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Document 62001TO0223

Ordinanza del Tribunale di primo grado (Quinta Sezione) del 10 settembre 2002.
Japan Tobacco Inc. e JT International SA contro Parlamento europeo e Consiglio dell'Unione europea.
Ricorso di annullamento - Art. 7 della direttiva 2001/37/CE - Ricevibilità - Legittimità ad agire ed interesse diretto.
Causa T-223/01.

Raccolta della Giurisprudenza 2002 II-03259

ECLI identifier: ECLI:EU:T:2002:205

62001B0223

Ordinanza del Tribunale di primo grado (Quinta Sezione) del 10 settembre 2002. - Japan Tobacco Inc. e JT International SA contro Parlamento europeo e Consiglio dell'Unione europea. - Ricorso di annullamento - Art. 7 della direttiva 2001/37/CE - Ricevibilità - Legittimità ad agire ed interesse diretto. - Causa T-223/01.

raccolta della giurisprudenza 2002 pagina II-03259


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


1. Ricorso di annullamento - Persone fisiche o giuridiche - Atti che le riguardano direttamente e individualmente - Atto normativo - Direttiva

(Art. 230, quarto comma, CE)

2. Ricorso di annullamento - Persone fisiche o giuridiche - Atti che le riguardano direttamente e individualmente - Incidenza diretta - Criteri - Disposizioni di una direttiva che vieta l'impiego di talune denominazioni sulla confezione dei prodotti del tabacco - Società che produce e commercializza sigarette con un marchio - Incidenza diretta - Insussistenza

(Art. 230, quarto comma, CE; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2001/37/CE, art. 7)

Massima


1. Anche se l'art. 230, quarto comma, CE non riguarda espressamente la ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti da singoli nei confronti di una direttiva, questa unica circostanza non è sufficiente a dichiarare irricevibili tali ricorsi. Inoltre, le istituzioni comunitarie non possono escludere, con la sola scelta della forma dell'atto di cui trattasi, la tutela giurisdizionale che tale disposizione del Trattato offre ai singoli. D'altra parte, in talune circostanze, anche un atto normativo che si applica alla generalità degli operatori economici interessati può riguardare direttamente ed individualmente taluni di essi.

( v. punti 28-29 )

2. Perché il provvedimento comunitario contestato incida direttamente su un singolo ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE, occorre che esso produca direttamente effetti sulla situazione giuridica di quest'ultimo e non lasci alcun potere discrezionale ai destinatari del provvedimento stesso incaricati della sua applicazione, la quale ha carattere meramente automatico e deriva dalla sola normativa comunitaria senza intervento di altre norme intermedie. Questo significa che, nel caso in cui un atto comunitario è rivolto ad uno Stato membro da un'istituzione, se l'azione che lo Stato membro deve intraprendere in seguito all'atto ha un carattere automatico, o se comunque l'esito non è dubbio, allora l'atto riguarda direttamente qualsiasi persona interessata da tale azione. Se, al contrario, l'atto lascia allo Stato membro la possibilità di agire o di non agire, sarà l'azione o l'inerzia dello Stato membro a riguardare direttamente la persona interessata e non l'atto in se stesso. In altri termini, il provvedimento di cui trattasi non deve dipendere, quanto ai suoi effetti, dall'esercizio di un potere discrezionale da parte di un terzo, a meno che sia manifesto che un siffatto potere deve necessariamente essere esercitato in un determinato modo.

A questo riguardo, l'art. 7 della direttiva 2001/37, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco, che vieta l'impiego di talune denominazioni sulla confezione di tali prodotti, non comporta alcuna modifica della situazione giuridica di due società che producono e commercializzano sigarette con un marchio fino alla sua trasposizione nell'ordinamento nazionale di almeno uno Stato membro o fino alla scadenza del termine previsto per la sua trasposizione, rimanendo tali società proprietarie e titolari del marchio e continuando ad avere il diritto di farne uso per la commercializzazione di sigarette nella Comunità.

( v. punti 45-47 )

Parti


Nella causa T-223/01,

Japan Tobacco Inc., con sede in Tokyo (Giappone),

JT International SA, con sede in Ginevra (Svizzera),

rappresentate dall'avv. O. Brouwer e dal sig. P. Lomas, solicitor, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrenti,

contro

Parlamento europeo, rappresentato dai sigg. C. Pennera e M. Moore, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

e

Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dalla sig.ra E. Karlsson, in qualità di agente,

convenuti,

avente ad oggetto il ricorso diretto ad ottenere l'annullamento dell'art. 7 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 giugno 2001, 2001/37/CE, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco (GU L 194, pag. 26),

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),

composto dal sig. J.D. Cooke, presidente, dal sig. R. García-Valdecasas e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,

cancelliere: H. Jung

ha emesso la seguente

Ordinanza

Motivazione della sentenza


Ambito normativo

1 La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 giugno 2001, 2001/37/CE, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco (GU L 194, pag. 26; in prosieguo: la «direttiva»), contiene, in particolare, le seguenti disposizioni:

«Articolo 1

Oggetto

La presente direttiva ha per oggetto il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri riguardanti il tenore massimo in catrame, nicotina e monossido di carbonio delle sigarette, le avvertenze relative alla pericolosità per la salute e altre indicazioni da far figurare sui pacchetti dei prodotti del tabacco, nonché talune misure relative agli ingredienti e alle qualificazioni dei prodotti del tabacco, prendendo come base un elevato livello di protezione della salute.

Articlo 2

Definizioni

Ai fini della presente direttiva, s'intende per:

1) "prodotti del tabacco", i prodotti destinati a essere fumati, fiutati, succhiati o masticati, che siano, anche parzialmente, costituiti di tabacco, geneticamente modificato o no;

(...)

Articolo 7

Denominazioni del prodotto

Con effetto a partire dal 30 settembre 2003 e fatto salvo l'articolo 5, paragrafo 1, le diciture, denominazioni, marchi, immagini e altri elementi figurativi o altri simboli che suggeriscono che un particolare prodotto del tabacco è meno nocivo di altri non sono usati sulle confezioni dei prodotti del tabacco.

(...)

Articolo 14

Attuazione

1. Fatto salvo l'articolo 15, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 30 settembre 2002. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

(...)».

2 Il ventisettesimo considerando della direttiva recita:

«L'uso sulle confezioni dei prodotti del tabacco di diciture quali "basso tenore di catrame", "ultra-light", "light", "mild", di nomi, immagini ed elementi figurativi o altri segni può trarre in inganno il consumatore dando la falsa impressione che i suddetti prodotti siano meno nocivi, e portare ad un aumento dei consumi (...)».

Fatti all'origine della controversia

3 Le ricorrenti fanno parte di un gruppo attivo sul mercato delle sigarette. Esse fabbricano e commercializzano, in particolare, sigarette con il marchio MILD SEVEN. Le vendite di tali sigarette rappresentano più del 40% del totale delle vendite e più del 40% delle entrate della prima ricorrente.

4 La prima ricorrente è la proprietaria del marchio MILD SEVEN in tutto il mondo, ed in particolare nell'Unione europea, e la seconda è licenziataria di tale marchio. Le ricorrenti sostengono che il detto marchio è il secondo marchio mondiale e che esse hanno investito somme rilevanti per garantirne lo sviluppo.

5 Esse fanno valere, in sostanza, che l'applicazione dell'art. 7 della direttiva (in prosieguo: l'«art. 7») a marchi esistenti avrà l'effetto di privarle dei loro diritti di proprietà intellettuale sul marchio MILD SEVEN e di arrecare un consistente pregiudizio al valore di tale marchio nel mondo.

Procedimento e conclusioni delle parti

6 Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 20 settembre 2001, le ricorrenti hanno proposto il ricorso in esame.

7 Esse fanno valere i seguenti cinque motivi a sostegno del loro ricorso di annullamento dell'art. 7 della direttiva: difetto di competenza della Comunità per armonizzare le legislazioni in mancanza di verosimili ostacoli agli scambi o di sensibili alterazioni della concorrenza; illecito pregiudizio agli esistenti diritti di proprietà delle ricorrenti; violazione del principio di proporzionalità; difetto di motivazione e violazione del principio della parità di trattamento.

8 Con atti separati depositati nella cancelleria del Tribunale, rispettivamente il 12 e il 26 novembre 2001, il Parlamento e il Consiglio hanno sollevato un'eccezione di irricevibilità ai sensi dell'art. 114 del regolamento di procedura del Tribunale.

9 Il 10 gennaio 2002 le ricorrenti hanno depositato le loro osservazioni su tali eccezioni.

10 Con atti depositati nella cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 15 e il 20 febbraio 2002, la Commissione ed il Regno dei Paesi Bassi, da un lato, ed il Regno Unito, dall'altro, hanno chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni del Parlamento e del Consiglio.

11 Le parti hanno informato il Tribunale di non avere osservazioni da formulare al riguardo. Tuttavia, con lettere 7 e 26 marzo 2002, le ricorrenti hanno chiesto il trattamento riservato di taluni elementi del loro ricorso, in applicazione dell'art. 116, n. 2, del regolamento di procedura.

12 Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

- dichiarare il ricorso ricevibile;

- annullare l'art. 7 nella sua integralità;

- in subordine, annullare l'art. 7 nei limiti in cui esso impedisce alle ricorrenti l'uso del marchio MILD SEVEN nell'Unione europea;

- condannare il Parlamento e/o il Consiglio alle spese.

13 Il Parlamento chiede che il Tribunale voglia:

- dichiarare il ricorso irricevibile nella sua integralità;

- condannare le ricorrenti alle spese.

14 Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

- dichiarare il ricorso irricevibile;

- condannare le ricorrenti alle spese.

Sulla ricevibilità

15 Ai sensi dell'art. 114, n. 1, del regolamento di procedura, se una parte lo chiede, il Tribunale può statuire sull'irricevibilità senza impegnare la discussione nel merito. Conformemente al n. 3 dello stesso articolo, salvo contraria decisione, il procedimento prosegue oralmente. Nella fattispecie il Tribunale si considera sufficientemente edotto a seguito dell'esame dei documenti agli atti per statuire sulla domanda senza passare alla fase orale del procedimento.

16 Il Parlamento e il Consiglio sostengono che il ricorso di annullamento dell'art. 7 della direttiva è irricevibile in quanto le ricorrenti non sono né direttamente né individualmente interessate da tale articolo ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE. Il Consiglio fa altresì valere che le ricorrenti non sono legittimate ad agire per ottenere l'annullamento di una disposizione di una direttiva.

17 Le ricorrenti contestano la fondatezza dei motivi di irricevibilità dedotti dal Parlamento e dal Consiglio. Esse ritengono di essere legittimate a chiedere l'annullamento dell'art. 7 e sostengono il carattere manifesto del fatto di essere direttamente ed individualmente interessate dalla detta disposizione. Esse fanno valere, in particolare, che non hanno come obiettivo l'annullamento della direttiva nel suo insieme e che non tentano di ottenere dal Tribunale una decisione sull'interpretazione della direttiva, ma che intendono ottenere l'annullamento del solo art. 7, disposizione, a loro avviso, separabile dal resto della direttiva.

18 In primo luogo, occorre esaminare il motivo di irricevibilità del Consiglio attinente al difetto di legittimazione dei ricorrenti ad agire per ottenere l'annullamento di una disposizione di una direttiva.

Sul difetto di legittimazione ad agire per ottenere l'annullamento di una disposizione di una direttiva

Argomenti delle parti

19 Il Consiglio sostiene che le ricorrenti non sono legittimate ad agire per ottenere l'annullamento di una disposizione di una direttiva. L'art. 230, quarto comma, CE non prevede, per i singoli, alcun ricorso diretto contro le direttive. Il Consiglio fa valere che, a differenza dei regolamenti, le direttive producono effetti giuridici solo dopo la loro trasposizione nell'ordinamento nazionale degli Stati membri, poiché sono le disposizioni nazionali che conferiscono diritti ed impongono obblighi ai singoli (sentenza della Corte 7 marzo 1996, causa C-192/94, El Corte Inglés, Racc. pag. I-1281, punto 15).

20 Il Consiglio precisa che, prima della trasposizione dell'art. 7 nell'ordinamento nazionale degli Stati membri, o almeno prima della scadenza del termine previsto per tale trasposizione (30 settembre 2003), è impossibile determinare se tale articolo possa interessare le ricorrenti direttamente ed individualmente. A suo avviso, è solo in quel momento che l'art. 7 produrrà i suoi effetti giuridici nei confronti delle ricorrenti.

21 Esso aggiunge che gli Stati membri godono di poteri discrezionali quanto all'attuazione della direttiva, di modo che non è possibile, allo stadio attuale, conoscere l'esatto tenore delle future disposizioni nazionali e, segnatamente, sapere se gli Stati membri redigeranno un elenco (non tassativo) delle espressioni da vietare sulle confezioni dei prodotti del tabacco, ed eventualmente se il termine «mild» vi sarà riportato, dato che tale termine non figura in tutte le versioni linguistiche della direttiva.

22 Inoltre, l'art. 7 sarebbe con tutta evidenza una disposizione avente portata generale, astrattamente applicabile a situazioni definite oggettivamente. Esso non può essere quindi considerato alla stregua di una decisione dissimulata e formare, a tal titolo, oggetto di un ricorso di annullamento ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE.

23 Le ricorrenti contestano l'argomento secondo cui le direttive, incluse le «vere e proprie direttive», non possono mai, per loro natura, formare oggetto di un ricorso di annullamento da parte di persone fisiche o giuridiche sulla base dell'art. 230, quarto comma, CE. Sebbene nessun ricorso di annullamento di questo tipo sia stato accolto fino ad oggi, la giurisprudenza dimostrerebbe il carattere errato del detto argomento ed indicherebbe che l'esame corretto da svolgere consiste nel sapere se la misura di cui trattasi riguardi le ricorrenti in modo diretto ed individuale (sentenza della Corte 29 giugno 1993, causa C-298/89, Gibraltar/Consiglio, Racc. pag. I-3605, e sentenze del Tribunale 17 giugno 1998, causa T-135/96, UEAPME/Consiglio, Racc. pag. II-2335, e 27 giugno 2000, cause riunite T-172/98 e da T-175/98 a T-177/98, Salamander e a./Parlamento e Consiglio, Racc. pag. II-2487). Di conseguenza, non spetterebbe alle ricorrenti dimostrare che l'art. 7 ha il carattere di una decisione dissimulata.

24 Le ricorrenti ritengono che l'esigenza secondo cui una direttiva deve, per sua natura, essere trasposta nell'ordinamento interno non escluda la possibilità di proporre un ricorso contro tale atto. Se tale esigenza ostasse automaticamente a qualsiasi ricorso proposto da una persona fisica o giuridica, la Corte non avrebbe esaminato, o non avrebbe dovuto esaminare, nella giurisprudenza citata al punto precedente, se le direttive oggetto di tali pronuncie interessassero direttamente ed individualmente le persone fisiche o giuridiche in questione.

25 Esse sostengono altresì che l'argomento del Consiglio attinente al termine di trasposizione dell'art. 7 non è rilevante. Esse fanno valere che, poiché tale articolo è entrato in vigore il 18 luglio 2001, esse sarebbero state dichiarate decadute se avessero atteso fino al 30 settembre 2003, data di inizio dell'efficacia di tale articolo, per chiederne l'annullamento. A sostegno della loro argomentazione, esse sostengono che, nella causa all'origine della sentenza della Corte 18 maggio 1994, causa C-309/89, Codorniu/Consiglio (Racc. pag. I-1853), il fatto che fosse trascorso un periodo di cinque anni tra la data di entrata in vigore della disposizione in questione, cioè il 1° settembre 1989, e quella in cui tale disposizione ha prodotto effetti nei confronti del ricorrente non ha per nulla ostato alla ricevibilità del ricorso, proposto il 9 ottobre 1989.

26 In subordine, se dovesse risultare necessario dimostrare che l'art. 7 rappresenta, nel merito, una decisione ai sensi dell'art. 230 CE, le ricorrenti sostengono che è la sostanza, e non la forma, del detto atto che determina se esso può formare oggetto di un ricorso conformemente a tale ultimo articolo. Al riguardo, occorrerebbe esaminare in particolare il carattere limitato della cerchia dei destinatari nei confronti dei quali l'atto produce effetti (sentenza della Corte 14 ottobre 1962, cause riunite 16/62 e 17/62, Confédération nationale des producteurs de fruits et légumes e a./Consiglio, Racc. pag. 909). Le ricorrenti fanno valere che l'art. 7, nei limiti in cui riguarda «descrittori» quali «light» e «ultra light», si applica a tutti i produttori di tabacco e rappresenta quindi un vero atto normativo avente portata generale. Tuttavia, tale articolo rappresenterebbe anche una decisione «di fatto» nei confronti delle ricorrenti, in quanto produrrebbe un effetto specifico nella loro sfera (come in quella dei produttori titolari dei marchi SUAVE e MILDE SORTE, che sarebbero interessati alla stessa maniera). I ricorrenti e questi ultimi produttori sarebbero infatti i soli operatori i cui marchi registrati contengono espressioni qualificati come «descrittori» dalla direttiva.

Giudizio del Tribunale

27 Nel caso di specie, occorre valutare la ricevibilità di un ricorso proposto da una persona giuridica ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE nei confronti di una direttiva adottata dal Parlamento e dal Consiglio sulla base degli artt. 95 CE e 113 CE.

28 Anche se l'art. 230, quarto comma, CE non riguarda espressamente la ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti da singoli nei confronti di una direttiva, emerge comunque dalla giurisprudenza della Corte e del Tribunale che questa unica circostanza non è sufficiente a dichiarare irricevibili tali ricorsi (v., al riguardo, sentenze Gibraltar/Consiglio, cit., punti 15-23, e UEAPME/Consiglio, cit., punto 63). Inoltre, le istituzioni comunitarie non possono escludere, con la sola scelta della forma dell'atto di cui trattasi, la tutela giurisdizionale che tale disposizione del Trattato offre ai singoli (v. ordinanza del Tribunale 30 settembre 1997, causa T-122/96, Federolio/Commissione, Racc. pag. II-1559, punto 50).

29 D'altra parte, in talune circostanze, anche un atto normativo che si applica alla generalità degli operatori economici interessati può riguardare direttamente ed individualmente taluni di essi (v. sentenza della Corte 17 gennaio 1985, causa 11/82, Piraiki-Patraiki e a./Commissione, Racc. pag. 207, punti 11-32, e sentenza Salamander e a./Parlamento e Consiglio, cit., punto 30).

30 Quindi, il solo fatto che l'art. 7 faccia parte di un atto avente, come ammesso dalle ricorrenti, carattere normativo e costituisca quindi una direttiva vera e propria, e non una decisione recante il titolo di «direttiva», non è di per sé sufficiente per escludere la possibilità che tale articolo possa riguardarle direttamente ed individualmente.

31 Di conseguenza, il motivo di irricevibilità dedotto dal Consiglio, attinente alla mancanza di legittimazione delle ricorrenti ad agire per ottenere l'annullamento di una disposizione di una direttiva, deve essere respinto.

Sul difetto di legittimazione ad agire in mancanza di un interesse diretto

Argomenti delle parti

32 Il Parlamento fa valere che una direttiva vera e propria non può formare oggetto di un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica. La direttiva di cui trattasi nel caso di specie rappresenterebbe inequivocabilmente una direttiva, tanto nella sostanza quanto nella forma. Essa obbligherebbe gli Stati membri ad adottare misure di attuazione e non mirerebbe affatto ad imporre direttamente obblighi agli operatori economici individuali. Il Consiglio aggiunge che una direttiva come quella impugnata nel caso di specie non è di per sé idonea, prima dell'adozione di misure nazionali di trasposizione, ad incidere direttamente sulla situazione giuridica dei ricorrenti.

33 Il Parlamento rileva che la direttiva è indirizzata agli Stati membri e, conformemente all'art. 249 CE, vincola «lo Stato membro cui è rivolta» quanto al risultato da raggiungere. Fino ad oggi, il giudice comunitario non avrebbe mai dichiarato la ricevibilità di un'azione siffatta. Il Parlamento fa riferimento, al riguardo, in particolare all'ordinanza della Corte 23 novembre 1995, causa C-10/95 P, Asocarne/Consiglio (Racc. pag. I-4149), ed alla sentenza Salamander e a./Parlamento e Consiglio, cit. Alla luce di tale giurisprudenza, esso sostiene che, poiché una vera e propria direttiva non può mai imporre, di per sé, obblighi giuridici ai singoli, allo stesso modo è impossibile che essa possa riguardare direttamente un singolo ai sensi dell'art. 230 CE. Il Parlamento contesta l'interpretazione svolta dai ricorrenti del punto 70 della sentenza Salamander e a./Parlamento e Consiglio, cit. Tale punto dovrebbe essere interpretato nel senso che, se un testo giuridico comunitario è, in modo autentico, una direttiva, esso non può formare oggetto di un ricorso di annullamento da parte di una persona fisica o giuridica. Da ciò discenderebbe che, per determinare se un ricorso di annullamento di una direttiva sia ricevibile oppure no, non è rilevante sostenere che una direttiva non lascia alcun potere discrezionale agli Stati membri.

34 Le ricorrenti non potrebbero neanche fondarsi sulle sentenze Piraiki-Patraiki e a./Commissione, cit., e Codorniu/Consiglio, cit. Nella prima di tali cause, l'atto impugnato sarebbe una decisione, mentre la seconda di tali cause avrebbe ad oggetto un regolamento. Ora, conformemente all'art. 249 CE, una decisione o un regolamento potrebbero imporre obblighi a singoli e riguardare direttamente persone fisiche o giuridiche ai sensi dell'art. 230 CE.

35 Il Parlamento ritiene che le ricorrenti abbiano mal interpretato la parte essenziale del ragionamento della Corte nella sentenza Codorniu/Consiglio, cit. Il solo fatto che tale sentenza riguardava una limitazione da parte di un atto normativo comunitario nell'uso di un marchio non implica che qualsiasi misura normativa analoga possa formare oggetto di un ricorso di annullamento da parte di una persona fisica o giuridica. In ogni caso, la parte della detta sentenza che tratta della ricevibilità si concentrerebbe esclusivamente sul problema dell'interesse individuale (v., in particolare, il suo punto 19).

36 Il Consiglio contesta la rilevanza dei riferimenti fatti dalle ricorrenti alla sentenza Salamander e a./Parlamento e Consiglio, cit. Esso sottolinea che tale sentenza suffraga la sua tesi e rileva che gli argomenti fatti valere dalle ricorrenti nel ricorso in esame sono in contraddizione con quelli dedotti dalle imprese ricorrenti nella causa all'origine della detta sentenza.

37 Le ricorrenti sostengono che, secondo la giurisprudenza, un singolo può essere «direttamente interessato» da una direttiva, anche se sono necessarie misure supplementari affinché quest'ultimo sia esposto ad «effetti giuridici». Esse osservano che, anche se si dovesse considerare che gli Stati membri dispongono di un potere discrezionale per attuare l'art. 7, ciò non escluderebbe che esse sono direttamente interessate da tale articolo, dato che non sussisterebbe alcun dubbio in merito al senso in cui gli Stati membri eserciterebbero tale potere (sentenza della Corte 23 novembre 1971, causa 62/70, Bock/Commissione, Racc. pag. 897).

38 Le ricorrenti sostengono che l'art. 7 ha l'effetto di vietare l'uso di marchi come MILD SEVEN, in quanto esso non lascia alcun potere discrezionale agli Stati membri. La presente causa si distinguerebbe, sul punto, dalla causa all'origine della sentenza Salamander e a./Parlamento e Consiglio, cit., in cui il Tribunale avrebbe basato il suo ragionamento sul fatto che la direttiva lasciava agli Stati membri un potere discrezionale. Tale sentenza, lungi dallo stabilire una regola generale applicabile a tutte le direttive, avrebbe prospettato solo le conseguenze specifiche per le ricorrenti delle disposizioni della direttiva controversa in quella causa.

39 Le ricorrenti precisano che nessuno degli esempi citati dal Consiglio dimostra un potere discrezionale lasciato agli Stati membri circa il problema del se, dopo il 30 settembre 2003, le sigarette del marchio MILD SEVEN potranno legalmente essere fabbricate e/o vendute all'interno della Comunità. Tali esempi riguarderebbero solo la forma ed il metodo con cui gli Stati membri eseguono il loro obbligo di attuare l'art. 7 e non l'ambito di applicazione materiale di tale articolo.

40 Esse contestano l'argomento del Consiglio secondo cui l'esistenza di divergenze tra le diverse versioni linguistiche della direttiva prova che l'art. 7 lascia alle autorità nazionali un potere discrezionale quanto alle espressioni da vietare. Anche se termini come «light» e «mild» potessero ancora essere impiegati negli Stati membri, sebbene la versione della direttiva della lingua di tali Stati membri non contenga tali espressioni, l'art. 7 sarebbe comunque valido nei confronti degli Stati membri in cui la versione linguistica contiene il termine «mild» e nei quali l'impiego del marchio MILD SEVEN è quindi vietato.

41 La necessità di una trasposizione della direttiva non può neanche impedire alle ricorrenti di essere direttamente interessate dall'art. 7. Al punto 7 della sentenza Piraiki-Patraiki e a./Commissione, cit., la Corte avrebbe espressamente dichiarato che la necessità di misure di attuazione della decisione controversa da parte del governo di cui trattasi non aveva infranto il messo di causalità fra tale decisione ed i suoi effetti nei confronti delle ricorrenti in causa. Nel caso di specie, nessuno Stato membro avrebbe avuto intenzione, prima dell'adozione della direttiva, di vietare l'impiego di descrittori ed ancor meno di espropriare i marchi. E' solo l'art. 7 che sarebbe la causa dell'espropriazione.

42 Secondo le ricorrenti, per determinare se un atto possa essere impugnato occorre sapere se esso è la «causa diretta di un effetto» nei confronti del ricorrente. Al riguardo, esse citano in particolare le conclusioni dell'avvocato generale Warner nella causa 100/74, decisa con sentenza della Corte 18 novembre 1975, CAM/Commissione (Racc. pag. 1393, a pag. 1406). Pertanto, non occorrerebbe accertare l'idoneità dell'atto ad imporre obblighi ai singoli.

43 Le ricorrenti contestano, in proposito, l'interpretazione svolta dal Parlamento e dal Consiglio della sentenza Salamander e a./Parlamento e Consiglio, cit. A loro avviso, l'elemento decisivo di tale sentenza risiede nella constatazione che la disposizione impugnata aveva una «formulazione molto generica» e, di conseguenza, che «la sua applicazione si effettua[va] nell'ambito di un ampio potere discrezionale dello Stato membro» (punto 69 della sentenza). La detta sentenza non riguarderebbe quindi il problema di sapere se un singolo possa essere direttamente interessato da una disposizione di una direttiva non equivoca e recante un divieto come all'art. 7.

44 Infine, i ricorrenti osservano che l'obbligo degli Stati membri di attuare l'art. 7 ha un carattere assoluto e che il risultato che essi devono raggiungere è il divieto di impiegare talune espressioni sulle confezioni dei prodotti del tabacco.

Giudizio del Tribunale

45 Dalla giurisprudenza della Corte risulta che occorre che il provvedimento comunitario contestato, perché incida direttamente su un singolo, produca direttamente effetti sulla situazione giuridica di quest'ultimo e non lasci alcun potere discrezionale ai destinatari del provvedimento stesso incaricati della sua applicazione, la quale ha carattere meramente automatico e deriva dalla sola normativa comunitaria senza intervento di altre norme intermedie (v., in proposito, in particolare, sentenze della Corte 13 maggio 1971, cause riunite 41/70-44/70, International Fruit Company e a./Commissione, Racc. pag. 411, punti 23-29; 6 marzo 1979, causa 92/78, Simmenthal/Commissione, Racc. pag. 777, punti 25 e 26; 26 aprile 1988, causa 207/86, Apesco/Commissione, Racc. pag. 2151, punto 12; 26 giugno 1990, causa C-152/88, Sofrimport/Commissione, Racc. pag. I-2477, punto 9, e 5 maggio 1998, causa C-386/96 P, Dreyfus/Commissione, Racc. pag. I-2309, punto 43).

46 Questo significa che, nel caso in cui un atto comunitario è rivolto ad uno Stato membro da un'istituzione, se l'azione che lo Stato membro deve intraprendere in seguito all'atto ha un carattere automatico, o se comunque l'esito non è dubbio, allora l'atto riguarda direttamente qualsiasi persona interessata da tale azione. Se, al contrario, l'atto lascia allo Stato membro la possibilità di agire o di non agire, sarà l'azione o l'inerzia dello Stato membro a riguardare direttamente la persona interessata e non l'atto in se stesso. In altri termini, il provvedimento di cui trattasi non deve dipendere, quanto ai suoi effetti, dall'esercizio di un potere discrezionale da parte di un terzo, a meno che sia manifesto che un siffatto potere deve necessariamente essere esercitato in un determinato modo (v., in tal senso, le conclusioni dell'avvocato generale Warner relative alla sentenza CAM/Commissione, cit., pag. 1410, ed i rinvii ivi riportati, nonché le conclusioni dell'avvocato generale Jacobs nella causa C-358/89, decisa con la sentenza della Corte 16 maggio 1991, Extramet Industrie/Consiglio, Racc. pag. I-2501, a pag. 2507).

47 Nel caso di specie, è evidente che l'art. 7 non comporterà alcuna modifica della situazione giuridica per le ricorrenti fino alla sua trasposizione nell'ordinamento nazionale di almeno uno Stato membro o fino alla scadenza del termine previsto per la sua trasposizione, cioè il 30 settembre 2003. Le ricorrenti resteranno proprietarie e titolari del marchio MILD SEVEN e continueranno ad avere il diritto di farne uso per la commercializzazione di sigarette nella Comunità. Ne consegue che, allo stato attuale, la direttiva, ed in particolare il suo art. 7, non hanno causato il minimo effetto nei loro confronti.

48 Le ricorrenti sostengono tuttavia che l'art. 7 fa già parte integrante del diritto comunitario, di modo che esse sarebbero dichiarate decadute, in applicazione dell'art. 230, quinto comma, CE, se attendessero fino al 30 settembre 2003 per proporre i loro ricorsi di annullamento. Esse sostengono che la loro situazione giuridica è già modificata, in quanto gli Stati membri sono già sottoposti all'obbligo di attuare una misura che avrà l'effetto di espropriarle dei lori diritti di proprietà intellettuale.

49 Occorre rilevare, al riguardo, che, conformemente all'art. 249 CE, una direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Per quanto attiene all'art. 7, il risultato da raggiungere consiste nel garantire, mediante regole nazionali appropriate, che a partire dal 30 settembre 2003 sulle confezioni dei prodotti del tabacco non figurino diciture, denominazioni, marchi, segni o altro che suggeriscono che un particolare prodotto del tabacco e meno nocivo di altri. Considerati i termini in cui l'obiettivo di cui trattasi è enunciato all'art. 7, è evidente che agli Stati membri non è lasciato alcun margine discrezionale quanto alla possibilità di agire o di non agire per raggiungere tale risultato.

50 Tuttavia, anche se si dovesse supporre che gli Stati membri trasporranno l'art. 7 nel loro ordinamento nazionale secondo i suoi termini precisi, da tale circostanza non risulterebbe una modifica automatica ed immediata dei diritti esistenti o della situazione giuridica delle ricorrenti.

51 In primo luogo, il solo fatto che il termine «mild» figuri tra gli aggettivi menzionati a titolo di esempio al ventisettesimo considerando della direttiva non implica che gli Stati membri siano obbligati a vietare espressamente l'impiego di tale termine per trasporre l'art. 7 nel loro ordinamento nazionale. Come giustamente rilevato dal Parlamento e dal Consiglio, la decisione di includere o di non includere nel diritto nazionale, sia a titolo di esempio che in relazione ad un divieto specifico, termini o segni come quelli riportati al ventisettesimo considerando della direttiva o termini o segni equivalenti rientra, conformemente all'art. 249 CE, nella competenza degli Stati membri quanto alla forma ed ai mezzi.

52 Pertanto, non si può escludere che uno Stato membro decida di attuare l'art. 7 nel suo ordinamento nazionale conformemente al suo testo attuale, pur lasciando ai giudici nazionali competenti o alle altre autorità incaricate di far rispettare la normativa di cui trattasi il compito di decidere, caso per caso, se i termini figuranti su una particolare confezione rientrino nel campo di applicazione del divieto.

53 In secondo luogo, le stesse ricorrenti non ammettono che il termine «mild», come esso figura nella denominazione MILD SEVEN, abbia la funzione di un descrittore. Esse sottolineano che il termine «mild» non è posto dopo il nome del marchio come è il caso, per esempio nelle denominazioni «Marlboro lights» o «Camel lights». Pertanto, resta da risolvere almeno il problema di sapere se, dopo la sua trasposizione negli ordinamenti nazionali, l'art. 7 avrà l'effetto di vietare l'impiego del marchio MILD SEVEN per la sola ragione che la presenza sulla confezione del termine «mild», quale che sia il suo contesto, indica necessariamente che il prodotto è meno nocivo degli altri.

54 Comunque, tale problema non può essere risolto nell'ambito del ricorso in esame, ma rientrerà tra le competenze del giudice nazionale allorché la direttiva sarà stata attuata, sulla base della valutazione, da parte di tale giudice, delle prove prodotte ed alla luce, eventualmente, di un'interpretazione dell'art. 7 da parte della Corte nell'ambito dell'art. 234 CE.

55 Finché non sarà definitivamente risolto il problema di sapere se la denominazione MILD SEVEN sia vietata dall'art. 7, dal solo fatto dell'adozione di tale articolo non potrà derivare alcuna modifica dei diritti della ricorrente relativi al marchio MILD SEVEN o attinenti alla commercializzazione dei loro prodotti con tale marchio.

56 Ne consegue che l'asserito effetto dell'art. 7 sul marchio MILD SEVEN e sulle operazioni commerciali delle ricorrenti non può risultare dalla sola adozione della direttiva, ma dipende dall'intervento successivo di almeno l'una o l'altra delle due azioni di terzi, vale a dire la scelta di uno o più Stati membri di includere nel loro ordinamento nazionale un divieto esplicito di impiegare espressioni come quelle riportate al ventisettesimo considerando della direttiva, in particolare il termine «mild», ovvero una decisione di un giudice nazionale che constati che il marchio MILD SEVEN impiegato sulla confezione dei prodotti del tabacco commercializzati dalle ricorrenti ha effettivamente la conseguenza di indicare che tali prodotti sono meno nocivi degli altri.

57 Le ricorrenti non possono quindi essere direttamente interessate dall'art. 7.

58 Ne consegue che il ricorso è irricevibile e deve, pertanto, essere respinto senza che sia necessario esaminare il problema di sapere se le ricorrenti siano individualmente interessate dall'art. 7.

59 Di conseguenza, non occorre statuire sulle istanze di intervento.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

60 Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Le ricorrenti, essendo risultate soccombenti, devono essere condannate alle spese, conformemente alle domande del Parlamento e del Consiglio.

Dispositivo


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

così provvede:

1) Il ricorso è irricevibile.

2) Le ricorrenti sono condannate alle spese.

3) Non occorre statuire sulle istanze di intervento.

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