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Document 62003CC0220

    Conclusioni dell'avvocato generale Stix-Hackl del 13 settembre 2005.
    Banca centrale europea contro Repubblica federale di Germania.
    Protocollo sui privilegi e le immunità delle Comunità europee - Accordo sulla sede della Banca centrale europea- Clausola compromissoria - Immobili presi in locazione dalla BCE - Imposte indirette che si ripercuotono sui prezzi dei canoni di locazione.
    Causa C-220/03.

    Raccolta della Giurisprudenza 2005 I-10595

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2005:543

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    CHRISTINE STIX-HACKL

    presentate il 13 settembre 2005 1(1)

    Causa C-220/03

    Banca centrale europea

    contro

    Repubblica federale di Germania

    «Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee – Accordo sulla sede della Banca centrale europea – Immobili presi in locazione dalla Banca centrale europea – Imposte indirette»





    I –    Introduzione

    1.     La causa sottoposta alla decisione della Corte concerne la determinazione dell’ambito entro il quale la Banca centrale europea (in prosieguo: la «BCE») è esentata dal pagamento delle imposte indirette nello Stato in cui essa ha sede, cioè nella Repubblica federale di Germania. In sostanza, oggetto di controversia sono i limiti della competenza a giudicare della Corte, nonché l’esistenza dell’obbligo di rimborsare anche l’imposta sulla cifra d’affari non indicata separatamente.

    II – Contesto normativo

    A –    La normativa comunitaria

    1.      Lo statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea

    2.     Il Protocollo sullo statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea (in prosieguo: lo «statuto del SEBC») all’art. 35, n. 4, dispone quanto segue:

    «La Corte di giustizia è competente a giudicare in virtù di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto privato o di diritto pubblico stipulato dalla BCE o per suo conto».

    2.      Il protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee

    3.     Il protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee (2) (in prosieguo: il «protocollo sui privilegi») all’art. 3, n. 2, dispone quanto segue:

    «I governi degli Stati membri adottano, ogni qualvolta sia loro possibile, le opportune disposizioni per l’abbuono o il rimborso dell’importo dei diritti indiretti e delle tasse sulla vendita compresi nei prezzi dei beni immobili o mobili, quando le Comunità effettuino, per loro uso ufficiale, acquisti considerevoli il cui prezzo comprenda diritti e tasse di tale natura (…)».

    3.      L’accordo sulla sede

    4.     Dal quinto ‘considerando’ del suo preambolo risulta che l’accordo sulla sede della Banca centrale europea, di cui sono firmatari il governo della Repubblica federale di Germania e la Banca centrale europea (in prosieguo: l’«accordo sulla sede») (3) è rivolto a stabilire i privilegi e le immunità della Banca centrale europea all’interno della Repubblica federale di Germania in conformità con quanto previsto nel protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee.

    5.     L’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede stabilisce quanto segue:

    «In applicazione dell’art. 3, n. 2, del protocollo, l’Ufficio federale delle finanze dal gettito complessivo dell’imposta sulla cifra d’affari rimborsa, su richiesta, l’imposta sulla cifra d’affari separatamente fatturata dalle imprese alla BCE per cessioni di beni e altre prestazioni effettuate a favore della BCE, qualora tali operazioni siano destinate all’uso ufficiale della BCE, e sempre che l’importo dell’imposta dovuto per tali operazioni superi, nel singolo caso, i cinquanta marchi tedeschi e sia stato effettivamente pagato dalla BCE alle imprese (…)».

    B –    Diritto nazionale

    6.     La sesta direttiva sull’IVA è stata trasposta nell’ordinamento tedesco con la legge sull’imposta sulla cifra d’affari nella versione, rilevante per la presente causa, del 9 giugno 1999 (4) (in prosieguo: l’«UstG»).

    7.     L’art. 4 dell’UStG si basa sull’art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva sull’IVA e stabilisce quanto segue:

    «Tra le operazioni previste all’art. 1, n. 1, punto 1, sono esenti:

    (…)

    12. lett. a): l’affitto e la locazione di beni immobili (…)».

    8.     L’art. 9, n. 1, dell’UStG concede, tuttavia, la seguente opzione:

    «Un imprenditore può trattare un’operazione, esente in base all’art. 4, punto 8, da lett. a) a lett. g), punto 9, lett. a), e punti 12, 13 e 19, come operazione imponibile, qualora tale operazione venga effettuata a favore dell’impresa di un altro imprenditore».

    9.     L’art. 15 dell’UStG disciplina la deduzione dell’imposta pagata a monte in modo tale che l’imprenditore possa dedurre l’imposta, separatamente indicata nelle fatture, relativa a cessioni di beni o ad altre prestazioni effettuate da altri imprenditori a favore della sua impresa. Non può, tuttavia, essere dedotta, tra l’altro, l’imposta relativa alle cessioni, all’importazione e all’acquisto intracomunitario di beni nonché ad altre prestazioni che l’imprenditore utilizza per effettuare operazioni esenti.

    III – Fatti

    10.   Con il suo ricorso la BCE chiede sia di dichiarare l’esistenza di un concreto obbligo di rimborso, sia di accertare che l’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede, in combinato disposto con l’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi, dev’essere interpretato nel senso che tale disposizione impone siffatto rimborso.

    11.   Con il ricorso la BCE chiede di dichiarare che la Repubblica federale di Germania, in qualità di Stato della sede, ha l’obbligo di rimborsare alla BCE l’imposta sulla cifra d’affari che questa sostiene di aver indirettamente versato in relazione a canoni di locazione e altre prestazioni destinate al suo uso ufficiale. La BCE, in particolare, chiede di dichiarare che la Repubblica federale di Germania ha l’obbligo di rimborsarle determinati importi, in parte specificamente conteggiati, in parte indicati solo in base alla loro fonte.

    IV – Sulla ricevibilità

    A –    Argomenti delle parti

    12.   Il governo tedesco contesta la ricevibilità del ricorso sulla scorta tanto del protocollo sui privilegi quanto dell’accordo sulla sede.

    13.   Secondo il governo tedesco, infatti, prima di tutto la clausola compromissoria di cui all’art. 21 dell’accordo sulla sede varrebbe espressamente soltanto per le controversie relative all’interpretazione o all’applicazione «del presente accordo». Pertanto, la Corte non sarebbe competente per l’interpretazione e l’applicazione del protocollo sui privilegi o addirittura per la diretta applicazione dell’art. 3, n. 2, del citato protocollo, sicché il ricorso sarebbe per questa parte irricevibile.

    14.   In secondo luogo, la clausola compromissoria, che in base alla giurisprudenza della Corte dovrebbe essere interpretata in senso restrittivo, non sarebbe applicabile nemmeno in relazione all’accordo sulla sede, in quanto non vi sarebbe alcuna «controversia relativa all’interpretazione e all’applicazione dell’accordo sulla sede». Infatti, tra il governo tedesco e la BCE vi sarebbe unanimità nel ritenere che l’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede, di per sé considerato, preveda soltanto il rimborso delle imposte sulla cifra d’affari separatamente indicate con conseguente sua inapplicabilità nel presente caso, ove non verrebbe in rilievo un’ipotesi di rimborso delle imposte sulla cifra d’affari separatamente indicate.

    15.   Ad avviso della BCE, invece, il ricorso è ricevibile in forza del combinato disposto della clausola compromissoria e dell’art. 35, n. 4, dello statuto del SEBC.

    16.   A proposito dell’interpretazione dell’accordo sulla sede, essa ritiene che un contratto dovrebbe essere sempre interpretato in connessione con il diritto comunitario applicabile. Orbene, l’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede rinvierebbe espressamente all’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi e tra le due disposizioni vi sarebbe un legame inscindibile. Le disposizioni dell’accordo sulla sede, infatti, darebbero concreta attuazione alle disposizioni del protocollo sui privilegi e dovrebbero, pertanto, essere sempre interpretate e applicate in connessione con tale protocollo.

    17.   A proposito, quindi, dell’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede, la BCE sostiene che tra essa e la Repubblica federale di Germania vi sarebbe senz’altro una controversia, rientrante nella previsione della clausola compromissoria, relativa all’interpretazione e all’applicazione di tale disposizione in combinato disposto con l’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi. A suo avviso, infatti, la Repubblica federale di Germania violerebbe le predette disposizioni d’esenzione, in quanto si rifiuterebbe di rimborsarle l’imposta sulla cifra d’affari inclusa nei canoni di locazione e nelle spese accessorie, maggiorati proprio a causa dell’impossibilità di dedurre l’imposta. Il governo tedesco, per contro, ritiene che dall’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede non scaturirebbe un siffatto diritto al rimborso giacché presupposto espresso per la sua applicazione sarebbe la fatturazione separata degli importi dell’imposta sulla cifra d’affari.

    B –    Valutazione

    18.   Entrambe le domande contenute nel ricorso della BCE si fondano sia sull’accordo sulla sede sia sul protocollo sui privilegi; pertanto, occorre preliminarmente verificare se la Corte è competente a decidere in merito ad entrambe tali disposizioni.

    1.      Competenza della Corte ad interpretare l’art. 3 del protocollo sui privilegi

    a)      Competenza derivante da disposizioni generali

    19.   Il protocollo sui privilegi, che al tempo dei fatti in causa era in vigore nella versione modificata dall’art. 9 del Trattato di Amsterdam (5), ai sensi dell’art. 311 CE, nonché dell’art. 291 CE (6), costituisce parte integrante del Trattato CE e ne condivide, pertanto, la natura giuridica.

    20.   In virtù di tali relazioni sistematiche, anche al protocollo sui privilegi si applicano le disposizioni generali del Trattato CE relative alla competenza della Corte (artt. 220 e segg. CE). Inoltre, l’art. 11 del Trattato di Amsterdam stabilisce esplicitamente che le «disposizioni del trattato che istituisce la Comunità europea (…) relative alle competenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e all’esercizio di tali competenze si applicano alle disposizioni (…) del protocollo sui privilegi e sulle immunità». A livello oggettivo, pertanto, già sulla base di queste disposizioni generali sussiste la competenza della Corte, senza bisogno di appellarsi alla clausola compromissoria dell’accordo sulla sede. Tuttavia, le controversie relative all’applicazione e all’interpretazione del protocollo sui privilegi possono essere portate dinanzi alla Corte purché questa venga adita con ricorsi ricevibili (7). La relativa competenza va determinata in base alle disposizioni generali di cui agli artt. 220 e segg. CE. Risulta, pertanto, decisivo verificare se il Trattato CE predisponga un procedimento attraverso il quale la BCE possa far valere il suo diritto al rimborso e la sua domanda d’accertamento (8).

    21.   Il Trattato CE, agli artt. 220 e segg. CE, prevede, in primo luogo, ricorsi diretti, come il procedimento d’inadempimento (art. 226 CE e art. 227 CE), o come i procedimenti instaurati con un ricorso per annullamento (art. 230 CE) o con un ricorso per carenza (art. 232 CE).

    22.   I due ricorsi diretti per ultimo menzionati non possono venire in rilievo, in quanto essi sono inidonei ad offrire alla ricorrente la tutela giuridica richiesta. In particolare, non è utilizzabile il ricorso per annullamento, in quanto con l’attuale ricorso non si chiede di dichiarare nullo l’accordo sulla sede. D’altro canto, il protocollo sui privilegi, essendo diritto primario, è in ogni caso sottratto ad un esame della Corte vertente sulla sua validità.

    23.   L’obbligo di rimborso di cui parla la BCE, ammesso che davvero esista, costituisce una conseguenza dell’asserito divieto di riscuotere imposte sulla cifra d’affari. Pertanto, la BCE, affermando l’esistenza di un obbligo di rimborso, afferma al contempo la violazione, da parte di uno Stato membro, delle disposizioni sulle quali il ricorso si fonda. Dal momento che il protocollo sui privilegi costituisce parte integrante del Trattato CE, per contestare la violazione, censurata dalla BCE, dell’art. 3 di tale protocollo (in combinato disposto con l’art. 8 dell’accordo sulla sede), potrebbe essere utilizzato soltanto il procedimento d’inadempimento di cui agli artt. 226 CE e 227 CE. Tuttavia, in tale procedimento la legittimazione a proporre ricorso spetta, in base all’art. 226 CE, soltanto alla Commissione e, in base all’art. 227 CE, a ciascuno degli Stati membri. In tale procedimento non sono, pertanto, legittimati a proporre ricorso né le altre istituzioni, menzionate all’art. 7 CE, né la BCE, menzionata all’art. 8 CE.

    24.   Oltre ai ricorsi suddetti, ai sensi dell’art. 234 CE vi è la possibilità di presentare una domanda di pronuncia pregiudiziale. Tuttavia, poiché la presente causa non è stata instaurata con una domanda di pronuncia pregiudiziale, alla presentazione della quale la BCE non sarebbe comunque legittimata, viene meno anche la possibilità di qualificare in tal senso il presente procedimento.

    25.   L’art. 238 CE, infine, attribuisce alla Corte la competenza a giudicare in virtù di una clausola compromissoria. Vero è che per i ricorsi di cui all’art. 238 CE, con il Trattato di Nizza la competenza è passata, ai sensi dell’art. 225, n. 1, CE, al Tribunale di primo grado. Tuttavia, tale disciplina non è applicabile alla presente causa.

    26.   Poiché, d’altro canto, il protocollo sui privilegi di per sé non contiene alcuna clausola compromissoria, la competenza della Corte non può fondarsi nemmeno sull’art. 238 CE.

    27.   Occorre, pertanto, constatare che per la presente controversia non è utilizzabile nessuno dei procedimenti tassativamente previsti dagli artt. 220 e segg. CE. Anzi, in base ad un ragionamento a contrario, dalle disposizioni del Trattato CE si desume che queste non attribuiscono alla Corte la competenza a giudicare di un ricorso diretto proposto dalla BCE contro lo Stato della sede in merito all’interpretazione del protocollo sui privilegi (9).

    28.   La competenza della Corte ad interpretare l’art. 3 del protocollo sui privilegi potrebbe, pertanto, tutt’al più derivare dalla clausola compromissoria pattuita nell’accordo sulla sede.

    b)      Competenza derivante dalla clausola compromissoria

    29.   In base alla clausola compromissoria contenuta all’art. 21 dell’accordo sulla sede, «ciascuna delle parti contraenti può sottoporre alla Corte di giustizia delle Comunità europee le controversie sorte tra il governo e la BCE, relative all’interpretazione o all’applicazione del presente accordo». La facoltà di pattuire una clausola compromissoria di tal tipo discende dall’art. 35, n. 4, dello statuto del SEBC.

    30.   Occorre domandarsi se la predetta clausola compromissoria debba essere interpretata estensivamente, nel senso che essa si riferisce anche alle controversie concernenti ulteriori disposizioni, esterne all’accordo sulla sede, qualora le stesse possano assumere – come nel presente caso l’art. 3 del protocollo sui privilegi – rilievo ai fini della soluzione delle controversie scaturenti dall’accordo sulla sede.

    31.   In base alla giurisprudenza della Corte, citata dal governo tedesco, le clausole compromissorie devono essere interpretate in senso restrittivo, in quanto la competenza della Corte, fondata su una clausola compromissoria, costituisce una deroga rispetto al diritto ordinario. La causa 426/85, richiamata dal governo tedesco, tuttavia, verteva sulla questione se i fatti, posti a fondamento di una domanda riconvenzionale, rientrino nella previsione della relativa clausola compromissoria. Tale clausola prevedeva la competenza della Corte per tutte le controversie relative all’esecuzione del contratto. A tal proposito la Corte ha stabilito che la pretesa fatta valere con la domanda riconvenzionale deve (quanto meno) trovarsi «in relazione diretta con le obbligazioni derivanti da detto contratto» (10).

    32.   Il caso attuale è differente, perché non si tratta di verificare se determinati fatti rientrino nella previsione della clausola compromissoria, bensì di accertare se la Corte, in virtù della clausola compromissoria contenuta nell’accordo sulla sede, sia autorizzata a fornire un’interpretazione vincolante di una disposizione di diritto comunitario che non è contenuta nell’accordo sulla sede (11).

    33.   Inoltre, a differenza di quanto avveniva nella menzionata causa 426/85, nel presente caso è lo stesso disposto letterale della clausola compromissoria a delimitarne l’ambito d’applicazione. Con la locuzione «relative all’interpretazione o all’applicazione del presente accordo» (12), è proprio l’art. 21 dell’accordo sulla sede a stabilire che non viene in rilievo una competenza della Corte ad interpretare disposizioni non contenute nell’accordo stesso.

    34.   Del resto, in linea generale, una clausola compromissoria può avere l’effetto di attribuire la competenza soltanto per quel contratto in cui è contenuta. Al massimo, potrebbe venire in rilievo un’estensione a quei contratti o accordi in cui le parti contraenti sono le stesse dell’accordo sulla sede in cui è contenuta la clausola compromissoria. Se, invece, si ammettesse un’estensione ancor più ampia fino a ricomprendere contratti conclusi tra altre parti, come nel presente caso il protocollo sui privilegi, si finirebbe per imporre alle parti contraenti una clausola compromissoria, e quindi una competenza della Corte, che le stesse – magari volutamente – non hanno punto previsto.

    35.   Parti contraenti dell’accordo sulla sede sono la BCE e la Repubblica federale di Germania, mentre parti contraenti del protocollo sui privilegi sono gli Stati membri. Già per tale ragione non è possibile fondare, sulla scorta dell’art. 21 dell’accordo sulla sede, alcuna competenza, sia pur indiretta, della Corte ad interpretare il protocollo sui privilegi.

    36.   Non è, peraltro, in contrasto con tale conclusione la circostanza – richiamata anche dalla BCE – che l’accordo sulla sede deve essere interpretato «in connessione» con il protocollo sui privilegi (13). Prendere in esame le disposizioni con le quali la norma da interpretare è connessa non equivale, tuttavia, a fondare una competenza della Corte per l’interpretazione (vincolante) anche di tali disposizioni, né presuppone, in particolare, l’esistenza di una siffatta competenza.

    37.   Non ha poi nessuna importanza in proposito il fatto che una competenza della Corte per l’interpretazione del protocollo sui privilegi a livello meramente oggettivo sussiste già in forza dello stesso protocollo sui privilegi e del Trattato CE. Infatti, come si è visto, tale competenza sussiste solo limitatamente ai tipi di procedimento predisposti dal Trattato CE e solo limitatamente ai soggetti legittimati a proporre ricorso in tali tipi di procedimento. Ritenere che la competenza della Corte si fondi sulla clausola compromissoria in questione significherebbe, pertanto, estendere a livello soggettivo i rimedi giuridici previsti dal protocollo sui privilegi.

    38.   Una clausola compromissoria che prevedesse una competenza della Corte più ampia di quella sopra menzionata, costituirebbe, d’altra parte, una deroga alle suesposte regole generali in materia di competenza, comprese le stesse regole del Trattato CE. Tuttavia, l’art. 35, n. 4, dello statuto del SEBC non prevede la facoltà di modificare in tal modo le disposizioni del Trattato.

    39.   Si può, pertanto, affermare che nel presente procedimento non sussiste una competenza della Corte ad interpretare l’art. 3 del protocollo sui privilegi. Non è in contrasto con tale conclusione il prendere in esame tale norma in quanto connessa con altre norme.

    2.      Competenza della Corte ad interpretare l’art. 8 dell’accordo sulla sede

    40.   L’art. 21 dell’accordo sulla sede fonda la competenza della Corte a giudicare le «controversie sorte tra il governo e la BCE relative all’interpretazione o all’applicazione del presente accordo (…)». Nel caso qui in esame tra le parti è sorta una lite, tra l’altro, in relazione alla questione se la controversa esistenza del diritto al rimborso della BCE debba essere valutata applicando esclusivamente l’art. 8 dell’accordo sulla sede, oppure se tale articolo, in virtù del rinvio ivi contenuto, richiami l’art. 3 del protocollo sui privilegi in modo tale che la lite debba essere decisa prendendo in esame anche il predetto protocollo. Tale controversia concerne, quindi, direttamente il contenuto dell’art. 8 dell’accordo sulla sede. Proprio per questo motivo si tratta di una controversia sorta tra la Repubblica federale di Germania e la BCE relativa all’interpretazione dell’accordo, ai sensi dell’art. 21 dell’accordo sulla sede, sicché tale articolo – contrariamente a quanto ritenuto dal governo tedesco – trova qui applicazione, fondando la competenza della Corte.

    3.      Conclusione

    41.   Di conseguenza, il ricorso non è ricevibile, per difetto di competenza della Corte, per la parte che si fonda sul protocollo sui privilegi, mentre è ricevibile per la parte che si fonda sull’accordo sulla sede.

    V –    Sul merito

    A –    Argomenti delle parti

    1.      Argomenti della BCE

    42.   La BCE sostiene di essere tenuta a pagare ai propri locatori canoni di locazione e spese accessorie nei cui importi sarebbe compresa l’imposta sulla cifra d’affari che i locatori avrebbero pagato ai propri fornitori per precedenti prestazioni. Essa, pertanto, verrebbe indirettamente gravata da questa imposta sulla cifra d’affari. Ciò sarebbe peraltro implicito nel sistema della deduzione e dell’esenzione dall’imposta disciplinato dalla sesta direttiva e dal diritto tedesco sull’imposta sulla cifra d’affari, come ammesso anche dalla giurisprudenza della Corte.

    43.   Secondo la BCE non è conforme all’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede, in combinato disposto con l’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi, il fatto che essa venga indirettamente gravata da un’imposta sulla cifra d’affari. Il governo tedesco con la sua prassi giuridica, vale a dire applicando le disposizioni nazionali sull’imposta sulla cifra d’affari, violerebbe le predette disposizioni.

    44.   Vero è che l’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede vale, stando al suo tenore letterale, soltanto per l’imposta sulla cifra d’affari «separatamente fatturata». Tuttavia, secondo la BCE, tale articolo, in forza del combinato disposto con l’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi, in realtà prevedrebbe non soltanto il rimborso dell’imposta sulla cifra d’affari separatamente fatturata, ma anche il rimborso di ogni imposta sulla cifra d’affari compresa nei prezzi pagati dalla BCE per beni e servizi destinati al suo uso ufficiale, e quindi anche dell’imposta sulla cifra d’affari che le verrebbe indirettamente addossata dai suoi locatori per effetto della traslazione dell’imposta sulla cifra d’affari. Ciò risulterebbe dal disposto letterale dell’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi, il quale secondo la BCE prescrive espressamente il rimborso dell’imposta sulla cifra d’affari da parte degli Stati membri «ogni qualvolta sia loro possibile», imponendo, altresì, in termini assai ampi il rimborso «dell’importo dei diritti indiretti (…) compresi nei prezzi».

    45.   Questa interpretazione troverebbe conferma nella ratio dell’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi. In generale, il protocollo sui privilegi mira a rafforzare, secondo la BCE, l’autonomia degli uffici della Comunità europea – e, quindi, anche della stessa BCE – rispetto alle autorità nazionali. Per raggiungere in modo effettivo tale obiettivo, le sue disposizioni dovrebbero essere sottoposte ad un’interpretazione funzionale. Sempre a parere della BCE, pertanto, le disposizioni del protocollo sui privilegi non solo contengono il divieto di normative nazionali che direttamente limitino le esenzioni fiscali e i privilegi concessi, ma si oppongono anche, in base ad una costante giurisprudenza della Corte, a quelle normative nazionali che indirettamente comportino una tassazione o un ostacolo all’esercizio dei predetti privilegi. La ratio di tali disposizioni consisterebbe, infatti, nell’impedire che uno Stato membro dal fatto che un organo abbia sede sul suo territorio possa trarre un beneficio fiscale a spese delle risorse economiche (di cui direttamente o indirettamente si fanno carico in comune tutti gli Stati membri) di tale organo.

    46.   Una tale conclusione si imporrebbe anche in considerazione del fatto che l’accordo sulla sede, nella gerarchia delle fonti normative, si troverebbe in posizione subordinata rispetto al protocollo sui privilegi. Il diritto, derivante dal protocollo sui privilegi, al rimborso dell’imposta sulla cifra d’affari da parte degli Stati membri «ogni qualvolta sia loro possibile», non potrebbe subire limitazioni per effetto di una disposizione dell’accordo sulla sede che subordina il rimborso ad una indicazione separata dell’imposta sulla cifra d’affari. Anzi, il diritto al rimborso varrebbe in ogni caso in cui risulti possibile dimostrare e calcolare un onere economico derivante dall’imposta sulla cifra d’affari. In quest’ambito lo Stato membro, in forza del principio di leale collaborazione di cui all’art. 10 CE, avrebbe l’obbligo di cooperare al fine, in particolare, di elaborare una procedura di rimborso con la quale possano essere rimosse eventuali difficoltà pratiche relative alla prova delle imposte pagate.

    2.      Argomenti del governo tedesco

    47.   A parere del governo tedesco, l’esistenza di un diritto al rimborso deve essere valutata esclusivamente sulla scorta dell’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede. In base al disposto letterale di tale norma, può essere rimborsata soltanto l’imposta sulla cifra d’affari separatamente fatturata. Poiché non risultano fatture intestate alla BCE relative a canoni di locazioni o spese accessorie, nelle quali sia separatamente indicata l’imposta sulla cifra d’affari, la BCE non avrebbe alcun diritto al rimborso.

    48.   Il requisito dell’indicazione separata dell’imposta sulla cifra d’affari ricalcherebbe quanto previsto dall’art. 15, n. 1, prima frase, punto 1, dell’UStG in combinato disposto con gli artt. 18, n. 1, lett. a), e 22, n. 3, della sesta direttiva. La fatturazione con indicazione dell’imposta sulla cifra d’affari svolgerebbe, altresì, un’importante funzione documentale nel sistema comune di imposta sul valore aggiunto, fissando, in particolare nei confronti del destinatario della prestazione, l’entità della controprestazione pattuita. Tale tipo di documentazione rivestirebbe, al contempo, un ruolo importante per l’espletamento dei compiti di controllo dell’amministrazione finanziaria.

    49.   Inoltre, il meccanismo di rimborso previsto dall’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede sarebbe conforme alla sesta direttiva, e l’impossibilità, per il locatore, di dedurre l’imposta pagata a monte non costituirebbe una peculiarità delle sole locazioni alla BCE, essendo prevista anche per le locazioni alle banche e alle compagnie d’assicurazione del settore privato.

    50.   Le locazioni sarebbero espressamente esentate dall’imposta sulla cifra d’affari in base all’art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva, norma trasposta nel diritto tedesco attraverso l’art. 4, punto 12, lett. a), dell’UStG. La Repubblica federale di Germania, prevedendo il diritto d’opzione di cui all’art. 9 dell’UStG, avrebbe sfruttato la possibilità, rimessa alla libera scelta degli Stati membri dall’art. 13, parte C, della sesta direttiva, di inserire l’opzione per l’imposizione. Benché nel caso della BCE ogni possibilità di optare per l’imposizione sarebbe esclusa già per il fatto che essa non è un «imprenditore» ai sensi delle relative disposizioni, una siffatta esclusione si imporrebbe comunque anche se le si riconoscesse la qualità di «imprenditore», giacché la BCE, al pari delle banche e delle compagnie d’assicurazione del settore privato, non effettua operazioni che danno diritto alla deduzione.

    51.   Un’interpretazione dell’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede che vada oltre il suo significato letterale, non sarebbe ammissibile. In particolare – contrariamente a quanto sostenuto dalla BCE –, un’interpretazione estensiva di questa disposizione non sarebbe imposta dall’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi.

    52.   Sempre a parere del governo tedesco, il protocollo sui privilegi costituisce, per la BCE, il fondamento sul quale si basa la sua potestà di concludere, in nome proprio, accordi di diritto internazionale con gli Stati membri. La BCE avrebbe fatto uso di tale potestà in occasione della negoziazione dell’accordo sulla sede, le cui disposizioni costituirebbero una specificazione concreta delle più generiche disposizioni del protocollo sui privilegi. Conseguentemente, solo l’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede, dando concretezza alle disposizioni del protocollo sui privilegi, le formulerebbe in forma definitiva e vincolante per entrambe le parti. Il governo tedesco ricorda, inoltre, che l’accordo sulla sede è stato dettagliatamente elaborato da esperti di entrambe le parti contraenti, cui era noto il fatto che la locazione alla BCE sarebbe stata esente dall’imposta sulla cifra d’affari e che l’opzione per l’imposizione non sarebbe stata praticabile a causa della mancanza della qualità di imprenditore in capo alla BCE. Nonostante questa chiara regolamentazione, la BCE in nessuna fase delle trattative avrebbe richiesto la previsione di un regime speciale per la locazione.

    53.   Il governo tedesco respinge la tesi della BCE secondo cui, in forza della ratio dell’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi, si imporrebbe un’interpretazione estensiva dell’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede. Con la citata norma, il protocollo sui privilegi intende salvaguardare l’indipendenza della BCE ed assicurare che lo Stato della sede non tragga alcun ingiustificato beneficio dal fatto che la BCE ha sede sul suo territorio. Ma nessuno di questi due obiettivi verrebbe messo in pericolo. In particolare, la Repubblica federale di Germania dal fatto che la locazione è esente dall’imposta sulla cifra d’affari non trae alcun beneficio fiscale a spese della BCE, in quanto la locazione degli uffici alla BCE avviene alle medesime condizioni praticate per la locazione ad altri locatari, di solito richiamati a tal proposito, quali le banche e le compagnie di assicurazioni del settore privato. Il gettito derivante dalla non deducibilità, da parte del locatore, dell’imposta pagata a monte confluisce nelle casse del fisco tedesco non già per effetto di un corrispondente pagamento da parte della BCE, bensì per effetto del rapporto instauratosi tra l’imprenditore che ha effettuato la prestazione a monte e il locatore. L’imprenditore che effettua la prestazione a monte versa l’imposta sulla cifra d’affari relativa a tale prestazione al fisco tedesco. Questa imposta rimane definitivamente acquisita al fisco, in quanto il locatore non può effettuare la deduzione ad essa relativa. Quindi, il fisco incassa questo gettito d’imposta indipendentemente dal rapporto che si instaura tra la BCE e il suo locatore.

    54.   In ogni caso, l’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi non potrebbe trovare applicazione diretta perché non c’è la possibilità, secondo il governo tedesco, di accertare l’esatto ammontare delle imposte indirette che il locatore avrebbe dovuto effettivamente sopportare in relazione proprio alle prestazioni accessorie effettuate a favore della BCE e non di altri locatari, ed è parimenti impossibile dimostrare che si tratti davvero di una traslazione di tali imposte a carico della BCE, e non di un generico aumento di canone. Peraltro, qualora la BCE invocasse un’applicazione diretta del protocollo sui privilegi, occorre considerare che in tal caso la Corte non sarebbe più competente a giudicare in virtù della clausola compromissoria dell’accordo sulla sede.

    B –    Valutazione

    1.      Rapporto tra l’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede e l’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi

    55.   L’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi prevede «ogni qual volta sia (…) possibile» un’esenzione da qualsivoglia imposta indiretta compresa nei prezzi dei vari beni immobili o mobili.

    56.   L’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede, optando per il rimborso, stabilisce in che forma debba essere praticata l’esenzione dall’imposta e, attraverso la previsione del requisito della richiesta, della fissazione di una soglia minima e dell’indicazione separata dell’imposta effettivamente pagata, pone ulteriori presupposti. Inoltre, l’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede specifica quali siano i diritti indiretti e le tasse sulla vendita cui si riferisce l’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi, facendo concreto riferimento all’imposta sulla cifra d’affari. L’ambito d’applicazione dell’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede è, pertanto, più ristretto rispetto all’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi. Rispetto all’art. 3 del protocollo sui privilegi, l’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede costituisce norma speciale, da applicarsi prioritariamente.

    57.   In ogni caso, per giudicare nel merito la presente causa – considerati i limiti di competenza della Corte – si può soltanto verificare se il diritto vantato dalla BCE scaturisca, o meno, dall’art. 8 dell’accordo sulla sede. A proposito dell’interpretazione di tale disposizione vi è divergenza d’opinione tra le parti, in particolare sulla questione se l’art. 8 dell’accordo sulla sede, per effetto del rinvio ivi contenuto, richiami l’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi in modo tale da incorporarlo nell’accordo sulla sede.

    58.   Dal quinto ‘considerando’ dell’accordo sulla sede risulta che tale accordo è destinato a «stabilire» i privilegi e le immunità. Già questa scelta lessicale rende evidente che l’accordo in questione detta una disciplina completa della materia dei privilegi e delle immunità della BCE, sicché non si può fare riferimento al protocollo sui privilegi.

    59.   Ai sensi dell’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede, il rimborso dell’imposta sulla cifra d’affari pagata dalla BCE avviene «in applicazione dell’art. 3, n. 2, del protocollo», ma solo se sussistono determinati requisiti aggiuntivi. Anche questa formulazione rende evidente che l’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede riempie di contenuto la citata disposizione del protocollo sui privilegi e in tal modo la «applica». Se l’accordo sulla sede avesse voluto consentire un riferimento in termini più ampi al protocollo sui privilegi o avesse voluto dettare una disciplina di uguale portata, si sarebbero potute utilizzare altre formule, come ad esempio «fatto salvo» o «in conformità a». Per contro, la scelta dell’espressione «in applicazione» rinvia al fatto che con l’accordo sulla sede si è consapevolmente inteso specificare in termini più concreti il rimborso, subordinandolo ad ulteriori presupposti, attraverso i quali vengono limitate le possibilità di rimborso.

    60.   I presupposti stabiliti dall’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede consistono, infatti, nella fatturazione separata, da parte delle imprese, dell’imposta sulla cifra d’affari, nella destinazione delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi «all’uso ufficiale della BCE», nella determinazione di una soglia minima dell’importo dovuto al fisco, nonché nell’effettivo pagamento dell’imposta da parte della BCE alle imprese. In particolare, la determinazione di una soglia minima dell’importo dovuto al fisco (nella specie, cinquanta marchi tedeschi per ogni singola operazione) comporta, al pari del requisito della fatturazione separata, una significativa limitazione, non contenuta nel protocollo sui privilegi. Ma questa prima limitazione non è stata contestata, a differenza di quanto è invece avvenuto per la limitazione oggetto della presente causa.

    61.   L’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi di per sé pone semplicemente a carico degli Stati membri l’obbligo di prevedere, qualora «sia loro possibile», il rimborso delle imposte indirette. Peraltro, stabilendo l’obbligo di adottare «opportune» disposizioni, lascia agli Stati membri un ampio potere discrezionale.

    62.   Per contro, l’art. 3, n. 1, del protocollo sui privilegi prevede una non meglio specificata esenzione da ogni imposta. Tale disposizione, pertanto, al pari dell’art. 3, n. 2, predispone soltanto una cornice che viene riempita di contenuti dall’accordo sulla sede. Entrambe le predette disposizioni, essendo norme-cornice, non possono, tuttavia, essere applicate direttamente, sicché l’esenzione non ha ancora effetto in forza del solo protocollo sui privilegi.

    63.   Per tale aspetto la disposizione in questione nel presente procedimento – cioè l’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi – si differenzia significativamente dall’art. 11, lett. b), del protocollo sui privilegi nella versione 18 aprile 1951, sulla base del quale venne decisa la causa 6/60, richiamata dalla BCE (14). Questa vecchia normativa prevedeva ancora un’esenzione incondizionata e formulata in termini specifici. Poiché, tuttavia, essa riguardava l’esenzione «da ogni imposta sugli stipendi e sugli emolumenti corrisposti dalla Comunità», in realtà disciplinava rapporti del tutto diversi da quelli cui si riferisce l’art. 3, n. 2, oggetto della presente causa.

    64.   Lo stesso vale anche per l’art. 13, n. 2, del protocollo sui privilegi, richiamato dalla BCE, il quale parimenti stabilisce, in termini incondizionati, che «i funzionari e gli altri agenti (…) sono esenti da imposte nazionali sugli stipendi, salari ed emolumenti versati dalle Comunità». La giurisprudenza formatasi su tale disposizione, richiamata dalla BCE (15), non è, pertanto, riferibile al presente caso, come non lo è quella formatasi sull’art. 12, lett. b), del protocollo sui privilegi (16). Anche l’art. 12 del protocollo sui privilegi disciplina, in modo autonomo ed incondizionato, senza bisogno di ulteriori interventi da parte dello Stato membro, che «sul territorio di ciascuno Stato membro (…) i funzionari ed (…) agenti delle Comunità godono» di privilegi e immunità.

    65.   Anche la citata causa 2/68 (17) riguardava una disposizione completamente diversa che, a differenza dell’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi, attribuiva direttamente diritti e garanzie. La disposizione ivi rilevante, l’art. 1 del protocollo sui privilegi e sulle immunità della Comunità Europea dell’Energia Atomica (in prosieguo: la «CEEA»), prevedeva che le autorità nazionali fossero tenute a richiedere un’autorizzazione per adottare provvedimenti di coercizione. Qui non c’era bisogno di alcun ulteriore atto d’attuazione da parte dello Stato membro. Il diritto in tal modo direttamente concesso dal protocollo sui privilegi della CEEA non poteva essere soppresso da un accordo.

    66.   La giurisprudenza citata, in base alla quale un accordo sulla sede non può indebolire questi diritti e queste garanzie (già attribuiti) (18), può, tuttavia, essere richiamata a proposito soltanto nei casi in cui il protocollo sui privilegi concede direttamente diritti e garanzie.

    67.   La specificazione dell’art. 3, n. 2, del protocollo sui privilegi, effettuata dall’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede, disciplina, quindi, in modo completo e definitivo la materia della possibilità di rimborso dell’imposta sulla cifra d’affari, sicché non è consentito fare riferimento al protocollo sui privilegi per fondare il relativo diritto.

    2.      Diritto al rimborso sulla base dell’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede

    68.   L’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede stabilisce – con disposizione sul punto univoca e non controversa – che il rimborso dell’imposta sulla cifra d’affari può aver luogo solo se tale imposta è stata separatamente fatturata. Che ciò non sia avvenuto in occasione del pagamento dei canoni e delle prestazioni in questione, è pacifico tra le parti. Pertanto, sulla base dell’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede non sussiste alcun diritto al rimborso dell’imposta sulla cifra d’affari che la BCE ritiene di aver indirettamente pagato.

    69.   Se si fosse voluto consentire il rimborso, le parti lo avrebbero potuto prevedere nell’accordo sulla sede, tanto più che il problema delle cosiddette «imposte indirette indirette» non è nuovo (19). Poiché, tuttavia, esse non solo si sono astenute dall’inserire una siffatta previsione, ma, con la formulazione dell’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede, hanno addirittura escluso il rimborso per queste ipotesi, non può venire in rilievo il rimborso.

    70.   Le parti firmatarie dell’accordo sulla sede avevano anche la facoltà di inserire una siffatta previsione. In particolare, non vi si possono opporre le disposizioni della sesta direttiva sull’IVA.

    71.   Invero, gli accordi conclusi dal Consiglio per la Comunità ai sensi dell’art. 300 CE, costituiscono, per il diritto comunitario, atti compiuti da un’istituzione della Comunità ai sensi dell’art. 234, comma 1, lett. b), CE e pertanto sono parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario (20). Ad essi spetta un rango intermedio tra il diritto primario e il diritto secondario (v. art. 300, n. 6 e n. 7, CE).

    72.   Anche se gli accordi conclusi dalla BCE non possono essere qualificati come accordi ai sensi dell’art. 300 CE, si tratta pur sempre di accordi della Comunità. Questa circostanza, aggiunta al loro particolare status di forma speciale di atti giuridici, induce a considerarli, in un certo senso, come accordi della Comunità ai sensi dell’art. 300 CE. Si potrebbe, pertanto, attribuire loro, in conformità alla disciplina prevista per gli accordi della Comunità, il medesimo rango che si riconosce agli accordi della Comunità. L’accordo sulla sede – quale convenzione tra uno Stato membro e la BCE, cui spetta un rango intermedio tra il diritto primario e il diritto secondario – non potrebbe, pertanto, essere valutato sulla scorta della sesta direttiva sull’IVA. D’altro canto, nell’ambito della presente domanda di rimborso, fondata sull’art. 8, n. 1, dell’accordo sulla sede, non può essere affrontata l’ulteriore questione se la sesta direttiva sull’IVA imponga al diritto tributario nazionale di consentire, in casi analoghi a quello in esame, la deduzione dell’imposta pagata a monte.

    73.   Ciò naturalmente non esclude che siffatte questioni giuridiche possano costituire oggetto di un procedimento pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE con cui si chieda di interpretare la sesta direttiva sull’IVA. Mentre si potrebbe verificare se il diritto tedesco viola il diritto comunitario e, in particolare, la sesta direttiva sull’IVA, nell’ambito di un procedimento d’inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE.

    74.   Da tutte le precedenti considerazioni deriva che il ricorso deve essere respinto in quanto infondato.

    VI – Sulle spese

    75.   Ai sensi dell’art. 69, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Repubblica federale di Germania ne ha fatto domanda, la BCE, soccombente su tutti i capi, è condannata alle spese.

    VII – Conclusione

    76.   Per le ragioni sopra esposte propongo alla Corte di adottare la seguente decisione:

    1)         Il ricorso è respinto.

    2)         La Banca centrale europea è condannata alle spese.


    1 – Lingua originale: il tedesco.


    2  – Protocollo 8 aprile 1965 sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee  (GU 1967, L 152, pag. 13).


    3  – Accordo 18 settembre 1998, in BGBl. 1998 II, pag. 2745.


    4  – BGBl. 1999 I, pag. 1270.


    5  – Trattato di Amsterdam che modifica il trattato sull’Unione europea, i trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi (GU 1997, C 340, pag. 1).


    6  – Sul punto v. Grabitz/Hilf-Schweitzer, EU-Kommentar, sub art. 291, punto 3, nonché von der Groeben/Schwarze-Schmidt, EG, sub art. 291, punto 3.


    7  – Von der Groeben/Schwarze-Schmidt, EG, sub art. 291, punto 5.


    8  – V. anche, in precedenza, Schmidt, «Le protocole sur les privilèges et immunités des Communautés européennes», in Cahiers der droit européen 1991, pag. 67 e seg.


    9  – V. inoltre, in relazione all’ipotesi, per questi aspetti analoga, del ricorso diretto proposto da un singolo impiegato contro uno Stato membro, per la situazione precedente al Trattato di Amsterdam, allorché, quindi, si applicava ancora il Trattato di fusione, la sentenza 27 ottobre 1982, causa 1/82, D./Lussemburgo (Racc. pag. 3709, punto 8).


    10  – Sentenza 18 dicembre 1986, causa 426/85, Commissione/Zoubek (Racc. pag. 4057, punto 11); sulla medesima questione (ricevibilità della domanda riconvenzionale) v. anche la sentenza 20 febbraio 1997, causa C‑114/94, IDE/Commissione (Racc. pag. I‑803, punto 82).


    11  – Non si tratta neppure di verificare quale dei due giudici comunitari sia competente ovvero se la clausola compromissoria sia valida; v. la sentenza 17 marzo 2005, causa C‑294/02, Commissione/AMI (Racc. pag. I-0000).


    12  – Il corsivo è mio.


    13  – V. la sentenza 27 aprile 1999, causa C‑69/97, Commissione/SNUA (Racc. pag. I‑2363, punto 19).


    14  – Sentenza 16 dicembre 1960, causa 6/60, Humblet/Belgio (Racc. pag. 1165).


    15  – Sentenze 24 febbraio 1988, causa 260/86, Commissione/Belgio (Racc. pag. 955); 22 marzo 1990, causa 333/88, Tither/Commissioners of Inland Revenue (Racc. pag. I‑1133); 25 maggio 1993, causa C‑263/91, Kristoffersen (Racc. pag. I‑2755), nonché sentenza 14 ottobre 1999, causa C‑229/98, Vander Zwalmen e Massart/Belgio (Racc. pag. I‑7113).


    16  – Sentenza 18 marzo 1986, causa 85/85, Commissione/Belgio (Racc. pag. 1149).


    17  – Ordinanza 17 dicembre 1968, causa 2/68, Ufficio imposta di consumo Ispra/Commissione (Racc. pag. 654).


    18  – Ordinanza nella causa 2/68 (cit. alla nota 17).


    19  – V. in proposito Muller, «International organizations and their officials: to tax or not to tax?», in LJIL 1993, pag. 47, pag. 61.


    20  – Sentenza 30 aprile 1974, causa 181/73, R. e V. Haegeman/Belgio (Racc. pag. 449, punti 2-6).

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