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Document 62002CC0019

Conclusioni dell'avvocato generale Kokott del 1 aprile 2004.
Viktor Hlozek contro Roche Austria Gesellschaft mbH.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberster Gerichtshof - Austria.
Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile - Parità di retribuzione - Retribuzione - Nozione - Sussidio di transizione ("Überbrückungsgeld") previsto da un accordo d'impresa - Accordo sociale concluso in occasione di un'operazione di ristrutturazione dell'impresa - Prestazione concessa ai lavoratori che abbiano raggiunto una determinata età al momento del loro licenziamento - Erogazione della prestazione a partire da un'età diversa in base al sesso dei lavoratori licenziati - Considerazione dell'età pensionabile stabilita con legge dal diritto nazionale, diversa in base al sesso.
Causa C-19/02.

Raccolta della Giurisprudenza 2004 I-11491

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2004:204

Conclusions

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
JULIANE KOKOTT
presentate l'1 aprile 2004(1)



Causa C-19/02



Viktor Hlozek
contro
Roche Austria GmbH


(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Oberster Gerichtshof austriaco)

«Parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile – Sussidio di transizione – Accordo sociale – Età minima differente per uomini e donne – Rischio di una disoccupazione di lunga durata»






I – Introduzione

1.        Il caso di specie verte sostanzialmente sulla questione se per il pagamento di un sussidio di transizione, concesso ai lavoratori al fine di attenuare le conseguenze della chiusura di un’azienda in forza di un accordo sociale, siano ammissibili limiti di età differenti per uomini e donne.

2.        A questo riguardo, nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale l’Oberster Gerichtshof austriaco (in prosieguo: il «giudice del rinvio») sottopone numerose questioni vertenti sull’interpretazione dell’art. 141 CE, nonché della direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (2) (in prosieguo: la «direttiva 75/117»), della direttiva del Consiglio 24 luglio 1986, 86/378/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale  (3) (in prosieguo: la «direttiva 86/378»), e della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro  (4) (in prosieguo: la «direttiva 76/207»).

II – Contesto normativo

A – Diritto comunitario

3.        Il contesto normativo di diritto comunitario nel caso di specie è costituito dall’art. 141 CE, dall’art. 1 della direttiva 75/117, dalla direttiva 86/378 nonché dalla direttiva 76/207.

4.        L’art. 141, nn. 1 e 2, CE recita:

«Articolo 141

(1)     Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

(2)     Per retribuzione si intende, a norma del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo.

La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica:

a)
che la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura;

b)
che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per uno stesso posto di lavoro».

5.        Il testo dell’art. 1 della direttiva 75/117 è il seguente:

«Il principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, previsto dall’articolo 119 del Trattato, denominato in appresso “principio della parità delle retribuzioni”, implica, per uno stesso lavoro o per un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, l’eliminazione di qualsiasi discriminazione basata sul sesso in tutti gli elementi e le condizioni delle retribuzioni.

In particolare, qualora si utilizzi un sistema di classificazione professionale per determinare le retribuzioni, questo deve basarsi su principi comuni per i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile ed essere elaborato in modo da eliminare le discriminazioni basate sul sesso».

6.        La direttiva 86/378 (5) contiene in particolare le seguenti disposizioni:

«Articolo 2

1.       Sono considerati “regimi professionali di sicurezza sociale” i regimi non regolati dalla direttiva 79/7/CEE aventi lo scopo di fornire ai lavoratori, subordinati o autonomi, raggruppati nell’ambito di un’impresa o di un gruppo di imprese, di un ramo economico o di un settore professionale o interprofessionale, prestazioni destinate a integrare le prestazioni fornite dai regimi legali di sicurezza sociale o di sostituirsi ad esse, indipendentemente dal fatto che l’affiliazione a questi regimi sia obbligatoria o facoltativa.

(…).

3.       La presente direttiva non osta al fatto che un datore di lavoro conceda a determinate persone che hanno raggiunto l’età pensionabile a norma di un regime professionale, ma che non hanno ancora raggiunto l’età pensionabile per la concessione di una pensione legale, un complemento di pensione volto a perequare o a ravvicinare l’importo delle prestazioni globali rispetto alle persone di sesso opposto che si trovino nella stessa situazione avendo già raggiunto l’età della pensione legale, finché i beneficiari del complemento non abbiano raggiunto tale età.

(…).

Articolo 4

La presente direttiva si applica:

a)        ai regimi professionali che assicurano una protezione contro i rischi seguenti:

(…),

vecchiaia, compreso il caso del pensionamento anticipato,

(…),

disoccupazione;

b)        ai regimi professionali che prevedono altre prestazioni sociali, in natura o in contanti, in particolare prestazioni per i superstiti e prestazioni per i familiari, ove tali prestazioni siano destinate a lavoratori salariati e costituiscano pertanto vantaggi pagati dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo.

Articolo 5

1.       Nelle condizioni stabilite dalle disposizioni che seguono, il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:

il campo d’applicazione dei regimi e relative condizioni d’accesso;

l’obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi;

il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni.

(…).

Articolo 6

1.       Nelle disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento sono da includere quelle che si basano direttamente o indirettamente sul sesso, in particolare con riferimento allo stato coniugale o di famiglia, per:

(…);

c)        prevedere norme differenti per quanto riguarda l’età di accesso al regime o per quanto riguarda la durata minima di occupazione o di affiliazione al regime per ottenerne le prestazioni;

(…);

e)        stabilire condizioni differenti per la concessione delle prestazioni o fornire queste ultime esclusivamente ai lavoratori di uno dei due sessi;

(…)».

7.        Il testo dell’art. 5, n. 1, della direttiva 76/207, nella versione che si applica nel caso di specie, è il seguente:

«L’applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti al licenziamento, implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso».

8.        Nel frattempo l’art. 5, n. 1, della direttiva 76/207 è stato sostituito dall’art. 3, n. 1, lett. c), come modificato, della medesima direttiva (6) , contenente un principio di parità di trattamento equivalente dal punto di vista del contenuto per quanto riguarda le condizioni inerenti al licenziamento:

«L’applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne significa che non vi deve essere discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

(…);

c)
all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto dalla direttiva 75/117/CEE».

9.        Oltre alle disposizioni citate occorre rinviare altresì all’art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale  (7) (in prosieguo: la «direttiva 79/7»):

«La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di escludere dal suo campo di applicazione:

a)
la fissazione del limite di età per la concessione della pensione di vecchiaia e di fine lavoro e le conseguenze che possono derivarne per altre prestazioni».

B – Diritto nazionale

10.      Nel diritto nazionale austriaco sono rilevanti le disposizioni di legge in materia di accordo sociale, tutela in caso di licenziamento nonché pensione di vecchiaia.

1. Accordo sociale

11.      A norma dell’art. 97, n. 1, sub 4, dell’Arbeitsverfassungsgesetz austriaco (legge sullo Statuto del lavoro; in prosieguo: l’«ArbVG») il comitato aziendale, l’organo designato in rappresentanza dei lavoratori di un’impresa, può esigere dal proprietario di quest’ultima la stipulazione di un accordo aziendale in caso di trasformazione radicale dell’impresa. Possono costituire il contenuto di tale accordo aziendale, che viene denominato accordo sociale, tutte le norme che compensano le conseguenze pregiudizievoli di trasformazioni dell’impresa, come ad esempio indennità maggiorate per l’ipotesi di licenziamento o prestazioni di sostegno per lavoratori licenziati, ma anche il cosiddetto «sussidio di transizione». La legge non prescrive il contenuto preciso dell’accordo sociale a tale riguardo. Ai sensi dell’art. 31 dell’ArbVG un accordo aziendale è direttamente vincolante dal punto di vista giuridico nel suo ambito di applicazione; esso ha, pertanto, una portata normativa per i lavoratori.

2. Tutela in caso di licenziamento

12.      Conformemente al diritto austriaco, in caso di licenziamento al datore di lavoro incombe il cosiddetto dovere di attuare una tutela sociale nei riguardi dei lavoratori. A questo riguardo il datore di lavoro deve tener conto, tra l’altro, dell’età del lavoratore e della difficoltà di ottenere un nuovo impiego. In tal modo vengono anzitutto tutelati i lavoratori più anziani.

13.      Ai sensi dell’art. 105, n. 3, sub 2, dell’ArbVG, un licenziamento può essere impugnato da parte del comitato aziendale, quale organo designato in rappresentanza dei lavoratori dell’impresa, per principi della normativa in materia sociale. Se tuttavia il comitato aziendale dovesse espressamente dare il proprio consenso su un licenziamento, quest’ultimo non può più essere impugnato per contrarietà alla disciplina di tutela sociale. Grazie alla stipulazione di un accordo sociale, diretto ad attenuare le conseguenze dei licenziamenti anzitutto per i lavoratori più anziani, si possono in larga parte evitare le impugnazioni di licenziamenti.

3. Regime pensionistico pubblico

14.      Il regime pensionistico pubblico in Austria è strutturato come segue: ai sensi dell’art. 253 dell’Allgemeines Sozialversicherungsgesetz (legge generale sulla previdenza sociale; in prosieguo: l’«ASVG») il diritto ad una pensione («pensione di vecchiaia») matura, nel caso degli uomini, al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età e, nel caso delle donne, al raggiungimento del sessantesimo anno di età (cosiddetta età pensionabile regolare).

15.      In forza della situazione giuridica finora vigente ed applicabile nel procedimento principale, al raggiungimento del sessantesimo anno di età gli uomini avevano diritto, a talune condizioni, ad una pensione anticipata (in prosieguo: la «pensione anticipata») e, segnatamente, in caso di disoccupazione (art. 253a dell’ASVG), di un lungo periodo assicurativo (art. 253b dell’ASVG) o di una pensione progressiva (art. 253c dell’ASVG); le donne godevano dello stesso diritto già al raggiungimento del cinquantacinquesimo anno di età. Nel frattempo sono stati introdotti limiti di età più elevati, vale a dire 61 anni e mezzo per gli uomini e 56 anni e mezzo per le donne.

III – Fatti

16.      Il ricorrente nel procedimento principale (in prosieguo: il «ricorrente») era occupato dal 1° gennaio 1982 presso la convenuta nel procedimento principale (in prosieguo: la «convenuta»), ovvero presso la società dante causa della stessa, in qualità di direttore di uno stabilimento. Detto stabilimento veniva chiuso procedendo al licenziamento di molti lavoratori. Anche il contratto di lavoro del ricorrente terminava in data 30 giugno 1999, in seguito a licenziamento da parte della convenuta.

1. Accordo sociale

17.      Al fine di attenuare le conseguenze della chiusura dello stabilimento e dei licenziamenti da ciò derivanti veniva stipulato tra la convenuta e il comitato aziendale l’accordo sociale del 26 febbraio 1998, nel cui ambito di applicazione rientra anche il ricorrente. Secondo questo accordo sociale la datrice di lavoro concede ai lavoratori talune prestazioni in denaro. Oltre all’indennità dovuta per legge («indennità di licenziamento per legge»), vengono corrisposti, da un lato, un’indennità definita «indennità di licenziamento volontaria» e, dall’altro, un sussidio di transizione. Il tipo di prestazione cui il singolo ha di volta in volta diritto è subordinato in particolare alla sua età.

18.      In tal modo, secondo l’accordo sociale, le lavoratrici che non hanno ancora compiuto cinquant’anni e i lavoratori con meno di 55 anni ottengono unicamente l’indennità di licenziamento volontaria, vale a dire una prestazione in denaro una tantum, la cui entità è subordinata alla durata della permanenza presso l’azienda.

19.      Una volta superati i limiti di età citati gli interessati ricevono invece un importo derivante dalla combinazione tra l’indennità di licenziamento volontaria ed il sussidio di transizione, corrisposto con versamento mensile e concesso a titolo di retribuzione, di norma sino all’accesso alla pensione anticipata. Per questo gruppo di persone il sussidio di transizione costituisce il fulcro dei diritti spettanti loro in forza dell’accordo sociale. Infatti, secondo le indicazioni del giudice del rinvio, l’indennità di licenziamento volontaria cui hanno diritto è sensibilmente inferiore a quella percepita da persone rientranti nei limiti di età citati: essa corrisponde al massimo a tre mensilità, mentre il sussidio di transizione viene versato sino a cinque anni, in quattordici soluzioni nell’arco dell’anno, nella misura del 75% dell’ultimo stipendio lordo mensile (8) .

20.      In particolare, le prestazioni descritte si fondano in particolare sulle seguenti disposizioni dell’accordo sociale:

«7. Indennità di licenziamento volontaria

7.1. Ambito di validità

I collaboratori hanno diritto ad un’indennità di licenziamento volontaria quando gli stessi al termine del rapporto di lavoro non abbiano ancora compiuto 55 anni (nel caso degli uomini) o 50 anni di età (nel caso delle donne).

(...).

8. Pagamento del sussidio di transizione

8.1. Ambito di validità

I collaboratori hanno diritto ad un sussidio di transizione quando gli stessi al termine del rapporto di lavoro abbiano compiuto 55 anni (nel caso degli uomini) o 50 anni di età (nel caso delle donne) e non vantino ancora diritto ad una pensione ai sensi dell’ASVG.

8.2 Il pagamento del sussidio di transizione viene effettuato a partire dal mese successivo alla cessazione del rapporto di lavoro e termina nel momento in cui può essere presentata domanda di pensione ai sensi dell’ASVG e, tuttavia, non oltre cinque anni dopo la cessazione del rapporto di cui trattasi.

8.3 L’importo del sussidio di transizione da corrispondersi equivale al 75% (lordo) dell’ultima retribuzione lorda mensile e viene versato in 14 soluzioni nell’arco dell’anno. Nel periodo di godimento del sussidio di transizione il dipendente è esentato dal servizio.

Inoltre il Ministero federale del lavoro garantisce un’indennità di licenziamento volontaria.

Quest’ultima dipende dalla durata dell’arco di tempo durante il quale viene erogato il sussidio di transizione:

sino a 2 anni
→ 1 mese di stipendio

da 2 a 4 anni
→ 2 mesi di stipendio

sino a 4 anni
→ 3 mesi di stipendio

L’indennità di licenziamento volontaria viene pagata contestualmente all’indennità dovuta per legge».

21.      Nell’ipotesi in cui un lavoratore licenziato soddisfacesse i requisiti per la concessione del sussidio di transizione ai sensi dell’art. 8 dell’accordo sociale, il rapporto di lavoro veniva in pratica interrotto sulla base del menzionato accordo e si concordava un contratto di lavoro a tempo determinato di durata non eccedente i cinque anni o operante sino al maturare di un diritto ad una pensione di vecchiaia in forza del regime legale (cosiddetta pensione ai sensi dell’ASVG). Nell’arco della durata di detto contratto il lavoratore percepiva il sussidio di transizione, veniva irrevocabilmente esentato dal servizio e poteva esercitare un’altra attività rimunerata.

2. Statistica relativa al mercato del lavoro

22.      In Austria si è rilevato il seguente quadro delle percentuali di disoccupati, suddivisi in base all’età e al sesso secondo medie annuali  (9) .

23.      Nel 1998 la percentuale di disoccupati era pari al 7,6% per le donne e al 6% per gli uomini nella fascia dai 30 ai 39 anni, al 6,3% per le donne e al 6,4% per gli uomini nella fascia dai 40 ai 49 anni, all’11,2% per le donne e all’8,7% per gli uomini nella fascia dai 50 ai 54 anni, all’8,9% per le donne e al 12,7% per gli uomini nella fascia dai 55 ai 59 anni e, nel gruppo di coloro che superavano i sessant’anni d’età al 4,6% per le donne e al 6,4% per gli uomini.

24.      Nel 1999 la percentuale di disoccupati era pari al 6,9% per le donne e al 5,6% per gli uomini nella fascia dai 30 ai 39 anni, al 5,9% per le donne e al 5,8% per gli uomini nella fascia dai 40 ai 49 anni, all’11% per le donne e all’8,1% per gli uomini nella fascia dai 50 ai 54 anni, all’9,9% per le donne e al 13,6% per gli uomini nella fascia dai 55 ai 59 anni e, nel gruppo di coloro che superavano i sessant’anni d’età, al 4,9% per le donne e al 7,2% per gli uomini.

25.      Nel 2000 la percentuale di disoccupati era pari al 5,9% per le donne e al 5% per gli uomini nella fascia dai 30 ai 39 anni, al 5% per le donne e al 5% per gli uomini nella fascia dai 40 ai 44 anni, al 5,2% per le donne e al 5,5% per gli uomini nella fascia dai 45 ai 49 anni, al 9% per le donne e al 6,9% per gli uomini nella fascia dai 50 ai 54 anni, al 9,5% per le donne e al 12% per gli uomini nella fascia dai 55 ai 59 anni e, nel gruppo di coloro che superavano i sessant’anni d’età, al 5,1% per le donne e all’8,4% per gli uomini.

3. Situazione del ricorrente

26.      Non avendo ancora compiuto 55 anni il 30 giugno 1999, all’epoca del suo licenziamento, il ricorrente non otteneva alcuna prestazione di cui al punto 8 dell’accordo sociale, segnatamente non il sussidio di transizione, bensì unicamente le prestazioni, nel complesso sensibilmente inferiori, ai sensi del punto 7 dell’accordo sociale.

27.      A partire dal 20 ottobre 1999 il ricorrente ha trovato un altro posto di lavoro con retribuzione equiparabile.

IV – Procedimento principale

28.      Nel procedimento principale il ricorrente chiede di dichiarare che egli vanta nei confronti della convenuta, in base all’accordo sociale, un diritto al pagamento di un sussidio di transizione sino alla sopravvenienza della sua pensione legale (pensione ai sensi dell’ASVG). In subordine chiede di dichiarare che egli vanta nei confronti della convenuta, ai sensi dell’accordo sociale, un diritto al pagamento di un sussidio di transizione sino ad un periodo di 5 anni dopo il suo licenziamento, avvenuto in data 30 giugno 1999. Ancora in subordine, il ricorrente chiede di dichiarare che egli vanta nei confronti della convenuta, ai sensi dell’accordo sociale, un diritto al pagamento di un sussidio di transizione per il periodo in cui non aveva svolto alcuna attività lavorativa.

29.      Il giudice di primo grado accoglieva la domanda del ricorrente e statuiva nel senso che egli vantava nei confronti della convenuta un diritto al sussidio di transizione sino alla sopravvenienza della pensione legale, tuttavia per un periodo non eccedente i cinque anni dopo il suo licenziamento. Il giudice di secondo grado confermava la suddetta sentenza. Avverso tale decisione la convenuta ha a sua volta proposto ricorso per cassazione dinanzi al giudice del rinvio.

V – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

30.      Con ordinanza 20 dicembre 2001 il giudice del rinvio ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1) a)
Se l’art. 141 CE e l’art. 1 della direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45 del 19.2.1975, pag. 19) debbano essere interpretati nel senso che dette norme,

in un sistema in cui il datore di lavoro, che licenzi numerosi lavoratori in seguito ad una fusione con un’altra società, in ragione del suo dovere di attuare una tutela sociale (soziale Gestaltungspflicht) nei riguardi di tutti i dipendenti, è obbligato a stipulare con il comitato aziendale un accordo sociale di portata generale per i lavoratori, al fine di attenuare le conseguenze del licenziamento ? in particolare il rischio di disoccupazione connesso all’età ?,

2)
Se la nozione di regimi professionali di sicurezza sociale ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 24 luglio 1986, 86/378/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (GU L 225 del 12.8.1986, pag. 40, modificata ad opera della direttiva del Consiglio 20 dicembre 1996, 96/97/CE, in GU L 46 del 17.2.1997, pag. 20) debba essere intesa nel senso che include anche i sussidi di transizione nel senso sopra indicato.

Se la nozione di rischio di vecchiaia, compreso il caso del pensionamento anticipato, di cui all’art. 4 della direttiva, debba essere intesa nel senso che include anche i suddetti sussidi di transizione.

Se la nozione di regime di cui all’art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva ricomprenda solo la questione dei requisiti per poter aver diritto ai sussidi di transizione o anche l’appartenenza alla categoria dei lavoratori globalmente intesa.

3) a)
Se la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39 del 14.2.1976, pag. 40), debba essere interpretata nel senso che il sopra indicato sussidio di transizione costituisce una condizione inerente al licenziamento ai sensi dell’art. 5 della suddetta direttiva.

b)
Se tale direttiva debba essere interpretata nel senso che essa è in contrasto con un accordo sociale a norma del quale, indipendentemente dalla durata dell’occupazione, quindi senza prendere in considerazione periodi di aspettativa, solo in ragione dell’età ? e del diverso rischio, considerato da un punto di vista generale, di una più lunga disoccupazione per uomini e donne a seconda dell’età ? spetti a tutti i lavoratori di sesso femminile che all’epoca del licenziamento abbiano compiuto 50 anni e a tutti i lavoratori di sesso maschile che all’epoca del licenziamento abbiano compiuto 55 anni un sussidio di transizione, nella misura del 75% dell’ultimo stipendio lordo mensile per cinque anni, tuttavia non oltre il momento in cui matura il diritto di godimento della pensione.

31.      Hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte il ricorrente e la convenuta nel procedimento principale, nonché il governo austriaco e la Commissione.

VI – Sintesi delle osservazioni presentate dinanzi alla Corte

1. Ricorrente

32.      Il ricorrente ritiene che il sussidio di transizione previsto dall’accordo sociale costituisca una retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE. A suo parere sarebbe irrilevante se sussista un’esenzione dal servizio che consenta al lavoratore di impegnarsi in un altro rapporto di lavoro nel rispetto dei diritti derivanti dall’accordo sociale  (10) .

33.      La disciplina di cui all’accordo sociale relativa al sussidio di transizione non opererebbe alcuna distinzione a seconda del rischio effettivo di disoccupazione, bensì solo da un punto di vista generale in base al sesso. Qualora si fosse inteso coprire il rischio della disoccupazione, si sarebbero dovuti formare altri gruppi a rischio all’interno del personale, a seconda delle difficoltà di trovare un altro impiego. Il ricorrente menziona, quali esempi di criteri di distinzione, la qualifica e la mobilità professionale. Sarebbe inammissibile una distinzione diretta tra donne e uomini per quanto riguarda l’accesso al sussidio di transizione.

2. Convenuta

34.      Avverso quanto precede la convenuta sostiene, rinviando alla sentenza Burton  (11) , che il caso di specie non mette in questione il sussidio di transizione in quanto tale, bensì unicamente le condizioni relative alla sua concessione. Nella fattispecie non sarebbero applicabili l’art. 141 CE o le direttive 75/117 e 86/378, bensì la direttiva 76/207.

35.      Conformemente ai principi generali sviluppati dalla giurisprudenza, il divieto di discriminazione sarebbe applicabile solo se vengono applicate norme diverse a situazioni comparabili o se viene applicata la stessa normativa a situazioni diverse. A questo riguardo la convenuta stabilisce in particolare un paragone con la sentenza Birds Eye Walls  (12) , da cui discenderebbe, a suo parere, che a 60 anni una donna non si trova nella stessa situazione di un uomo della stessa età, se per la donna a 60 anni sussiste già un diritto alla pensione legale, mentre l’uomo otterrebbe siffatto diritto solo a 65 anni. Nel caso di lavoratori e lavoratrici il sussidio di transizione verrebbe corrisposto per la stessa durata, vale a dire rispettivamente nel periodo in cui essi sarebbero più esposti al rischio di disoccupazione di lunga durata. A motivo dei differenti limiti di età previsti dal regime legale per la pensione anticipata, questo rischio raggiungerebbe la punta massima ad età diverse per uomini e donne.

3. Governo austriaco

36.      Il governo austriaco ritiene che il sussidio di transizione previsto dall’accordo sociale non rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 76/207, né in quello della direttiva 86/378, bensì costituisca una retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE. Dalla sentenza Birds Eye Walls  (13) deriverebbe che anche le prestazioni di transizione concesse dal datore di lavoro sino al raggiungimento dell’età pensionabile in forza del regime legale rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 141 CE. In particolare il governo austriaco considera il caso di specie equiparabile alla causa Birds Eye Walls.

37.      Il governo austriaco nega una discriminazione in quanto i fatti non sarebbero equiparabili. Dalle differenti condizioni inerenti all’età per il pensionamento anticipato, applicabili in forza del diritto austriaco, emergerebbe una differenza oggettiva nella situazione di partenza di uomini e donne. Come dimostrerebbero le statistiche fornite al riguardo dal giudice del rinvio, il rischio di disoccupazione aumenterebbe con il progressivo approssimarsi delle persone all’età legale della pensione anticipata e, di conseguenza, per le donne raggiungerebbe la punta massima in un momento precedente rispetto a quanto avvenga nel caso degli uomini. Al fine di tutelare in maniera efficace uomini e donne dal rischio di disoccupazione occorrerebbe quindi una disciplina differenziata.

4. Commissione

38.      Rinviando alla giurisprudenza della Corte  (14) la Commissione sostiene che il sussidio di transizione costituisce una retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE. Essa ritiene che la direttiva 76/207 non sia applicabile a fatti come quelli all’origine del procedimento principale; le considerazioni contenute nella sentenza Burton  (15) citata dalla convenuta riguarderebbero il licenziamento volontario dall’azienda e non sarebbero pertanto applicabili per analogia al caso di specie.

39.      Il fatto che, poco dopo il licenziamento, il ricorrente abbia trovato un nuovo impiego sarebbe irrilevante nel caso di specie. Neanche i dati statistici citati dal giudice del rinvio secondo cui nella fascia d’età tra i 50 ed i 54 anni la disoccupazione colpirebbe in misura maggiore le donne rispetto agli uomini costituirebbero un motivo per negargli l’equiparazione a donne della sua età. Vero è che, secondo la statistica, le donne sarebbero esposte al rischio di disoccupazione in un momento precedente rispetto agli uomini; tuttavia questi ultimi verrebbero esposti più a lungo al rischio. Se si seguono le statistiche, nel caso contrario si dovrebbero eventualmente penalizzare anche le donne. Statistiche differenziate predisposte da diversi Stati membri porterebbero a risultati differenti nell’ambito di applicazione dell’art. 141 CE, il cui fondamento non sarebbe tuttavia costituito da siffatte distinzioni subordinate a variazioni specifiche, locali e temporali.

VII – Sulla prima questione

40.      Con la prima questione, comprendente tre parti, il giudice del rinvio chiede in sostanza se, per quanto riguarda l’art. 141 CE e l’art. 1 della direttiva 75/117, possano essere ammissibili limiti di età differenti per uomini e donne in relazione al pagamento di un sussidio di transizione concesso a lavoratori dopo la perdita del loro impiego sulla base di un accordo sociale al fine di attenuare le conseguenze di una disoccupazione di lunga durata.

A – Applicabilità del principio della parità di retribuzione ad accordi sociali

41.      Secondo una costante giurisprudenza, dato che l’art. 141 CE è di natura imperativa, il divieto di discriminazione tra lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile riguarda non solo le pubbliche autorità, ma vale del pari per tutte le convenzioni che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato, come pure per i contratti fra singoli  (16) . In altre parole, l’art. 141 CE è direttamente applicabile, in linea orizzontale, e vale anche per l’accordo sociale controverso nel procedimento principale.

42.      Vero è che la direttiva 75/117 non è direttamente applicabile in linea orizzontale; tuttavia, ad esempio le disposizioni rilevanti del diritto nazionale devono essere interpretate ed applicate in maniera conforme alla direttiva  (17) .

B – Nozione di retribuzione

1. Osservazioni preliminari

43.      Le nozioni di retribuzione di cui all’art. 141 CE e all’art. 1 della direttiva 75/117 hanno lo stesso significato. In una costante giurisprudenza la Corte ha statuito che la direttiva, intesa essenzialmente a facilitare l’applicazione pratica del principio della parità di retribuzione di cui all’art. 141 CE, lascia assolutamente impregiudicati sia il contenuto che la portata di detto principio come è sancito da quest’ultima disposizione  (18) .

44.      La nozione di retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE e dell’art. 1 della direttiva 75/117 costituisce una nozione giuridica autonoma del diritto comunitario che la Corte ha da sempre interpretato in senso ampio. Per retribuzione si intende, a norma di entrambe le disposizioni, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo (art. 141, n. 2, primo comma, CE).

45.      Come la Corte ha più volte statuito, per valutare se una prestazione del datore di lavoro rientri nella sfera di applicazione dell’art. 141 CE, così descritta, soltanto il criterio dell’impiego, desunto dalla lettera stessa della citata disposizione, può avere carattere determinante  (19) . Ne consegue che nel caso di specie occorre stabilire se il pagamento del sussidio di transizione avvenga in ragione dell’impiego  (20) .

2. Relazione tra sussidio di transizione ed impiego

46.      Per quanto riguarda le indennità concesse al lavoratore in occasione del licenziamento o in seguito a questo, si deve rilevare che, secondo una costante giurisprudenza, esse costituiscono una forma di retribuzione alla quale il lavoratore ha diritto in ragione del suo impiego, che gli viene versata al momento della cessazione del rapporto di lavoro, che gli consente di rendere più agevole il suo adattamento alle nuove situazioni derivanti dalla perdita del lavoro e che gli assicura una fonte di reddito durante la ricerca di un nuovo lavoro  (21) .

47.      Il sussidio di transizione controverso nel procedimento principale costituisce un’indennità di questo tipo. Non si tratta invece di una prestazione previdenziale direttamente disciplinata dalla legge al di fuori di qualsiasi concertazione nell’ambito dell’impresa interessata  (22) . Infatti il pagamento del sussidio di transizione viene effettuato sulla base di un accordo sociale concluso all’interno dell’azienda tra la datrice di lavoro e il comitato aziendale, quale organo designato in rappresentanza dei lavoratori di un’impresa, e finanziato con mezzi della datrice di lavoro. A ciò si aggiunga che il sussidio di transizione, considerato da un punto di vista puramente formale, viene concesso sulla base di un nuovo contratto di lavoro concluso con l’ex lavoratore. Vero è che quest’ultimo aspetto costituisce unicamente una modalità di pagamento del sussidio ed è inteso a salvaguardare l’interessato dallo status di disoccupato; tuttavia questo regime contrattuale costituisce un altro riscontro del fatto che si tratta di una prestazione in ragione dell’impiego, come prescrive l’art. 141 CE.

48.     Neanche il fatto che i lavoratori interessati, durante il periodo di percezione di questo sussidio di transizione, non siano obbligati a fornire prestazioni di lavoro nei confronti dell’ex datrice di lavoro  (23) e, per di più, possano persino dedicarsi ad un’altra attività presso un nuovo datore di lavoro invalida nel caso di specie la classificazione del sussidio come retribuzione. A differenza, ad esempio, della causa Österreichischer Gewerkschaftsbund  (24) , per il lavoratore interessato è infatti impossibile continuare a lavorare per l’ex datrice di lavoro, ma non in ragione di obblighi legali di altra natura. La causa dell’impossibilità di fornire la prestazione lavorativa è piuttosto imputabile esclusivamente alla sfera della datrice di lavoro che ha deciso di chiudere l’azienda e di rinunciare a ulteriori prestazioni di lavoro. Inoltre la relativa disciplina contenuta nell’accordo sociale si fonda, come già osservato, su una convenzione espressa tra la datrice di lavoro e il comitato aziendale, quale organo designato in rappresentanza dei lavoratori di un’impresa. Del pari è interesse del datore di lavoro e dell’azienda in generale attenuare dal punto di vista sociale e contrattuale le conseguenze di una modifica della situazione aziendale (nel caso di specie: la chiusura dell’azienda) per il personale, non da ultimo per evitare che i lavoratori impugnino il licenziamento  (25) .

49.      Ai fini della classificazione come retribuzione sono irrilevanti l’entità del sussidio di transizione, nonché il fatto che la sua concessione non sia subordinata al periodo di appartenenza al personale dell’azienda, diversamente dal caso di un’indennità («indennità di licenziamento»)  (26) . Infatti, come già illustrato  (27) , la nozione di retribuzione va intesa in senso ampio ed include, conformemente alla lettera dell’art. 141, n. 2, CE, tutti i vantaggi, pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo  (28) .

50.      Il principio della parità di retribuzione non si riferisce solo alla mera entità di un vantaggio, prescrivendo la parità di trattamento dal punto di vista retributivo tra uomini e donne, bensì anche alle relative modalità di pagamento. Infatti, come chiarisce in maniera emblematica l’art. 1, n. 1, della direttiva 75/117, il principio della parità di retribuzione non comprende solo tutti gli elementi delle retribuzioni, ma anche tutte le condizioni delle retribuzioni. Anche la Corte, nella sentenza Barber e, da allora, nella costante giurisprudenza, ha valutato alla luce del principio della parità di retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE e dell’art. 1 della direttiva 75/117 limiti di età differenti per la corresponsione di vantaggi  (29) .

3. Conclusione

51.      Alla luce dei motivi che precedono, il sussidio di transizione concesso ai sensi dell’accordo sociale nonché le relative modalità di pagamento rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 141 CE e dell’art. 1 della direttiva 75/117.

C – Disparità di trattamento

52.      Al punto 8.1 l’accordo sociale prevede età minime pensionabili differenti per i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile: le donne vantano un diritto al sussidio di transizione quando hanno almeno 50 anni, mentre gli uomini ottengono questo diritto solo al compimento dei 55 anni di età. Questa disciplina denota una disparità di trattamento in base al sesso.

53.      Tuttavia, in definitiva si può considerare una siffatta disparità di trattamento solo se vengono applicate norme diverse a situazioni comparabili o se viene applicata la stessa norma a situazioni diverse  (30) . Occorre pertanto esaminare se la situazione del ricorrente sia sostanzialmente diversa da quella di una collega della stessa età o se sia ad essa equiparabile.

1. Due possibili piani di raffronto: esame caso per caso o raffronto generico secondo fasce di età

54.      Un raffronto tra la situazione di lavoratori di sesso maschile e femminile è possibile su due piani. Da un lato, la situazione specifica del ricorrente si può contrapporre a quella di un individuo di sesso femminile della stessa età scelto per il raffronto: mentre una lavoratrice licenziata a 54 anni otteneva un sussidio di transizione che poteva continuare a ricevere anche nel caso di una nuova occupazione, al ricorrente veniva rifiutata una siffatta prestazione ai sensi dell’accordo sociale e gli veniva invece concessa unicamente l’indennità di licenziamento volontaria, sostanzialmente meno redditizia  (31) .

55.      Dall’altro lato, come è accaduto nel caso di specie, il raffronto è nondimeno realizzabile anche a livello generico secondo fasce di età. In tal modo l’accordo sociale ha raggiunto lo scopo prefisso di attenuare le conseguenze di una disoccupazione di lunga durata mediante la costituzione di fasce di età tra i lavoratori. A questo riguardo si è fatto ricorso a dati empirici, secondo cui il rischio di disoccupazione di lunga durata è particolarmente alto nei cinque anni precedenti il raggiungimento dell’età legale del pensionamento anticipato. Non si è invece accertato se nel caso specifico sussistesse un rischio di disoccupazione e se, dopo la chiusura dello stabilimento, gli interessati abbiano trovato un nuovo impiego o siano rimasti stabilmente disoccupati.

56.      Mentre nella prima ipotesi, nel raffronto di singoli casi specifici, si deve constatare senz’altro una disparità di trattamento in base al sesso, ciò è meno evidente nel caso del raffronto astratto secondo fasce di età. In quest’ultimo caso è determinante il fatto che i lavoratori interessati abbiano dovuto essere inquadrati in fasce di età genericamente definite senza prima esaminare la rispettiva situazione personale e se questi gruppi fossero stati costituiti in maniera adeguata nell’accordo sociale. Su tale questione si formulano le seguenti considerazioni.

2. Sul margine discrezionale di cui dispongono le parti sociali di costituire fasce ipotetiche

57.      Conformemente ad una costante giurisprudenza della Corte, è d’uopo concedere agli Stati membri un ampio margine discrezionale nello scegliere i provvedimenti atti a realizzare gli obiettivi della loro politica sociale  (32) . Vero è che quanto vale per il legislatore democraticamente legittimato non è applicabile per analogia nella stessa misura alle parti sociali; tuttavia anche ad esse dovrebbe essere accordato un certo margine discrezionale nella conclusione di contratti collettivi ed accordi a livello aziendale, purché il loro carattere sia di portata generale, come ad esempio l’accordo sociale nel procedimento principale.

58.      In particolare il margine discrezionale di cui dispongono i datori di lavoro e le rappresentanze dei lavoratori nella conclusione di accordi aziendali con portata generale per numerosi casi specifici dovrebbe comprendere la possibilità di un approccio che conferisca una caratterizzazione secondo criteri generali. In linea di principio non vi è quindi motivo di contestare il fatto che, per quanto riguarda l’organizzazione concreta di singoli provvedimenti, nell’accordo sociale le parti si orientino su dati empirici, criterio che fa apparire verosimile la realizzazione dell’obiettivo perseguito, perlomeno nella maggioranza dei casi.

59.      Tuttavia la discrezionalità di cui godono gli Stati membri al riguardo non deve risolversi nello svuotare di ogni sostanza l’attuazione di un principio fondamentale del diritto comunitario, quale quello della parità delle retribuzioni tra i lavoratori e le lavoratrici  (33) . Semplici affermazioni generiche, riguardanti l’attitudine di un determinato provvedimento ad attenuare le conseguenze della disoccupazione di lunga durata, non sono sufficienti affinché risulti che l’obiettivo perseguito dall’accordo sociale sia estraneo a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso né a fornire elementi sulla scorta dei quali poter ragionevolmente ritenere che i limiti di età stabiliti siano idonei a contribuire alla realizzazione di questo obiettivo (34) .

60.      Da ultimo è determinante accertare se le fasce di età costituite nell’accordo sociale fossero atte a realizzare l’obiettivo perseguito e se fossero anche necessarie per la realizzazione di questo obiettivo. Al riguardo è d’uopo esaminare tutte le circostanze determinanti del caso, tenendo conto della possibilità di conseguire con altri mezzi l’obiettivo perseguito dall’accordo sociale  (35) .

3. Sul carattere idoneo e necessario delle fasce di età costituite nell’accordo sociale

a) Carente idoneità dei criteri di età prescelti

61.      Occorre anzitutto esaminare se la costituzione generica di fasce di età differenti sulla base del sesso fosse idonea a realizzare l’obiettivo dell’accordo sociale, vale a dire attenuare le conseguenze della disoccupazione di lunga durata.

62.      Dall’art. 141 CE e dall’art. 1 della direttiva 75/117 discende che il sesso non costituisce, in linea di principio, un criterio di distinzione idoneo e, di conseguenza, non può fungere da criterio per la costituzione di fasce. Solo in via eccezionale la Corte nega, nonostante il riferimento diretto al sesso, l’esistenza di una discriminazione diretta, e segnatamente nel caso in cui la situazione di uomini e donne sia oggettivamente differente. Ciò vale, ad esempio, per la maternità e per i vantaggi concessi in questo ambito  (36) .

63.      Nel caso di specie la convenuta e il governo austriaco fanno valere che sussiste una distinzione oggettiva tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile per il fatto che il rischio di disoccupazione di lunga durata si manifesterebbe in Austria in una fascia d’età differente in base al sesso e toccherebbe la punta massima nei cinque anni precedenti il raggiungimento del limite d’età legale per la pensione anticipata. A questo proposito essi si fondano sui dati statistici relativi alla disoccupazione citati nell’ordinanza di rinvio (37) . Pertanto in prosieguo è d’uopo esaminare se un siffatto ricorso a statistiche sia ammissibile in linea generale e se i dati statistici considerati nel caso di specie facciano emergere una distinzione oggettiva tra lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile.

64.      In linea del tutto generale i dati citati dal giudice del rinvio rivelano le difficoltà che può comportare nel caso specifico il ricorso a statistiche. Infatti, come osserva a ragione la Commissione, l’esito di un’analisi statistica può essere davvero diverso a seconda dello Stato membro, della regione o del settore economico. Ammettere il ricorso a statistiche comporterebbe una notevole incertezza del diritto per le parti sociali. I datori di lavoro e i lavoratori non potrebbero valutare con sufficiente certezza i dati su cui fondarsi per concludere accordi aziendali.

65.      Tuttavia è determinante che il ricorso a statistiche e a dati empirici non contrasti con la ratio e lo scopo del divieto di discriminazione. I divieti di discriminazione direttamente applicabili di cui al Trattato mirano, laddove al momento esistono ancora discriminazioni, ad un allineamento dei rapporti in essere, tenuto conto del principio della parità di trattamento. Quindi, fintantoché il ricorso a statistiche sia circoscritto a tale scopo, esso può essere considerato ammissibile.

66.      Ad esempio, le statistiche possono essere prese in considerazione come prova dell’esistenza di una discriminazione diretta avvenuta in passato o attualmente perdurante  (38) . Nel caso di specie si tenta invece la via inversa, sostenendo che, sulla base di dati empirici, le parti sociali avrebbero potuto prevedere per il futuro che i rapporti in essere alla data in questione non avrebbero subito modifiche, il che comporta il rischio di consolidare gli effetti di una disparità di trattamento tra uomini e donne tollerata solo temporaneamente per quanto riguarda l’età pensionabile in forza del regime legale  (39) e di estenderli ad un altro ambito, vale a dire quello aziendale, invece di ridurli il più possibile per il futuro, conformemente alla ratio e allo scopo del principio della parità di trattamento.

67.      Alla luce dei rischi descritti, occorre prevedere requisiti molto rigorosi per il ricorso a statistiche allo scopo di elaborare previsioni per il futuro.

68.      Tuttavia le statistiche citate dal giudice del rinvio non sono emblematiche per quanto riguarda eventuali differenze tra la situazione di lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile.

69.      Effettivamente, a prima vista, i limiti d’età prescelti nell’accordo sociale sembrano indicare, per quanto riguarda la mera punta massima della percentuale di disoccupati, una differenza tra la situazione di lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile. Sulla base di tali dati la percentuale di disoccupati più elevata si configura in tempi diversi per uomini e donne, vale a dire perlopiù nei cinque anni anteriori al raggiungimento dell’età minima legale per il pensionamento anticipato.

70.      Tuttavia, dai dati statistici citati dal giudice del rinvio si ricava unicamente il numero di uomini e donne disoccupati per fascia di età. È probabile che questi dati riguardino anche persone disoccupate già da più tempo e che hanno perso l’impiego più di cinque anni prima del raggiungimento dell’età minima per accedere alla pensione di vecchiaia anticipata in forza del regime legale.

71.      Per contro i dati statistici citati non fornirebbero informazioni dirette sulla probabilità che un lavoratore resti disoccupato se ha perso l’impiego nei cinque anni precedenti il raggiungimento dell’età minima legale per il pensionamento anticipato. Dai dati non emerge chiaramente se, ad esempio, il rischio che corre un lavoratore di sesso maschile di non trovare un nuovo impiego in caso di licenziamento sia sostanzialmente minore poco prima del compimento del cinquantacinquesimo anno d’età piuttosto che dopo tale data; tanto meno dai dati si può desumere se questo rischio si differenzi in maniera significativa per uomini e donne della stessa età.

72.      Ne consegue che i fatti esposti alla Corte non corroborano l’ipotesi dell’idoneità delle fasce di età differenziate sulla base del sesso, scelte nell’accordo sociale, a raggiungere l’obiettivo perseguito nell’accordo sociale, vale a dire attenuare le conseguenze della disoccupazione di lunga durata.

b) L’esame del caso specifico in alternativa alla costituzione di fasce di età

73.      In alternativa alla costituzione generica di fasce di età andrebbe preso in considerazione l’esame concreto dei singoli casi specifici, meno drastico in relazione ai requisiti del principio della parità di trattamento. Come osserva a ragione il ricorrente, il rischio che corre il lavoratore di restare disoccupato avrebbe potuto essere valutato di volta in volta sulla base di criteri oggettivi. Si sarebbe potuto anche esaminare periodicamente se di fatto gli interessati fossero rimasti stabilmente disoccupati o se nel frattempo avessero trovato un nuovo impiego.

74.      Infatti, da un lato, non si deve dimenticare che una valutazione approfondita delle possibilità di ogni singolo lavoratore licenziato di trovare un nuovo impiego grazie alla sua qualifica o alla mobilità si traduce in un costo amministrativo per il datore di lavoro. Alla luce dell’imminente chiusura dell’azienda interessata, è probabile che si sarebbe potuto sostenere solo con grandi difficoltà siffatto costo, come pure una verifica periodica per accertare se il diretto interessato avesse di fatto trovato un nuovo impiego dopo la chiusura dell’azienda o fosse rimasto stabilmente disoccupato.

75.      Tuttavia, dall’altro lato, si rileva che la convenuta ha versato con regolarità ogni mese ai lavoratori interessati il sussidio di transizione per un periodo fino a cinque anni. Di conseguenza l’ufficio liquidazioni doveva comunque interessarsi periodicamente di ogni caso specifico. Pertanto è pacifico che detto ufficio avrebbe potuto chiedere ai beneficiari del sussidio di transizione, senza un eccessivo aggravio di lavoro, di dimostrare periodicamente la loro perdurante condizione di disoccupati o di fornire una copia della loro cartella esattoriale per accertarne il reddito.

76.      Il fatto che, invece, il sussidio di transizione sia stato corrisposto senza esaminare il caso specifico, anche quando gli interessati avevano già trovato un nuovo impiego, va al di là di quanto sarebbe stato necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito nell’accordo sociale, vale a dire attenuare le conseguenze a livello sociale della disoccupazione di lunga durata. È naturale che la datrice di lavoro era libera di concedere un sussidio di transizione a lavoratori licenziati anche a prescindere dall’effettiva disoccupazione. Tuttavia a questo riguardo una distinzione in base al sesso non era necessaria e, quindi, era inammissibile.

4. Conclusione

77.      Al fine di attenuare le conseguenze della disoccupazione di lunga durata non era idonea né necessaria la costituzione generica di fasce di età differenti in base al sesso. Dai fatti esposti alla Corte non emerge che il rischio che correva un lavoratore di sesso maschile di non trovare un nuovo impiego in caso di licenziamento fosse sostanzialmente minore poco prima del compimento del cinquantacinquesimo anno d’età piuttosto che dopo tale data; tanto meno che questo rischio si differenziasse in maniera significativa per uomini e donne della stessa età. Ne consegue che la fissazione di età minime differenti comporta una disparità di trattamento in base al sesso, non giustificabile oggettivamente.

78.      Sarebbe stato conforme al principio della parità di trattamento concedere ai lavoratori un sussidio di transizione a prescindere dal sesso.

D – Giustificazione

79.      Occorre ancora esaminare se la disparità di trattamento rilevata tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile sia giustificabile rinviando alla diversa età pensionabile legale vigente in Austria.

80.      Nel caso di specie, per stabilire fasce di età differenti in base al sesso la datrice di lavoro e il comitato aziendale hanno manifestamente assunto come criterio guida l’età pensionabile, differenziata per uomini e donne, applicabile in Austria. Quindi i limiti d’età scelti sono inferiori, rispettivamente, di dieci anni rispetto all’età pensionabile legale e di cinque anni rispetto all’età minima legale necessaria per percepire la pensione anticipata secondo le norme vigenti all’epoca in questione  (40) .

1. La giurisprudenza Barber

81.      Tuttavia, siffatte differenze dell’età pensionabile legale non possono giustificare una disparità di trattamento in ambito aziendale. Al contrario, a partire dalla sentenza pilota Barber  (41) , nella giurisprudenza viene riconosciuto  (42) che, ai fini della concessione o del calcolo di prestazioni aziendali, la fissazione di un requisito di età che varia secondo il sesso è in contrasto con l’art. 141 CE, anche se la differenza tra l’età di pensionamento degli uomini e quella delle donne è analoga a quella stabilita dal regime legale nazionale.

2. Non applicabilità per analogia della disposizione derogatoria relativa al regime pensionistico statale

82.      Solo nei regimi pensionistici generali statali gli Stati membri sono autorizzati a mantenere temporaneamente  (43) , come prevede, allo stato attuale del diritto comunitario, l’art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 79/7, un’età pensionabile legale differenziata per uomini e donne. In tal modo si intende consentire agli Stati membri una graduale transizione a sistemi pensionistici non discriminatori, senza perturbare il complesso equilibrio finanziario di questi sistemi  (44) . Si tratta tuttavia di una disposizione derogatoria che, anche tenuto conto dell’importanza fondamentale del principio della parità di trattamento, dev’essere interpretata restrittivamente  (45) . Secondo una costante giurisprudenza, tale deroga può essere giustificata in regimi di prestazioni diversi solo se si tratta di discriminazioni obiettivamente necessarie per evitare di mettere in gioco l’equilibrio finanziario del sistema di previdenza sociale o per garantire la coerenza tra il regime delle pensioni di vecchiaia e il regime delle altre prestazioni  (46) .

83.      Nel caso di specie non era necessario stabilire limiti d’età differenti nell’accordo sociale per evitare di mettere in gioco l’equilibrio finanziario di un sistema di previdenza sociale. Neanche le disponibilità finanziarie senza dubbio limitate della datrice di lavoro rendevano necessaria una disparità di trattamento, anzi, la corresponsione del sussidio di transizione poteva essere – come di fatto era – temporalmente limitata, e la percezione del sussidio di transizione avrebbe potuto essere subordinata ad una condizione effettiva di disoccupazione.

84.      Tanto meno era necessario inserire nell’accordo sociale una distinzione in base al sesso per creare coerenza tra il sussidio di transizione ed altre prestazioni, come ad esempio le prestazioni connesse con la pensione legale di vecchiaia. Infatti, da un lato, l’obiettivo dell’accordo sociale, vale a dire attenuare la disoccupazione di lunga durata, non richiede necessariamente una transizione diretta tra sussidio di transizione e pensione di vecchiaia spettante in forza del regime legale; piuttosto ci si doveva attendere dai lavoratori interessati che, grazie alle indennità percepite («indennità di licenziamento») e al sussidio di transizione corrisposto, si cautelassero essi stessi con opportune misure per il periodo sino al raggiungimento dell’età pensionabile legale. Tuttavia, anche considerando auspicabile un passaggio diretto dal sussidio di transizione alla pensione legale di vecchiaia e, di conseguenza, una maggiore coerenza tra la prestazione aziendale e il regime pensionistico legale, con l’obiettivo perseguito l’accordo sociale andava comunque al di là di quanto necessario per conseguire siffatta coerenza: infatti esso non subordinava il sussidio di transizione all’effettiva disoccupazione, bensì lo riteneva compatibile con un altro impiego retribuito  (47) .

3. Non applicabilità per analogia della sentenza Birds Eye Walls

85.      Nella sentenza Birds Eye Walls la Corte ha dichiarato che i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile possono versare in situazioni oggettivamente diverse in ragione dell’età pensionabile legale per loro differente. Pertanto in quel caso una pensione di transizione poteva subire una riduzione tenuto conto dei diritti di pensione legali esistenti, anche se in una data fascia di età ciò comportava che una donna percepisse una pensione di transizione inferiore a quella di un individuo di sesso maschile della stessa età scelto per il raffronto  (48) . Tuttavia, il regime differenziato in base al sesso della pensione di transizione nella causa Birds Eye Walls mira a perequare il trattamento economico globale di lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile che hanno interrotto il lavoro anticipatamente  (49) .

86.      Per quanto riguarda l’accordo sociale controverso nel procedimento principale, non sono stati adottati provvedimenti analoghi. Infatti, a differenza della causa Birds Eye Walls  (50) , nel caso di specie il sussidio di transizione non è stato affatto corrisposto a tutti i lavoratori licenziati, bensì solo ad una parte di essi. Tuttavia detto sussidio è stato pagato ai beneficiari anche quando il rischio della disoccupazione di lunga durata non sussisteva nel caso specifico. Quindi l’accordo sociale poteva condurre, a seconda del caso specifico, a conseguenze finanziarie fortemente divergenti per i lavoratori.

4. Conclusione

87.      Di conseguenza, nel caso di specie, il fatto che l’accordo sociale si orienti sull’età pensionabile legale differenziata in base al sesso non può giustificare una disparità di trattamento tra i sessi.

E – Conclusione provvisoria

88.      Dalle considerazioni che precedono deriva che in una fattispecie come quella del procedimento principale l’art. 141 CE e l’art. 1 della direttiva 75/117 ostano ad un accordo sociale che, rifacendosi all’età pensionabile legale differenziata per uomini e donne, stabilisce limiti di età minima differenti per la concessione di un sussidio di transizione a lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile che hanno perso il loro impiego a causa della chiusura di un’azienda.

89.      La prima questione va risolta in questo senso.

VIII – Sulla seconda questione

90.      Con la seconda questione, anch’essa suddivisa in tre parti, il giudice del rinvio chiede in sostanza se la direttiva 86/378 trovi applicazione nel caso di sussidi di transizione concessi a lavoratori in forza di accordi sociali in seguito alla perdita del loro impiego.

91.      L’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 86/378 è meno ampio di quello dell’art. 141 CE  (51) . Infatti, conformemente all’art. 2, n. 1, di questa direttiva, essa riguarda solo regimi professionali di previdenza sociale. Appare dubbio se le prestazioni vadano considerate come regimi quando vengono negoziate e versate unicamente una tantum (ad hoc) in un’azienda in una circostanza concreta, ad esempio a motivo di un accordo sociale in occasione della chiusura di un’azienda  (52) .

92.      In definitiva è però superfluo esaminare se un accordo sociale contenente una disciplina in materia di sussidio di transizione vada qualificato come un regime professionale di previdenza sociale. Infatti, conformemente alla giurisprudenza costante, le disposizioni della direttiva 86/378 non limitano la portata dell’art. 141 CE, bensì la chiariscono unicamente. Poiché è stata accertata una discriminazione in base al sesso già in forza dell’art. 141 CE, la direttiva non è più determinante  (53) .

93.      Neanche in caso contrario, in assenza di una discriminazione in base al sesso per mancata equiparabilità tra i fatti, la direttiva 86/378 può condurre ad un risultato diverso rispetto all’art. 141 CE. Infatti, il divieto di discriminazione di cui agli artt. 5, n. 1, e 6, n. 1, lett. c) ed e), della direttiva corrisponde a quello di cui all’art. 141 CE  (54) .

94.      Alla luce di quanto precede non occorre risolvere la seconda questione.

IX – Sulla terza questione

95.      Con la terza questione, composta da due parti, il giudice del rinvio chiede in sostanza se i sussidi di transizione concessi a lavoratori in forza di accordi sociali in seguito alla perdita del loro impiego vadano considerati come condizione inerente al licenziamento ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 76/207, e se ad essi possano essere applicati limiti d’età differenti per uomini e donne.

96.      Come si è osservato riguardo alla prima questione  (55) , il sussidio di transizione costituisce una retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE e dell’art. 1 della direttiva 75/117. Il raggiungimento di limiti di età differenti costituisce nell’accordo sociale una condizione per la corresponsione del sussidio di transizione ed è quindi strettamente connesso con la retribuzione stessa; pertanto non si tratta in alcun modo di una mera condizione inerente all’occupazione o al licenziamento che produce unicamente effetti secondari di natura finanziaria  (56) . Sotto questo aspetto il caso di specie si distingue dalla causa Burton  (57) , cui si riferisce la convenuta. Come ha giustamente osservato la Commissione, nella causa Burton si trattava del licenziamento volontario dall’azienda e dei relativi limiti d’età, disciplinati in maniera diversa in base al sesso. A tutti i lavoratori che hanno lasciato l’azienda era stata concessa indistintamente un’indennità, in certo qual modo a titolo di effetto secondario di natura finanziaria della recessione dal contratto di lavoro. Per contro, nel caso di specie tutti i lavoratori hanno perso l’impiego involontariamente; non vengono in esame le condizioni per il licenziamento dall’azienda, bensì quelle per la concessione del sussidio di transizione stesso cui solo taluni di essi hanno avuto diritto  (58) .

97.      Gli ambiti di applicazione della direttiva 76/207, da un lato, e dell’art. 141 CE e dell’art. 1 della direttiva 75/117, dall’altro, si escludono a vicenda  (59) . Il sussidio di transizione non può nel contempo rientrare anche nell’ambito di applicazione della direttiva 76/207. Infatti, come emerge in particolare dal suo secondo ‘considerando’, quest’ultima non riguarda la retribuzione ai sensi delle disposizioni summenzionate  (60) . Anche la nuova versione adottata nel frattempo dell’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207 lo conferma. Infatti questa disposizione opera un chiaro distinguo tra occupazione e condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento, da un lato, e la retribuzione, dall’altro, per la quale rimanda espressamente alla direttiva 75/117.

98.      La terza questione va risolta alla luce di quanto precede.

X – Conclusione

99.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni pregiudiziali sottopostele dall’Oberster Gerichtshof austriaco:

1)
In un caso come quello del procedimento principale, l’art. 141 CE e l’art. 1 della direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, ostano ad un accordo sociale che, rifacendosi all’età pensionabile legale differenziata per uomini e donne, stabilisce limiti di età minima differenti per la concessione di un sussidio di transizione a lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile che hanno perso il loro impiego a causa della chiusura di un’azienda.

2)
I sussidi di transizione concessi a lavoratori in forza di accordi sociali in seguito alla perdita dell’impiego non costituiscono condizioni inerenti al licenziamento ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro.


1
Lingua originale: il tedesco.


2
GU L 45, pag. 19.


3
GU L 225, pag. 40, modificata dalla direttiva 96/97/CE (GU L 46 del 17.02.1997, pag. 20).


4
GU L 39 del 14.2.1976, pag. 40.


5
Nella versione della direttiva 96/97 (cit. alla nota 3).


6
La nuova versione della direttiva 76/207 è entrata in vigore il 5 ottobre 2002, conformemente all’art. 3 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE, che modifica la direttiva 76/207 (GU L 269, pag. 15). Tuttavia il termine di recepimento delle modifiche apportate è fissato al 5 ottobre 2005.


7
GU L 6, pag. 24.


8
Punto 8.3 dell’accordo sociale, citato al paragrafo 20 delle presenti conclusioni.


9
I dati si riferiscono ad una statistica predisposta dall’Arbeitsmarktservice di Vienna, citata dal giudice del rinvio nella sua ordinanza.


10
A questo proposito il ricorrente rinvia al punto 4 dell’accordo sociale, che contiene la seguente norma: «(…) nel periodo di esenzione dal servizio i lavoratori possono impegnarsi in un altro rapporto di lavoro nel rispetto dei diritti derivanti dal presente accordo sociale».


11
Sentenza 16 febbraio 1982, causa 19/81, Burton (Racc. pag. 554).


12
Sentenza 9 novembre 1993, causa C-132/92, Birds Eye Walls (Racc. pag. I-5579).


13
Cit. alla nota 12.


14
La Commissione fa riferimento segnatamente alle sentenze 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber (Racc. pag. I-1889); 27 giugno 1990, causa C-33/89, Kowalska (Racc. pag. I-2591), e 9 febbraio 1999, causa C-167/97, Seymour-Smith e Perez (Racc. pag. I-623), nonché alla sentenza Birds Eye Walls (cit. alla nota 12).


15
Cit. alla nota 11.


16
Sentenza 8 aprile 1976, causa 43/75, Defrenne II (Racc. pag. 455, punti 38/39), v. inoltre, inter alia, sentenze 17 settembre 2002, causa C-320/00, Lawrence e a. (Racc. pag. I-7325, punto 17), e 13 gennaio 2004, causa C-256/01, Allonby (Racc. pag. I-0000, punto 45).


17
Costante giurisprudenza; v. solo la sentenza 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori (Racc. pag. I-3325, punti 19-26 e la giurisprudenza ivi citata).


18
Sentenza Barber (cit. alla nota 14, punto 11), v. inoltre sentenze 31 marzo 1981, causa 96/80, Jenkins (Racc. pag. 911, punto 22); 15 dicembre 1994, cause riunite C-399/92, C-409/92, C-425/92, C-34/93, C-50/93 e C-78/93, Helmig e a. (Racc. pag. I-5727, punto 19); 30 marzo 2000, causa C-236/98, JämO (Racc. pag. I-2189, punto 37), e 26 giugno 2001, causa C-381/99, Brunnhofer (Racc. pag. I-4961, punto 29); v. anche sentenza Defrenne II (citata alla nota 16, punti 53/55) e sentenza 11 marzo 1981, causa 69/80, Worringham (Racc. pag. 767, punto 21).


19
Sentenze 23 ottobre 2003, cause riunite C-4/02 e C-5/02, Schönheit e Becker (Racc. pag. I‑0000, punto 56), 25 maggio 2000, causa C-50/99, Podesta (Racc. pag. I-4039, punto 26), e 28 settembre 1994, causa C-7/93, Beune (Racc. pag. I-4471, punto 43).


20
V. la formulazione dell’art. 141, n. 2, CE, le sentenze Barber (cit. alla nota 14, punto 12), e Seymour-Smith e Perez (cit. alla nota 14, punto 23), nonché la sentenza 9 febbraio 1982, causa 12/81, Garland (Racc. pag. 359, punto 5).


21
V. sentenze Barber (punti 12-14), Seymour-Smith e Perez (punto 25) e Kowalska (punti 9-11), citate alla nota 14, la sentenza Birds Eye Walls (cit. alla nota 12, punto 12), nonché la sentenza 17 febbraio 1993, causa C-173/91, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-673, punti 15-17).


22
I citati criteri di demarcazione sono conformi ad una costante giurisprudenza; v. sentenze 25 maggio 1971, causa 80/70, Defrenne I (Racc. pag. 445, punti 7/12); 13 maggio 1986, causa 170/84, Bilka (Racc. pag. 1607, punti 17 e seg.), nonché sentenze Barber (cit. alla nota 14, punto 22) e Commissione/Belgio (cit. alla nota 21, punto 14).


23
Punto 8.3 dell’accordo sociale.


24
Causa C-220/02; v. ivi, in particolare, paragrafi 33-45 delle conclusioni da me presentate il 12 febbraio 2004 (Racc. pag. I-0000).


25
V. a questo riguardo il paragrafo 13 delle presenti conclusioni.


26
Punto 8.3 dell’accordo sociale.


27
Paragrafi 44 e 45 delle presenti conclusioni.


28
V., inoltre, la sentenza Garland (cit. alla nota 20, punto 9) e la sentenza 16 settembre 1999, causa C-218/98, Abdoulaye e a. (Racc. pag. I-5723, punto 15), con considerazioni analoghe.


29
Sentenze Barber (cit. alla nota 14, punto 32) e Podesta (cit. alla 19, punto 46); v. anche la sentenza 28 settembre 1994, causa C-408/92, Smith e a. (Racc. pag. I-4435, punto 11). Quanto alla demarcazione degli ambiti di applicazione dell’art. 141 CE e della direttiva 75/117, da un lato, nonché della direttiva 76/207, dall’altro, v. i paragrafi 95 e segg. delle presenti conclusioni.


30
Sentenze Brunnhofer (cit. alla nota 18, punti 28 e 39) e Birds Eye Walls (cit. alla nota 12, punto 17). V. anche sentenza Abdoulaye (cit. alla nota 28, punti 16 e 17), nonché sentenze 13 febbraio 1996, causa C-342/93, Gillespie (Racc. pag. I-475, punto 16), e 13 dicembre 2001, causa C‑206/00, Mouflin (Racc. pag. I-10201, punto 28).


31
V. paragrafi 17 e segg. delle presenti conclusioni.


32
Sentenze 14 dicembre 1995, causa C-317/93, Nolte (Racc. pag. I-4625, punto 33), e 9 settembre 1999, causa C-281/97, Krüger (Racc. pag. I-5127, punto 28); v. inoltre sentenza Seymour-Smith e Perez (cit. alla nota 14, punto 74).


33
Sentenza Seymour-Smith e Perez (cit. alla nota 14, punto 75) e sentenza 20 marzo 2003, causa C-187/00, Kutz-Bauer (Racc. pag. I-2741, punto 57).


34
Nello stesso senso si esprimono anche le sentenze Kutz-Bauer (cit. alla nota 33, punto 58) e Seymour-Smith e Perez (cit. alla nota 14, punto 76).


35
V., in generale, sentenza 11 settembre 2003, causa C-77/02, Steinicke (Racc. pag. I-0000, punti 58 e 59), nonché sentenze Kutz-Bauer (cit. alla nota 33, punti 51 e 52), Schönheit e Becker (cit. alla nota 19, punti 83 e 84), e Seymour-Smith e Perez (cit. alla nota 14, punto 68).


36
V., ad esempio, sentenza Abdoulaye (cit. alla nota 28, punti 17-20).


37
V. paragrafi 22 e segg. delle presenti conclusioni.


38
Costante giurisprudenza; v., inter alia, sentenze Allonby (cit. alla nota 16, punti 75 e 81), e Steinicke (cit. alla nota 35, punti 56 e 57).


39
V., a questo riguardo, in particolare il paragrafo 82 delle presenti conclusioni.


40
V. paragrafo 15 delle presenti conclusioni.


41
Cit. alla nota 14, punto 32.


42
V., ad esempio, sentenza 14 dicembre 1993, causa C-110/91, Moroni (Racc. pag. I-6591, punti 10 e 20), e sentenza Smith e a. (cit. alla nota 29, punto 11).


43
Sentenze 30 marzo 1993, causa C-328/91, Thomas (Racc. pag. I-1247, punto 9); 30 gennaio 1997, causa C-139/95, Balestra (Racc. pag. I-549, punto 32), nonché 23 maggio 2000, causa C‑104/98, Buchner (Racc. pag. I-3625, punto 23) e C-196/98, Hepple (Racc. pag. I-3701, punto 23).


44
Sentenza 7 luglio 1992, causa C-9/91, Equal Opportunities Commission (Racc. pag. I-4297, punti 14 e 15). V. anche sentenza Burton (cit. alla nota 11, punti 13 e 14).


45
V. sentenze, citate alla nota 43, Thomas (punto 8) e Buchner (punto 21), nonché sentenze 30 aprile 1998, cause riunite da C-377/96 a C-384/96, De Vriendt e a. (Racc. pag. I-2105, punto 25), e 4 marzo 2004, causa C-303/02, Haackert (Racc. pag. I-0000, punto 26).


46
V. sentenze, citate alla nota 43, Thomas (punti 12 e 20), Balestra (punti 33 e 35), Buchner (punti 25 e 26), Hepple (punti 25 e 26), nonché sentenza Haackert, cit. alla nota 45 (punto 30).


47
V. anche paragrafo 76 delle presenti conclusioni.


48
Sentenza Birds Eye Walls (cit. alla nota 12, punti 20 e 24).


49
Sentenza Birds Eye Walls (cit. alla nota 12, punto 5). Anche il legislatore comunitario ha inteso e codificato in questo senso la giurisprudenza nella causa Birds Eye Walls: v. art. 2, n. 3, della direttiva 86/378, nella versione della direttiva 96/97.


50
Sentenza citata alla nota 12, punti 2-5.


51
Per contro l’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 86/378 è più ampio di quello dell’art. 141 CE, in quanto la direttiva riguarda non solo lavoratori dipendenti, ma anche lavoratori autonomi.


52
A questo riguardo il caso di specie si distingue dalla causa Defreyn, in cui la Corte ha incluso un contratto collettivo nell’ambito di applicazione della direttiva 86/378, che garantisce una protezione contro il rischio di disoccupazione fornendo ai lavoratori interessati prestazioni dirette a completare le prestazioni del regime legale di sicurezza sociale della disoccupazione (sentenza 13 giugno 2000, causa C-166/99, Defreyn, Racc. pag. I-6155, punti 6 e segg. e 29).


53
Sentenze Moroni (cit. alla nota 42, punti 22-24), Schönheit und Becker (cit. alla nota 19, punto 65) e Allonby (cit. alla nota 16, punto 78).


54
Per quanto riguarda l’art. 141 CE, v. paragrafi 52 e segg. e 81 delle presenti conclusioni e la giurisprudenza ivi citata.


55
Paragrafi 43-51 delle presenti conclusioni.


56
Per quanto riguarda il criterio dello stretto nesso e degli effetti secondari di natura finanziaria di condizioni inerenti all’occupazione, v. sentenze Steinicke (cit. alla nota 35, punto 51) e JämO (cit. alla nota 18, punto 59), nonché sentenze 19 marzo 2002, causa C-476/99, Lommers (Racc. pag. I-2891, punto 28), e 15 giugno 1978, causa 149/77, Defrenne III (Racc. pag. 1365, punto 21). E’ infine analoga la sentenza Seymour-Smith e Perez (cit. alla nota 14, punti 35 e 36).


57
Cit. alla nota 11.


58
Qualora モ contrariamente alla tesi sostenuta nelle presenti conclusioni – si considerino i fatti all’origine della sentenza Burton (cit. alla nota 11) come equiparabili alla fattispecie, la sentenza Burton dovrebbe essere ritenuta superata, tenuto conto della più recente giurisprudenza citata (nota 56).


59
In questo senso, in conclusione, v. anche sentenze Steinicke (cit. alla nota 35, punti 48-51), Krüger (cit. alla nota 32, punto 17), Gillespie (cit. alla nota 30, punto 24), Defreyn (cit. alla nota 52, punto 35), e Seymour-Smith e Perez (cit. alla nota 14, punti 35 e 36).


60
Sentenze Gillespie (cit. alla nota 30, punto 24) e Krüger (cit. alla nota 32, punto 14).

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