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Document 62004CC0244

    Conclusioni dell'avvocato generale Geelhoed del 15 settembre 2005.
    Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania.
    Inadempimento di uno Stato - Articolo 49 CE - Libera prestazione dei servizi - Impresa che occupa lavoratori cittadini di Stati terzi - Impresa che svolge prestazioni in un altro Stato membro - Regime del visto di lavoro.
    Causa C-244/04.

    Raccolta della Giurisprudenza 2006 I-00885

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2005:558

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    Geelhoed

    presentate il 15 settembre 2005 1(1)

    Causa C‑244/04

    Commissione delle Comunità europee

    contro

    Repubblica federale di Germania

    (Inadempimento di uno Stato – Art. 49 CE – Distacco di lavoratori di paesi terzi nell’ambito di una prestazione di servizi da parte di imprese stabilite in un altro Stato membro, subordinato al rilascio di un «visto di lavoro» che viene concesso solo se i lavoratori sono stati assunti dall’impresa almeno un anno prima del distacco)





    I –    Introduzione

    1.     Nel presente procedimento, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica federale di Germania ha contravvenuto all’art. 49 CE, per avere subordinato a determinati requisiti specifici il distacco di lavoratori di paesi terzi da parte di prestatori di servizi stabiliti in altri Stati membri dell’Unione europea.

    II – La normativa tedesca relativa al distacco di cittadini di paesi terzi

    2.     Il distacco di cittadini di paesi terzi in Germania è disciplinato dalla Ausländergesetz (legge tedesca sugli stranieri; in prosieguo: la «AuslG»), nella versione del 9 gennaio 2002, da un regolamento di attuazione e da una circolare del 15 maggio 1999 indirizzata alle rappresentanze consolari e diplomatiche tedesche in altri paesi (in prosieguo: la «circolare»).

    3.     Ai sensi degli artt. 1‑3 della AuslG, i cittadini stranieri, per poter entrare e soggiornare nel territorio tedesco, devono essere in possesso di un visto. Gli stranieri che intendano soggiornare in Germania per svolgere attività retribuite devono ottenere un’apposita autorizzazione al soggiorno rilasciata in forza di uno specifico regolamento di attuazione. La prassi vigente in materia di rilascio di tali visti speciali si fonda sulla circolare. Le imprese che intendono prestare servizi in Germania devono assicurarsi che i loro dipendenti di paesi terzi ottengano un visto presso la rappresentanza diplomatica tedesca nello Stato membro in cui esse hanno sede. Nell’esame delle relative richieste, l’autorità competente valuta se sussistano i criteri di seguito indicati, che sono diretti a dare attuazione alla giurisprudenza Vander Elst (2):

    a)      devono essere chiaramente indicate le date iniziale e finale del distacco del lavoratore di cui trattasi;

    b)      il lavoratore interessato dev’essere occupato stabilmente presso l’impresa distaccante, il che si verifica se il lavoratore è impiegato presso la stessa da almeno un anno;

    c)      il permesso di soggiorno e, se del caso, il permesso di lavoro rilasciati nello Stato membro di stabilimento devono garantire che il lavoratore interessato torni in detto Stato alle dipendenze dell’impresa distaccante al termine delle attività in Germania;

    d)      i lavoratori di paesi terzi devono essere iscritti al regime si sicurezza sociale dello Stato membro in cui è stabilito il datore di lavoro oppure fruire di una sufficiente copertura assicurativa privata contro le malattie e gli infortuni. La tutela garantita da tali regimi assicurativi deve coprire anche le attività svolte in Germania;

    e)      i lavoratori di paesi terzi devono essere in possesso di passaporto, il cui periodo di validità non può essere inferiore alla durata del soggiorno in Germania.

    III – Procedimento

    4.     La Commissione, con una lettera di diffida del 12 febbraio 1997, ha inizialmente sollevato la questione della compatibilità con l’art. 49 CE della procedura speciale applicata dalla Repubblica federale di Germania al distacco sul suo territorio di lavoratori provenienti da paesi terzi da parte di prestatori di servizi stabiliti in Stati membri dell’Unione europea. Alla diffida sono seguiti un parere motivato del 7 agosto 1998 e ulteriori richieste di informazioni nel 2000 e 2001.

    5.     Ritenendo che le informazioni fornite dal governo tedesco in risposta a tali richieste, da ultimo in data 28 novembre 2001, non consentissero di valutare adeguatamente la legittimità della normativa applicata al distacco in Germania di cittadini provenienti da paesi terzi, circa due anni e mezzo più tardi, il 4 giugno 2004, la Commissione ha deciso di adire la Corte con il presente ricorso. La Commissione chiede alla Corte di:

    1.      dichiarare che la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 49 CE, in quanto ha ostacolato in maniera di regola sproporzionata con la prassi introdotta da sue circolari il distacco nell’ambito di una prestazione di servizi di lavoratori cittadini di paesi terzi;

    2.      condannare la Repubblica federale di Germania alle spese.

    IV – Analisi

    A –    Ambito di valutazione

    6.     In limine, è d’uopo verificare se la speciale procedura applicata in Germania al distacco di cittadini di paesi terzi vada effettivamente esaminata alla luce dell’art. 49 CE. Benché in tale materia esista una normativa comunitaria, vale a dire la direttiva 96/71, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (3), tale direttiva si applica solo alle condizioni di lavoro e di occupazione e non all’ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato membro ospitante. Una proposta della Commissione diretta a disciplinare quest’ultimo aspetto mediante l’istituzione di una «carta CE di prestazione di servizi» (4) è stata ritirata nell’ottobre 2004 (5). Di conseguenza, il problema sollevato nella fattispecie non è disciplinato dal diritto comunitario derivato, bensì, come già precisato, dalle disposizioni del Trattato CE relative alla prestazione di servizi.

    7.     I principi fondamentali relativi all’applicazione delle disposizioni del Trattato in materia di libera prestazione di servizi nella Comunità sono stati indicati dalla Corte già da molto tempo. Conformemente a tale giurisprudenza, «l’art. 49 CE prescrive non solo l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, se sia tale da vietare, ostacolare o rendere meno interessanti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi» (6).

    8.     Tale regola generale, tuttavia, non è assoluta: «una normativa nazionale che rientri in un settore non ancora armonizzato a livello comunitario e che si applichi indistintamente a tutte le persone o le imprese che esercitano un’attività nel territorio dello Stato membro interessato può essere giustificata, nonostante i suoi effetti restrittivi sulla libera prestazione dei servizi, se risponde a ragioni imperative d’interesse generale, qualora tale interesse non sia già tutelato da norme cui il prestatore è soggetto nello Stato membro in cui risiede, purché sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vada oltre quanto necessario per il suo raggiungimento» (7).

    9.     Nelle cause vertenti sul distacco di lavoratori da parte di prestatori di servizi, in particolare, la Corte ha stabilito alcuni principi più specifici che sono pertinenti ai fini dell’analisi dei requisiti oggetto della presente controversia.

    10.   Nella sentenza Rush Portuguesa, la Corte ha ammesso che lo Stato membro ospitante deve poter accertare se un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro non si avvalga della libera prestazione di servizi ad un altro scopo. Controlli del genere devono però rispettare i limiti posti dal diritto comunitario, e in particolare quelli derivanti dalla libera prestazione di servizi che non può essere vanificata e il cui esercizio non può essere sottoposto alla discrezionalità dell’amministrazione (8).

    11.   La sentenza della Corte nella causa Vander Elst (9) è particolarmente pertinente ai fini della presente controversia, in quanto i requisiti specifici imposti dalla Repubblica federale di Germania al distacco di lavoratori di paesi terzi sono intesi a dare attuazione a tale giurisprudenza. Nella causa citata, che riguardava il distacco di lavoratori marocchini da parte di un’impresa belga nell’ambito di una prestazione di servizi in Francia, la Corte ha sottolineato che i lavoratori interessati risiedevano stabilmente in Belgio, era stato loro rilasciato un regolare permesso di lavoro (10) ed essi erano titolari di un regolare contratto di lavoro (11). In tali circostanze, l’applicazione del regime belga escludeva rischi sensibili di sfruttamento dei lavoratori e di alterazione della concorrenza fra le imprese (12). La Corte ha dichiarato che «[g]li artt. [49 CE e 50 CE] devono essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro imponga alle imprese stabilite in un altro Stato membro, che si rechino sul territorio del primo Stato per effettuarvi una prestazione di servizi e che abbiano alle loro dipendenze, in maniera regolare e stabile, cittadini di paesi terzi, l’obbligo di ottenere, per tali lavoratori, un permesso di lavoro rilasciato da un ente nazionale per l’immigrazione, nonché quello di pagare le relative spese, comminando, in caso contrario, un’ammenda amministrativa» (13). A partire da tale pronuncia, si è fatto riferimento ai termini «in maniera regolare e stabile» come ai criteri Vander Elst.

    12.   Per quanto riguarda le ragioni imperative d’interesse generale che possono giustificare restrizioni al distacco di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi, la Corte ha ammesso, tra l’altro nella sentenza Arblade e Leloup, che esse comprendono la tutela dei lavoratori, ma non considerazioni di ordine meramente amministrativo. «Tuttavia, le ragioni imperative d’interesse generale che giustificano le disposizioni sostanziali di una normativa possono altresì giustificare le misure di controllo necessarie per garantirne l’osservanza» (14).

    13.   Infine, in tale contesto, occorre richiamarsi alla sentenza Commissione/Lussemburgo (15), che riguarda norme nazionali analoghe, ancorché non identiche, a quelle ora in esame, e costituisce quindi un utile precedente per esaminare il ricorso della Commissione. Più in particolare, il Lussemburgo imponeva a un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro di ottenere un permesso individuale di lavoro o un’autorizzazione collettiva di lavoro al fine di distaccare propri dipendenti cittadini di paesi terzi che risiedevano e lavoravano regolarmente in detto Stato. Il rilascio di tali permessi era subordinato a considerazioni relative al mercato del lavoro, all’esistenza di un contratto a tempo indeterminato e alla circostanza che i lavoratori fossero occupati presso lo stesso prestatore di servizi da almeno sei mesi. La Corte ha dichiarato che tali misure erano inadeguate a conseguire l’obiettivo di tutela dei lavoratori (16).

    B –    Portata del ricorso

    14.   Il ricorso della Commissione ha portata limitata, in quanto non contesta tutti i criteri, elencati al precedente paragrafo 3, che vengono applicati dalla Repubblica federale di Germania per il rilascio dell’autorizzazione speciale al distacco di cittadini di paesi terzi sul territorio tedesco da parte di un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro. Il ricorso si incentra invece su due aspetti particolari della procedura speciale che la Commissione ritiene incompatibili con l’art. 49 CE. Il primo riguarda il fatto che la verifica dei criteri deve avere luogo prima che i servizi vengano prestati, dal che discende che la procedura ha sostanzialmente carattere preventivo. Il secondo riguarda il requisito secondo cui i cittadini di paesi terzi devono essere occupati presso il prestatore di servizi da almeno un anno.

    C –    Il carattere preventivo della procedura di autorizzazione

    15.   La Commissione precisa, in limine, di non contestare le condizioni per la concessione del visto e i controlli preventivi nella misura in cui sono giustificati da motivi d’ordine pubblico, di sicurezza e di sanità pubblica. La Commissione non contesta neanche i controlli diretti a verificare il rispetto dei cosiddetti criteri Vander Elst. L’unica critica riguarda il fatto che, conformemente alla prassi tedesca, tale verifica deve avere luogo prima del distacco dei lavoratori interessati sul territorio tedesco. È evidente che, se viene concessa un’autorizzazione sotto forma di «Arbeitsvisum» (visto di lavoro), senza tale documento un lavoratore non può essere distaccato sul territorio tedesco per prestare i servizi forniti dal suo datore di lavoro. Pertanto, tale condizione costituisce una restrizione alla libera prestazione di servizi. La Commissione osserva che la procedura travalica i controlli necessari per motivi di ordine pubblico. Inoltre, poiché non si applica a tutti i soggetti che prestano servizi in Germania, detta procedura non soddisfa i requisiti necessari perché la si possa ritenere giustificata per ragioni imperative d’interesse pubblico. Peraltro, la Commissione sostiene che potrebbero adottarsi misure meno restrittive, quali controlli a posteriori, per conseguire l’obiettivo di garantire che i lavoratori tornino nello Stato membro d’origine. Tale controllo potrebbe essere svolto quando una persona adempie l’obbligo di registrazione nel momento in cui si stabilisce in Germania.

    16.   Il governo tedesco osserva che la prassi vigente in materia di rilascio dei visti non lascia alcuna discrezionalità alle rappresentanze diplomatiche e che i permessi di soggiorno vengono concessi automaticamente entro sette giorni. Pertanto, esso dubita che tale prassi costituisca una restrizione significativa della libera prestazione di servizi. I cosiddetti visti Vander Elst sono richiesti solo in un numero limitato di casi, in particolare quando cittadini di paesi terzi non possono spostarsi liberamente alle condizioni previste dalla Convenzione che dà attuazione all’Accordo di Schengen e quando è richiesto il visto in conformità del regolamento n. 539/2001 (17).

    17.   Il governo tedesco sostiene che gli Stati membri hanno un interesse legittimo a svolgere controlli preventivi per individuare gli abusi della libera prestazione di servizi e impedire che vengano aggirate le norme nazionali e comunitarie in materia di occupazione dei cittadini di paesi terzi. A suo parere, i controlli preventivi sono giustificati da motivi di certezza del diritto e di tutela dei lavoratori. La procedura applicata in Germania andrebbe considerata come una misura adeguata, in quanto la semplice presentazione del passaporto non costituisce una prova del fatto che il titolare è regolarmente occupato nello Stato membro di origine. I controlli a posteriori menzionati dalla Commissione non sarebbero adeguati. Ciò varrebbe in particolare per la possibilità di svolgere controlli all’atto della registrazione obbligatoria nel momento in cui viene presa la residenza. Oltre al fatto che i lavoratori distaccati di solito non hanno intenzione di prendere la residenza in Germania, la registrazione dei residenti rientra nella competenza dei Bundesländer, mentre sono le autorità federali ad essere competenti per quanto riguarda le condizioni relative all’ingresso e al soggiorno in Germania. La verifica dell’osservanza dei criteri Vander Elst nell’ambito di un’unica procedura amministrativa per il rilascio di un visto risulta meno onerosa per il lavoratore interessato, il suo datore di lavoro e l’amministrazione.

    18.   Anzitutto, si deve accertare se l’obbligo di un prestatore di servizi di ottenere, prima di fornire servizi in Germania mediante propri dipendenti cittadini di paesi terzi, che la rappresentanza diplomatica tedesca dello Stato membro di stabilimento verifichi che tali dipendenti soddisfano determinati criteri, in mancanza dei quali il prestatore non può disporne il distacco in Germania, costituisce chiaramente una restrizione alla libera prestazione di servizi di cui all’art. 49 CE. A prescindere dalla circostanza che rispettare tale procedura equivalga o meno all’ottenimento formale di un permesso di lavoro per i lavoratori interessati analogo a quelli in discussione nelle cause Vander Elst (18) e Commissione/Lussemburgo (19), è chiaro che gli effetti sul prestatore di servizi, per quanto riguarda l’esercizio dei diritti conferitigli dalla menzionata disposizione del Trattato, sono gli stessi. Anche in questo caso, occorre applicare la giurisprudenza della Corte sopra richiamata, secondo cui i permessi di lavoro controversi costituivano restrizioni alla libera prestazione di servizi (20).

    19.   Anche il governo tedesco sembra ammettere che la procedura applicata in Germania ha carattere restrittivo quando afferma che essa non costituisce una «restrizione significativa» (nennenswerten Beeinträchtigung) della libera prestazione di servizi. In ogni caso, è chiaro che, fino ad ora, la Corte non ha riconosciuto alcuna norma de minimis in questo settore.

    20.   Si pone quindi il problema se si possa giustificare la procedura speciale con i motivi di interesse pubblico invocati dal governo tedesco. Quest’ultimo si richiama, in particolare, alla considerazione svolta dalla Corte nella sentenza Rush Portuguesa, secondo cui gli Stati membri devono poter accertare se un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro non si avvalga della libera prestazione di servizi per un altro scopo, ad esempio quello di far venire il proprio personale a fini di collocamento (21). Poiché i controlli mirano a verificare se i lavoratori in questione siano occupati «in maniera regolare e stabile» nello Stato membro di stabilimento, come precisa la sentenza Vander Elst, e sono quindi intesi a dare attuazione ad un obbligo di diritto comunitario, il governo tedesco li considera giustificati. Gli altri motivi di giustificazione addotti dal governo tedesco in questo contesto sono la certezza del diritto e la tutela dei lavoratori.

    21.   Va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza della Corte citata al precedente paragrafo 8, per poter invocare le ragioni imperative di pubblico interesse in relazione a una misura che limita la libera prestazione di servizi, tale misura dev’essere indistintamente applicabile a tutte le persone e le imprese che operano nel territorio dello Stato membro in cui dev’essere prestato il servizio (22). Se la misura che limita la prestazione di servizi non risponde a tale criterio, essa può essere giustificata solo per i motivi indicati all’art. 55 CE, in combinato disposto con gli artt. 45 CE e 46 CE.

    22.   Ci si può quindi chiedere se la procedura speciale adottata dalle autorità tedesche si applichi indistintamente ai prestatori di servizi stabiliti all’interno e all’esterno della Germania. Per sua stessa natura, tale procedura riguarda i prestatori di servizi stabiliti in altri Stati membri. Tuttavia, a tale proposito occorre mantenere distinte, da un lato, le misure sostanziali che disciplinano la prestazione di servizi e, dall’altro, quelle dirette a verificare l’osservanza di tali misure. Mentre è chiaro che le misure sostanziali devono essere applicate allo stesso modo a tutte le imprese che forniscono servizi nel territorio di uno Stato membro, a mio parere si deve ammettere che la verifica dell’applicazione può richiedere un approccio diverso in caso di prestazione transfrontaliera di servizi, in quanto i prestatori di servizi rientrano solo temporaneamente nella sfera di competenza dello Stato membro ospitante.

    23.   Anche la Corte, in molte sentenze relative ad analoghe condizioni cui veniva subordinato il distacco di lavoratori da parte di un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro, ha ammesso che gli Stati membri devono vigilare sul rispetto delle norme nazionali e comunitarie in materia di prestazione di servizi. Nella sentenza Rush Portuguesa, la Corte ha ammesso che gli Stati membri devono poter accertare se non sussista un abuso della libera prestazione di servizi, consistente ad esempio nel collocamento di lavoratori provenienti da paesi terzi sul mercato del lavoro dello Stato membro ospitante (23). Nella sentenza Arblade e Leloup, la Corte ha ammesso che possono essere giustificate misure di controllo dirette a garantire l’osservanza di obblighi giustificati a loro volta da motivi d’interesse pubblico (24). Pur accettando il principio secondo cui devono potersi effettuare controlli, la Corte ha anche sottolineato che essi devono rispettare i limiti posti dal diritto comunitario e non devono vanificare la libera prestazione dei servizi (25).

    24.   L’obiettivo principale della procedura speciale applicata dalla Repubblica federale di Germania consiste nel verificare l’adempimento degli obblighi imposti dal diritto comunitario, e più in particolare dall’art. 49 CE, quale interpretato dalla Corte nella sentenza Vander Elst. Tali obblighi sono intesi a garantire che i cittadini di paesi terzi siano regolarmente residenti e occupati nello Stato membro in cui ha sede il prestatore di servizi. Ciò richiede, tra l’altro, che il loro rapporto di lavoro sia disciplinato dalla legislazione sociale dello Stato membro di stabilimento in modo da minimizzare i rischi di abusi della libera prestazione di servizi diretti ad eludere la legislazione sociale dello Stato membro ospitante, nonché i rischi di dumping sociale. Alla luce della giurisprudenza della Corte sopra citata, i controlli intesi a verificare l’adempimento di obblighi di per sé giustificati da motivi di pubblico interesse, in linea di principio, vanno ritenuti a loro volta giustificati.

    25.   Come ho già rilevato, tuttavia, la Corte ha anche precisato che tali controlli devono rispettare i limiti posti dal diritto comunitario. Più in particolare, essi devono risultare adeguati per raggiungere i loro obiettivi e non devono limitare la libera prestazione di servizi in misura superiore al necessario. A tale proposito, la Commissione afferma che i controlli a posteriori consentirebbero alle autorità tedesche di verificare i vari dati da esse ritenuti necessari per garantire che i cittadini di paesi terzi distaccati nel loro territorio da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro tornino in detto Stato e comunque non vantino diritti a prestazioni in Germania.

    26.   Infatti, è evidente che controlli successivi all’inizio della prestazione di servizi costituirebbero una misura meno restrittiva rispetto ai controlli preventivi attualmente applicati dalla Repubblica federale di Germania. Tuttavia, affinché tali controlli siano efficaci, le autorità dello Stato membro ospitante devono ricevere le informazioni pertinenti in tempo utile per poter adottare, se del caso, le misure necessarie per tutelare interessi pubblici. A tale proposito, concordo con il governo tedesco sul fatto che differire i controlli fino al momento in cui l’interessato chieda di essere registrato in Germania, come suggerito dalla Commissione, non risponderebbe adeguatamente alle preoccupazioni del governo tedesco.

    27.   D’altro canto, pretendere che il prestatore di servizi semplicemente dichiari quali attività intende svolgere in Germania e specifichi, al momento dell’inizio delle attività, i dati necessari dei cittadini di paesi terzi che intende distaccare a tal fine, consentirebbe alle autorità tedesche di controllare e verificare tali dati senza limitare indebitamente la prestazione di servizi. Nella sentenza Commissione/Lussemburgo, la Corte ha fatto espressamente riferimento a tale misura meno restrittiva in quanto alternativa altrettanto efficace ai permessi di lavoro richiesti dalle autorità lussemburghesi (26).

    28.   Aggiungerei che, in generale, le imprese che intendono operare temporaneamente nel territorio di un altro Stato membro mediante lavoratori di paesi terzi devono garantire che questi ultimi siano regolarmente residenti nello Stato membro di stabilimento e che le loro condizioni di occupazione siano conformi alla legislazione sociale pertinente. Se tale certezza giuridica può essere fatta valere quale motivo autonomo di interesse generale, cosa di cui dubito, essa non può essere invocata per giustificare il fatto che tali controlli preventivi garantiscono chiarezza a priori ai prestatori di servizi di altri Stati membri. Si deve presumere che le imprese in buona fede operino conformemente alla legislazione sociale e alla normativa in materia di immigrazione vigenti nello Stato membro di stabilimento. Lo Stato membro ospitante può applicare la propria legislazione sociale ai prestatori di servizi di altri Stati membri se essa garantisce una tutela maggiore di quella dello Stato membro in cui è stabilito il prestatore di servizi (27). In tali circostanze, è più opportuno che lo Stato membro ospitante limiti il suo intervento alla verifica delle necessarie informazioni fornite dal prestatore di servizi all’inizio delle attività in detto Stato e adotti, se del caso, provvedimenti repressivi.

    29.   Pertanto, concludo che, assoggettando ad una procedura di autorizzazione preventiva il distacco di cittadini di paesi terzi effettuato da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato per fornire servizi sul territorio tedesco, la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza dell’art. 49 CE.

    D –    Il requisito dell’occupazione da un anno presso lo stesso datore di lavoro

    30.   Secondo la Commissione, il fatto che un prestatore di servizi possa distaccare solo cittadini di paesi terzi che sono alle sue dipendenze da almeno un anno per effettuare servizi in Germania costituisce una palese limitazione della libera prestazione di servizi. Tale requisito non rientra tra i criteri indicati nella sentenza Vander Elst, secondo cui i cittadini di paesi terzi devono essere alle dipendenze, «in maniera regolare e stabile», del prestatore di servizi. Infatti, la Commissione osserva che il requisito dell’occupazione regolare e stabile, anziché costituire una specifica condizione imposta dalla Corte, rispecchia semplicemente il tenore della questione pregiudiziale sollevata dal giudice nazionale nella causa citata. La Commissione fa inoltre riferimento al fatto che la Corte, nella sentenza Commissione/Lussemburgo, ha espressamente escluso la possibilità di giustificare una condizione del genere per motivi di tutela sociale (28).

    31.   Il governo tedesco osserva che il requisito dell’occupazione da un anno presso lo stesso prestatore di servizi va considerato quale applicazione del criterio che consente di considerare il lavoratore occupato «in maniera regolare e stabile» definito dalla sentenza della Corte nella causa Vander Elst. Tale requisito costituirebbe uno strumento adeguato ed efficace per garantire l’effettività della legislazione nazionale e comunitaria relativa alla tutela dei lavoratori e alla prevenzione del dumping sociale e retributivo. Tali obiettivi sarebbero in linea con la direttiva 96/71. Inoltre, il suddetto requisito sarebbe necessario anche per garantire le prerogative degli Stati membri per quanto riguarda il controllo dell’ammissione dei cittadini di paesi terzi sul loro mercato del lavoro.

    32.   Il governo tedesco afferma che la Commissione sbaglia nel delineare un’analogia tra la sentenza della Corte nella causa Commissione/Lussemburgo e la fattispecie ora in esame, in quanto sarebbe stato l’effetto cumulativo delle condizioni relative al permesso di lavoro, alla durata del rapporto di lavoro e alla prestazione di una garanzia bancaria ad indurre la Corte a dichiarare che le misure lussemburghesi erano sproporzionate e quindi incompatibili con l’art. 49 CE. Il governo tedesco osserva inoltre che nel valutare le modalità di attuazione della sentenza della Corte nella causa Vander Elst, il Comitato K.4 ha stimato che un rapporto di lavoro di almeno un anno doveva essere accettato quale indizio del fatto che il lavoratore era regolarmente e stabilmente assunto nello Stato membro di origine. Il governo tedesco rileva altresì che la stessa Commissione, nella sua proposta di direttiva relativa alle condizioni di trasferta dei lavoratori dipendenti cittadini di un paese terzo nell’ambito di una prestazione di servizi oltrefrontiera (29), ha ritenuto che la durata del rapporto di lavoro non dovesse essere inferiore a sei mesi. Infine, il governo tedesco dichiara di avere intenzione di sostituire il requisito dell’occupazione da almeno un anno con un criterio più flessibile, ad esempio rapportando la durata del rapporto di lavoro a quella della prestazione di servizi sul territorio tedesco.

    33.   La questione della compatibilità con l’art. 49 CE del requisito relativo alla durata del rapporto con lo stesso datore di lavoro è già stata risolta dalla Corte nella sentenza Commissione/Lussemburgo (30). In detta causa, la Corte ha dichiarato che «(…) il fatto che la concessione di un’autorizzazione di lavoro collettiva sia subordinata all’esistenza di contratti di lavoro a tempo indeterminato che leghino da almeno sei mesi prima dell’inizio del distacco sul territorio lussemburghese i lavoratori alla loro impresa di origine, va oltre quanto può essere preteso in nome dell’obiettivo della tutela sociale come condizione necessaria per effettuare prestazioni di servizi tramite un distacco di lavoratori cittadini di uno Stato terzo» (31).

    34.   Benché l’autorizzazione speciale al distacco di cittadini di paesi terzi nell’ambito di una prestazione di servizi in Germania non sia subordinata all’esistenza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, la condizione dell’occupazione permanente presso il prestatore di servizi, che sussiste solo nel caso in cui il lavoratore sia impiegato da un anno presso lo stesso datore di lavoro, costituisce un criterio ancora più restrittivo di quello imposto dal Lussemburgo. Alla luce della sentenza della Corte nella causa Commissione/Lussemburgo, tale requisito, applicato nel contesto della procedura di autorizzazione speciale quale condizione per il rilascio dell’autorizzazione speciale al distacco di cittadini di paesi terzi in Germania nell’ambito di una prestazione di servizi, non può essere considerato uno strumento adeguato per conseguire gli obiettivi menzionati dal governo tedesco.

    35.   Infatti, se il governo tedesco afferma che tale condizione è stata imposta al fine di garantire che i lavoratori interessati possano acquisire familiarità con le norme vigenti in materia di lavoro, nonché tutelare le proprie prerogative per quanto riguarda il controllo dell’ammissione sul mercato del lavoro nazionale, non è chiaro come un periodo predeterminato di precedente occupazione possa contribuire a raggiungere tali obiettivi, né se esso sia necessario a tal fine. In ogni caso, come la Corte ha ripetutamente osservato, è inerente al distacco dei lavoratori il fatto che gli interessati tornino nel paese in cui è stabilito il prestatore di servizi dopo avere svolto il loro compito e non pretendano di accedere al mercato del lavoro dello Stato membro in cui viene prestato il servizio (32).

    36.   Il problema del dumping sociale, anch’esso menzionato dal governo tedesco, può essere affrontato con altri mezzi, dato che la Corte ha ammesso che gli Stati membri possono estendere le loro leggi o i contratti collettivi di lavoro stipulati tra le parti sociali in materia di salari minimi a chiunque svolga un lavoro subordinato, ancorché temporaneo, nel loro territorio, indipendentemente dal paese in cui è stabilito il datore di lavoro (33). Inoltre, anche la direttiva 96/71 prevede garanzie a questo proposito.

    37.   Va respinto anche il tentativo del governo tedesco di mantenere distinte la procedura da esso applicata e le condizioni esaminate nella causa Commissione/Lussemburgo in base al rilievo che la Corte avrebbe dichiarato che dette condizioni erano incompatibili con l’art. 49 CE solo in ragione del loro effetto cumulativo. A parte il fatto che ognuna delle condizioni applicate dal Lussemburgo costituiva una restrizione alla libera prestazione di servizi, anche le condizioni imposte nel contesto della procedura speciale si applicano cumulativamente.

    38.   In generale, da una lettura più attenta della sentenza Vander Elst emerge la questione se possa ritenersi che in tale pronuncia la Corte abbia effettivamente stabilito un criterio specifico e, in caso affermativo, di quale criterio si tratti. Come ha osservato la Commissione, menzionando, nel dispositivo, il fatto che i cittadini di paesi terzi sono alle dipendenze, «in maniera regolare e stabile», del prestatore di servizi, la Corte ha semplicemente ripreso la formula della questione pregiudiziale sottopostale dal giudice nazionale. Tale circostanza potrebbe essere considerata come un indizio del fatto che la Corte non intendeva stabilire un criterio autonomo.

    39.   D’altro canto, la Corte, nella motivazione, ha attribuito particolare importanza al fatto che i lavoratori interessati nella causa Vander Elst risiedevano regolarmente nello Stato membro d’origine (Belgio), avevano ottenuto un permesso di lavoro in tale paese ed erano in possesso di un regolare contratto di lavoro. Poiché, quindi, la loro situazione era interamente disciplinata dal diritto belga, non vi era alcun rischio concreto che essi potessero essere sfruttati o che venisse alterata la concorrenza fra le imprese.

    40.   Ritengo quindi che la Corte abbia evidenziato l’esigenza di garantire che solo i lavoratori di paesi terzi regolarmente residenti nello Stato membro in cui è stabilito il prestatore di servizi e regolarmente occupati presso tale prestatore nello Stato membro in questione possano essere distaccati al fine di effettuare servizi in altri Stati membri senza che lo Stato membro ospitante imponga ulteriori restrizioni a questi due soggetti. È significativo il fatto che la Corte non abbia subordinato l’esistenza di tali condizioni a una precisa durata della residenza o del rapporto di lavoro. Ciò significa che essa non ha attribuito alla circostanza di essere occupato «in maniera stabile» nello Stato membro d’origine l’importanza attribuitale dal Lussemburgo, dalla Repubblica federale di Germania e dal Comitato K.4.

    41.   Ritengo quindi che il fatto di essere occupato «in maniera stabile» non abbia rilevanza autonoma. La questione della regolarità del rapporto di lavoro va risolta in base alla legge dello Stato membro che disciplina il contratto di lavoro. Pertanto, lo Stato membro in cui dev’essere prestato il servizio non può applicare criteri propri per stabilire la regolarità del rapporto di lavoro dei lavoratori distaccati da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro. Lo Stato membro ospitante può soltanto verificare che i cittadini di paesi terzi, distaccati nel suo territorio al fine di prestare servizi per conto di un’impresa stabilita in un altro Stato membro, siano effettivamente residenti e occupati in detto Stato membro in conformità delle leggi vigenti in tale Stato (34).

    42.   Pertanto, concludo nel senso che che la condizione per cui un cittadino di un paese terzo distaccato in Germania nell’ambito di una prestazione di servizi dev’essere occupato in maniera stabile presso l’impresa distaccante, circostanza che sussiste solo nel caso in cui il lavoratore sia alle dipendenze della detta impresa da almeno un anno, è incompatibile con l’art. 49 CE.

    V –    Conclusione

    43.   Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di:

    1) dichiarare che la Repubblica federale di Germania,

    –       subordinando ad una procedura di autorizzazione preventiva il distacco di lavoratori cittadini di paesi terzi nell’ambito di una prestazione di servizi nel suo territorio e

    –       prescrivendo che i lavoratori interessati debbano essere stabilmente occupati presso l’impresa che presta i servizi in Germania, condizione che sussiste solo nel caso in cui i lavoratori siano stati assunti da almeno un anno,

    è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza dell’art. 49 CE;

    2) condannare la Repubblica federale di Germania alle spese.


    1 – Lingua originale: l’inglese.


    2 – Sentenza 9 agosto 1994, causa C‑43/93 (Racc. pag. I‑3803). V. infra, paragrafo 11.


    3 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 1996 (GU 1997 L 18, pag. 1; in prosieguo: la direttiva 96/71).


    4 – Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di trasferta dei lavoratori dipendenti cittadini di un paese terzo nell’ambito di una prestazione di servizi oltrefrontiera (GU 1999, C 67, pag. 12, come modificata in COM(2000) 271 def. dell’8 maggio 2000).


    5 – COM(2004) 542 def/2, punto 8.


    6 – V., tra l’altro, sentenze 21 ottobre 2004, causa C‑445/03, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I‑10191, punto 20), 23 novembre 1999, cause riunite C‑369/96 e C‑376/96, Arblade e Leloup (Racc. pag. I‑8453, punto 33), e Vander Elst, citata alla nota 2, punto 14.


    7 – V., tra l’altro, sentenze Commissione/Lussemburgo, punto 21, e Arblade e Leloup, punti 34 e 35, citate alla nota precedente.


    8 – Sentenza 27 marzo 1990, causa C‑113/89 (Racc. pag. I‑1417, punto 17).


    9 – Citata alla nota 2.


    10 – Punto 18.


    11 – Punto 24.


    12 – Punto 25.


    13 – Dispositivo. Il corsivo è mio.


    14 – Sentenza Arblade e Leloup, citata alla nota 6, punti 36-38.


    15 – Citata alla nota 6.


    16 – V. punti 30‑36.


    17 – Regolamento (CE) del Consiglio 15 marzo 2001, n. 539, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (GU 2001 L 81, pag. 1).


    18 – Citata alla nota 2.


    19 – Citata alla nota 6.


    20 – Sentenze Vander Elst, punto 15, e Commissione/Lussemburgo, punto  24.


    21 – Citata alla nota 8, punto 17.


    22 – V. supra, paragrafo 8 e giurisprudenza ivi citata.


    23 – Citata alla nota 8, punto 17.


    24 – Citata alla nota 6, punto 38.


    25 – Sentenza Rush Portuguesa, citata alla nota 8, punto 17.


    26 – Citata alla nota 6, punto 31.


    27 – V., tra l’altro, sentenze Rush Portuguesa, citata alla nota 8, punto 18, e Commissione/Lussemburgo, citata alla nota 6, punto 29.


    28 – Citata alla nota 6, punto 32.


    29 – Citata alla nota 4.


    30 – Citata alla nota 6.


    31 – Punto 32.


    32 – V., tra l’altro, sentenze Rush Portuguesa, citata alla nota 8, punto 15, e Commissione/Lussemburgo, citata alla nota 6, punto 38.


    33 – V., tra l’altro, sentenza Arblade e Leloup, citata alla nota 6, punto 41.


    34 – Su questo punto v. conclusioni dell’avvocato generale Tesauro nella causa Vander Elst, citata alla nota 6, paragrafo 27, che assume una posizione analoga.

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