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Document 62000CC0396
Opinion of Mr Advocate General Jacobs delivered on 11 December 2001. # Commission of the European Communities v Italian Republic. # Failure by a Member State to fulfil its obligations - Directive 91/271/EEC - Urban waste-water treatment - Urban waste-water of the city of Milan - Discharge in a sensitive area - Relevant catchment area. # Case C-396/00.
Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 11 dicembre 2001.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
Inadempimento di uno Stato - Direttiva 91/271/CEE - Trattamento delle acque reflue urbane - Acque reflue urbane della città di Milano - Scarico in un'area sensibile - Bacino drenante pertinente.
Causa C-396/00.
Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 11 dicembre 2001.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
Inadempimento di uno Stato - Direttiva 91/271/CEE - Trattamento delle acque reflue urbane - Acque reflue urbane della città di Milano - Scarico in un'area sensibile - Bacino drenante pertinente.
Causa C-396/00.
Raccolta della Giurisprudenza 2002 I-03949
ECLI identifier: ECLI:EU:C:2001:679
Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs dell'11 dicembre 2001. - Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana. - Inadempimento di uno Stato - Direttiva 91/271/CEE - Trattamento delle acque reflue urbane - Acque reflue urbane della città di Milano - Scarico in un'area sensibile - Bacino drenante pertinente. - Causa C-396/00.
raccolta della giurisprudenza 2002 pagina I-03949
1. Nel presente procedimento, introdotto ai sensi dell'art. 226 CE, la Commissione sostiene che la Repubblica italiana ha violato la direttiva del Consiglio 22 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane . La violazione fatta valere dalla Commissione riguarda gli scarichi di acque reflue urbane della città di Milano.
2. Lo scopo della direttiva, conformemente al suo art. 1, è di proteggere l'ambiente dalle ripercussioni negative provocate dagli scarichi di acque reflue.
3. L'art. 2, n. 1, della direttiva definisce «Acque reflue urbane» le «acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, acque reflue industriali e/o acque meteoriche di dilavamento».
4. L'art. 3, n. 1, secondo comma, prevede che «per le acque reflue urbane che si immettono in acque recipienti considerate "aree sensibili" ai sensi della definizione di cui all'articolo 5, gli Stati membri garantiscono che gli agglomerati con oltre 10 000 a.e. siano provvisti di reti fognarie al più tardi entro il 31 dicembre 1998».
5. L'art. 4 stabilisce norme generali che disciplinano le acque reflue urbane che ricadono nell'ambito di applicabilità della direttiva.
6. L'art. 5 dispone quanto segue:
«1. Per conseguire gli scopi di cui al paragrafo 2, gli Stati membri individuano, entro il 31 dicembre 1993, le aree sensibili secondo i criteri stabiliti nell'allegato II.
2. Gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, ad un trattamento più spinto di quello descritto all'articolo 4 al più tardi entro il 31 dicembre 1998 per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10 000 a.e.
3. Gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane descritti al paragrafo 2 devono soddisfare ai pertinenti requisiti previsti dall'allegato I B. Tali requisiti possono essere modificati secondo la procedura prevista all'articolo 18.
4. In alternativa, i requisiti stabiliti ai paragrafi 2 e 3 per i singoli impianti non necessitano di applicazione nelle aree sensibili in cui può essere dimostrato che la percentuale minima di riduzione del carico complessivo in ingresso a tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane in quella determinata area è pari almeno al 75% per il fosforo totale e almeno al 75% per l'azoto totale.
5. Gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane situati all'interno dei bacini drenanti in aree sensibili e che contribuiscono all'inquinamento di tali aree, sono soggetti ai paragrafi 2, 3 e 4.
(...)
8. Uno Stato membro non è tenuto ad individuare aree sensibili ai sensi della presente direttiva qualora applichi il trattamento prescritto dai paragrafi 2, 3 e 4 in tutto il suo territorio».
7. Con decreto 11 maggio 1999, n. 152, la Repubblica italiana ha individuato come aree sensibili, tra le altre, il delta del Po e le aree costiere dell'Adriatico nord-occidentale dalla foce dell'Adige a Pesaro e i corsi d'acqua ad essi afferenti per un tratto di 10 km dalla linea di costa.
8. Prima dell'adozione di tale decreto da parte delle autorità italiane, la Commissione aveva chiesto al governo italiano informazioni in merito agli sviluppi nella raccolta e nel trattamento delle acque reflue urbane di Milano. Nella sua risposta, il governo italiano riferiva di un progetto per la costruzione di tre impianti di depurazione che avrebbero coperto il 95% degli scarichi. La Commissione ha dedotto da tale risposta che l'agglomerato di Milano non disponeva di impianti di depurazione delle acque reflue urbane, con la conseguenza che gli scarichi provenienti dai circa 2 700 000 abitanti si riversavano senza un previo trattamento nel complesso fluviale del Lambro-Olona, affluente del Po, il quale, a sua volta, sfocia nell'Adriatico in un'area molto inquinata.
9. Con lettera 30 aprile 1999 la Commissione dava comunicazione di una possibile violazione dell'art. 5, n. 2, della direttiva, consistente nel mancato assoggettamento delle acque reflue urbane di Milano ad un trattamento più spinto rispetto al trattamento secondario. Le autorità italiane hanno contestato la censura sostenendo, tra l'altro, l'assenza di un obbligo di sottoporre gli scarichi ad un trattamento più rigoroso, considerato che essi non arrivavano, o non arrivavano direttamente, in un'area individuata come sensibile dal decreto.
10. Ritenendo insoddisfacente tale risposta, la Commissione ha emesso, il 21 gennaio 2000, un parere motivato. Nella loro replica a tale parere, le autorità italiane hanno ribadito la loro posizione ed hanno annunciato di aver richiesto la dichiarazione dello stato di emergenza, che avrebbe consentito l'adozione di una procedura semplificata per la rapida realizzazione dei tre impianti depurativi previsti per Milano.
11. Nel suo ricorso, proposto alla Corte il 26 ottobre 2000, la Commissione sostiene che la Repubblica italiana, non avendo provveduto affinché, prima del 31 dicembre 1998, gli scarichi delle acque reflue urbane della città di Milano situati all'interno di un bacino drenante nelle aree «delta del Po» e «costiere dell'Adriatico nord-occidentale», definite dal decreto legislativo della Repubblica italiana 11 maggio 1999, n. 152, come sensibili ai sensi dell'art. 5 della direttiva fossero sottoposti ad un trattamento più spinto rispetto a quello secondario o equivalente previsto dall'art. 4 della detta direttiva, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 5, n. 2, della direttiva.
12. Nel controricorso, la Repubblica italiana si fonda su un singolo argomento, vale a dire, essenzialmente, che le acque reflue urbane di Milano non sono scaricate direttamente in un'area sensibile. Secondo il governo italiano è irrilevante il fatto che le acque reflue vengano scaricate nel complesso fluviale del Lambro-Olona, affluente del Po, il quale, a sua volta, sfocia nell'Adriatico in un'area molto inquinata. Lo stesso fiume Po non è stato individuato come area sensibile per il suo intero corso, ma unicamente per il suo delta, che dista da Milano oltre trecento chilometri. Ciononostante, lo stesso governo sottolinea le azioni intraprese per accelerare la realizzazione di tre impianti di depurazione.
13. La Commissione aveva previsto l'argomento del governo italiano ed ha sostenuto nel suo ricorso che tale argomento è contrario al chiaro dettato normativo della direttiva, in quanto parte dal presupposto che, secondo la direttiva, è legittima l'esclusione di qualsiasi trattamento delle acque reflue provenienti da una città grande come Milano, per il solo fatto che esse non si riversano direttamente in un'area sensibile. Tuttavia, secondo la Commissione, risulta evidente dall'art. 5, nn. 2 e 5, della direttiva che tutte le acque reflue provenienti da agglomerati aventi un a.e. superiore a 10 000 - compreso, quindi, l'agglomerato di Milano - e che si riversano in aree sensibili devono formare oggetto, al più tardi il 31 dicembre 1998, di un trattamento più spinto.
14. A mio avviso la censura della Commissione è manifestamente fondata, in quanto, secondo il mio punto di vista, non fa alcuna differenza se le acque reflue vengono scaricate direttamente o indirettamente in un'area sensibile. L'art. 3, n. 1, secondo comma, fa riferimento ad acque reflue urbane che si immettono in acque recipienti considerate aree sensibili, e l'art. 5, n. 2, prevede che le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, ad un trattamento più spinto di quello descritto all'art. 4. Tali disposizioni non distinguono tra scarico diretto e scarico indiretto. Anzi, introdurre una siffatta distinzione equivarrebbe a frustrare lo scopo della direttiva.
Conclusione
15. Di conseguenza, a mio avviso la Corte dovrebbe:
1. dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo provveduto affinché, prima del 31 dicembre 1998, gli scarichi delle acque reflue urbane della città di Milano situati all'interno di un bacino drenante nelle aree «delta del Po» e «costiere dell'Adriatico nord-occidentale», definite dal decreto legislativo della Repubblica italiana 11 maggio 1999, n. 152, come sensibili ai sensi dell'art. 5 della direttiva fossero sottoposti ad un trattamento più spinto rispetto a quello secondario o equivalente previsto dall'art. 4 della detta direttiva, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 5, n. 2, della direttiva.
2. condannare la Repubblica italiana alle spese.