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Document 62001CJ0494

Sentenza della Corte (grande sezione) del 26 aprile 2005.
Commissione delle Comunità europee contro Irlanda.
Inadempimento di uno Stato - Ambiente - Gestione dei rifiuti - Direttiva 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 91/156/CE - Artt. 4, 5, 8, 9, 10, 12, 13 e 14.
Causa C-494/01.

Raccolta della Giurisprudenza 2005 I-03331

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2005:250

Causa C-494/01

Commissione delle Comunità europee

contro

Irlanda

«Inadempimento di uno Stato — Ambiente — Gestione dei rifiuti — Direttiva 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 91/156/CE — Artt. 4, 5, 8, 9, 10, 12, 13 e 14»

Conclusioni dell’avvocato generale L.A. Geelhoed, presentate il 23 settembre 2004 

Sentenza della Corte (Grande Sezione) 26 aprile 2005. 

Massime della sentenza

1.     Ricorso per inadempimento — Oggetto della controversia — Determinazione nel corso della fase precontenziosa — Inadempimento d’ordine generale alle disposizioni di una direttiva — Produzione dinanzi alla Corte di elementi supplementari diretti a dimostrare la generalità e la persistenza dell’inadempimento — Ammissibilità

(Art. 226 CE)

2.     Ricorso per inadempimento — Prova dell’inadempimento — Onere che incombe alla Commissione — Presentazione di elementi da cui risulti l’inadempimento — Confutazione a carico dello Stato membro considerato

(Art. 226 CE)

3.     Stati membri — Obblighi — Compito di vigilanza affidato alla Commissione — Dovere degli Stati membri — Collaborazione alle indagini in materia di applicazione delle direttive — Obbligo di verifica e di informazione

(Artt. 10 CE, 211 CE e 226 CE; direttiva del Consiglio 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 91/156/CE)

4.     Ambiente — Smaltimento dei rifiuti ─ Direttiva 75/442 — Attuazione da parte degli Stati membri — Obbligo di risultato — Obbligo per gli operatori di aver ottenuto un’autorizzazione prima di qualsiasi operazione di smaltimento o di recupero dei rifiuti — Obblighi di controllo degli Stati membri

(Art. 249, terzo comma, CE; direttiva del Consiglio 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156, artt. 9 e 10)

5.     Ambiente — Smaltimento dei rifiuti — Direttiva 75/442 — Art. 12 — Assoggettamento della raccolta e del trasporto dei rifiuti ad un sistema di previa autorizzazione ovvero ad una procedura di registrazione — Scelta da parte di uno Stato membro del sistema di autorizzazione — Conseguenze — Irrilevanza, ai fini della corretta attuazione della direttiva, di una qualsiasi registrazione

(Direttiva del Consiglio 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156, art. 12)

6.     Ambiente — Smaltimento dei rifiuti — Direttiva 75/442 — Art. 5 — Obbligo di creare una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento — Obbligo non ottemperato in presenza di un gran numero di impianti privi di autorizzazione e con capacità di smaltimento globalmente insufficiente

(Direttiva del Consiglio 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156, art. 5)

7.     Ambiente — Smaltimento dei rifiuti — Direttiva 75/442 — Obbligo per gli Stati membri derivante dall’art. 4, primo comma — Obbligo non osservato in caso di violazione persistente degli artt. 9 e 10

(Direttiva del Consiglio 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156, artt. 4, primo comma, 9 e 10)

8.     Ambiente — Smaltimento dei rifiuti — Direttiva 75/442 — Art. 8 — Obblighi per gli Stati membri nei confronti dei detentori di rifiuti — Obblighi vigenti anche nei confronti del gestore o del proprietario di una discarica abusiva che non possono essere soddisfatti con una mera azione repressiva

(Direttiva del Consiglio 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156, art. 8)

9.     Ambiente — Smaltimento dei rifiuti — Direttiva 75/442 — Artt. 13 e 14 — Obbligo di assoggettare a controlli periodici gli impianti che procedono allo smaltimento e al recupero — Oggetto del controllo — Rispetto delle condizioni stabilite nell’autorizzazione — Controllo che non può rispondere alle prescrizioni della direttiva, qualora l’impianto non disponga di un’autorizzazione in debita forma

(Direttiva del Consiglio 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156, artt. 13 e 14)

1.     L’oggetto di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 226 CE è determinato dal procedimento precontenzioso previsto dalla medesima disposizione. Pertanto la Commissione non può pretendere di ottenere l’accertamento di un inadempimento specifico con riferimento ad una situazione fattuale particolare che non è stata fatta valere nell’ambito del procedimento precontenzioso.

Tuttavia, nel caso in cui il ricorso miri a denunciare un inadempimento di carattere generale alle disposizioni della direttiva, basato, segnatamente, sull’atteggiamento sistematico e costante di tolleranza adottato dalle autorità nazionali rispetto a situazioni non conformi alla direttiva stessa, non può escludersi, in linea di principio, la produzione da parte della Commissione di elementi complementari, nella fase procedurale dinanzi alla Corte, che siano intesi a dar prova della generalità e della persistenza dell’asserito inadempimento.

Poiché, infatti, la Commissione può precisare i suoi addebiti iniziali nel suo ricorso, a condizione di non modificare l’oggetto della controversia, la produzione di nuovi elementi destinati ad illustrare gli addebiti formulati nel suo parere motivato, basati su un inadempimento di carattere generale alle disposizioni della direttiva, non modifica l’oggetto della controversia. Così i fatti di cui la Commissione viene a conoscenza dopo l’emissione del parere motivato possono essere validamente invocati da quest’ultima, a sostegno del proprio ricorso, al fine di illustrare gli inadempimenti di carattere generale che essa denuncia.

(v. punti 35-39)

2.     Nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, incombe alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Essa deve fornire alla Corte gli elementi necessari perché questa accerti l’esistenza di tale inadempimento, senza potersi fondare su alcuna presunzione. Tuttavia, quando la Commissione fornisce elementi sufficienti a dimostrare che determinati fatti si sono verificati sul territorio dello Stato membro convenuto e che le autorità di uno Stato membro hanno sviluppato una prassi reiterata e persistente contraria alle disposizioni di una direttiva, spetta a tale Stato membro contestare in modo sostanziale e dettagliato i dati in tal modo forniti nonché le conseguenze che ne derivano.

(v. punti 41, 44, 47)

3.     Gli Stati membri sono tenuti, a norma dell’art. 10 CE, ad agevolare la Commissione nello svolgimento del suo compito, che consiste in particolare, ai sensi dell’art. 211 CE, nel vegliare sull’applicazione delle norme del Trattato nonché delle disposizioni adottate dalle istituzioni in forza dello stesso Trattato. In materia di verifica della corretta applicazione pratica delle disposizioni nazionali destinate a garantire la concreta attuazione di una direttiva riguardante settori nei quali la Commissione non dispone di propri poteri di indagine, come è il caso della direttiva 75/442, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156, la Commissione dipende in ampia misura dagli elementi forniti da eventuali denuncianti nonché dallo Stato membro interessato. In simili circostanze, spetta innanzi tutto alle autorità nazionali effettuare i controlli necessari sul posto, in uno spirito di cooperazione leale, conformemente al dovere di ogni Stato membro di facilitare l’adempimento del compito generale della Commissione e di fornirle tutte le informazioni che essa loro richieda all’uopo.

(v. punti 42-43, 45, 197-198)

4.     Gli artt. 9 e 10 della direttiva 75/442, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156, impongono agli Stati membri taluni obblighi di risultato espressi in modo chiaro e inequivoco, in forza dei quali le imprese o gli stabilimenti che svolgono operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti sul territorio di tali Stati devono essere provvisti di autorizzazione. Ne discende che uno Stato membro adempie gli obblighi che gli derivano da tali disposizioni solamente se, dopo aver correttamente trasposto queste ultime nel diritto interno, verifichi che gli operatori dispongano effettivamente di un’autorizzazione rilasciata in conformità dell’art. 9 della direttiva, non potendo ad essa supplire la mera introduzione di una domanda. Esso è tenuto quindi a garantire che il regime d’autorizzazione posto in essere sia effettivamente applicato e rispettato, segnatamente effettuando controlli adeguati a tal fine e garantendo la cessazione delle operazioni svolte senza autorizzazione, nonché l’effettiva applicazione di sanzioni alle stesse.

(v. punti 116-118)

5.     L’art. 12 della direttiva 75/442, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156, prevede, segnatamente, che gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale debbano essere iscritti presso le competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione. Tale disposizione obbliga gli Stati membri ad effettuare una scelta tra un sistema di autorizzazione ovvero una procedura di registrazione.

Allorché ha scelto il sistema di autorizzazione, uno Stato membro non può affermare di aver ottemperato agli obblighi, benché, a causa dei ritardi che gli erano imputabili, gli operatori non disponessero di autorizzazione alla data pertinente, sostenendo che la presentazione di una domanda di autorizzazione equivale alla registrazione.

(v. punti 142, 144-145)

6.     Ai sensi dell’art. 5, della della direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156, rientra tra gli obiettivi della direttiva la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti, che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi e che consenta lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini. Pertanto viene meno agli obblighi dettati dal detto art. 5 uno Stato membro che tolleri che un gran numero di impianti per lo smaltimento di rifiuti funzioni senza autorizzazione e nel cui territorio la rete di smaltimento considerata nel suo complesso sia vicina al limite di saturazione e non sia sufficiente ad assorbire i rifiuti prodotti.

(v. punti 149-158)

7.     Se non è possibile in via di principio dedurre direttamente dalla mancata conformità di una situazione di fatto agli obiettivi fissati all’art. 4, primo comma, della direttiva 75/442, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156, che uno Stato membro interessato sia necessariamente venuto meno agli obblighi imposti da questa disposizione, cioè adottare le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza arrecare pregiudizio all’ambiente, è tuttavia pacifico che la persistenza di una tale situazione di fatto, in particolare quando comporta un degrado rilevante dell’ambiente per un periodo prolungato senza intervento delle autorità competenti, può rivelare che gli Stati membri hanno oltrepassato il potere discrezionale che questa disposizione conferisce loro.

Allorché uno Stato membro si è reso inadempiente, in modo generale e persistente, rispetto al suo obbligo di garantire la corretta attuazione degli artt. 9 e 10 della direttiva, relativi al regime di autorizzazione delle operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti, questa sola circostanza è sufficiente a dimostrare che esso si è reso inadempiente, in modo generale e persistente, agli obblighi derivanti dall’art. 4 della direttiva, disposizione questa strettamente collegata agli artt. 9 e 10 della stessa.

(v. punti 169-171)

8.     L’art. 8 della direttiva 75/442, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156, che garantisce segnatamente l’attuazione del principio dell’azione preventiva, prevede che gli Stati membri siano tenuti ad accertare che il detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un’impresa che effettua le operazioni di smaltimento e di recupero oppure che il detentore di rifiuti provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni della direttiva.

Gli Stati membri hanno l’obbligo di adottare tali misure anche nei confronti del gestore o del proprietario di una discarica abusiva, che dev’essere considerato detentore dei rifiuti ai sensi del detto articolo. Tale obbligo non è soddisfatto quando lo Stato membro si limiti ad ordinare il sequestro della discarica abusiva e ad avviare un procedimento penale contro il gestore di tale discarica.

(v. punti 179, 181-182)

9.     Ai sensi dell’art. 13 della direttiva 75/442, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156, gli adeguati controlli periodici richiesti da tale disposizione devono avere ad oggetto, segnatamente, gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni previste agli artt. 9 e 10 della direttiva stessa, i quali devono ottenere, ai sensi di queste due ultime disposizioni, una previa autorizzazione individuale contenente un certo numero di prescrizioni e condizioni.

In mancanza di siffatte autorizzazioni e, di conseguenza, in mancanza di prescrizioni e di condizioni stabilite da queste ultime con riferimento ad un’impresa o ad uno stabilimento determinato, i controlli eventualmente effettuati presso questi ultimi non possono, in ipotesi, rispondere alle esigenze di cui all’art. 13 della direttiva. Infatti, uno degli scopi essenziali dei controlli previsti da tale disposizione è quello di verificare l’osservanza delle prescrizioni e delle condizioni stabilite nell’autorizzazione rilasciata ai sensi degli artt. 9 e 10 della direttiva. Lo stesso vale con riferimento alla tenuta dei registri da parte degli stabilimenti o delle imprese considerate da queste ultime disposizioni, che, come precisato dall’art. 14 della direttiva, devono indicare in particolare la quantità e la natura dei rifiuti, o anche la modalità di trattamento degli stessi.

(v. punti 190-192)




SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

26 aprile 2005 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Ambiente – Gestione dei rifiuti – Direttiva 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 91/156/CE – Artt. 4, 5, 8, 9, 10, 12, 13 e 14»

Nella causa C‑494/01,

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 20 dicembre 2001,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. R. Wainwright e X. Lewis, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Irlanda, rappresentata dal sig. D. O’Hagan, in qualità di agente, assistito dai sigg. P. Charleton, SC, e A. Collins, BL, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

 

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dai sigg. V. Skouris, presidente, P. Jann (relatore), C. W. A. Timmermans e A. Rosas, presidenti di sezione, dai sigg. J.‑P. Puissochet e R. Schintgen, dalla sig.ra N. Colneric, dai sigg. S. von Bahr, J.N. Cunha Rodrigues, M. Ilešič, J. Malenovský, U. Lõhmus ed E. Levits, giudici,

avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta e a seguito dell’udienza del 6 luglio 2004,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 23 settembre 2004,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che:

–       non avendo adottato tutte le misure necessarie a garantire la corretta attuazione degli artt. 4, 5, 8, 9, 10, 12, 13 e 14 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva»), l’Irlanda non ha ottemperato agli obblighi che le incombono ai sensi delle disposizioni citate;

–       non avendo risposto in modo completo e soddisfacente a una richiesta di informazioni, datata 20 settembre 1999, relativa ad un’operazione concernente taluni rifiuti a Fermoy, nella contea di Cork, l’Irlanda non ha ottemperato agli obblighi che le incombono ai sensi dell’art. 10 CE.

 Ambito normativo

2       L’art. 4 della direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e in particolare:

–       senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;

–       senza causare inconvenienti da rumori od odori;

–       senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.

Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti».

3       Ai sensi dell’art. 5 della direttiva:

«1.       Gli Stati membri, di concerto con altri Stati membri qualora ciò risulti necessario od opportuno, adottano le misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento, che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi. Questa rete deve consentire alla Comunità nel suo insieme di raggiungere l’autosufficienza in materia di smaltimento dei rifiuti e ai singoli Stati membri di mirare al conseguimento di tale obiettivo, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti.

2.        Tale rete deve inoltre permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie all’utilizzazione dei metodi e delle tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica».

4       L’art. 8 della direttiva così dispone:

«Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti:

–       li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni previste nell’allegato II A o II B, oppure

–       provveda egli stesso al ricupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni della presente direttiva».

5       L’art. 9 della direttiva prevede quanto segue:

«1.        Ai fini dell’applicazione degli articoli 4, 5 e 7 tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni elencate nell’allegato II A debbono ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente di cui all’articolo 6.

Tale autorizzazione riguarda in particolare:

–       i tipi ed i quantitativi di rifiuti,

–       i requisiti tecnici,

–       le precauzioni da prendere in materia di sicurezza,

–       il luogo di smaltimento,

–       il metodo di trattamento.

2. Le autorizzazioni possono essere concesse per un periodo determinato, essere rinnovate, essere accompagnate da condizioni e obblighi, o essere rifiutate segnatamente quando il metodo di smaltimento previsto non è accettabile dal punto di vista della protezione dell’ambiente».

6       L’art. 10 della direttiva così dispone:

«Ai fini dell’applicazione dell’articolo 4, tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni elencate nell’allegato II B devono ottenere un’autorizzazione a tal fine».

7       Ai sensi dell’art. 12 della direttiva:

«Gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento o al ricupero di rifiuti per conto di terzi (commercianti o intermediari), devono essere iscritti presso le competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione».

8       L’art. 13 della direttiva prevede:

«Gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni previste agli articoli 9‑12 sono sottoposti a adeguati controlli periodici da parte delle autorità competenti».

9       Secondo l’art. 14 della direttiva:

«Ogni stabilimento o impresa di cui agli articoli 9 e 10 deve:

–       tenere un registro in cui siano indicati la quantità, la natura, l’origine nonché, se opportuno, la destinazione, la frequenza della raccolta, il mezzo di trasporto e il modo di trattamento dei rifiuti, per i rifiuti di cui all’allegato I e per le operazioni previste nell’allegato II A o II B;

–       fornire, dietro richiesta, tali informazioni alle autorità competenti di cui all’articolo 6.

Gli Stati membri possono esigere che anche i produttori adempiano le disposizioni di questo articolo» .

10     Gli allegati II A e II B della direttiva contengono, rispettivamente, una sintesi delle operazioni di smaltimento di rifiuti e di quelle di recupero di rifiuti, come effettuate nella pratica.

 Fase precontenziosa del procedimento

11     La Commissione è stata investita di tre denunce riguardanti l’Irlanda. La prima di queste si riferiva a scarichi di rifiuti da costruzione e da demolizione in una zona umida sul territorio della città di Limerik (in prosieguo: la «denuncia 1997/4705»). La seconda riguardava il deposito di rifiuti organici in taluni bacini a Ballard, Fermoy, nella contea di Cork, e lo smaltimento degli stessi mediante spargimento ad opera di un gestore privato senza autorizzazione (in prosieguo: la «denuncia 1997/4792»). La terza aveva ad oggetto il deposito di rifiuti di vario genere a Pembrokestown, Whiterock Hill, nella contea di Wexford, ad opera di un gestore privato senza autorizzazione (in prosieguo: la «denuncia 1997/4847»).

12     Il 30 ottobre 1998 la Commissione ha inviato all’Irlanda una lettera di diffida relativa alle denunce citate. A questa ha fatto seguito, il 14 luglio 1999, un parere motivato relativo alle sole denunce 1997/4705 e 1997/4792, con cui si contestava a tale Stato membro la violazione degli artt. 4, secondo comma, 9 e 10 della direttiva. Quest’ultimo veniva invitato ad assumere le misure richieste per conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi dalla sua notificazione.

13     Con le sue risposte del 7 ottobre e del 23 novembre 1999, l’Irlanda ha contestato qualsivoglia inadempimento in relazione alle due denunce di cui al punto precedente.

14     La Commissione è stata quindi investita di altre cinque denunce riguardanti l’Irlanda. La prima di queste riguardava l’esercizio abusivo, a partire dal 1975, di una discarica municipale a Powerstown, nella contea di Carlow (in prosieguo: la «denuncia 1999/4351»). La seconda aveva ad oggetto scarichi di rifiuti (materiali di sgombero) e l’esercizio non autorizzato di un impianto privato di trattamento dei rifiuti in un’area verde situata nella penisola di Poolbeg, a Dublino (in prosieguo: la «denuncia 1999/4801»). La terza riguardava l’esercizio non autorizzato di due discariche municipali a Tramore e a Kilbarry, nella contea di Waterford, rispettivamente a partire dal 1939 e dal 1970, adiacenti e/o sconfinanti su aree protette (in prosieguo la «denuncia 1999/5008»). La quarta riguardava la gestione, a partire dagli anni ’80, da parte di un operatore privato senza autorizzazione, di impianti di trattamento di rifiuti all’interno di cave in disuso a Lea Road e a Ballymorris, Portarlington, nella contea di Laois (in prosieguo: la «denuncia 1999/5112»). Quanto alla quinta denuncia, essa si riferiva alla gestione non autorizzata di una discarica municipale a Drumnaboden, nella contea di Donegal (in prosieguo la «denuncia 2000/4408»).

15     In base alle denunce citate ed alle informazioni raccolte nell’ambito della relativa attività istruttoria, in data 25 ottobre la Commissione ha inviato all’Irlanda una lettera di diffida.

16     La Commissione ha poi ricevuto altre quattro denunce nei confronti dell’Irlanda. La prima si riferiva alla gestione non autorizzata di un impianto privato di scarico e di trattamento di rifiuti a Cullinagh, Fermoy, nella contea di Cork (in prosieguo: la «denuncia 1999/4478»). La seconda riguardava depositi di rifiuti da demolizione e da costruzione da parte di un operatore privato, a partire dal 1990, in un’area situata sul bordo del mare a Carlingford Lough, Greenore, nella contea di Louth (in prosieguo: la «denuncia 2000/4145»). La terza si riferiva alla raccolta generalizzata di rifiuti ad opera di imprese private non autorizzate ovvero non registrate e non sottoposte ad alcun controllo, a Bray, nella contea di Wicklow (in prosieguo la «denuncia 2000/4157»). La quarta denuncia aveva ad oggetto taluni depositi di rifiuti di vario genere, principalmente da demolizione e da costruzione, in quattro zone umide nella contea di Waterford, a Ballynattin, a Pickardstown, a Ballygunner Bog e a Castletown (in prosieguo: la «denuncia 2000/4633»).

17     Il 17 aprile 2000 la Commissione ha inviato all’Irlanda una nuova lettera di diffida relativa a queste ultime quattro denunce, che si richiamava alla lettera di diffida del 25 ottobre 2000.

18     Inoltre, non avendo ricevuto alcuna risposta ad una richiesta di informazioni datata 20 settembre 1999 ed inviata all’Irlanda con riferimento alla denuncia 1999/4478, in data 28 aprile 2000 la Commissione ha notificato a tale Stato membro una lettera di diffida con la quale gli contestava una violazione dell’art. 10 CE.

19     Il 26 luglio 2001 la Commissione ha inviato all’Irlanda un parere motivato che riprendeva l’esame delle dodici denunce sopra indicate, riferendosi alle lettere di diffida del 30 ottobre 1998, del 28 aprile e del 25 ottobre 2000, nonché del 17 aprile 2001, ed al parere motivato del 14 luglio 1999. La Commissione rimproverava a tale Stato membro di non aver ottemperato all’obbligo di assumere tutte le misure necessarie per garantire la corretta attuazione degli artt. 4, 5, 8, 9, 10, 12, 13 e 14 della direttiva, e di non aver ottemperato agli obblighi derivanti dall’art. 10 CE, invitandolo ad assumere le misure richieste per conformarsi al citato parere entro il termine di due mesi decorrenti dalla sua notifica.

20     La Commissione precisava in tal sede che le citate denunce non rappresentavano gli unici casi di inadempimento della direttiva, e che essa si riservava, segnatamente, il diritto di citare altri esempi al fine di evidenziare gli inadempimenti di carattere generale nell’attuazione delle disposizioni della direttiva, da essa addebitati alle autorità irlandesi.

21     Ritenendo che l’Irlanda non si fosse conformata ai pareri motivati del 14 luglio 1999 e del 26 luglio 2001, la Commissione ha introdotto il presente ricorso.

 Sul ricorso

 Sulle violazioni della direttiva

 Sull’oggetto del ricorso, sulla data in cui deve valutarsi l’eventuale esistenza degli asseriti inadempimenti e sulla ricevibilità di talune censure sollevate dalla Commissione

22     La Commissione rileva, in via preliminare, che, a seguito di una procedura per inadempimento nei confronti dell’Irlanda e della successiva adozione del Waste Management Act 1996 (legge del 1996 relativa alla gestione dei rifiuti; in prosieguo la «legge del 1996») nonché dei regolamenti attuativi di quest’ultima legge, destinata, segnatamente, a creare un sistema di autorizzazioni rilasciate dall’Environmental Protection Agency (Agenzia di tutela dell’ambiente; in prosieguo: l’«EPA»), cui andavano sottoposte le operazioni relative ai rifiuti gestiti dalle autorità locali (in prosieguo: i «rifiuti urbani»), il contesto giuridico relativo alla gestione dei rifiuti nell’ambito di tale Stato membro è risultato sostanzialmente migliorato. Fatta eccezione per la mancata trasposizione dell’art. 12 della direttiva, l’attuale procedimento mirerebbe quindi, principalmente, a far rilevare che le autorità irlandesi non si conformano agli obblighi di risultato cui sono tenute, in quanto non garantiscono la concreta attuazione delle disposizioni della direttiva in esame.

23     In proposito, la Commissione precisa inoltre che l’oggetto del ricorso è di far accertare un inadempimento non solo in ragione delle carenze rilevate nelle specifiche situazioni cui si riferiscono le 12 denunce citate ai punti 11, 14 e 16 della presente sentenza, ma anche, e in modo più sostanziale, in ragione del carattere generale e persistente delle carenze che contraddistinguono la concreta attuazione della direttiva in Irlanda, di cui le specifiche situazioni richiamate in tali denunce rappresentano altrettanti esempi. Si tratterebbe di garantire il pieno riconoscimento e l’attuazione, in tale Stato membro, della catena ininterrotta di responsabilità attuata dalla direttiva con riferimento ai rifiuti, richiedendo che i detentori di questi ultimi se ne liberino consegnandoli ad operatori ben determinati, che gli operatori che raccolgono o che trattano tali rifiuti siano soggetti ad un regime di autorizzazione o di registrazione, nonché a un controllo, e che siano vietati l’abbandono, lo scarico o lo smaltimento incontrollato degli stessi.

24     A parere della Commissione, quindi, poiché il ricorso mira segnatamente a denunciare prassi amministrative sistematicamente inadeguate, essa sarebbe legittimata a produrre nuovi elementi di prova, destinati a dimostrare l’esistenza di tali prassi e la sistematicità delle stesse. Del pari, non avrebbe incidenza determinante sull’inadempimento collegato all’esistenza di tali prassi il fatto che, in taluni casi concreti denunciati dalla Commissione, sia stata infine concessa un’autorizzazione ovvero siano stati compiuti taluni progressi prima della scadenza del termine stabilito nel parere motivato.

25     Il governo irlandese ritiene, da parte sua, che le dodici denunce cui fa riferimento la Commissione nel citato parere motivato devono circoscrivere l’oggetto della controversia. Per un verso, ulteriori fatti o denunce che non siano stati comunicati all’Irlanda nel corso del procedimento precontenzioso non potrebbero essere invocati a sostegno del ricorso e, per altro verso, la Commissione non sarebbe autorizzata a trarre conclusioni generali dall’esame di specifiche denunce, presumendo l’esistenza di asserite mancanze sistematiche da parte di tale Stato membro.

26     L’esistenza di un eventuale inadempimento dovrebbe essere pertanto valutata con riferimento alla situazione che si presentava alla data di scadenza del termine di due mesi stabilito nel parere motivato del 26 luglio 2001.

27     In merito a queste diverse questioni, va rilevato in primis, quanto all’oggetto della presente controversia, che, fatto salvo l’obbligo della Commissione di adempiere, in entrambi i casi, all’onere della prova su di essa gravante, nulla vieta a quest’ultima, a priori, di perseguire simultaneamente l’accertamento di inadempimenti a talune disposizioni della direttiva in base all’atteggiamento adottato dalle autorità di uno Stato membro con riferimento a situazioni concrete, specificamente identificate, e l’accertamento di inadempimenti a tali disposizioni derivanti dall’adozione, da parte di tali autorità, di una prassi generalizzata contraria alle stesse, di cui le situazioni specifiche citate rappresenterebbero, eventualmente, l’esempio.

28     È infatti ammesso che una prassi amministrativa possa costituire oggetto di ricorso per inadempimento, qualora risulti in una certa misura costante e generale (v., segnatamente, sentenza 29 aprile 2004, causa C‑387/99, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑3751, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

29     In secondo luogo, per costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato (v., segnatamente, sentenza 12 giugno 2003, causa C‑446/01, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑6053, punto 15).

30     Nella fattispecie, benché si rimproveri all’Irlanda di non essersi conformata ai pareri motivati del 14 luglio 1999 e del 26 luglio 2001 entro i termini da questi stabiliti, la Commissione ha precisato, in risposta ad una domanda scritta della Corte, che il secondo dei pareri citati era destinato a consolidare e a riunire tutti gli elementi e gli argomenti precedentemente discussi tra le parti e che, di conseguenza, esso sostituiva il primo.

31     Di conseguenza, gli inadempimenti fatti valere dalla Commissione devono essere valutati con riferimento alla situazione quale si presentava alla scadenza del termine di due mesi stabilito nel parere motivato del 26 luglio 2001 (in prosieguo: il «parere motivato del 2001»).

32     Ne deriva, indubbiamente, che la Corte non può accertare un inadempimento dell’Irlanda ai suoi obblighi derivanti dalla direttiva con riferimento ad una determinata situazione concreta qualora risulti che, alla data di scadenza del termine citato, era stato posto rimedio alle insufficienze rilevate dalla Commissione. Al contrario, come correttamente rilevato da quest’ultima, laddove il ricorso mira altresì a far rilevare un inadempimento generalizzato in capo alle autorità nazionali competenti, il fatto che sia stato posto rimedio alle insufficienze rilevate nell’uno o nell’altro caso specifico non significa necessariamente che sia venuto meno l’atteggiamento generale e continuo di tali autorità, attestato eventualmente da tali insufficienze specifiche.

33     Si deve rilevare, in terzo luogo, che, nell’ambito di un ricorso per inadempimento, il procedimento precontenzioso ha lo scopo di offrire allo Stato membro interessato l’opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario e, dall’altro, di far valere utilmente i suoi motivi di difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione (v., segnatamente, sentenza 24 giugno 2004, causa C‑350/02, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑6213, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

34     La regolarità di tale procedimento costituisce una garanzia essenziale prevista dal Trattato CE non soltanto a tutela dei diritti dello Stato membro di cui trattasi, ma anche per garantire che l’eventuale procedimento contenzioso verta su una controversia chiaramente definita (v., segnatamente, sentenza Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

35     Ne consegue che l’oggetto di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 226 CE è determinato dal procedimento precontenzioso previsto dalla medesima disposizione. Il parere motivato della Commissione ed il ricorso devono essere basati sui medesimi motivi e mezzi, di modo che la Corte non può esaminare una censura che non sia stata sollevata nel parere motivato, il quale deve contenere un’esposizione coerente e particolareggiata delle ragioni che hanno indotto la Commissione al convincimento che lo Stato membro interessato sia venuto meno ad un obbligo ad esso incombente in forza del Trattato (v., segnatamente, sentenza Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 20 e giurisprudenza ivi citata).

36     Ne deriva, indubbiamente, che la Commissione non può pretendere di ottenere l’accertamento di un inadempimento specifico dell’Irlanda ai suoi obblighi derivanti dalla direttiva con riferimento ad una situazione fattuale particolare che non è stata fatta valere nell’ambito del procedimento precontenzioso. Infatti, una tale censura specifica dev’essere stata necessariamente sollevata nella fase precontenziosa, di modo che lo Stato membro interessato abbia la possibilità di porre rimedio alla situazione concreta così denunciata o di far valere utilmente i suoi mezzi di difesa in proposito, in quanto, segnatamente, una tale difesa può indurre la Commissione a rinunciare alla censura stessa e/o può contribuire alla delimitazione dell’oggetto della controversia di cui la Corte sarà successivamente investita.

37     Tuttavia, nel caso in cui il ricorso miri a denunciare un inadempimento di carattere generale alle disposizioni della direttiva, basato, segnatamente, sull’atteggiamento sistematico e costante di tolleranza adottato dalle autorità irlandesi rispetto a situazioni non conformi alla direttiva stessa, non può escludersi, in linea di principio, la produzione di elementi complementari, nella fase procedurale dinanzi alla Corte, che siano intesi a dar prova della generalità e della persistenza dell’asserito inadempimento.

38      Si deve rilevare che la Commissione può precisare i suoi addebiti iniziali nel suo ricorso, a condizione, tuttavia, che non modifichi l’oggetto della controversia. Orbene, producendo nuovi elementi destinati ad illustrare gli addebiti formulati nel suo parere motivato, basati su un inadempimento di carattere generale alle disposizioni della direttiva, la Commissione non modifica l’oggetto della controversia (v., per analogia, sentenza 12 ottobre 2004, causa C‑328/02, Commissione/Grecia, non pubblicata nella Raccolta, punti 32 e 36).

39     Nella fattispecie, contrariamente a quanto affermato dal governo irlandese, i fatti relativi ai massicci scarichi abusivi di rifiuti, a volte pericolosi, nella contea di Wicklow, di cui la Commissione è venuta a conoscenza dopo l’emissione del citato parere motivato, ancorché non richiamati nel corso della fase precontenziosa del procedimento, sono stati validamente invocati da quest’ultima, a sostegno del proprio ricorso, al fine di illustrare gli inadempimenti di carattere generale che essa denuncia.

 Sull’onere della prova

40     Nel suo controricorso, il governo irlandese ha sollevato numerose contestazioni riguardanti l’onere della prova. In particolare, esso ha messo in dubbio la rispondenza al vero di varie circostanze richiamate dalla Commissione al termine dell’istruttoria sulle dodici denunce di cui era stata investita. Tale governo ha altresì affermato che la Commissione non è legittimata a trarre conclusioni generali dall’esame delle dette specifiche denunce, presumendo l’esistenza di inadempimenti sistematici dell’Irlanda ai suoi obblighi.

41      Si deve ricordare in proposito che, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, incombe alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Essa deve fornire alla Corte gli elementi necessari perché questa accerti l’esistenza di tale inadempimento, senza potersi fondare su alcuna presunzione (v., segnatamente, sentenze 25 maggio 1982, causa 96/81, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. 1791, punto 6, e 12 settembre 2000, causa C‑408/97, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑6417, punto 15).

42      Tuttavia, gli Stati membri sono tenuti, a norma dell’art. 10 CE, ad agevolare la Commissione nello svolgimento del suo compito, che consiste in particolare, ai sensi dell’art. 211 CE, nel vegliare sull’applicazione delle norme del Trattato nonché delle disposizioni adottate dalle istituzioni in forza dello stesso Trattato (citate sentenze 25 maggio 1982, Commissione/Paesi Bassi, punto 7, e 12 settembre 2000, Commissione/Paesi Bassi, punto 16).

43     In una simile prospettiva, si deve tener conto del fatto che, nel verificare la corretta applicazione pratica delle disposizioni nazionali destinate a garantire la concreta attuazione della direttiva, la Commissione, che, come rilevato dall’avvocato generale al punto 53 delle sue conclusioni, non dispone di propri poteri di indagine in materia, dipende in ampia misura dagli elementi forniti da eventuali denuncianti nonché dallo Stato membro interessato (v., per analogia, sentenza 12 settembre 2000, Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 17).

44     Ne discende, in particolare, che, quando la Commissione fornisce elementi sufficienti a dimostrare che determinati fatti si sono verificati sul territorio dello Stato membro convenuto, spetta a quest’ultimo contestare in modo sostanziale e dettagliato i dati forniti dalla Commissione e le conseguenze che ne derivano (v., in tal senso, sentenza 9 novembre 1999, causa C‑365/97, Commissione/Italia, detta «San Rocco», Racc. pag. I‑7773, punti 84 e 86).

45     In simili circostanze, infatti, spetta innanzi tutto alle autorità nazionali effettuare i controlli necessari sul posto, in uno spirito di cooperazione leale, conformemente al dovere di ogni Stato membro, ricordato al punto 42 della presente sentenza, di facilitare l’adempimento del compito generale della Commissione (sentenza San Rocco, cit., punto 85).

46     Pertanto, quando la Commissione si richiama a denunce circostanziate, dalle quali emergono ripetuti inadempimenti alle disposizioni della direttiva, spetta allo Stato membro interessato contestare in modo concreto i fatti da cui traggono origine tali denunce (v., per analogia, sentenza 22 settembre 1988, causa 272/86, Commissione/ Grecia, Racc. pag. 4875, punto 19).

47     Del pari, quando la Commissione ha fornito elementi sufficienti da cui risulti che le autorità di uno Stato membro hanno sviluppato una prassi reiterata e persistente contraria alle disposizioni di una direttiva, spetta a tale Stato membro contestare in modo sostanziale e dettagliato i dati in tal modo forniti nonché le conseguenze che ne derivano (v., per analogia, citate sentenze 22 settembre 1998, Commissione/Grecia, cit., punto 21, e San Rocco, cit., punti 84 e 86).

 Sui fatti relativi alle denunce esaminate dalla Commissione

48     Come emerge dai punti 11-21 della presente sentenza, la Commissione basa il suo ricorso, segnatamente, sull’atteggiamento adottato dalle autorità irlandesi in varie situazioni concrete esaminate a seguito di 12 denunce sporte da privati. Poiché l’Irlanda ha contestato le circostanze fattuali sulle quali la Commissione intende basarsi, è necessario verificare se queste ultime siano state sufficientemente dimostrate.

–       Gli scarichi di rifiuti a Limerick (denuncia 1997/4705)

49     La Commissione afferma che nel 1997 la Limerick Corporation, autorità locale incaricata di applicare la legislazione sui rifiuti, ha tollerato scarichi di rifiuti derivanti da costruzioni e da demolizioni in una zona umida a Limerick. Essa rileva peraltro che in una lettera del 23 gennaio 1998 l’EPA ha affermato che tali scarichi rappresentavano operazioni di recupero non soggette ad autorizzazione. Inoltre, tali rifiuti non sarebbero stati completamente rimossi, mentre gli scarichi sarebbero continuati in tale area e in altre zone umide contigue.

50     La Commissione si basa, in tal senso, sulla denuncia 1997/4705. Oltre alla citata lettera dell’EPA, essa produce cliché fotografici forniti dal denunciante, in cui possono vedersi cumuli di detriti in mezzo ad una vegetazione palustre, taluni articoli di giornali da cui emerge che i casi di scarichi abusivi di rifiuti nelle zone umide a Limerick erano noti al pubblico, nonché talune fotografie del 2002, fornite dai denuncianti, che attestano la presenza di rifiuti da demolizione e da costruzione nelle zone umide in esame.

51     Il governo irlandese replica che, secondo la Limerick Corporation, nella zona cui si riferisce la denuncia 1997/4705 sono stati riversati per errore solamente tre carichi di camion, nel corso del mese di ottobre 1997, e che i rifiuti sono stati rimossi qualche ora dopo gli scarichi stessi. I fatti denunciati non sarebbero dimostrati, singolarmente, allo scadere del termine impartito nel parere motivato del 2001. Quanto agli scarichi più recenti intervenuti nella zona cui si riferisce tale denuncia, il governo citato afferma che il loro livello risulta ridotto e garantisce che essi saranno rapidamente rimossi. Gli altri scarichi fatti valere dalla Commissione non sarebbero rilevanti nell’ambito del presente procedimento e sarebbero intervenuti a fini di colmata e di assestamento dei luoghi. Peraltro, in ordine ad un progetto di colmata per l’installazione di infrastrutture sportive, la posizione assunta dall’EPA sarebbe stata conforme alla legislazione irlandese, la quale, fino al 20 maggio 1998, non richiedeva alcuna autorizzazione in caso di recupero di rifiuti.

52     Nella fattispecie la Corte ritiene che, dato il carattere circostanziato della denuncia 1997/4705 e considerati gli elementi forniti dalla Commissione, il governo irlandese non può, come emerge dai punti 42-47 della presente sentenza, trincerarsi dietro le affermazioni non altrimenti comprovate della Limerick Corporation, né può limitarsi a sostenere che i fatti addebitatigli non sono provati ovvero che gli scarichi di rifiuti in questione sono intervenuti nell’ambito di una politica controllata di recupero o di installazione di infrastrutture, senza contestare in modo sostanziale e dettagliato i dati così forniti dalla Commissione e senza suffragare con elementi concreti le proprie affermazioni.

53     Contrariamente a quanto affermato dal governo irlandese, tutti gli elementi forniti dalla Commissione sono, inoltre, pertinenti al fine di corroborare la censura formulata da quest’ultima e basata sull’atteggiamento di persistente tolleranza delle autorità locali con riferimento agli scarichi di rifiuti non autorizzati nelle zone umide a Limerick.

54     Alla luce di quanto sopra, la Corte rileva che risulta adeguatamente dimostrato dagli elementi indicati al punto 50 della presente sentenza che nel 1997 l’autorità locale competente ha tollerato scarichi non autorizzati di rifiuti da costruzione e da demolizione in un’area umida a Limerick, che simili scarichi si sono succeduti nell’area considerata, segnatamente nel corso del presente procedimento, e che sono altresì intervenuti altri scarichi in due altre zone umide contigue. Risulta del pari dimostrato che l’EPA ha sostenuto, in una lettera inviata il 23 gennaio 1998 alla Limerick Corporation, che, in forza della legislazione irlandese all’epoca vigente, simili scarichi non erano soggetti ad autorizzazione se avvenivano a fini di recupero.

55     Il fatto che le zone umide in questione presentino un particolare interesse ecologico non è messo in dubbio dal governo irlandese, ed emerge chiaramente dal fascicolo, segnatamente dal fatto che si è considerata l’ipotesi di classificare una di tali aree quale area speciale di conservazione ai sensi della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206, pag. 7). Peraltro, dalle fotografie e dagli articoli di giornali prodotti dalla Commissione, nonché da una lettera del Department of Arts, Heritage, Gaeltacht and the Islands dell’8 dicembre 1997, emerge che le aree umide in questione sono state gravemente danneggiate.

–       Le operazioni non autorizzate di lagunaggio e di spargimento di rifiuti a Ballard, Fermoy, nella contea di Cork (denuncia 1997/4792)

56     La Commissione afferma che il consiglio della contea di Cork, autorità competente in materia di gestione dei rifiuti, ha tollerato sin dal 1990 che un operatore privato non autorizzato effettuasse operazioni di deposito su vasta scala di rifiuti organici in taluni bacini situati a Ballard e di smaltimento degli stessi mediante spargimento, senza garantire la cessazione di tali operazioni e l’applicazione di sanzioni alle stesse. Inoltre, le infrastrutture in questione sarebbero state costruite senza la richiesta autorizzazione urbanistica e questa sarebbe stata concessa nel 1998, favorendo così il proseguimento delle operazioni citate.

57     Nel suo controricorso, il governo irlandese ammette che le operazioni di deposito e di spargimento svolte dall’operatore in questione richiedevano il possesso di un’autorizzazione. Esso ritiene, tuttavia, che il consiglio della contea di Cork abbia adottato un atteggiamento adeguato. Tale autorità, infatti, avrebbe rilevato che le operazioni in questione si erano concluse nell’aprile 1992. Poiché queste ultime erano state riprese, l’autorità citata avrebbe assunto, nel corso del 1996, taluni provvedimenti per garantire la cessazione di ogni nuovo deposito nei bacini di cui trattasi. Avendo tuttavia rilevato, in occasione di un’ispezione effettuata nell’agosto 2001, che le operazioni di lagunaggio erano riprese, il consiglio della contea di Cork avrebbe avviato un procedimento giurisdizionale che, nel marzo 2002, avrebbe portato alla condanna del responsabile al pagamento di un’ammenda pari a EUR 1 800. Da quel momento sarebbero cessati tutti i depositi abusivi, ed i rifiuti ancora presenti sarebbero stati rimossi.

58     Nella sua replica, la Commissione afferma che gli operatori di cui trattasi non hanno mai cessato le loro attività. A tal fine, essa produce varie missive, tra cui talune provenienti dallo stesso consiglio della contea di Cork, da cui emerge che a Ballard sono stati depositati rifiuti quanto meno sino al mese di giugno 2002. Inoltre, la sola sanzione applicata all’operatore responsabile sarebbe stata inflitta per la mancata comunicazione di informazioni al consiglio stesso.

59     Senza contestare quest’ultima affermazione della Commissione, il governo irlandese precisa, nella sua controreplica depositata presso la cancelleria della Corte in data 10 gennaio 2003, che il consiglio della contea di Cork sta esaminando l’opportunità di avviare azioni giudiziarie nei confronti dell’operatore di cui trattasi. La rimozione dei rifiuti ancora presenti nell’area interessata sarebbe peraltro imminente.

60     Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene sufficientemente dimostrato il fatto che si sono verificate rilevanti operazioni non autorizzate di lagunaggio e/o di spargimento di rifiuti da parte di un operatore privato a Ballard, nella contea di Cork, tra il 1990 e quanto meno fino al mese di giugno 2002, senza che le autorità competenti abbiano assunto i provvedimenti adeguati per porre fine a tali operazioni e senza che queste ultime abbiano dato luogo all’applicazione di sanzioni. Peraltro, non è contestato il fatto che le infrastrutture necessarie a siffatte operazioni sono state mantenute, ancorché non beneficiassero dell’autorizzazione urbanistica richiesta, e che nel 1998 le autorità competenti hanno rilasciato una tale autorizzazione che consentiva la conservazione delle infrastrutture stesse.

–       Le operazioni non autorizzate di deposito di rifiuti a Pembrokestown, Whiterock Hill, nella contea di Wexford (denuncia 1997/4847)

61     La Commissione afferma che tra il 1995 e il 2001 un gestore privato ha effettuato operazioni di deposito di rifiuti in un luogo situato a Pembrokestown, nonostante tre decisioni della District Court, del 1996 e del 1997, con le quali era stato condannato, in base a tale capo d’imputazione, ad ammende successive di IEP 100, e poi di due volte IEP 400, il che dimostrerebbe, segnatamente, l’inadeguatezza delle sanzioni inflitte. Tali operazioni avrebbero inoltre esposto gli abitanti delle zone contigue a notevoli fattori nocivi, di cui il consiglio della contea di Wexford era al corrente, come emerge, in particolare, dal testo della sua decisione datata 23 febbraio 1996, con la quale respingeva una domanda di autorizzazione urbanistica relativa al sito in questione, decisione che è prodotta dalla Commissione.

62     Secondo il governo irlandese, simili ammende erano conformi alle disposizioni delle European Communities (Waste) Regulations (1979), in vigore all’epoca dei fatti contestati, che prevedevano la possibilità di infliggere, a seguito di procedimento sommario, sanzioni in forma d’ammenda per un importo massimo di IEP 600 e/o di reclusione per un massimo di sei mesi. Data l’intermittenza delle operazioni in questione, il consiglio della contea di Wexford avrebbe peraltro ritenuto inutile ottenere nei confronti dell’interessato un’ingiunzione destinata a prevenire le operazioni stesse. Infine, tali operazioni sono state oggetto di una decisione di autorizzazione, datata 24 gennaio 2001, che viene prodotta dal citato governo.

63     Nella fattispecie, la Corte rileva che dagli elementi del fascicolo emerge con sufficiente chiarezza che tra il 1995 e il gennaio 2001 vi sono state operazioni di deposito di rifiuti su un sito privato, localizzato a Pembrokestown, in circostanze che hanno prodotto effetti nocivi per i residenti, in assenza di qualsivoglia autorizzazione, senza che le autorità competenti abbiano assunto i provvedimenti adeguati per porre fine a tali operazioni e senza che a queste ultime siano state applicate sanzioni sufficientemente efficaci per esercitare un effetto dissuasivo. È del pari dimostrato che il 24 gennaio 2001 l’EPA ha rilasciato, a favore del gestore di tale sito, l’autorizzazione prevista dalla legge del 1996.

–       L’esercizio non autorizzato della discarica municipale di Powerstown, nella contea di Carlow (denuncia 1999/4351)

64     La Commissione afferma, nel suo ricorso, che la discarica municipale di Powerstown, nella contea di Carlow, funziona senza autorizzazione dal 1975 e che, pur essendo stata presentata una domanda di autorizzazione il 24 febbraio 1998 in base alla legge del 1996, il 23 febbraio 2000 non era stata ancora assunta alcuna decisione, mentre l’impianto continuava a funzionare dalla data di presentazione di tale domanda.

65     Senza contestare tali affermazioni, il governo irlandese produce una decisione di autorizzazione relativa a tale discarica adottata dall’EPA il 24 marzo 2000.

–       La gestione non autorizzata di un impianto di deposito e trattamento dei rifiuti a Cullinagh, Fermoy, nella contea di Cork (denuncia 1999/4478)

66     La Commissione afferma che il consiglio della contea di Cork ha tollerato, sin dal 1991, il fatto che un operatore privato non autorizzato gestisse un impianto di deposito e di trattamento di rifiuti situato a Cullinagh, in un’area in cui si trovano acque sotterranee, senza garantire la cessazione di tali operazioni e senza applicare sanzioni alle stesse, nonostante siano state più volte respinte le domande di autorizzazione urbanistica presentate dall’operatore medesimo tra il 1991 e il 1994.

67     Il governo irlandese sostiene che, nell’aprile del 2002, è stata adottata una decisione volta ad autorizzare la citata impresa ad effettuare operazioni di recupero nell’ordine di 6 500 tonnellate annue di rifiuti. Tale decisione, tuttavia, non viene prodotta. Secondo tale governo, non è stata dimostrata alcuna contaminazione delle acque sotterranee a causa dell’impianto in questione, e la decisione di autorizzazione richiede l’attuazione di un procedimento di sorveglianza e di valutazione della qualità di queste ultime. Quanto alle autorizzazioni urbanistiche, esse sarebbero state concesse dal consiglio della contea di Cork, e successivamente annullate dall’autorità di ricorso.

68     In tali circostanze, la Corte ritiene sia sufficientemente dimostrato che vi è stata una gestione non autorizzata di un’area di deposito e di trattamento di rifiuti, nel periodo che va, quanto meno, dal 1991 al mese d’aprile 2002, in un’area in cui non poteva essere escluso un rischio di contaminazione delle acque sotterranee, senza che le autorità competenti abbiano assunto le misure adeguate per garantirne la cessazione e senza che fossero applicate sanzioni. Come emerge dal punto precedente, il governo irlandese ammette, peraltro, che tali autorità hanno concesso autorizzazioni urbanistiche relative a detti impianti in un’epoca in cui queste ultime non disponevano dell’autorizzazione prevista dalla direttiva.

–       Gi scarichi di rifiuti e la gestione non autorizzata di impianti di trattamento di rifiuti nella penisola di Poolbeg, a Dublino (denuncia 1999/4801)

69     La Commissione afferma, per un verso, che le autorità competenti della città di Dublino hanno tollerato, sin dal 1997, scarichi di rifiuti da costruzione e da demolizione in un’area verde, situata nella penisola di Poolbeg, senza garantire né la cessazione né l’applicazione di sanzioni per tali scarichi, e nemmeno la rimozione dei rifiuti in questione. Per altro verso, queste stesse autorità avrebbero tollerato l’esercizio, in tale penisola, di due impianti non autorizzati di trattamento di rifiuti metallici, senza garantire né la cessazione di tali attività né l’applicazione di sanzioni alle stesse, arrivando al punto di far sì che gli impianti in questione beneficiassero di sussidi finanziari comunitari.

70     Quanto ai due impianti citati, il governo irlandese ha precisato nelle sue lettere del 12 dicembre 2000 e del 26 giugno 2001, le quali hanno fatto seguito a talune richieste di informazioni indirizzategli dalla Commissione, che, a seguito delle domande di autorizzazione presentate rispettivamente il 23 settembre e il 15 ottobre 1998, queste erano state oggetto di decisioni di autorizzazione nelle date del 3 agosto 2000 e del 1° marzo 2001. Quanto agli aiuti comunitari, il governo citato afferma, nel suo controricorso, che sono stati concessi per errore.

71     Peraltro, il governo irlandese afferma che vi è stato, nel passato, un solo caso di scarico abusivo di rifiuti, che l’area è stata riabilitata prima dello scadere del termine impartito nel parere motivato del 2001 e che sulla stessa non permane alcuna traccia di deterioramento ambientale. Non essendo stati identificati gli autori, ai medesimi non si sarebbe potuta comminare alcuna sanzione.

72     Nella sua replica, la Commissione rileva che dalle informazioni dettagliate fornite da denuncianti che hanno avuto regolari contatti con la Dublin Port Company, incaricata della penisola di Poolberg, e con la Dublin Corporation, che è l’autorità responsabile in materia di gestione dei rifiuti, nonché da fotografie che essa produce, emerge che gli scarichi di rifiuti sarebbero proseguiti sino all’inizio del 2000 e che l’area interessata sarebbe stata effettivamente ripristinata dalle autorità irlandesi solamente alla fine dello stesso anno.

73     Nella sua controreplica, il governo irlandese contesta tali affermazioni della Commissione e sostiene che le fotografie prodotte da quest’ultima non sono sufficienti a dimostrarne la veridicità.

74     La Corte rileva, per un verso, che, nelle sue lettere datate 12 dicembre 2000 e 26 giugno 2001, il governo irlandese ha ammesso che vi sono stati nel passato rilevanti scarichi di calcinacci nella zona in esame, e ha precisato che gli stessi sarebbero stati livellati per servire da materiali di fondazione per una piattaforma di operazioni di assemblaggio di canalizzazioni. Per altro verso, le affermazioni dei denuncianti, nonché le fotografie prodotte dalla Commissione, sono sufficientemente precise e circostanziate da far sì che il governo citato non possa, come ricordato ai punti 42-47 della presente sentenza, limitarsi ad affermare che i fatti contestati non sono dimostrati, senza contestare in modo sostanziale e dettagliato i dati così presentati dalla Commissione né suffragare con elementi concreti le proprie affermazioni.

75     Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene sufficientemente dimostrato il fatto che le autorità competenti della città di Dublino hanno tollerato, dal 1997 al 2000, la presenza non autorizzata di calcinacci scaricati in un’area verde nella penisola di Poolbeg, senza garantire la cessazione di tali pratiche né la rimozione dei rifiuti in questione. Le citate autorità hanno inoltre tollerato l’esercizio non autorizzato, sulla medesima penisola, di due impianti di trattamento di rifiuti, rispettivamente fino al 3 agosto 2000 e al 1° marzo 2001, date nelle quali sono state accolte le relative domande da autorizzazione, senza garantire la cessazione dell’attività né l’applicazione di sanzioni al gestore. Tali impianti hanno inoltre beneficiato di una sovvenzione finanziaria comunitaria.

–       L’esercizio non autorizzato di discariche municipali a Tramore e a Kilbarry, nella contea di Waterford (denuncia 1999/5008)

76     Dai documenti e dalle memorie prodotti dalle parti emerge che la discarica di Tramore, che funziona senza autorizzazione sin dagli anni ’30, è contigua ad una speciale area protetta ai sensi della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 103, pag. 1), e si trova, in parte, in una zona che è stata proposta come sito del patrimonio nazionale e come area speciale di conservazione ai sensi della direttiva 92/43. Dai citati documenti emerge altresì che la domanda di autorizzazione relativa a tale discarica, presentata solo il 30 settembre 1998, ha condotto ad una decisione positiva dell’EPA datata 25 settembre 2001.

77     Quanto alla discarica di Kilbarry, che funziona sin dall’inizio degli anni ’70, essa è adiacente ad una zona umida proposta come sito del patrimonio naturale e sconfina su un’area di interesse scientifico. La relativa domanda di autorizzazione, presentata il 30 settembre 1997, ha portato ad una decisione favorevole dell’EPA in data 19 ottobre 2001.

78     Secondo la Commissione, l’esercizio non autorizzato di tali due discariche ha inoltre cagionato danni e rilevanti conseguenze nocive sull’ambiente, consistenti, segnatamente, in sconfinamenti sulle adiacenti zone umide e in una progressiva riduzione della loro superficie.

79      Nella sua lettera inviata alla Commissione il 30 novembre 2002, in risposta ad una sua richiesta di informazioni, il governo irlandese afferma che la riduzione della zona umida contigua alla discarica di Kilbarry è intervenuta dieci anni prima. Quanto agli asseriti effetti nocivi sull’ambiente, tale governo nega qualsivoglia impatto negativo rilevante della discarica di Tramore sull’adiacente area speciale di conservazione, ma riconosce, tuttavia, che l’EPA avrebbe manifestato preoccupazioni con riferimento alla discarica di Kilbarry.

80     Nel suo controricorso, il governo irlandese precisa peraltro che, a seguito di una modifica dei confini dell’area speciale di conservazione prevista a Tramore dal Duchas, che è l’autorità responsabile della conservazione della natura, la discarica non sconfinerebbe più sull’area di cui trattasi. Esso afferma inoltre che tutti gli effetti nocivi sull’ambiente e, segnatamente, sulle varie aree ecologicamente sensibili contigue alle discariche in oggetto sono ormai affontati in maniera adeguata nelle decisioni di autorizzazione del 25 settembre e del 19 ottobre 2001.

81     A tal proposito la Corte rileva che il governo irlandese ammette lo sconfinamento della discarica di Kilbarry nella zona umida circostante, nonché la conseguente riduzione della superficie di quest’ultima.

82     Quanto alla discarica di Tramore, emerge da una lettera del 29 maggio 2000, proveniente dall’autorità irlandese incaricata della tutela della natura, che questa rimprovera al consiglio della contea di Waterford sia gli sconfinamenti di tale discarica sull’area speciale di conservazione prevista, sia i danni cagionati a quest’ultima. Un progetto di piano conservativo adottato da questa stessa autorità il 20 luglio 2000, prodotto altresì dalla Commissione, conferma che su tale area sono intervenuti sconfinamenti in epoca successiva al 1993, che hanno cagionato un grave degrado della stessa nonché danni nei luoghi adiacenti alla discarica in oggetto. In alcune fotografie datate maggio 2001 e prodotte dalla Commissione si possono vedere rifiuti posti sui bordi della discarica stessa che sconfinano sulla natura circostante.

83     Infine, taluni rilievi contenuti nelle relazioni ispettive effettuate nell’ambito dei procedimenti di autorizzazione di tali due discariche e nelle stesse decisioni di autorizzazione, nonché varie condizioni specifiche imposte da queste ultime, attestano che l’attività delle discariche in esame ha cagionato rilevanti danni all’ambiente, segnatamente acquifero. L’effettiva osservanza delle varie condizioni imposte da tali decisioni implica inoltre l’adozione di provvedimenti attuativi e la realizzazione di lavori, cosicché la semplice concessione delle autorizzazioni non è tale da garantire l’immediata cessazione dei danni ambientali risultanti dall’esercizio delle due discariche in oggetto. Quanto meno, tale rilievo risulta confermato, segnatamente, dalla relazione ambientale annuale redatta nel corso del mese di ottobre 2002 dal consiglio della contea di Waterford, in conformità alle condizioni dettate dalla decisione di autorizzazione relativa alla discarica di Tramore.

84     Tenuto conto di quanto sopra, la Corte ritiene sufficientemente dimostrato che le discariche municipali di Tramore e di Kilbarry, la cui creazione risale agli anni ’30 e ’70, hanno continuato a funzionare senza autorizzazione fino al 25 settembre e al 19 ottobre 2001, date nelle quali l’EPA ha accolto le domande di autorizzazione ad esse relative, presentate rispettivamente il 30 settembre 1998 e il 30 settembre 1997. Risulta del pari sufficientemente dimostrato il fatto che le discariche in esame hanno sconfinato su zone umide sensibili e dotate di un particolare interesse ecologico, provocando, segnatamente, un’alterazione di tali zone ed una riduzione della loro superficie, e che esse hanno prodotto significativi effetti nocivi sull’ambiente i quali, come risulta dal punto precedente, non sono stati completamente superati con la semplice concessione delle autorizzazioni citate.

–       L’esercizio non autorizzato di impianti di trattamento di rifiuti a Lea Road e a Ballymorris, nella contea di Laois (denuncia 1999/5112)

85     La Commissione sostiene che le autorità locali competenti hanno tollerato che un operatore privato gestisse senza autorizzazione, sin dagli anni ’80, impianti di trattamento di rifiuti nelle cave abbandonate di Lea Road e di Ballymorris, vicino a Portarlington, nella contea di Laois, impianti situati entrambi nel bacino idrografico del fiume Barrow, caratterizzato da una rilevante falda acquifera, e che le autorità in questione non hanno garantito la cessazione delle citate attività né l’applicazione di sanzioni alle stesse.

86     Pur avendo ammesso, in una lettera inviata alla Commissione il 28 novembre 2000, che vi sono effettivamente state attività di gestione di rifiuti in tali due luoghi senza la richiesta autorizzazione, il governo irlandese precisa tuttavia, nel suo controricorso, che il consiglio della contea di Laois gli ha confermato, nel settembre 2001, che erano nel frattempo cessate tutte le attività sul sito di Lea Road. Quanto al sito di Ballymorris, esso sostiene che nel febbraio 2002 l’EPA ha reso pubblico un progetto di decisione col quale negava l’autorizzazione richiesta.

87     Nella sua replica, la Commissione contesta il fatto che le operazioni di gestione di rifiuti effettuate a Lea Road siano cessate. In tal senso, essa produce varie relazioni redatte a seguito di visite ispettive dei luoghi, tra cui una, datata 6 giugno 2002 e accompagnata da cliché fotografici, che attestano la prosecuzione di rilevanti attività di gestione e di deposito di rifiuti nell’area, almeno fino a quest’ultima data. La Commissione produce altresì varie relazioni ispettive e cliché fotografici che dimostrano l’ampiezza delle operazioni di gestione di rifiuti condotte a Ballymorris.

88     Nella sua controreplica, depositata presso la cancelleria della Corte il 10 gennaio 2003, il governo irlandese specifica che per il mese di marzo 2003 è attesa una decisione in merito alla domanda di autorizzazione concernente l’area di Ballymorris.

89      Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene sufficientemente dimostrato che le autorità irlandesi competenti hanno tollerato che un operatore privato gestisse senza autorizzazione, sin dagli anni ’80, due importanti impianti di trattamento di rifiuti nelle cave abbandonate di Lea Road e di Ballymorris, vicino a Portarlington, nella contea di Laois, impianti situati entrambi nel bacino idrografico del fiume Barrow, caratterizzato da una rilevante falda acquifera, e che le autorità in questione non hanno garantito la cessazione delle citate attività né l’applicazione di sanzioni alle stesse. Nel caso dell’area di Lea Road, tale situazione è durata quantomeno sino al 6 giugno 2002 e, nel caso dell’area di Ballymorris, sino al 10 gennaio 2003.

–       La gestione non autorizzata delle discariche municipali di Drumnaboden, di Muckish e di Glenalla, nella contea di Donegal (denuncia 2000/4408)

90     È pacifico tra le parti che, a seguito della richiesta d’autorizzazione per la discarica municipale di Drumnaboden, presentata il 30 settembre 1998 in applicazione della legge del 1996, è stata disposta la chiusura della discarica stessa con decisione del consiglio della contea di Donegal in data 26 aprile 1999. Tale autorità è stata di conseguenza indotta a disporre la prosecuzione dell’attività delle discariche municipali di Muckish e di Glenalla, la cui chiusura era intervenuta poco prima del 1° marzo 1999, data ultima entro la quale doveva essere presentata una domanda di autorizzazione, in base alla legge citata, per tutte le discariche municipali esistenti. Di conseguenza, le attività di trattamento di rifiuti sono riprese in queste due ultime discariche, mentre le domande di autorizzazione ad esse relative sono state presentate solamente il 5 ottobre 1999. Nonostante la tardività di tali domande, l’EPA non ha formulato alcuna obiezione quanto al proseguimento dell’attività delle discariche stesse.

–       Gli scarichi e i depositi non autorizzati di rifiuti a Carlingford Lough, Greenore, nella contea di Louth (denuncia 2000/4145)

91     La Commissione afferma che le autorità irlandesi hanno tollerato, sin dal 1990, scarichi non autorizzati di rifiuti da costruzione e da demolizione in un’area situata sulla riva del mare, a Carlingford Lough, Greenore, nella contea di Louth, senza garantire né la cessazione di tali operazioni né l’applicazione di sanzioni alle stesse, come neppure la rimozione dei rifiuti.

92     Il governo irlandese ha precisato, in una lettera inviata alla Commissione il 9 aprile 2001, che il Department of the Marine and Natural Resources aveva ritenuto che la questione relativa a tali rifiuti sarebbe stata risolta nell’ambito di un progetto di sviluppo locale in corso di valutazione. Peraltro, il Department of the Environment and Local Government ha inviato alla Commissione copia di una relazione, datata 23 ottobre 2000, nella quale si identificavano i rifiuti depositati a Carlingford Lough come residui di demolizioni.

93     Nel suo controricorso, il governo irlandese afferma, tuttavia, che quest’ultima valutazione è erronea. A seguito di prelievi effettuati in loco, nel corso del mese di gennaio 2002, su richiesta del consiglio della contea di Louth, sarebbe risultato che i materiali presenti sul sito erano costituiti da rocce e da pietre estratte da una cava e depositate in tale area dall’impresa Greenore Port per valorizzare il suolo, cosicché non vi sarebbe stato smaltimento di rifiuti. Inoltre, sarebbe attualmente in esame l’ipotesi di utilizzare tali materiali nell’ambito della costruzione di una diga.

94     Nella fattispecie, la Corte rileva che dagli elementi prodotti dalla Commissione, tra cui vi sono, in particolare, lettere provenienti da denuncianti e dal Department of the Marine and Natural Resources, due relazioni ispettive redatte da funzionari di tale Ministero a seguito di ispezioni svolte in loco nel 1993 e nel 1997, nonché varie fotografie del gennaio 2002, emerge che i rifiuti di cui trattasi sono effettivamente costituiti da detriti derivanti da demolizioni ossia, segnatamente, da cemento armato e da residui metallici. Del pari, risulta sufficientemente dimostrato dagli elementi citati che, sin dal 1990, simili rifiuti da demolizione e da costruzione sono effettivamente stati scaricati e accumulati da un operatore privato non autorizzato in un’area situata sulla riva del mare, a Carlingford Lough, e che questa situazione è stata tollerata dalle autorità irlandesi competenti quantomeno fino al mese di gennaio 2002, senza che queste ultime abbiano garantito la cessazione di tali attività e l’applicazione di sanzioni alle stesse, e senza che sia intervenuta la rimozione dei rifiuti in oggetto.

–       La raccolta di rifiuti ad opera di imprese private non autorizzate o non registrate, a Bray, nella contea di Wicklow (denuncia 2000/4157)

95     La Commissione afferma che, nel mese di gennaio 2000, il consiglio municipale di Bray ha deciso di abbandonare l’attività di raccolta dei rifiuti domestici e ha invitato gli abitanti a rivolgersi a taluni raccoglitori privati, dei quali è stato comunicato l’elenco. Orbene, secondo la Commissione, questi ultimi non sono stati sottoposti a registrazione o ad autorizzazione ai sensi dell’art. 12 della direttiva, per la mancata trasposizione di tale norma nel diritto irlandese.

96     Nella sua lettera inviata alla Commissione il 4 ottobre 2000, il governo irlandese ha precisato, per un verso, che il comune di Bray teneva un registro di tutti i raccoglitori di rifiuti operanti sul suo territorio. Per altro verso, esso ha informato la Commissione della futura adozione di una normativa che sottoporrà ad un regime d’autorizzazione la raccolta dei rifiuti in Irlanda.

–       I depositi non autorizzati di rifiuti sulle aree di Ballynattin, di Pickardstown, di Ballygunner Bog e di Castletown, nella contea di Waterford (denuncia 2000/4633)

97     Nel suo ricorso la Commissione afferma che il consiglio della contea di Waterford ha tollerato, quantomeno fino al mese di dicembre 2001, depositi non autorizzati di vari tipi di rifiuti, principalmente calcinacci da costruzione e da demolizione, in varie zone umide della contea citata, tra cui vi sono le aree di Ballynattin, di Pickardstown, di Ballygunner Bog e di Castletown, senza garantire la cessazione di tali attività e l’applicazione di sanzioni alle stesse, come neppure la rimozione dei rifiuti medesimi.

98     Nel suo controricorso, depositato presso la cancelleria della Corte il 19 agosto 2002, il governo irlandese afferma che, alla data di scadenza del termine stabilito nel parere motivato del 2001, gli scarichi erano cessati sulle aree di Pickardstown, di Castletown e di Ballygunner Bog. Il consiglio della contea di Waterford avrebbe peraltro assunto taluni provvedimenti per ottenere la rimozione dei rifiuti scaricati sulle prime due aree. Quanto alla terza, vi sarebbe stato nel frattempo seminato un tappeto erboso e, a parere di tale consiglio, la rimozione dei rifiuti non consentirebbe di ripristinare lo stato originale dell’area umida in questione. Tale governo afferma inoltre che nel gennaio 2002 sono state avviate azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’area di Ballynattin, dopo che un’ingiunzione del giugno 2000 del consiglio citato, con cui si ordinava la cessazione degli scarichi e la rimozione dei rifiuti, è rimasta priva di effetti.

99     A sostegno della sua replica, la Commissione produce taluni cliché fotografici del settembre 2002, che dimostrano la presenza di rifiuti da demolizione nelle aree di Ballynattin, di Pickardstown e di Castletown, nonché una costruzione in corso sulla prima di queste tre aree.

100   Nella sua controreplica, depositata presso la cancelleria della Corte il 10 gennaio 2003, il governo irlandese sostiene che gli scarichi di rifiuti a Ballynattin, a Pickardstown, a Ballygunner Bog e a Castletown sono intervenuti su superfici che rappresentano, rispettivamente, 0,1, 0,8, 0,4 e 1 ettaro, cioè lo 0,15%, il 27%, il 6% e il 17% delle aree umide in questione. Nel caso dell’area di Ballynattin, un’ordinanza della Circuit Court avrebbe imposto la rimozione dei rifiuti nonché la demolizione della costruzione in corso e, nel dicembre 2002, sarebbe stato introdotto un ricorso dinanzi alla citata giurisdizione per far incarcerare il proprietario dell’area. Essendo stato di recente informato di nuovi scarichi di rifiuti nell’area di Castletown, il consiglio della contea di Waterford avrebbe espresso la sua intenzione di richiedere la rimozione dei rifiuti depositati su tale sito, nonché su quello di Pickardstown.

101   Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene sufficientemente dimostrato che sono stati effettuati depositi di rifiuti, principalmente da costruzione e da demolizione, in varie zone umide della contea di Waterford, nelle aree di Ballynattin, di Pickardstown, di Ballygunner Bog e di Castletown, ad iniziativa di operatori privati, e che, alla data di scadenza del termine impartito nel parere motivato del 2001, l’autorità locale competente non aveva garantito la cessazione di tali scarichi né l’applicazione di sanzioni agli stessi, come neppure la rimozione dei rifiuti in questione, situazione che si è peraltro protratta dopo l’introduzione del presente ricorso.

 Sulla violazione degli artt. 9 e 10 della direttiva

–       Argomenti delle parti

102   La Commissione afferma che, ai sensi degli artt. 9 e 10 della direttiva, a partire dal 1977 tutte le operazioni di trattamento di rifiuti richiedono il previo ottenimento di un’autorizzazione. Una siffatta autorizzazione, che è emanata ai fini dell’applicazione dell’art. 4 della direttiva e che deve precisare le condizioni cui devono rispondere tali operazioni ai fini della tutela dell’ambiente, dovrebbe necessariamente avere carattere preliminare.

103   A parere della Commissione, tuttavia, numerose operazioni di trattamento di rifiuti urbani in Irlanda sono effettuate senza autorizzazione, come dimostrato, ad esempio, dai casi delle discariche di Powerstown, di Tramore e di Kilbarry, di cui, rispettivamente, alle denunce 1999/4351 e 1999/5008.

104   Inoltre, la durata del trattamento delle domande d’autorizzazione presentate ai sensi della legge del 1996 risulterebbe eccessiva, con riferimento agli impianti esistenti, in quanto questi ultimi continuerebbero sistematicamente a funzionare nel corso del procedimento di autorizzazione. Così, dalla risposta inviata dal governo irlandese alla Commissione il 23 febbraio 2000 emergerebbe che, su 137 domande di autorizzazione di tal genere, 102 sarebbero ancora in sospeso alla data del 2 febbraio 2000. Nel caso delle discariche di Muckish e di Glenalla, di cui alla denuncia 2000/4408, l’EPA avrebbe addirittura tollerato la continuazione dell’attività in assenza di domanda d’autorizzazione introdotta entro i termini previsti dalla legge citata.

105   Secondo la Commissione, l’Irlanda viola altresì gli obblighi che le incombono altresì omettendo di sottoporre al procedimento di autorizzazione, previsto dall’art. 9 della direttiva, le discariche municipali chiuse prima dello scadere dei termini in questione.

106   Quanto al trattamento dei rifiuti da parte di operatori privati, la Commissione afferma che le autorità irlandesi, a vari livelli, tollerano altresì il perpetuarsi, in numerose aree del territorio, di operazioni non autorizzate, senza garantirne la cessazione né la sottoposizione a sanzioni, come risulterebbe, segnatamente, dall’istruttoria relativa alle denunce 1997/4705, 1997/4792, 1999/4478, 1999/4801, 1999/5112, 2000/4145 e 2000/4633. Le sanzioni eccezionalmente inflitte sarebbero inoltre prive di effetto dissuasivo, come risulta, segnatamente, dall’esame della denuncia 1997/4847. Gli operatori disonesti sarebbero in tal modo incoraggiati, in base ad un semplice calcolo economico, a continuare le loro attività illecite, mentre risulterebbero penalizzati i loro concorrenti che agiscono nel rispetto della direttiva.

107   In caso di domande di autorizzazione o di concessione urbanistica relative a impianti abusivi esistenti, le autorità irlandesi competenti tollererebbero altresì la continuazione delle attività stesse, in quanto l’autorizzazione infine concessa copre, in simili casi, le irregolarità precedenti, come emergerebbe in particolare dall’esame delle denunce 1997/4792, 1999/4478, 1999/4801, 1999/5112 e 2000/4145. Nel caso di cui alla denuncia 1997/4705, l’EPA avrebbe addirittura ammesso che un’attività di colmata nell’ambito di un’area umida equivale ad un recupero e che, in tal caso, non è richiesta alcuna autorizzazione ai sensi del diritto nazionale.

108   Nel suo controricorso, il governo irlandese sostiene, quanto alle operazioni relative ai rifiuti urbani, che, alla fine del mese di settembre 2001, solamente quattordici discariche municipali operative dovevano ancora ottenere un’autorizzazione e che la situazione risultava completamente regolarizzata il 29 novembre 2002, data in cui è stata concessa l’ultima autorizzazione. La durata di trattamento delle domande sarebbe, in tal senso, normale, se si tiene conto dell’afflusso di richieste simultanee relative ad impianti esistenti, della complessità dei fascicoli e della laboriosità del procedimento di autorizzazione. Il caso delle discariche di Glenalla e Muckish sarebbe eccezionale.

109   Peraltro, secondo il governo irlandese, l’art. 9 della direttiva non richiede che un impianto chiuso prima dello spirare del termine legale entro il quale dev’essere introdotta una domanda d’autorizzazione sia sottoposto retroattivamente ad autorizzazione.

110   Quanto ai rifiuti trattati dal settore privato, il governo citato nega che vi sia una generale tendenza delle autorità irlandesi a tollerare operazioni non autorizzate. Così, tra il maggio 1998 e l’agosto 2002, sarebbero state presentate 651 domande per ottenere il permesso di gestire attività esistenti o progettate, e sarebbero stati rilasciati 384 permessi.

111   Inoltre, la legge del 1996 prevedrebbe sanzioni adeguate, quali l’ammenda e la reclusione, e le violazioni delle norme previste da tale legge darebbero effettivamente luogo all’applicazione di sanzioni. Nel suo controricorso, depositato presso la cancelleria della Corte il 19 agosto 2002, il governo irlandese sostiene che da informazioni che esso non produce, ma che gli sono state comunicate da 33 delle 34 autorità locali competenti, emerge che, dal mese di maggio 1996, sono stati stesi più di 930 verbali che ingiungevano la cessazione delle operazioni non autorizzate ed il trasferimento dei rifiuti in questione in un impianto autorizzato, nonché 76 verbali che ingiungevano altri tipi di azioni, inoltre dal 1998 le citate autorità hanno portato a termine 111 procedimenti, mentre 84 procedimenti risultano pendenti. Quanto all’EPA, essa avrebbe avviato 14 procedimenti ai sensi della legge del 1996.

112   I tribunali avrebbero inoltre pronunciato varie condanne. A sostegno di tale affermazione, il governo irlandese produce una sentenza della High Court del 31 luglio 2002 che condanna i responsabili al ripristino di un’area, situata nella contea di Wicklow, in cui erano stati abusivamente depositati rifiuti pericolosi provenienti da ospedali. Esso si richiama altresì ad una sentenza che sarebbe stata pronunciata dalla Naas District Court, che prevedeva tre condanne alla reclusione per detenzione abusiva di rifiuti.

113   Quanto ai casi concreti esposti nelle denunce inviate alla Commissione, il governo irlandese nega, nella parte in cui essi sono pertinenti ai fini del presente ricorso, che le autorità irlandesi abbiano dato prova di inerzia. Peraltro, la direttiva non vieterebbe lo svolgimento, nel corso del procedimento d’autorizzazione, di operazioni di recupero, che non implicano alcun danno significativo all’ambiente. Quanto alla lettera dell’EPA del 20 marzo 1998, essa avrebbe semplicemente richiamato lo stato della legislazione irlandese dell’epoca, laddove le attività di recupero dei rifiuti sarebbero state sottoposte ad autorizzazione solo in forza delle Waste Management (Licensing) (Amendment) Regulations 1998, entrate in vigore il 19 maggio 1998.

–       Giudizio della Corte

114   Si deve preliminarmente rilevare che, in Irlanda, i rifiuti urbani sono stati sottoposti ad un regime d’autorizzazione solamente con l’adozione della legge del 1996 e dei suoi regolamenti applicativi. Quanto ai rifiuti gestiti da operatori privati, talune affermazioni del governo irlandese rivelano che lo smaltimento degli stessi è stato sottoposto ad un tale regime dal 1980, mentre il loro recupero lo è stato solamente dal 1998.

115   Come emerge dai punti 22 e 23 di questa sentenza, il ricorso mira tuttavia a far rilevare che, alla data di scadenza del termine di due mesi impartito nel parere motivato del 2001, l’Irlanda non ottemperava agli obblighi derivanti dagli artt. 9 e 10 della direttiva, che impongono di garantire che tutte le operazioni di trattamento di rifiuti abbiano effettivamente luogo a seguito dell’ottenimento di un’autorizzazione.

116   A tal proposito si deve innanzitutto ricordare che, ai sensi dell’art. 249, terzo comma, CE, la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere. Orbene, nel caso di specie, gli artt. 9 e 10 della direttiva impongono agli Stati membri taluni obblighi di risultato espressi in modo chiaro e inequivoco, in forza dei quali le imprese o gli stabilimenti che svolgono operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti sul territorio di tali Stati devono essere provvisti di autorizzazione. Ne discende che uno Stato membro adempie gli obblighi che gli derivano da tali disposizioni solamente se, oltre a trasporre correttamente queste ultime nel diritto interno, provvede a far sì che gli operatori interessati dispongano dell’autorizzazione richiesta [v., per analogia, in merito ad autorizzazioni preliminari per l’esercizio di impianti di incenerimento di cui all’art. 2 della direttiva del Consiglio 8 giugno 1989, 89/369/CEE, concernente la prevenzione dell’inquinamento atmosferico provocato dai nuovi impianti di incenerimento dei rifiuti urbani (GU L 163, pag. 32), sentenza 11 luglio 2002, causa C‑139/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑6407, punto 27].

117   Come rilevato dall’avvocato generale ai punti 27-29 delle sue conclusioni, spetta pertanto agli Stati membri garantire che il regime d’autorizzazione posto in essere sia effettivamente applicato e rispettato, segnatamente effettuando controlli adeguati a tal fine e garantendo la cessazione delle operazioni svolte senza autorizzazione, nonché l’effettiva applicazione di sanzioni alle stesse.

118   Si deve inoltre rilevare che, come emerge dalla lettera stessa di tali disposizioni, i regimi d’autorizzazione di cui agli artt. 9 e 10 della direttiva sono destinati a consentire la corretta applicazione dell’art. 4 di quest’ultima, in particolare garantendo che le operazioni di smaltimento e di recupero effettuate a seguito dell’ottenimento di tali autorizzazioni rispondano ai diversi criteri previsti da quest’ultima disposizione. A tal fine, queste autorizzazioni devono contenere un certo numero di precisazioni e di condizioni, com’è espressamente previsto dall’art. 9 della direttiva per quanto concerne le operazioni di smaltimento. Ne discende che i meccanismi d’autorizzazione di cui ai citati artt. 9 e 10 della direttiva devono necessariamente presentare carattere preliminare rispetto a tutte le operazioni di smaltimento o di recupero (v., in tal senso, sentenza 14 giugno 2001, causa C‑230/00, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑4591, punto 16). Contrariamente a quanto sostenuto dal governo irlandese, la semplice presentazione di una domanda d’autorizzazione non può avere la conseguenza di rendere tali operazioni conformi ai requisiti delle disposizioni in esame.

119   A tal proposito, nell’ambito del presente ricorso non può essere accolto l’argomento del governo irlandese, secondo cui l’applicazione concreta di un regime d’autorizzazione introdotto da una legislazione nazionale richiederebbe un periodo transitorio nel corso del quale gli impianti esistenti devono poter rimanere in funzione.

120    Infatti, ai sensi dell’art. 13 della direttiva 75/442, gli Stati membri erano tenuti ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi alla stessa entro un termine di ventiquattro mesi decorrenti dalla sua notificazione. Si deve rilevare in proposito che gli artt. 9 e 10 della direttiva si sono sostituiti all’art. 8 della direttiva 75/442 e, in una prospettiva di continuità rispetto agli obblighi preesistenti, hanno rafforzato gli stessi, che già prevedevano un regime d’autorizzazione degli impianti di trattamento, stoccaggio e deposito di rifiuti (v., in tal senso, segnatamente, sentenza San Rocco, cit., punto 37).

121   Il governo irlandese era quindi tenuto ad avviare in tempo utile le procedure necessarie per trasporre nell’ordinamento giuridico nazionale, in un primo tempo, l’art. 8 della direttiva 75/442 e, in un secondo tempo, gli artt. 9 e 10 della direttiva, facendo sì che tali procedure fossero completate nei termini prescritti dalle direttive stesse e che fossero realizzati gli obblighi di risultato espressi in modo chiaro ed inequivoco da tali disposizioni, ossia che le operazioni in questione si svolgessero solo previo ottenimento delle autorizzazioni richieste. Poiché le misure di trasposizione adottate dall’Irlanda sono state tardive, esse non possono essere invocate per giustificare l’inadempimento (v., per analogia, sentenza 18 giugno 2002, causa C‑60/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑5679, punti 33, 37 e 39).

122   Fatte salve queste precisazioni preliminari, va rilevato che, quanto alle discariche municipali, emerge dal punto 108 di questa sentenza che lo stesso governo irlandese ha ammesso che, alla data di scadenza del termine impartito nel parere motivato del 2001, vi erano quattordici discariche operative che non disponevano di autorizzazione.

123   Il citato governo ammette inoltre che, allo scadere del termine citato, le autorità irlandesi osservavano la prassi sistematica di tollerare che gli impianti esistenti proseguissero le loro attività nel corso del periodo che va dalla data di presentazione della domanda d’autorizzazione a quella della decisione assunta a seguito dell’esame della domanda stessa. Come emerge dal punto 34 di questa sentenza, ciò è avvenuto, segnatamente, nel caso delle discariche di Tramore e di Kilbarry.

124   A tal proposito emerge inoltre dai documenti presentati alla Corte che, nella stessa epoca, l’adozione di una decisione di autorizzazione o di diniego relativamente a simili impianti esistenti richiedeva, in pratica, tempi nel complesso assai lunghi, al punto che lo stesso governo irlandese ha ammesso, nella sua lettera inviata alla Commissione il 30 novembre 2000, che si trattava di tempi preoccupanti.

125   Da un articolo intitolato «Waste Licensing 1997‑2002: Lessons from the Application process», pubblicato nel 2002 nell’Irish Planning and Environmental Law Journal, prodotto dal governo irlandese, si evince che la durata media della procedura d’esame delle domande d’autorizzazione era pari a 808 giorni. Dal punto 84 della presente sentenza risulta che il rilascio delle autorizzazioni relative alle discariche municipali di Tramore e di Kilbarry, la cui creazione risale tuttavia agli anni ’30 e ’70, è intervenuto solo a conclusione di procedure di durata rispettivamente pari a 36 e a 48 mesi, e ciò nonostante il fatto che le discariche in questione provocassero rilevanti danni all’ambiente e compromettessero aree di particolare interesse ecologico.

126   Secondo l’articolo citato, le cause principali di tale lentezza sono il numero assai elevato di domande concomitanti relative ad aree esistenti, spesso difficilmente raggiungibili e poco controllate, nonché un personale effettivo nettamente insufficiente nell’ambito dell’EPA. Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al punto 75 delle sue conclusioni, quando uno Stato membro è inadempiente da circa vent’anni al suo obbligo di raggiungere il risultato stabilito all’art. 9 della direttiva, esso è tenuto ad assumere ogni provvedimento necessario per rimediare il più rapidamente possibile all’inadempimento stesso.

127   Da quanto precede risulta che, alla data di scadenza del termine stabilito nel parere motivato del 2001, l’Irlanda non aveva ancora adempiuto il suo obbligo, cui era tenuta sin dal 1977, di garantire che tutte le discariche municipali fossero provviste dell’autorizzazione richiesta. Un simile inadempimento, che è il risultato complessivo di una trasposizione estremamente tardiva dell’art. 9 della direttiva, di un’astensione sistematica dal richiedere la cessazione di attività esistenti non autorizzate nel corso dello svolgimento del procedimento d’autorizzazione e di un’assenza di misure atte a garantire la rapida sottoposizione degli impianti al regime interno conclusivamente attuato, risultava essere, a tale data, di natura generalizzata e persistente.

128   Quanto alle discariche municipali abbandonate prima dello scadere dei termini previsti per la presentazione di una domanda di autorizzazione, ai sensi della legge del 1996 e dei suoi regolamenti applicativi, è sufficiente rilevare che la Commissione non ha sostenuto che tale legislazione abbia effettuato una trasposizione erronea della direttiva per il fatto che non era previsto che tali discariche dovessero essere soggette ad autorizzazione. Come emerge dal punto 22 della presente sentenza, la Commissione ha invece sottolineato, sia nel corso della fase precontenziosa del procedimento sia dinanzi alla Corte, che, fatta eccezione per l’art. 12 della direttiva, il suo ricorso mirava a denunciare non la mancata trasposizione di quest’ultima, bensì talune carenze nell’applicazione concreta delle disposizioni nazionali adottate ai fini della trasposizione stessa. In tali circostanze, la Commissione non può pretendere, nell’ambito del presente ricorso, di ottenere l’accertamento di un inadempimento del’Irlanda per il fatto che le sue autorità amministrative avrebbero omesso, nell’ambito dell’attuazione della legge del 1996 e dei suoi regolamenti applicativi che non prevedono una siffatta possibilità, di sottoporre simili discariche abbandonate al procedimento di autorizzazione previsto all’art. 9 della direttiva.

129   Quanto al trattamento di rifiuti da parte di operatori privati, la Corte rileva che, come emerge dai rilievi effettuati ai punti 60, 63, 68, 75, 89, 94 e 101 di questa sentenza, numerose autorità locali irlandesi hanno dato prova di tolleranza nei confronti di operazioni non autorizzate aventi ad oggetto rilevanti quantità di rifiuti in numerose aree del territorio, spesso nel corso di periodi assai lunghi, senza assumere provvedimenti adeguati per garantire la cessazione di siffatte operazioni nonché l’applicazione alle stesse di un’effettiva sanzione, e senza prevenirne la ripetizione.

130   Dai rilievi di cui sopra emerge altresì che tale atteggiamento perdurava alla data in cui è scaduto il termine impartito nel parere motivato del 2001.

131   Per un verso, come emerge dai punti 118 e 119 di questa sentenza, il fatto che sia stata eventualmente presentata una domanda di autorizzazione con riferimento ad un impianto esistente non consente assolutamente di ritenere, contrariamente alla prassi seguita dalle autorità irlandesi, che fossero soddisfatti i requisiti di cui agli artt. 9 o 10 della direttiva, né che nel corso del procedimento d’autorizzazione potesse essere tollerata la prosecuzione dell’attività in questione.

132   Per altro verso, come giustamente rilevato dalla Commissione, il fatto che in due situazioni specifiche, considerate ai punti 60 e 75 di questa sentenza, sia stata infine concessa un’autorizzazione prima dello scadere del termine impartito nel parere motivato del 2001, non incide né sul fatto che nel passato non è stata applicata alcuna sanzione con riferimento alle operazioni non autorizzate in questione, né sul rilievo secondo cui, all’epoca in esame, vi era in Irlanda una tendenza generalizzata, da parte delle autorità locali competenti, a tollerare situazioni di inosservanza delle disposizioni in esame.

133    Poiché, come rilevato dall’avvocato generale al punto 121 delle sue conclusioni, tale atteggiamento di tolleranza era rivelatore di un problema amministrativo di grande portata, esso presentava un livello sufficiente di generalità e di durata perché si potesse concludere nel senso di una prassi imputabile alle autorità irlandesi e consistente nel non garantire la corretta attuazione degli artt. 9 e 10 della direttiva.

134   Tale giudizio è corroborato, quantomeno, da vari documenti prodotti dalla Commissione. Emerge così, segnatamente, da uno studio analitico particolarmente elaborato, dal titolo «Strategic review & outlook for Waste Management capacity and the impact on the Irish Economy», del luglio 2002, che alla data di scadenza del termine impartito nel parere motivato del 2001 la rete irlandese degli impianti di smaltimento di rifiuti era prossima alla saturazione e che tale situazione era accompagnata dall’apparizione di un elevato numero di discariche e di depositi abusivi. Lo stesso rilievo è effettuato in un documento dal titolo «National Waste management strategy», sottoposto al governo irlandese nel gennaio 2002 da The Institution of the Engineers of Ireland, che sottolinea il fatto che centinaia, se non migliaia, di discariche abusive erano disseminate un po’ ovunque nel territorio irlandese.

135   Per quanto concerne, in particolare, la contea di Wicklow, taluni articoli di giornale apparsi tra l’8 dicembre 2001 e il 9 aprile 2002, nonché una relazione datata 7 settembre 2001, redatta dal consiglio di tale contea, attestano, segnatamente, che, all’epoca in cui è scaduto il termine impartito nel parere motivato in questione, nella contea era stato censito circa un centinaio di siti abusivi, tra cui taluni erano di dimensioni rilevanti e contenevano rifiuti pericolosi provenienti, segnatamente, da ospedali.

136   Poiché la Commissione ha in tal modo fornito elementi sufficienti a dimostrare che le autorità irlandesi hanno assunto un atteggiamento generale e persistente di tolleranza nei confronti di varie situazioni che integravano una violazione delle condizioni stabilite dagli artt. 9 e 10 della direttiva, senza garantire la cessazione delle medesime né l’effettiva applicazione di sanzioni alle stesse, spettava all’Irlanda, come emerge dai punti 42‑47 di questa sentenza, contestare in modo sostanziale e dettagliato gli elementi e le conseguenze che ne derivano.

137   È giocoforza rilevare che, nella fattispecie, l’Irlanda non ha adempiuto a tale onere, limitandosi a formulare osservazioni generali non altrimenti suffragate, quali quelle riferite ai punti 110‑112 della presente sentenza, e a produrre una decisione giudiziaria la quale, essendo posteriore alla data in cui è scaduto il termine impartito dal parere motivato del 2001, non può, quantomeno, essere rilevante al fine di valutare l’atteggiamento delle autorità irlandesi a tale data.

138   Peraltro, nella sua controreplica, depositata presso la cancelleria della Corte il 10 gennaio 2003, il governo irlandese ha esso stesso precisato di aver recentemente assunto varie iniziative per sostenere un approccio coerente dell’attuazione delle norme ambientali, implicanti, segnatamente, la concessione alle autorità locali di fondi destinati a consentire loro di vigilare sull’osservanza di tali norme, la soggezione di tali autorità ad un sistema di gestione dell’ambiente elaborato dall’EPA, un approccio maggiormente strutturato ed efficace in materia di ispezioni, l’elaborazione di un progetto di legge contenente disposizioni rafforzate in materia ambientale e l’attuazione di un ufficio specializzato a tal fine. Un articolo pubblicato il 14 agosto 2002 nell’Irish Times, prodotto dalla Commissione, riferisce, inoltre, che il Ministro irlandese dell’Ambiente ha precisato che la creazione di un ufficio di tal genere era una delle sue priorità, tenuto conto dell’evidente necessità di garantire un rispetto più rigoroso e sistematico della legislazione sui rifiuti.

139   Da quanto precede, nonché da quanto rilevato al punto 127 di questa sentenza con riferimento alle discariche municipali, risulta sufficientemente dimostrato che, alla data in cui è scaduto il termine di due mesi impartito nel parere motivato del 2001, l’Irlanda era inadempiente, in modo generale e persistente, al suo obbligo di garantire la corretta attuazione degli artt. 9 e 10 della direttiva, cosicché la censura della Commissione in tal senso deve essere accolta.

 Sulla violazione dell’art. 12 della direttiva

–       Argomenti delle parti

140   La Commissione sostiene che le Waste Management (Collection Permit) Regulations 2001 (in prosieguo: le «Regulations 2001»), ad essa notificate il 23 settembre 2001, effettuano una trasposizione tardiva ed insoddisfacente dell’art. 12 della direttiva. Infatti, le Regulations 2001 stabilirebbero la data ultima per la presentazione delle domande di autorizzazione al 30 novembre 2001. Fatta salva l’introduzione della domanda di autorizzazione prima di tale data, gli operatori interessati sarebbero inoltre autorizzati a proseguire le loro attività fino al termine del procedimento. Tale trasposizione tardiva avrebbe avuto la conseguenza di sottrarre le imprese che svolgono la raccolta ed il trasporto di rifiuti a qualsiasi requisito di autorizzazione o di registrazione, come sarebbe dimostrato, in particolare, dai fatti di cui alla denuncia 2000/4157.

141   Secondo il governo irlandese, le Regulations 2001 garantiscono una corretta trasposizione dell’art. 12 della direttiva e hanno posto fine all’inadempimento. Quanto alle misure transitorie denunciate dalla Commissione, tale governo afferma che l’introduzione di una domanda di autorizzazione equivale, quantomeno, a una registrazione ai sensi del citato art. 12. Tale nozione andrebbe infatti intesa come semplice notificazione formale alle autorità, senza necessità di soddisfare requisiti preliminari. Peraltro, il caso concreto richiamato dalla Commissione non significherebbe un ulteriore inadempimento dell’Irlanda ai suoi obblighi.

–       Giudizio della Corte

142   L’art. 12 della direttiva prevede, segnatamente, che gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale debbano essere iscritti presso le competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione.

143   Il governo irlandese non contesta l’affermazione della Commissione, secondo cui il regime di autorizzazione tardivamente posto in essere dalle Regulations 2001 prevede che, a partire dal 30 novembre 2001, la raccolta di rifiuti sia effettuata in conformità alle disposizioni contenute in un’autorizzazione rilasciata dall’autorità locale, e che ogni domanda di autorizzazione relativa ad attività esistenti sia presentata prima di tale data.

144   Ne discende che, alla data di scadenza del termine di due mesi stabilito nel parere motivato del 2001, le operazioni di raccolta di rifiuti non erano ancora obbligatoriamente soggette al requisito dell’ottenimento di un’autorizzazione. Peraltro, anche a supporre che tutti gli operatori interessati abbiano presentato una domanda di autorizzazione in applicazione delle Regulations 2001 prima di tale data – il che non è stato dimostrato dal governo irlandese – contrariamente a quanto affermato da quest’ultimo, la presentazione di una siffatta domanda non può essere considerata equivalente ad una registrazione ai sensi dell’art. 12 della direttiva e, di conseguenza, non può ritenersi conforme ai requisiti previsti da tale disposizione. Infatti, quest’ultima obbliga gli Stati membri ad effettuare una scelta tra un sistema di autorizzazione ovvero una procedura di registrazione, e l’Irlanda non ha optato per questa seconda soluzione.

145   Da quanto precede risulta che la censura della Commissione deve essere accolta nella parte in cui mira a far rilevare che l’Irlanda non ha trasposto correttamente l’art. 12 della direttiva.

 Sulla violazione dell’art. 5 della direttiva

–       Argomenti delle parti

146   La Commissione afferma che l’Irlanda non ha assunto le misure idonee per creare una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti, in quanto numerosi impianti funzionano senza autorizzazione, generando inoltre danni ambientali, come attestato, in particolare, dal caso delle discariche di Tramore e di Kilbarry di cui alla denuncia 1999/5008.

147   L’inadeguatezza della rete irlandese di smaltimento emergerebbe altresì dal fatto che quest’ultima avrebbe raggiunto la soglia della saturazione, il che avrebbe peraltro contribuito alla comparsa di discariche abusive di rifiuti su vasta scala.

148   Il governo irlandese nega qualsiasi violazione dell’art. 5 della direttiva. Per un verso, la Commissione non avrebbe dimostrato l’assenza di un sistema di autorizzazione conforme all’art. 9 di tale direttiva alla data di scadenza del termine impartito nel parere motivato del 2001. Per altro verso, interpretando il termine «adeguato» come riferito ad uno spazio disponibile sufficiente a rispondere alle necessità attuali di smaltimento di uno Stato membro, tale governo afferma che i vari documenti prodotti dalla Commissione per dimostrare un’asserita insufficienza della capacità di smaltimento in Irlanda non sarebbero persuasivi. La Commissione, in particolare, non avrebbe dimostrato l’impossibilità di smaltire taluni rifiuti a causa della capacità insufficiente delle discariche, mentre la circostanza che talune di queste siano prossime alla saturazione non avrebbe niente di anormale. Essa ometterebbe inoltre di tener conto di fattori quali la possibilità di ripartizione delle capacità di smaltimento tra le autorità locali o di estensione delle discariche esistenti, i progetti di apertura di nuove discariche in corso di esame ovvero lo sviluppo di infrastrutture per il recupero.

–       Giudizio della Corte

149   Tra gli obiettivi della direttiva vi è, ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della stessa, la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento, che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi e che consenta, inoltre, lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini (sentenza 1° aprile 2004, cause riunite C‑53/02 e C‑217/02, Commune de Braine‑le‑Château e a., Racc. pag. I‑3251, punto 33).

150   Ai sensi dell’art. 9, n. 1, primo comma, della direttiva, è «[a]i fini dell’applicazione degli articoli 4, 5 e 7» di quest’ultima che tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano operazioni di smaltimento debbono ottenere un’autorizzazione. Tale espressione significa che l’attuazione dell’art. 5 della direttiva si presume realizzata segnatamente con il rilascio di autorizzazioni individuali (v., in tal senso, citata sentenza Commune de Braine‑le‑Château e a., punti 40, 41 e 43).

151   Orbene, come emerge dal punto 139 di questa sentenza, alla data in cui è scaduto il termine di due mesi impartito nel parere motivato del 2001, l’Irlanda era inadempiente, in modo generale e persistente, al suo obbligo di garantire l’attuazione corretta dell’art. 9 della direttiva, tollerando il funzionamento non autorizzato di un gran numero di impianti di smaltimento di rifiuti.

152   Come giustamente sostenuto dalla Commissione, questa circostanza permette di concludere che, a tale data, l’Irlanda non ottemperava agli obblighi previsti dall’art. 5 della direttiva.

153   Infatti, come emerge dai punti 118, 149 e 150 della presente sentenza, il regime d’autorizzazione previsto dall’art. 9 della direttiva è inteso a garantire che le operazioni di smaltimento dei rifiuti corrispondano ai diversi obiettivi perseguiti da quest’ultima. Come emerge dalla lettera stessa di tale disposizione, le autorizzazioni devono a tal fine contenere un certo numero di requisiti riguardanti, segnatamente, i tipi ed i quantitativi di rifiuti, i requisiti tecnici, le precauzioni da prendere in materia di sicurezza, il luogo di smaltimento e il metodo di trattamento.

154   Combinate ai piani di gestione di cui all’art. 7 della direttiva, le disposizioni che devono essere contenute nelle autorizzazioni individuali rappresentano quindi, manifestamente, una condizione indispensabile per la creazione, ai sensi dell’art. 5 della stessa direttiva, di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento che tenga conto, come previsto da quest’ultima disposizione, delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi, nonché del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti, permettendo lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie all’utilizzazione dei metodi e delle tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica

155   Peraltro, dai documenti prodotti dalla Commissione, in particolare dalla relazione richiamata al punto 92 delle conclusioni dell’avvocato generale, nonché dallo studio datato luglio 2002 e citato al punto 134 di questa sentenza, emerge che alla data di scadenza del termine impartito nel parere motivato del 2001 la rete irlandese degli impianti di smaltimento considerata nel suo complesso era prossima alla saturazione e non era sufficiente ad assorbire i rifiuti prodotti in tale Stato membro. Risulta inoltre dai documenti citati che tale situazione era accompagnata dalla comparsa di un elevato numero di discariche e di depositi abusivi in tutto il paese.

156   È giocoforza rilevare che le informazioni precise e circostanziate contenute in questi vari documenti non sono state contestate in modo sostanziale e dettagliato dall’Irlanda, la quale si è limitata a mettere in dubbio, in termini assai generali, la loro valenza probatoria, senza rispondere quindi ai requisiti indicati ai punti 42-47 di questa sentenza.

157   Di conseguenza, si deve rilevare che, alla data di scadenza del termine stabilito nel parere motivato del 2001, l’Irlanda non aveva assunto le misure appropriate ai fini della creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento che, come emerge dall’art. 5 della direttiva, deve consentire alla Comunità nel suo insieme di garantire lo smaltimento dei suoi rifiuti e agli Stati membri di mirare individualmente al conseguimento di tale obiettivo.

158   Risulta da quanto precede che dev’essere accolta la censura della Commissione basata sulla violazione dell’art. 5 della direttiva.

 Sulla violazione dell’art. 4 della direttiva

–       Argomenti delle parti

159   La Commissione afferma che l’assenza prolungata di un regime di autorizzazione operativo e conforme agli artt. 9 e 10 della direttiva è sufficiente, di per sé stessa, a dimostrare che l’Irlanda non ha adottato le misure necessarie per assicurare che i rifiuti fossero ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero arrecare pregiudizio all’ambiente, come era tenuta a fare ai sensi dell’art. 4, primo comma, della direttiva.

160   Poiché quest’ultima disposizione va interpretata alla luce dei principi di precauzione e di prevenzione, la sua violazione non richiederebbe l’esistenza di un danno effettivo. Nella fattispecie, come risulterebbe, in particolare, dall’istruttoria svolta con riferimento alle denunce 1997/4705, 1997/4792, 1999/4801, 1999/5008, 2000/4408, 2000/4145 e 2000/4633, le operazioni illecite denunciate da queste ultime avrebbero effettivamente cagionato numerosi casi di deterioramento di aree che presentano un particolare interesse, nonché concreti danni all’ambiente, senza che l’Irlanda abbia assunto le misure necessarie per porvi rimedio, segnatamente vigilando sul risanamento delle aree nonché sullo smaltimento o sul recupero, in forma adeguata, dei rifiuti abusivamente depositati sulle aree stesse.

161   Il governo irlandese non avrebbe neppure ottemperato al suo obbligo di vietare lo scarico o lo smaltimento incontrollato dei rifiuti, ai sensi dell’art. 4, secondo comma, della direttiva.

162   Quanto al primo comma del citato art. 4, il governo irlandese ritiene che la Commissione non abbia dimostrato né l’assenza di un sistema di autorizzazioni conforme all’art. 9 della direttiva alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato del 2001, né l’esistenza di concrete ripercussioni ambientali imputabili alle autorità irlandesi. Peraltro, la direttiva non vieterebbe di autorizzare un’attività di discarica di rifiuti in aree ecologicamente sensibili.

163   La Commissione non avrebbe neppure dimostrato che le autorità irlandesi si sono astenute dal disciplinare i problemi persistenti generati da precedenti attività. Sarebbero state previste misure appropriate nell’ambito delle autorizzazioni concesse con riferimento ad aree esistenti, quali quelle di Kilbarry e di Tramore, nonché quella di Drumnaboden, considerate, rispettivamente, nelle denunce 1999/5008 e 2000/4408, mentre l’individuazione e la valutazione delle discariche chiuse prima di essere sottoposte ad autorizzazione sarebbe prevista dall’art. 22, n. 7, lett. h), della legge del 1996, cosicché potrebbero intervenire eventuali provvedimenti di riassetto, tenendo conto del rapporto costo-efficacia.

164   La Commissione non avrebbe neppure dato prova di una violazione dell’art. 4, secondo comma, della direttiva alla data di scadenza del termine impartito nel citato parere motivato.

–       Giudizio della Corte

165   Si deve rilevare che l’obbligo di smaltire i rifiuti senza pericoli per la salute umana né danni per l’ambiente fa parte degli obiettivi stessi della politica della Comunità nel settore ambientale, e che l’art. 4 della direttiva mira ad attuare il principio dell’azione preventiva di cui all’art. 174, n. 2, primo comma, seconda frase, CE, in forza del quale spetta alla Comunità e agli Stati membri prevenire, ridurre e, nei limiti del possibile, eliminare sin dall’origine le fonti di inquinamento o di inconvenienti mediante l’adozione di provvedimenti atti a sradicare i rischi noti (v. sentenze 5 ottobre 1999, cause riunite C‑175/98 e C‑177/98, Lirussi e Bizzaro, Racc. pag. I‑6881, punto 51, e 4 luglio 2000, causa C‑387/97, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑5047, punto 94).

166   Per un verso, il citato art. 4 enuncia gli obiettivi che gli Stati membri devono rispettare nell’adempimento degli obblighi più specifici loro imposti da altre disposizioni della direttiva (v., in tal senso, sentenza 23 febbraio 1994, causa C‑236/92, Comitato di coordinamento per la difesa della cava e a., Racc. pag. I‑483, punto 12).

167   A tal proposito emerge dalla lettera stessa degli artt. 9, n. 1, primo comma, e 10 della direttiva che è segnatamente «[a]i fini dell’applicazione» dell’art. 4 di quest’ultima che tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti debbono ottenere un’autorizzazione. Come ricordato al punto 150 della presente sentenza, tale espressione significa che l’attuazione del citato art. 4 si presume realizzata segnatamente con il rilascio di autorizzazioni individuali (v. citata sentenza Commune de Braine‑le‑Château e a., punti 41 e 43).

168   Per altro verso, anche se l’art. 4, primo comma, della direttiva non precisa il contenuto concreto delle misure che devono essere adottate per assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza arrecare pregiudizio all’ambiente, ciò non toglie che tale disposizione, che prevede obblighi autonomi rispetto a quelli derivanti da altre disposizioni della direttiva, vincola gli Stati membri circa l’obiettivo da raggiungere, pur lasciando agli stessi un potere discrezionale nella valutazione della necessità di tali misure (citate sentenze San Rocco, punto 67, e 4 luglio 2000, Commissione/Grecia, punti 55 e 58).

169   Se non è quindi possibile in via di principio dedurre direttamente dalla mancata conformità di una situazione di fatto agli obiettivi fissati all’art. 4, primo comma, della direttiva che lo Stato membro interessato sia necessariamente venuto meno agli obblighi imposti da questa disposizione, cioè adottare le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza arrecare pregiudizio all’ambiente, è tuttavia pacifico che la persistenza di una tale situazione di fatto, in particolare quando comporta un degrado rilevante dell’ambiente per un periodo prolungato senza intervento delle autorità competenti, può rivelare che gli Stati membri hanno oltrepassato il potere discrezionale che questa disposizione conferisce loro (sentenza San Rocco, cit., punti 67 e 68).

170   Nella fattispecie, come risulta dal punto 139 di questa sentenza, è dimostrato che, alla data di scadenza del termine di due mesi stabilito nel parere motivato del 2001, l’Irlanda si è resa inadempiente, in modo generale e persistente, rispetto al suo obbligo di garantire la corretta attuazione degli artt. 9 e 10 della direttiva.

171   Come rilevato dall’avvocato generale al punto 98 delle sue conclusioni, tale circostanza è sufficiente a dimostrare che l’Irlanda si è resa inadempiente, anche in questo caso in modo generale e persistente, agli obblighi derivanti dall’art. 4 della direttiva, disposizione questa strettamente collegata agli artt. 9 e 10 della stessa.

172   Infatti, per un verso, come ricordato ai punti 118 e 167 di questa sentenza, il regime di autorizzazione di cui agli artt. 9 e 10 della direttiva è destinato a garantire che le operazioni di smaltimento e di recupero di rifiuti, condotte previo ottenimento di siffatte autorizzazioni, rispondano agli obiettivi enunciati dall’art. 4, primo comma, di quest’ultima. A tal fine le citate autorizzazioni devono necessariamente contenere un certo numero di requisiti espressamente previsti dall’art. 9 della direttiva, che contempla segnatamente, a tal proposito, i tipi ed i quantitativi di rifiuti, i requisiti tecnici, le precauzioni da prendere in materia di sicurezza, il luogo di smaltimento e il metodo di trattamento. Ne discende che il controllo esercitato in occasione di tali domande di autorizzazione, nonché le prescrizioni, le condizioni e gli obblighi contenuti nelle dette autorizzazioni rappresentano altrettanti strumenti per il perseguimento degli obiettivi enunciati al citato primo comma.

173   Per altro verso, emerge dall’art. 4, secondo comma, della direttiva che gli Stati membri sono tenuti, in particolare, a vietare lo smaltimento incontrollato dei rifiuti.

174   Nella fattispecie, l’inadempimento di carattere generale e persistente agli obblighi derivanti dall’art. 4 della direttiva, che è stato quindi dimostrato sulla base della violazione dei requisiti di cui agli artt. 9 e 10 di quest’ultima, è accompagnato inoltre, in talune situazioni concrete denunciate dalla Commissione, da un inadempimento all’obbligo più specifico richiamato ai punti 168 e 169 della presente sentenza.

175   Emerge infatti dai punti 54, 55, 84, 94 e 101 di questa sentenza che, alla data di scadenza del termine stabilito nel parere motivato del 2001, l’Irlanda, trovandosi di fronte a situazioni concrete stabilmente difformi dagli obiettivi di cui all’art. 4, primo comma, della direttiva, le quali hanno cagionato un significativo degrado dell’ambiente, si era astenuta dall’assumere i provvedimenti necessari per garantire che i rifiuti in questione fossero smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza arrecare pregiudizio all’ambiente, di modo che tale Stato membro ha oltrepassato il margine di discrezionalità conferitogli da tale disposizione.

176   Da quanto precede emerge che la censura della Commissione basata sulla violazione dell’art. 4 della direttiva è fondata.

 Sulla violazione dell’art. 8 della direttiva

–       Argomenti delle parti

177   Secondo la Commissione, l’Irlanda ha del pari violato l’art. 8 della direttiva, non avendo controllato che i detentori di rifiuti smaltiti senza autorizzazione li consegnassero ad un raccoglitore privato o pubblico ovvero ad un’impresa autorizzata a svolgere operazioni di smaltimento o di recupero, ovvero che garantissero essi stessi un tale smaltimento o recupero, dopo aver ottenuto un’autorizzazione conforme ai requisiti indicati dalla direttiva. Esempi concreti di violazione di tale disposizione emergerebbero, in particolare, dall’esame dei fatti che sono oggetto delle denunce 1997/4792, 1999/4801, 1999/5112, 2000/4145 e 2000/4633.

178   Il governo irlandese afferma che la Commissione non ha dimostrato la sussistenza dell’asserito inadempimento.

–       Giudizio della Corte

179   L’art. 8 della direttiva, che garantisce segnatamente l’attuazione del principio dell’azione preventiva, prevede che gli Stati membri siano tenuti ad accertare che il detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un’impresa che effettua le operazioni di smaltimento e di recupero oppure che il detentore di rifiuti provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni della direttiva (sentenza Lirussi e Bizzaro, cit., punto 52).

180   Va rilevato, in primo luogo, che tali obblighi sono il corollario del divieto di abbandono, scarico e smaltimento incontrollato dei rifiuti dettato dall’art. 4, secondo comma, della direttiva, disposizione la cui violazione da parte dell’Irlanda è già stata rilevata al punto 176 della presente sentenza (v. sentenza 7 settembre 2004, causa C‑1/03, Van de Walle e a., Racc. pag. I‑7613, punto 56).

181   In secondo luogo, il gestore o il proprietario di una discarica abusiva dev’essere considerato detentore dei rifiuti ai sensi dell’art. 8 della direttiva, cosicché tale disposizione impone allo Stato membro interessato l’obbligo di adottare nei confronti di questo gestore le misure necessarie affinché questi rifiuti siano consegnati ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un’impresa di smaltimento, salvo che tale gestore provveda egli stesso al loro recupero o smaltimento (v., segnatamente, sentenze San Rocco, cit., punto 108; 9 settembre 2004, causa C‑383/02, Commissione/Italia, non pubblicata nella Raccolta, punti 40, 42 e 44, nonché 25 novembre 2004, causa C‑447/03, Commissione/Italia, non pubblicata nella Raccolta, punti 27, 28 e 30).

182   La Corte ha peraltro stabilito che tale obbligo non è soddisfatto quando lo Stato membro si limiti ad ordinare il sequestro della discarica abusiva e ad avviare un procedimento penale contro il gestore di tale discarica (sentenza San Rocco, cit., punto 109).

183   Nella fattispecie, è giocoforza rilevare che, come giustamente sottolineato dalla Commissione, alla data di scadenza del termine stabilito nel parere motivato del 2001 l’Irlanda non aveva ottemperato al suo obbligo di garantire l’attuazione corretta dell’art. 8 della direttiva.

184   Infatti, come emerge dai punti 127 e 139 di questa sentenza, risulta dimostrato che, a tale data, l’Irlanda era inadempiente in modo generale e persistente al suo obbligo di garantire la corretta attuazione dell’art. 9 della direttiva, tollerando la prosecuzione di attività di smaltimento di rifiuti da parte di imprese o stabilimenti privi dell’autorizzazione prevista dalla disposizione citata, senza garantire la cessazione e l’effettiva sottoposizione a sanzioni delle attività in oggetto.

185   Dal rilievo di cui al punto precedente può quindi dedursi che l’Irlanda non ha garantito che i detentori di rifiuti si conformassero all’obbligo ad essi incombente di consegnare gli stessi ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni previste nell’allegato II A o II B della direttiva, oppure provvedessero essi stessi al ricupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni della direttiva medesima.

186   Inoltre, dai rilievi effettuati ai punti 60, 89, 94 e 101 della presente sentenza emerge che, alla data di scadenza del termine stabilito nel parere motivato del 2001, l’Irlanda si era astenuta, nei vari casi concreti in questione, dall’ottemperare all’obbligo richiamato al punto 181 di questa sentenza.

187   La censura della Commissione basata sulla violazione dell’art. 8 della direttiva deve pertanto essere accolto.

 Sulla violazione degli artt. 13 e 14 della direttiva

–       Argomenti delle parti

188   Secondo la Commissione, l’inosservanza degli artt. 9 e 10 della direttiva implica inevitabilmente una violazione dell’art. 13 della stessa, il quale prevede che gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni previste agli artt. 9 e 10 siano sottoposti a controlli periodici, e dell’art. 14 della stessa, relativo alla tenuta dei registri da parte dei detti operatori.

189   L’Irlanda afferma di non aver violato gli artt. 9 e 10 della direttiva. Essa nega inoltre di essere venuta meno all’obbligo di attuare controlli periodici. L’art. 15 della legge del 1996 trasporrebbe correttamente l’art. 13 della direttiva e nulla, in quest’ultima disposizione, indicherebbe che i controlli richiesti possono essere effettuati solamente nei confronti di operatori titolari di un’autorizzazione. Secondo l’Irlanda, non vi sarebbe neppure alcun collegamento automatico tra la concessione di un’autorizzazione e la tenuta del registro richiesto dall’art. 14 della direttiva.

–       Giudizio della Corte

190   Ai sensi dell’art. 13 della direttiva, gli adeguati controlli periodici richiesti da tale disposizione devono avere ad oggetto, segnatamente, gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni previste agli artt. 9 e 10 della direttiva stessa. Peraltro, come emerge in particolare dal punto 118 di questa sentenza, tali stabilimenti o imprese devono ottenere, ai sensi di queste due ultime disposizioni, una previa autorizzazione individuale contenente un certo numero di prescrizioni e condizioni.

191   Orbene, è giocoforza rilevare che, in mancanza di siffatte autorizzazioni e, di conseguenza, in mancanza di prescrizioni e di condizioni stabilite da queste ultime con riferimento ad un’impresa o ad uno stabilimento determinato, i controlli eventualmente effettuati presso questi ultimi non possono, in ipotesi, rispondere alle esigenze di cui all’art. 13 della direttiva. Infatti, uno degli scopi essenziali dei controlli previsti da tale disposizione è, evidentemente, quello di verificare l’osservanza delle prescrizioni e delle condizioni stabilite nell’autorizzazione rilasciata ai sensi degli artt. 9 e 10 della direttiva.

192   Lo stesso vale con riferimento alla tenuta dei registri da parte degli stabilimenti o delle imprese considerate da queste ultime disposizioni, che, come precisato dall’art. 14 della direttiva, devono indicare in particolare la quantità e la natura dei rifiuti, o anche la modalità di trattamento degli stessi. Infatti, indicazioni di tal genere sono intese, segnatamente, a consentire alle autorità di controllo di verificare l’osservanza delle prescrizioni e delle condizioni stabilite all’interno delle autorizzazioni rilasciate in conformità alla direttiva, le quali, ai sensi dell’art. 9 di quest’ultima, devono avere ad oggetto in particolare i tipi e i quantitativi di rifiuti, nonché il metodo di trattamento.

193   Nella fattispecie, dal punto 139 di questa sentenza emerge che, alla data di scadenza del termine di due mesi stabilito nel parere motivato del 2001, l’Irlanda era inadempiente, in modo generale e persistente, al suo obbligo di garantire la corretta attuazione degli artt. 9 e 10 della direttiva. Ne discende che questo Stato membro era inadempiente, in modo corrispondente, al suo obbligo di garantire la corretta attuazione degli artt. 13 e 14 della stessa.

194   Risulta da quanto precede che la censura della Commissione basata sulla violazione di tali ultime disposizioni è fondata.

 Sulla violazione dell’art. 10 CE

195   La Commissione chiede inoltre alla Corte di dichiarare che l’Irlanda è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell’art. 10 CE, non avendo risposto alla sua lettera 20 settembre 1999 intesa ad ottenere osservazioni in merito alla denuncia 1999/4478.

196   Il governo irlandese non nega di essere stato inadempiente agli obblighi che gli derivano dalla citata disposizione.

197   Occorre rilevare in proposito che, ai sensi dell’ art. 10 CE, gli Stati membri sono tenuti a facilitare alla Commissione lo svolgimento del suo compito, che consiste in particolare, a norma dell’art. 211 CE, nel vigilare sull’applicazione delle disposizioni adottate dalle istituzioni in forza del Trattato (v., segnatamente, sentenza 13 dicembre 1991, causa C‑33/90, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑5987, punto 18).

198   Ne discende che gli Stati membri hanno l’obbligo di cooperare lealmente ad ogni indagine svolta dalla Commissione ex art. 226 CE e di fornirle tutte le informazioni che essa loro richieda all’uopo (sentenze 11 dicembre 1985, causa 192/84, Commissione/Grecia, Racc. pag. 3967, punto 19, e 13 luglio 2004, causa C‑82/03, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑6635, punto 15).

199   Di conseguenza, la censura della Commissione basata su una violazione dell’art. 10 CE deve essere accolta.

200   Alla luce di quanto sopra, si deve dichiarare che:

–       non avendo adottato tutte le misure necessarie a garantire la corretta attuazione degli artt. 4, 5, 8, 9, 10, 12, 13 e 14 della direttiva, l’Irlanda non ha ottemperato agli obblighi che le incombono ai sensi delle disposizioni citate;

–       non avendo risposto a una richiesta d’informazioni, datata 20 settembre 1999, relativa ad operazioni aventi ad oggetto rifiuti, svoltesi a Fermoy, nella contea di Cork, l’Irlanda non ha ottemperato agli obblighi che le incombono ai sensi dell’art. 10 CE.

 Sulle spese

201    Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, l’Irlanda, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Non avendo adottato tutte le misure necessarie a garantire la corretta attuazione delle disposizioni degli artt. 4, 5, 8, 9, 10, 12, 13 e 14 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, l’Irlanda è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi delle disposizioni citate.

2)      Non avendo risposto a una richiesta d’informazioni, datata 20 settembre 1999, relativa ad operazioni aventi ad oggetto rifiuti, svoltesi a Fermoy, nella contea di Cork, l’Irlanda è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell’art. 10 CE.

3)      L’Irlanda è condannata alle spese.

Firme


* Lingua processuale: l'inglese.

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