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Document 62003TJ0279

Sentenza del Tribunale (Seconda Sezione ampliata) del 10 maggio 2006.
Galileo International Technology LLC e a. contro Commissione europea.
Causa T-279/03.

Raccolta della Giurisprudenza 2006 II-01291

ECLI identifier: ECLI:EU:T:2006:121

Causa T-279/03

Galileo International Technology LLC e altri

contro

Commissione delle Comunità europee

«Ricorso per risarcimento danni — Responsabilità extracontrattuale della Comunità — Progetto comunitario di sistema globale di radionavigazione satellitare (Galileo) — Danno lamentato dai titolari di marchi e di nomi commerciali contenenti il termine “Galileo” — Responsabilità della Comunità in assenza di un comportamento illecito dei suoi organi — Danno anormale e speciale»

Sentenza del Tribunale (Seconda Sezione ampliata) 10 maggio 2006 

Massime della sentenza

1.     Procedura — Atto introduttivo del ricorso — Requisiti di forma

(Statuto della Corte di giustizia, artt. 21, primo comma, e 53, primo comma; regolamento di procedura del Tribunale, art. 44, n. 1)

2.     Ricorso per risarcimento danni — Competenza del giudice comunitario

(Artt. 235 CE e 288, secondo comma, CE)

3.     Marchio comunitario — Ravvicinamento delle legislazioni — Marchi — Interpretazione del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 — Diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso illecito del suo marchio — Segno identico o simile al marchio

[Regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. b); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n. 1, lett. b)]

4.     Responsabilità extracontrattuale — Uso, da parte di un’istituzione comunitaria, di un segno per designare un progetto

(Art. 288, secondo comma, CE)

5.     Responsabilità extracontrattuale — Presupposti

[Art. 288, secondo comma, CE; regolamento del Consiglio n. 40/94, art. 9, n. 1, lett. b); direttiva del Consiglio 89/104, art. 5, n.  1, lett. b)]

1.     Ai sensi dell’art. 21, primo comma, e dell’art. 53, primo comma, dello Statuto della Corte, nonché dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura del Tribunale, il ricorso deve indicare l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Tale indicazione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire al convenuto di preparare la sua difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso.

Nel caso di un ricorso diretto ad ottenere il risarcimento dei danni che si asseriscono causati da un’istituzione comunitaria, censure ricavate dall’inosservanza dei diritti derivanti da marchi nazionali registrati negli Stati membri della Comunità, quali definiti dall’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, in materia di marchi, non possono essere dichiarate irricevibili per il fatto che il ricorrente abbia omesso di fornire precisazioni sulle normative nazionali di cui si lamenta la violazione. Infatti, un riferimento all’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva dev’essere considerato sufficientemente chiaro e preciso dal momento che questa disposizione realizza un’armonizzazione delle norme relative ai diritti conferiti dal marchio, definisce il diritto esclusivo di cui godono i titolari di marchi all’interno della Comunità ed è pacifico che è stata recepita nell’ordinamento nazionale degli Stati membri, in cui i marchi invocati sono registrati.

Viceversa, dal momento che l’art. 5, nn. 2 e 5, della direttiva si limita a consentire agli Stati membri di prevedere una tutela rafforzata dei marchi che godono di notorietà, una censura relativa ad una violazione di questa disposizione dev’essere dichiarata irricevibile in mancanza di indicazioni, nel ricorso, riguardanti la specifica notorietà dei marchi interessati e le modalità della tutela riconosciuta dall’una o dall’altra delle normative nazionali ai medesimi collegata.

Peraltro, nel caso di marchi registrati in paesi terzi, un rinvio alla direttiva non può rimediare alla mancanza di precisazioni relative alla natura e alla portata dei diritti di marchio che si asseriscono conferiti dalle legislazioni extracomunitarie rilevanti.

(v. punti 36, 40-42, 44-45)

2.     Dagli artt. 288, secondo comma, CE e 235, CE discende che il giudice comunitario è competente a imporre alla Comunità qualsiasi forma di risarcimento conforme ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri in materia di responsabilità extracontrattuale incluso, se appare conforme a tali principi, il risarcimento in natura, eventualmente anche sotto forma di ingiunzione di fare o di non fare.

A tal riguardo, la protezione uniforme, conferita al titolare di un marchio nazionale intracomunitario, conformemente all’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104, in materia di marchi, in forza del quale un marchio siffatto abilita il suo titolare a «vietare ai terzi» di farne uso, rientra tra i principi generali e comuni ai diritti degli Stati membri, ai sensi dell’art. 288, secondo comma, CE. Infatti, la direttiva 89/104 ha come obiettivo, in materia di marchi, che i marchi nazionali registrati godano di una protezione uniforme in tutti gli Stati membri e l’art. 5, n. 1, della medesima realizza un’armonizzazione in seno alla Comunità delle norme relative ai diritti conferiti da un marchio. Inoltre, il regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, il quale, in forza dell’art. 249, secondo comma, CE, è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri, prevede, nell’art. 98, n. 1, che, qualora un tribunale dei marchi comunitari accerti che il convenuto ha contraffatto un marchio comunitario o commesso atti che costituiscono minaccia di contraffazione, emetta un’ordinanza «vietandogli (…) di continuare gli atti di contraffazione» e adotti le misure dirette ad assicurare l’osservanza del divieto.

Se è vero che la protezione uniforme del titolare di un marchio si attua negli Stati membri attraverso la possibilità procedurale dei giudici nazionali competenti di emettere sentenze che vietano al convenuto di pregiudicare il diritto di marchio invocato, la Comunità, in linea di principio, non può sfuggire ad una misura procedurale corrispondente da parte del giudice comunitario, in quanto tale giudice ha competenza esclusiva a statuire sui ricorsi per il risarcimento di un danno ad essa imputabile.

(v. punti 63-67)

3.     Le disposizioni dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, in materia di marchi, e dell’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, sul marchio comunitario, subordinano la tutela del titolare del marchio, in primo luogo, all’esistenza di un rischio di confusione provocato, in particolare, dall’identità o dalla somiglianza dei prodotti o dei servizi designati dal marchio e dal segno di cui trattasi e, in secondo luogo, al fatto che l’uso del segno in causa da parte di un terzo possa essere qualificato come «us[o] nel commercio».

Pertanto, l’uso di un segno da parte di un’istituzione comunitaria per designare un progetto comunitario può violare le dette disposizioni solo qualora sia dimostrato che quest’uso è stato realizzato per designare prodotti o servizi simili o identici ai prodotti e servizi oggetto dei marchi invocati e che esso si iscrive nel contesto di un’attività commerciale finalizzata ad un vantaggio economico.

(v. punti 105-106, 111, 114)

4.     Soltanto gli atti o i comportamenti imputabili ad un’istituzione o ad un organo comunitario possono far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità. Infatti, il danno lamentato deve derivare in modo sufficientemente diretto dal comportamento contestato, cioè tale comportamento dev’essere la causa determinante del danno. Per contro, non incombe alla Comunità l’obbligo di risarcire qualsiasi conseguenza dannosa, anche lontana, del comportamento dei suoi organi.

Nell’ipotesi dell’uso del segno, prescelto da un’istituzione per designare un progetto comunitario, da parte di imprese private interessate al detto progetto in relazione alle loro attività economiche, non sussiste una responsabilità della Comunità dal momento che quest’uso si basa sulla scelta che queste imprese hanno compiuto autonomamente. Infatti, poiché si suppone che le imprese conoscano il diritto comunitario e il diritto che disciplina la materia dei marchi, appare corretto considerare che esse devono essere ritenute responsabili, sulla base delle pertinenti norme giuridiche, del proprio comportamento sul mercato. Ne consegue che una scelta siffatta dev’essere considerata come causa diretta e determinante del danno lamentato, mentre l’eventuale apporto della Commissione a tale danno è troppo remoto perché la responsabilità che incombe alle imprese in causa possa essere riversata su di essa.

(v. punti 129-130, 132, 134-135)

5.     Nel caso di un danno causato da un comportamento delle istituzioni della Comunità la cui illiceità non è dimostrata, la responsabilità extracontrattuale della Comunità può sorgere quando siano cumulativamente soddisfatte le condizioni relative all’esistenza effettiva del danno, al nesso di causalità tra il danno e il comportamento delle istituzioni comunitarie e al carattere anormale e speciale del danno in questione. Quanto ai danni che gli operatori economici possono subire a causa delle attività delle istituzioni comunitarie, un pregiudizio è anormale quando supera i limiti dei rischi economici inerenti alle attività nel settore di cui trattasi.

A tal riguardo, il danno causato dall’uso, da parte di un’istituzione comunitaria, di un termine per designare un progetto non può essere considerato tale da superare i limiti dei rischi inerenti allo sfruttamento del medesimo termine a titolo di marchio dal momento che, a causa delle caratteristiche del termine prescelto, il titolare del marchio si è volontariamente esposto al rischio che qualcun altro potesse legittimamente, cioè senza pregiudicare nessun diritto di marchio, intitolare allo stesso nome un siffatto progetto.

(v. punti 147-150)




SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

10 maggio 2006 (*)

«Ricorso per risarcimento danni – Responsabilità extracontrattuale della Comunità – Progetto comunitario di sistema globale di radionavigazione satellitare (Galileo) – Danno lamentato dai titolari di marchi e di nomi commerciali contenenti il termine “Galileo” – Responsabilità della Comunità in assenza di un comportamento illecito dei suoi organi – Danno anormale e speciale»

Nel procedimento T‑279/03,

Galileo International Technology LLC, con sede in Bridgetown (Barbados),

Galileo International LLC, con sede in Wilmington, Delaware (Stati Uniti),

Galileo Belgium SA, con sede in Bruxelles (Belgio),

Galileo Danmark A/S, con sede in Copenaghen (Danimarca),

Galileo Deutschland GmbH, con sede in Francoforte sul Meno (Germania),

Galileo España SA, con sede in Madrid (Spagna),

Galileo France SARL, con sede in Roissy-en-France (Francia),

Galileo Nederland BV, con sede in Hoofdorp (Paesi Bassi),

Galileo Nordiska AB, con sede in Stoccolma (Svezia),

Galileo Portugal Ltd, con sede in Alges (Portogallo),

Galileo Sigma Srl, con sede in Roma (Italia),

Galileo International Ltd, con sede in Langley, Berkshire (Regno Unito),

The Galileo Co., con sede in Londra (Regno Unito),

Timas Ltd, con sede in Dublino (Irlanda),

rappresentate dai sigg. C. Delcorde, J.‑N. Louis, J.‑A. Delcorde e S. Maniatopoulos, avvocati, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrenti,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. N. Rasmussen e M. Huttunen, in qualità di agenti, assistiti dagli avv.ti A. Berenboom e N. Van den Bossche, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda intesa, da un lato, a che la Commissione cessi di utilizzare il termine «Galileo» in relazione al progetto comunitario di sistema globale di radionavigazione satellitare e di indurre terzi ad utilizzare tale termine e, dall’altro, a che sia risarcito il danno che le ricorrenti avrebbero subito per l’utilizzo e la promozione da parte della Commissione di tale termine, che si asserisce essere identico a marchi registrati dalle ricorrenti oltre che ai loro nomi commerciali,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione ampliata),

composto dai sigg. J. Pirrung, presidente, A.W.H. Meij, N.J. Forwood, dalla sig.ra I. Pelikánová e dal sig. S. Papasavvas, giudici,

cancelliere: sig.ra C. Kristensen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 30 novembre 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

1.     Il termine «Galileo» utilizzato dalle ricorrenti

1       Il gruppo di imprese Galileo, cui appartengono le società ricorrenti, è stato fondato nel 1987 da undici compagnie aeree nordamericane ed europee. Il gruppo è uno dei leader mondiali nell’offerta e nella fornitura di servizi elettronici per i settori del trasporto aereo, dei viaggi, delle vacanze e dell’industria alberghiera, per quanto riguarda l’accesso ai dati relativi alle offerte, agli orari ed alle informazioni sui prezzi. La sua clientela è essenzialmente costituita da agenzie di viaggio, da società alberghiere, da società di locazione di veicoli, da compagnie aeree, da tour operators e da società che gestiscono navi da crociera.

2       Il termine «Galileo» è un elemento dei nomi commerciali, delle ragioni sociali e dei nomi di dominio delle ricorrenti. La ricorrente Galileo International Technology LLC è titolare di diversi marchi nazionali, denominativi e figurativi, che sono stati registrati tra il 1987 e il 1990 e nei quali tale termine costuituisce l’elemento unico o un elemento tra gli altri, quali i marchi denominativi GALILEO registrati in Francia il 17 settembre 1987, in Germania il 18 agosto 1988 e in Spagna il 3 ottobre 1988.

3       La ricorrente Galileo International Technology LLC è, inoltre, titolare di diversi marchi comunitari che sono stati registrati, ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato, dall’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI). Si tratta dei marchi figurativi seguenti:

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4       Il primo di questi marchi figurativi è stato registrato il 4 marzo 1999, poi, di nuovo, il 9 marzo 2004, mentre il secondo è stato oggetto di registrazione il 20 gennaio 2000. La detta ricorrente è anche titolare del marchio denominativo GALILEO, registrato il 1º ottobre 2003. Il complesso di questi marchi è stato registrato per prodotti e servizi rientranti nelle classi 9, 16, 35, 38, 39, 41 e 42 ai sensi dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, riguardante la classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come rivisto e modificato.

5       Tali marchi comunitari e nazionali (in prosieguo: i «marchi delle ricorrenti») sono stati registrati per contraddistinguere, in particolare, servizi di telecomunicazione sotto forma di trasmissione di dati, programmi informatici relativi al trasporto aereo, alla locazione di veicoli ed alla prenotazione dei viaggi, servizi di divertimento, servizi nel settore degli alloggi e della ristorazione, nonché apparecchi elettrici ed informatici, computer, software e trattamento dei testi.

2.     Il termine «Galileo» utilizzato dalla Commissione

6       Il 10 febbraio 1999, la Commissione ha adottato una comunicazione intitolata «Galileo − Partecipazione dell’Europa ad una nuova generazione di servizi di navigazione satellitare» [COM (99) 54 def.], con la quale mirava a consentire l’instaurazione di un sistema satellitare, detto Galileo, in grado di soddisfare i bisogni degli utenti civili del mondo intero in materia di radionavigazione, di posizionamento e di sincronizzazione. Secondo la Commissione, Galileo sarà compatibile con i due sistemi operativi esistenti – il sistema americano GPS [Global Positioning System (sistema di posizionamento globale via satellite)] ed il sistema russo Glonass [Global Orbiting Navigation Satellite System (sistema mondiale di navigazione satellitare)] − e potrà predisporre un nuovo insieme globale di navigazione satellitare: il GNSS [Global Navigation Satellite System (sistema globale di navigazione satellitare)]. Fin dal principio è stata presa in considerazione la partecipazione finanziaria del settore privato ai costi di realizzazione del progetto Galileo.

7       Il Consiglio ha approvato la summenzionata comunicazione della Commissione con la risoluzione 19 luglio 1999, sulla partecipazione dell’Europa ad una nuova generazione di servizi di navigazione satellitare – GALILEO – Fase di definizione (GU C 221, pag. 1).

8       Il 22 novembre 2000, la Commissione ha adottato una comunicazione indirizzata al Consiglio e al Parlamento europeo su Galileo [COM (2000) 750 def.], che descrive i risultati della fase di definizione del programma Galileo e ne espone gli aspetti economici e finanziari, nonché la struttura di gestione. Con riferimento alle fasi successive del programma, la comunicazione contempla una fase di sviluppo dei satelliti (dal 2001 al 2005), una fase di spiegamento riguardante la loro fabbricazione e il loro lancio (2006 e 2007) nonché una fase di sfruttamento economico e commerciale del nuovo sistema (a partire dal 2008).

9       Con la risoluzione 5 aprile 2001, su Galileo (GU C 157, pag. 1), il Consiglio ha approvato gli elementi necessari alla fase di sviluppo. Esso ha, in particolare, invitato la Commissione ad avviare una procedura di gara d’appalto allo scopo di consentire la partecipazione del settore privato al progetto e di individuare i servizi commerciali che Galileo avrebbe fornito. Il Consiglio ha anche sottolineato l’interesse a che il settore privato si assuma un impegno finanziario vincolante che gli consenta di partecipare alla fase di spiegamento.

10     Con il regolamento (CE) 21 maggio 2002, n. 876, relativo alla costituzione dell’impresa comune Galileo (GU L 138, pag. 1), il Consiglio, su proposta della Commissione, ha applicato l’art. 171 CE e istituito la detta impresa comune, avente ad oggetto, da un lato, di garantire la gestione del progetto per le fasi di ricerca, di sviluppo e dimostrazione e, dall’altro, di rendere disponibili i fondi destinati al programma Galileo. I membri fondatori dell’impresa comune erano la Comunità europea, rappresentata dalla Commissione, e l’Agenzia spaziale europea (ASE), potendovi tuttavia partecipare anche ogni impresa privata che soddisfacesse i criteri stabiliti a questo scopo.

11     Nella sua comunicazione al Parlamento e al Consiglio 15 ottobre 2002, intitolata «Stato di avanzamento del programma Galileo» (GU C 248, pag. 2), la Commissione ha constatato che il programma Galileo avrebbe dovuto essere gestito da un’entità privata durante le fasi di spiegamento e di esercizio operativo. A tal fine doveva essere indetta da parte dell’impresa comune Galileo una gara di appalto per permettere la selezione del consorzio privato cui doveva essere attribuita la concessione per lo spiegamento e l’esercizio del sistema.

12     Dinanzi al Tribunale, la Commissione ha sottolineato l’importanza capitale di un sistema europeo di radionavigazione in termini tecnologici, economici e strategici, in quanto la padronanza di simile tecnologia condiziona quella di molteplici applicazioni industriali. Al riguardo, la Commissione ha menzionato, in particolare, la gestione dei sistemi di trasporto (la guida degli autoveicoli), lo svolgimento delle politiche ambientali, la gestione del territorio, la meteorologia, la geologia, i lavori pubblici, l’energia, la prevenzione dei rischi naturali o industriali, il sostegno alle operazioni di protezione civile in caso di catastrofe, la politica del controllo agricolo e la sicurezza fisica delle persone. Secondo la Commissione, il futuro sistema europeo proporrà:

–       un servizio di base gratuito, destinato ad applicazioni rivolte al «grande pubblico»;

–       un servizio commerciale destinato a scopi professionali;

–       un servizio «vitale» per applicazioni in cui è in gioco la vita umana, come la navigazione aerea o marittima;

–       un servizio di ricerca e salvataggio destinato a migliorare i sistemi di assistenza esistenti in caso di emergenza;

–       un servizio governativo riservato alle necessità di protezione civile, sicurezza nazionale e rispetto del diritto.

13     La Commissione ha precisato che il costo della fase di sviluppo sarebbe ammontato a EUR 1,1 miliardi, finanziato in parti uguali dall’Unione europea e dall’ASE. Il costo della fase di spiegamento, cioè EUR 2,1 miliardi, avrebbe dovuto essere sostenuto principalmente dal futuro concessionario del sistema. Per quanto riguarda la fase di sfruttamento commerciale, la Commissione ha dichiarato, dinanzi al Tribunale, che il suo lancio era previsto per l’anno 2010.

3.     Domanda di registrazione di un marchio comunitario presentata dalla Commissione

14     Il 21 giugno 2002, la Commissione ha chiesto, ai sensi del regolamento n. 40/94, la registrazione di un marchio comunitario, nella fattispecie un segno figurativo a colori. Si tratta di una sfera stilizzata, che si ispira al logo dell’Unione europea e a quello dell’ASE, contenente il termine «Galileo»:

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La domanda di marchio riguarda «servizi di ricerca e sviluppo nel settore della radionavigazione satellitare», rientranti nella classe 42 ai sensi dell’Accordo di Nizza.

15     Il 14 marzo 2003, la ricorrente Galileo International LLC ha proposto opposizione, in forza dell’art. 42 del regolamento n. 40/94, alla registrazione di questo marchio. Con decisione 29 settembre 2005, la divisione d’opposizione dell’UAMI ha respinto l’opposizione. La detta decisione è stata impugnata dalla ricorrente dinanzi alle commissioni di ricorso dell’UAMI.

16     Nell’agosto 2003, la Commissione e l’ASE hanno depositato l’emblema del programma di radionavigazione satellitare Galileo presso l’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (WIPO), a Ginevra, in applicazione della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, del 20 marzo 1883, rivista da ultimo a Stoccolma il 14 luglio 1967 e modificata il 28 settembre 1979 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 828, n. 11847, pag. 108; in prosieguo: la «Convenzione di Parigi»).

4.     Scambio di corrispondenza tra le ricorrenti e la Commissione

17     Con lettera del 30 aprile 2001, le ricorrenti hanno protestato presso la Commissione contro l’uso del termine «Galileo» per intitolare il progetto di radionavigazione e hanno sostenuto che il detto uso causava loro danni e violava i loro diritti di marchio. Il 4 febbraio 2002, la Commissione ha risposto affermando che l’uso del termine «Galileo» per il suo progetto non ledeva alcun diritto di marchio.

18     In seguito le ricorrenti e la Commissione hanno intrattenuto un intenso scambio di corrispondenza. Le ricorrenti hanno mantenuto la loro posizione secondo cui la Commissione avrebbe utilizzato il termine «Galileo» in un contesto commerciale, inducendo terzi a fare altrettanto, per prodotti e servizi simili a quelli oggetto dei loro marchi. La Commissione riteneva, per contro, che Galileo sarebbe rimasto fino al 2008 un programma di ricerca e sviluppo tecnologico e non avrebbe prodotto fino a tale data alcun profitto commerciale, e che i servizi di prenotazione forniti dalle ricorrenti costituivano attività completamente diverse dal posizionamento satellitare.

5.     Ricorsi giurisdizionali e amministrativi promossi dalle ricorrenti parallelamente alla controversia in esame

19     La ricorrente Galileo International Technology LLC ha contestato, dinanzi al tribunal de commerce de Bruxelles, l’uso del termine «Galileo» da parte della società belga Galileo Industries, che ha ad oggetto la partecipazione allo sviluppo delle attività in relazione all’industria spaziale e che riunisce i principali industriali europei coinvolti nel programma Galileo. Con sentenza 1º settembre 2003, il tribunal de commerce ha respinto il ricorso dichiarando, in particolare, che il settore di attività della ricorrente è diverso da quello della società Galileo Industries. La ricorrente ha proposto appello contro questa decisione. Il giudizio è attualmente pendente dinanzi alla cour d’appel de Bruxelles.

20     La ricorrente Galileo International Technology LLC ha, inoltre, proposto dinanzi all’UAMI diverse opposizioni contro alcune domande di registrazione di marchi contenenti il termine «Galileo», presentate dalla società tedesca Astrium che, in quanto filiale dell’European Aeronautic Defense and Space Company (EADS) (Società europea d’aeronautica, di difesa e spaziale), rientra tra le più grandi imprese europee di navigazione spaziale ed è anche coinvolta nel programma Galileo.

21     Infine, la medesima ricorrente ha adito il Landgericht München (Germania) con un’istanza mirante, da un lato, a vietare alla Astrium l’uso del termine «Galileo» per designare diversi prodotti e servizi e, dall’altro, a constatare la responsabilità della Astrium allo scopo di ottenere il risarcimento del danno provocato da tale uso. Il detto giudice ha accolto la domanda dichiarando, il 17 febbraio 2004, che le attività in causa erano simili e che i segni in conflitto erano tali da generare confusione. La detta decisione è stata confermata da una sentenza dell’Oberlandesgericht München del 13 gennaio 2005, che è passata in giudicato, in quanto il ricorso proposto dalla società Astrium è stato respinto con ordinanza del Bundesgerichtshof 24 novembre 2005.

 Procedimento e conclusioni delle parti

22     Con atto introduttivo depositato alla cancelleria del Tribunale il 5 agosto 2003, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

23     Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di passare alla fase orale senza procedere ad istruttoria. Tuttavia, esso ha posto una serie di quesiti ai quali le parti hanno risposto nel termine assegnato. Inoltre, sentite le parti, il Tribunale ha rinviato la causa dinanzi alla Seconda Sezione ampliata.

24     Le parti hanno svolto le loro difese e hanno risposto ai quesiti del Tribunale nel corso dell’udienza del 30 novembre 2005.

25     Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–       vietare alla Commissione:

–       di fare uso del termine «Galileo» in relazione al progetto di sistema di radionavigazione satellitare;

–       di indurre, direttamente o indirettamente, terzi ad utilizzare tale termine nell’ambito dello stesso progetto;

–       di partecipare all’uso da parte di un terzo del detto termine;

–       condannare la Commissione a pagare loro, congiuntamente e solidalmente, la somma di EUR 50 milioni a risarcimento del danno materiale subito;

–       in subordine, nell’ipotesi in cui la Commissione persistesse nell’uso del termine «Galileo», condannarla al pagamento della somma di EUR 240 milioni;

–       condannare la Commissione al pagamento degli interessi moratori calcolati al tasso di riferimento della Banca centrale europea maggiorato di due punti percentuali, a partire dalla data di proposizione del ricorso;

–       condannare la Commissione alle spese.

26     La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–       dichiarare il ricorso irricevibile, nei limiti in cui vi si deduce la tesi della violazione dei diritti di marchio, di nome commerciale, di ragione sociale e di nome di dominio;

–       dichiararlo infondato per il resto;

–       condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

27     Va constatato che le domande di ingiunzione e di risarcimento presentate dalle ricorrenti ai sensi degli artt. 235 CE e 288, secondo comma, CE sono basate, da un lato, sulla violazione dei diritti di marchio ad esse conferiti dall’art. 5, n. 1, lett. b), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1, in prosieguo: la «direttiva») e, sostanzialmente, dall’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, e, dall’altro, su una violazione delle ragioni sociali, dei nomi commerciali e dei nomi di dominio delle ricorrenti, protetti dall’art. 8 della Convenzione di Parigi.

1.     Sulla ricevibilità

 Argomenti delle parti

28     La Commissione sostiene che il ricorso è irricevibile in quanto taluni addebiti sollevati nell’atto introduttivo non rispondono ai necessari requisiti di chiarezza e precisione.

29     Infatti, per la parte in cui le ricorrenti le contestano di aver violato i loro marchi nazionali, la Commissione sottolinea che, anche se le ricorrenti enumerano i marchi che la presente controversia avrebbe a loro avviso ad oggetto – cioè 204 marchi in diversi paesi, dei quali 24 registrati in alcuni Stati membri della Comunità – esse non forniscono alcuna precisazione sulle disposizioni nazionali che asseriscono essere state violate. In assenza di simili precisazioni, la Commissione considera che non avrebbe potuto formulare supposizioni per intuire quali disposizioni nazionali fossero per ipotesi state violate.

30     Quanto ai loro marchi comunitari, le ricorrenti non avrebbero esposto la ragione per cui la violazione dell’uno o dell’altro farebbe sorgere la responsabilità della Comunità. In particolare, esse non avrebbero fatto valere le disposizioni specifiche di cui all’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

31     Le ricorrenti non chiarirebbero neppure sotto quale aspetto le loro ragioni sociali, i loro nomi commerciali e i loro nomi di dominio sarebbero coinvolti. Infatti, fondandosi soltanto sull’art. 8 della Convenzione di Parigi, le ricorrenti ometterebbero di fare riferimento alle normative nazionali pertinenti che hanno recepito la detta Convenzione e quindi di esporre le ragioni per le quali la Comunità sarebbe vincolata da tale trattato, pur non essendone parte.

32     Infine, la Commissione eccepisce l’irricevibilità delle conclusioni con cui si chiede che il Tribunale le rivolga determinate ingiunzioni. Infatti, il Trattato CE non conferirebbe simile competenza al giudice comunitario.

33     Le ricorrenti ribattono che la mancanza di riferimenti precisi alle leggi nazionali non ha impedito alla Commissione di comprendere l’oggetto del ricorso né di preparare adeguatamente le sue difese.

34     Quanto all’art. 8 della Convenzione di Parigi, esse affermano che tale disposizione stabilisce il principio della tutela dei nomi commerciali, che vincola tutti gli Stati membri. Violando tale principio la Commissione avrebbe commesso un atto illecito.

35     Con riferimento alle conclusioni con cui chiedono che il Tribunale vieti alla Commissione l’uso del termine «Galileo», le ricorrenti ritengono che esse non implichino la minima intromissione in una sfera di competenza politica o amministrativa della Commissione. Si tratterebbe soltanto di far cessare un comportamento scorretto e di impedire l’aggravamento del danno subito.

 Giudizio del Tribunale

 Sul requisito della chiarezza e precisione del ricorso

36     Ai sensi dell’art. 21, primo comma, e dell’art. 53, primo comma, dello Statuto della Corte, nonché dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura del Tribunale, il ricorso deve indicare l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Tale indicazione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza altre informazioni a supporto. Al fine di garantire la certezza del diritto e una corretta amministrazione della giustizia è necessario, affinché un ricorso sia ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso è fondato emergano, anche sommariamente, purché in modo coerente e comprensibile, dall’atto introduttivo stesso (sentenze del Tribunale 29 gennaio 1998, causa T‑113/96, Dubois et Fils/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑125, punto 29, e 10 aprile 2003, causa T‑195/00, Travelex Global and Financial Services e Interpayment Services/Commissione, Racc. pag. II‑1677, punto 26).

37     Per essere conforme a tali requisiti, un ricorso inteso al risarcimento del danno causato da un’istituzione comunitaria deve contenere elementi che consentano di identificare il comportamento che il ricorrente addebita all’istituzione, le ragioni per le quali egli ritiene che esista un nesso di causalità tra il comportamento e il danno che asserisce di aver subito, nonché il carattere e l’entità di tale danno (sentenza Travelex Global and Financial Services e Interpayment Services/Commissione, cit. supra al punto 36, punto 27).

–       Con riferimento ai marchi nazionali, intracomunitari ed extracomunitari

38     Per quanto riguarda gli addebiti vertenti su una violazione dei marchi nazionali, dal ricorso risulta che le ricorrenti mirano a far constatare la responsabilità della Comunità allo scopo di ottenere il risarcimento del danno asserito, cioè la perdita della funzione essenziale e del valore dei loro marchi nazionali. Tale danno che esse sostengono di aver subito a causa dell’utilizzo del segno Galileo sarebbe, ad avviso delle ricorrenti, imputabile alla Commissione. Essa avrebbe provocato il danno lamentato, in particolare, non rispettando tali diritti di marchio come definiti dall’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva.

39     Orbene, ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva, il marchio registrato conferisce al suo titolare il diritto di «vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio (…) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa».

40     Il riferimento operato nel ricorso all’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva deve essere considerato sufficientemente chiaro e preciso, per quanto riguarda i 24 marchi registrati negli Stati membri della Comunità. Infatti, l’art. 5, n. 1, della direttiva realizza un’armonizzazione in seno alla Comunità delle norme relative ai diritti conferiti dal marchio d’impresa e definisce il diritto esclusivo di cui godono i titolari di marchi all’interno della Comunità (sentenze della Corte 16 luglio 1998, causa C‑355/96, Silhouette International Schmied, Racc. pag. I‑4799, punto 25, e 12 novembre 2002, causa C‑206/01, Arsenal Football Club, Racc. pag. I‑10273, punto 43). Gli Stati membri della Comunità erano tenuti a trasporre la detta disposizione nel diritto nazionale e la Commissione non ha contestato che tale trasposizione sia stata effettuata completamente per i detti 24 marchi che ricadono nell’ambito d’applicazione della direttiva.

41     Ne consegue che gli addebiti in esame non possono essere dichiarati irricevibili per il fatto che le ricorrenti si sono astenute dal fornire precisazioni sulle normative nazionali che asseriscono violate. Pertanto, l’eccezione di irricevibilità della Commissione deve, al riguardo, essere respinta.

42     Per contro, con riferimento ai 178 marchi registrati in paesi terzi, il rinvio delle ricorrenti alla direttiva non può rimediare alla mancanza di precisazioni relative alla natura e alla portata dei diritti di marchio che si asseriscono conferiti dalle legislazioni extracomunitarie rilevanti. A causa del silenzio delle ricorrenti al riguardo, non è possibile né per la parte convenuta preparare le sue difese né per il Tribunale pronunciarsi sul ricorso, nei limiti in cui le ricorrenti sostengono che il danno lamentato sia stato provocato da una violazione di tali diritti di marchio.

43     Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato irricevibile con riferimento all’addebito attinente alla violazione di tali diritti. Inoltre, in risposta ad un quesito scritto del Tribunale, le ricorrenti hanno ammesso di non poter far valere i diritti conferiti dai marchi registrati in paesi terzi.

–       Con riferimento ai marchi che godono di notorietà

44     Al punto 40 della replica, le ricorrenti fanno presente la notorietà dei loro marchi. Nei limiti in cui esse intendono, in definitiva, invocare l’art. 5, nn. 2 e 5, della direttiva, è sufficiente ricordare che tale disposizione si limita a consentire agli Stati membri di prevedere una tutela rafforzata dei marchi che godono di notorietà, da un lato, in assenza di somiglianza dei prodotti e dei servizi considerati e, dall’altro, contro l’uso di un segno a fini diversi da quello di distinguere prodotti e servizi. Orbene, le ricorrenti si sono astenute dall’esporre, nel ricorso, quale sia la notorietà specifica dei loro marchi e quali le modalità della tutela conferita dall’una o dall’altra delle normative nazionali che vi si riferiscono.

45     Anche se appare quindi possibile che la notorietà dei loro marchi sia stata compromessa dal comportamento considerato della Commissione, resta comunque il fatto che le ricorrenti hanno omesso di sollevare un motivo di ricorso necessario per soddisfare i requisiti di precisione summenzionati. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato irricevibile in relazione all’addebito vertente su una violazione dell’art. 5, nn. 2 e 5, della direttiva.

–       Con riferimento ai marchi comunitari

46     Occorre constatare che le ricorrenti hanno menzionato, nel ricorso, i loro cinque «marchi comunitari e domande di registrazione di marchi comunitari», e fatto valere una «violazione dei diritti di marchio della Galileo International Technology e dei diritti derivanti dalle sue domande di marchi comunitari». Inoltre, la nota a piè di pagina 57 fa espresso riferimento al «regolamento (…) n. 40/94».

47     Anche se il ricorso non menziona espressamente l’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, esso fa quindi valere, almeno implicitamente, i diritti conferiti da tale disposizione. Inoltre, risulta da costante giurisprudenza che un errore commesso nell’individuazione del testo normativo applicabile non comporta l’irricevibilità della censura dedotta, qualora l’oggetto e l’esposizione sommaria di tale censura risultino in modo sufficientemente chiaro dal ricorso (sentenza della Corte 7 maggio 1969, causa 12/68, X/Commissione di controllo, Racc. pag. 291, punti 6 e 7, e sentenza del Tribunale 10 ottobre 2001, causa T‑171/99, Corus UK/Commissione, Racc. pag. II‑2967, punto 36). È necessario desumerne che un ricorrente non è neppure tenuto ad indicare esplicitamente la norma specifica sulla quale egli basa la sua censura, a condizione che la sua argomentazione sia sufficientemente chiara perché la parte avversa e il giudice comunitario possano individuarla senza difficoltà.

48     L’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 conferisce al titolare di un marchio comunitario diritti identici a quelli conferiti dall’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva, al titolare di un marchio nazionale. Orbene, quest’ultima disposizione è stata reiteratamente invocata nel ricorso. Peraltro, la Commissione non è incorsa in errori con riferimento al «risvolto comunitario» degli addebiti sollevati dalle ricorrenti, in quanto si riferisce espressamente, al punto 50 del controricorso, all’art. 9 del regolamento n. 40/94.

49     Ne consegue che corrisponde ai requisiti di precisione summenzionati e deve, pertanto, essere dichiarata ricevibile l’invocazione da parte delle ricorrenti dell’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

–       Con riferimento alle ragioni sociali, ai nomi commerciali e ai nomi di dominio

50     Secondo le ricorrenti, la tutela delle loro ragioni sociali si confonde con quella dei loro nomi commerciali, mentre i loro nomi di dominio costituiscono un’applicazione particolare dei loro nomi commerciali. Interrogate sulla portata di questa dichiarazione, esse hanno precisato che l’art. 8 della Convenzione di Parigi riguardava la sola tutela del nome commerciale, mentre la ragione sociale era tutelata da altre norme giuridiche nazionali. Esse hanno aggiunto che con il ricorso intendevano sottolineare che, anche se il detto art. 8 tutelava soltanto il nome commerciale stricto sensu, i diritti sulle loro ragioni sociali erano anch’essi lesi.

51     Con riferimento agli addebiti vertenti su una violazione delle loro ragioni sociali e dei loro nomi di dominio, va constatato che le ricorrenti non hanno presentato alcun elemento che vada oltre tali affermazioni. Esse hanno, in particolare, mantenuto un silenzio totale sulle norme giuridiche nazionali che asseriscono violate e sui principi generali comuni ai diritti degli Stati membri sulla base dei quali la Comunità dovrebbe, in conformità all’art. 288, secondo comma, CE, risarcire il danno addotto. Tali censure non rispondono alle esigenze di precisione summenzionate e devono, pertanto, essere dichiarate irricevibili.

52     Per quanto riguarda il fatto che le ricorrenti si richiamano alla tutela dei loro nomi commerciali ai sensi dell’art. 8 della Convenzione di Parigi, è vero che il nome commerciale costituisce un diritto di proprietà intellettuale la cui tutela, stabilita dal detto art. 8, è imposta ai membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), in forza dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (in prosieguo: l’«accordo ADPIC») (sentenza della Corte 16 novembre 2004, causa C‑245/02, Anheuser-Busch, Racc. pag. I‑10989, punti 91‑96).

53     Tuttavia, anche se i membri dell’OMC, inclusi gli Stati membri della Comunità, sono tenuti ad attuare la detta tutela del nome commerciale, ciò non toglie che l’art. 8 della Convenzione di Parigi si limita ad enunciare che «il nome commerciale sarà protetto in tutti i Paesi [ai quali si applica la Convenzione] senza obbligo di deposito o di registrazione, anche se non costituisce parte di un marchio di fabbrica o di commercio».

54     Tale testo, lungi dal definire l’estensione e le condizioni della tutela conferita al nome commerciale, si limita a formulare la necessità di attuare tale tutela. Non si può pertanto ritenere che esso contenga un’armonizzazione delle norme relative ai diritti conferiti dal nome commerciale.

55     Infatti, a differenza dell’art. 5 della direttiva, che definisce precisamente «i diritti conferiti dal marchio di impresa», ragion per cui il riferimento a tale articolo può validamente sostituire il richiamo alle normative nazionali rilevanti degli Stati membri (v. il precedente punto 40), l’art. 8 della Convenzione di Parigi consente, con la sua formulazione estensiva, ai diversi legislatori nazionali di instaurare vari regimi di tutela, prevedendo, in particolare, condizioni relative ad un uso minimo o ad una conoscenza minima del nome commerciale (v., in questo senso, sentenza Anheuser-Busch, cit. supra al punto 52, punto 97).

56     Interrogate dal Tribunale sulla tutela conferita dall’art. 8 della Convenzione di Parigi, le ricorrenti non hanno invocato alcuna normativa nazionale specifica che conferisca loro una tutela sufficiente dei nomi commerciali e che possa essere violata dalla Commissione.

57     Conseguentemente, se è vero che le norme nazionali pertinenti per la tutela dei diritti che appartengono ad un settore al quale si applica l’accordo ADPIC devono essere applicate alla luce del testo e della finalità delle disposizioni di detto accordo (sentenza Anheuser‑Busch, cit. supra al punto 52, punto 55), le ricorrenti non possono utilmente avvalersi di tale obbligo in questo contesto, considerato che esse si sono astenute dall’invocare e dal chiarire quali fossero simili norme nazionali.

58     Peraltro, poiché le disposizioni dell’accordo ADPIC sono prive di effetto diretto, esse non sono idonee a creare, in quanto tali, diritti di cui le ricorrenti possono avvalersi, indipendentemente da eventuali norme nazionali, direttamente dinanzi al giudice comunitario (v., in questo senso, sentenza Anheuser-Busch, cit. supra al punto 52, punto 54).

59     Ne consegue che anche la censura vertente sulla violazione dell’art. 8 della Convenzione di Parigi deve essere dichiarata irricevibile.

 Sulle conclusioni intese ad ottenere la cessazione dei comportamenti della Commissione che si assumono illeciti

60     Nei limiti in cui le ricorrenti chiedono di vietare alla Commissione di fare uso del termine «Galileo» in relazione al progetto di sistema di radionavigazione satellitare, la Commissione fa riferimento ad una giurisprudenza consolidata secondo la quale, anche nell’ambito del contenzioso in materia di risarcimento danni, il giudice comunitario non può, senza usurpare le prerogative dell’autorità amministrativa, rivolgere ingiunzioni ad un’istituzione comunitaria (sentenza della Corte 18 aprile 1991, causa C‑63/89, Assurances du crédit/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑1799, punto 30; sentenza del Tribunale 27 giugno 1991, causa T‑156/89, Valverde Mordt/Corte di giustizia, Racc. pag. II‑407, punto 150; ordinanze del Tribunale 1° giugno 1999, causa T‑71/99, Meyer/Commissione, Racc. pag. II‑1727, punto 13, e 14 gennaio 2004, causa T‑202/02, Makedoniko Metro e Michaniki/Commissione, Racc. pag. II‑181, punto 53).

61     La Commissione aggiunge che l’art. 288, secondo comma, CE consente soltanto il risarcimento dei danni passati e non conferisce alcun diritto di emettere ingiunzioni destinate a prevenire un’illegalità futura. Il divieto di utilizzare un nome non può essere considerato un risarcimento in natura. Infatti, simile divieto impedirebbe certo il protrarsi del danno addotto, ma non comporterebbe il risarcimento del danno già subito.

62     Al riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 288, secondo comma, CE, «in materia di responsabilità extracontrattuale, la Comunità deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni». Tale disposizione riguarda tanto i presupposti perché sorga la responsabilità extracontrattuale quanto le modalità e l’estensione del diritto a risarcimento. Peraltro, l’art. 235 CE conferisce alla Corte la competenza «a conoscere delle controversie relative al risarcimento dei danni di cui all’articolo 288, secondo comma».

63     Deriva da queste due disposizioni – le quali, contrariamente all’art. 40, primo comma, del vecchio trattato CECA, che prevedeva soltanto un risarcimento pecuniario, non escludono la concessione di un risarcimento in natura – che il giudice comunitario è competente a imporre alla Comunità qualsiasi forma di risarcimento conforme ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri in materia di responsabilità extracontrattuale, incluso, se appare conforme a tali principi, il risarcimento in natura, eventualmente anche sotto forma di ingiunzione di fare o di non fare.

64     Orbene, in materia di marchi, la direttiva mira a che i marchi nazionali registrati godano di una protezione uniforme in tutti gli Stati membri. In forza del suo art. 5, n. 1, tale marchio abilita il suo titolare a «vietare ai terzi» di farne uso. Come si è osservato in precedenza (punto 39), tale disposizione realizza un’armonizzazione in seno alla Comunità delle norme relative ai diritti conferiti da un marchio.

65     Ne deriva che la protezione uniforme, conferita al titolare di un marchio nazionale intracomunitario, rientra tra i principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, ai sensi dell’art. 288, secondo comma, CE.

66     Tale conclusione è confermata dal regolamento n. 40/94, il quale prevede, all’art. 98, n. 1, che, qualora un tribunale dei marchi comunitari accerti che il convenuto ha contraffatto un marchio comunitario o commesso atti che costituiscono minaccia di contraffazione, emetta un’ordinanza «vietandogli (…) di continuare gli atti di contraffazione» e adotti le misure dirette ad assicurare l’osservanza del divieto. Orbene, in virtù dell’art. 249, secondo comma, CE, il detto regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri.

67     Se è vero che la protezione uniforme del titolare di un marchio si attua negli Stati membri attraverso la possibilità procedurale dei giudici nazionali competenti di emettere sentenze che vietano al convenuto di pregiudicare il diritto di marchio invocato, la Comunità non può, in linea di principio, sfuggire ad una misura procedurale corrispondente da parte del giudice comunitario, in quanto tale giudice ha competenza esclusiva a statuire sui ricorsi per il risarcimento di un danno ad essa imputabile (sentenza Travelex Global and Financial Services e Interpayment Services/Commissione, cit. supra al punto 36, punto 89).

68     La Comunità non può a maggior ragione sottrarsi al suddetto regime di tutela in quanto le istituzioni comunitarie sono tenute a conformarsi dell’insieme del diritto comunitario, del quale fa parte il diritto derivato. Pertanto, la Commissione deve rispettare le disposizioni della direttiva e del regolamento n. 40/94 adottati, su sua proposta, dal Consiglio (v., in questo senso, sentenza Travelex Global and Financial Services e Interpayment Services/Commissione, cit. supra al punto 36, punti 85 e 86, e giurisprudenza ivi citata).

69     Nei limiti in cui la Commissione contesta che il divieto in causa sia realmente in grado di riparare il danno addotto, occorre ricordare che le ricorrenti asseriscono di essere vittime di un utilizzo illecito permanente e ripetuto del segno Galileo, che recherebbe pregiudizio ai loro diritti di marchio. Orbene, l’oggetto specifico del diritto di marchio consiste segnatamente nel garantire al titolare il diritto esclusivo di utilizzare il marchio per la prima messa in commercio del prodotto e di tutelarlo in tal modo dai concorrenti che volessero abusare della posizione e della reputazione del marchio vendendo prodotti indebitamente contrassegnati con questo (v. sentenza della Corte 11 novembre 1997, causa C‑349/95, Loendersloot, Racc. pag. I‑6227, punto 22, e giurisprudenza ivi citata).

70     Ne deriva che la violazione del diritto esclusivo di usare un marchio comporta necessariamente la degradazione dello stesso e provoca, per questo solo motivo, un danno al suo titolare.

71     Orbene, la riparazione integrale del danno così provocato richiede che il titolare del marchio veda il suo diritto completamente ripristinato e tale ripristino esige, quantomeno, indipendentemente dalla quantificazione di eventuali danni, la cessazione immediata della violazione del suo diritto. È esattamente con l’ingiunzione chiesta nella fattispecie che le ricorrenti mirano ad ottenere la cessazione della violazione che asseriscono la Commissione abbia arrecato ai loro diritti di marchio.

72     Inoltre, la Commissione stessa ha sottolineato, in risposta ad un quesito del Tribunale, che sarebbe inconcepibile immaginare che, nell’ipotesi della sua condanna a pagare i danni, essa ignori tale decisione insistendo in atti dichiarati illegittimi dal Tribunale. Così la Commissione ammette di essere de facto vincolata, nel senso di un divieto di agire, da una decisione del giudice comunitario che constati la sua responsabilità. Una simile decisione equivale a rivolgere alla Commissione un’ingiunzione implicita.

73     Conseguentemente, le conclusioni intese a vietare alla Commissione di fare uso del termine «Galileo» in relazione al progetto di sistema di radionavigazione satellitare devono essere dichiarate ricevibili. Il motivo di ricorso sollevato dalla Commissione in merito all’irricevibilità di tali conclusioni non può pertanto essere accolto.

 Conclusione

74     Risulta da quanto precede che le conclusioni del ricorso sono ricevibili nel loro insieme. Lo stesso si può dire per le censure vertenti su una violazione dei diritti conferiti alle ricorrenti dall’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva e dall’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 con riferimento ai loro marchi nazionali intracomunitari e ai loro marchi comunitari.

2.     Nel merito

75     Le ricorrenti fondano il loro ricorso, in via principale, sul principio della responsabilità della Commissione per atto illecito e, in subordine, sul principio della sua responsabilità per atto lecito.

 Sulla responsabilità della Commissione per atto illecito

 Osservazioni preliminari

76     Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, il sorgere della responsabilità extracontrattuale della Comunità ai sensi dell’art. 288, secondo comma, CE, per comportamento illecito dei suoi organi, presuppone il ricorrere di un insieme di condizioni, vale a dire l’illegittimità del comportamento contestato all’istituzione di cui trattasi, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità tra tale comportamento ed il danno lamentato (sentenza della Corte 29 settembre 1982, causa 26/81, Oleifici Mediterranei/CEE, Racc. pag. 3057, punto 16; sentenze del Tribunale 11 luglio 1996, causa T‑175/94, International Procurement Services/Commissione, Racc. pag. II‑729, punto 44; 16 ottobre 1996, causa T‑336/94, Efisol/Commissione, Racc. pag. II‑1343, punto 30, e 11 luglio 1997, causa T‑267/94, Oleifici Italiani/Commissione, Racc. pag. II‑1239, punto 20).

77     Quando una di queste condizioni non è soddisfatta, il ricorso deve essere interamente respinto senza che sia necessario esaminare le altre condizioni (sentenza della Corte 15 settembre 1994, causa C‑146/91, KYDEP/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑4199, punti 19 e 81, e sentenza del Tribunale 20 febbraio 2002, causa T‑170/00, Förde-Reederei/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑515, punto 37).

78     Il comportamento illecito contestato ad un’istituzione comunitaria deve consistere in una violazione sufficientemente caratterizzata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli (sentenza della Corte 4 luglio 2000, causa C‑352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione, Racc. pag. I‑5291, punto 42).

79     Il criterio decisivo per considerare tale condizione soddisfatta è quello della violazione manifesta e grave, commessa dall’istituzione comunitaria in questione, dei limiti posti al suo potere discrezionale.

80     Quando tale istituzione dispone solo di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per accertare l’esistenza di una violazione sufficientemente caratterizzata (sentenze del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑198/95, T‑171/96, T‑230/97, T‑174/98 e T‑225/99, Comafrica e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, Racc. pag. II‑1975, punto 134, e 10 febbraio 2004, cause riunite T‑64/01 e T‑65/01, Afrikanische Frucht-Compagnie e Internationale Fruchtimport Gesellschaft Weichert/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑521, punto 71).

81     I diversi motivi e argomenti sollevati dalle ricorrenti nella fattispecie devono essere esaminati alla luce di queste osservazioni.

 Argomenti delle parti

82     Con una prima censura, le ricorrenti sostengono che il comportamento illecito della Commissione, che ha generato il danno da esse subito, consiste nella violazione dei diritti di marchio dei quali esse sono titolari in forza dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva. Utilizzando il termine «Galileo» ed inducendo terzi ad utilizzarlo senza aver ottenuto il consenso delle ricorrenti, la Commissione avrebbe arrecato pregiudizio, e continuerebbe ad arrecare pregiudizio, ai loro diritti di marchio. Inoltre le ricorrenti fanno valere i loro marchi comunitari a norma dell’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

83     Al riguardo, esse precisano che il termine «Galileo» utilizzato dalla Commissione è sostanzialmente simile ai loro marchi. Il carattere distintivo di questi ultimi sarebbe, pertanto, largamente compromesso dal comportamento della Commissione.

84     Le ricorrenti sottolineano anche la somiglianza tra i beni e i servizi da esse offerti e quelli oggetto del progetto Galileo della Commissione, in quanto la clientela cui si rivolgono le due parti sarebbe in larga misura identica.

85     Infatti, le ricorrenti offrirebbero servizi rivolti al settore del trasporto aereo, marittimo e terrestre, al settore alberghiero ed ai consumatori finali. I detti servizi permetterebbero di ottenere informazioni riguardanti la posizione degli aerei in volo, in tempo reale, gli orari dei voli previsti nonché le possibilità di prenotazione. Le ricorrenti offrirebbero anche prodotti collegati a tali servizi, in particolare programmi per computer.

86     Quanto al progetto di navigazione Galileo, esso sarebbe orientato verso gli utenti potenziali, cioè i fornitori di servizi, i fabbricanti e i loro clienti nell’ambito del trasporto stradale, ferroviario, aereo e nel settore marittimo. Il servizio principale offerto da questo progetto sarebbe la localizzazione in tempo reale di uno di questi mezzi di trasporto.

87     Tale servizio principale sarebbe identico ai servizi offerti dalle ricorrenti che permettono di determinare la posizione geografica esatta di un volo. La somiglianza si estenderebbe ai beni, in quanto il progetto Galileo implicherebbe lo sviluppo dei software e di computer specifici per interpretare, utilizzare e diffondere l’informazione ai consumatori.

88     Secondo le ricorrenti, esiste un rischio di confusione, per il pubblico interessato, tra i loro marchi e il termine «Galileo» utilizzato dalla Commissione. Infatti, la Commissione stessa avrebbe sottolineato l’importanza enorme del progetto europeo Galileo, essendo prevista la creazione di circa 140 000 posti di lavoro e considerando che il mercato per le attrezzature ed i servizi è stimato a più di EUR 9 miliardi all’anno a partire dal 2010. Le ricorrenti ritengono che tali evoluzioni comporteranno inevitabilmente un uso sempre più intenso del termine «Galileo» in tutte le tecnologie delle quali il progetto si avvarrà.

89     Peraltro, secondo le ricorrenti, l’uso che la Commissione intende fare del termine «Galileo» rientrerebbe «nel commercio», poiché è stato utilizzato in relazione all’insieme dei servizi che il progetto Galileo è destinato a fornire.

90     Le ricorrenti precisano che la Commissione e il Consiglio hanno insistito sul fatto che il progetto Galileo è basato su un partenariato con il settore privato e che esso ha una finalità commerciale intesa a garantire la fattibilità economica del progetto. In tal senso, attualmente, sarebbe già al lavoro, sugli aspetti tecnici del progetto, un consorzio di 65 imprese e numerosi gruppi industriali e bancari preparerebbero già la loro futura partecipazione. Il progetto Galileo presenterebbe pertanto, nel corso di tutte le sue fasi di funzionamento, interessi economici importanti per il settore privato.

91     La Commissione avrebbe già creato, in collaborazione con l’ASE, l’«impresa comune Galileo» (v. il precedente punto 10), impresa che sarebbe incaricata dell’attuazione delle fasi di sviluppo e di approvazione, nonché della preparazione delle fasi di spiegamento e di esercizio del programma Galileo. Inoltre, il 22 maggio 2003, la Commissione avrebbe pubblicato un bando di gara del valore di EUR 500 000, destinato, in particolare, a studiare l’integrazione del programma Galileo con i sistemi di navigazione esistenti.

92     Inoltre, il fatto che la Commissione abbia chiesto la registrazione del marchio comunitario Galileo (v. il precedente punto 14) si spiegherebbe soltanto se essa progetta di utilizzarlo per contraddistinguere prodotti o servizi.

93     Secondo le ricorrenti, la Commissione avrebbe indotto importanti gruppi industriali europei ad utilizzare il termine «Galileo» come marchio nel commercio, quali la società Galileo Industries, che, citata dinanzi al tribunal de commerce de Bruxelles (v. il precedente punto 19), avrebbe invocato la scelta del termine «Galileo» effettuata dalla Commissione. I partners ai quali si rivolge l’impresa comune sarebbero, da parte loro, necessariamente chiamati a fare uso dello stesso termine, uso che dovrebbe, del pari, essere riferito alla Commissione.

94     Con una seconda censura, le ricorrenti contestano alla Commissione di aver causato loro un danno, astenendosi dall’effettuare un’indagine sui marchi. Orbene, chiunque progettasse di utilizzare un nuovo marchio dovrebbe affrontare il rischio che un terzo possa già aver ottenuto diritti esclusivi su un segno identico o simile. Le ricorrenti ritengono che, se la Commissione avesse effettuato simile indagine, avrebbe avuto conoscenza dei loro diritti di marchio e avrebbe facilmente potuto scegliere un termine diverso per designare il suo progetto. In ogni caso, la Commissione avrebbe commesso un grave illecito continuando a fare uso del termine «Galileo», pur essendo stata in seguito informata dell’esistenza dei loro diritti di marchio.

95     La Commissione ribatte che il segno del programma di ricerca Galileo e i marchi fatti valere dalle ricorrenti non sono simili, in quanto l’elemento essenziale e distintivo dei loro marchi è una sfera stilizzata. Per quanto riguarda, più in particolare, la sua domanda di registrazione di marchio comunitario, essa riguarderebbe un segno del tutto particolare (v. il precedente punto 14) che non crea alcun rischio di confusione con i marchi di cui si avvalgono le ricorrenti.

96     Inoltre, la detta domanda di marchio si riferirebbe a servizi di ricerca e di sviluppo limitati al settore della radionavigazione satellitare. Essa sarebbe stata effettuata a titolo puramente conservativo, allo scopo di escludere il rischio che un’impresa privata possa appropriarsi del termine ad approfittare della sua notorietà senza alcuna giustificazione.

97     Peraltro, i marchi fatti valere dalle ricorrenti non sarebbero destinati al grande pubblico. Le ricorrenti ne farebbero uso esclusivamente nell’ambito di operazioni intraprese con una cerchia ristretta di professionisti. Conseguentemente, i loro marchi non godrebbero di alcuna notorietà tra i consumatori e gli utilizzatori finali.

98     Per questa stessa ragione, non esisterebbe alcun rischio di confusione nel grande pubblico tra i marchi fatti valere e il termine «Galileo» utilizzato per il progetto europeo. Orbene, i professionisti ai quali si rivolgono le attività delle ricorrenti sarebbero di gran lunga più esperti del consumatore medio e non avrebbero alcuna difficoltà a riconoscere il termine «Galileo» in quanto designa il progetto di ricerca europeo e a distinguerlo dai marchi delle ricorrenti.

99     La Commissione aggiunge di aver utilizzato il termine «Galileo» esclusivamente come sinonimo del nome del progetto europeo di navigazione satellitare. Tale utilizzo non avrebbe mai mirato a promuovere un servizio o un prodotto derivante dai risultati tecnici ottenuti nell’ambito del progetto.

100   Quanto all’«impresa comune Galileo», essa esisterebbe soltanto per condurre a buon fine le fasi di ricerca e di sviluppo del programma Galileo e non svolgerebbe alcuna attività commerciale. Essa si limiterebbe a gestire bandi di gara ed a selezionare il futuro concessionario del sistema.

101   La Commissione nega di aver incoraggiato terzi ad utilizzare nel commercio il termine «Galileo» per beni e servizi. Non esisterebbe, in particolare, alcun nesso con la società Galileo Industries. In particolare, essa non avrebbe indotto tale società a fare uso del termine «Galileo» come marchio.

102   Quanto alla seconda censura sollevata dalle ricorrenti, la Commissione afferma di non essere legalmente tenuta a procedere ad indagini sui marchi. Il fatto di non aver effettuato indagini sui marchi non sarebbe in sé illecito.

 Giudizio del Tribunale

–       Sulla prima censura, vertente su una violazione dei diritti di marchio conferiti alle ricorrenti

103   Con riferimento alla censura vertente su una violazione da parte della Commissione dei diritti di marchio di cui sono titolari le ricorrenti, va constatato che l’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva e l’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 contengono disposizioni aventi ad oggetto il conferimento ad esse di diritti. Infatti le dette disposizioni sono tali da conferire alle ricorrenti, nella loro qualità di titolari dei marchi protetti dalla direttiva e dal regolamento n. 40/94, il diritto esclusivo di vietare, al ricorrere di determinate condizioni, a qualsiasi terzo di fare uso di un segno simile o identico ai loro marchi.

104   Quanto alla questione di stabilire se le dette disposizioni ed il diritto che esse conferiscono alle ricorrenti abbiano costituito oggetto di una violazione sufficientemente caratterizzata da parte della Commissione, occorre osservare che simile violazione presuppone che tutte le condizioni di applicazione di tali disposizioni siano nella fattispecie riunite.

105   Al riguardo, occorre ricordare, in primo luogo, che una di queste condizioni subordina la tutela del titolare del marchio all’esistenza di un rischio di confusione provocato, in particolare, dall’identità o dalla somiglianza dei prodotti o dei servizi designati dal marchio e dal segno di cui trattasi.

106   La Commissione potrebbe pertanto aver violato l’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva e l’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 soltanto se le ricorrenti dimostrassero che essa ha fatto uso del termine «Galileo» per designare prodotti o servizi simili o identici ai prodotti e servizi oggetto dei marchi dei quali esse sono proprietarie.

107   Orbene, se le ricorrenti sono riuscite a dimostrare che esse stesse offrivano numerosi servizi e prodotti contraddistinti dai loro marchi comprendenti il termine «Galileo», ciò non accade per quanto riguarda l’utilizzo dello stesso termine da parte della Commissione.

108   Le ricorrenti, in particolare, non hanno dimostrato che la Commissione offra, essa stessa, prodotti o servizi in relazione al progetto Galileo.

109   Negli atti di parte, esse si sono limitate ad affermare che il progetto Galileo della Commissione era orientato verso «utenti potenziali», che esso «implica[va] lo sviluppo» di software specifici, che esso era «destinato a fornire servizi» e che la Commissione, con la sua domanda di marchio comunitario, «progetta[va] di utilizzare tale marchio» per contraddistinguere prodotti o servizi.

110   In risposta ad un quesito scritto del Tribunale, esse hanno espressamente ammesso che non esistevano ancora prodotti e servizi derivanti dai risultati tecnici ottenuti grazie al progetto Galileo della Commissione e che simili prodotti e servizi non erano pertanto ancora disponibili per i futuri utenti pubblici o privati del sistema di radionavigazione satellitare.

111   Occorre ricordare, in secondo luogo, che l’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva e l’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 subordinano del pari la tutela del titolare del marchio al fatto che l’uso del segno in causa da parte di un terzo possa essere qualificato come «us[o] nel commercio».

112   Così, il titolare del marchio è protetto soltanto se l’uso del segno di cui trattasi possa pregiudicare le funzioni del marchio e, in particolare, la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto o del servizio. Ciò avviene, in particolare, quando l’uso del segno che si contesta al terzo è tale da rendere credibile l’esistenza di un collegamento materiale nel commercio tra i prodotti o servizi del terzo e l’impresa di provenienza di tali prodotti o servizi. Al riguardo, occorre verificare se i consumatori interessati possano interpretare il segno quale utilizzato dal terzo come tendente ad indicare l’impresa da cui provengono i prodotti o servizi del terzo (v., in questo senso, sentenza Anheuser Busch, cit. supra al punto 52, punti 59 e 60).

113   Nella fattispecie, tali criteri non sono soddisfatti. Infatti, come risulta dal fascicolo, la Commissione ha finora utilizzato il termine «Galileo» soltanto per designare globalmente il suo progetto di radionavigazione satellitare, certamente sottolineando i molteplici vantaggi per gli utenti del suo sfruttamento futuro (v. il precedente punto 12), ma senza delineare un nesso materiale tra determinati prodotti o servizi derivanti dalla realizzazione delle fasi di ricerca, di sviluppo e di spiegamento del progetto, da un lato, e i prodotti e servizi offerti dalle ricorrenti, dall’altro. Quanto ai prodotti e servizi di radionavigazione propriamente detti, è pacifico che non ne esistono ancora allo stadio attuale del progetto (v. il precedente punto 110).

114   Sotto questo aspetto, occorre osservare, in particolare, che l’uso di un segno ha luogo «nel commercio» quando si inscrive nel contesto di un’attività commerciale finalizzata ad un vantaggio economico (v. sentenza Travelex Global and Financial Services e Interpayment Services/Commissione, cit. supra al punto 36, punto 93, e giurisprudenza ivi citata).

115   Al riguardo, è vero che la Commissione sottolinea la finalità commerciale del suo progetto. Essa fa tutto il possibile perché il detto progetto diventi operativo e perché servizi di radionavigazione satellitare possano essere effettivamente offerti secondo il calendario previsto, in quanto la ragion d’essere del progetto è proprio il suo sfruttamento economico.

116   Rimane nondimeno il fatto che il ruolo della Commissione si limita al lancio del suo progetto di radionaviogazione satellitare in quanto «risposta europea» al sistema americano GPS ed al sistema russo Glonass, al sostegno finanziario delle fasi di ricerca, di sviluppo e di spiegamento del progetto nonché alla costituzione di un contesto adeguato per la fase di ulteriore sfruttamento economico, in particolare, con la partecipazione alla creazione dell’«impresa comune Galileo» e la pubblicazione di un bando di gara destinato all’integrazione del progetto Galileo con i sistemi esistenti di navigazione.

117   In questo modo la Commissione non esercita un’attività economica, in quanto non offre beni e servizi su un mercato. Con l’uso del termine «Galileo» nell’ambito delle fasi di ricerca, di sviluppo e di spiegamento del progetto, situate a monte della fase di sfruttamento economico propriamente detta, la Commissione non mira ad ottenere un vantaggio economico rispetto ad altri operatori, dato che non esistono altri operatori che si trovino in concorrenza con essa in questo settore. In contrasto con la tesi sostenuta dalle ricorrenti, non è dunque artificioso, nel presente contesto, operare una distinzione tra la fase di sfruttamento economico del progetto Galileo e le fasi precedenti.

118   Ne deriva che le ricorrenti non hanno neppure dimostrato che l’uso da parte della Commissione del termine «Galileo» potesse pregiudicare le funzioni dei marchi fatti valere ed avesse luogo «nel commercio», ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva e dell’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

119   Tale conclusione non è contraddetta dal fatto che la Commissione abbia proposto presso l’UAMI una domanda di marchio comunitario per il progetto Galileo, riguardante «servizi di ricerca e sviluppo nel settore della radionavigazione satellitare», e ne abbia depositato l’emblema presso il WIPO (v. i precedenti punti 14 e 16).

120   Infatti, se tali atti possono costituire un indizio dell’intenzione del richiedente di esercitare un’attività commerciale, così non è nelle circostanze specifiche del caso di specie, fintantoché il comportamento della Commissione non superi i limiti del ruolo che essa si è finora assegnata nell’ambito del suo progetto di radionavigazione satellitare e nell’uso del termine «Galileo» (v. i precedenti punti 113, 116 e 117).

121   Nei limiti in cui le ricorrenti obiettano che la Commissione utilizzerà, con ogni probabilità, il suo futuro marchio comunitario a profitto delle imprese concessionarie del sistema di radionavigazione satellitare, mediante il trasferimento del marchio o la concessione di licenze, tale affermazione deve al presente essere qualificata come mera speculazione, che non ha maggior peso dell’affermazione contraria della Commissione, secondo cui la domanda di marchio è stata depositata a titolo puramente conservativo, allo scopo di escludere il rischio che un’impresa privata possa appropriarsi del termine «Galileo» ed approfittarne senza alcuna giustificazione.

122   In realtà, le ricorrenti esprimono soltanto il loro timore di vedere la Commissione far beneficiare imprese private del suo marchio comunitario, una volta che quest’ultimo fosse registrato dall’UAMI. Orbene, tale registrazione non ha ancora avuto luogo, di modo che la Commissione non può servirsi attualmente del marchio. Infatti, le ricorrenti hanno proposto ricorso dinanzi all’UAMI per opporsi alla sua registrazione (v. il precedente punto 15) e tale ricorso ha effetto sospensivo in forza dell’art. 57, n. 1, del regolamento n. 40/94. Considerati i mezzi di ricorso esperibili contro la futura decisione della competente commissione di ricorso dell’UAMI, non è possibile determinare se la domanda di marchio depositata dalla Commissione sarà infine accolta.

123   Vero è che il giudice comunitario è autorizzato, in materia di risarcimento, a condannare l’istituzione convenuta al pagamento di una determinata somma di denaro o a constatare la sua responsabilità, anche se l’entità del danno non è ancora esattamente determinabile, purché si tratti di danni imminenti e prevedibili con una certa sicurezza, ragion per cui il giudice può essere adito per prevenire maggiori danni non appena la causa del danno è certa (sentenze della Corte 2 giugno 1976, cause riunite da 56/74 a 60/74, Kampffmeyer e a./Commissione e Consiglio, Racc. pag. 711, punto 6, e 14 gennaio 1987, causa 281/84, Zuckerfabrik Bedburg/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 49, punto 14).

124   È tuttavia necessario constatare che tale giurisprudenza, pur se consente al giudice di accogliere una domanda di risarcimento anche in assenza di un danno quantificato, non lo autorizza a condannare l’istituzione convenuta senza aver previamente constatato che tale istituzione ha effettivamente commesso una violazione sufficientemente caratterizzata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti alla parte ricorrente.

125   Nella fattispecie, non è pertanto sufficiente, perché la Commissione sia condannata a norma dell’art. 288, secondo comma, CE, che le ricorrenti deducano l’esistenza di un semplice rischio di violazione futura, da parte della detta istituzione, dei diritti ad esse conferiti dall’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva e dall’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, qualora essa utilizzasse nel commercio il termine «Galileo» in relazione a servizi o prodotti oggetto dei marchi delle ricorrenti. Queste ultime hanno, in particolare, omesso di dimostrare che l’utilizzo attuale, da parte della Commissione, del termine «Galileo» per designare il suo progetto, implicava necessariamente una futura violazione dei loro diritti.

126   Risulta da quanto precede che l’utilizzo da parte della stessa Commissione del termine «Galileo» per designare il suo progetto di radionavigazione satellitare non soddisfa tutte le condizioni di applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva e dell’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

127   Conseguentemente, la Commissione non ha violato con tale comportamento i diritti conferiti alle ricorrenti dalle disposizioni di cui all’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva e all’art. 9, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

128   Le ricorrenti affermano ancora che la Commissione ha indotto e incoraggiato le imprese private interessate dallo sfruttamento del suo progetto ad utilizzare, fin da ora, il termine «Galileo» a fini commerciali, cioè in relazione a beni e servizi. Al riguardo, esse fanno riferimento alla decina di controversie che le vedono contrapposte a tali imprese dinanzi ai giudici nazionali e dinanzi all’UAMI (v. i precedenti punti 19‑21). Secondo le ricorrenti, le dette imprese sono necessariamente chiamate a fare uso di tale termine nel commercio, al fine di dimostrare la coerenza tra le loro attività e il progetto lanciato dalla Commissione. Ne consegue che l’utilizzo da parte del settore privato del termine «Galileo» dovrebbe essere imputato alla Commissione.

129   Al riguardo, occorre ricordare che soltanto gli atti o i comportamenti imputabili ad un’istituzione o ad un organo comunitario possono far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità (v., in questo senso, sentenze della Corte 10 luglio 1985, causa 118/83, CMC e a./Commissione, Racc. pag. 2325, punto 31, e 23 marzo 2004, causa C‑234/02 P, Mediatore/Lamberts, Racc. pag. I‑2803, punto 59).

130   Secondo una giurisprudenza costante, il danno asserito deve derivare in modo sufficientemente diretto dal comportamento contestato, cioè tale comportamento deve essere la causa determinante del danno (v. ordinanza del Tribunale 12 dicembre 2000, causa T‑201/99, Royal Olympic Cruises e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑4005, punto 26, e giurisprudenza ivi citata, confermata in sede d’impugnazione dall’ordinanza della Corte 15 gennaio 2002, causa C‑49/01 P, Royal Olympic Cruises e a./Consiglio e Commissione, non pubblicata nella Raccolta). Per contro, non incombe alla Comunità l’obbligo di risarcire qualsiasi conseguenza dannosa, anche lontana, dei comportamenti dei suoi organi (v., in questo senso, sentenza della Corte 4 ottobre 1979, cause riunite 64/76 e 113/76, 167/78 e 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, Dumortier frères e a./Consiglio, Racc. pag. 3091, punto 21).

131   Nella fattispecie, è vero che la Commissione ha scelto il termine «Galileo» per designare il progetto europeo di radionavigazione satellitare. È anche vero che la Commissione doveva essere cosciente del fatto che le imprese desiderose di sfruttare economicamente tale progetto sarebbero state tentate di utilizzare lo stesso termine allo scopo di approfittare della notorietà tanto della Commissione che del progetto.

132   Rimane nondimeno il fatto che l’utilizzo da parte di queste imprese del termine controverso in relazione alle loro attività economiche è basato su una scelta che esse hanno fatto autonomamente.

133   Da un lato, infatti, le ricorrenti non hanno dimostrato che la Commissione abbia obbligato le dette imprese ad impiegare tale termine o che essa le abbia attivamente incoraggiate, mediante accordi, a farlo. Dall’altro, esse non hanno neppure affermato che esistevano vincoli organici e funzionali tra le imprese di cui trattasi e la Commissione o che quest’ultima esercitava su di esse un controllo, ingerendosi direttamente o indirettamente nella loro gestione. Infine, nulla permette di supporre che la scelta iniziale del termine «Galileo» da parte della Commissione abbia necessariamente indotto le imprese interessate a seguire tale esempio, a meno di compromettere il successo economico dell’intero progetto.

134   Poiché si suppone che le imprese conoscano il diritto comunitario ed il diritto che disciplina la materia dei marchi, appare corretto considerare che esse devono essere ritenute responsabili, sulla base delle pertinenti norme giuridiche, del proprio comportamento sul mercato, in quanto abbiano scelto di utilizzare il termine «Galileo» nell’ambito delle loro attività economiche.

135   Ne deriva che tale scelta delle imprese deve essere considerata come causa diretta e determinante dell’asserito danno, mentre l’eventuale apporto della Commissione a tale danno è troppo remoto perché la responsabilità che incombe sulle imprese in causa possa essere riversata su di essa.

136   Conseguentemente, la censura vertente su una violazione dei diritti di marchio conferiti alle ricorrenti deve essere respinta.

–       Sulla seconda censura, vertente su un comportamento negligente della Commissione nei confronti delle ricorrenti

137   Con riferimento alla censura vertente sull’illecita astensione della Commissione dal procedere ad un’indagine sui marchi, è sufficiente osservare che le omissioni delle istituzioni comunitarie possono far sorgere la responsabilità della Comunità solo qualora le istituzioni abbiano violato un obbligo di agire stabilito per legge e risultante da una disposizione comunitaria (v. sentenza Travelex Global and Financial Services e Interpayment Services/Commissione, cit. supra al punto 36, punto 143, e giurisprudenza ivi citata).

138   Orbene, nella fattispecie le ricorrenti non hanno indicato in forza di quale disposizione di diritto comunitario la Commissione sarebbe stata tenuta ad effettuare un’indagine relativa all’anteriorità delle registrazioni del termine «Galileo» come marchio. Inoltre, poiché l’utilizzo da parte della Commissione di tale termine per designare il suo progetto di radionavigazione satellitare non ha violato i diritti di marchio conferiti alle ricorrenti, l’astensione dell’istituzione convenuta dall’effettuare, preliminarmente all’uso, un’indagine sui loro marchi, non può essere qualificata come illecita.

139   Ne deriva che le ricorrenti non sono riuscite, neppure sotto questo profilo, a dimostrare l’illegittimità del comportamento contestato alla Commissione.

140   Ne consegue che anche la censura vertente su un comportamento negligente della Commissione nei confronti delle ricorrenti deve essere respinta.

–       Conclusione

141   Considerato che non ha potuto essere dimostrata né l’illegittimità del comportamento contestato alla Commissione né l’esistenza di un nesso di causalità sufficientemente diretto tra il comportamento contestato e l’asserito danno, non ricorrono le condizioni perché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità.

142   Date le circostanze, il ricorso per risarcimento delle ricorrenti fondato su tale regime di responsabilità deve essere respinto.

 Sulla responsabilità della Commissione per atto lecito

143   Le ricorrenti invocano la responsabilità della Commissione per atti legittimi. Nella fattispecie, l’uso del termine «Galileo» avrebbe violato e violerebbe i loro diritti in modo assolutamente unico per il fatto che esse sono le sole imprese i cui diritti sono stati compromessi dalla misura in questione (danno anormale). Inoltre, il rischio che un’autorità pubblica non rispetti il diritto dei marchi utilizzando un termine per un progetto, mentre tale violazione avrebbe potuto facilmente essere evitata, non sarebbe per nulla inerente al fatto di operare in un settore economico particolare (danno speciale). Infine, la scelta imprudente da parte della Commissione del termine «Galileo» non sarebbe giustificata da alcun interesse economico generale (assenza di giustificazione).

144   Al riguardo va osservato che il fatto che, come nella fattispecie, l’illiceità del comportamento imputato alle istituzioni comunitarie non sia accertata non comporta che le imprese che si ritengono lese da tale comportamento non possano in alcun caso ottenere una compensazione facendo valere la responsabilità extracontrattuale della Comunità (v., in questo senso, sentenza della Corte 29 settembre 1987, causa 81/86, De Boer Buizen/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 3677, punto 17).

145   Infatti, l’art. 288, secondo comma, CE basa l’obbligo che esso impone alla Comunità di risarcire i danni causati dalle sue istituzioni sui «principi generali comuni ai diritti degli Stati membri» senza limitare, di conseguenza, la portata di tali principi al solo regime della responsabilità extracontrattuale della Comunità per comportamento illecito delle sue istituzioni.

146   Orbene, i diritti nazionali della responsabilità extracontrattuale consentono ai singoli, anche se in misura variabile, in settori specifici e secondo modalità diverse, di ottenere in via giudiziale l’indennizzo di taluni danni, anche in assenza di un’azione illecita dell’autore del danno.

147   Nel caso di un danno causato da un comportamento delle istituzioni della Comunità la cui illiceità non è dimostrata, la responsabilità extracontrattuale della Comunità può sorgere quando siano cumulativamente soddisfatte le condizioni relative all’effettività del danno, al nesso di causalità tra il danno e il comportamento delle istituzioni comunitarie e al carattere anormale e speciale del danno in questione (sentenza della Corte 15 giugno 2000, causa C‑237/98 P, Dorsch Consult/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑4549, punto 19).

148   Quanto ai danni che gli operatori economici possono subire a causa delle attività delle istituzioni comunitarie, un pregiudizio è anormale quando supera i limiti dei rischi economici inerenti alle attività nel settore di cui trattasi (sentenza Afrikanische Frucht-Compagnie e Internationale Fruchtimport Gesellschaft Weichert/Consiglio e Commissione, cit. supra al punto 80, punto 151, e giurisprudenza ivi citata).

149   Nella fattispecie, anche supponendo che le ricorrenti pervengano a dimostrare di aver subito un danno effettivo provocato dall’utilizzo del termine «Galileo» da parte della Commissione, non si può ritenere che tale danno superi i limiti dei rischi inerenti all’impiego dello stesso termine da parte delle ricorrenti in forza dei loro marchi.

150   Infatti, scegliendo il nome «Galileo» per designare i loro marchi, i loro prodotti e i loro servizi, le ricorrenti non potevano ignorare di essersi ispirate al nome di battesimo dell’illustre matematico, fisico e astronomo italiano, nato a Pisa nel 1564, che è una delle grandi figure della cultura e della storia scientifica europee. Pertanto, le ricorrenti si sono volontariamente esposte al rischio che qualcun altro, in questo caso la Commissione, potesse legittimamente, cioè senza pregiudicare i loro diritti di marchio, intitolare allo stesso nome celebre il suo programma di ricerca in materia di radionavigazione satellitare. Per altro, nel 1989, la National Aeronautics and Space Administration (NASA) (amministrazione aeronautica e spaziale americana) aveva già scelto il termine «Galileo» per designare una missione spaziale, cioè il lancio di un satellite di osservazione verso il pianeta Giove.

151   Pertanto, nelle circostanze di specie, non è possibile qualificare come anormale il danno che le ricorrenti asseriscono di aver subito.

152   Tale rilievo è sufficiente per escludere qualsiasi diritto ad indennizzo a questo titolo, senza che occorra che il Tribunale si pronunci sulla condizione della specialità del danno.

153   Ne consegue che la domanda di indennizzo delle ricorrenti basata sul regime della responsabilità extracontrattuale della Comunità in assenza di comportamento illecito dei suoi organi va anch’essa respinta.

154   Risulta dall’insieme delle argomentazioni che precedono che il ricorso deve essere integralmente respinto.

 Sulle spese

155   Ai sensi dell’ art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

156   Le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione, conformemente alle conclusioni presentate in tal senso dall’istituzione convenuta.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Le ricorrenti sono condannate alle spese.

Pirrung

Meij

Forwood

Pelikánová

 

      Papasavvas

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 10 maggio 2006.

Il cancelliere

 

       Il presidente

E. Coulon

 

       J. Pirrung


Indice


Fatti all’origine della controversia

1.  Il termine «Galileo» utilizzato dalle ricorrenti

2.  Il termine «Galileo» utilizzato dalla Commissione

3.  Domanda di registrazione di un marchio comunitario presentata dalla Commissione

4.  Scambio di corrispondenza tra le ricorrenti e la Commissione

5.  Ricorsi giurisdizionali e amministrativi promossi dalle ricorrenti parallelamente alla controversia in esame

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

1.  Sulla ricevibilità

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul requisito della chiarezza e precisione del ricorso

–  Con riferimento ai marchi nazionali, intracomunitari ed extracomunitari

–  Con riferimento ai marchi che godono di notorietà

–  Con riferimento ai marchi comunitari

–  Con riferimento alle ragioni sociali, ai nomi commerciali e ai nomi di dominio

Sulle conclusioni intese ad ottenere la cessazione dei comportamenti della Commissione che si assumono illeciti

Conclusione

2.  Nel merito

Sulla responsabilità della Commissione per atto illecito

Osservazioni preliminari

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

–  Sulla prima censura, vertente su una violazione dei diritti di marchio conferiti alle ricorrenti

–  Sulla seconda censura, vertente su un comportamento negligente della Commissione nei confronti delle ricorrenti

–  Conclusione

Sulla responsabilità della Commissione per atto lecito

Sulle spese



* Lingua processuale: il francese.

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