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Document 62001CC0201

    Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 3 ottobre 2002.
    Maria Walcher contro Bundesamt für Soziales und Behindertenwesen Steiermark.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberster Gerichtshof - Austria.
    Tutela dei lavoratori - Insolvenza del datore di lavoro - Ambito d'applicazione della direttiva del Consiglio 80/987/CEE - Giurisprudenza nazionale in merito ai prestiti dei soci configurabili come conferimenti di capitale - Decadenza totale dai diritti.
    Causa C-201/01.

    Raccolta della Giurisprudenza 2003 I-08827

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2002:564

    62001C0201

    Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 3 ottobre 2002. - Maria Walcher contro Bundesamt für Soziales und Behindertenwesen Steiermark. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberster Gerichtshof - Austria. - Tutela dei lavoratori - Insolvenza del datore di lavoro - Ambito d'applicazione della direttiva del Consiglio 80/987/CEE - Giurisprudenza nazionale in merito ai prestiti dei soci configurabili come conferimenti di capitale - Decadenza totale dai diritti. - Causa C-201/01.

    raccolta della giurisprudenza 2003 pagina I-08827


    Conclusioni dell avvocato generale


    1. Nell'ambito dell'attuazione della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (in prosieguo: la «direttiva»), l'Oberster Gerichtshof (Austria) sottopone alla Corte una serie di questioni che riguardano la possibilità per gli Stati membri di adottare misure al fine di impedire abusi.

    2. Il problema è, in sostanza, quello di stabilire se l'autorità competente di uno Stato membro possa rifiutare di accordare al lavoratore di un'impresa in stato di fallimento le sue retribuzioni arretrate, qualora quest'ultimo detenga il 25% per cento del capitale dell'impresa e si sia astenuto dall'esigere dette retribuzioni per oltre sessanta giorni dal momento in cui è divenuto consapevole del venir meno del credito dell'impresa.

    3. Ai sensi dell'art. 1 della direttiva:

    «1. La presente direttiva si applica ai diritti dei lavoratori subordinati derivanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro ed esistenti nei confronti dei datori di lavoro che si trovano in stato di insolvenza ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1.

    2. Gli Stati membri possono, in via eccezionale, escludere dal campo di applicazione della presente direttiva i diritti di alcune categorie di lavoratori subordinati, in funzione della natura particolare del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro dei lavoratori subordinati o in funzione dell'esistenza di altre forme di garanzia che assicurano ai lavoratori subordinati una tutela equivalente a quella che risulta dalla presente direttiva.

    L'elenco delle categorie di lavoratori subordinati di cui al primo comma è riportato nell'allegato.

    (...)».

    4. All'atto della sua adesione all'Unione europea, la Repubblica d'Austria è ricorsa alla facoltà di escludere dal campo d'applicazione della direttiva talune categorie di lavoratori, nella fattispecie i membri di un organo di una persona giuridica incaricati della sua rappresentanza legale e i soci aventi titolo ad esercitare un' influenza dominante sulla società, anche nel caso in cui tale influenza sia dovuta a disposizione fiduciaria .

    5. In forza dell'art. 2 della direttiva:

    «1. Ai sensi della presente direttiva, un datore di lavoro si considera in stato di insolvenza:

    a) quando è stata chiesta l'apertura di un procedimento, previsto dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative dello Stato membro interessato, che riguarda il patrimonio del datore di lavoro ed è volto a soddisfare collettivamente i creditori di quest'ultimo e che permette di prendere in considerazione i diritti di cui all'articolo 1, paragrafo 1, e

    b) quando l'autorità competente in virtù di dette disposizioni legislative, regolamentari e amministrative

    - ha deciso l'apertura del procedimento,

    - o ha constatato la chiusura definitiva dell'impresa o dello stabilimento del datore di lavoro, e l'insufficienza dell'attivo disponibile per giustificare l'apertura del procedimento.

    2. La presente direttiva non pregiudica il diritto nazionale per quanto riguarda la definizione dei termini "lavoratore subordinato", "datore di lavoro", "retribuzione", "diritto maturato" e "diritto in corso di maturazione"».

    6. Ai sensi dell'art. 3 della direttiva:

    «1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché gli organismi di garanzia assicurino, fatto salvo l'articolo 4, il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati, risultanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro e relativi alla retribuzione del periodo situato prima di una data determinata.

    2. La data di cui al paragrafo 1 è, a scelta degli Stati membri:

    - o quella dell'insorgere dell'insolvenza del datore di lavoro;

    - o quella del preavviso di licenziamento del lavoratore subordinato interessato, comunicato a causa dell'insolvenza del datore di lavoro;

    - o quella dell'insorgere dell'insolvenza del datore di lavoro o quella della cessazione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro del lavoratore subordinato interessato, avvenuta a causa dell'insolvenza del datore di lavoro».

    7. L'art. 4 della direttiva, relativamente alla portata dell'obbligo di pagamento degli organismi di garanzia, così dispone:

    «1. Gli Stati membri hanno la facoltà di limitare l'obbligo di pagamento degli organismi di garanzia, di cui all'articolo 3.

    2. Quando si avvalgono della facoltà di cui al paragrafo 1, gli Stati membri devono:

    - nel caso di cui all'articolo 3, paragrafo 2, primo trattino, assicurare il pagamento dei diritti non pagati relativi alla retribuzione degli ultimi tre mesi del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro nell'ambito di un periodo di sei mesi precedenti la data dell'insorgere dell'insolvenza del datore di lavoro;

    - nel caso di cui all'articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, assicurare il pagamento dei diritti non pagati relativi alla retribuzione degli ultimi tre mesi del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro precedenti la data del preavviso di licenziamento del lavoratore subordinato, comunicato a causa dell'insolvenza del datore di lavoro;

    (...)

    3. Tuttavia per evitare di versare delle somme che vanno oltre il fine sociale della presente direttiva, gli Stati membri possono fissare un massimale per la garanzia di pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati.

    Quando si avvalgono di tale facoltà, gli Stati membri comunicano alla Commissione i metodi con cui fissano il massimale».

    8. Ai sensi delle proprie disposizioni generali e finali, la direttiva precisa, all'art. 10, quanto segue:

    «La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri:

    a) di adottare le misure necessarie per evitare abusi;

    b) di rifiutare o di ridurre l'obbligo di pagamento di cui all'articolo 3 o l'obbligo di garanzia di cui all'articolo 7 qualora risulti che l'esecuzione dell'obbligo non si giustifica a causa dell'esistenza di legami particolari tra il lavoratore subordinato e il datore di lavoro e di interessi comuni che si traducono in una collusione tra il lavoratore e il datore di lavoro».

    9. Il recepimento della direttiva nel diritto austriaco è assicurato dall'Insolvenz-Entgeltsicherungsgesetz del 1977 (legge sulla garanzia dei salari in caso d'insolvenza, in prosieguo: l'«IESG»).

    10. L'art. 1 di detta legge così stabilisce:

    «1. Hanno diritto alla indennità compensatrice per i diritti garantiti ai sensi del comma 2 i lavoratori, i domestici e i loro superstiti nonché i loro successori per causa di morte (legittimati) qualora venga aperta nello Stato una procedura fallimentare sul patrimonio del datore di lavoro (committente), anche nel caso in cui il rapporto di lavoro (locazione d'opera) sia cessato. Sono assimilati all'apertura di una procedura fallimentare:

    (...)

    2. Sono garantiti i diritti esistenti, non prescritti e non esclusi (n.3), nascenti dal rapporto di lavoro, anche se dati in garanzia o pignorati o trasferiti; si tratta in particolare

    1) dei diritti retributivi, con particolare riferimento alla retribuzione periodica, e dei diritti relativi alla cessazione del contratto di lavoro,

    2) dei diritti al risarcimento dei danni,

    3) di altri diritti nei confronti del datore di lavoro, e

    4) delle spese necessarie per le opportune azioni giudiziarie.

    (...)

    6. Sono esclusi dall'indennità a titolo di compensazione

    (...)

    2) I membri dell'organo di una persona giuridica che ne esercita la rappresentanza legale;

    3) il personale dirigente, eccettuati i soggetti di cui al punto 2, che esercita in forma continuativa un'influenza dominante sulla gestione della società;

    4) i soci che esercitino un'influenza dominante sulla società, anche nel caso in cui tale posizione riposa esclusivamente o parzialmente sulla disponibilità fiduciaria di quote sociali di terzi o viene esercitata per trasmissione fiduciaria di quote sociali».

    11. La controversia tra la sig.ra Walcher (in prosieguo: la «ricorrente») e il Bundesamt für Soziales und Behindertenwesen Steiermark (in prosieguo: il «convenuto») è sorta in relazione all'applicazione dell'IESG. La ricorrente ha lavorato come impiegata dal 2 giugno 1997 al 5 maggio 1999 presso una GmbH (società a responsabilità limitata, in prosieguo: la «società»), il cui amministratore era suo marito e della quale ciascuno dei due coniugi deteneva il 25% del capitale.

    12. Nell'ambito della società, nella quale lavoravano una trentina di lavoratori, compresi gli apprendisti, la ricorrente si occupava della tenuta della contabilità e del recupero dei crediti, senza tuttavia partecipare alle decisioni della direzione dell'azienda. La maggior parte delle decisioni era adottata dall'assemblea generale della società a maggioranza semplice, mentre le rimanenti decisioni richiedevano una maggioranza di tre quarti dei voti espressi.

    13. Nella primavera del 1998, la società, avendo utilizzato appieno la linea di credito di 3 milioni di ATS, aperta dal proprio istituto bancario, si è trovata a fronteggiare difficoltà di liquidità. Tali difficoltà sono state provvisoriamente poste sotto controllo solo grazie alla costituzione di un'ipoteca, a garanzia di un credito supplementare di un milione di ATS, sulla casa di abitazione in comproprietà della ricorrente e del marito.

    14. La tregua è stata tuttavia solo di breve durata, giacché a partire dal mese di settembre 1998 la società non è stata più in grado di assicurare il pagamento degli stipendi.

    15. Nel successivo mese di novembre, la situazione della società risultava essere compromessa a tal punto che il fallimento appariva inevitabile.

    16. La società è stata messa in liquidazione giudiziaria il 10 febbraio 1999 e la ricorrente, che come la maggior parte del personale non aveva lasciato il posto di lavoro nonostante il mancato pagamento del proprio stipendio, è stata licenziata per disposizione del curatore fallimentare.

    17. La sig.ra Walcher ha stimato in ATS 114 197 l'ammontare del proprio credito da lavoro nei confronti della società, e ha insinuato il medesimo entro i termini dovuti nella procedura fallimentare.

    18. Contemporaneamente, la ricorrente chiedeva al convenuto il pagamento di detta somma sulla base del meccanismo di garanzia di cui essa riteneva di aver diritto a beneficiare.

    19. Tale domanda veniva respinta con la motivazione che, secondo la giurisprudenza austriaca, i crediti da lavoro per i quali i soci di minoranza si astengono dal richiedere il pagamento per più di sessanta giorni devono essere qualificati come prestiti di soci, configurabili come conferimenti di capitale, e che il fondo di garanzia delle retribuzioni non può essere indebitamente gravato in conseguenza dal mancato reclamo nei confronti del datore di lavoro dei crediti da lavoro non pagati. La sig.ra Walcher ha dovuto così esperire un'azione contro l'organismo di garanzia.

    20. La ricorrente ha ottenuto dal giudice di primo grado parziale soddisfazione, poiché il convenuto è stato condannato ad accordare la garanzia relativa alle retribuzioni per il solo periodo antecedente il 30 ottobre 1998.

    21. Il giudice ha infatti rilevato che la ricorrente avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni al più tardi a detta data, giacché a quell'epoca essa era in grado di rendersi conto che, vista la situazione finanziaria dell'impresa, non le sarebbe state pagata alcuna retribuzione per il mese di settembre e per quello di ottobre.

    22. Nella valutazione dei fatti ad opera del giudice il comportamento della ricorrente viene ritenuto contrario al buon costume, giacché il fatto di restare al servizio dell'impresa, nonostante il mancato pagamento delle retribuzioni e senza effettuare alcun serio tentativo di ricuperare gli stipendi dovuti, farebbe presumere l'intenzione di far valere le sue pretese a carico del fondo di garanzia, il che veniva qualificato in altri termini dal convenuto come un trasferimento illecito del rischio d'impresa sui fondi di garanzia.

    23. Il giudice di secondo grado s'è mostrato ancor più severo nei confronti delle richieste della ricorrente, dal momento che le ha respinte in toto.

    24. Esso ha considerato che il fatto che un lavoratore dipendente, che è allo stesso tempo socio nella società in cui lavora, lasci in sospeso crediti da lavoro dipendente, debba essere considerato alla stregua di un conferimento di capitale, nell'ipotesi in cui, come nella fattispecie, vi è una partecipazione del lavoratore stesso al capitale del 25%, e allorché il socio poteva perfettamente rendersi conto della cessazione dei pagamenti da parte della società.

    25. Tuttavia esso, contrariamente al giudice di primo grado, ha rilevato che non era possibile scindere due periodi, l'uno antecedente e l'altro posteriore alla data in cui l'interessato avrebbe dovuto, al più tardi, rassegnare le dimissioni, giacché le esigenze del diritto societario sono da ritenersi prevalenti rispetto alle eventuali pretese derivanti dal diritto del lavoro.

    26. L'Oberster Gerichtshof, chiamato a conoscere della controversia nell'ambito di un procedimento straordinario di revisione, condivide l'analisi del giudice di secondo grado in merito all'interpretazione da dare all'IESG.

    27. Anche dal suo punto di vista, la domanda d'indennizzo presentata ai fondi di garanzia si può considerare contraria al buon costume in presenza di particolari circostanze, quali la conoscenza della situazione finanziaria dell'impresa, gli stretti legami con l'imprenditore, unitamente all'intenzione di rendere possibile la continuazione dell'attività dell'impresa rinviando la cessazione del rapporto di lavoro.

    28. L'Oberster Gerichtshof non intende in alcun modo, alla luce dei dati della fattispecie, negare alla sig.ra Welcher la qualifica di lavoratrice dipendente; tuttavia osserva che quest'ultima, dal momento che non ha fatto valere nei confronti dell'azienda alcun diritto al pagamento delle retribuzioni pendenti per insolvenza, ha concesso alla stessa un prestito di socio configurabile come un conferimento di capitale, il cui rimborso diretto o indiretto non può essere ottenuto prima che la società sia risanata durevolmente.

    29. Esso ammette che la giurisprudenza austriaca concede al socio lavoratore un congruo periodo di riflessione, non superiore comunque a sessanta giorni, dal momento in cui può rendersi conto del sopravvenire della crisi, per decidere se lasciare i crediti concessi all'impresa o se accelerarne la messa in liquidazione ritirando i propri fondi; considera però che ciò non può condurre a una separazione dei diritti derivanti da un rapporto di lavoro unitario in una parte in cui il lavoratore subordinato, in quanto socio, lasciando in sospeso i propri crediti salariali, concede alla società insolvente un prestito di socio configurabile come un conferimento di capitale, e in un'altra parte in cui, in qualità di lavoratore subordinato, sulla base di un comportamento corrispondente a quello di un terzo, si finge che abbia presentato le proprie dimissioni.

    30. Esso sottolinea inoltre che, da un lato, è incompatibile con la finalità protettiva della garanzia estendere la stessa a crediti non rivendicati per periodi di tempo assai lunghi e che non possono essere posti in relazione con la garanzia delle spese di sostentamento correnti e, d'altro lato, se il fondo di garanzia dovesse intervenire in una simile ipotesi, ad esso sarebbero trasferiti dei crediti senza alcun valore, nei confronti della massa fallimentare, poiché si tratterebbe di crediti derivanti da un prestito di socio configurabile come un conferimento di capitale.

    31. Alla luce di tali elementi, l'Oberster Gerichtshof considera che la ricorrente illegittimamente abbia avanzato pretese nei confronti dell'organismo di garanzia.

    32. Tuttavia, tenuto conto del fatto che i giudici nazionali, nel valutare l'esercizio di un diritto che nasce, come nel caso in esame, da una disposizione di diritto comunitario, non possono modificare la portata di tale disposizione o modificare gli obiettivi che essa persegue, l'Oberster Gerichtshof afferma di essere tenuto a rivolgersi alla Corte di giustizia delle Comunità europee, affinché essa si pronunci in via pregiudiziale sull'interpretazione della direttiva in esame.

    33. Pertanto, con ordinanza 26 aprile 2001, registrata presso la cancelleria della Corte della Corte di Giustizia col numero C-201/01, esso ha sottoposto le due seguenti questioni:

    «1) Se sia in contrasto con gli obiettivi della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, il fatto che un socio senza poteri di controllo sulla società perda, alla luce dei principi relativi ai prestiti equiparabili a un conferimento in capitale, il proprio diritto alla garanzia degli stipendi non pagati in conseguenza di insolvenza, qualora, nella sua qualità di lavoratore subordinato della società, dopo il sopravvenire dello stato di insolvenza della società stessa, di cui poteva rendersi conto, non intimi nelle debite forme il pagamento delle retribuzioni in sospeso e non ancora pagate da oltre 60 giorni e/o non risolva anticipatamente il contratto di lavoro per mancato pagamento della retribuzione.

    2) Se tale perdita si estenda a tutti i crediti non saldati derivanti dal rapporto di lavoro, o riguardi solo i crediti maturati dopo il momento fittizio di riferimento in cui un lavoratore che non disponesse di partecipazioni nell'azienda avrebbe risolto il rapporto di lavoro per mancato pagamento della retribuzione».

    34. Le due suddette questioni, benché formalmente distinte, si presentano a mio parere difficilmente dissociabili, in quanto la prima verte sul principio stesso di considerare la situazione particolare del lavoratore dipendente che è allo stesso tempo socio della società in cui lavora, allo scopo di riconoscergli nei confronti dell'organismo di garanzia solamente crediti più limitati rispetto agli altri lavoratori, mentre la seconda si riferisce alle concrete modalità per rendere operativa detta limitazione. Esaminerò dunque dapprima la liceità rispetto alla direttiva di una limitazione dei crediti di un socio-lavoratore, per poi analizzare successivamente le modalità con le quali essa può manifestarsi.

    Sulla liceità di una limitazione dei crediti del socio-lavoratore

    35. Per quanto riguarda dunque la prima questione alla quale si deve rispondere, comincerò col ricordare che secondo il giudice a quo la ricorrente ha incontestabilmente la qualità di lavoratrice nell'accezione che rientra nel campo di applicazione della direttiva, nonostante che essa possieda il 25% delle quote della società in cui lavora.

    36. Da un lato, infatti, alla ricorrente deve riconoscersi indubitabilmente la qualità di lavoratrice rispetto al diritto nazionale, al quale spetta stabilire, in forza dell'art. 2, n. 2, della direttiva, la definizione del lavoratore subordinato. D'altro lato, la ricorrente non rientra in una delle categorie che la Repubblica d'Austria ha escluso, in base alla facoltà riconosciutale in forza dell'art. 1, n. 2, della direttiva.

    37. La questione che si pone è dunque quella di stabilire se, nelle circostanze in cui è sorto il credito retributivo che la ricorrente sostiene di avere, la direttiva autorizzi il convenuto a riservare alla sig.ra Walcher un trattamento diverso da quello previsto per i lavoratori che non dispongono di partecipazioni nell'azienda, alla stregua di quanto avviene in base al diritto nazionale.

    38. Poiché la fattispecie in esame non è considerata esplicitamente dalla direttiva, detta questione consiste, in sostanza, nello stabilire se il caso di cui trattasi sia coperto dall'art. 10 della direttiva stessa che, come ricordo, a) autorizza gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per «evitare abusi» e b) a rifiutare o a ridurre l'obbligo della prestazione della garanzia qualora risulti che l'esecuzione dell'obbligo non si giustifica a causa dell'esistenza di legami particolari tra il lavoratore subordinato e il datore di lavoro e di interessi comuni che si traducono in una collusione tra il lavoratore e il datore di lavoro stesso.

    39. Comincio dall'esame dell'ipotesi d'abuso.

    40. A tal proposito, da una parte si deve ricordare che dalla costante giurisprudenza della Corte risulta che «la direttiva è intesa a garantire ai lavoratori subordinati una tutela comunitaria minima in caso di insolvenza del datore di lavoro, fatte salve le disposizioni più favorevoli esistenti negli Stati membri. A tal fine, essa provvede in particolare specifiche garanzie per il pagamento delle loro retribuzioni non corrisposte» .

    41. D'altra parte, in occasione della sentenza Regeling , la Corte ha rilevato che, in linea di principio, a norma dell'art. 3, n. 1, della direttiva, gli organismi di garanzia sono tenuti a garantire il pagamento dei crediti insoluti relativi alla retribuzione del periodo precedente una data determinata. Soltanto eccezionalmente gli Stati membri hanno la facoltà, in forza dell'art. 4, n. 1, di limitare tale obbligo di pagamento a un determinato periodo, fissato secondo le modalità di cui all'art. 4, n. 2. Come al paragrafo 45 delle sue conclusioni sottolinea l'avvocato generale Cosmas, «tale disposizione dev'essere interpretata restrittivamente e in senso conforme all'obiettivo previdenziale della direttiva, consistente nel garantire un minimo di tutela a tutti i lavoratori» .

    42. Tale considerazione, sebbene riguardasse una disposizione della direttiva diversa da quella ora in esame, può tuttavia essere generalizzata, affermando che tutte le eccezioni ai principi fondamentali della direttiva, e quindi anche quella concernente gli abusi, devono essere interpretate restrittivamente.

    43. D'altro canto, tuttavia, non sarebbe conforme alla finalità previdenziale della direttiva neppure il fatto che il meccanismo di garanzia dei crediti salariali che essa prevede sia distolto, mediante un procedimento qualsiasi, dall'obiettivo di tutela dei lavoratori.

    44. In particolare, tale meccanismo non può essere distolto dalla sua finalità per permettere ad imprese in costanti difficoltà di continuare ad operare sul mercato sgravate dai costi relativi alle retribuzioni, che verrebbero trasferiti ad un fondo di garanzia.

    45. L'impossibilità di corrispondere in modo continuativo le retribuzioni dovute deve comportare, in base al diritto commerciale, il deposito del bilancio dell'impresa, giacché quest'ultima si trova oggettivamente in uno stato di cessazione dei pagamenti, non potendo riservarsi ai crediti retributivi, con riguardo alla solvibilità di un'impresa, un trattamento diverso dagli altri.

    46. Il legislatore comunitario ha voluto evitare che, eccettuato il caso di risanamento dell'impresa o del suo rilevamento con il personale della stessa, i lavoratori che hanno perduto la loro occupazione, e che pertanto per un periodo più o meno prolungato devono ricorrere per il sostentamento proprio e delle loro famiglie ai sussidi di disoccupazione versati dall'assicurazione contro la disoccupazione, non siano anche privati delle retribuzioni per il lavoro effettivamente svolto in seno all'azienda.

    47. Anche se, a seguito del mancato pagamento delle retribuzioni in corrispondenza di due o tre scadenze, i lavoratori devono sapere che la solvibilità della loro impresa è più che dubbia, non si può pretendere che essi si dimettano immediatamente, senza avere alcuna garanzia di ottenere un impiego presso un'altra impresa, e senza poter esigere indennità di licenziamento.

    48. Per tali motivi si è sempre escluso di far carico ai lavoratori di aver accettato, in situazioni simili, dilazioni di pagamento delle loro retribuzioni, ossia, di fatto, di aver fatto credito al loro datore di lavoro con difficoltà di liquidità.

    49. Al contrario, vi è semmai la tendenza a valutare positivamente la solidarietà che possono dimostrare in tal modo i lavoratori, in taluni casi, rispetto all'impresa, e a deprecare il comportamento opposto, che consiste nel ricorrere immediatamente a tutti gli strumenti legali disponibili per ottenere il versamento integrale della retribuzione alla scadenza, anche a costo di accelerare il crollo dell'impresa.

    50. Ad ogni modo, non può trattarsi di stabilire che il lavoratore che non rivendichi il corrispettivo dovuto, allorquando è giuridicamente abilitato a farlo, si priva volontariamente della sua qualità di lavoratore per rivestire i panni dell'imprenditore e condividere il rischio economico con il proprio datore di lavoro.

    51. Infatti, il lavoratore che si adatti al fatto che la propria retribuzione non sia versata entro i termini dovuti si comporta ancora come un lavoratore, giacché, agendo in tal modo, egli cerca di adoperarsi per la conservazione del proprio posto di lavoro, accettando a tal proposito un sacrificio attribuibile alla fiducia che egli mantiene nella capacità del proprio datore di lavoro di risollevare le sorti dell'impresa.

    52. E' evidente che, se tale sacrificio dovesse riproporsi di scadenza in scadenza, ci si troverebbe nella fattispecie indicata in precedenza, ove un'impresa, a dispetto di tutte le regole di una sana concorrenza, pretenderebbe di funzionare con dei lavoratori senza assumersi i relativi oneri retributivi, il che è inammissibile.

    53. E' proprio per tali motivi che l'art. 4 della direttiva prevede esplicitamente che le garanzie relative alle retribuzioni possano essere temporaneamente limitate.

    54. Diversa è la situazione del lavoratore dipendente che si trovi ad essere allo stesso tempo co-proprietario dell'impresa. In tal caso, infatti, la rinuncia a percepire la retribuzione dovuta in corrispondenza alla scadenza normale non scaturirà più soltanto dalle considerazioni summenzionate, ma corrisponderà anche alla volontà di non perdere, in parte o, nella generalità dei casi, in toto, il capitale investito, provocando il fallimento della società.

    55. Per il detentore di quote di una società la fiducia riposta nella capacità di quest'ultima di superare una situazione difficile sarà spesso considerata come il rifiuto di arrendersi all'evidenza, cioè di riconoscere che è stato effettuato un investimento avventato, dato che detto rifiuto induce lo stesso interessato a prestare il suo aiuto a ciò che in campo medico si definisce come accanimento terapeutico.

    56. Non si tratta evidentemente di stabilire come principio generale che ogni lavoratore dipendente che detenga una partecipazione qualsiasi nell'impresa in cui lavora, la quale non può più far fronte alle sue obbligazioni, debba vedersi opporre, allorché si rivolga all'organismo di garanzia, la qualità d'imprenditore che gli conferirebbe detta partecipazione.

    57. Non c'è infatti alcuna relazione fra il lavoratore che possiede qualche azione di una società anonima il cui capitale è suddiviso in svariati milioni d'azioni e il socio di una società a responsabilità limitata (in prosieguo: la «SARL») che, come nel caso della ricorrente, detiene un quarto delle quote della stessa. Il primo non è che un semplice risparmiatore che detiene azioni di una società, così come potrebbe possedere dei titoli obbligazionari del Tesoro, e che, anche nel caso in cui eserciti il suo diritto di voto in occasione dell'assemblea generale degli azionisti, ha un influenza irrilevante sulla gestione e sullo sviluppo della società, mentre il secondo, anche se non amministra personalmente la SARL, è impegnato in un'attività a carattere imprenditoriale a tutti gli effetti, assai differente da un semplice investimento di risparmi a titolo precauzionale.

    58. Del resto, si noterà che se non si volesse porre sullo stesso piano, nei confronti degli organismi di garanzia, i lavoratori senza alcuna partecipazione societaria con quelli che detengono quote qualsiasi dell'impresa, si comprometterebbe sicuramente lo sviluppo dell'azionariato fra i dipendenti, che peraltro è fortemente incoraggiato nella maggior parte degli Stati membri.

    59. E' evidente infatti che il lavoratore, cui sia rivolta la proposta di diventare socio della società di cui è dipendente, con una partecipazione ovviamente assai limitata, qualora fosse simultaneamente informato del fatto che, accettando una simile offerta, si espone all'eventualità di non poter più beneficiare in futuro della garanzia, anche parziale, del pagamento delle retribuzioni dovutegli in caso di insolvenza dell'impresa, rifiuterebbe ciò che gli sembrerebbe, non del tutto a torto, un regalo avvelenato. Ciò, naturalmente, non è auspicabile.

    60. Se a questo punto si ritorna alla situazione della ricorrente, mi sembra che, nel suo caso, tenuto conto della rilevanza della partecipazione detenuta nella società, il fatto di consentire che le retribuzioni non pagate si cumulino, per poi chiedere il pagamento di detti stipendi da parte dell'organismo di garanzia, possa essere considerato dai giudici competenti come un caso che rientra nelle ipotesi d'abuso contro le quali l'art. 10, lett. a), della direttiva autorizza gli Stati membri a premunirsi.

    61. Infatti, la sig.ra Walcher, oltre al fatto di detenere il 25% del capitale della società considerata e di essere la moglie dell'amministratore, anch'egli detentore del 25% del capitale, non poteva ignorare la situazione compromessa dell'impresa, a causa delle mansioni contabili da essa svolte nell'ambito della stessa.

    62. La volontà di detta signora di salvare l'azienda ad ogni costo è d'altra parte attestata dal fatto che la stessa aveva permesso, all'insorgere delle prime difficoltà, l'iscrizione di un'ipoteca su un immobile posseduto in comune con suo marito, al fine di ottenere nuove misure di sostegno dalle banche in favore della società.

    63. L'abuso è da riscontrarsi nel fatto che la ricorrente, lasciando che le retribuzioni non pagate si cumulassero, fa aumentare l'onere gravante sul fondo di garanzia, che è finanziato dalla collettività, e che, quantunque sia stato costituito per aiutare i lavoratori, si trova, di fatto, ad essere equiparabile ad un banchiere nei confronti di un'impresa insolvente, il che non corrisponde evidentemente alla sua missione.

    64. Il fatto che, per contrastare tale abuso, la giurisprudenza austriaca ricorra alla teoria del prestito di socio configurabile come un conferimento di capitale mi sembra ammissibile.

    65. Il fatto che un soggetto che si trovi nella situazione della ricorrente non faccia valere alcun diritto al pagamento delle retribuzioni dovute entro i relativi termini può essere effettivamente considerato, a mio parere, come un contributo finanziario che un detentore di quote di una SARL apporta alla società, al fine di consentire a quest'ultima di proseguire la propria attività, compromessa da una situazione finanziaria che non le permette più di far fronte ai propri impegni.

    66. Si noterà inoltre che il fatto che l'applicazione del diritto societario porti a ritenere, come sottolinea il giudice a quo, che si sia in presenza di un atto equivalente ad un conferimento di capitale, costituisce un'ulteriore motivazione per negare l'intervento dell'organo di garanzia, visto che, nell'ambito della disciplina del fallimento, un conferimento di capitale non ha praticamente alcuna possibilità di essere restituito. In tale contesto, il fondo di garanzia, che può far valere i diritti che gli sono stati trasferiti da coloro che esso ha indennizzato, non potrebbe sperare di recuperare, anche solo parzialmente, ciò che avrebbe anticipato.

    67. Mi sembra altrettanto ragionevole che il richiamo ai principi del diritto societario porti a riconoscere al socio-lavoratore un periodo di riflessione di 60 giorni, a partire dal momento in cui questi si sia reso conto del venir meno del credito della società, per esperire un'azione volta a percepire le retribuzioni non pagate o per risolvere il contratto di lavoro.

    68. Bisogna infatti partire dal presupposto che il socio-lavoratore, al pari di qualsiasi altro lavoratore dipendente dell'impresa, si trova di fronte ad una scelta dolorosa e che gli occorre attentamente soppesare i vantaggi e gli inconvenienti che gli si prospettano, di modo che la sua inazione non può essere interpretata come il risultato della sua intenzione di far prevalere la propria qualità di socio rispetto a quella di lavoratore, prima dello scadere del termine dei sessanta giorni.

    69. Fino ad ora ho considerato l'art. 10, lett. a), della direttiva, ossia sono partito dal presupposto che il socio-lavoratore agisca magari erroneamente, ma comunque in buona fede. Tuttavia risulta evidente che, come sottolineato dalla Commissione, è del tutto possibile che ci si trovi in certi casi in presenza di una collusione tra lavoratore e datore di lavoro, che è l'ipotesi considerata dall'art. 10, lett. b) della direttiva, nella quale appare più che mai giustificata non soltanto la limitazione ma anche eventualmente la perdita da parte del lavoratore dipendente del diritto alla garanzia delle retribuzioni, una volta che siano trascorsi 60 giorni dal momento della conoscenza dell'insolvenza della società senza che vi sia stata alcuna rivendicazione.

    70. Ritengo pertanto che bisogna rispondere alla prima questione come segue: la direttiva in parola deve essere interpretata nel senso che essa non osta a che una legislazione nazionale preveda che un socio-lavoratore, che non eserciti un'influenza dominante sulla società, in caso di insolvenza del datore di lavoro non goda di una protezione del tutto identica a quella riconosciuta al lavoratore che non dispone di partecipazioni, se, dal momento in cui si è reso conto del venir meno del credito della società, omette per più di sessanta giorni di far valere in quanto lavoratore della stessa il pagamento della retribuzione periodica che egli ha cessato di ricevere o di dimettersi anticipatamente a causa del mancato pagamento del corrispettivo dovutogli.

    Sulle modalità lecite di limitazione della tutela concessa ai soci-lavoratori

    71. Avendo ammesso il principio di una limitazione dei diritti dei soci-lavoratori, giungo in tal modo ad esaminare le modalità lecite per la sua applicazione, e in particolare le modalità considerate dal giudice nazionale nella seconda questione. Si ricorda che con essa l'Oberster Gerichtshof intende chiarire se la perdita dei diritti del socio-lavoratore, sulla quale ha interpellato la Corte con la prima questione, si estenda a tutti i crediti che il lavoratore potrebbe vantare nei confronti del datore di lavoro, o riguardi solo i crediti maturati dopo il momento fittizio di riferimento in cui un lavoratore che non disponesse di partecipazioni nell'azienda avrebbe risolto il rapporto di lavoro per rifiuto di pagamento della retribuzione.

    72. Secondo il giudice nazionale detta perdita dovrebbe essere totale, in applicazione dei principi del diritto commerciale e in considerazione del fatto che sarebbe difficile separare i diritti che scaturiscono da un unico rapporto di lavoro in due parti, uno corrispondente al periodo durante il quale il socio-lavoratore beneficiava della protezione assicurata a ciascun lavoratore, e l'altro durante il quale la qualità di lavoratore sarebbe venuta meno rispetto a quella di socio.

    73. In altre parole, il diritto del lavoro dovrebbe cedere il passo al diritto commerciale.

    74. Prima di esaminare il merito del problema che è stato posto, desidero formulare una osservazione in merito all'espressione «il momento fittizio di riferimento in cui un lavoratore che non disponesse di partecipazioni nell'azienda avrebbe risolto il rapporto di lavoro», utilizzata dal giudice a quo.

    75. Se ho ben inteso il giudice a quo, quest'ultimo è del parere che vi sia un momento in cui il comune lavoratore dipendente di un'impresa in difficoltà deve ragionevolmente presentare le proprie dimissioni.

    76. Ho già affrontato tale problematica nelle mie conclusioni del 2 luglio 2002 relative alla causa Mau , che concerne determinate modalità di applicazione della direttiva nella Repubblica federale di Germania. Tale Stato membro limita il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori alla retribuzione afferente ad un periodo di tre mesi e il governo tedesco ha sostenuto che i lavoratori farebbero meglio a dimettersi, una volta oltrepassato tale termine.

    77. Al contrario io ho sostenuto che un lavoratore non lascia normalmente il suo impiego, a meno che non ne abbia trovato un altro, il che può richiedere tempo, e che egli può nutrire speranze (più o meno giustificate) che la situazione della propria impresa possa essere risanata. In determinate circostanze, il curatore fallimentare si sforzerà di mantenere in attività almeno una parte dell'impresa o di riportarla ad essere redditizia nel suo complesso, e ciò non potrà realizzarsi se nel frattempo la maggior parte dei lavoratori ha lasciato l'impresa.

    78. La scarsa propensione dei lavoratori a dimettersi è confermata dal fatto che, nel caso dell'impresa ove lavorava la sig.ra Walcher, solo cinque dei trenta impiegati e apprendisti hanno presentato le loro dimissioni prima della data in cui l'impresa è stata messa in stato di liquidazione giudiziaria.

    79. Per tutte le ragioni suddette, ritengo che difficilmente sia possibile assumere come criterio quello del «momento fittizio di riferimento in cui un lavoratore che non disponesse di partecipazioni nell'azienda avrebbe risolto il rapporto di lavoro».

    80. La ricorrente nella causa principale ne propone un altro. Essa fa valere che le misure destinate ad evitare abusi devono essere limitate a ciò che è strettamente indispensabile per la realizzazione di tale obiettivo. Pertanto, secondo tale parte, i soci-lavoratori che lascino in sospeso la loro retribuzione e che non esercitano alcuna influenza dominante dovrebbero beneficiare della garanzia minima negli stessi termini in cui è dovuta ad ogni lavoratore subordinato, ossia la retribuzione relativa agli ultimi tre mesi precedenti la data dell'insorgere dell'insolvenza dell'impresa (art. 4, n. 2, della direttiva). Essa ritiene che la lotta legittima contro gli abusi possa soltanto sanzionare i vantaggi che eccedono tale protezione minima.

    81. Nemmeno tale approccio mi sembra convincente. Infatti, la direttiva prevede al tempo stesso

    - che gli Stati membri possano limitare a tre mesi la garanzia relativa alle retribuzioni,

    - che possano adottare le misure necessarie per evitare abusi.

    82. Si deve pertanto concludere che anche gli Stati membri che limitano la garanzia a tre mesi mantengono, in via di principio, la facoltà di ridurre quest'ultima ad un periodo ancora più breve quando si tratta di scongiurare un rischio grave d'abuso.

    83. Si ricorda che in base all'allegato della direttiva risulta che l'Irlanda e il Regno dei Paesi Bassi si sono spinti fino ad escludere completamente dalla sfera d'applicazione della stessa i congiunti del datore di lavoro. Tuttavia, un'esclusione completa di tale genere non può essere attuata indirettamente. La sentenza Wagner Miret ha precisato che non è ammissibile che uno Stato membro, che qualifica coloro che fanno parte del personale direttivo di una impresa come lavoratori subordinati e che non li ha menzionati nella sezione 1 dell'allegato alla direttiva, li escluda dalla sfera di applicazione della direttiva.

    84. Analogamente, i soci che non esercitano un'influenza determinante sulla società non possono essere esclusi completamente dai benefici della direttiva per via indiretta.

    85. E' vero che la giurisprudenza austriaca non adotta una posizione così radicale. Essa tuttavia priva i soci-lavoratori del loro diritto alla garanzia delle retribuzioni, se si astengono dal far valere il pagamento della retribuzione periodica che hanno cessato di ricevere per più di sessanta giorni dal momento in cui si sono resi conto del venir meno del credito dell'impresa.

    86. Concordo con la Commissione nell'affermare che anche tale posizione è incompatibile con l'obiettivo e l'effetto utile della direttiva. La Commissione ha, infatti, pienamente ragione nel sottolineare che l'art. 10 introduce un'eccezione, vale a dire una deroga, rispetto alla protezione che la direttiva intende assicurare a vantaggio di tutti i lavoratori dipendenti che rientrano nella sua sfera d'applicazione e che, in quanto tale, deve essere interpretato restrittivamente, in modo che l'effetto utile della direttiva non sia compromesso.

    87. La Commissione afferma ancora il vero allorché osserva che l'art. 10, lett. a), della direttiva menziona misure «necessarie» per evitare abusi, stabilendo con ciò stesso l'applicazione del principio di proporzionalità.

    88. Orbene, privare completamente il socio-lavoratore dei suoi diritti nei confronti dell'organismo di garanzia equivarrebbe a negare totalmente il fatto che egli abbia fornito delle prestazioni che gli sono valse una retribuzione. D'altra parte, purché la garanzia venga limitata a sessanta giorni, gli interessi dell'organismo di garanzia sono sufficientemente salvaguardati e non è incoraggiata la sopravvivenza artificiale delle imprese destinate al fallimento.

    89. Ad ogni modo, non si comprende perché sarebbe del tutto fittizio distinguere due periodi nell'ambito di un rapporto di lavoro, a partire dal momento in cui si è per l'appunto posto detto termine di sessanta giorni.

    90. Infine, non si riesce a comprendere in forza di quale principio superiore il diritto commerciale dovrebbe prevalere sul diritto del lavoro. Mi sembra anzi che, per ragioni facilmente comprensibili, la tendenza attuale negli Stati membri vada piuttosto in senso inverso. Si ricorda che il diritto del lavoro si è sviluppato proprio in quanto branca distinta del diritto ed è caratterizzato da norme diverse da quelle del diritto civile e commerciale, per distinguere i rapporti di lavoro da quelli di tipo commerciale e per tutelare il diritto del lavoratore considerato individualmente posto in una situazione di dipendenza.

    91. Come sottolinea giustamente la Commissione, è solo a partire dal momento in cui non si può più presumere che il socio-lavoratore si comporti come un comune lavoratore subordinato che si deve privilegiare la tutela dei fondi di garanzia e dei creditori della società.

    92. D'altra parte, tale è, come si ricorderà, la soluzione a cui era giunto il giudice di primo grado. Ritengo pertanto che la privazione di tutti i diritti alla garanzia si possa applicare soltanto per il periodo successivo alla scadenza del termine di sessanta giorni. In altre parole, il socio-lavoratore deve essere trattato come un qualsiasi lavoratore dipendente, vittima dell'insolvenza del suo datore di lavoro, per il periodo precedente la scadenza del termine concesso al socio-lavoratore per presentare le dimissioni o per far valere senza ambiguità i propri diritti in quanto lavoratore dipendente presso le istanze competenti, al fine di ottenere il pagamento delle retribuzioni arretrate.

    93. Rimane ovviamente il caso contemplato dall'art. 10, lett.b) della direttiva. In tale fattispecie, a parere della Commissione, con la quale concordo, si deve stabilire in via di principio che, onde scoraggiare qualsiasi tentativo fraudolento, una collusione, che deve essere accertata dall'organismo di garanzia, può liberare quest'ultimo da ogni obbligazione nei confronti del socio-lavoratore. Infatti, l'organismo di garanzia non può essere tenuto a prestare il proprio aiuto ad un lavoratore dipendente che avanza tale qualità allorché si tratta di trarne dei vantaggi, ma che con il suo comportamento complessivo dimostra di avere soltanto perseguito l'obiettivo di salvaguardare il patrimonio che aveva investito nella società, la cui crisi ne comporta la perdita. In ogni battaglia bisogna effettuare una scelta di campo, e una volta che si è consumata la sconfitta, è troppo tardi per cambiare tale scelta.

    94. Alla luce di tali considerazioni, ritengo che la perdita dei diritti nei confronti dell'organismo di garanzia dei crediti da lavoro vantati verso imprese divenute insolventi, che può essere stabilita da una legislazione nazionale, possa colpire il socio-lavoratore solo per il periodo posteriore alla scadenza del termine che gli è concesso dalla legislazione stessa per decidere se egli voglia o meno salvaguardare tutti i suoi diritti nei confronti dell'organismo di garanzia, presentando le dimissioni o agendo per il pagamento delle proprie retribuzioni arretrate, salvo nel caso in cui vi sia collusione, in cui la perdita può essere totale.

    Conclusione

    95. Avendo completato il mio ragionamento e ricapitolando le conclusioni parziali a cui sono giunto, propongo alla Corte di risolvere le questioni sottopostele nel modo seguente:

    «1) La direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a che una legislazione nazionale, considerati i principi relativi ai prestiti configurabili come conferimenti di capitale, preveda che un socio che non eserciti un'influenza dominante sulla società subisca una limitazione del proprio diritto alla garanzia delle retribuzioni non pagate per insolvenza se, nella sua qualità di lavoratore dipendente della società, dal momento in cui si è reso conto del venir meno del credito dell'azienda stessa, omette per più di sessanta giorni di far valere il diritto alla retribuzione periodica che non gli è più stata corrisposta, o di dimettersi anticipatamente per il mancato pagamento della sua retribuzione.

    2) L'art. 10 della direttiva 80/987 deve essere interpretato nel senso che, quando si applicano i principi relativi al prestito configurabile come un conferimento di capitale a un socio-lavoratore che non esercita un'influenza dominante sulla società, la perdita dei diritti a cui si espone quest'ultimo riguarda solo i diritti relativi al periodo successivo alla scadenza del summenzionato termine di sessanta giorni, a meno che non risulti che il datore di lavoro e il lavoratore dipendente abbiano avuto un comportamento collusivo a danno dei creditori ai sensi all'art. 10, lett. b), della direttiva. In tal caso detta perdita può comprendere tutti i diritti non soddisfatti del socio-lavoratore».

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