto potere, le imprese potrebbero trarre vantaggio dal pagamento tardivo delle ammende, attenuando l’effetto delle ammende. Pertanto, gli interessi di mora sulle ammende sono giustificati.

121. Il Tribunale si è quindi richiamato alla propria giurisprudenza che ha ammesso interessi moratori al tasso di mercato aumentato di 3,5 punti percentuali e, nell’ipotesi di costituzione di una garanzia bancaria, al tasso di mercato aumentato di 1,5 punti percentuali, e che ha tollerato interessi moratori fino al 13,75% precisando che la Commissione può adottare un punto di riferimento più elevato rispetto al tasso di interesse passivo medio applicabile sul mercato nella misura in cui ciò sia necessario per scoraggiare manovre dilatorie (v. punti 475 e 476). Infine, il Tribunale ha concluso che la Commissione non ha superato il margine discrezionale di cui dispone nello stabilire un tasso di interesse moratorio.

122. A mio parere, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto.

VII – Conclusione

123. Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che la Corte debba

–        respingere il ricorso;

–        condannare la SGL alle spese.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – GU n. 13, pag. 204.


3 – GU 1998, C 9, pag. 3.


4 – GU 1996, C 207, pag. 4.


5 – Sentenza 7 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione (Racc. pag. 1825).


6 – Ibidem, punto 105.


7 – Ibidem, punto 106.


8 – Sentenza 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione (Racc. pag. I‑0000).


9– Punto 260.


10– Punto 267.


11 – V. punti 134 e 135.


12 – Punto 136.


13 – Punto 137.


14 – Sentenza 14 dicembre 1972, causa 7/72, Boehringer/Commissione (Racc. pag. 1281).


15 – Punti 139 e 140.


16 – Punti 141 e 142.


17 – Punto 143.


18 – V. paragrafi 91-94 delle conclusioni nella cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P (Racc. pag. I‑123).


19 Sentenza 13 febbraio 1969, causa 14/68, Walt Wilhelm, Racc. pag. 1.


20 – Conclusioni presentate il 7 giugno 2005 nella causa C‑397/03 P, Archer Daniels Midland/Commissione.


21 – Sentenza 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland Company e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione (Racc. pag. II‑2597).


22 – Accordo tra le Comunità europee e il governo degli Stati Uniti d’America in merito all’utilizzazione dei principi della «comitas gentium» attiva nell’applicazione del loro diritto della concorrenza del 4 giugno 1998 (GU L 173, pag. 28) e accordo del 1991 (GU 1995, L 95, pag. 47).


23 – Tale giurisprudenza è stata ampiamente superata dopo l’entrata in vigore del regolamento n. 1/2003. V. anche Wouter P.L. Wils, «The principles of Ne Bis in Idem in EC Antitrust Enforcement: A Legal and Economic Analysis», in World Competition 2003.


24 – V. sentenza Dansk Rørindustri e a., cit. alla nota 8, punti 244 e 245 e giurisprudenza ivi citata.


25 – Punto 312 della sentenza impugnata.


26 – Punto 313.


27 – V. sentenza «Tubi preisolati», punto 293.


28 – Sentenza 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione (Racc. pag. II‑491, punto 5045).


29 – Punto 367 della sentenza impugnata.


30 – Cit. alla nota 8.


31 – Ibidem, punto 278.


32 – Punto 41 della sentenza impugnata.


33 – Punti 430-433 della sentenza impugnata.


34 – V. punto 437 della sentenza impugnata.


35 – GU 1997, C 23, pag. 3.


36 – Sentenza 29 giugno 1995, causa T‑30/91, Solvay/Commissione (Racc. pag. II‑1775).


37 – V. punto 39 della sentenza impugnata.


38 – V. punto II.A.2 della comunicazione.


39 – Sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a. (detta «sentenza Cemento»; Racc. pag. I‑123, punti 71-73 e giurisprudenza ivi citata).


40 – V. punti 370-372 della sentenza impugnata.


41 – V. sentenza «Tubi preisolati», punto 327, e il richiamo ivi contenuto alla sentenza IAZ/Commissione.


42 – Decisione C(2002) 5083 def. del 17 dicembre 2002.

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