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Document 62002CJ0019

    Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 9 dicembre 2004.
    Viktor Hlozek contro Roche Austria Gesellschaft mbH.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberster Gerichtshof - Austria.
    Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile - Parità di retribuzione - Retribuzione - Nozione - Sussidio di transizione ("Überbrückungsgeld") previsto da un accordo d'impresa - Accordo sociale concluso in occasione di un'operazione di ristrutturazione dell'impresa - Prestazione concessa ai lavoratori che abbiano raggiunto una determinata età al momento del loro licenziamento - Erogazione della prestazione a partire da un'età diversa in base al sesso dei lavoratori licenziati - Considerazione dell'età pensionabile stabilita con legge dal diritto nazionale, diversa in base al sesso.
    Causa C-19/02.

    Raccolta della Giurisprudenza 2004 I-11491

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2004:779

    Arrêt de la Cour

    Causa C-19/02

    Viktor Hlozek

    contro

    Roche Austria Gesellschaft mbH

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Gerichtshof (Austria)]

    «Politica sociale — Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Parità di retribuzione — Retribuzione — Nozione — Sussidio di transizione (“Überbrückungsgeld”) previsto da un accordo d’impresa — Accordo sociale concluso in occasione di un’operazione di ristrutturazione dell’impresa — Prestazione concessa ai lavoratori che abbiano raggiunto una determinata età al momento del loro licenziamento — Erogazione della prestazione a partire da un’età diversa in base al sesso dei lavoratori licenziati — Presa in considerazione dell’età pensionabile legale stabilita dal diritto nazionale, diversa in base al sesso»

    Massime della sentenza

    Politica sociale — Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Parità di retribuzione — Retribuzione — Nozione — Sussidio di transizione previsto da un accordo sociale ed erogato ai lavoratori licenziati — Inclusione — Età che da diritto a detto sussidio — Età diversa a seconda del sesso — Ammissibilità

    (Art. 141 CE; direttiva del Consiglio 75/117/CEE, art. 1)

    Un sussidio di transizione che trova origine in un accordo sociale elaborato nell’ambito di una concertazione fra parti sociali nell’ambito di un’operazione di ristrutturazione di un’impresa, e che è dovuto da detta impresa ai lavoratori che abbiano raggiunto una certa età al momento del loro licenziamento, costituisce un vantaggio concesso a motivo del rapporto di lavoro e rientra quindi nella nozione di retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE e dell’art. 1 della direttiva 75/117, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile.

    Tali disposizioni non ostano all’applicazione di un accordo sociale che preveda un diverso trattamento dei lavoratori di sesso maschile e di quelli di sesso femminile riguardo all’età che dà diritto ad un sussidio di transizione, dal momento che tali lavoratori, uomini e donne, versano, in virtù del regime legale nazionale sul prepensionamento, in situazioni diverse riguardo agli elementi rilevanti per la concessione di quest’ultimo.

    (v. punti 38-39, 48, 51 e dispositivo)




    SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
    9 dicembre 2004(1)

    «Politica sociale – Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Parità di retribuzione – Retribuzione – Nozione – Sussidio di transizione (“Überbrückungsgeld”) previsto da un accordo d'impresa – Accordo sociale concluso in occasione di un'operazione di ristrutturazione dell'impresa – Prestazione concessa ai lavoratori che abbiano raggiunto una determinata età al momento del loro licenziamento – Erogazione della prestazione a partire da un'età diversa in base al sesso dei lavoratori licenziati – Presa in considerazione dell'età pensionabile legale stabilita dal diritto nazionale, diversa in base al sesso»

    Nel procedimento C-19/02,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dall'Oberster Gerichtshof (Austria) con decisione 20 dicembre 2001, pervenuta in cancelleria il 29 gennaio 2002, nella causa

    Viktor Hlozek

    contro

    Roche Austria Gesellschaft mbH,



    LA CORTE (Prima Sezione),,



    composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dal sig. A. Rosas (relatore), dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. K. Lenaerts e S. von Bahr, giudici,

    avvocato generale: sig.ra J. Kokott
    cancelliere: sig.ra M.-F. Contet, amministratore principale

    vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell'udienza del 12 febbraio 2004,viste le osservazioni presentate:

    per il sig. V. Hlozek, dai sigg. G. Teicht e G. Jöchl, Rechtsanwälte;

    per la Roche Austria Gesellschaft mbH, dal sig. R. Schuster, Rechtsanwalt;

    per la Repubblica d'Austria, dalla sig.ra C. Pesendorfer e dal sig. G. Hesse, in qualità di agenti;

    per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. J. Sack e dalla sig.ra N. Yerrel, in qualità di agenti,

    sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 1° aprile 2004,

    ha pronunciato la seguente



    Sentenza



    1
    La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 141 CE e della direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19), nonché sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), e della direttiva del Consiglio 24 luglio 1986, 86/378/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (GU L 225, pag. 40), come modificata dalla direttiva del Consiglio 20 dicembre 1996, 96/97/CE (GU 1997, L 46, pag. 20).

    2
    Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Hlozek e la Roche Austria Gesellschaft mbH (in prosieguo: la «Roche»), in merito al rifiuto di quest’ultima di concedergli il diritto ad un sussidio di transizione che, in base all’accordo concluso in occasione di un’operazione di ristrutturazione dell’impresa, doveva essere erogato ai lavoratori che avevano raggiunto una determinata età al momento del loro licenziamento.


    Contesto normativo

    La normativa comunitaria

    3
    L’art. 141 CE afferma il principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

    4
    Gli artt. 136 CE ‑ 143 CE hanno sostituito dopo il 1° maggio 1999, data di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, gli artt. 117-120 del Trattato CE. L’art. 141 CE, nn. 1 e 2, primo comma, è identico in sostanza all’art. 119, commi primo e secondo, del Trattato.

    5
    L’art. 1 della direttiva 75/117 è formulato come segue:

    «Il principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, previsto dall’articolo 119 del Trattato, denominato in appresso “principio della parità delle retribuzioni”, implica, per uno stesso lavoro o per un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, l’eliminazione di qualsiasi discriminazione basata sul sesso in tutti gli elementi e le condizioni delle retribuzioni.

    (…)».

    6
    La direttiva 76/207 mira all’attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, compresa la promozione, e alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e, alle condizioni previste dal suo art. 1, n. 2, la sicurezza sociale.

    7
    La direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU L 6, pag. 24), è stata adottata in applicazione dell’art. 1, n. 2, della direttiva 76/207. In conformità al suo art. 3, n. 1, lett. a), la direttiva 79/7 si applica ai regimi legali che assicurano, in particolare, una protezione contro i rischi di vecchiaia e disoccupazione.

    8
    La direttiva 86/378 è volta ad attuare il principio della parità di trattamento nei regimi professionali di sicurezza sociale che assicurano una protezione contro i rischi indicati nell’art. 3, n. 1, della direttiva 79/7, nonché in quelli che contemplano, per i lavoratori salariati, tutti gli altri vantaggi, in contanti o in natura, ai sensi del Trattato.

    9
    Ai sensi dell’art. 2 della direttiva 86/378, come modificata dalla direttiva 96/97, sono considerati regimi professionali di sicurezza sociale i regimi non regolati dalla direttiva 79/7 aventi lo scopo di fornire ai lavoratori, subordinati o autonomi, raggruppati nell’ambito di un’impresa o di un gruppo di imprese, di un ramo economico o di un settore professionale o interprofessionale, prestazioni destinate a integrare le prestazioni fornite dai regimi legali di sicurezza sociale o a sostituirsi ad esse, indipendentemente dal fatto che l’iscrizione a questi regimi sia obbligatoria o facoltativa.

    La normativa nazionale

    10
    Secondo la sintesi contenuta nella decisione di rinvio, si deve tener conto, tra le altre, delle seguenti disposizioni nazionali.

    11
    L’art. 253 dell’Allgemeines Sozialversicherungsgesetz (legge generale sulla previdenza sociale; BGBl. n. 189/1955, nella versione pubblicata nel BGBl. n. 33/2001; in prosieguo: l’«ASVG») attribuisce il diritto ad una pensione di anzianità al raggiungimento, nel caso degli uomini, dell’età di 65 anni e, nel caso delle donne, dell’età di 60 anni. All’epoca dello svolgimento dei fatti di cui alla causa principale, gli artt. 253a, 253b e 253c dell’ASVG accordavano inoltre il diritto ad una pensione di anzianità anticipata, in particolare in caso di disoccupazione, agli uomini che avessero compiuto 60 anni e alle donne che ne avessero compiuti 55. Questi limiti di età inferiori venivano nel frattempo aumentati e alla data della decisione di rinvio erano pari a 61,5 anni per gli uomini e a 56,5 anni per le donne.

    12
    L’art. 2, n. 1, del Bundesgesetz über die Gleichbehandlung von Frau und Mann im Arbeitsleben (legge federale sulla parità di trattamento di uomini e donne nella vita lavorativa; BGBl. n. 108/1979, nella versione pubblicata nel BGBl. n. 833/1992; in prosieguo: il «Gleichbehandlungsgesetz») vieta ogni discriminazione diretta o indiretta in base al sesso. Tale divieto si applica, tra l’altro, alle discriminazioni nella costituzione del rapporto di lavoro (punto 1), nella determinazione della retribuzione (punto 2), nella concessione di prestazioni sociali diverse dalla retribuzione (punto 3), nella carriera professionale, in particolare negli avanzamenti (punto 5) e nella cessazione del rapporto di lavoro (punto 7).

    13
    Ai sensi dell’art. 97, n. 1, punto 4, dell’Arbeitsverfassungsgesetz (legge sullo Statuto del lavoro; BGBl. n. 22/1974, nella versione pubblicata nel BGBl. n. 833/1992 e nel BGBl. n. 502/1993; in prosieguo: l’«ArbVG»), l’organo designato in rappresentanza dei lavoratori di un’impresa può esigere dal titolare di quest’ultima la stipulazione di un accordo aziendale relativo alle misure dirette a impedire, rimuovere o attenuare le conseguenze di una trasformazione dell’impresa ai sensi dell’art. 109, n. 1, punti 1-6, dell’ArbVG, qualora quest’ultima comporti rilevanti svantaggi per tutti i lavoratori o per una significativa parte del personale. Tale accordo aziendale, denominato «accordo sociale» («Sozialplan»), può contenere tutte le norme dirette a compensare le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla trasformazione dell’impresa, come ad esempio indennità maggiorate in caso di licenziamento dovuto alla riduzione delle attività o prestazioni di sostegno per lavoratori licenziati, nonché «sussidi di transizione» («Überbrückungsgelder»). Secondo il giudice del rinvio la legge non stabilisce il preciso contenuto di un siffatto accordo sociale.

    14
    Ai sensi dell’art. 31 dell’ArbVG, un accordo aziendale è direttamente vincolante nel suo ambito di applicazione; esso ha pertanto una portata generale per i lavoratori.

    L’accordo sociale del 26 febbraio 1998

    15
    Secondo la decisione di rinvio l’accordo sociale del 26 febbraio 1998, controverso nella causa principale, costituisce un accordo aziendale ai sensi delle pertinenti disposizioni dell’ArbVG.

    16
    Il punto 7 di tale accordo sociale riguarda l’indennità di licenziamento volontaria prevista per il lavoratore che, al termine del rapporto di lavoro con l’impresa, non avevano ancora compiuto i 55 anni, nel caso degli uomini, e i 50 anni, nel caso delle donne. L’importo di tale indennità è calcolato in base all’anzianità del lavoratore nell’impresa.

    17
    Il punto 8 del detto accordo sociale è formulato come segue:

    «8.     Sussidio di transizione (“Überbrückungszahlung”)

    8.1     Ambito di applicazione

    Hanno diritto ad un sussidio di transizione i lavoratori che, al termine del rapporto di lavoro, hanno compiuto i 55 anni (nel caso degli uomini) o i 50 anni (nel caso delle donne) e che non vantano ancora un diritto ad una pensione ai sensi dell’ASVG.

    8.2     Il pagamento del sussidio di transizione inizia il mese successivo alla cessazione del rapporto di lavoro e termina nel momento in cui il beneficiario può presentare domanda di pensione ai sensi dell’ASVG. [Esso termina] tuttavia non oltre 5 anni dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

    8.3     L’importo del sussidio di transizione equivale al 75% (lordo) dell’ultimo stipendio mensile lordo ed è versato in 14 soluzioni nell’arco dell’anno. Durante il periodo di transizione, il lavoratore è dispensato dal servizio.

    Inoltre [è garantita] un’indennità di licenziamento volontaria.

    Quest’ultima è concessa in funzione della durata del periodo di transizione:

              sino a due anni: 1 mese di stipendio

              da due a quattro anni: 2 mesi di stipendio

              a partire da quattro anni: 3 mesi di stipendio.

    Tale indennità di licenziamento volontaria è versata contestualmente all’indennità di licenziamento dovuta per legge».

    18
    Con riferimento ai diritti relativi al regime pensionistico aziendale, è altresì stabilita una distinzione a seconda che i lavoratori siano contemplati dal punto 7 o dal punto 8 dell’accordo sociale. Secondo il punto 12 di quest’ultimo, ai lavoratori che nel momento in cui lasciano l’impresa non soddisfino le condizioni per beneficiare del sussidio di transizione indicato al punto 8 dell’accordo sociale è garantito il riscatto dei loro contributi pensionistici al valore attuariale. Per contro, ai lavoratori cui si riferisce il punto 8 dell’accordo sociale viene garantito il diritto di godere del regime pensionistico aziendale, le cui prestazioni vengono loro erogate a partire dal momento in cui beneficiano di una pensione concessa ai sensi dell’ASVG. Il punto 12.2 dell’accordo sociale precisa che il periodo di transizione indicato al punto 8 è calcolato per intero quale periodo di attività.

    19
    Nella decisione di rinvio l’Oberster Gerichtshof (Corte di cassazione) fornisce indicazioni riguardanti l’attuazione pratica del punto 8 dell’accordo sociale. Quando un lavoratore doveva essere licenziato e soddisfaceva le condizioni previste al detto punto 8, veniva stipulato un contratto tra l’impresa e tale lavoratore, a seguito della risoluzione del contratto di lavoro. Il nuovo contratto era stipulato a tempo determinato per una durata non superiore a cinque anni o sino alla maturazione del diritto del lavoratore in parola a ricevere una pensione legale ai sensi dell’ASVG. Durante questo periodo il lavoratore interessato percepiva il sussidio di transizione, era dispensato irrevocabilmente dal servizio e poteva esercitare un’altra attività retribuita.

    20
    La possibilità di esercitare un’altra attività retribuita percependo contestualmente il sussidio di transizione derivava direttamente dal punto 4 dell’accordo sociale, secondo il quale «(…) i lavoratori sono autorizzati, mentre sono dispensati dal servizio, a svolgere un altro impiego mantenendo i diritti loro conferiti dal presente accordo sociale».


    Causa principale e questioni pregiudiziali

    21
    La società Roche si fondeva, con effetto a partire dal 1° luglio 1998, con la società per la quale il sig. Hlozek lavorava dal 1° gennaio 1982. In vista di tale fusione, e al fine di attenuare le conseguenze negative per i lavoratori delle misure di ristrutturazione dell’impresa previste nell’ambito della detta fusione, il datore di lavoro stipulava con i rappresentanti del personale l’accordo sociale del 26 febbraio 1998.

    22
    Il sig. Hlozek veniva licenziato il 30 giugno 1999, nell’ambito della ristrutturazione dell’impresa, che comportava la chiusura dello stabilimento di produzione da lui diretto. Poiché il sig. Hlozek aveva 54 anni al momento in cui il suo rapporto di lavoro con la Roche era cessato, era applicabile nei suoi confronti il punto 7 e non il punto 8 dell’accordo sociale. Egli accettava l’indennità di licenziamento volontaria che gli veniva versata in conformità al punto 7 dell’accordo sociale. Tenuto conto dei suoi anni di anzianità all’interno dell’impresa, l’importo lordo di tale indennità veniva stabilito in 1 845 000 scellini austriaci (ATS), pari ad un importo netto di ATS 1 274 113,75. Nel corso di un’udienza che aveva luogo il 7 dicembre 1999 il sig. Hlozek dichiarava di aver trovato un altro posto di lavoro, con retribuzione simile a quella dallo stesso precedentemente percepita.

    23
    Se il sig. Hlozek fosse stato una donna, sarebbe stato applicabile nei suoi confronti il punto 8 dell’accordo sociale. In tal caso egli avrebbe percepito un’indennità di licenziamento volontaria di importo inferiore a quello dell’indennità versatagli. Tuttavia egli avrebbe beneficiato delle disposizioni relative alla concessione di un sussidio di transizione.

    24
    Il sig. Hlozek, ritenendo conseguentemente di essere stato vittima di una discriminazione basata sul sesso, proponeva una domanda dinanzi all’Arbeits- und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro di Vienna) (Austria) affinché quest’ultimo dichiarasse che egli vantava nei confronti della Roche il diritto ad un sussidio di transizione, in base all’accordo sociale del 26 febbraio 1998, sino alla sopravvenienza della sua pensione ai sensi dell’ASVG. In subordine egli chiedeva che fosse dichiarato che vantava un diritto a tale sussidio di transizione per un periodo di 5 anni a partire dalla data di risoluzione del suo rapporto di lavoro con la Roche e, in estremo subordine, per il periodo in cui non aveva svolto alcuna attività lavorativa.

    25
    A fondamento delle sue pretese, il sig. Hlozek fa valere in sostanza che la disciplina relativa alla concessione del sussidio di transizione, quale figura al punto 8 dell’accordo sociale del 26 febbraio 1998, è illecita e nulla, sia in base al diritto nazionale che al diritto comunitario, in quanto prevede un’età diversa per gli uomini (55 anni) e per le donne (50 anni). Secondo lo stesso, la disposizione relativa all’età inferiore deve valere anche per gli uomini e, dato che egli aveva 54 anni al momento del suo licenziamento, egli può vantare il diritto alla concessione di un sussidio di transizione.

    26
    Con sentenza resa il 17 ottobre 2000, l’Arbeits- und Sozialgericht Wien accoglieva la domanda del sig. Hlozek e dichiarava che quest’ultimo vantava il diritto, nei confronti della Roche, alla concessione di un sussidio di transizione sino alla sopravvenienza della sua pensione ai sensi dell’ASVG, ma soltanto per un periodo massimo di cinque anni a decorrere dal 30 giugno 1999, data di risoluzione del suo rapporto di lavoro. Lo stesso riteneva che, tenuto conto della giurisprudenza della Corte di giustizia, in particolare della sentenza 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber (Racc. pag. I-1889), occorreva considerare che la disciplina in parola violava il principio di parità di trattamento di cui all’art. 141 CE, stabilendo condizioni di età differenti per la concessione del sussidio di transizione agli uomini e alle donne. Secondo tale giudice, poiché l’art. 141 CE è obbligatorio e direttamente applicabile, i diversi requisiti di età sono nulli e il diritto alla concessione di un sussidio di transizione deve sussistere per gli uomini e le donne che abbiano compiuto i 50 anni di età al momento della cessazione del rapporto di lavoro e non vantino ancora il diritto alla pensione ai sensi dell’ASVG.

    27
    Poiché l’Oberlandesgericht Wien (Corte d’appello di Vienna) (Austria) confermava in appello tale sentenza, la Roche proponeva ricorso in «Revision» dinanzi all’Oberster Gerichtshof. Essa nega che il sussidio di transizione controverso debba essere valutato sulla base dell’art. 141 CE e che sussista una discriminazione. La stessa fa valere in sostanza, al riguardo, che si tratta di appurare se il presupposto di accesso al diritto al sussidio di transizione comporti una discriminazione e che, in conformità alla sentenza 16 febbraio 1982, causa 19/81, Burton (Racc. pag. 555), tale questione non dev’essere valutata in base all’art. 141 CE, ma in base alla direttiva 76/207. Secondo la Roche, il godimento di una prestazione di questa natura può essere determinato in relazione alle diverse età alle quali il regime legale di sicurezza sociale previsto a norma di legge comincia ad erogare prestazioni. D’altro canto essa rileva che, nel caso del sussidio di transizione, la prestazione lavorativa e la retribuzione non sono correlate e che, se l’età alla quale le prestazioni sono erogate fosse la stessa per gli uomini e per le donne, ciò darebbe luogo ad una discriminazione a sfavore delle donne.

    28
    Nella decisione di rinvio l’Oberster Gerichtshof fa riferimento alle statistiche predisposte dall’Arbeitsmarketservice Wien (Servizio del mercato del lavoro di Vienna) per gli anni 1998-2000, relative alla ripartizione del numero dei disoccupati in Austria in base al sesso e all’età. Esso rileva che, secondo tali statistiche, la percentuale di disoccupazione nelle fasce al di sotto dei 49 anni è relativamente costante e uguale per i due sessi. Tuttavia, nella fascia di età dai 50 ai 54 anni, la percentuale di donne disoccupate è quasi doppia rispetto alla fascia d’età precedente. Inoltre, in questa stessa fascia d’età la percentuale di donne disoccupate è nettamente superiore a quella degli uomini disoccupati. Per contro, nella fascia d’età dai 55 ai 59 anni, la percentuale di uomini disoccupati è superiore rispetto a quella nella precedente fascia d’età. Essa è inoltre superiore alla percentuale di donne disoccupate in questa fascia d’età.

    29
    Secondo il giudice del rinvio questa situazione potrebbe spiegarsi con il fatto che il rischio di disoccupazione aumenta con l’approssimarsi, per entrambi i sessi, dell’età pensionabile legale. Così, per le donne, la cui età pensionabile è inferiore a quella degli uomini, tale rischio raggiunge la sua punta massima in un momento precedente rispetto a quanto avviene per questi ultimi. Il detto giudice rileva che la convenuta nella causa principale ha sostenuto che l’accordo sociale in parola è diretto precisamente a tener conto dell’accresciuto rischio di disoccupazione cui il lavoratore è esposto quando viene licenziato negli ultimi cinque anni precedenti l’accesso alla pensione.

    30
    Il giudice del rinvio precisa altresì che la concessione del sussidio di transizione, quale previsto dall’accordo sociale controverso, non implica la costituzione di un rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2, n. 1, punto 1, del Gleichbehandlungsgesetz, né costituisce una promozione ai sensi dell’art. 2, n. 1, punto 3, della stessa legge. Esso rileva che i lavoratori interessati non dovranno svolgere alcuna prestazione lavorativa.

    31
    Accertato che il sussidio di transizione non ha la finalità di integrare un’assicurazione o una pensione legale, non si tratterebbe nemmeno di una pensione relativa ad un regime professionale di sicurezza sociale. Non vi sarebbe alcuna relazione con la durata del rapporto di lavoro né con i periodi di aspettativa. In sostanza, secondo quanto constata il giudice del rinvio, al lavoratore, per il solo fatto della sua appartenenza al personale dell’impresa e dato l’obbligo in capo al datore di lavoro di attuare una tutela sociale nei suoi confronti, è accordata una copertura del rischio di non trovare un nuovo impiego dopo la cessazione del suo rapporto di lavoro ad un’età alla quale è nota la grande difficoltà di trovarne uno.

    32
    Tenuto conto di tali elementi, l’Oberster Gerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e di proporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1) a)
    Se l’art. 141 CE e l’art. 1 della direttiva (…) 75/117/CEE (…) debbano essere interpretati nel senso che dette norme, in un sistema in cui il datore di lavoro che licenzi numerosi lavoratori in seguito ad una fusione con un’altra società, a motivo del suo dovere di attuare una tutela sociale nei riguardi di tutti i dipendenti, è obbligato a stipulare con il comitato aziendale un accordo sociale di portata generale per i lavoratori al fine di attenuare le conseguenze del licenziamento – in particolare il rischio di disoccupazione connesso all’età –, sono in contrasto con un accordo sociale a norma del quale, indipendentemente dalla durata dell’occupazione, quindi senza prendere in considerazione “periodi di aspettativa”, solo in ragione dell’età e del diverso rischio, considerato da un punto di vista generale, di una disoccupazione di lunga durata per uomini e donne a seconda dell’età , spetti a tutti i lavoratori di sesso femminile che, all’epoca del licenziamento, abbiano compiuto 50 anni e a tutti i lavoratori di sesso maschile che, all’epoca del licenziamento, abbiano compiuto 55 anni un “sussidio di transizione”, nella misura del 75% dell’ultimo stipendio lordo mensile per cinque anni, tuttavia non oltre il momento in cui matura il diritto di godimento della pensione legale;

    2) a)
    Se la nozione di “regimi professionali di sicurezza sociale” ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva (…) 86/378/CEE (…) debba essere intesa nel senso che include anche i sussidi di transizione nel senso sopra indicato;

    3) a)
    Se la direttiva (…) 76/207/CEE (…) debba essere interpretata nel senso che il sopra indicato “sussidio di transizione” costituisce una condizione inerente al licenziamento ai sensi dell’art. 5 della suddetta direttiva;


    Sulle questioni pregiudiziali

    Sulla prima questione

    33
    Con la sua prima questione, che si divide in tre parti [punti a)-c)], il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se un sussidio di transizione quale quello di cui trattasi nella causa principale rientri nella nozione di «retribuzione» ai sensi dell’art. 141 CE e dell’art. 1 della direttiva 75/117 e, in caso affermativo, se tali disposizioni ostino alla concessione di tale sussidio, tenuto conto del diverso rischio, considerato da un punto di vista generale, di una disoccupazione di lunga durata per uomini e donne a seconda dell’età, o se, al contrario, un rischio differenziato, così inteso, possa giustificare un diverso trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile riguardo all’età a partire dalla quale, in caso di licenziamento, essi possono far valere il diritto al detto sussidio.

    Prima parte: qualificazione della prestazione

    34
    Con riferimento alla prima parte di tale questione, tutte le parti che hanno sottoposto osservazioni alla Corte, ad eccezione della Roche, sostengono che una prestazione quale il sussidio di transizione controverso nella causa principale è una «retribuzione» ai sensi dell’art. 141 CE e dell’art. 1 della direttiva 75/117. Secondo la Roche, non si tratta di qualificare la prestazione in quanto tale, ma di sapere se le condizioni di accesso al diritto al sussidio di transizione siano discriminatorie. Essa rileva che tale materia è disciplinata dalla direttiva 76/207 e invoca al riguardo la sentenza Burton, citata.

    35
    Secondo una giurisprudenza costante che si riferisce all’art. 119 del Trattato, la nozione di «retribuzione», ai sensi dell’art. 141 CE e dell’art. 1 della direttiva 75/117, comprende tutti i vantaggi, in contanti o in natura, attuali o futuri, purché siano pagati, sia pure indirettamente, dal datore di lavoro al lavoratore a titolo dell’impiego di quest’ultimo. La circostanza che talune prestazioni siano corrisposte dopo la cessazione del rapporto di lavoro non esclude che esse possano avere carattere di retribuzione ai sensi delle disposizioni sopra menzionate (v., in particolare, sentenze Barber, citata, punto 12, e 9 febbraio 1999, causa C-167/97, Seymour-Smith e Perez, Racc. pag. I-623, punti 23 e 24).

    36
    Anche se è vero che, nella sua sentenza Burton, citata, la Corte ha dichiarato che la direttiva 76/207 si applica ai presupposti di ammissione a un’indennità per il pensionamento anticipato pagata dal datore di lavoro al lavoratore che desidera lasciare il posto, la Commissione ha rilevato giustamente che tale giurisprudenza non è stata reiterata nelle sentenze più recenti riguardanti prestazioni versate dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

    37
    Infatti, con riferimento alle indennità concesse dal datore di lavoro al lavoratore in occasione del suo licenziamento, la Corte ha già constatato che queste ultime costituiscono una forma di retribuzione differita, alla quale il lavoratore ha diritto a titolo del suo impiego, ma che gli viene versata al momento della cessazione del rapporto di lavoro al fine di rendere più agevole il suo adattamento alle nuove situazioni derivanti dalla stessa (sentenze Barber, citata, punto 13; 27 giugno 1990, causa C-33/89, Kowalska, Racc. pag. I-2591, punto 10, nonché Seymour‑Smith e Perez, citata, punto 25).

    38
    Nel caso di specie occorre rilevare che il sussidio di transizione trova origine nell’accordo sociale del 26 febbraio 1998, che è il risultato di una concertazione tra parti sociali, e che esso è dovuto dall’impresa a motivo del rapporto di lavoro tra quest’ultima e alcuni lavoratori licenziati nell’ambito dell’operazione di ristrutturazione prevista dal detto accordo. Il punto 8.3 di quest’ultimo, secondo il quale l’importo del sussidio è calcolato in base all’ultimo stipendio mensile lordo, conferma che il sussidio di transizione costituisce un vantaggio concesso a motivo del rapporto di lavoro dei lavoratori interessati.

    39
    È assodato che l’accordo sociale citato è stato stipulato al fine di attenuare le conseguenze sociali di un’operazione di trasformazione dell’impresa. Esso riserva infatti il beneficio del sussidio di transizione ai lavoratori che abbiano raggiunto un’età prossima all’età pensionabile legale al momento del loro licenziamento e prevede che tale sussidio venga loro versato periodicamente per un massimo di cinque anni, senza che siano tenuti a fornire una prestazione lavorativa. Orbene, tra i vantaggi qualificati come retribuzione vi sono in particolare i pagamenti effettuati dal datore di lavoro a motivo dell’esistenza di rapporti di lavoro subordinato che hanno lo scopo di garantire una fonte di reddito ai lavoratori, pur se questi, in casi specifici, non svolgono alcuna attività prevista dal contratto di lavoro (v., in tal senso, sentenza 16 settembre 1999, causa C-218/98, Abdoulaye e a., Racc. pag. I-5723, punto 13 e giurisprudenza citata). Inoltre, la natura retributiva di tali prestazioni non può essere messa in dubbio per il solo fatto che esse rispondono anche a considerazioni di politica sociale (sentenza 17 febbraio 1993, causa C-173/91, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-673, punto 21, e 28 settembre 1994, causa C-7/93, Beune, Racc. pag. I-4471, punto 45).

    40
    Si deve quindi concludere che il sussidio di transizione controverso nella causa principale rientra nella nozione di «retribuzione» ai sensi dell’art. 141 CE e dell’art. 1 della direttiva 75/117.

    Parti seconda e terza: esistenza di una discriminazione basata sul sesso

    41
    Occorre esaminare unitamente le parti seconda e terza della prima questione pregiudiziale, con le quali si intende appurare se, nelle circostanze della causa principale, la differenza di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile prevista dall’accordo sociale del 26 febbraio 1998 riguardo all’età che dà diritto ad un sussidio di transizione costituisca una discriminazione vietata dall’art. 141 CE e dall’art. 1 della direttiva 75/117.

    42
    Il principio dell’uguaglianza delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile per uno stesso lavoro, quale sancito dall’art. 141 CE e specificato dall’art. 1 della direttiva 75/117, osta in particolare all’applicazione di disposizioni che stabiliscono discriminazioni direttamente basate sul sesso.

    43
    Con riferimento all’art. 141 CE, occorre ricordare che, poiché il divieto di discriminazione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile ha carattere imperativo, esso s’impone non solo all’azione delle pubbliche autorità, ma vale del pari per tutte le convenzioni che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato (v. sentenze 8 aprile 1976, causa 43/75, Defrenne, Racc. pag. 455, punto 39; Kowalska, citata, punto 12, e 18 novembre 2004, causa C-284/02, Sass, Racc. I-0000, punto 25).

    44
    Tuttavia, conformemente alla giurisprudenza della Corte, tale principio di uguaglianza delle retribuzioni, così come il generale divieto di discriminazioni di cui esso è specificazione, presuppone che i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile ai quali tale principio si applica versino in situazioni identiche o comparabili (v. sentenze 9 novembre 1993, causa C-132/92, Roberts, detta «Birds Eye Walls», Racc. pag. I-5579, punto 17; 13 febbraio 1996, causa C-342/93, Gillespie e a., Racc. I-475, punti 16-18; Abdoulaye e a., citata, punto 16, e 13 dicembre 2001, causa C-206/00, Mouflin, Racc. pag. I-10201, punto 28).

    45
    Nel caso di specie, è assodato che le disposizioni dell’accordo sociale del 26 febbraio 1998 prevedono una differenza di trattamento tra i lavoratori direttamente fondata sul sesso, in quanto l’età che dà diritto al sussidio di transizione è di 55 anni per gli uomini e di 50 anni per le donne. Tuttavia, secondo la Roche e la Repubblica d’Austria, tali disposizioni non hanno il fine né l’effetto di introdurre una discriminazione nei confronti dei lavoratori di sesso maschile. Esse sostengono, in sostanza, che i lavoratori di sesso maschile licenziati ad un’età tra i 50 e i 54 anni non si trovano in una situazione identica o comparabile a quella delle lavoratrici nella stessa fascia d’età. Di conseguenza sarebbe contrario al principio di parità di trattamento applicare la stessa regola a situazioni oggettivamente diverse.

    46
    Al riguardo occorre rilevare che l’accordo sociale del 26 febbraio 1998, adottato in applicazione delle disposizioni dell’ArbVG, è stato stipulato tra l’impresa e il comitato aziendale al fine di attenuare le conseguenze sociali del licenziamento di un rilevante numero di lavoratori nell’ambito di un’operazione di fusione con un’altra società. È in tale contesto che l’accordo sociale ha previsto un sussidio di transizione concesso esclusivamente ai lavoratori che abbiano raggiunto un’età relativamente avanzata al momento del loro licenziamento, tenendo così conto dell’accresciuto rischio di disoccupazione di lunga durata in cui tali lavoratori normalmente incorrono.

    47
    Vero è che il rischio reale di disoccupazione nel quale ciascun lavoratore incorre non dipende unicamente da fattori come l’età e il sesso, ma altresì, come ha rilevato il sig. Hlozek, da altri fattori personali, quali le sue qualifiche e la sua mobilità professionale. Tuttavia, resta il fatto che, in base all’esperienza condivisa all’epoca della trasformazione dell’impresa, le parti sociali hanno potuto giustamente riscontrare che i lavoratori che si avvicinavano all’età pensionabile legale costituivano, con riferimento all’entità di rischio di non trovare un nuovo impiego, una categoria a parte rispetto all’insieme degli altri lavoratori. Tale riscontro spiega il fatto che, riguardo alla concessione del sussidio di transizione, l’accordo sociale abbia stabilito una differenza di trattamento basata direttamente sull’età dei lavoratori al momento del loro licenziamento.

    48
    Tenuto conto che, all’epoca della stipulazione dell’accordo sociale, le donne potevano chiedere il versamento di una pensione di anzianità anticipata erogata dal regime legale a partire dall’età di 55 anni, mentre gli uomini potevano chiedere detta pensione soltanto all’età di 60 anni, le parti sociali hanno ritenuto che, per garantire la parità di trattamento di tutti i lavoratori, fosse necessario che le lavoratrici potessero beneficiare del diritto al sussidio di transizione a partire da un’età inferiore di cinque anni rispetto a quella stabilita per i loro colleghi uomini. Tale disposizione dell’accordo sociale non aveva come fine né come effetto l’introduzione di una discriminazione nei confronti dei lavoratori dell’impresa di sesso maschile. Infatti, i lavoratori di sesso maschile che, come il sig. Hlozek, rientravano nella fascia d’età compresa tra i 50 e i 54 anni al momento del loro licenziamento, erano più lontani dall’età prevista per legge per la pensione anticipata e, pertanto, non si trovavano in una situazione identica a quella delle lavoratrici appartenenti a questa stessa fascia di età con riferimento all’entità del rischio di disoccupazione cui erano esposti.

    49
    Si deve pertanto constatare che, stabilendo direttamente l’età a partire dalla quale i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile potevano esercitare il diritto al sussidio di transizione, l’accordo sociale ha previsto un meccanismo neutrale, il che conferma l’assenza di qualsiasi elemento discriminatorio (sentenza Birds Eye Walls, citata, punto 23).

    50
    Inoltre occorre sottolineare che le disposizioni dell’accordo sociale del 26 febbraio 1998 riguardanti la concessione di un sussidio di transizione non sono destinate ad essere applicate né in modo generale né per un periodo indeterminato. Tali disposizioni sono state convenute dalle parti sociali per un’unica operazione di ristrutturazione dell’impresa e il versamento di tutti i sussidi di transizione concessi ai lavoratori licenziati nell’ambito di questa operazione ha termine non oltre cinque anni dopo il loro licenziamento. Di conseguenza, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, non si deve temere che l’applicazione dell’accordo sociale abbia l’effetto di rafforzare o perpetuare le disposizioni del regime legale austriaco che stabiliscono un diverso trattamento per gli uomini e le donne riguardo all’età di accesso ad una pensione di anzianità, anche se esiste una stretta relazione tra le disposizioni dell’accordo sociale e quelle del regime legale.

    51
    Alla prima questione si deve quindi rispondere che un sussidio di transizione quale quello controverso nella causa principale rientra nella nozione di «retribuzione» ai sensi dell’art. 141 CE e dell’art. 1 della direttiva 75/117. In circostanze come quelle di cui alla causa principale, tali disposizioni non ostano all’applicazione di un accordo sociale che preveda un diverso trattamento dei lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile riguardo all’età che dà diritto ad un sussidio di transizione, dal momento che tali lavoratori, uomini e donne, versano, in virtù del regime legale nazionale sul prepensionamento, in situazioni diverse riguardo agli elementi rilevanti per la concessione di quest’ultimo.

    Sulle questioni seconda e terza

    52
    Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se il sussidio di transizione controverso nella causa principale rientri nella nozione di «regimi professionali di sicurezza sociale» ai sensi della direttiva 86/378. Con la sua terza questione, che si divide in due parti, egli chiede se il detto sussidio di transizione costituisca una «condizion[e] inerente al licenziamento» ai sensi dell’art. 5 della direttiva 76/207 e, in caso affermativo, se tale direttiva osti a che un siffatto sussidio sia concesso in base a disposizioni come quelle stabilite dall’accordo sociale controverso nella causa principale.

    53
    Alla luce della risposta fornita alla prima questione, secondo la quale il sussidio di transizione rientra nella nozione di «retribuzione» ai sensi dell’art. 141 CE, l’interpretazione delle direttive 86/378 e 76/207 è priva di rilevanza per la soluzione della controversia di cui alla causa principale. Pertanto non occorre rispondere alle questioni pregiudiziali seconda e terza.


    Sulle spese

    54
    Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione.

    Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

    Un sussidio di transizione quale quello controverso nella causa principale rientra nella nozione di «retribuzione» ai sensi dell’art. 141 CE e dell’art. 1 della direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile. In circostanze quali quelle di cui alla causa principale, tali disposizioni non ostano all’applicazione di un accordo sociale che preveda un diverso trattamento dei lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile riguardo all’età che dà diritto ad un sussidio di transizione, dal momento che tali lavoratori, uomini e donne, versano, in virtù del regime legale nazionale sul prepensionamento, in situazioni diverse riguardo agli elementi rilevanti per la concessione di quest’ultimo.

    Firme


    1
    Lingua processuale: il tedesco.

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