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Document 62002CJ0196

    Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 10 marzo 2005.
    Vasiliki Nikoloudi contro Organismos Tilepikoinonion Ellados AE.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Eirinodikeio Athinon - Grecia.
    Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE - 143 CE) - Direttiva 75/117/CEE - Parità di retribuzione - Direttiva 76/207/CEE - Parità di trattamento - Posti di lavoro straordinari a tempo parziale - Esclusione dell'inserimento nell'organico del personale ordinario - Calcolo dell'anzianità di servizio - Onere della prova.
    Causa C-196/02.

    Raccolta della Giurisprudenza 2005 I-01789

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2005:141

    Arrêt de la Cour

    Causa C‑196/02

    Vasiliki Nikoloudi

    contro

    Organismos Tilepikoinonion Ellados AE

    (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Eirinodikeio Athinon)

    «Politica sociale — Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117‑120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE - 143 CE) — Direttiva 75/117/CEE — Parità di retribuzione — Direttiva 76/207/CEE — Parità di trattamento — Posti di lavoro temporanei a tempo parziale — Esclusione dell’inserimento nell’organico del personale ordinario — Calcolo dell’anzianità di servizio — Onere della prova»

    Conclusioni dell’avvocato generale C. Stix-Hackl, presentate il 29 aprile 2004 

    Sentenza della Corte (Prima Sezione) 10 marzo 2005. 

    Massime della sentenza

    1.     Politica sociale — Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Parità di retribuzione — Parità di trattamento — Disposizione nazionale che riserva alle donne un determinato impiego — Assunzione a tempo parziale con contratto di durata indeterminata — Mancanza di discriminazione diretta — Esclusione successiva dei lavoratori a tempo parziale dalla possibilità di inserimento nell’organico del personale ordinario — Esclusione riguardante esclusivamente donne — Discriminazione diretta — Inammissibilità alla luce della direttiva 76/207 — Circostanza che rende ammissibile una siffatta esclusione

    [Trattato CE, art. 119 (gli artt. 117‑120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE – 143 CE); direttiva del Consiglio 76/207/CEE]

    2.     Politica sociale — Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Accesso al lavoro e condizioni di lavoro — Parità di trattamento — Esclusione contrattuale dell’inserimento del personale temporaneo a tempo parziale nell’organico del personale ordinario — Esclusione riguardante essenzialmente donne — Discriminazione indiretta — Inammissibilità in mancanza di giustificazioni obiettive — Valutazione spettante al giudice nazionale

    (Direttiva del Consiglio 76/207, art. 3)

    3.     Politica sociale — Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Accesso al lavoro e condizioni di lavoro — Parità di trattamento — Esclusione dell’attività a tempo parziale nel calcolo dell’anzianità — Esclusione riguardante essenzialmente donne — Discriminazione indiretta — Inammissibilità in mancanza di giustificazioni obiettive — Valutazione spettante al giudice nazionale — Circostanze che rendono ammissibile un conteggio pro quota dell’impiego a tempo parziale in occasione del suddetto calcolo

    (Direttiva del Consiglio 76/207)

    4.     Politica sociale — Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Accesso al lavoro e condizioni di lavoro — Parità di trattamento — Onere della prova della mancanza di discriminazione diretta o indiretta

    (Direttiva del Consiglio 97/80/CEE)

    1.     L’art. 119 del Trattato e la direttiva 76/207, relativa all’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, devono essere interpretati nel senso che l’esistenza e l’applicazione di una norma nazionale che riserva alle sole addette alle pulizie, e quindi esclusivamente alle donne, l’assunzione mediante contratto di durata indeterminata per un lavoro a tempo parziale non costituiscono, di per sé, una discriminazione diretta delle lavoratrici fondata sul sesso. Tuttavia la conseguente esclusione di una possibilità di inserimento nell’organico del personale ordinario con riferimento, apparentemente di carattere neutro per quanto attiene al sesso del lavoratore, a una categoria di lavoratori che, in forza di una normativa nazionale avente forza di legge, è costituita esclusivamente da donne rappresenta una discriminazione diretta fondata sul sesso ai sensi della direttiva 76/207. Perché non sussista discriminazione diretta fondata sul sesso, l’elemento volto a caratterizzare la categoria cui appartiene il lavoratore escluso deve essere tale da porre quest’ultimo in una situazione obiettivamente diversa, dal punto di vista dell’inserimento nell’organico del personale ordinario, da quella di coloro che possono beneficiarne.

    (v. punto 40, dispositivo 1)

    2.     Qualora colpisca un numero molto più elevato di lavoratori di sesso femminile che di lavoratori di sesso maschile, l’esclusione, operata tramite contratti collettivi, dell’inserimento di personale temporaneo impiegato a tempo parziale nel personale ordinario costituisce una discriminazione indiretta. Una situazione siffatta è incompatibile con l’art. 3 della direttiva 76/207, relativa all’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, a meno che la disparità di trattamento fra tali lavoratori e quelli impiegati a tempo pieno non sia giustificata da fattori estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Spetta al giudice nazionale verificare se sia questo il caso.

    (v. punto 57, dispositivo 2)

    3.     Quando colpisce un numero molto più elevato di lavoratori di sesso femminile che di lavoratori di sesso maschile, l’esclusione totale dell’impiego a tempo parziale dal calcolo dell’anzianità di servizio costituisce una discriminazione indiretta fondata sul sesso contraria alla direttiva 76/207, relativa all’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, a meno che tale esclusione non si fondi su fattori obiettivamente giustificati ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Spetta al giudice nazionale verificare se sia questo il caso.

    È altresì contrario a detta direttiva, in occasione del suddetto calcolo, un conteggio pro quota dell’impiego a tempo parziale, a meno che il datore di lavoro non provi che esso è giustificato da fattori la cui obiettività dipende segnatamente dallo scopo perseguito attraverso la presa in considerazione dell’anzianità di servizio e, nel caso si tratti di remunerare l’esperienza acquisita, dal rapporto tra la natura delle mansioni svolte e l’esperienza che l’espletamento di tali mansioni fa acquisire dopo un determinato numero di ore di lavoro effettuate.

    (v. punto 66, dispositivo 3)

    4.     Quando un lavoratore invochi la violazione, a suo danno, del principio della parità di trattamento e adduca fatti che facciano presumere la sussistenza di una discriminazione diretta o indiretta, la direttiva 97/80, riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso, deve essere interpretata nel senso che spetta alla parte convenuta provare che non si è verificata una violazione del suddetto principio.

    (v. punto 75, dispositivo 4)




    SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
    10 marzo 2005(1)


    «Politica sociale – Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117‑120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE - 143 CE) – Direttiva 75/117/CEE – Parità di retribuzione – Direttiva 76/207/CEE – Parità di trattamento – Posti di lavoro temporanei a tempo parziale – Esclusione dall'inserimento nell'organico del personale ordinario – Calcolo dell'anzianità di servizio – Onere della prova»

    Nel procedimento C-196/02,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dall'Eirinodikeio Athinon (Grecia) con decisione 13 maggio 2002, pervenuta in cancelleria il 27 maggio 2002, nella causa tra

    Vasiliki Nikoloudi

    e

    Organismos Tilepikoinonion Ellados AE,



    LA CORTE (Prima Sezione),,



    composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. A. Rosas (relatore), A. La Pergola, S. von Bahr e K. Schiemann, giudici,

    avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl
    cancelliere: sig. R. Grass

    vista la fase scritta del procedimento,

    considerate le osservazioni presentate:

    per la sig.ra Nikoloudi, dal sig. N. Zelios, dikigoros;

    per l'Organismos Tilepikoinonion Ellados AE, dai sigg. P. Vallis e A. Margariti, dikigori;

    per il governo greco, dal sig. S.A. Spyropoulos e dalla sig.ra E.‑M. Mamouna, in qualità di agenti;

    per la Commissione delle Comunità europee, dalle sig.re M. Patakia e N. Yerrell, in qualità di agenti,

    sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 29 aprile 2004,

    ha pronunciato la seguente



    Sentenza



    1
    La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione dell’art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE - 143 CE) e delle direttive del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19), e 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40).

    2
    Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Nikoloudi e il suo datore di lavoro, la società di diritto greco Organismos Tilepikoinonion Ellados AE (ente nazionale delle telecomunicazioni; in prosieguo: l’«OTE»), per il quale ha lavorato, a tempo parziale, in qualità di addetta alle pulizie, in merito alla sua esclusione dalla possibilità, prevista da determinati contratti collettivi in materia, di essere inserita nell’organico del personale ordinario di quest’ultimo.


    Contesto normativo

    La normativa comunitaria

    3
    L’art. 119 del Trattato sancisce il principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

    4
    Ai sensi dell’art. 1, primo comma, della direttiva 75/117, tale principio implica «l’eliminazione di qualsiasi discriminazione basata sul sesso in tutti gli elementi e le condizioni delle retribuzioni».

    5
    La direttiva 76/207 mira all’abolizione, in materia di condizioni di lavoro e di accesso agli impieghi o ai posti di lavoro, di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso.

    6
    La direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/80/CE, riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso (GU 1998, L 14, pag. 6), doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 1° gennaio 2001. Essa si applica alle situazioni disciplinate, segnatamente, dall’art. 119 del Trattato e dalle direttive 75/117 e 76/207.

    7
    In forza dell’art. 4 della suddetta direttiva, gli Stati membri «adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta».

    La normativa nazionale

    8
    Il regolamento generale del personale dell’OTE dispone, all’art. 2, n. 1, che il suddetto personale sia costituito da lavoratori ordinari e da lavoratori temporanei. Dal fascicolo risulta che il personale ordinario dell’OTE include solo persone impiegate a tempo pieno.

    9
    Il personale temporaneo è costituito da lavoratori assunti con contratto di durata determinata oppure, ai sensi dell’art. 24 a), n. 2, del suddetto regolamento e in casi eccezionali, con contratto di durata indeterminata per quanto riguarda, da un lato, le mansioni di addetto alle pulizie impiegato a tempo parziale [lett. a)], e, dall’altro, l’assunzione di persone a carico di un dipendente deceduto, a causa dei problemi economici familiari derivanti da detto decesso [(lett. c)].

    10
    L’art. 3, paragrafo v), lett. d), del regolamento generale dell’OTE riserva alle donne il ruolo di addetto alle pulizie.

    11
    L’art. 5, n. 9, del regolamento generale in questione, nella sua versione applicabile fino al 1° gennaio 1996, escludeva totalmente i periodi lavorativi a tempo parziale dal calcolo dell’anzianità di servizio, mentre una modifica, intervenuta a tale data, prevede, per il suddetto calcolo, un conteggio pro quota del periodo di impiego a tempo parziale. Per quanto riguarda le addette alle pulizie appartenenti al personale temporaneo, detta modifica precisa che il servizio prestato quotidianamente nella misura di tre ore dalle addette impiegate a tempo parziale è equiparato alla metà della durata di un lavoro a tempo pieno.

    12
    I contratti collettivi di lavoro di categoria del 2 novembre 1987 e 10 maggio 1991 (in prosieguo: i «contratti controversi»), conclusi tra l’OTE e l’Omospondia Ergazomenon OTE (Federazione dei lavoratori OTE), disciplinano l’inserimento, a determinate condizioni, del personale temporaneo dell’OTE nell’organico ordinario. Dal fascicolo emerge che detti contratti sono fondati sull’art. 66, n. 1, del regolamento generale dell’OTE, che prevede l’assunzione «di tipo definitivo» del personale temporaneo operante a tempo pieno in forza di un contratto di durata indeterminata.

    13
    Come emerge dalla decisione di rinvio, il primo di tali contratti controversi prevedeva che solo il personale temporaneo con due anni di servizio ininterrotto in un impiego a tempo pieno potesse presentare una richiesta di inserimento nell’organico del personale ordinario. Orbene, il secondo dei suddetti contratti, mediante il quale non si esigeva alcun previo periodo di servizio, è stato peraltro interpretato e applicato dall’OTE come riguardante solo il personale a tempo pieno.


    Causa principale e questioni pregiudiziali

    14
    Il 1° settembre 1978 la sig.ra Nikoloudi è stata assunta dall’OTE, in qualità di dipendente temporaneo, con un contratto di lavoro di durata indeterminata con la qualifica di addetta alle pulizie a tempo parziale, fino al 27 novembre 1996. Il 28 novembre 1996 il suo contratto è stato trasformato in contratto a tempo pieno. Avendo raggiunto i limiti di età, ne è stato disposto il collocamento a riposo a partire dal 17 agosto 1998.

    15
    Dal fascicolo emerge che non è stato applicato alcuno dei contratti controversi alla sig.ra Nikoloudi fino al suo collocamento a riposo in quanto svolgeva un lavoro a tempo parziale.

    16
    Essendo stata esclusa dalla possibilità, prevista dai suddetti contratti, di un inserimento nell’organico ordinario, la sig.ra Nikoloudi ha adito il giudice del rinvio sostenendo che tale esclusione costituiva una discriminazione fondata sul sesso, vietata dal diritto comunitario.

    17
    Essa ritiene altresì che l’art. 5, n. 9, del regolamento generale dell’OTE, nella sua versione originale come nella versione modificata del 1° gennaio 1996, sia incompatibile con il diritto comunitario e, pertanto, inapplicabile.

    18
    Infine, la sig.ra Nikoloudi ritiene che, se si fosse preso in considerazione tutto il suo periodo di lavoro a tempo parziale nel calcolo dell’anzianità di servizio, essa avrebbe beneficiato di una differenza di stipendio a suo favore per un importo pari a EUR 5 834,43 relativamente al periodo compreso tra il 28 novembre 1996 e il 17 agosto 1998.

    19
    Con il suo ricorso la sig.ra Nikoloudi ha chiesto che l’OTE sia condannato a corrisponderle tale importo, oltre al pagamento degli interessi afferenti.

    20
    L’OTE ha sostenuto che la sig.ra Nikoloudi non è stata inserita nell’organico del personale ordinario poiché, conformemente alla disposizione applicata, a suo giudizio, in modo non discriminatorio e indipendentemente dalla specializzazione del personale o dal sesso di quest’ultimo, un impiego a tempo pieno costituisce una condizione preliminare all’inserimento del personale temporaneo nell’organico ordinario. Inoltre, in forza dell’art. 5, n. 9, del regolamento generale dell’OTE, si sarebbe potuto prendere in considerazione l’impiego a tempo parziale ai fini del calcolo dell’anzianità di servizio della sig.ra Nikoloudi solo a partire dal 1° gennaio 1996.

    21
    Pertanto, l’Eirinodikeio Athinon, considerando che la controversia che gli è stata sottoposta necessitava l’interpretazione di disposizioni comunitarie, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)
    Se sia conforme al disposto dell’art. 119 del Trattato (…) e alle direttive 75/117 e 76/207 l’esistenza e l’applicazione di una norma – come, nel caso di specie, l’art. 24 a), n. 2, lett. a), del regolamento generale del personale OTE – ai sensi della quale vengono assunte come addette alle pulizie con contratto di lavoro di durata indeterminata per un lavoro a tempo parziale o intermittente (soltanto) donne.

    Se, conformemente alla giurisprudenza della Corte, posto che un impiego a tempo parziale implica una retribuzione ridotta, la norma in questione possa essere interpretata nel senso che essa costituisce prima facie una discriminazione diretta fondata sul sesso, in quanto lega direttamente un impiego a tempo parziale al sesso dei lavoratori (donne) e sfavorisce pertanto solo le donne.

    2)
    Se l’esclusione, come nel caso di specie, delle addette alle pulizie assunte come straordinarie, a tempo indeterminato, per un impiego a tempo parziale, dalle disposizioni del contratto collettivo di categoria del 2 novembre 1987, concluso tra l’OTE e la Federazione dei lavoratori OTE, relative all’inserimento nell’organico del personale ordinario (e ciò indipendentemente dalla durata dei rispettivi contratti di lavoro a tempo parziale), per il fatto che tale contratto di categoria richiedeva almeno due anni di servizio a tempo pieno, violi il disposto dell’art. 119 del Trattato (…) e le direttive summenzionate o un’altra norma di diritto comunitario, essendo una discriminazione indiretta fondata sul sesso, in quanto tale contratto (nonostante il suo carattere apparentemente neutro, giacché non stabilisce nessun collegamento con il sesso dei lavoratori) ha escluso solo donne addette alle pulizie, poiché non c’erano uomini che lavorassero a tempo parziale, con contratto di durata indeterminata, né nel settore dei servizi generali (da cui dipendono le donne delle pulizie), né in alcun altro settore del personale dell’OTE.

    3)
    In applicazione del contratto di categoria, concluso il 10 maggio 1991 tra l’OTE e la Federazione dei lavoratori OTE, in vista dell’inserimento (in prova) dei lavoratori temporanei l’OTE esigeva un contratto di lavoro di durata indeterminata ad orario pieno.

    Se l’esclusione delle addette alle pulizie impiegate a tempo parziale (indipendentemente dalla durata del loro contratto di lavoro), come nel caso di specie, costituisca una discriminazione indiretta inammissibile fondata sul sesso, che incorre nel divieto posto dalle norme comunitarie (art. 119 [del Trattato] e direttive 75/117 e 76/207), visto che il contratto di categoria escludeva solo le donne addette alle pulizie, in mancanza di uomini che lavorassero a tempo parziale, con contratto di durata indeterminata, in qualsivoglia settore del personale dell’OTE.

    4)
    In conformità del disposto dell’art. 5, n. 9, del regolamento generale del personale OTE, nel testo in vigore fino al 1° gennaio 1996, il tempo parziale non era assolutamente calcolato nell’anzianità, al fine di determinare una migliore situazione retributiva. Dal 1° gennaio 1996 in poi, tale disposizione è stata modificata con contratto di categoria ed è stato stabilito che il tempo parziale sia calcolato come equivalente alla metà del tempo pieno.

    Se, dal momento che l’attività ad orario ridotto riguardava esclusivamente o principalmente donne, le norme sull’esclusione totale del tempo parziale (fino al 1° gennaio 1996) o sul “calcolo pro quota” dello stesso rispetto al tempo pieno (dal 1° gennaio 1996) possano essere interpretate, alla luce della giurisprudenza della Corte, nel senso che introducono una discriminazione indiretta fondata sul sesso vietata (dal diritto comunitario) e, di conseguenza, se debba essere calcolato nell’anzianità degli interessati tutto il periodo di lavoro a tempo parziale.

    5)
    Se le soluzioni della Corte alle questioni da 1 a 4 sopra esposte sono affermative, nel senso che le controverse disposizioni di legge e di contratto collettivo sono effettivamente contrarie al diritto comunitario, si domanda chi abbia l’onere della prova quando viene invocata dal lavoratore la violazione, a suo danno, del principio della parità di trattamento».


    Giudizio della Corte

    Osservazioni preliminari

    22
    In via preliminare si devono fornire due precisazioni in merito alle questioni sottoposte dal giudice a quo. In primo luogo, si deve constatare che la causa principale verte su una possibilità di inserimento nell’organico del personale ordinario, accordata in forza di un contratto collettivo, a favore del personale temporaneo dell’OTE che abbia concluso un contratto a tempo indeterminato. Nell’ambito del suddetto inserimento è evidente che la natura di un contratto a tempo determinato è fondamentalmente diversa da quella di un contratto a tempo indeterminato o, anche, di un posto nell’organico ordinario. Di conseguenza, i lavoratori che hanno stipulato un contratto a tempo determinato non si trovano in una situazione equiparabile, riguardo all’inserimento nell’organico del personale ordinario, a quella dei lavoratori che occupano determinati posti in forza di un contratto a tempo indeterminato. Pertanto, l’esame delle questioni pregiudiziali riguarderà solo questi ultimi.

    23
    In secondo luogo, malgrado una normativa nazionale che sembra prevedere quale dipendente temporaneo impiegato a tempo parziale solo le addette alle pulizie, l’OTE adduce di aver assunto, a più riprese, degli uomini con un contratto di durata indeterminata, per attività a tempo parziale.

    24
    Si devono quindi intendere la seconda e la terza questione, relative alla discriminazione indiretta, come atte a includere l’ipotesi in cui le affermazioni dell’OTE si rivelino esatte e, pertanto, in cui anche tali uomini siano stati esclusi dalla possibilità di un inserimento nell’organico del personale ordinario offerta dai contratti controversi. Per contro, la prima questione, attinente alla discriminazione diretta, si fonda sulla premessa che solo le addette alle pulizie sono state escluse dalla possibilità di inserimento di cui trattasi. Dal momento che tali due ipotesi si escludono reciprocamente, spetta al giudice a quo verificare in quale dei due contesti si inserisce la causa principale.

    Sulla prima questione

    25
    Con la sua prima questione, il giudice a quo chiede, in sostanza, se il diritto comunitario osti a una norma come l’art. 24 a), n. 2, lett. a), del regolamento generale dell’OTE, che riserva alle sole addette alle pulizie, e, quindi, alle donne, l’assunzione per una durata indeterminata per quanto riguarda un lavoro a tempo parziale e, più specificamente, se una siffatta norma costituisca, di per sé, una discriminazione diretta, fondata sul sesso, dal momento che ricollega l’impiego a tempo parziale alle persone di sesso femminile, sfavorendo da un punto di vista finanziario queste ultime.

    26
    Occorre in primo luogo soffermarsi sull’esistenza di un medesimo lavoro, o di un lavoro di pari valore onde individuare situazioni comparabili a quella della sig.ra Nikoloudi ed essere, quindi, in grado di applicare il principio di parità di trattamento alla fattispecie.

    27
    Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione e dal governo greco, il fatto che nell’ambito dell’OTE nessun uomo svolga un lavoro identico a quello effettuato della sig.ra Nikoloudi non osta all’applicazione di detto principio.

    28
    Per quanto riguarda la parità delle retribuzioni, e in considerazione anche del tenore letterale dell’art. 119 del Trattato nonché della giurisprudenza, si deve constatare che l’attività lavorativa che può servire da parametro di raffronto non dovrebbe essere necessariamente identica a quella svolta dalla persona che invoca il suddetto principio di parità a suo vantaggio (v., in particolare, sentenze 30 marzo 2000, causa C-236/98, JämO, Racc. pag. I‑2189, punto 49, e 17 settembre 2002, causa C-320/00, Lawrence e a., Racc. pag. I‑7325, punto 4). Il fatto che si effettui un raffronto nell’ambito della direttiva 76/207 non modificherebbe tale conclusione sotto alcun profilo.

    29
    Spetta al giudice nazionale, il solo competente a valutare i fatti, verificare se, tenuto conto di elementi di fatto relativi alla natura del lavoro prestato e alle condizioni in cui esso si svolge, nell’ambito dell’OTE esista un lavoro di pari valore rispetto a quello svolto dalla sig.ra Nikoloudi, e ciò senza necessariamente tener conto dell’orario di effettuazione del detto lavoro (v., in tal senso, sentenze 31 maggio 1995, causa C-400/93, Royal Copenhagen, Racc. pag. I‑1275, punto 43, e JämO, cit., punti 20 e 49).

    30
    Ove ciò fosse e, pertanto, qualora esistano situazioni equiparabili a quella della sig.ra Nikoloudi, ci si deve poi soffermare sull’asserita disparità di trattamento al fine di verificare se essa è direttamente fondata sul sesso.

    31
    Nel caso di specie, si tratta del personale temporaneo assunto a tempo indeterminato. Dal fascicolo risulta che un siffatto contratto è autorizzato, ai sensi dell’art. 24 a), n. 2, del regolamento generale dell’OTE, solo per le due ipotesi invocate al punto 9 della presente sentenza, ossia, da un lato, la funzione di addetta alle pulizie operante a tempo parziale e, dall’altro, l’assunzione di persone a carico di un dipendente deceduto. Pertanto, la disparità di trattamento di cui alla causa principale è da ricondursi al fatto che il lavoro di addetta alle pulizie disciplinato da un contratto a norma della disposizione di cui alla lett. a) del suddetto articolo è svolto a tempo parziale, mentre i contratti conclusi in forza della lett. c) di cui al medesimo articolo, che sono, peraltro, neutri per quanto riguarda il sesso del lavoratore, non implicano tale precisazione.

    32
    Orbene, dalla decisione di rinvio emerge che, secondo l’art. 3, paragrafo v), lett. d), del regolamento generale dell’OTE, disposizione avente forza di legge, solo le donne possono essere assunte, ai sensi dell’art. 24 a), n. 2, lett. a), del suddetto regolamento, in qualità di addette alle pulizie a tempo parziale e che, pertanto, solo esse possono avere concluso un contratto di durata indeterminata per un lavoro a tempo parziale.

    33
    Nella fattispecie, l’OTE rileva che il posto di addetto alle pulizie a tempo parziale, giustificato dall’esistenza di locali caratterizzati da un’esigua superficie da pulire, è stato riservato alle donne per favorirle e soddisfare le loro esigenze specifiche.

    34
    Sebbene sia vero che le categorie di lavoratori costituite da personale di un unico sesso sono autorizzate, in particolare dall’art. 2, nn. 2 e 4, della direttiva 76/207, e che, pertanto, la creazione di una categoria di lavoratori esclusivamente di sesso femminile non rappresenta, di per sé, una discriminazione diretta delle lavoratrici, si deve tuttavia constatare che la successiva introduzione di un trattamento sfavorevole nei confronti di detta categoria, a prescindere se riguardi la parità di trattamento o delle retribuzioni, potrebbe in definitiva costituire una discriminazione di tale genere.

    35
    Per quanto riguarda, in primo luogo, la parità di trattamento, nella causa principale, tutti i lavoratori con un contratto di durata indeterminata, fatta eccezione per coloro che lavorano a tempo parziale, ossia le addette alle pulizie, sono stati inseriti nell’organico del personale ordinario.

    36
    Ne consegue che il criterio dell’impiego a tempo pieno, quale condizione preliminare all’inserimento nel personale ordinario, pur essendo apparentemente neutro per quanto riguarda il sesso del lavoratore, finisce per escludere una categoria di lavoratori che può essere costituita, ai sensi degli artt. 3, paragrafo v), lett. d), e 24 a, n. 2, del regolamento generale dell’OTE, letti in combinato disposto, esclusivamente da donne. Dal momento che un siffatto criterio non rende impossibile comparare, con riferimento all’inserimento nell’organico del personale ordinario, due situazioni che sono, quanto ai restanti aspetti, comparabili, costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso.

    37
    Quanto inoltre alla parità delle retribuzioni, si deve constatare, in primo luogo, che nel fascicolo nessun elemento lascia intendere che esista una differenza fra i tassi di retribuzione relativi ai lavoratori a tempo parziale e quelli relativi ai lavoratori a tempo pieno.

    38
    In ogni caso occorre rammentare, come fa l’avvocato generale al punto 33 delle sue conclusioni, che il fatto che per il lavoro a tempo parziale venga corrisposta una retribuzione oraria inferiore a quella corrisposta per il lavoro a tempo pieno non consente di concludere sistematicamente per l’esistenza di una discriminazione, sempreché la differenza di retribuzione tra il lavoro ad orario ridotto e il lavoro a tempo pieno sia dovuta a fattori obiettivamente giustificati ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso (v., in tal senso, sentenza 31 marzo 1981, causa 96/80, Jenkins, Racc. pag. 911, punti 10 e 11). La Corte non dispone, nella fattispecie, degli elementi necessari per un siffatto esame.

    39
    In secondo luogo e in risposta alla precisazione fornita alla sua questione dal giudice di rinvio, sembra che nulla impedisca alle donne di lavorare a tempo pieno. Infatti, questo è stato il caso della sig.ra Nikoloudi dal 28 novembre 1996 fino al suo collocamento a riposo. Pertanto, il mero fatto che le donne che hanno scelto di beneficiare dell’opzione del lavoro a tempo parziale siano retribuite in misura inferiore rispetto ai loro colleghi che svolgono un lavoro a tempo pieno, lavorando meno di questi ultimi, di per sé non costituisce una discriminazione diretta, anche nel caso in cui solo le donne lavorino ad orario ridotto.

    40
    Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione dichiarando che il diritto comunitario, segnatamente l’art. 119 del Trattato e la direttiva 76/207, deve essere interpretato nel senso che l’esistenza e l’applicazione di una norma come l’art. 24 a), n. 2, lett. a), del regolamento generale dell’OTE, che riserva alle sole addette alle pulizie, e quindi esclusivamente alle donne, l’assunzione mediante contratto di durata indeterminata per un lavoro a tempo parziale, non costituiscono, di per sé, una discriminazione diretta delle lavoratrici fondata sul sesso. Tuttavia, la conseguente esclusione di una possibilità di inserimento nell’organico del personale ordinario con riferimento, apparentemente di carattere neutro per quanto attiene al sesso del lavoratore, a una categoria di lavoratori che, in forza di una normativa nazionale avente forza di legge, è costituita esclusivamente da donne rappresenta una discriminazione diretta fondata sul sesso ai sensi della direttiva 76/207. Perché non sussista discriminazione diretta fondata sul sesso, l’elemento volto a caratterizzare la categoria cui appartiene il lavoratore escluso deve essere tale da porre quest’ultimo in una situazione obiettivamente diversa, dal punto di vista dell’inserimento nell’organico del personale ordinario, da quella di coloro che possono beneficiarne.

    Sulla seconda e la terza questione

    41
    Con la sua seconda e terza questione, che devono essere esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’esclusione, effettuata mediante i contratti controversi, della possibilità di inserire personale temporaneo a tempo parziale nell’organico del personale ordinario costituisca una discriminazione indiretta fondata sul sesso.

    42
    Sottoponendo tali questioni, il giudice a quo parte dalla premessa che la suddetta esclusione colpisca soltanto il personale femminile, dal momento che a suo giudizio nessun lavoratore di sesso maschile era dipendente dell’OTE a tempo parziale con un contratto di durata indeterminata. Se tale fosse il caso, e alla luce della risposta fornita alla prima questione, non occorrerebbe risolvere la seconda e la terza questione.

    43
    Tuttavia, dal fascicolo emerge che l’OTE sostiene di avere assunto, a più riprese, degli uomini con contratti di questo tipo per un lavoro a tempo parziale. Per di più, il giudice del rinvio, mediante la formulazione della sua quarta questione, osserva che il lavoro a tempo parziale potrebbe riguardare solo in via principale, e non esclusiva, le donne. Pertanto, una risposta a queste due questioni permane utile qualora il gruppo di lavoratori escluso dalla possibilità di inserimento nell’organico del personale ordinario possa essere composto sia di uomini sia di donne.

    44
    Infatti, secondo una giurisprudenza consolidata, vi è discriminazione indiretta quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, benché formulato in modo neutro, di fatto sfavorisca un numero molto più alto di donne che di uomini (v. sentenze 2 ottobre 1997, causa C‑1/95, Gerster, Racc. pag. I‑5253, punto 30; causa C-100/95, Kording, Racc. pag. I‑5289, punto 16, e 12 ottobre 2004, causa C‑313/02, Wippel, Racc. pag. I-9483, punto 43).

    45
    Nella fattispecie, dal fascicolo emerge chiaramente che i contratti controversi sfavoriscono, nell’ambito della categoria di dipendenti temporanei che abbiano concluso un contratto di durata indeterminata, i lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno in quanto solo questi ultimi possono beneficiare della possibilità di inserimento nell’organico del personale ordinario offerta dai suddetti contratti.

    46
    Orbene, al giudice nazionale spetta verificare se l’OTE abbia effettivamente proceduto all’assunzione di uomini mediante contratti di questo tipo per un lavoro a tempo parziale e, all’occorrenza, constatare se, in seno alla categoria sfavorita di lavoratori impiegati a tempo parziale per una durata indeterminata, un numero molto più elevato di donne che di uomini sia stato escluso dalla possibilità di inserimento nell’organico del personale ordinario a norma delle disposizioni dei contratti controversi.

    47
    In un caso del genere occorre constatare che disposizioni come quelle di cui trattasi nella causa principale si risolvono di fatto in una discriminazione delle lavoratrici rispetto ai lavoratori e devono, in linea di principio, essere ritenute contrarie all’art. 3 della direttiva 76/207 laddove riguardano l’accesso ai posti di lavoro nell’organico ordinario ai sensi della suddetta norma. La situazione sarebbe diversa solo nel caso in cui la differenza di trattamento fra le due categorie di lavoratori fosse giustificata da fattori estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso (v., in tal senso, sentenze 13 luglio 1989, causa 171/88, Rinner-Kühn, Racc. pag. 2743, punto 12, e 11 settembre 2003, causa C-77/02, Steinicke, Racc. pag. I‑9027, punto 57).

    48
    Spetta al giudice nazionale, che è il solo competente a valutare i fatti e interpretare la normativa nazionale, stabilire se esiste una siffatta giustificazione. Occorre in proposito accertare se, alla luce di tutti gli elementi pertinenti e tenendo conto della possibilità di conseguire con altri mezzi gli obiettivi perseguiti dalle norme in questione, i suddetti obiettivi risultino estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso e se tali disposizioni siano, in quanto strumenti destinati a conseguire taluni obiettivi, idonee a contribuire alla loro realizzazione (v., in tal senso, citate sentenze Rinner-Kühn, punto 15, e Steinicke, punto 58).

    49
    Tuttavia, ancorché spetti al giudice nazionale, nel contesto di un rinvio pregiudiziale, accertare l’esistenza di siffatte ragioni obiettive nel caso concreto per il quale è stato adito, la Corte, chiamata a fornire al giudice nazionale risposte utili, è competente a fornire indicazioni, tratte dal fascicolo della causa principale come pure dalle osservazioni scritte e, all’occorrenza, orali sottopostele, idonee a mettere il giudice nazionale in grado di decidere (v. sentenze 30 marzo 1993, causa C-328/91, Thomas e a., Racc. pag. I‑1247, punto 13, e Steinicke, cit., punto 59).

    50
    A tale riguardo si deve osservare che, sebbene solo i lavoratori a tempo parziale, globalmente considerati, siano stati esclusi dalla possibilità di un inserimento nell’organico del personale ordinario, alla Corte non è stata resa nota alcuna giustificazione per quanto riguarda tale scelta.

    51
    Infatti, per quanto attiene alle osservazioni sottoposte dall’OTE, si deve constatare che la giustificazione secondo cui l’elemento dell’impiego a tempo parziale costituirebbe un motivo sufficiente, estraneo al sesso, a illustrare la differenza di trattamento in questione non può essere accolta. Ciò vale anche per quanto riguarda la giustificazione per cui questa stessa disparità di trattamento sarebbe fondata su motivi oggettivi di interesse generale pubblico e sociale, in quanto l’impresa nazionale di pubblica utilità non dovrebbe essere gravata da oneri eccessivi.

    52
    Anche volendo supporre che quest’ultimo argomento dell’OTE miri a far valere uno scopo legittimo che rientra nella politica di sviluppo economico e di creazione di posti di lavoro, esso costituisce tuttavia una mera affermazione generica insufficiente a far risultare che l’obiettivo perseguito dalle misure di cui trattasi è estraneo a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso (v., in tal senso, sentenza 9 febbraio 1999, causa C-167/97, Seymour-Smith e Perez, Racc. pag. I‑623, punto 76).

    53
    Per di più, sebbene considerazioni di bilancio possano costituire il fondamento delle scelte di politica sociale di uno Stato membro e possano influenzare la natura ovvero l’estensione dei provvedimenti di tutela sociale che esso intende adottare, esse non costituiscono tuttavia di per sé un obiettivo perseguito da tale politica e non possono, pertanto, giustificare una discriminazione a sfavore di uno dei sessi (v. sentenze 24 febbraio 1994, causa C-343/92, Roks e a., Racc. pag. I‑571, punto 35, e Steinicke, cit., punto 66).

    54
    Pertanto, se il giudice nazionale ritiene che manchi una giustificazione delle norme di cui trattasi nella causa principale, si deve ancora risolvere la questione se si fosse dovuto applicare alla sig.ra Nikoloudi il primo dei contratti controversi, che richiedeva un’anzianità di servizio di due anni di lavoro a tempo pieno, oppure il secondo.

    55
    Per quanto riguarda l’anzianità di servizio, oggetto di una specifica valutazione nel contesto della risposta alla quarta questione (v., segnatamente, punti 61-65 della presente sentenza), basta rammentare in tale sede che, come rileva l’avvocato generale al punto 50 delle sue conclusioni, sebbene la suddetta anzianità vada di pari passo con l’esperienza professionale e ponga di regola il lavoratore in grado di meglio espletare le proprie mansioni, l’obiettività di un siffatto criterio dipende dal complesso delle circostanze del caso concreto (v., in tal senso, sentenze 7 febbraio 1991, causa C-184/89, Nimz, Racc. pag. I‑297, punto 14; Gerster, cit., punto 39, e Kording, cit., punto 23).

    56
    Ne consegue che il giudice nazionale deve interrogarsi sullo scopo perseguito dal primo dei contratti controversi laddove assoggettava la possibilità di inserimento nell’organico del personale ordinario a una condizione di due anni di lavoro a tempo pieno. Infatti, gli incombe verificare, con riferimento al suddetto scopo, se la condizione in questione dovesse essere applicata anche ai lavoratori a tempo parziale, o se le circostanze relative alla causa principale giustificavano che la stessa fosse applicata proporzionalmente all’orario di lavoro. Quindi, nel caso di un’attività lavorativa svolta a tempo parziale, come quella della sig.ra Nikoloudi, tale requisito di anzianità sarebbe stato pari a quattro anni. Sembra che, in entrambe le ipotesi, la sig.ra Nikoloudi abbia soddisfatto la suddetta condizione. In ogni caso il secondo dei contratti controversi prevedeva l’inserimento nell’organico del personale ordinario indipendentemente dalla durata del lavoro e, pertanto, si sarebbe dovuto applicare parimenti ai lavoratori a tempo parziale.

    57
    Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la seconda e la terza questione nel senso che, qualora la premessa secondo cui solo le addette alle pulizie operanti a tempo parziale sono state escluse dalla possibilità di inserimento nell’organico del personale ordinario si riveli erronea, e qualora un numero molto più elevato di donne che di uomini sia stato colpito dalle disposizioni dei contratti controversi, l’esclusione, riconducibile a queste ultime, dell’inserimento di personale temporaneo impiegato a tempo parziale nel personale ordinario costituisce una discriminazione indiretta. Una situazione siffatta è incompatibile con l’art. 3 della direttiva 76/207, a meno che la disparità di trattamento fra tali lavoratori e quelli impiegati a tempo pieno non sia giustificata da fattori estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Spetta al giudice nazionale verificare se sia questo il caso.

    Sulla quarta questione

    58
    Con la sua quarta questione il giudice a quo chiede, in sostanza, se l’esclusione totale o proporzionale dell’impiego a tempo parziale dal calcolo dell’anzianità di servizio del personale costituisca una discriminazione indiretta, fondata sul sesso, considerato che colpisce solo o principalmente il personale femminile e se occorra, di conseguenza, conteggiare tutto il periodo di lavoro a tempo parziale.

    59
    In via preliminare, si deve precisare che tale questione rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 76/207 e, più precisamente, del suo art. 5. Infatti, da tutto quanto sopra indicato risulta che la controversia di cui alla causa principale riguarda le condizioni di svolgimento dei periodi lavorativi necessari affinché al lavoratore sia riconosciuta una determinata anzianità di servizio. Pertanto, esso può invocare, segnatamente, la possibilità di inserimento nell’organico ordinario offerta dai contratti controversi nonché, come osserva il giudice nazionale, di migliori condizioni salariali.

    60
    Per quanto riguarda innanzi tutto l’esclusione totale dell’impiego a tempo parziale al momento del calcolo dell’anzianità di servizio, esclusione prevista dall’art. 5, n. 9, del regolamento generale dell’OTE, nella sua versione anteriore al 1° gennaio 1996, si deve osservare che, come rammentato ai punti 44 e 47 della presente sentenza, vi è discriminazione indiretta quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, benché formulato in modo neutro, di fatto sfavorisca un numero molto più alto di donne che di uomini. A tale proposito, la formulazione stessa di detta questione indica che «l’attività ad orario ridotto [riguarda] esclusivamente o principalmente donne». Pertanto l’esclusione, nel calcolare l’anzianità di servizio, di tutto il periodo di lavoro a tempo parziale risulta essere contraria alla direttiva 76/207, a meno che l’OTE non possa dimostrare che la disposizione in questione si fonda su fattori oggettivamente giustificati ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso.

    61
    Per quanto riguarda poi il conteggio pro quota, previsto dalla modifica apportata il 1° gennaio 1996 alla suddetta norma, dell’impiego a tempo parziale in sede di calcolo dell’anzianità di servizio, si deve rammentare, come si è fatto al punto 55 della presente sentenza (e menzionata giurisprudenza), che, sebbene l’anzianità vada di pari passo con l’esperienza professionale e ponga di regola il lavoratore in grado di meglio espletare le proprie mansioni, l’obiettività di un siffatto criterio dipende dal complesso delle circostanze del caso concreto e, in particolare, dal rapporto tra la natura delle mansioni svolte e l’esperienza che l’espletamento di tali mansioni fa acquisire dopo un determinato numero di ore di lavoro effettuate.

    62
    Nella causa principale, la presa in considerazione dell’anzianità di servizio è fondata, secondo l’OTE, su un’esigenza dell’amministrazione di valutare l’esperienza professionale dei lavoratori. Si deve constatare che tale obiettivo non esclude affatto che vengano sottoposti a valutazione anche i lavoratori che svolgono il loro lavoro a tempo parziale. L’unica questione, individuata al punto 56 della presente sentenza, è quella se si debba estendere, proporzionalmente alla riduzione dell’orario di lavoro, il periodo nel corso del quale è effettuata tale valutazione.

    63
    Ora, come rileva l’avvocato generale al punto 62 delle sue conclusioni, l’adeguatezza di tale approccio dipende dallo scopo perseguito attraverso la presa in considerazione dell’anzianità. Tale scopo può essere rappresentato dal fatto di premiare la fedeltà all’azienda o di remunerare l’esperienza acquisita.

    64
    Tuttavia, come si è già rammentato, il giudice nazionale è il solo competente a valutare i fatti e spetta a quest’ultimo determinare, alla luce di tutte le circostanze, se e in quale misura la disposizione di cui trattasi sia giustificata da motivi oggettivi ed estranei a qualunque discriminazione fondata sul sesso.

    65
    Anche se tale giudice constata che il calcolo pro quota delle ore lavorative effettuate a tempo parziale da addette alle pulizie è giustificato da siffatti motivi, la circostanza che la norma di legge interessi un numero molto più elevato di lavoratori di sesso femminile rispetto ai lavoratori di sesso maschile non può essere considerata di per sé una violazione dell’art. 5 della direttiva 76/207 (v., in tal senso, citate sentenze Rinner-Kühn, punto 14, nonché Seymour-Smith e Perez, punto 69).

    66
    Pertanto, occorre risolvere la quarta questione dichiarando che, quando colpisce un numero molto più alto di lavoratori di sesso femminile che di lavoratori di sesso maschile, l’esclusione totale dell’impiego a tempo parziale dal calcolo dell’anzianità di servizio costituisce una discriminazione indiretta fondata sul sesso contraria alla direttiva 76/207, a meno che tale esclusione non si fondi su fattori obiettivamente giustificati ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Spetta al giudice nazionale verificare se sia questo il caso. Un conteggio pro quota dell’impiego a tempo parziale, in occasione del suddetto calcolo, è altresì contrario a detta direttiva, a meno che il datore di lavoro non provi che esso è giustificato da fattori la cui obiettività dipende segnatamente dallo scopo perseguito attraverso la presa in considerazione dell’anzianità di servizio e, nel caso si tratti di remunerare l’esperienza acquisita, dal rapporto tra la natura delle mansioni svolte e l’esperienza che l’espletamento di tali mansioni fa acquisire dopo un determinato numero di ore di lavoro effettuate.

    Sulla quinta questione

    67
    Con la sua quinta questione, il giudice nazionale chiede, sostanzialmente, su chi gravi l’onere della prova quando viene invocata dal dipendente la violazione, a suo danno, del principio della parità di trattamento.

    68
    La direttiva 97/80, che si applica alle situazioni disciplinate dall’art. 119 del Trattato e dalle direttive 75/117 e 76/207, enuncia, all’art. 4, che gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del suddetto principio ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta.

    69
    Tale direttiva ha pertanto codificato ed espressamente esteso al principio di parità di trattamento, ai sensi della direttiva 76/207, la giurisprudenza precedente secondo cui è ammessa l’inversione dell’onere della prova, che incombe in via di principio al lavoratore, qualora risulti necessaria per non privare i lavoratori presumibilmente vittime di una discriminazione di qualsiasi mezzo efficace per far rispettare il principio della parità delle retribuzioni. Quindi, quando un provvedimento che distingua i dipendenti a seconda dell’orario di lavoro colpisce sfavorevolmente una percentuale molto più elevata di persone dell’uno o dell’altro sesso, è il datore di lavoro che deve provare l’esistenza di ragioni obiettive per l’accertata differenza di retribuzione (v. sentenze 27 ottobre 1993, causa C‑127/92, Enderby, Racc. pag. I‑5535, punti 13, 14 e 18, e 26 giugno 2001, causa C‑381/99, Brunnhofer, Racc. pag. I‑4961, punti 52, 53 e 60).

    70
    Spetta al giudice nazionale accertare se la disciplina greca è conforme alla direttiva 97/80. Se tale esame fa emergere un dubbio in merito alla conformità della disciplina in questione con la suddetta direttiva, si deve rammentare, in primo luogo, che, secondo una giurisprudenza costante, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi al giudice nazionale nei confronti dello Stato, ivi compresi organismi o enti, indipendentemente dalla loro forma giuridica, soggetti all’autorità o al controllo di quest’ultimo o che dispongono di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli (v., in tal senso, sentenze 12 luglio 1990, causa C-188/89, Foster e a., Racc. pag. I‑3313, punti 16, 18 e 20, e 20 marzo 2003, causa C-187/00, Kutz-Bauer, Racc. pag. I‑2741, punto 69).

    71
    Tuttavia, una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (v., in particolare, sentenze 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori, Racc. pag. I‑3325, punto 20, e 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I-8835, punto 108).

    72
    Pertanto, spetta al giudice nazionale chiedersi quale sia la natura giuridica dell’OTE e le caratteristiche dell’organizzazione interna di quest’ultimo per vigilare affinché la direttiva 97/80 non sia invocata nei confronti di un singolo.

    73
    In secondo luogo, si deve rammentare che, in ogni caso e conformemente a una giurisprudenza costante, quando una direttiva è applicabile a una data situazione, nell’applicare il diritto nazionale il giudice nazionale deve interpretarlo quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva in questione per conseguire il risultato perseguito da quest’ultima (v., segnatamente, sentenze 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing, Racc. pag. I‑4135, punto 8; Faccini Dori, cit., punto 26, e Pfeiffer e a., cit., punto 113).

    74
    A tale riguardo occorre osservare che, con riferimento al diciassettesimo e diciottesimo ‘considerando’ della direttiva 97/80, il risultato perseguito da quest’ultima è, segnatamente, quello di fare in modo che sia resa più efficace l’applicazione del principio di parità di trattamento in quanto, se sussiste una presunzione di discriminazione, spetta al datore di lavoro provare che non si è verificata una violazione del suddetto principio.

    75
    Si deve quindi risolvere la quinta questione dichiarando che, quando un lavoratore invochi la violazione, a suo danno, del principio della parità di trattamento e adduca fatti che facciano presumere la sussistenza di una discriminazione diretta o indiretta, il diritto comunitario, in particolare la direttiva 97/80, deve essere interpretato nel senso che spetta alla parte convenuta provare che non si è verificata una violazione del suddetto principio.


    Sulle spese

    76
    Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione.

    Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

    1)
    Il diritto comunitario, segnatamente l’art. 119 del Trattato (gli artt. 117‑120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE ‑ 143 CE) e la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che l’esistenza e l’applicazione di una norma come l’art. 24 a), n. 2, lett. a), del regolamento generale dell’Organismos Tilepikoinonion Ellados, che riserva alle sole addette alle pulizie, e quindi esclusivamente alle donne, l’assunzione mediante contratto di durata indeterminata per un lavoro a tempo parziale, non costituiscono, di per sé, una discriminazione diretta delle lavoratrici fondata sul sesso. Tuttavia, la conseguente esclusione di una possibilità di inserimento nell’organico del personale ordinario con riferimento, apparentemente di carattere neutro per quanto attiene al sesso del lavoratore, a una categoria di lavoratori che, in forza di una normativa nazionale avente forza di legge, è costituita esclusivamente da donne rappresenta una discriminazione diretta fondata sul sesso ai sensi della direttiva 76/207. Perché non sussista discriminazione diretta fondata sul sesso, l’elemento volto a caratterizzare la categoria cui appartiene il lavoratore escluso deve essere tale da porre quest’ultimo in una situazione obiettivamente diversa, dal punto di vista dell’inserimento nell’organico del personale ordinario, da quella di coloro che possono beneficiarne.

    2)
    Qualora la premessa secondo cui solo le addette alle pulizie operanti a tempo parziale sono state escluse dalla possibilità di inserimento nell’organico del personale ordinario si riveli erronea, e qualora un numero molto più elevato di donne che di uomini sia stato colpito dalle disposizioni dei contratti collettivi di categoria del 27 novembre 1987 e 10 maggio 1991, l’esclusione, riconducibile a queste ultime, dell’inserimento di personale temporaneo impiegato a tempo parziale nel personale ordinario costituisce una discriminazione indiretta. Una situazione siffatta è incompatibile con l’art. 3 della direttiva 76/207, a meno che la disparità di trattamento fra tali lavoratori e quelli impiegati a tempo pieno non sia giustificata da fattori estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Spetta al giudice nazionale verificare se sia questo il caso.

    3)
    Quando colpisce un numero molto più alto di lavoratori di sesso femminile che di lavoratori di sesso maschile, l’esclusione totale dell’impiego a tempo parziale dal calcolo dell’anzianità di servizio costituisce una discriminazione indiretta fondata sul sesso contraria alla direttiva 76/207, a meno che tale esclusione non si fondi su fattori obiettivamente giustificati ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Spetta al giudice nazionale verificare se sia questo il caso. Un conteggio pro quota dell’impiego a tempo parziale, in occasione del suddetto calcolo, è altresì contrario a detta direttiva, a meno che il datore di lavoro non provi che esso è giustificato da fattori la cui obiettività dipende segnatamente dallo scopo perseguito attraverso la presa in considerazione dell’anzianità e, nel caso si tratti di remunerare l’esperienza acquisita, dal rapporto tra la natura delle mansioni svolte e l’esperienza che l’espletamento di tali mansioni fa acquisire dopo un determinato numero di ore di lavoro effettuate.

    4)
    Quando un lavoratore invochi la violazione, a suo danno, del principio della parità di trattamento e adduca fatti che facciano presumere la sussistenza di una discriminazione diretta o indiretta, il diritto comunitario, in particolare la direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/80/CE, riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso, deve essere interpretato nel senso che spetta alla parte convenuta provare che non si è verificata una violazione del suddetto principio.

    Firme


    1
    Lingua processuale: il greco.

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