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Document 62002CC0392

Conclusioni dell'avvocato generale Geelhoed del 10 marzo 2005.
Commissione delle Comunità europee contro Regno di Danimarca.
Inadempimento di uno Stato - Risorse proprie delle Comunità - Mancata riscossione per un errore delle autorità doganali nazionali di dazi doganali legittimamente dovuti - Responsabilità finanziaria degli Stati membri.
Causa C-392/02.

Raccolta della Giurisprudenza 2005 I-09811

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2005:142

Conclusions

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
L.A. GEELHOED
presentate il 10 marzo 2005(1)



Causa C‑392/02



Commissione delle Comunità europee
contro
Regno di Danimarca



«Inadempimento, art. 10 CE e artt. 2 e 8 della decisione del Consiglio 94/728/CE, Euratom, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee  –  Responsabilità finanziaria degli Stati membri per le risorse proprie  –  Omesso pagamento dell'importo di DKK 140 409,60 in seguito alla mancata riscossione di dazi doganali per un errore delle autorità doganali stesse che il debitore dei dazi non poteva ragionevolmente scoprire [art. 220, n. 2, sub b), del regolamento (CEE) del Consiglio, n. 2913/92, che istituisce un codice doganale comunitario]»






I – Introduzione

1.        Nella presente causa la Commissione delle Comunità europee chiede di accertare che il Regno di Danimarca non ha adempiuto gli obblighi a cui è tenuto in forza del diritto comunitario (in particolare dell’art. 10 CE, in combinato disposto con gli artt. 2 e 8 della decisione del Consiglio 31 ottobre 1994, 94/728/CE, Euratom relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (in prosieguo: la «decisione sulle risorse proprie del 1994»)  (2) , non avendo le autorità danesi provveduto a mettere a disposizione della Commissione un importo di DKK 140 409,60 più gli interessi di mora calcolati a decorrere dal 20 dicembre 1999.

2.        Dietro a questo contenzioso, che a prima vista sembra tecnico, si cela una divergenza di principio sulla natura e sulla portata degli obblighi che gravano sugli Stati membri in virtù della decisione 94/728/CE. Ciò ha indotto un certo numero di Stati membri – il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica federale tedesca, il Regno del Belgio, la Repubblica portoghese, il Regno di Svezia e la Repubblica italiana – ad intervenire in sostegno del Regno di Danimarca.

3.        La divergenza di opinioni tra la Commissione, da un lato, e il Regno di Danimarca e gli Stati membri che sostengono questo paese, dall’altro, si produce nel più ampio contesto del titolo del Trattato CE contenente le disposizioni finanziarie (artt. 268 fino a 280 CE incluso), nell’applicazione che è stata data a tali disposizioni a partire dall’approvazione del cosiddetto «Pacchetto Delors» nel 1988. Con tale atto si è posto fine ai conflitti, sorti quasi ogni anno nel periodo che va dal 1979 al 1987, tra il Consiglio e il Parlamento europeo, nella loro veste di colegislatori sul bilancio, in ordine alla portata e alla composizione dei bilanci comunitari. Nella descrizione dell’ambito giuridico della presente causa, si prenderà in considerazione il contesto più ampio, che non è privo di rilievo per la disamina delle diverse questioni giuridiche qui in discussione.

II – Il contesto generale e l’ambito giuridico

A – Le risorse proprie

4.        Dal 1979 l’annuale procedura di approvazione del bilancio comunitario era divenuta sempre più complicata per diversi motivi. In primo luogo, in seguito all’adesione della Grecia, della Spagna e del Portogallo gli scarti fra i livelli di benessere all’interno della Comunità europea erano notevolmente cresciuti. Si temeva che, con la prevista realizzazione del mercato interno, essi si sarebbero ulteriormente accentuati. Ciò aveva rafforzato il dibattito politico su un maggiore contributo della Comunità alle regioni meno prospere. In secondo luogo, era divenuto evidente, in quel periodo, che la gestione delle spese obbligatorie di garanzia in agricoltura, che erano salite a più del 70% del già sovraccarico bilancio spese della Comunità, stava causando problemi sempre maggiori. Poiché, di conseguenza, le spese comunitarie obbligatorie rischiavano di soffocare le spese comunitarie non obbligatorie, sulle quali il Parlamento europeo ai sensi dell’art. 272 CE aveva una competenza particolare in veste di colegislatore sul bilancio, si era creata, in terzo luogo, una situazione di stallo quasi permanente tra il Consiglio e il Parlamento europeo.

5.        Per uscire da tale impasse, la Commissione ha dovuto proporre, nel febbraio del 1987, profonde modifiche alle finanze pubbliche della Comunità (il cosiddetto Pacchetto Delors). Sulle grandi linee di questo pacchetto il Consiglio europeo del febbraio 1988 è riuscito a trovare un’accordo all’unanimità. Tale decisione si riferiva a quattro elementi fondamentali delle finanze comunitarie. A partire dal 1988 questi quattro elementi sono rimasti determinati per la formazione e per il contenuto stesso del bilancio comunitario. L’approvazione del bilancio annuale, così come viene formalmente disciplinata dall’art. 272 CE, è solita collocarsi all’interno dell’area delimitata da questi quattro elementi.

6.        Questi elementi sono:

a.         Il quadro finanziario di medio termine

Tale quadro viene stabilito dal Consiglio europeo, su proposta della Commissione, per un periodo di cinque o sei anni. Dopo il 1988 è stato nuovamente stabilito nel dicembre del 1992 dal Consiglio europeo di Edimburgo e nel marzo 1999 dal Consiglio europeo di Berlino. In questi quadri viene fissato lo sviluppo del tetto delle uscite della Comunità nel loro complesso e separatamente per le sottocategorie di bilancio più importanti. Essi costituiscono, in forma più elaborata, la base per accordi interistituzionali (in prosieguo: «AII») tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. Con questi AII vengono stabiliti i quadri quantitativi entro cui i legislatori di bilancio debbono operare nel periodo di riferimento.

Inoltre, le considerazioni di politica di ripartizione hanno un ruolo importante nella costituzione e nel raccordo dei quadri finanziari per il medio termine.

b.         La decisione sulle risorse proprie

Ad ogni quadro finanziario di medio termine corrisponde una decisione sulle risorse proprie, in cui vengono fissate le entrate necessarie alla Comunità per far fronte alle spese previste dal quadro finanziario. Nel quantificare le diverse «risorse proprie» della Comunità ed i contributi degli Stati membri, assumono, per forza di cose, grande rilievo anche motivi attinenti alla politica distributiva. In tale occasione gli Stati membri stanno molto attenti al saldo positivo o negativo che risulterà per ciascuno di essi dal raffronto tra le somme da ricevere e i contributi.

c.         La disciplina di bilancio

Il fragile equilibrio di politica di bilancio esistente tra i quadri finanziari di medio termine e le risorse proprie è intrinsecamente soggetto al rischio di sforamenti di bilancio. Per questo motivo a partire dal 1988 sono state stabilite misure finalizzate ad evitare sviluppi di spesa imprevisti. Il contenuto di tali misure, che attualmente figurano nel regolamento (CE) del Consiglio 26 settembre 2000, n. 2040, relativo alla disciplina di bilancio 3  –GU L 244, pag. 27., include in particolare la gestione delle spese agricole.

d.         I fondi strutturali

Nella prospettiva di ripartizione già ricordata, che contempla i differenti livelli di benessere all’interno della Comunità europea, le spese sostenute per i fondi strutturali, incluso il fondo di coesione, assumono una posizione centrale. Nel processo di approvazione delle prospettive finanziarie, viene di norma accuratamente prevista la distribuzione delle risorse dei fondi strutturali tra i vari Stati membri. Ogni volta che sono fissate le prospettive finanziarie, la Comunità provvede a disciplinare i fondi strutturali.

7.        Nella presente causa è importante soprattutto il collegamento tra la prospettiva finanziaria di medio termine e la decisione sulle risorse proprie che ad essa fa riferimento. Come già riportato, la fragile unanimità raggiunta nel Consiglio europeo su entrambe le decisioni poggia anzitutto sul saldo derivante agli Stati membri dall’applicazione combinata di tali decisioni. Le conseguenze a cui porta la quantificazione delle diverse risorse per i singoli Stati membri sono strettamente collegate ai contributi. A tale proposito si deve ancora osservare che dalla disposizione dell’art. 268, ultima frase, ove si prescrive che le entrate e le spese del bilancio comunitario devono risultare in pareggio, deriva che entrate insufficienti con riferimento ad una determinata risorsa propria devono essere compensate da un’altra risorsa propria, oppure devono condurre ad un adeguamento delle spese previste nelle prospettive finanziarie. In entrambi le ipotesi viene indubbiamente messo a rischio il consenso che sta alla base del processo decisionale sulle spese e sulle entrate della Comunità. Considerato lo sfondo costituito da tale intrinseca vulnerabilità del procedimento di bilancio comunitario, gli obblighi degli Stati membri vengono definiti con precisione nelle decisioni sulle risorse proprie e nei regolamenti esecutivi che ad esse si riferiscono e solitamente vengono accuratamente controllati dalla Commissione.

8.        Nella presente causa si tratta di interpretare singole disposizioni della decisione sulle risorse proprie del 1994 e del regolamento (CEE, Euratom) del Consiglio 29 maggio 1989, n. 1552, recante applicazione della decisione 88/376/CEE, Euratom relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità  (4) , come modificato dal regolamento del Consiglio 8 luglio 1996, n. 1355, che modifica il regolamento (CEE, Euratom) n. 1552/89 recante applicazione della decisione 88/376/CEE, Euratom relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità  (5) (in prosieguo: il «regolamento n. 1552/89»). Tali disposizioni si riferiscono agli obblighi degli Stati membri nei confronti della Comunità nella riscossione, nella contabilizzazione e nel trasferimento dei dazi doganali come «risorse proprie» della Comunità.

9.        Nella fattispecie rilevano le seguenti disposizioni della decisione sulle risorse proprie del 1994:

Art. 2, n. 1:

«Costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio delle Comunità le entrate provenienti:

a)        dai prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, importi o elementi aggiuntivi ed altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni delle Comunità sugli scambi con paesi non membri nel quadro della politica agricola comune, nonché contributi ed altri dazi previsti nel quadro dell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero;

b)        dai dazi della tariffa doganale comune ed altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni delle Comunità sugli scambi con i paesi non membri e dazi doganali sui prodotti rientranti nel trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio;

(…)»

Art. 2, n. 3:

«Gli Stati membri trattengono, a titolo di spese di riscossione, il 10% degli importi da versare a norma del paragrafo 1, lettere a) e b)».

Art. 8, n. 1:

«Le risorse proprie comunitarie di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b) sono riscosse dagli Stati membri conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali, eventualmente adattate alle esigenze della normativa comunitaria. La Commissione procede, ad intervalli regolari, all’esame delle disposizioni nazionali che le vengono comunicate dagli Stati membri, comunica agli Stati membri gli adattamenti che ritiene necessari per garantire che esse siano conformi alle normative comunitarie e riferisce all’autorità di bilancio. Gli Stati membri mettono a disposizione della Commissione le risorse di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere da a) a d)».

Art. 8, n. 2, ultima parte:

«(…) il Consiglio, che delibera all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni necessarie all’attuazione della presente decisione nonché quelle relative al controllo della riscossione, alla messa a disposizione della Commissione e al versamento delle entrate di cui agli articoli 2 e 5».

10.      Nella fattispecie rilevano le seguenti disposizioni del regolamento n. 1552/89, come erano formulate nei periodi che qui ci interessano.

Art. 2:

«1.        Ai fini dell’applicazione del presente regolamento, un diritto delle Comunità sulle risorse proprie di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b) della decisione 88/376/CEE, Euratom (ora della decisione 94/78) è accertato non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo.

        1 bis La data da considerare per l’accertamento di cui al paragrafo 1 è la data della registrazione prevista dalla normativa doganale (…).

        1 ter Nei casi di contenzioso, le autorità amministrative competenti devono poter calcolare, ai fini dell’accertamento di cui al paragrafo 1, l’importo del dazio dovuto, al più tardi in occasione della prima decisione amministrativa che comunica l’obbligazione al soggetto passivo o in occasione della denuncia all’autorità giudiziaria, se tale denuncia interviene precedentemente (…)».

Art. 6:

«1.        Presso il Tesoro di ogni Stato membro o l’organismo designato da quest’ultimo viene tenuta una contabilità delle risorse proprie, ripartita secondo la natura delle risorse.

        1. bis (…)

2.
a) Con riserva della lettera b) del presente paragrafo, i diritti accertati conformemente all’articolo 2 sono riportati nella contabilità al più tardi il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello nel corso del quale ha avuto luogo l’accertamento.

b) I diritti accertati e non riportati nella contabilità di cui alla lettera a), poiché non sono stati ancora riscossi e non è stata fornita alcuna garanzia, sono iscritti in una contabilità separata entro il termine previsto alla lettera a). Gli Stati membri possono procedere nello stesso modo allorché i diritti accertati e coperti da garanzie formano oggetto di contestazione e possono subire variazioni in seguito alle controversie sorte».

3. e 4.        Questi paragrafi dell’art. 6 definiscono gli obblighi degli Stati membri di inviare periodicamente alla Commissione estratti della contabilità.

Art. 17:

«1.        Gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 siano messi a disposizione della Commissione alle condizioni previste dal presente regolamento.

2.        Gli Stati membri sono dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati soltanto se la riscossione non abbia potuto essere effettuata per ragioni di forza maggiore. Inoltre, in casi particolari, gli Stati membri sono dispensati dal mettere tali importi a disposizione della Commissione, quando, dopo attento esame di tutti i dati pertinenti del caso, risulta definitivamente impossibile procedere alla riscossione per motivi che non potrebbero essere loro imputabili. Questi casi debbono essere menzionati nella relazione di cui al paragrafo 3, qualora gli importi superino i 10 000 ECU, convertiti in moneta nazionale al tasso del primo giorno feriale del mese d’ottobre dell’anno civile appena trascorso; questa relazione deve contenere un’indicazione delle ragioni che hanno indotto lo Stato membro a non mettere a disposizione gli importi di cui trattasi. La Commissione dispone di un termine di sei mesi per comunicare, se del caso, le proprie osservazioni allo Stato membro interessato.

(…)».

B – Gli Stati membri e i soggetti passivi

11.      Nella decisione sulle risorse proprie del 1994 e nel regolamento n. 1552/89 vengono enunciati gli obblighi degli Stati membri nei confronti della Comunità per l’accertamento, la riscossione, la contabilizzazione e il trasferimento delle risorse proprie definite nell’art. 2, n. 1, sub a e b. Il segno distintivo di queste risorse proprie «tradizionali» è che esse sono definite totalmente dal legislatore comunitario e che gli obblighi degli Stati membri nella riscossione e nel trasferimento di tali risorse sono di natura puramente esecutiva. Ai fini di tale esecuzione gli Stati membri pongono in essere nei confronti dei singoli soggetti passivi atti di pubblica autorità così da permettere che i carichi dovuti siano effettivamente riscossi e messi infine a disposizione della Comunità. Le norme necessarie a tal fine, per quanto riguarda l’accertamento e la riscossione dei dazi doganali e dei prelievi ad essi collegati, figurano nel regolamento del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913 che istituisce un codice doganale comunitario (in prosieguo: il «codice»)  (6) .

12.      Le disposizioni di questo voluminoso codice che rilevano ai fini della valutazione del presente contenzioso sono, in particolare, le seguenti:

L’art. 4, n. 9, definisce l’«obbligazione doganale» come «l’obbligo di una persona di corrispondere l’importo dei dazi all’importazione (obbligazione doganale all’importazione) o l’importo dei dazi all’esportazione (obbligazione doganale all’esportazione) applicabili in virtù delle disposizioni comunitarie in vigore ad una determinata merce».

L’art. 4, n. 10, definisce i «dazi all’importazione» come

«i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente dovuti all’importazione delle merci;

i prelievi agricoli e le altre imposizioni all’importazione istituite nel quadro della politica agricola comune o in quello dei regimi specifici applicabili a talune merci derivanti dalla trasformazione di prodotti agricoli».

L’art. 201 fa riferimento all’insorgere dell’obbligazione all’importazione:

«1. L’obbligazione doganale all’importazione sorge in seguito:

a) all’immissione in libera pratica di una merce soggetta a dazi all’importazione, oppure

b) al vincolo di tale merce al regime dell’ammissione temporanea con parziale esonero dai dazi all’importazione.

2. L’obbligazione doganale sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana.

3. (…)».

La contabilizzazione e la comunicazione dell’importo dei dazi al soggetto passivo sono trattate negli artt. 217 e seguenti. Nel contesto della presente domanda sono importanti soprattutto le seguenti disposizioni:

Art. 217

«1. Ogni importo di dazi all’importazione o di dazi all’esportazione risultante da un’obbligazione doganale, in seguito denominato «importo dei dazi», deve essere calcolato dall’autorità doganale non appena disponga degli elementi necessari e da questa iscritto nei registri contabili o in qualsiasi altro supporto che ne faccia le veci (contabilizzazione).

Il primo comma non si applica quando:

a) (…);

b) (…);

c) (…);

L’autorità doganale può non contabilizzare gli importi di dazi che, ai sensi dell’articolo 221, paragrafo 3, non possono essere comunicati al debitore in seguito alla scadenza del termine previsto.

2. Le modalità pratiche di contabilizzazione degli importi dei dazi sono stabilite dagli Stati membri. Queste modalità possono essere diverse a seconda che l’autorità doganale, tenuto conto delle condizioni in cui è sorta l’obbligazione doganale, sia certa o meno del pagamento dei predetti importi».

Art. 218

«1. Quando un’obbligazione doganale sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione di una merce per un regime doganale diverso dall’ammissione temporanea in esonero parziale dai dazi all’importazione o da qualsiasi altro atto che abbia gli stessi effetti giuridici di tale accettazione, la contabilizzazione dell’importo corrispondente a questa obbligazione deve intervenire non appena esso sia stato calcolato e, al più tardi, due giorni dopo lo svincolo della merce (…).

2. (…).

3. (…)».

Art. 219 (…).

Art. 220

«1. Quando l’importo dei dazi risultante da un’obbligazione doganale non sia stato contabilizzato ai sensi degli articoli 218 e 219 o sia stato contabilizzato ad un livello inferiore all’importo legalmente dovuto, la contabilizzazione dei dazi da riscuotere o che rimangono da riscuotere deve avvenire entro due giorni dalla data in cui l’autorità doganale si è resa conto della situazione in atto ed è in grado di calcolare l’importo legalmente dovuto e di determinarne il debitore (contabilizzazione a posteriori). Questo termine può essere prorogato conformemente all’articolo 219.

2. Eccetto i casi di cui all’articolo 217, paragrafo 1, secondo e terzo comma, non si procede alla contabilizzazione a posteriori quando:

a)        la decisione iniziale di non contabilizzare i dazi o di contabilizzarli a un livello inferiore all’importo legalmente dovuto è stata presa in base a disposizioni di carattere generale successivamente invalidate da una decisione giudiziaria;

b)        l’importo dei dazi legalmente dovuto non è stato contabilizzato per un errore dell’autorità doganale, che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana;

c)        le disposizioni adottate secondo la procedura del comitato dispensano l’autorità doganale dal contabilizzare a posteriori importi di dazi inferiori ad una determinata somma».

Art. 221

«1. L’importo dei dazi deve essere comunicato al debitore secondo modalità appropriate, non appena sia stato contabilizzato.

2. Quando l’importo dei dazi da pagare è iscritto, a titolo indicativo, nella dichiarazione in dogana, l’autorità doganale può prevedere che la comunicazione di cui al paragrafo 1 venga effettuata solo quando l’importo dei dazi indicato non corrisponde a quello da essa determinato.

Fatta salva l’applicazione dell’articolo 218, paragrafo 1, secondo comma, quando ci si avvalga della possibilità di cui al primo comma del presente paragrafo, la concessione dello svincolo delle merci da parte dell’autorità doganale equivale alla comunicazione al debitore dell’importo dei dazi contabilizzato.

3. La comunicazione al debitore non può più essere effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione doganale. Tuttavia, qualora l’autorità doganale non abbia potuto determinare l’importo esatto dei dazi legalmente dovuti a causa di un atto perseguibile a norma di legge, tale comunicazione avviene, nella misura prevista dalle disposizioni vigenti, dopo la scadenza del termine di cui sopra».

13.      La Commissione ha stabilito per via regolamentare, dettagliate norme di esecuzione del codice. In relazione alla presente domanda, rilevano:

Il regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario (in prosieguo: il «regolamento n. 2454/93»)  (7) ;

Il regolamento (CE) della Commissione 29 luglio 1998, n. 1677, recante modificazione del regolamento (CEE) n. 2454/93 che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario (in prosieguo: il «regolamento n. 1677/98»)  (8) ;

Il regolamento (CE) della Commissione 25 luglio 2003, n. 1335, recante modifica del regolamento (CEE) n. 2454/93 che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario (in prosieguo: il «regolamento n. 1335/2003»)  (9) .

14.      Al momento in cui sono occorsi i fatti su cui si basa il presente contenzioso, l’art. 869, sub b del regolamento n. 2454/93 era così formulato:

«Spetta all’autorità doganale decidere di non contabilizzare a posteriori i dazi non riscossi:

a) (…)

b) quando ritenga che siano soddisfatte tutte le condizioni previste dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b) del codice, sempre che l’importo non riscosso, per errore, da un operatore e riguardante, all’occorrenza, varie operazioni d’importazione o di esportazione sia inferiore a 2 000 ecu».

Nell’art. 1, punto 5, del regolamento n. 1677/98 le parole «2 000 ecu» del detto art. 869, sub b, ultima parte, sono sostituite dalle parole «50 000 ecu».

15.      L’art. 871, n. 1, del regolamento n. 2454/93 stabilisce quanto segue: «Eccettuati i casi di cui all’articolo 869, quando l’autorità doganale ritenga che siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b) del codice o abbia dei dubbi sulla portata dei criteri di questa disposizione in ordine al caso considerato, tale autorità lo sottopone alla Commissione affinché sia risolto conformemente alla procedura di cui agli articoli da 872 a 876 (…)».

16.      Con l’art. 1, punti 1) e 2) del regolamento n. 1335/2003 sono stati sostituiti gli artt. 869, sub b e 871 del regolamento n. 2454/93. L’art. 1 del regolamento n. 1335/2003 deve essere applicato a partire dal 1° agosto 2003 alle fattispecie che non sono state sottoposte alla Commissione prima di tale data.

17.      Gli articoli modificati 869, sub b, e 871 del regolamento n. 2454/93 sono oggi formulati come segue.

Art. 869, sub b

«Spetta all’autorità doganale decidere di non contabilizzare a posteriori i dazi non riscossi:

a) (…);

b) Quando ritenga che siano soddisfatte tutte le condizioni previste dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del codice, salvi i casi in cui la pratica debba essere sottoposta alla Commissione conformemente all’articolo 871. Quando tuttavia sia applicabile l’articolo 871, paragrafo 2, secondo comma, una decisione delle autorità doganali che autorizza una non contabilizzazione a posteriori dei dazi in oggetto può essere adottata soltanto al termine della procedura già avviata conformemente agli articoli da 871 a 876».

Art. 871, nn. 1 e 2:

«1. L’autorità doganale trasmette il caso alla Commissione affinché sia risolto conformemente alla procedura di cui agli articoli da 872 a 876 quando tale autorità ritenga che siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del codice e

la Commissione abbia commesso un errore ai sensi dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del codice, o

le circostanze del caso siano legate ai risultati di un’inchiesta comunitaria effettuata conformemente alle disposizioni del regolamento (CE) n. 515/97 del Consiglio, del 13 marzo 1997, relativo alla mutua assistenza tra le autorità amministrative degli Stati membri e alla collaborazione tra queste e la Commissione per assicurare la corretta applicazione delle normative doganale e agricola  (10) o effettuata sulla base di un’altra disposizione comunitaria o accordo conclusi dalla Comunità con taluni paesi o gruppi di paesi, in cui sia prevista la possibilità di procedere ad inchieste comunitarie del genere, o

l’importo non riscosso presso un operatore in seguito a uno stesso errore e riferito, all’occorrenza, a diverse operazioni d’importazione o d’esportazione, sia superiore o uguale a 500 000 EUR.

2. Non si procede alla trasmissione di cui al paragrafo 1 quando:

la Commissione abbia già adottato una decisione conformemente alla procedura di cui agli articoli da 872 a 876 su un caso in cui si era in presenza di elementi di fatto e di diritto comparabili;

alla Commissione sia già sottoposto un caso in cui si sia in presenza di elementi di fatto e di diritto comparabili».

18.      L’art. 873, primo comma, del regolamento n. 2454/93 dispone: «Previa consultazione di un gruppo di esperti, composto di rappresentanti di tutti gli Stati membri riuniti nel quadro del comitato per esaminare il caso in oggetto, la Commissione decide se si debba procedere o meno alla contabilizzazione a posteriori dei dazi non riscossi».

III – Fatti

19.      All’inizio degli anni novanta un’impresa danese (in prosieguo: l’«importatore») importava in Danimarca piselli dolci surgelati provenienti dalla Repubblica popolare cinese. Sino alla fine del 1995 venivano venduti, prima dello sdoganamento, ad un grossista danese, che espletava da sé le formalità doganali. Il grossista era in possesso di una licenza all’importazione a dazio zero, poiché tale licenza prevedeva la destinazione dei piselli al consumo finale. Dal 1° gennaio 1996 l’importatore iniziava a sdoganare per conto proprio detti prodotti. Le autorità doganali locali di Ballerup (Danimarca) accettavano le dichiarazioni doganali senza verificare se l’importatore disponesse per la merce in questione di una analoga licenza per il consumo finale e continuavano ad applicare il dazio zero.

20.      Il 12 maggio 1997 le autorità doganali locali di Vejle (Danimarca) riscontravano che l’importatore non disponeva della richiesta autorizzazione all’applicazione del dazio zero. Pertanto rettificavano alcune dichiarazioni doganali applicando un dazio all’importazione del 16,8%. Lo stesso giorno l’importatore si rivolgeva alle autorità doganali di Ballerup, che correggevano le rettifiche e applicavano nuovamente il dazio zero, senza verificare se l’importatore disponesse per le merci della richiesta licenza per il consumo finale.

21.      In un controllo a posteriori di 25 dichiarazioni doganali, presentate tra il 9 febbraio 1996 e il 24 ottobre 1997, le autorità doganali competenti riscontravano che l’importatore non disponeva della richiesta licenza per il consumo finale. Pertanto, esigevano il pagamento dei dazi all’importazione illegittimamente non prelevati per un importo pari a DKK 509 707,30 (all’incirca EUR 69 000). Tuttavia, dopo aver accertato che la correzione delle rettifiche effettuata dalla dogana locale di Ballerup il 12 maggio 1997 aveva potuto ingenerare nell’importatore il legittimo affidamento che la procedura di sdoganamento adottata fosse corretta, le autorità danesi chiedevano alla Commissione se, ai sensi dell’art. 220, n. 2, sub b del codice, fosse giustificato astenersi dal contabilizzare i dazi all’importazione richiesti all’importatore per le dichiarazioni doganali presentate successivamente a tale data. Nel caso specifico si trattava di un importo di DKK 140 409,60 (all’incirca EUR 19 000).

22.      Con decisione 19 luglio 1999 la Commissione ha risolto la questione in senso affermativo ritenendo precisamente che la correzione delle rettifiche apportate dalla dogana locale di Vejle, effettuata dalle autorità doganali locali di Ballerup il 12 maggio 1997, andasse considerata come un errore commesso dalle competenti autorità danesi, che non poteva essere ragionevolmente scoperto dall’interessato.

23.      Con una comunicazione del 21 ottobre 1999 la Commissione ingiungeva alle autorità danesi di mettere a sua disposizione l’importo di DKK 140 409,60, in quanto dovuto come risorsa propria, anteriormente al primo giorno feriale successivo al 19 del secondo mese dall’invio della comunicazione, ossia il 20 dicembre 1999; in caso di inadempimento si sarebbe dovuto applicare l’interesse di mora previsto dalla normativa comunitaria. La Commissione chiedeva inoltre che l’importo fosse iscritto in maniera riconoscibile nell’estratto della contabilità che le veniva fatto pervenire mensilmente.

24.      Dopo che le autorità danesi le ebbero comunicato, il 15 dicembre 1999, che non avrebbero dato seguito a tale richiesta, la Commissione, inviava il 19 luglio 2000 una lettera di diffida al governo danese. Ritenendo insoddisfacente la risposta fornita dal governo danese il 29 settembre 2000, la Commissione, il 6 aprile 2001, inviava un parere motivato al Regno di Danimarca, invitando quest’ultimo a conformarvisi entro due mesi dal ricevimento. Considerato che il governo danese nella sua risposta persisteva nel suo avviso che gli Stati membri non possano essere ritenuti finanziariamente responsabili per errori delle autorità doganali per i quali la Commissione abbia riconosciuto che non ci si può rivalere sui soggetti passivi, la Commissione ha proposto il presente ricorso dinanzi alla Corte.

IV – Osservazioni delle parti

25.      Nel riportare, qui di seguito, i punti di vista delle parti mi limiterò ad esporre i soli aspetti principali degli abbondanti scambi d’idee avvenuti per iscritto ed oralmente tra la Commissione, da un lato, e il Regno di Danimarca e gli Stati membri che sostengono tale paese nelle sue conclusioni, dall’altro. Ove appaia necessario, nel valutare i punti di vista sostenuti, considererò più in dettaglio gli argomenti addotti.

26.      La Commissione sostiene che le risorse proprie «tradizionali» ai sensi dell’art. 2 della decisione sulle risorse proprie del 1994 nascono col sorgere dell’obbligazione doganale e che, di conseguenza, l’importo di DKK 140 409,60 avrebbe dovuto esser messo a sua disposizione sulla base dell’art. 8, n. 1, della citata decisione. Pertanto le autorità danesi, ai sensi dell’art. 2, n. 1, del regolamento n. 1552/89, avrebbero dovuto accertare un diritto della Comunità su tali entrate sulla base della corretta applicazione delle rilevanti disposizioni doganali e, in assenza della necessaria dichiarazione di destinazione al consumo finale, sarebbero state tenute a riscuotere i dazi doganali dovuti.

27.      Stabilito il momento in cui le autorità danesi avrebbero dovuto accertare un’obbligazione doganale, diventa altresì possibile calcolare, ai sensi dell’art. 10 del regolamento n. 1552/89, il termine entro cui le risorse proprie in questione avrebbero dovuto essere contabilizzate a favore della Commissione. Dal mancato rispetto di tale termine deriva l’obbligo di pagare interessi moratori, di cui all’art. 11 del suddetto regolamento. A sostegno di tale tesi la Commissione rinvia alla sentenza 20 marzo 1986, causa 303/84, Commissione/Germania  (11) .

28.      Secondo la Commissione i rapporti tra la Comunità e gli Stati membri vanno nettamente distinti dai rapporti tra gli Stati membri e i soggetti passivi nella riscossione da parte degli stessi Stati membri di dazi doganali e nel conseguente trasferimento alla Commissione di tali diritti. I rapporti giuridici tra la Comunità e gli Stati membri sono regolati dalle disposizioni sul finanziamento della Comunità, ossia dalla decisione sulle risorse proprie del 1994 e dal regolamento n. 1552/89, nonché dal principio di lealtà verso la Comunità statuito dall’art. 10 CE. I rapporti tra gli Stati membri e gli attori economici, invece, devono essere regolati interamente dal codice e dalle dettagliate disposizioni di esecuzione che lo riguardano quali il regolamento n. 2454/93.

29.      In effetti sussiste, continua la Commissione, un collegamento puramente tecnico-giuridico tra i due complessi di regole, poiché nel regolamento n. 1552/89 si rinvia ai diversi passi che debbono essere intrapresi nella nascita, nell’accertamento e nella riscossione di un’obbligazione doganale. Tuttavia, tali rinvii non riguardano la responsabilità finanziaria delle autorità nazionali nei confronti della Comunità per gli errori compiuti nella riscossione delle risorse proprie «tradizionali». Uno Stato membro che, per qualsiasi motivo, ometta di riscuotere tali risorse, può essere esonerato dal suo obbligo di trasferire le stesse alla Commissione solo sulla base dell’art. 17 del regolamento n. 1552/89 e ciò alle sole condizioni che vengono definite in maniera esaustiva in tale disposizione. Pertanto, la circostanza che un’impresa sia stata esonerata dal pagamento di un dazio doganale, ai sensi dell’art. 220, n. 2, sub b del codice, non può avere in quanto tale nessuna ripercussione sull’obbligo di trasferire tali dazi che grava sullo Stato membro in questione.

30.      Il rinvio nell’art. 2 del regolamento n. 1552/89 al codice, più in particolare in merito alla contabilizzazione di un’obbligazione doganale, deve essere necessariamente inteso come rinvio alle circostanze oggettive che il codice richiede perché la contabilizzazione possa aver luogo e non come rinvio alla questione se le autorità nazionali abbiano o no effettivamente provveduto alla contabilizzazione. Da ciò la Commissione deduce che a partire dal momento dell’effettiva importazione delle merci all’interno del territorio doganale della Comunità e quindi dalla nascita dell’obbligazione doganale, i diritti doganali e i prelievi agricoli appartengono di diritto alla Comunità e non agli Stati membri.

31.      Tuttavia, la Comunità ha affidato la riscossione di tali entrate agli Stati membri, poiché questi dispongono dell’infrastruttura operativa necessaria. Come controprestazione è concesso agli Stati membri di trattenere, ai sensi dell’art. 2, n. 2, della decisione sulle risorse proprie del 1994, il 10% (ora il 25%) delle risorse proprie da trasferire. Da ciò la Commissione desume che la Comunità possa a maggior ragione pretendere che gli Stati membri svolgano rigorosamente i propri compiti. Pertanto, tocca agli Stati membri sopportare le conseguenze finanziarie delle loro eventuali negligenze nella riscossione delle risorse proprie.

32.      A sostegno della propria tesi, la Commissione rinvia al principio di buona gestione finanziaria sancito dagli artt. 248 CE e 274 CE, quale era enunciato nell’art. 2 del regolamento finanziario del 21 dicembre 1977, applicabile al bilancio generale delle Comunità europee  (12) , modificato ultimamente dal regolamento (CE, CECA, Euratom) del Consiglio 9 aprile 2001, n. 762  (13) . L’inosservanza di tale principio avrebbe come conseguenza che le entrate mancanti dovrebbero venire ripartite fra tutti gli Stati membri attraverso la cosiddetta risorsa PNL. Così facendo, si altererebbe il rigoroso equilibrio esistente nel finanziamento delle risorse comunitarie.

33.      La Commissione cita a questo riguardo le sentenze 5 maggio 1977, causa 110/76  (14) , Pretore di Cento e 16 maggio 1991, causa C‑96/89  (15) , Commissione/Paesi Bassi. In prosieguo, nel valutare gli argomenti addotti, ritornerò sul contenuto e sulla rilevanza di queste ultime per la risoluzione del presente contenzioso.

34.      Il governo danese evidenzia, in un’accurata confutazione della posizione della Commissione, che il diritto comunitario rilevante nella fattispecie non prevede la responsabilità finanziaria degli Stati membri per errori che siano stati commessi dalle loro autorità nazionali nella riscossione delle risorse proprie della Comunità. A tal fine deve essere espressamente prevista una base giuridica nelle pertinenti norme comunitarie. Non si può però desumere né dalla lettera né dal processo di formazione della decisione sulle risorse proprie del 1994 o del regolamento n. 1552/89 – e delle disposizioni anteriori alle citate normative – che si intendesse introdurre la responsabilità finanziaria degli Stati membri per errori ed omissioni commessi nella riscossione delle risorse proprie. Gli artt. 2 e 8 della decisione sulle risorse proprie del 1994 definiscono solo l’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli introiti derivanti dai dazi all’importazione e all’esportazione, senza indicare quali siano le conseguenze di eventuali errori o mancanze delle autorità doganali nazionali.

35.      A tale proposito il governo danese fa ancora notare che con la presente causa la Commissione tenta un esperimento. Essa avrebbe già ripetutamente cercato di far riconoscere nelle decisioni sulle risorse proprie e nei relativi regolamenti di esecuzione il principio della responsabilità finanziaria degli Stati membri per mancanze nella riscossione delle risorse proprie, ma invano, poiché le sue proposte non sarebbero state accettate dal Consiglio.

36.      Il governo danese riconosce indubbiamente che dal principio di lealtà enunciato all’art. 10 CE deriva che gli Stati membri hanno l’obbligo, per mezzo di un’efficiente organizzazione delle loro amministrazioni doganali, di fare in modo che le risorse proprie vengano riscosse e messe a disposizione della Commissione; tuttavia dallo stesso principio di lealtà non si può desumere che uno Stato membro sia responsabile per eventuali errori di tali autorità. Esso sostiene che le perdite da ciò derivanti devono essere sopportate dalla Comunità, quale conseguenza quasi inevitabile del fatto di aver delegato la riscossione delle sue risorse proprie. Se così non fosse, sarebbero colpiti in modo sproporzionato soprattutto gli Stati membri attraverso cui passano i più importanti canali commerciali della Comunità con i paesi terzi.

37.      Un’accurata interpretazione letterale e sistematica della decisione sulle risorse proprie del 1994 e del regolamento n. 1552/89 mostrerebbe che l’argomentazione della Commissione è priva di fondamento. Precisamente le disposizioni su cui la Commissione fonda in modo particolare la sua tesi, cioè gli articoli 2 e 8 della decisione sulle risorse proprie del 1994, si limitano ad indicare che gli introiti derivanti da dazi all’importazione devono essere messi a disposizione della Commissione, senza regolare la situazione in cui non vi sia alcun introito, poiché l’amministrazione doganale nazionale ha commesso un errore. Inoltre, il regolamento n. 1552/89 è caratterizzato da una disciplina molto dettagliata. Ciò consente di argomentare, a contrario, che, qualora il Consiglio avesse inteso attribuire agli Stati membri la responsabilità per le risorse venute a mancare alla Comunità a causa di errori od omissioni delle loro autorità doganali, avrebbe senz’altro inserito nello stesso regolamento una disposizione esplicita a questo fine.

38.      A differenza della Commissione, il governo danese ritiene che la presente fattispecie non possa essere sussunta nella norma di cui all’art. 17 del regolamento n. 1552/89. Tale disposizione definisce le condizioni che devono ricorrere perché gli Stati membri possano essere esonerati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione i dazi una volta che essi li hanno accertati. Nel presente caso non si tratta tuttavia di questa situazione, bensì di una situazione in cui i dazi doganali non sono accertati come risorse proprie, poiché la Commissione, nell’ambito della procedura prevista dal combinato disposto dell’art. 220, n. 2, del codice e dell’art. 869, sub b, del regolamento n. 2454/93, ha consentito che i dazi all’importazione non contabilizzati per errore non siano più richiesti al soggetto passivo del prelievo, poiché lo stesso potrebbe aver fatto affidamento sul fatto che le dichiarazioni emesse dalle autorità doganali competenti fossero corrette. Ora, dato che i dazi doganali in questione non devono più essere contabilizzati, non vi è alcun importo da accertare ai sensi della lettera dell’art. 2 del regolamento n. 1552/89. Ergo, non può aver luogo alcuna registrazione di tale importo nella contabilità delle risorse proprie, come previsto dall’art. 6, n. 2, del regolamento n. 1552/89, e tale importo non può neppure essere messo a disposizione della Commissione.

39.      Il governo danese concorda con la Commissione sul fatto che la decisione sulle risorse proprie del 1994 e il regolamento n. 1552/89, da un lato, e il codice, dall’altro, hanno un diverso oggetto. Ciononostante, è dell’opinione che, in contesti come quello della presente controversia, dove determinati dazi doganali non possono più essere richiesti ai soggetti passivi del prelievo sulla base di una corretta applicazione del codice e dei suoi vigenti regolamenti di applicazione, la Commissione non sia più competente ad esigere tali dazi quali risorse proprie. Ciò vale a fortiori ove – ai sensi dell’art. 873 del regolamento n. 2454/93 – spetti alla Commissione stessa stabilire se gli Stati membri possano omettere di riscuotere i dazi all’importazione dalle imprese, nei casi di cui all’art. 220, n. 2, sub b, del codice. Si deve infatti normalmente presumere che la competenza a decidere se gli Stati membri possano omettere la riscossione di determinati dazi doganali sia stata attribuita alla Commissione perché questo genere di decisioni implica per la Commissione la perdita di risorse proprie.

40.      A fondamento della sussistenza di un tale collegamento tra le disposizioni sulle risorse proprie e le disposizioni doganali comunitarie, il governo danese adduce anche un argomento di storia del diritto, che desume dal regolamento n. 1697/79  (16) . L’art. 9 di questo regolamento, abrogato dal codice, sancisce che, fino all’entrata in vigore di norme comunitarie che definiscano le condizioni alle quali gli Stati membri devono effettuare l’accertamento delle risorse proprie risultanti dall’applicazione dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione, gli Stati membri non sono tenuti, qualora non abbiano provveduto al recupero di tali dazi nell’applicazione del suddetto regolamento, ad accertarli come corrispondenti risorse proprie ai sensi del regolamento (sostituito dal regolamento n. 1552/89).

41.      Infine, il governo danese spiega, in un’argomentazione molto accurata, perché a suo avviso la giurisprudenza della Corte citata dalla Commissione sia irrilevante nella presente causa. Tale giurisprudenza riguarda casi in cui lo Stato membro interessato era tenuto a recuperare da un’impresa un prelievo agricolo o un dazio all’importazione anche se non si era proceduto entro i termini alla loro riscossione. Il quadro giuridico per tali casi non comportava l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 220, n. 2, sub b, del codice. Pertanto, in tali casi, si poteva procedere al recupero del relativo tributo dalle imprese in questione. Questa giurisprudenza non fornisce perciò alcun appiglio quando uno Stato membro non possa più procedere alla riscossione a causa di una svista compiuta dall’amministrazione doganale.

42.      I governi belga, italiano, olandese, portoghese e svedese appoggiano il governo danese. Sebbene le loro argomentazioni siano un po’ differenti l’una dall’altra, essi sostengono, esattamente come il governo danese, che gli Stati membri non possono essere ritenuti responsabili per errori od omissioni delle amministrazioni doganali nazionali. Come il governo danese, essi affermano che la giurisprudenza della Corte citata dalla Commissione non si applica al presente caso, in quanto non si riferisce ad ipotesi in cui gli Stati membri non possano più procedere all’imposizione di dazi doganali o prelievi agricoli. A tale proposito, alcuni Stati membri hanno altresì fatto notare che gli errori di cui all’art. 220, n. 2, sub b, del codice possono essere commessi anche dalla Commissione stessa o da autorità di paesi terzi.

43.      In alcuni interventi si fa inoltre presente che, anche in un’applicazione diligente della legislazione doganale da parte di una amministrazione doganale che opera correttamente, si riscontreranno inevitabilmente degli errori. Le dimensioni del commercio con i paesi terzi rendono evidentemente impossibile operare senza errori. La tesi della Commissione comporta che gli Stati membri attraverso cui passano i grandi flussi commerciali andrebbero incontro a rischi finanziari sproporzionati, pur facendo tutto ciò a cui sono tenuti sulla base del principio di lealtà verso la Comunità sancito dall’art. 10 CE.

44.      Gli argomenti del governo tedesco differiscono leggermente da quelli enunciati dagli altri Stati intervenienti. Esso solleva anzitutto la questione della ricevibilità. Applicando l’art. 92, n. 2, del regolamento di procedura, la Corte deve esaminare d’ufficio se la domanda sia ricevibile, poiché essa non è competente nella presente causa in cui si tratta in realtà di un ricorso per risarcimento danni in seguito alla violazione del codice. Visto che un simile ricorso non figura fra i rimedi giurisdizionali previsti dal Trattato CE, i giudici competenti a conoscerne sono, conformemente all’art. 240 CE, i giudici danesi.

45.      In secondo luogo, il governo tedesco osserva che, non essendo oggettivamente possibile amministrare il traffico doganale senza commettere errori, si può esperire un simile ricorso per risarcimento danni solo in presenza di una violazione grave e manifesta del diritto comunitario doganale e agricolo, da cui derivino perdite finanziarie per la Comunità, il tutto conformemente ai criteri che la Corte ha sviluppato nella sua giurisprudenza sulla responsabilità della Comunità e degli Stati membri nei confronti dei privati. Il presente caso non risponde a tali criteri.

V – Valutazione

A – Sulla ricevibilità

46.      Mi sembra che la tesi del governo tedesco secondo cui, nella fattispecie, non si tratta di un ricorso di inadempimento, bensì di un ricorso dissimulato per risarcimento danni, poggi su una lettura inesatta dell’atto introduttivo della Commissione, che non chiede la condanna del Regno di Danimarca al pagamento di una determinata somma, ma la constatazione che esso ha mancato ai suoi obblighi ai sensi dell’art. 10 CE e della decisione sulle risorse proprie del 1994. Il riferimento all’importo di DKK 140 409,60 nell’atto introduttivo è indissolubilmente collegato con l’oggetto di tale ricorso di inadempimento, ossia l’asserita inosservanza degli obblighi derivanti per il Regno di Danimarca dalla decisione sulle risorse proprie del 1994. La conclusione è pertanto che la domanda della Commissione è ricevibile.

47.      Prima ancora di valutare il merito del ricorso, premetto che le parti, inclusi gli intervenienti, non sono sempre ugualmente precise nella terminologia di cui fanno uso nelle loro allegazioni scritte e orali. È determinante, nella presente causa, stabilire quali siano gli obblighi derivanti per gli Stati membri dalla decisione sulle risorse proprie del 1994 e dal regolamento di applicazione n. 1557/89 e quale sia la loro portata in casi come quello di cui si discute. Dal contenuto e dall’estensione di tali obblighi dipende in sostanza se il Regno di Danimarca sia tenuto o meno a trasferire il suddetto importo. Non è pertanto corretto qualificare il controverso obbligo di pagamento come un obbligo che nasca da una, controversa, responsabilità per tale importo.

B – Sul merito

48.      La Commissione e il governo danese concordano sui fatti di causa. Anche il governo danese riconosce che le competenti autorità doganali di Ballerup hanno commesso un errore, lasciando indebitamente entrare nel territorio doganale della Comunità a dazio zero alcuni lotti di merci, sebbene l’importatore non disponesse della richiesta autorizzazione alla destinazione al consumo finale. Poiché l’impresa in questione poteva nutrire un legittimo affidamento nella correttezza della decisione delle autorità doganali, non è stato possibile riscuotere successivamente i dazi doganali dovuti.

49.      Per valutare se il governo danese non abbia rispettato gli obblighi che gli sono imposti dal diritto comunitario e sia, per questo motivo, ancora obbligato a trasferire alla Comunità le risorse proprie mancanti, occorre risolvere tre questioni strettamente collegate l’una all’altra:

Quali obblighi impongono agli Stati membri gli artt. 2, n. 1, sub a e b, e 8, n. 1 della decisione sulle risorse proprie del 1994 in collegamento con gli artt. 2, n. 1, 6, n. 2, e 17 del regolamento n. 1552/1989?

Che collegamento c’è tra la decisione sulle risorse proprie del 1994 e il regolamento n. 1552/1989, da un lato, e il codice e il regolamento di applicazione n. 2454/93, dall’altro?

Più in particolare, l’applicazione dell’art. 220, n. 2, sub b, del codice in collegamento con gli artt. 871 e 873 del regolamento di applicazione n. 2454/93 ha conseguenze sugli obblighi risultanti per gli Stati membri dalla decisione sulle risorse proprie del 1994 e dal regolamento n. 1552/89?

C – Gli obblighi risultanti dalla decisione sulle risorse proprie del 1994 e dal regolamento n. 1552/89

50.      Per risolvere la prima questione, occorre interpretare l’art. 2, n. 1 del regolamento n. 1552/89, ed in particolare i punti che seguono: «(…)» un diritto della Comunità è accertato (si ritiene tale) non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto («la prise en compte du montant du droit») e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo».

51.      La Commissione ritiene che con l’espressione «è accertato» non si debba intendere solo la situazione in cui abbiano effettivamente avuto luogo la contabilizzazione dei diritti e la comunicazione al soggetto passivo attraverso le autorità nazionali – a cui possono fare seguito la riscossione dei diritti e il trasferimento degli stessi quali risorse proprie – ma anche la situazione in cui le autorità nazionali avrebbero dovuto fare ciò sulla base dei dati oggettivi, ma non lo hanno fatto.

52.      Il governo danese, appoggiato dai governi belga, olandese e portoghese, interpreta la disposizione dell’art. 2, n. 1, diversamente e in modo più restrittivo: il diritto delle Comunità sulle risorse proprie si ritiene accertato non appena lo stesso venga contabilizzato ai sensi delle norme doganali e possa essere notificato al soggetto passivo.

53.      Sebbene il testo dell’art. 2, n. 1, ammetta entrambe le interpretazioni, ritengo corretta l’interpretazione sostenuta dalla Commissione. Formulando le sue conclusioni nella causa Commissione/Germania  (17) l’avvocato generale Mancini faceva notare, in merito ad una questione interpretativa simile sul regolamento n. 2981/77 – regolamento ora sostituito dal regolamento n. 1552/89 – che l’accertamento non è l’atto che fa sorgere il diritto sulle risorse proprie, ma solo il fatto da cui nasce per lo Stato membro l’obbligo di mettere tali risorse a disposizione della Commissione. Il diritto alle risorse proprie sorge, pertanto, non appena vengano soddisfatte le condizioni dettate a tal fine dal legislatore comunitario. Se fosse altrimenti, ossia se la nascita del diritto dipendesse dall’iniziativa delle autorità nazionali, ne potrebbe conseguire che la contabilizzazione della risorsa propria per la Comunità potrebbe essere procrastinata ad libitum, o, aggiungo io, venire ostacolata.

54.      La sentenza pronunciata dalla Corte nella detta causa, pur senza riprendere le ampie considerazioni dell’avvocato generale, è assolutamente in linea con questa analisi. La Corte afferma, infatti, che non è determinante per l’obbligo alla contabilizzazione dei prelievi in questione «il momento in cui questi vengono accertati, ma il momento in cui essi avrebbero dovuto essere accertati»  (18) . Questa giurisprudenza è ulteriormente confermata dalle sentenze 21 settembre 1989, causa C‑68/88, Commissione/Grecia  (19) e 16 maggio 1991, C‑86/89, Commissione/Paesi Bassi  (20) .

55.      Questa giurisprudenza, a mio avviso, è interamente rilevante nel contesto della presente domanda. Se i diritti della Comunità dovessero ritenersi accertati soltanto dopo essere stati effettivamente contabilizzati dagli Stati membri, non sarebbero assicurate le «condizioni ottimali» a cui si mira affinché la Comunità sia messa in grado di disporre delle risorse proprie. Infatti non sarebbe, allora, possibile accertare come risorse proprie i dazi e i prelievi che indebitamente non siano stati contabilizzati a causa di errori o inadempienze delle amministrazioni nazionali; ciò in contrasto con lo scopo perseguito nel secondo ‘considerando’ del regolamento n. 1552/89.

56.      Inoltre, un simile risultato sarebbe pure incompatibile con il sistema posto in essere da questo regolamento, il quale prevede nell’art. 17, n. 2, condizioni molto severe per esonerare gli Stati membri dal loro obbligo di mettere a disposizione della Comunità i diritti accertati e i prelievi, quali risorse proprie: occorre che la riscossione non abbia potuto essere effettuata per causa di forza maggiore o che risulti, dopo un attento esame, che essa sia divenuta impossibile per motivi non imputabili allo Stato membro in questione. Ora, l’intento restrittivo di questa disposizione verrebbe disatteso in modo quasi fatale, se essa non si applicasse ai casi in cui gli Stati membri interessati avrebbero dovuto accertare dazi doganali, ma non lo hanno fatto o lo hanno fatto solo parzialmente o fuori termine. Ha infatti poco senso esigere molto dagli Stati membri nell’adempimento degli obblighi conseguenti all’accertamento delle risorse proprie, se l’obbligo di accertamento non si fonda, a sua volta, sull’osservanza di fatto e di diritto delle condizioni oggettive previste.

57.      Trovo conferma di quanto sopra nella giurisprudenza con cui la Corte ha statuito che l’obbligo di accertare la sussistenza dell’obbligazione doganale e quello di trasferirne l’importo sul conto della Commissione entro il termine fissato, eventualmente con gli interessi di mora, sono inscindibilmente collegati  (21) . Il collegamento inscindibile di cui si parla nasce e muore precisamente con l’accertamento delle risorse proprie. Esso non può dipendere dal comportamento arbitrario, oppure negligente di uno Stato membro  (22) .

58.      Infine, ho già fatto presente qui sopra, nella descrizione del contesto della presente causa, che il sistema delle finanze comunitarie è caratterizzato da un insieme il cui equilibrio è vulnerabile: tra le entrate e le uscite, all’interno del complesso delle entrate e all’interno del complesso delle uscite. La vulnerabilità di tale sistema richiede che gli obblighi degli Stati membri nell’accertamento, nella riscossione e nel trasferimento delle risorse proprie siano rigidamente definiti e altrettanto rigidamente rispettati. Ciò non avverrebbe se il peso della negligenza di uno Stato membro nell’accertamento delle risorse proprie tradizionali venisse ridistribuito fra tutti gli Stati membri tramite la così detta risorsa PNL. Tale eventualità, che è in contrasto con la lealtà a cui sono tenuti gli Stati membri anche reciprocamente, deve essere correttamente prevenuta interpretando ed applicando severamente le norme comunitarie.

59.      Sulla base di quanto esposto concludo che le autorità danesi ai sensi dell’art. 2, n. 1, del regolamento n. 1552/89, sulla base dei fatti di causa, avrebbero dovuto accertare un importo pari a DKK 104 409,60 di dazi doganali, quali risorse proprie della Comunità. Tale omissione è già di per sé una violazione degli obblighi gravanti sugli Stati membri ai sensi del diritto comunitario.

D – Il collegamento tra le norme sulle risorse proprie e la legislazione doganale comunitaria

60.      Il governo danese, pur ammettendo che le sue autorità doganali hanno commesso un errore, in seguito al quale taluni dazi doganali non sono stati accertati come risorse proprie, nega di essere ancora tenuto, a causa di tale omissione, a trasferire l’importo delle risorse indebitamente non accertate. Aggiunge che, in questo caso, l’applicazione dell’art. 220, n. 2, sub b, del codice gli impedisce la riscossione dei diritti in questione dai soggetti passivi e che, in mancanza di un’espressa base giuridica corrispondente nell’ordinamento comunitario, non lo si può ritenere «responsabile» per l’errore di valutazione commesso dalla sua amministrazione.

61.      A mio giudizio, questa difesa è insostenibile. Qualora, come sopra appurato al paragrafo 59, si debba riconoscere che il governo danese non ha applicato l’art. 2, n. 1, del regolamento n. 1552/89, allora un importo di DKK 140 409,60 risulta indebitamente non accertato come risorsa propria della Comunità e altrettanto indebitamente non accreditato sul conto della Commissione. Non si può procedere all’esame sulla base di uno dei succitati motivi dell’art. 17, n. 2, di questo regolamento, poiché l’impossibilità della riscossione è conseguenza diretta di un errore di valutazione dell’amministrazione danese. Da ciò deriva che sulla base delle norme comunitarie sulle risorse proprie il governo danese è ancora tenuto ad accreditare le risorse proprie ingiustamente non accertate.

62.      Neppure considero validi gli argomenti che il governo danese desume dall’asserito collegamento tra le norme sulle risorse proprie e le norme doganali comunitarie. Il primo dei citati complessi di norme disciplina il rapporto giuridico tra la Comunità e gli Stati membri in merito all’accertamento e alla trasmissione delle risorse proprie. Il secondo disciplina i rapporti giuridici tra gli Stati membri e le imprese nelle dichiarazione, nell’imposizione e nella riscossione di dazi doganali all’importazione e all’esportazione. Seppur sussista un collegamento tra entrambi i complessi, nel senso che i dazi doganali accertati come risorse proprie ai sensi delle norme doganali applicabili debbono venire accertati, imposti e riscossi tramite le competenti autorità doganali nazionali, tuttavia tale collegamento è principalmente tecnico e funzionale.

63.      In linea di principio, gli inconvenienti che possono occorrere nel rapporto tra le autorità doganali e i soggetti passivi non influiscono sulla gestione svolta tra la Comunità e gli Stati membri delle entrate derivanti dai dazi doganali quali risorse proprie, accertate in quanto tali o che avrebbero dovuto essere accertate  (23) . Se così non fosse, la gestione tra gli Stati membri e la Comunità delle risorse proprie in questione dipenderebbe dai rischi intrinseci nella gestione amministrativa del traffico doganale. Il legislatore comunitario ha precisamente voluto evitare tali rischi tramite l’enumerazione esaustiva, nell’art. 17, n. 2, del regolamento n. 1552/89, delle condizioni che gli Stati membri devono soddisfare per poter essere esonerati dal loro obbligo di accreditare alla Commissione le risorse proprie che essi hanno accertato o avrebbero dovuto accertare.

64.      La regola fondamentale secondo cui si applica alle risorse proprie un sistema esaustivo di norme, che nel caso specifico è costituito dalla decisione sulle risorse proprie del 1994 e dal regolamento n. 1552/89, ammette eccezioni solo se e fintantoché il legislatore comunitario stesso ha associato a determinate occorrenze, che possono verificarsi nell’imposizione e nella riscossione dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione, delle conseguenze espressamente determinate per gli obblighi degli Stati membri, ai sensi delle norme sulle risorse proprie  (24) .

65.      Il governo danese e i governi che sostengono le sue conclusioni hanno replicato che ciò comporterebbe la «responsabilità» degli Stati membri per errori e inadempimenti nell’applicazione della legislazione doganale e che ne sarebbero colpiti soprattutto gli Stati membri che hanno un traffico commerciale particolarmente intenso con i paesi terzi. A prescindere dal fatto che, come già esposto nel paragrafo 47, l’uso del concetto di responsabilità non è corretto, mi pare che questo argomento sia insostenibile anche per altri motivi. Poiché ai sensi dell’art.ᅠ3, n. 4 della decisione sulle risorse proprie del 1994 gli Stati membri possono trattenere il 10% delle risorse proprie tradizionali che devono essere trasferite  (25) , si può affermare che gli Stati membri che dicono di correre rischi sproporzionati, hanno, secondo lo stesso ragionamento, anche entrate sproporzionate. Inoltre tale argomento è curioso anche perché conduce alla conclusione che invece tali rischi dovrebbero essere trasferiti piuttosto sulla Comunità e, indirettamente, sugli altri Stati. Questi ultimi dovrebbero dunque sopportare le conseguenze finanziarie delle trascuratezze amministrative che hanno commesso gli Stati membri in questione nell’applicazione delle norme doganali. Insomma, questi Stati membri vogliono godere i vantaggi, ma non sopportare gli svantaggi.

E – Le conseguenze dell’applicazione dell’art. 220, n. 2, sub b, del codice per gli obblighi derivanti dalle norme sulle risorse proprie

66.      Il governo danese ha affermato che l’applicazione nella presente fattispecie dell’art. 220, n. 2, sub b, del codice in combinato disposto con gli artt. 871 e 873 del regolamento di applicazione n. 2454/93 ha come effetto che l’importo dei dazi all’importazione che le autorità doganali avrebbero dovuto addebitare non può più essere né addebitato, né riscosso. Di conseguenza si applica alla presente situazione la giurisprudenza della Corte, citata dalla Commissione, nelle cause Commissione/Germania  (26) , Commissione/Grecia  (27) e Commissione/Paesi Bassi  (28) . Inoltre, la Commissione avrebbe autorizzato l’applicazione dell’art. 220, n. 2, sub b, del codice nella procedura seguita ai sensi degli artt. 871 e 873 del regolamento di applicazione. Nel far questo avrebbe dovuto naturalmente prendere in conto anche le conseguenze di tale decisione per l’accertamento e la trasmissione delle risorse proprie.

67.      Stabilito dunque che, nel caso specifico, il governo danese avrebbe dovuto accertare e riscuotere un debito doganale di DKK 140 409,60 e che il comportamento delle competenti autorità doganali danesi ha dato adito all’applicazione dell’art. 220, n. 2, sub b, del codice, che ha reso impossibile la riscossione, resta ancora da verificare se, in collegamento con l’applicazione di quest’ultima disposizione, il codice, o un regolamento basato sullo stesso, esoneri il governo danese dall’obbligo di trasferire alla Commissione i dazi doganali che avrebbe dovuto accertare come risorse proprie.

68.      Nel rispondere a questa domanda, voglio premettere che non vi è alcuna singola base giuridica per l’assunto secondo cui non sarebbe necessario trasferire alla Commissione i dazi doganali che avrebbero dovuto essere accertati come risorse proprie. La giurisprudenza della Corte citata qui sopra ai paragrafi 53 e 57 riguardava casi in cui gli Stati membri interessati non avevano tempestivamente accertato prelievi e dazi doganali. In tali casi, l’adempimento tardivo agli obblighi derivanti dalle norme sulle risorse proprie di diritto comunitario ebbe la conseguenza che tali risorse proprie dovettero ancora venire trasferite, maggiorate dagli interessi di mora. Non esiste alcuna differenza di principio tra un comportamento arbitrario o negligente di uno Stato membro che conduca ad un ritardo nella riscossione dei diritti e un comportamento analogo che renda giuridicamente impossibile la riscossione di tali diritti. In entrambi i casi lo Stato membro in questione è responsabile del raggiungimento del risultato perseguito tramite le norme sulle risorse proprie, ossia l’accreditamento delle risorse proprie che lo Stato membro avrebbe dovuto accertare.

69.      La soluzione della questione è di per sé semplice. Né il codice, né il regolamento di applicazione n. 2454/93 contengono una disposizione espressa in forza della quale gli Stati membri che, a causa dell’applicazione dell’art. 220, n. 2, sub b, del codice, non possono più riscuotere dal soggetto passivo i dazi che avrebbero dovuto accertare quali risorse proprie, siano esonerati dal trasmettere alla Commissione i relativi importi.

70.      Da ciò deriva che l’adempimento scorretto degli obblighi risultanti per il Regno di Danimarca dalla decisione sulle risorse proprie del 1994 e dal regolamento n. 1552/89 comporta che lo stesso deve ancora trasferire alla Commissione un importo di DKK 140 409,60 , più gli interessi di mora.

71.      Per completezza, aggiungo che non si può desumere dal coinvolgimento della Commissione nella procedura prevista agli artt. 871 e 873 del regolamento di applicazione n. 2454/93 alcun argomento per sostenere che, quando è stato applicato l’art. 220, n. 2, sub b, del codice, gli Stati membri sono esonerati dai loro obblighi ai sensi delle norme relative alle risorse proprie.

72.      In primo luogo, tali disposizioni non attribuiscono alla Commissione una competenza di questo tipo. Inoltre, una simile competenza sarebbe fuori luogo proprio nell’ambito di tale procedura, poiché la Commissione avrebbe dovuto bilanciare l’applicazione del principio giuridico di tutela del legittimo affidamento per il soggetto passivo con le possibili conseguenze di ciò per le finanze comunitarie. In terzo luogo, il coinvolgimento della Commissione nella procedura in questione comporta una responsabilità completamente diversa dal controllo sull’osservanza delle norme per le risorse proprie, e precisamente la responsabilità per l’applicazione equa ed uniforme del diritto doganale comunitario.

F – Spese

73.      Poiché ritengo fondati i motivi di ricorso della Commissione, ritengo opportuno concludere che il Regno di Danimarca venga condannato alle spese.

VI – Conclusione

74.      In base alle considerazioni che precedono propongo alla Corte quanto segue.

1)
dichiarare ricevibile il ricorso della Commissione;

2)
constatare che il Regno di Danimarca, per non aver accertato correttamente un importo di DKK 140 409,60 di dazi all’importazione, e per non averlo messo a disposizione della Commissione a titolo di risorse proprie, maggiorato di interessi di mora da calcolarsi a decorrere dal 20 dicembre 1999, non ha adempiuto gli obblighi a cui è tenuto ai sensi del diritto comunitario, in particolare quelli che derivano dagli artt. 2 e 8 della decisione del Consiglio 31 ottobre 1994, 94/728/CE, Euratom, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee, nonché dall’art. 2, n. 1, del regolamento del Consiglio 29 maggio 1989 (CEE, Euratom) n. 1552, recante applicazione della decisione 88/376/CEE, Euratom relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità;

3)
condannare il Regno di Danimarca alle spese.


1
Lingua originale: l'olandese.


2
GU L 293, pag. 9.


3
GU L 244, pag. 27.


4
GU L 155, pag. 1.


5
GU L 175, pag. 3


6
GU L 302, pag. 1.


7
GU L 253, pag. 1.


8
GU L 212, pag. 18.


9
GU L 187, pag. 16.


10
GU L 82, pag. 1.


11
Sentenza 20 marzo 1986 (Racc. pag. 1171, punti 17‑19).


12
GU L 356, pag. 1.


13
Regolamento del Consiglio 9 aprile 2001, n. 762, che modifica il regolamento finanziario del 21 dicembre 1977 applicabile al bilancio generale delle Comunità europee per quanto riguarda la separazione della funzione di audit interno e di controllo finanziario ex ante (GU L 111, pag. 1.)


14
Sentenza 5 maggio 1977 (Racc. pag. 851).


15
Sentenza 16 maggio 1991 (Racc. pag. I‑2461).


16
Regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, relativo al ricupero a posteriori dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento (GU L 197, pag. 1).


17
Cit. alla nota 11, v. pag. 1176 e 1177.


18
Sentenza Commissione/Germania, cit. alla nota 11 (punto 17).


19
Sentenza 21 settembre 1989, causa 68/88 (Racc. pag. 2965, punto 14).


20
Cit. alla nota 15 (punti 37 e 38).


21
V. sentenze Commissione/Germania (cit. alla nota 11, punto 11), Commissione/Grecia (cit. alla nota 19, punto 17) e Commissione/Paesi Bassi (cit. alla nota 15, punto 38).


22
Commissione/Paesi Bassi (cit. alla nota 15, punto 37).


23
Comè già sancito dalla Corte nella sentenza Pretore di Cento (cit. alla nota 14, punti 4‑6).


24
La regola fondamentale qui ricordata, che prevede una rigida distinzione tra la sfera delle risorse proprie e quella della legislazione doganale, è desumibile anche dalla giurisprudenza della Corte. V., fra l'altro, sentenze 7 settembre 1999, causa C‑61/98, De Haan Beheer BV (Racc. pag.  I‑5003, punti 34 e 35) e 14 novembre 2002, causa C‑112/01, SPKR 4 n. 3482 ApS (Racc. pag. I‑10655, punto 34).


25
Attualmente il 25%. V. art. 2, n. 3 della decisione del Consiglio 29 settembre 2000 relativa al sistema delle risorse proprie della Comunità europea [GU L 253, pag. 42. (Decisione sulle risorse proprie 2000)].


26
Cit. alla nota 11.


27
Cit. alla nota 19.


28
Cit. alla nota 15.

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