Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62002CJ0392

    Sentenza della Corte (grande sezione) del 15 novembre 2005.
    Commissione delle Comunità europee contro Regno di Danimarca.
    Inadempimento di uno Stato - Risorse proprie delle Comunità - Mancata riscossione per un errore delle autorità doganali nazionali di dazi doganali legittimamente dovuti - Responsabilità finanziaria degli Stati membri.
    Causa C-392/02.

    Raccolta della Giurisprudenza 2005 I-09811

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2005:683

    Causa C-392/02

    Commissione delle Comunità europee

    contro

    Regno di Danimarca

    «Inadempimento di uno Stato — Risorse proprie delle Comunità — Mancata riscossione, per un errore delle autorità doganali nazionali, di dazi doganali legittimamente dovuti — Responsabilità finanziaria degli Stati membri»

    Conclusioni dell’avvocato generale L. A. Geelhoed, presentate il 10 marzo 2005 

    Sentenza della Corte (Grande Sezione) 15 novembre 2005 

    Massime della sentenza

    Risorse proprie delle Comunità europee — Accertamento e stanziamento da parte degli Stati membri — Obbligo indipendente dalla possibilità di una contabilizzazione e di un recupero a posteriori dei dazi doganali — Omesso accertamento e omesso stanziamento non giustificato da forza maggiore o da impossibilità definitiva, non imputabile allo Stato membro interessato, di procedere al recupero — Inadempimento

    [Regolamenti (CEE, Euratom) del Consiglio n. 1552/89, art. 17, n. 2, e (CEE) n. 2913/92, art. 220, n. 2, lett. b); decisione del Consiglio 94/728,CE, Euratom, artt. 2 e 8]

    Gli Stati membri sono tenuti ad accertare il diritto delle Comunità sulle risorse proprie non appena le loro autorità doganali dispongano degli elementi necessari e siano dunque in grado di calcolare l’importo dei dazi che risultano da un’obbligazione doganale e di determinare il soggetto passivo, senza che occorra decidere se i criteri per l’applicazione dell’art. 220, n. 2, lett. b), del regolamento n. 2913/92, che istituisce il codice doganale comunitario, siano soddisfatti e, pertanto, se possa o meno procedersi alla contabilizzazione ed al recupero a posteriori dei dazi doganali di cui trattasi.

    Ciò premesso, uno Stato membro il quale ometta di accertare il diritto delle Comunità sulle risorse proprie e di stanziare l’importo corrispondente a beneficio della Commissione, senza che ricorra una delle condizioni previste dall’art. 17, n. 2, del regolamento n. 1552/99, recante applicazione della decisione 88/376, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità, ossia che non sia stato possibile effettuare la riscossione per ragioni di forza maggiore ovvero perché risulti definitivamente impossibile procedere alla riscossione per motivi che non possono essere ad esso imputabili, viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario e, in particolare, degli artt. 2 e 8 della decisione 94/728, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità.

    (v. punti 66, 68, 70 e dispositivo)




    SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

    15 novembre 2005 (*)

    «Inadempimento di uno Stato – Risorse proprie delle Comunità – Mancata riscossione, per un errore delle autorità doganali nazionali, di dazi doganali legittimamente dovuti – Responsabilità finanziaria degli Stati membri»

    Nella causa C‑392/02,

    avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 7 novembre 2002,

    Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. H.‑P. Hartvig e G. Wilms, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

    ricorrente,

    contro

    Regno di Danimarca, rappresentato dal sig. J. Molde, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

    convenuto,

    sostenuto da:

    Regno del Belgio, rappresentato dalla sig.ra A. Snoecx, in qualità di agente;

    Repubblica federale di Germania, rappresentata dal sig. W.‑D. Plessing, in qualità di agente, assistito dai sigg. D. Sellner e U. Karpenstein, Rechtsanwälte;

    Repubblica italiana, rappresentata dall’avv. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. de Bellis, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo;

    Regno dei Paesi Bassi, rappresentato dalle sig.re H.G. Sevenster e J. van Bakel, in qualità di agenti;

    Repubblica portoghese, rappresentata dai sigg. L. Fernandes, Â. Seiça Neves e J.A. dos Anjos, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo;

    Regno di Svezia, rappresentato dal sig. A. Kruse nonché dalle sig.re K. Wistrand e A. Falk, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

    intervenienti,

    LA CORTE (Grande Sezione),

    composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas e J. Makarczyk, presidenti di sezione, dai sigg. C. Gulmann, A. La Pergola, J.‑P. Puissochet, S. von Bahr (relatore), P. Kūris, U. Lõhmus, E. Levits e A. Ó Caoimh, giudici,

    avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed

    cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 gennaio 2005,

    sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 marzo 2005,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1       Con il presente ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che il Regno di Danimarca, atteso che le autorità danesi non hanno provveduto a mettere a disposizione della Commissione l’importo di DKK 140 409,60 di risorse proprie e i relativi interessi di mora calcolati a decorrere dal 20 dicembre 1999, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario violando, in particolare, l’art. 10 CE, nonché gli artt. 2 e 8 della decisione del Consiglio 31 ottobre 1994, 94/728/CE, Euratom, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU L 293, pag. 9).

     Contesto normativo

    2       Ai termini dell’art. 2, n. 1, della decisione 94/728, che ha sostituito la decisione del Consiglio 24 giugno 1988, 88/376/CEE, Euratom, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità (GU L 185, pag. 24), costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio della Comunità, segnatamente:

    –       le risorse dette «tradizionali» [art. 2, n. 1, lett. a) e b)], provenienti:

    –       dai prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, importi o elementi aggiuntivi ed altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni delle Comunità sugli scambi con paesi non membri nel quadro della politica agricola comune;

    –       dai dazi della tariffa doganale comune ed altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni della Comunità sugli scambi con i paesi non membri;

    –       dalla risorsa detta «IVA» [art. 2, n. 1, lett. c)], proveniente dall’applicazione di un’aliquota uniforme, valida per tutti gli Stati membri, all’imponibile IVA;

    –       dalla risorsa detta «PNL» o «complementare» [art. 2, n. 1, lett. d)], proveniente dall’applicazione di un’aliquota, che sarà determinata nel quadro della procedura di bilancio, tenuto conto di tutte le altre entrate, alla somma dei PNL (prodotto nazionale lordo) di tutti gli Stati membri.

    3       Ai termini del n. 3 del detto art. 2, «[g]li Stati membri trattengono, a titolo di spese di riscossione, il 10% degli importi da versare a norma del paragrafo 1, lettere a) e b)». Ai sensi dell’art. 2, n. 3, della decisione del Consiglio 29 settembre 2000, 2000/597/CE, Euratom, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU L 253, pag. 42), tale quota è stata aumentata al 25% per gli importi accertati successivamente al 31 dicembre 2000.

    4       L’art. 8 della decisione 94/728 prevede quanto segue:

    «Le risorse proprie comunitarie di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b) sono riscosse dagli Stati membri conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali, eventualmente adattate alle esigenze della normativa comunitaria. La Commissione procede, ad intervalli regolari, all’esame delle disposizioni nazionali che le vengono comunicate dagli Stati membri, comunica agli Stati membri gli adattamenti che ritiene necessari per garantire che esse siano conformi alle normative comunitarie e riferisce all’autorità di bilancio. Gli Stati membri mettono a disposizione della Commissione le risorse di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere da a) a d).

    2.      (…) il Consiglio, che delibera all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni necessarie all’attuazione della presente decisione nonché quelle relative al controllo della riscossione, alla messa a disposizione della Commissione e al versamento delle entrate di cui agli articoli 2 e 5».

    5       All’epoca dei fatti oggetto della presente controversia, le disposizioni richiamate dall’art. 8, n. 2, della decisione 94/728 erano contenute nel regolamento (CEE, Euratom) del Consiglio 29 maggio 1989, n. 1552, recante applicazione della decisione 88/376 (GU L 155, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE, Euratom) del Consiglio 8 luglio 1996, n. 1355 (GU L 175, pag. 3; in prosieguo: il «regolamento n. 1552/89»), che è entrato in vigore il 14 luglio 1996.

    6       Ai termini del secondo ‘considerando’ del regolamento n. 1552/89, «la Comunità deve disporre delle risorse proprie di cui all’articolo 2 della decisione 88/376/CEE, Euratom nelle migliori condizioni possibili e che a tal fine è necessario fissare le modalità secondo le quali gli Stati mettono a disposizione della Commissione le risorse proprie attribuite alle Comunità».

    7       Ai sensi dell’art. 2, nn. 1 e 1 bis, del detto regolamento:

    «1. Ai fini dell’applicazione del presente regolamento, un diritto delle Comunità sulle risorse proprie di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b) della decisione 88/376/CEE, Euratom è accertato non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo.

    1bis      La data da considerare per l’accertamento di cui al paragrafo 1 è la data della registrazione prevista dalla normativa doganale.

    (…)».

    8       L’art. 9, n. 1, primo comma, del regolamento medesimo dispone che, «[s]econdo le modalità definite dall’articolo 10, le risorse proprie vengono accreditate da ogni Stato membro sul conto aperto a tale scopo a nome della Commissione presso il Tesoro o l’organismo da esso designato».

    9       Ai termini dell’art. 11 del regolamento n. 1552/89:

    «Ogni ritardo nelle iscrizioni sul conto di cui all’articolo 9, paragrafo 1 dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di un interesse il cui tasso è pari al tasso di interesse applicato il giorno della scadenza sul mercato monetario dello Stato membro interessato per i finanziamenti a breve termine, maggiorato di 2 punti. Tale tasso è aumentato di 0,25 punti per ogni mese di ritardo. Il tasso così aumentato è applicabile a tutto il periodo del ritardo».

    10     L’art. 17, nn 1 e 2, del regolamento medesimo così recita:

    «1. Gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 siano messi a disposizione della Commissione alle condizioni previste dal presente regolamento.

    2. Gli Stati membri sono dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati soltanto se la riscossione non abbia potuto essere effettuata per ragioni di forza maggiore. Inoltre, in casi particolari, gli Stati membri sono dispensati dal mettere tali importi a disposizione della Commissione, quando, dopo attento esame di tutti i dati pertinenti del caso, risulta definitivamente impossibile procedere alla riscossione per motivi che non potrebbero essere loro imputabili. (…)».

    11     L’art. 201, nn. 1 e 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1, in prosieguo: il «codice doganale»), prevede, con riguardo al sorgere dell’obbligazione doganale:

    «1.      L’obbligazione doganale all’importazione sorge in seguito:

    a)      all’immissione in libera pratica di una merce soggetta a dazi all’importazione, oppure

    b)      al vincolo di tale merce al regime dell’ammissione temporanea con parziale esonero dai dazi all’importazione.

    2.      L’obbligazione doganale sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana».

    12     Ai termini dell’art. 204, nn. 1 e 2, del codice doganale:

    «1.      L’obbligazione doganale all’importazione sorge in seguito:

    a)      all’inadempienza di uno degli obblighi che derivano, per una merce soggetta a dazi all’importazione, dalla sua permanenza in custodia temporanea oppure dall’utilizzazione del regime doganale cui è stata vincolata, oppure

    b)      all’inosservanza di una delle condizioni stabilite per il vincolo di una merce a tale regime o per la concessione di un dazio all’importazione ridotto o nullo a motivo dell’utilizzazione della merce a fini particolari,

    in casi diversi da quelli di cui all’articolo 203, sempre che non si constati che tali inosservanze non hanno avuto in pratica alcuna conseguenza sul corretto funzionamento della custodia temporanea o del regime doganale considerato.

    2. L’obbligazione doganale sorge quando cessa di essere soddisfatto l’obbligo la cui inadempienza fa sorgere l’obbligazione doganale oppure nel momento in cui la merce è stata vincolata al regime doganale considerato quando si constati, a posteriori, che non era soddisfatta una delle condizioni stabilite per il vincolo della merce al regime o per la concessione di un dazio all’importazione ridotto o nullo a motivo dell’utilizzazione della merce a fini particolari».

    13     Con riguardo alla contabilizzazione e notifica al soggetto passivo dell’importo dei dazi, l’art. 217 del codice doganale prevede quanto segue:

    «1.      Ogni importo di dazi all’importazione o di dazi all’esportazione risultante da un’obbligazione doganale, in seguito denominato «importo dei dazi», deve essere calcolato dall’autorità doganale non appena disponga degli elementi necessari e da questa iscritto nei registri contabili o in qualsiasi altro supporto che ne faccia le veci (contabilizzazione).

    (…)

    L’autorità doganale può non contabilizzare gli importi di dazi che, ai sensi dell’articolo 221, paragrafo 3, non possono essere comunicati al debitore in seguito alla scadenza del termine previsto.

    2.      Le modalità pratiche di contabilizzazione degli importi dei dazi sono stabilit[e] dagli Stati membri. Queste modalità possono essere diverse a seconda che l’autorità doganale, tenuto conto delle condizioni in cui è sorta l’obbligazione doganale, sia certa o meno del pagamento dei predetti importi».

    14     A termini dell’art. 218 del detto codice:

    «1.      Quando un’obbligazione doganale sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione di una merce per un regime doganale diverso dall’ammissione temporanea in esonero parziale dai dazi all’importazione o da qualsiasi altro atto che abbia gli stessi effetti giuridici di tale accettazione, la contabilizzazione dell’importo corrispondente a questa obbligazione deve intervenire non appena esso sia stato calcolato e, al più tardi, due giorni dopo lo svincolo della merce.

    (…)

    3.      In caso di nascita di un’obbligazione doganale in condizioni diverse da quelle di cui al paragrafo 1, la contabilizzazione dei dazi corrispondenti deve avvenire entro due giorni dalla data in cui l’autorità doganale è in grado di:

    a)      calcolare l’importo dei dazi considerati, e

    b)      determinare il debitore».

    15     L’art. 220 del codice doganale prevede quanto segue:

    «1.      Quando l’importo dei dazi risultante da un’obbligazione doganale non sia stato contabilizzato ai sensi degli articoli 218 e 219 o sia stato contabilizzato ad un livello inferiore all’importo legalmente dovuto, la contabilizzazione dei dazi da riscuotere o che rimangono da riscuotere deve avvenire entro due giorni dalla data in cui l’autorità doganale si è resa conto della situazione in atto ed è in grado di calcolare l’importo legalmente dovuto e di determinarne il debitore (contabilizzazione a posteriori). Questo termine può essere prorogato conformemente all’articolo 219.

    2.      (…) non si procede alla contabilizzazione a posteriori quando:

    (…).

    b)      l’importo dei dazi legalmente dovuto non è stato contabilizzato per un errore dell’autorità doganale, che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana;

    (…)».

    16     L’art. 221 del codice medesimo così recita:

    «1.      L’importo dei dazi deve essere comunicato al debitore secondo modalità appropriate, non appena sia stato contabilizzato.

    (…)

    3.      La comunicazione al debitore non può più essere effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione doganale. Tuttavia, qualora l’autorità doganale non abbia potuto determinare l’importo esatto dei dazi legalmente dovuti a causa di un atto perseguibile a norma di legge, tale comunicazione avviene, nella misura prevista dalle disposizioni vigenti, dopo la scadenza del termine di cui sopra».

    17     L’art. 869 del regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento n. 2913/92 (GU L 253, pag. 1), prevede quanto segue:

    «Spetta all’autorità doganale decidere di non contabilizzare a posteriori i dazi non riscossi:

    (…).

    b)      quando ritenga che siano soddisfatte tutte le condizioni previste dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b) del codice [doganale], sempre che l’importo non riscosso, per errore, da un operatore e riguardante, all’occorrenza, varie operazioni d’importazione o di esportazione sia inferiore a 2 000 [euro];

    (…)».

    18     Attraverso l’art. 1, punto 5, del regolamento (CE) della Commissione 29 luglio 1998, n. 1677, recante modificazione del regolamento (CEE) n. 2454/93 (GU L 212, pag. 18), i termini «2 000 [euro]» contenuti nel detto art. 869, lett. b), sono stati sostituiti con i termini «50 000 [euro]».

    19     L’art. 871, primo comma, del regolamento n. 2454/93 così recita:

    «Eccettuati i casi di cui all’articolo 869, quando l’autorità doganale ritenga che siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b) del codice o abbia dei dubbi sulla portata dei criteri di questa disposizione in ordine al caso considerato, tale autorità lo sottopone alla Commissione affinché sia risolto conformemente alla procedura di cui agli articoli da 872 a 876 (…)».

    20     Ai termini dell’art. 873, primo comma, del regolamento medesimo:

    «Previa consultazione di un gruppo di esperti, composto di rappresentanti di tutti gli Stati membri riuniti nel quadro del comitato per esaminare il caso in oggetto, la Commissione decide se si debba procedere o meno alla contabilizzazione a posteriori dei dazi non riscossi».

     Fatti

    21     Un’impresa danese (in prosieguo: l’«impresa importatrice») importava in Danimarca dalla Cina piselli dolci surgelati. Sino alla fine del 1995, tali merci venivano vendute, prima dello sdoganamento, ad un grossista danese, che si occupava di espletare le formalità doganali. Il grossista era titolare di una licenza per il consumo finale, che gli consentiva di beneficiare dell’importazione a dazio zero in ragione della particolare destinazione della merce.

    22     Dal 1° gennaio 1996 l’impresa importatrice iniziava a sdoganare per conto proprio tali prodotti. Le autorità doganali locali di Ballerup (Danimarca) accettavano le dichiarazioni doganali della detta impresa senza verificare se quest’ultima disponesse per la merce in questione di un’autorizzazione per l’uso finale e continuavano ad applicare il dazio zero all’importazione.

    23     Il 12 maggio 1997 le autorità doganali locali di Vejle (Danimarca) riscontravano che l’impresa importatrice non disponeva della detta autorizzazione e rettificavano due dichiarazioni doganali, applicando un dazio all’importazione del 16,8%. Lo stesso giorno l’impresa importatrice si rivolgeva alle autorità doganali di Ballerup, che correggevano le rettifiche e applicavano nuovamente il dazio zero, senza esigere la presentazione dell’autorizzazione per il consumo finale della merce.

    24     In un controllo a posteriori di venticinque dichiarazioni doganali, presentate tra il 9 febbraio 1996 e il 24 ottobre 1997, le autorità doganali competenti riscontravano che l’impresa importatrice non disponeva dell’autorizzazione richiesta per beneficiare del regime del consumo finale ed esigevano, da parte della detta impresa, il pagamento dei dazi all’importazione non riscossi, per un importo pari a DKK 509 707,30 (all’incirca EUR 69 000).

    25     Avendo rilevato che la correzione delle rettifiche effettuata il 12 maggio 1997 aveva potuto ingenerare nell’impresa il legittimo affidamento che la procedura di sdoganamento adottata fosse corretta, le autorità doganali danesi chiedevano alla Commissione se, ai sensi dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, fosse giustificato non contabilizzare a posteriori i dazi all’importazione richiesti all’impresa per le dichiarazioni doganali presentate successivamente a tale data, pari ad un importo di DKK 140 409,60 (all’incirca EUR 19 000). Con decisione 19 luglio 1999, la Commissione risolveva la questione in senso affermativo.

    26     Nella decisione, la Commissione rilevava, in particolare, che la correzione – effettuata da parte delle autorità doganali locali di Ballerup il 12 maggio 1997 – delle rettifiche precedentemente operate dalla dogana locale di Vejle andava considerata come un errore commesso dalle competenti autorità danesi, che non poteva essere ragionevolmente scoperto dall’interessato.

    27     Con comunicazione 21 ottobre 1999, la Commissione ingiungeva alle autorità danesi di mettere a sua disposizione l’importo di DKK 140 409,60 di risorse proprie anteriormente al primo giorno feriale successivo al 19 del secondo mese dall’invio della detta comunicazione, ossia il 20 dicembre 1999; in caso di inadempimento si sarebbe dovuto applicare l’interesse di mora previsto dalla normativa comunitaria. Con comunicazione 15 dicembre 1999, il governo danese rispondeva che non avrebbe messo a disposizione della Commissione il detto importo.

    28     La Commissione avviava dunque il procedimento per infrazione previsto dall’art. 226 CE. Dopo aver invitato il Regno di Danimarca, con lettera di diffida, a presentare proprie osservazioni, in data 6 aprile 2001 essa emanava un parere motivato nei confronti del detto Stato membro, invitandolo a prendere i provvedimenti necessari per conformarvisi entro due mesi a decorrere dalla sua notificazione.

    29     Non ritenendosi soddisfatta dalla risposta fornita al proprio parere motivato, la Commissione proponeva il presente ricorso.

     Sulla ricevibilità

    30     Rammentando che, ai termini dell’art. 2, n. 2, del regolamento di procedura, la Corte può rilevare d’ufficio l’irricevibilità del ricorso, il governo tedesco deduce l’incompetenza della Corte a conoscere della presente controversia.

    31     Il presente ricorso costituirebbe un ricorso per il risarcimento del danno fondato su una violazione del codice doganale. Dal momento che un ricorso di tal genere non sarebbe previsto nel sistema del Trattato CE, la competenza sarebbe dei giudici danesi, conformemente all’art. 240 CE.

    32     A tal riguardo si deve rilevare che, con il proprio ricorso, la Commissione contesta al Regno di Danimarca di non aver messo a sua disposizione un determinato importo di risorse proprie oltre ai relativi interessi di mora, in violazione delle disposizioni della decisione 94/728 e del regolamento n. 1552/89.

    33     Con il presente ricorso, la Commissione chiede pertanto alla Corte di rilevare che il Regno di Danimarca è venuto meno ad un obbligo ad esso incombente in forza del diritto comunitario, e non di condannare il detto Stato membro al risarcimento del danno.

    34     Conseguentemente, il ricorso è ricevibile.

     Sul merito

     Argomenti delle parti

    35     La Commissione sostiene che le risorse proprie tradizionali ai sensi dell’art. 2 della decisione del 1994 nascono col sorgere dell’obbligazione doganale e che, di conseguenza, l’importo di DKK 140 409,60 avrebbe dovuto esser messo a sua disposizione sulla base dell’art. 8, n. 1, della detta decisione. Pertanto, in assenza della dichiarazione necessaria per beneficiare del regime di destinazione al consumo finale, le autorità danesi, ai sensi dell’art. 2 del regolamento n. 1552/89, avrebbero dovuto accertare il diritto della Comunità su tali risorse e, al contempo, avrebbero dovuto applicare correttamente le disposizioni doganali riscuotendo i dazi doganali dovuti.

    36     La Commissione precisa che il fatto che un’impresa sia esentata dal pagamento dei dazi doganali conformemente all’art. 22, n. 2, lett. b), del codice doganale non incide affatto sulla questione se lo Stato membro debba versare l’importo in questione alla Comunità. Il codice doganale, infatti, disciplinerebbe esclusivamente i rapporti tra gli operatori economici e le autorità nazionali responsabili della riscossione delle risorse proprie tradizionali per conto della Comunità. I rapporti tra la Comunità e gli Stati membri sarebbero regolati dalle disposizioni relative al sistema di finanziamento della Comunità, ossia dalla decisione 94/728, dalle disposizioni di attuazione del regolamento n. 1552/89, nonché dagli obblighi generali che discendono dall’art. 10 CE.

    37     Se è pur vero che è stato creato un collegamento meramente tecnico-giuridico tra i due complessi di regole, in quanto nel regolamento n. 1552/89 si rinvia alle varie fasi che, conformemente al codice doganale, debbono aver luogo nel contesto della nascita e della riscossione di un’obbligazione doganale, tali rinvii, tuttavia, non inciderebbero sulla questione della responsabilità finanziaria delle autorità nazionali nei confronti della Comunità per gli errori compiuti nella riscossione delle risorse proprie tradizionali. Uno Stato membro che, per qualsiasi motivo, ometta di riscuotere tali risorse può, al ricorrere di taluni requisiti, essere esonerato dal proprio obbligo di trasferirle alla Commissione solo sulla base dell’art. 17 del regolamento n. 1552/89.

    38     Il rinvio, nell’art. 2 del regolamento n. 1552/89, al codice doganale, più in particolare alla fase detta «contabilizzazione» di un’obbligazione doganale, deve essere necessariamente inteso come rinvio alle circostanze oggettive che il codice richiede perché la contabilizzazione possa aver luogo e non come rinvio alla questione se le autorità nazionali abbiano o meno effettivamente provveduto alla contabilizzazione nel caso specifico.

    39     Il governo danese riconosce che dal principio di lealtà sancito dall’art. 10 CE discende l’obbligo per gli Stati membri di garantire, per mezzo di un’efficiente organizzazione della loro amministrazione, che le risorse proprie vengano correttamente riscosse e messe a disposizione della Commissione entro i termini fissati da quest’ultima. Se gli Stati membri non rispettano tale obbligo di lealtà, la Commissione potrà agire giurisdizionalmente per inadempimento avverso gli Stati membri per mala gestio della riscossione delle risorse proprie.

    40     Tuttavia, la questione che si pone nella specie sarebbe quella relativa all’individuazione del soggetto tenuto a rispondere della perdita di risorse proprie dovuta ad errori amministrativi inevitabili, indipendentemente dalla veste e dall’efficienza con la quale sia stato organizzato l’apparato amministrativo.

    41     A tal riguardo, il governo danese ritiene che dal principio di equità discenda che la perdita di risorse proprie subita a seguito di errori amministrativi debba essere sostenuta dalla Comunità.

    42     A parere del detto governo, dall’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale emerge che, in presenza dei requisiti indicati dalla disposizione medesima, non vi è contabilizzazione e, pertanto, non vi è recupero a posteriori dei dazi. Non essendovi contabilizzazione, non vi sarebbe alcun importo da contabilizzare ai termini dell’art. 2 del regolamento n. 1552/89 né, conseguentemente, alcun diritto delle Comunità sulle risorse proprie da accertare.

    43     L’indizio più significativo dell’esistenza di un nesso tra il codice doganale e le disposizioni relative alle risorse proprie si ravviserebbe nella circostanza che, in applicazione degli artt. 871 e 873 del regolamento n. 2454/93, sarebbe competenza della Commissione la decisione se gli Stati membri possano rinunciare ad esigere dalle imprese dazi all’importazione ai sensi dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale. Si potrebbe logicamente ritenere che, se alla Commissione è stato attribuito il compito di decidere se gli Stati membri possano omettere di esigere da un’impresa dazi all’importazione, ciò significherebbe che la mancata riscossione dei diritti all’importazione ha come conseguenza la perdita di una risorsa propria della Commissione.

    44     Secondo il governo belga, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, l’art. 2, nn. 1 e 1 bis, del regolamento n. 1552/89 dev’essere letto nel combinato disposto con il codice doganale, salvo svuotare la detta disposizione del proprio contenuto sostanziale.

    45     Il detto governo ricorda, inoltre, che dagli artt. 869 e 871 del regolamento n. 2454/93 emerge che gli Stati membri che nutrano dubbi quanto alla portata dei criteri di cui all’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale possono sottoporre il caso alla Commissione, quando l’obbligazione doganale di cui trattasi non sia superiore a EUR 50 000, e sono tenuti ad adire la Commissione della questione se l’obbligazione sia superiore al detto importo.

    46     Orbene, sarebbe in contrasto con i principi di obiettività ed imparzialità il fatto che l’autorità che decide, da una parte, sull’errore commesso dalle autorità di uno Stato membro decida, dall’altra, la questione della responsabilità finanziaria del detto Stato in ragione dello stesso comportamento che l’autorità medesima ha qualificato come errore. Una siffatta concentrazione di poteri legittimerebbe il dubbio quanto all’obiettività delle decisioni, poiché le risorse proprie finirebbero con il venir messe a disposizione della Commissione indipendentemente dalla sua decisione.

    47     Il governo tedesco rileva che, con riguardo al codice doganale e alle disposizioni relative alle risorse proprie, gli artt. 217‑219 del detto codice disciplinano dettagliatamente la contabilizzazione dei dazi all’importazione e all’esportazione. Tale attività rigorosamente interna dell’amministrazione doganale sarebbe finalizzata esclusivamente a rendere più rapido il recupero dei dazi a beneficio della Commissione. Per questa ragione, l’art. 2 del regolamento n. 1552/89 considererebbe l’iscrizione contabile, o contabilizzazione, come punto di riferimento. Per gli operatori economici, per contro, le dette disposizioni presenterebbero una rilevanza esclusivamente indiretta, dal momento che essi non potrebbero pretendere che l’importo del dazio sorto sia iscritto nei registri contabili.

    48     Secondo il governo italiano, non è possibile dedurre da una formulazione ampia e generica come quella dell’art. 10 CE l’esistenza di un obbligo degli Stati membri nel senso inteso dalla Commissione.

    49     Con riguardo all’art. 17 del regolamento n. 1552/89, esso presupporrebbe che il credito interessato sia stato contabilizzato e, pertanto, che la responsabilità dello Stato membro sia limitata a eventuali lacune all’atto della riscossione di dazi già accertati. La detta disposizione non disciplinerebbe, pertanto, l’ipotesi oggetto della presente controversia, in cui la contabilizzazione dei dazi non sarebbe intervenuta in ragione di un errore delle autorità nazionali che avrebbe dato luogo, a sua volta, alla decisione della Commissione di esenzione dal pagamento dei dazi per legittimo affidamento ai sensi dell’art. 220, n. 2, del codice doganale.

    50     Il governo dei Paesi Bassi deduce che qualsivoglia responsabilità di uno Stato membro, in forza della quale il detto Stato sarebbe tenuto, in una fattispecie come quella in oggetto, a mettere a disposizione della Commissione importi che non abbiano potuto essere recuperati a posteriori, non è prevista dalla decisione 94/728 e non ne può pertanto discendere. Una responsabilità siffatta necessiterebbe di una disposizione espressamente prevista dalla normativa applicabile.

    51     Orbene, il regime del codice doganale, nel combinato disposto con il regolamento n. 1552/89 e con la decisione 94/728, non conterrebbe una disposizione relativa all’ipotesi in cui non avvenga la contabilizzazione nelle circostanze previste dall’art. 220, n. 2, lett. b), del codice medesimo.

    52     Il governo portoghese deduce che il diritto delle Comunità sulle risorse proprie non sorge con la nascita dell’obbligazione doganale, bensì quando sono soddisfatti i requisiti previsti dalla normativa doganale e relativi all’iscrizione dell’importo del dazio ed alla relativa comunicazione al soggetto passivo, e il dazio può ritenersi accertato, conformemente all’art. 2 del regolamento n. 1552/89. Se il detto dazio non è stato accertato ovvero se l’accertamento è stato annullato, il versamento alla Commissione di somme non percepite a seguito di errori di cui è responsabile l’amministrazione interessata non può essere effettuato nel contesto del regolamento n. 1552/89, bensì quale risarcimento del danno, laddove il diritto comunitario lo preveda.

    53     Il governo svedese sostiene che le disposizioni di cui all’art. 2, nn. 1, lett. b), e 3, della decisione 94/728 lasciano chiaramente intendere che le Comunità possono esigere i dazi doganali. In tal modo sorgerebbe un credito relativo ai dazi doganali tra le Comunità ed ogni soggetto passivo dei detti dazi. Lo Stato membro interessato non sarebbe affatto parte di tale rapporto tra creditore e debitore. Il ruolo degli Stati membri si limiterebbe a garantire il recupero dei crediti delle Comunità per conto di queste ultime. Ciò troverebbe conferma nel fatto che la Commissione, e non lo Stato membro, disporrebbe della facoltà di decidere di non accertare un credito doganale in un’ipotesi come quella in oggetto.

     Giudizio della Corte

    54     Si deve ricordare, in limine, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 7 delle conclusioni, che dalla disposizione dell’art. 268, terzo comma, CE, ai termini del quale le entrate e le spese del bilancio comunitario devono risultare in pareggio, deriva che entrate insufficienti con riferimento ad una risorsa propria devono essere compensate da un’altra risorsa propria, oppure da un adeguamento delle spese.

    55     Si deve inoltre ricordare che, come emerge dall’art. 8, n. 1, della decisione 94/728, le risorse proprie delle Comunità di cui all’art. 2, n. 1, lett. a) e b), della detta decisione vengono riscosse dagli Stati membri e questi ultimi sono tenuti a mettere le risorse proprie delle Comunità a disposizione della Commissione. A titolo di spese di riscossione gli Stati membri trattengono, conformemente all’art. 2, n. 3, della decisione medesima, il 10% degli importi da versare a norma del n. 1, lett. a) e b), del detto articolo, percentuale che, d’altronde, è stata aumentata al 25% per gli importi accertati successivamente al 31 dicembre 2000, ai termini dell’art. 2, n. 3, della decisione 2000/597.

    56     Si deve inoltre rilevare che, nella specie, non sono contestati né l’esistenza di un’obbligazione doganale né l’importo della somma controversa.

    57     L’art. 2, n. 1, del regolamento n. 1552/89 precisa che gli Stati membri sono tenuti ad accertare il diritto delle Comunità sulle risorse proprie «non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo».

    58     Dal tenore della detta disposizione si evince che l’obbligo degli Stati membri di accertare il diritto delle Comunità sulle risorse proprie sorge nel momento in cui sono soddisfatti i menzionati requisiti, previsti dalla normativa doganale, e non è pertanto necessario che la contabilizzazione abbia avuto effettivamente luogo.

    59     Come emerge dagli artt. 217, 218 e 221 del codice doganale, i detti requisiti sono soddisfatti quando le autorità doganali dispongono degli elementi necessari e, pertanto, sono in grado di calcolare l’importo dei dazi che risulta dall’obbligazione doganale e di determinare l’identità del soggetto passivo (v., in tal senso, sentenze 14 aprile 2005, causa C‑460/01, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑2613, punto 71, e causa C‑104/02, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑2689, punto 80).

    60     A tal riguardo si deve ricordare che gli Stati membri sono tenuti ad accertare le risorse proprie comunitarie (v. sentenze 16 maggio 1991, causa C‑96/89, Commissione/Paesi-Bassi, Racc. pag. I‑2461, punto 38, e Commissione/Germania, cit., punto 45). L’art. 2, n. 1, del regolamento n. 1552/89, infatti, deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri non possono esimersi dall’accertare i crediti, anche se essi li contestano, salvo ammettere che l’equilibrio finanziario della Comunità sia sconvolto a causa del comportamento di uno Stato membro (v., in tal senso, sentenze 16 maggio 1991, Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 37, e 15 giugno 2000, causa C‑348/97, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑4429, punto 64).

    61     Ne consegue che gli Stati membri sono tenuti ad accertare il diritto delle Comunità sulle risorse proprie a partire dal momento in cui le rispettive autorità doganali sono in grado di calcolare l’importo dei dazi risultanti da un’obbligazione doganale e di individuare il soggetto passivo.

    62     Tale conclusione non è inficiata dall’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale. La detta disposizione mira a tutelare il legittimo affidamento del soggetto passivo con riguardo alla fondatezza di tutti gli elementi in gioco nella decisione di contabilizzare o meno, a posteriori, i dazi doganali [v., con riguardo alle disposizioni dell’art. 5, n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, relativo al ricupero a posteriori dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione che non sono stati corrisposti dal soggetto passivo per le merci dichiarate per un regime doganale comportante l’obbligo di effettuarne il pagamento (GU L 197, pag. 1), riprese dall’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, sentenze 27 giugno 1991, causa C‑348/89, Mecanarte, Racc. pag. I‑3277, punto 19, e 14 novembre 2002, causa C‑251/00, Ilumitrónica, Racc. pag. I‑10433, punto 39]. Essa disciplina i casi nei quali le autorità doganali degli Stati membri non possono procedere ad una contabilizzazione a posteriori dei dazi di cui trattasi e, dunque, neanche ad un recupero a posteriori, ma non esime gli Stati membri dal loro obbligo di accertare il diritto delle Comunità sulle risorse proprie.

    63     L’esistenza di tale distinzione tra le norme relative all’obbligo di accertare il diritto delle Comunità sulle risorse proprie e quelle relative alla possibilità degli Stati membri di recuperare dazi è stata già riconosciuta dalla Corte nella sentenza 7 settembre 1999, causa C‑61/98, De Haan (Racc. pag. I‑5003). A tal riguardo, se è pur vero che l’inosservanza dei termini imposti dalla legislazione doganale comunitaria da parte delle autorità doganali nazionali può dar luogo al pagamento di interessi di mora da parte dello Stato membro interessato alle Comunità, nell’ambito della messa a disposizione delle risorse proprie, essa non pregiudica l’esigibilità dell’obbligazione doganale né la facoltà di tali autorità di procedere al recupero a posteriori entro il termine di tre anni previsto dall’art. 221, n. 3, del codice doganale, come emerge dal punto 34 della menzionata sentenza De Haan. Del pari, se un errore commesso dalle autorità doganali di uno Stato membro ha come conseguenza che il soggetto passivo non deve versare l’importo dei dazi di cui trattasi, ciò non può mettere in discussione l’obbligo dello Stato membro in questione di pagare gli interessi moratori nonché i dazi che avrebbero dovuto essere accertati, nell’ambito della messa a disposizione delle risorse proprie.

    64     Con riguardo all’argomento dei governi danese e belga, relativo al fatto che la Commissione, nell’ambito del procedimento previsto dagli artt. 871 e 873 del regolamento n. 2454/93, avrebbe acconsentito all’applicazione dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, si deve rilevare che il detto procedimento non verte sull’obbligo degli Stati membri di accertare il diritto delle Comunità sulle risorse proprie. Infatti, la finalità degli artt. 871 e 873 del regolamento n. 2454/93 consiste nel garantire l’applicazione uniforme del diritto comunitario (v., in tal senso, sentenza Mecanarte, cit., punto 33), nonché, con l’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, il legittimo affidamento del soggetto passivo (v. punto 62 della presente decisione).

    65     Inoltre, il fatto che gli interessi finanziari delle Comunità non entrino in gioco nell’ambito del procedimento previsto dagli artt. 871 e 873 del regolamento n. 2454/93, dal momento che, in ogni caso, il loro diritto sulle risorse proprie di cui trattasi deve essere accertato, garantisce che la Commissione possa agire in modo disinteressato e imparziale nell’ambito del procedimento medesimo.

    66     Peraltro, a termini dell’art. 17, nn. 1 e 2, del regolamento n. 1552/89, gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai dazi accertati in conformità dell’art. 2 del regolamento medesimo siano stanziati a beneficio della Commissione. Gli Stati membri sono dispensati da tale obbligo soltanto se la riscossione non abbia potuto essere effettuata per ragioni di forza maggiore ovvero quando risulti definitivamente impossibile procedere alla riscossione per motivi che non possono essere loro imputabili.

    67     Orbene, secondo la giurisprudenza della Corte, sussiste un nesso indissolubile tra l’obbligo di accertare le risorse proprie comunitarie, quello di iscriverle sul conto della Commissione entro i limiti impartiti e quello di versare interessi di mora; peraltro, questi ultimi sono esigibili qualunque sia la ragione del ritardo con il quale le risorse sono state iscritte sul conto della Commissione. Ne consegue che non si deve distinguere tra il caso in cui lo Stato membro abbia accertato le risorse proprie senza versarle e quello in cui abbia indebitamente omesso di accertarle, anche in mancanza di un termine tassativo (v., segnatamente, sentenza 16 maggio 1991, Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 38).

    68     Pertanto, gli Stati membri sono tenuti ad accertare il diritto delle Comunità sulle risorse proprie non appena le loro autorità doganali dispongano degli elementi necessari e siano dunque in grado di calcolare l’importo dei dazi che risultano da un’obbligazione doganale e di determinare il soggetto passivo, senza che occorra decidere se i criteri per l’applicazione dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale siano soddisfatti e, pertanto, se possa o meno procedersi alla contabilizzazione ed al recupero a posteriori dei dazi doganali di cui trattasi. Ciò premesso, uno Stato membro il quale ometta di accertare il diritto delle Comunità sulle risorse proprie e di stanziare l’importo corrispondente al beneficio della Commissione, senza che ricorra una delle condizioni previste dall’art. 17, n. 2, del regolamento n. 1552/89, viene meno agli obblighi che ad esso incombono in forza della normativa comunitaria e, segnatamente, degli artt. 2 e 8 della decisione 94/728.

    69     Quanto all’art. 10 CE, parimenti richiamato dalla Commissione, non occorre rilevare un inadempimento degli obblighi generici contenuti nelle disposizioni del detto articolo diverso dal rilevato inadempimento agli obblighi comunitari più specifici, cui era tenuto il Regno di Danimarca in forza, segnatamente, degli artt. 2 e 8 della decisione 94/728.

    70     Si deve pertanto rilevare che il Regno di Danimarca, atteso che le autorità danesi non hanno provveduto a stanziare a beneficio della Commissione l’importo di DKK 140 409,60 di risorse proprie e i relativi interessi di mora calcolati a decorrere dal 20 dicembre 1999, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario, violando, in particolare, gli artt. 2 e 8 della decisione 94/728.

     Sulle spese

    71     Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il Regno di Danimarca, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese. Conformemente all’art. 69, n. 4, primo comma, del regolamento medesimo, gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese.

    Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

    1)      Il Regno di Danimarca, atteso che le autorità danesi non hanno provveduto a stanziare a beneficio della Commissione delle Comunità europee l’importo di DKK 140 409,60 di risorse proprie e i relativi interessi di mora calcolati a decorrere dal 20 dicembre 1999, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario violando, in particolare, gli artt. 2 e 8 della decisione del Consiglio 31 ottobre 1994, 94/728/CE, Euratom, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee.

    2)      Il Regno di Danimarca è condannato alle spese.

    3)      Il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica del Portogallo e il Regno di Svezia sopportano le proprie spese.

    Firme


    * Lingua processuale: il danese.

    Top