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Document 62002CC0040

Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 10 aprile 2003.
Margareta Scherndl contro Bezirkshauptmannschaft Korneuburg.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Unabhängiger Verwaltungssenat im Land Niederösterreich - Austria.
Direttiva 90/496/CEE - Etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari - Contenuto di vitamine - Valore dichiarato - Valore medio - Data di riferimento - Scostamenti ammessi tra valore dichiarato e valore constatato in occasione di controlli ufficiali - Proporzionalità - Certezza del diritto.
Causa C-40/02.

Raccolta della Giurisprudenza 2003 I-12647

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2003:233

62002C0040

Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 10aprile2003. - Margareta Scherndl contro Bezirkshauptmannschaft Korneuburg. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Unabhängiger Verwaltungssenat im Land Niederösterreich - Austria. - Direttiva 90/496/CEE - Etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari - Contenuto di vitamine - Valore dichiarato - Valore medio - Data di riferimento - Scostamenti ammessi tra valore dichiarato e valore constatato in occasione di controlli ufficiali - Proporzionalità - Certezza del diritto. - Causa C-40/02.

raccolta della giurisprudenza 2003 pagina I-12647


Conclusioni dell avvocato generale


1. L'Unabhängiger Verwaltungssenat im Land Niederösterreich (Austria) (in prosieguo: il «giudice a quo») interpella questa Corte in merito all'interpretazione e alla validità degli artt. 1, n. 4, lett. c), e 8, n. 6, della direttiva del Consiglio 24 settembre 1990, n. 90/496/CEE relativa all'etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari .

Quadro giuridico

A - Normativa comunitaria

2. Ai sensi dell'art. 1, n. 4, lett. k) della direttiva 40/496, si intende per: valore medio: il valore che rappresenta meglio la quantità di un nutrimento contenuto in un dato alimento tenendo conto delle tolleranze dovute alle variazioni stagionali, alle abitudini di consumo e agli altri fattori che possono farne variare il valore effettivo.

3. L'art. 6, n. 8, della direttiva 90/496 così dispone:

«I valori dichiarati sono valori medi debitamente stabiliti, a seconda dei casi, in base:

a) alle analisi dell'alimento effettuate dal produttore;

b) al calcolo in base ai valori medi noti o effettivi degli ingredienti impiegati;

c) ai codici in base a dati generalmente fissati e accettati.

Sono decisi, secondo la procedura prevista all'articolo 10, modalità d'applicazione del primo comma segnatamente per quanto riguarda i divari fra i valori dichiarati e quelli constatati nei controlli ufficiali» .

4. Ai sensi dell'art. 7, n. 3, della direttiva 90/496:

«Gli Stati membri si astengono dall'introdurre requisiti più particolareggiati di quelli già contenuti nella presente direttiva in materia di etichettatura nutrizionale».

B - Normativa nazionale

5. L'art. 74 del Gesetz über den Verkehr mit Lebensmitteln, Verzehrprodukten, Zusatzstoffen, kosmetischen Mitteln un Gebrauchsgegenständen, del 23 gennaio 1975 (Lebensmittelgesetz 1975) (legge relativa allo smercio delle derrate alimentari, dei prodotti di consumo, degli additivi, dei cosmetici e dei prodotti di uso, BGBl. 1975, pag. 86 e BGBl. 2001, pag. 98, in prosieguo: «LMG»), così dispone:

«1) Chiunque apponga un'etichettatura non corretta ai sensi dell'art. 6, lett. a), b) o e) su prodotti alimentari, prodotti per il consumo, additivi, cosmetici o prodotti di uso, ovvero immette nel commercio dei prodotti alimentari prodotti di consumo o additivi cosmetici o prodotti di uso la cui etichettatura non è corretta, incorre in infrazione amministrativa ed è punito dall'autorità amministrativa del distretto con un'ammenda fino a EUR 7 300, salvo più grave sanzione prevista dall'art. 63, paragrafo 2 Z 1.

(...)

4) Chiunque violi le norme di un regolamento adottato sulla base dell'art. 10, incorre in infrazione amministrativa ed è punito ai sensi del n. 1, salvo più grave sanzione prevista dagli artt. da 56 a 64 o altre disposizioni».

6. L'art. 2 della Verordnung des Bundesministers für Gesundheit und Konsumentenschutz über die Nährwertkennzeichnung von Lebensmitteln (Nährwertkennzeichnungs- Verordnung) (regolamento relativo all'etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari, BGBl. 1995, pag. 896; in prosieguo: «NWKV») adottata in applicazione dell'art. 10 del LMG, dispone quanto segue:

«1) Fatto salvo il n. 2, l'etichettatura nutrizionale è facoltativa.

2) Qualora un'affermazione nutrizionale figuri nell'etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità - escluse campagne pubblicitarie collettive - l'etichettatura nutrizionale deve contenere le indicazioni previste dall'art. 5. Nel caso di commercializzazione di prodotti alimentari non confezionati, l'etichettatura può limitarsi alla dichiarazione dei valori ai quali le indicazioni nutrizionali fanno riferimento».

7. Secondo l'art. 6 della NWKV:

«Ai fini del presente regolamento si intende per

(...)

9. Valore medio: valore che rappresenta meglio la qualità di un nutrimento contenuto in un dato alimento tenendo conto delle tolleranze dovute alle variazioni stagionali, alle abitudini di consumo e agli altri fattori che possono farne variare il valore effettivo».

8. Ai sensi dell'art. 8 della NWKV:

«1) L'indicazione del valore energetico e del tenore nutrizionale o degli elementi nutritivi deve essere espresso in cifre. A tal proposito vanno usate le seguenti unità di misura:

(...)

4. vitamine e nutrimenti: le unità indicate in allegato.

2) I valori che debbono essere indicati conformemente al n. 1 sono valori medi debitamente stabiliti sulla base, a seconda dei casi:

1. dell'analisi dell'alimento effettuata dal produttore;

2. del calcolo effettuato a partire dai valori medi noti o effettivi relativi agli ingredienti utilizzati;

3. del calcolo effettuato a partire da dati generalmente accertati e accettati».

II - La controversia di cui alla causa a qua

9. Con decisione amministrativa a carattere penale (Straferkenntnis) del Bezirkshauptmannschaft Korneuburg (Austria) 30 luglio 2001, la sig.ra Scherndl, veniva riconosciuta colpevole, nella sua qualità di responsabile dell'impresa Hofer KG, di aver violato le disposizioni del LMG o della NWKV, in quanto, ponendo in commercio il 5 luglio 2000 a Stockerau (Austria) il succo di ananas «Premium Ananassaft 100%», il tenore in vitamina C, fissato per tale prodotto (tenore di acido ascorbico) si discostava del 40% dal tenore indicato. Mentre su tale prodotto era indicato un tenore di acido ascorbico di 300mg/l, un'analisi effettuata dall'istituto federale per il controllo e l'analisi degli alimenti (in prosieguo: l'«istituto») il 25 ottobre 2000 avrebbe indicato un tenore di acido ascorbico di 430mg/l.

10. Nel corso del procedimento la sig.ra Scherndl ha sostenuto che il calcolo del valore medio, in applicazione della direttiva 90/496 e, pertanto, dalla normativa nazionale che traspone tale direttiva, era previsto in modo da creare un ampio margine. Se è comprensibile, secondo la sig.ra Scherndl, che il consumatore auspichi un'etichettatura che indica dei valori alla data dell'acquisto o del consumo, la stessa ritiene che una siffatta etichettatura non è possibile, allorché il prodotto ha una durata di conservazione abbastanza lunga. Le indicazioni relative ai dati nutrizionali potrebbero, di conseguenza, riferirsi a qualsiasi momento tra la vendita al consumatore finale e la scadenza del periodo di conservazione indicato. Tenuto conto del fatto che il contenuto in vitamine potrebbe diminuire considerevolmente sotto l'influenza di fattori esterni, come l'aria, la luce, la temperatura ecc. e il trascorrere del tempo, i valori indicati o il calcolo del valore medio si riferirebbero alla scadenza del termine minimo di conservazione. Nella misura in cui le vitamine menzionate nella direttiva 90/496 o nella NWKV non provocherebbero ipervitaminosi né esisterebbero obiezioni ad un sovradosaggio, i valori sarebbero stati previsti dal produttore in modo che ad essi verrebbe ancora soddisfatto alla fine del periodo minimo di conservazione.

11. Dall'ordinanza di rinvio risulta altresì che una perizia presentata dalla sig.ra Scherndl sul prodotto di cui trattasi evidenzia variazioni sensibili nelle constatazioni dei dati relativi al contenuto di acido ascorbico.

12. Secondo l'istituto, quando si fa riferimento ai dati che indicano la fine del periodo minimo di conservazione, non si può più parlare di indicazioni aventi ad oggetto «il valore nutrizionale» ma di «valore nutrizionale residuo». Non sarebbe conforme alle abitudini generali in materia di acquisto o di consumo acquistare o consumare derrate alimentari l'ultimo giorno della loro durata di validità. Nella dottrina verrebbe altresì affermato che l'ipervitaminosi di vitamina D e acido folico avrebbe un «effetto fuorviante» che può nascondere un'anemia perniciosa. Il punto di vista della sig.ra Scherndl si ispirerebbe in parte a raccomandazioni di associazioni tedesche, le quali non rifletterebbero il concetto generalmente ammesso dall'insieme delle categorie delle persone riguardate in Austria.

13. Da parte sua, il giudice a quo osserva che la NWKV traspone la direttiva 90/496 della quale vengono riprese in maniera identica numerose disposizioni. Conformemente all'art. 7, n. 3, di tale direttiva, la NWKV, a parere del detto giudice, rinuncia a fissare modalità più particolareggiate rispetto a quelle contenute nella detta direttiva.

14. Secondo il giudice a quo, la questione delle condizioni di fissazione di un valore medio trova la sua soluzione esclusivamente nel diritto comunitario. Aggiunge che le norme contenute nella direttiva 90/496, le quali sono state riprese senza modifiche nella NWKV, sono trasposte mediante corrispondenti norme penali - in concreto, sotto forma di una norma le cui modalità di attuazione restano da definirsi (norma in bianco). Di conseguenza, si dovrebbero applicare alle norme di comportamento sopra citate, i criteri applicabili alle norme penali, ma sarebbero stati avanzati seri dubbi circa la questione se siano state soddisfatte le condizioni per applicare i detti criteri.

15. Il giudice a quo considera che dagli argomenti avanzati dalla sig.ra Scherndl e dall'istituto, come pure dalle spiegazioni fornite nella dottrina, risulta chiaramente che la direttiva 90/496 e, quindi, la NWKV prescrivono per vero l'indicazione di valori medi, ma fatta salva una vaga descrizione - formulata cioè in termini imprecisi - di ciò che il Consiglio intende come «valore medio» non forniscono una definizione di tale valore medio idonea a rendere tale norma comprensibile e applicabile. Difetterebbe in particolare sia un dato di riferimento come pure l'indicazione precisa delle fluttuazioni accettate o tollerate.

16. Né gli operatori economici riguardati, né l'amministrazione sarebbero in grado di valutare gli obblighi che ne derivano, di modo che risulterebbe vero che la direttiva 90/496 non consentirebbe di risolvere la questione se l'opzione sostenuta dalla sig.ra Scherndl corrisponda o meno agli imperativi figuranti nella NWKV o alla volontà del Consiglio. Tenuto conto dell'assoluta imprecisione della direttiva 90/496, laddove disciplina l'etichettatura nutrizionale relativa alle vitamine, le sue disposizioni non sarebbero applicabili, e, gli Stati membri in applicazione dell'art. 7, n. 3, di tale direttiva, non avrebbero neanche la possibilità di adottare norme che compensano tale importante carenza.

17. Secondo il giudice a quo, il quale fa riferimento alla sentenza 17 maggio 2001, Commissione/Italia , la direttiva 90/496 non è conforme al principio di certezza giuridica e di precisione delle norme applicabili e non soddisfa neanche la condizione posta dall'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali .

18. Inoltre, se si dovesse seguire il punto di vista esposto dalla sig.ra Scherndl, cioè che la definizione del valore medio o il suo calcolo da parte del responsabile lascia a quest'ultimo un ampio margine di discrezionalità per il calcolo della data di riferimento e il metodo di calcolo, risulterebbe evidente che una siffatta indicazione del valore nutrizionale - anche se, secondo le indicazioni della direttiva 90/496, è «facile a comprendersi» - perderebbe tutta la sua pertinenza e suggerirebbe al consumatore che il prodotto di cui trattasi possiede talune qualità che non ha (o non può avere) contrariamente a quello che è l'obiettivo della direttiva di cui trattasi.

19. Il giudice a quo sottolinea che la normativa controversa comporta per il produttore restrizioni al suo diritto alla proprietà o al libero esercizio delle sue attività professionali, che sono giustificabili solo se servono, in particolare, a raggiungere concretamente una migliore informazione del consumatore sulle qualità del prodotto di cui trattasi e se sono proporzionate. Orbene, tale non è il caso che ricorre nella specie, con la conseguenza che non le si dovrebbero applicare già per il fatto che sarebbero in contrasto con il principio di proporzionalità.

III - Le questioni pregiudiziali

20. Alla luce di quanto sopra considerato il giudice a quo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se nelle indicazioni relative al contenuto di vitamine si possa parlare di un valore medio ai sensi dell'art. 1, lett. k) della direttiva del Consiglio 24 settembre 1990, 90/496/CEE, nel caso in cui la quantità indicata in cifre, basata sull'analisi dell'alimento effettuata dal produttore ai sensi dell'art. 6, n. 8, lett. a), della medesima direttiva, riguardi un valore riscontrabile nel prodotto alla fine della data limite di conservazione.

2) Se la definizione di valore medio di cui all'art. 6, n. 8, della direttiva sull'etichettatura nutrizionale lasci libera scelta circa la data di riferimento e la portata dei divari tollerati.

3) Se la direttiva sia inapplicabile, nella parte in cui contiene indicazioni del valore nutrizionale relative al contenuto di vitamine, perché:

a) è troppo imprecisa con riguardo, alla definizione di valore medio [art. 1, lett. k), della direttiva sull'etichettatura nutrizionale] nonché al suo metodo di calcolo (art. 6, n. 8, della stessa direttiva) e,

b) contiene disposizioni sproporzionate rispetto allo scopo che persegue».

IV - Analisi

A - Sulla prima e seconda questione pregiudiziale

21. Suggerisco di esaminare insieme tali questioni vertenti entrambi sulla data di riferimento da prendere in considerazione nella determinazione del valore medio.

22. Infatti, il giudice a quo, mentre con la prima questione pregiudiziale vuole in sostanza sapere se l'art. 1, n. 4, lett. k), della direttiva 90/496 osti a che tale data di riferimento sia la data limite di conservazione, con la seconda questione pregiudiziale il detto giudice vuole sapere se la direttiva 90/496 consente di scegliere liberamente la data di riferimento nonché la portata dei divari tollerati.

1. Osservazioni degli intervenienti

23. Nelle sue osservazioni scritte, la sig.ra Scherndl riprende ampiamente le considerazioni da lei già sviluppate dinanzi al giudice a quo . Aggiunge ancora che il consumatore ha diritto a che il valore indicato sull'imballaggio sia disponibile anche l'ultimo giorno della data indicata. E' di conseguenza indispensabile, a suo avviso, procedere ad un sovradosaggio di vitamina C in ragione del fatto che questa viene eliminata durante l'immagazzinaggio. Sostiene che tale sovradosaggio costituisce una prassi abitualmente seguita dai produttori di succhi di frutta.

24. La sig.ra Scherndl suggerisce di risolvere la prima questione pregiudiziale nel senso che, per quanto riguarda indicazioni relative al contenuto in vitamine, si può parlare di valore medio ai sensi dell'art. 1, lett. k), della direttiva 90/496 anche quando la cifra indicata, basata su un'analisi del prodotto di cui trattasi effettuata dal produttore in applicazione dell'art. 6, n. 8, primo comma, lett. a), di quest'ultima direttiva, rappresenta il valore del prodotto alla scadenza del periodo minimo di conservazione.

25. Per quanto riguarda la seconda questione pregiudiziale, la sig.ra Scherndl suggerisce di risolverla dichiarando che la definizione di valore medio, di cui all'art. 6, n. 8, della direttiva 90/496, consente di scegliere liberamente la data di riferimento e la portata dei divari tollerati.

26. Facendo riferimento all'art. 1, n. 4, lett. k), della direttiva 90/496, la Commissione sottolinea che il legislatore comunitario «prescrive di scegliere "(...) il valore che rappresenta meglio la quantità di un nutrimento contenuto in un dato alimento (...)" tenendo conto dei fattori che possono influenzare il valore effettivo del nutrimento» .

27. A suo avviso, la questione che si pone è pertanto quella di sapere se un valore medio che si basa sul tenore del nutrimento alla fine del periodo di durata minimo sia ancora «rappresentativo» ai sensi delle definizioni della direttiva 90/496.

28. A questo proposito la Commissione osserva che, ai sensi dell'art. 3, n. 1, punto 5, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità , il termine minimo di conservazione figura tra le menzioni obbligatorie dell'etichettatura dei prodotti alimentari e, ai sensi dell'art. 9, n. 1, della detta direttiva, esso è la data fino alla quale il detto prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Nel caso in cui l'etichettatura nutrizionale rivesta altresì carattere di pubblicità, conformemente all'art. 3, lett. a), della direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, n. 84/450/CEE relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole , come modificata con direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, n. 97/55/CEE , occorre vigilare a che i consumatori non siano indotti in errore per quanto riguarda le caratteristiche dei prodotto, per esempio, le loro specifiche.

29. Secondo la Commissione, se il produttore aggiunge all'etichettatura dati nutrizionali che contengono, tra altro, tenori in vitamine, il fatto che il valore medio sia fissato sulla base del principio che tale valore non è attenuato alla fine del termine minimo di conservazione, cioè che il quantitativo di nutrimento o di vitamina è ancora presente nell'alimento per tale data nella proporzione indicata, non contrasta con la rappresentatività del valore medio ai sensi della definizione di cui all'art. 1, n. 4, lett. k), della direttiva 90/496.

30. La Commissione suggerisce pertanto di risolvere la prima questione pregiudiziale nel senso che, allorché il tenore di vitamine di un prodotto, espresso in valore medio, corrisponde al quantitativo di tale vitamina ancora presente nel prodotto alla scadenza del termine minimo di conservazione una siffatta menzione non contraddice la definizione di valore medio contenuta nell'art. 1, n. 4, lett. k), della direttiva.

31. Per quanto riguarda la seconda questione pregiudiziale, la Commissione rileva che gli artt. 6, n. 8, e 1, n. 4, lett. k), della direttiva 90/496 non forniscono precisazioni per quanto riguarda la data di riferimento. Pertanto, dal momento che tali disposizioni non restringono la scelta della data di riferimento, è evidente che, per quanto riguarda sostanze come la vitamina C, il valore medio varia in funzione della data di riferimento scelta.

32. Per quanto riguarda il divario tollerato tra il valore effettivo e il valore medio dichiarato, la Commissione ritiene che esso dipenda, tra altro, dalla rapidità con la quale l'alimento riguardato è deperibile in talune condizioni e dal periodo che trascorre tra la produzione dell'alimento e la scadenza del suo termine minimo di conservazione.

33. Finora, secondo la Commissione, il legislatore comunitario non si è avvalso né dalla possibilità contemplata nell'art. 6, n. 8, secondo comma, della direttiva 90/496 di fissare «le modalità d'applicazione del primo comma, segnatamente per quanto riguarda i divari tra i valori dichiarati e quelli constatati nei controlli ufficiali» né ha fissato margini di tolleranza generali per la vitamina C. La Commissione ritiene pertanto che gli Stati membri sono liberi di fissare tale dettaglio tecnico - da stabilire per ogni nutrimento - in funzione delle loro proprie conoscenze e esperienze o di continuare ad applicare la loro normativa nazionale in vigore fino a che non sarà intervenuta un'armonizzazione.

34. La Commissione sostiene che considerata la notoria instabilità della vitamina C, secondo le informazioni in suo possesso, sono generalmente ammessi divari varianti tra il -20% e il -50%. Tra gli Stati membri che hanno notificato alla Commissione i loro margini di tolleranza, la Repubblica italiana ha comunicato un divario tra il -20% a +100% per la vitamina C nell'ambito della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, n. 98/34/CE, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche .

35. In concreto, la Commissione considera che né divari del 40% del valore dichiarato né il fatto che il valore si basa sulla fine del termine minimo di conservazione sono elementi che consentano di considerare un dato nutrizionale sul tenore dei succhi di vitamina C in contrasto con il diritto comunitario.

36. Suggerisce di risolvere la seconda questione pregiudiziale nel senso che il combinato di cui alla direttiva 40/496 e altre disposizioni del diritto comunitario non concede agli Stati membri «la libera scelta» per quanto riguarda la data di riferimento e i divari tollerati, ma prescrive la scelta del valore che rappresenta «meglio» il nutrimento contenuto nell'alimento tenendo conto di taluni fattori e nell'ambito di un dato margine di tolleranza, conformemente all'art. 1, n. 4, lett. k), della direttiva.

37. Il Consiglio non prende posizione sulla prima e sulla seconda questione pregiudiziale.

2. Valutazione

38. Si deve constare che la direttiva 90/496 non precisa né la data (o le date) di riferimento da prendere in considerazione nella determinazione del valore medio, né il divario ammesso tra il valore medio indicato sull'etichetta, da un lato, e il valore medio effettivamente constatato in occasione di un controllo, dall'altro.

39. Le disposizioni della direttiva 40/496 che trattano del valore medio, si limitano, infatti, da un lato, a definirlo, in termini generali, come il valore che rappresenta meglio la quantità di un nutrimento contenuto in un dato alimento, tenendo conto dei fattori che possono influire sul valore effettivo del nutrimento [art. 1, n. 4, lett. k)], e, dall'altro lato, a stabilire gli elementi sulla base dei quali il valore medio deve essere fissato (art. 6, n. 8, primo comma).

40. Tuttavia, la direttiva 40/496 e, più esattamente, il suo art. 6, n. 8, secondo comma, attribuisce alla Commissione la competenza per disporre, secondo il procedimento previsto all'art. 10 della direttiva stessa, le modalità di applicazione «(...) per quanto riguarda, in particolare, i divari tra i valori dichiarati e quelli constatati nei controlli ufficiali (...)» competenza che mi sembra riguardare altresì, in ragione del termine «in particolare», la fissazione della data (o delle date) di riferimento da prendere in considerazione nella determinazione del valore medio.

41. Dal momento però che come è stato esposto dalla Commissione, siffatte modalità di applicazione non sono state ancora disposte, è di competenza degli Stati membri apportare, nelle more, le necessarie precisazioni?

42. Ritengo la risposta positiva.

43. Si deve infatti ricordare che la direttiva 90/496 si basa sull'art. 100 A del Trattato CE (divenuto a seguito di modifica, art. 95 CE). I provvedimenti che possono essere adottati sulla base di tale articolo non si limitano al ravvicinamento delle normative nazionali, ma includono altresì, come ricorre nel caso di specie per l'art. 6, n. 8, secondo comma, della direttiva 90/496, l'adozione di disposizioni che prevedono l'intervento delle autorità comunitarie .

44. Tuttavia, poiché l'art. 100 A del trattato consente alla Comunità di intervenire in settori che rientrano nella competenza degli Stati membri, tale competenza può essere limitata solo nella misura in cui siano state effettivamente adottate norme conformemente all'art. 100 A del Trattato. Pertanto, il solo fatto che, sulla base di questa stessa disposizione, la Commissione decide che deciderà non è sufficiente concludere che una determinata materia non rientra più nella competenza degli Stati membri.

45. Pertanto, in mancanza dell'attuazione dell'art. 6, n. 8, secondo comma, della direttiva 90/496, spetta agli Stati membri precisare la data (o le date) di riferimento nonché i divari ammissibili nel rispetto delle disposizioni e dell'obiettivo della direttiva 90/496.

46. Al pari della Commissione, sono del parere che questa tesi non è contraddetta dall'art. 7, n. 3, della direttiva 90/496 ai sensi della quale «gli Stati membri si astengono dall'introdurre requisiti più particolareggiati di quelli già contenuti nella presente direttiva in materia di etichettatura nutrizionale».

47. Si deve infatti leggere tale disposizione in combinato con i primi due numeri di questo stesso articolo dai quali risulta che essa riguarda il modo con il quale le etichette debbono presentarsi. Il n. 3 deve pertanto essere considerato come riferentesi a questo stesso argomento, e non ad altre materie come il metodo per stabilire il valore medio.

48. Come considerare tuttavia il caso in cui lo Stato membro non abbia precisato la data o le date di riferimento e neppure i divari ammissibili? Questo sembra infatti essere il caso di specie, poiché il giudice a quo ci precisa che la normativa nazionale ha rinunciato a fissare modalità più particolareggiate rispetto alle disposizioni della direttiva.

49. Si deve a questo proposito ricordare che «(...) l'obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa previsto, come pure l'obbligo loro imposto dall'art. 5 del Trattato CE (divenuto art. 10 CE) di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l'adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell'ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali (v., in particolare, sentenza 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro, Racc. pag. I-4705, punto 41)» .

50. Più esattamente, tenendo conto del fatto che il giudice a quo è chiamato ad applicare una normativa nazionale di carattere penale, sono del parere che occorre prendere a riferimento la sentenza 12 dicembre 1996, X , dove la Corte ha giudicato quanto segue:

«25 Per quanto riguarda più in particolare un caso come quello in esame nel procedimento a quo, che verte sull'estensione della responsabilità penale risultante da una legge adottata in particolare per trasporre una direttiva, occorre precisare che il principio che ordina di non applicare la legge penale in modo estensivo a discapito dell'imputato, che è il corollario del principio della previsione legale dei reati e delle pene, e più in generale del principio di certezza del diritto, osta a che siano intentati procedimenti penali a seguito di un comportamento il cui carattere censurabile non risulti in modo evidente dalla legge. Tale principio, che fa parte dei principi generali di diritto poiché si trova alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, è stato altresì sancito da diversi trattati internazionali e, in particolare, dall'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (v., in particolare, sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo 25 maggio 1993, Kokkinakis, serie A, n. 260-A, punto 52, e 22 novembre 1995, S.W./Regno Unito e C.R./Regno Unito, serie A, n. 335-B, punto 35, e 335-C, punto 33).

26. Di conseguenza spetta al giudice a quo garantire il rispetto di tale principio in sede di interpretazione, alla luce del testo e della finalità della direttiva, del diritto nazionale adottato per attuare quest'ultima».

51. Mi pare pertanto che nella specie, nell'interpretare, alla luce del testo e della finalità della direttiva 90/496, le norme nazionali adottate per dare attuazione alla detta direttiva, il giudice a quo deve applicare il menzionato principio il quale osta a che procedimenti penali vengano intrapresi in conseguenza di un comportamento la cui punibilità non risulta chiaramente dalla legge.

52. In concreto, per quanto riguarda la determinazione della data di riferimento, una soluzione potrebbe, se del caso, consistere nel fatto che, come sostenuto dalla sig.ra Scherndl, il giudice a quo accolga come data di riferimento la data limite di conservazione.

53. Sono in effetti del parere - e ora affronto in realtà la prima delle questioni pregiudiziali - che la direttiva 90/496 non osti a che la cifra che indica il valore medio rappresenti il valore del prodotto alla fine del periodo di conservazione.

54. Si deve a questo proposito constatare che l'art. 1, n. 4, lett. k), della direttiva 90/496 definisce il valore medio in termini generali, come il valore che rappresenta meglio la qualità di un nutrimento contenuto in un dato alimento, tenendo conto dei fattori che possono far variare il valore effettivo del nutrimento.

55. Orbene, tale definizione non osta a che, per quanto riguarda sostanze come la vitamina C, di cui non viene contestato il fatto che la sua presenza può diminuire sotto l'influenza di fattori esterni come l'aria, la luce, la temperatura ecc., sia considerato come valore medio il valore della sostanza alla fine del termine minimo di conservazione.

56. Questa interpretazione mi pare confermata dalla direttiva 2000/13 alla quale la Commissione fa riferimento. Se infatti il termine minimo di conservazione di un prodotto alimentare è la data fino alla quale lo stesso conserva le sue proprietà specifiche in condizioni di conservazione appropriate , non si può contestare la validità di un'etichetta che indica la presenza di vitamina C che il prodotto alimentare di cui trattasi avrà per tale data.

57. Aggiungo che, nel caso in cui il valore che figura sull'etichetta non fosse più presente prima del termine minimo di conservazione, il consumatore avrebbe il diritto di ritenersi indotto in errore.

58. Tenuto conto di tutto quanto sopra precede, suggerisco pertanto di risolvere le prime due questioni pregiudiziali nel senso che, in assenza dell'attuazione dell'art. 6, n. 8, secondo comma, della direttiva 90/496, spetta agli Stati membri precisare la data (o le date) di riferimento da prendere in considerazione nella determinazione del valore medio nonché la portata dei divari tollerati, nel rispetto delle disposizioni e dell'obiettivo di questa stessa direttiva. A questo proposito, l'art. 1, n. 4, lett. k), della direttiva 90/496 non osta a che la cifra che indica il valore medio e che è basata su un'analisi del prodotto di cui trattasi effettuata dal produttore in applicazione dell'art. 6, n. 8, primo comma, lett. a), della medesima direttiva, rappresenti il valore del prodotto alla scadenza del termine minimo di conservazione.

B - Sulla terza questione pregiudiziale

59. Con la terza questione pregiudiziale il giudice a quo esprime dubbi circa la validità della direttiva 90/496 per il motivo che, a suo avviso,

«a) [essa] è troppo imprecisa con riguardo, alla definizione di valore medio nutrizionale [art. 1, lett. k), della direttiva relativa all'etichettatura nutrizionale] nonché al suo metodo di calcolo (art. 6, n. 8, della direttiva relativa all'etichettatura nutrizionale) ovvero

b) (...) contiene disposizioni sproporzionate rispetto all'obiettivo che persegue».

1. Osservazioni degli intervenienti

60. La sig.ra Scherndl suggerisce di risolvere tale questione nel senso che la direttiva 90/496 non vada applicata nella parte in cui contiene indicazioni relative al valore nutrizionale, per il motivo che è troppo imprecisa e che le disposizioni in essa contenute sono sproporzionate rispetto all'obiettivo da raggiungere.

61. Il Consiglio dal canto suo ritiene che la direttiva 90/496 sia valida.

62. Sostiene che, per quanto riguarda l'indicazione del valore nutrizionale sulla base del tenore di vitamine, la direttiva 90/496 risponde all'esigenza della certezza del diritto. Non solo, il Consiglio avrebbe definito la nozione di valore medio all'art. 1, n. 4, lett. k), di tale direttiva, con riguardo alle fluttuazioni del valore effettivo dovute alle variazioni stagionali, all'immagazzinaggio e ad altri fattori, ma avrebbe altresì menzionato espressamente, all'art. 6, n. 8, primo comma della medesima direttiva i fattori che possono intervenire nella determinazione dei valori medi ai fini della determinazione di un «valore dichiarato».

63. Del resto, secondo la Commissione, anche se la Corte dovesse ritenere che l'espressione «valore medio» e l'art. 6, n. 8, primo comma della direttiva 90/496 isolatamente considerati fossero troppo poco precisi, ciò non implicherebbe per ciò solo l'inapplicabilità di tali disposizioni. Infatti, il procedimento previsto dall'art. 6, n. 8, secondo comma della detta direttiva risponde globalmente a eventuali esigenze di chiarimenti. Il Consiglio ritiene, inoltre, che sarebbe difficile se non addirittura impossibile prevedere nella direttiva una definizione del valore medio sufficientemente precisa da coprire tutto il ventaglio delle situazioni che possono presentarsi. A parere del Consiglio è preferibile regolare tali questioni nell'ambito di un procedimento di comitato piuttosto che nella direttiva stessa.

64. Il Consiglio aggiunge che, contrariamente a quanto affermato dal giudice del rinvio, le regole sulla cui base è possibile accertare se la disposizione della direttiva 90/496 di cui trattasi integri le condizioni di specificità, di precisione e chiarezza, non sono regole di diritto penale. Infatti, le disposizioni della detta direttiva non avrebbero carattere penale e se gli Stati membri dovessero prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive in caso di violazione del diritto comunitario, non per questo tale direttiva obbligherebbe gli Stati membri a prevedere sanzioni penali a tal fine. La validità della direttiva non potrebbe pertanto essere messa in discussione unicamente in ragione del fatto che la Repubblica austriaca ha introdotto sanzioni penali al fine di garantire l'effettiva applicazione della direttiva 90/496.

65. Il Consiglio considera altresì che la direttiva 90/496, comprese le disposizioni riguardate, non eccedono quanto è necessario per raggiungere l'obiettivo fissato all'art. 95 CE dell'instaurazione del mercato interno sulla base di un livello elevato di protezione della salute e dei consumatori.

66. La direttiva 90/496 partirebbe dal presupposto che esiste una correlazione tra l'alimentazione e la salute, che la conoscenza dei principi di base della nutrizione ed un'etichettatura nutrizionale adeguata dei prodotti alimentari contribuirebbero in maniera apprezzabile a consentire al consumatore di scegliere un'alimentazione appropriata e che l'etichettatura dovrebbe favorire le azioni condotte nel settore dell'educazione alimentare del grande pubblico (v., in particolare, il secondo, il quarto e il quinto considerando della direttiva).

67. Sarebbe dimostrato che le vitamine, ivi compresa la vitamina C, sono elementi importanti della nostra alimentazione e che disposizioni relative all'etichettatura nutrizionale che lascerebbero da parte le vitamine sarebbero incomplete. Se il valore dichiarato per la vitamina C rischiasse di discostarsi, in un determinato momento, dal valore effettivo, questo nulla toglierebbe al fatto che l'indicazione del tenore di vitamine sarebbe, nel suo insieme, utile per il consumatore.

68. Secondo il Consiglio si deve tenere altresì conto del fatto che uno degli obiettivi della direttiva 90/496 consiste nell'istituire progressivamente il mercato interno assicurando, in particolare, un'etichettatura nutrizionale sotto una forma standardizzata nell'insieme della Comunità (v., in particolare, il primo e il sesto considerando della direttiva). Tale uniformazione sarebbe tra l'altro assicurata dal procedimento previsto dall'art. 6, n. 8, secondo comma, di tale direttiva.

69. La Commissione sostiene che, tenuto conto delle sue osservazioni in risposta alle prime due questioni, non vi sono elementi che lasciano intendere che la direttiva 90/496 sarebbe inapplicabile.

II - Valutazione

70. Condivido completamente le osservazioni presentate dal Consiglio.

71. Si deve infatti ricordare che ai sensi dell'art. 249, terzo comma, CE «la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi».

72. La direttiva non costituisce pertanto un dispositivo da applicare «tel quel» ma un insieme di regole la cui «(...) attuazione (...) dev'essere garantita mediante adeguati provvedimenti adottati dagli Stati membri (...)» .

73. Non è escluso che gli Stati membri siano chiamati, all'atto dell'adozione dei provvedimenti nazionali di trasposizione della direttiva, a precisare talune nozioni figuranti in una direttiva . Parimenti, come confermato dalla direttiva 90/496, la precisazione di talune nozioni può altresì essere effettuata tramite l'adozione di provvedimenti di applicazione da parte delle autorità comunitarie.

74. Pertanto, la necessità di precisione, piuttosto che essere considerata come un motivo di invalidità di una direttiva, essa costituisce, o una caratteristica normale della direttiva e quindi un'espressione del principio di sussidiarietà quando spetta agli Stati membri effettuare le precisazioni, ovvero un'applicazione dell'art. 202, ultimo trattino, CE, quando la competenza a effettuare le precisazioni viene delegata dal Consiglio alla Commissione nell'ambito di un procedimento di comitato,

75. Suggerisco pertanto di risolvere la terza questione pregiudiziale dichiarando che dall'esame della questione sollevata non sono emersi elementi idonei a inficiare la validità della direttiva 90/496.

V - Conclusioni

76. Tenuto conto delle considerazioni che precedono, suggerisco di rispondere:

- alla prima e alla seconda questione pregiudiziale:

«In assenza di attuazione dell'art. 6, n. 8, secondo comma, della direttiva del Consiglio 24 settembre 1980, n. 90/496/CEE, relativa all'etichettatura nutrizionale di prodotti alimentari, spetta agli Stati membri precisare la data (o le date) di riferimento da prendere in considerazione nella determinazione del valore medio nonché la portata dei divari tollerati, nel rispetto delle disposizioni e dell'obiettivo di questa stessa direttiva. A tal riguardo, l'art. 1, lett. k), della direttiva 90/496 non osta a che la cifra indicante il valore medio e basata su un'analisi del prodotto di cui trattasi effettuata dal produttore in applicazione dell'art. 6, n. 8, lett. a), della stessa direttiva, rappresenti il valore del prodotto alla scadenza del termine minimo di conservazione»;

- alla terza questione pregiudiziale:

«Dall'esame della questione sollevata non sono emersi elementi idonei a inficiare la validità della direttiva 90/496».

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