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Document 62000CC0074

    Conclusioni dell'avvocato generale Alber del 21 febbraio 2002.
    Falck SpA e Acciaierie di Bolzano SpA contro Commissione delle Comunità europee.
    Aiuti concessi dagli Stati - Regime CECA - Diritti del beneficiario dell'aiuto - Ambito di applicazione: non necessità di incidenza sugli scambi e sulla concorrenza - Applicabilità nel tempo dei diversi codici degli aiuti - Tasso d'interesse da applicare per il rimborso di aiuti illegittimi.
    Cause riunite C-74/00 P e C-75/00 P.

    Raccolta della Giurisprudenza 2002 I-07869

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2002:106

    62000C0074

    Conclusioni dell'avvocato generale Alber del 21 febbraio 2002. - Falck SpA e Acciaierie di Bolzano SpA contro Commissione delle Comunità europee. - Aiuti concessi dagli Stati - Regime CECA - Diritti del beneficiario dell'aiuto - Ambito di applicazione: non necessità di incidenza sugli scambi e sulla concorrenza - Applicabilità nel tempo dei diversi codici degli aiuti - Tasso d'interesse da applicare per il rimborso di aiuti illegittimi. - Cause riunite C-74/00 P e C-75/00 P.

    raccolta della giurisprudenza 2002 pagina I-07869


    Conclusioni dell avvocato generale


    I - Introduzione

    1. La Acciaierie di Bolzano SpA (in prosieguo: l'«ACB») e la Falck SpA (in prosieguo: la «Falck») hanno proposto il presente ricorso avverso la sentenza del Tribunale di primo grado 16 dicembre 1999, causa T-158/96, con cui il Tribunale ha respinto il ricorso dell'ACB diretto all'annullamento della decisione della Commissione 17 luglio 1996, 96/617/CECA (in prosieguo: la «decisione impugnata») , destinata alla Repubblica italiana. La detta decisione imponeva all'Italia di chiedere il recupero degli aiuti concessi a partire dal 1° gennaio 1986 dalla provincia autonoma di Bolzano all'impresa siderurgica Acciaierie di Bolzano (a partire dai primi anni ottanta), poiché tali aiuti non erano stati notificati e risultavano incompatibili con il mercato comune. A tale riguardo è controversa anche la questione se l'esame degli aiuti dovesse basarsi sul codice degli aiuti alla siderurgia in vigore all'epoca della loro concessione o sul codice in vigore al momento della decisione di recupero.

    2. L'ACB, in quanto di fabbricante di prodotti d'acciaio speciale, è un'impresa ai sensi del Trattato CECA. Fino alla cessione alla Valbruna Srl, avvenuta il 31 luglio 1995, l'ACB era controllata dal gruppo siderurgico Falck, intervenuto in primo grado a sostegno dell'ACB.

    3. Le ricorrenti contestano al Tribunale di aver valutato in maniera inadeguata numerosi errori di diritto contenuti nella decisione. In particolare, con l'adozione della decisione sarebbero stati violati i diritti di audizione ovvero i diritti della difesa spettanti all'ACB. Inoltre, la decisione non mirerebbe all'eliminazione dell'effetto dell'aiuto, bensì avrebbe carattere sanzionatorio. Anche il calcolo degli interessi sarebbe errato. Per di più la Commissione, avendo imposto il recupero di aiuti concessi fino a 10 anni prima, avrebbe violato le regole di prescrizione, il divieto di applicazione retroattiva e il principio di tutela del legittimo affidamento.

    4. Nella sua comparsa di risposta la Repubblica italiana presenta osservazioni a sostegno delle ricorrenti, mentre la Commissione si oppone alle censure. Inoltre essa solleva dubbi sulla ricevibilità del ricorso proposto dalla Falck (causa C-74/00 P) e chiede di rimuovere dagli atti alcuni suoi documenti interni prodotti dalle controparti.

    II - Contesto giuridico

    5. Ai sensi dell'art. 4, lett. c), del Trattato CECA, sono riconosciuti incompatibili con il mercato comune del carbone e dell'acciaio e, per conseguenza, sono proibiti gli aiuti concessi dagli Stati membri. Tuttavia, l'art. 95 del Trattato CECA concede alla Commissione il potere di adottare anche decisioni (derogatorie), quando ciò appaia necessario per attuare, conformemente alle disposizioni dell'art. 5, uno degli scopi della Comunità, quali sono definiti agli artt. 2, 3 e 4.

    6. Su questa base, la Commissione adottava nel 1980 il cosiddetto primo codice degli aiuti alla siderurgia , che, in deroga all'art. 4, lett. c), del Trattato CECA, ammetteva in taluni casi aiuti di Stato destinati alla ristrutturazione dell'industria siderurgica nell'ambito di una politica comune.

    7. Il primo codice era applicabile sino al 31 dicembre 1981 e veniva infine sostituito dal secondo codice degli aiuti alla siderurgia , rimasto in vigore sino al 31 dicembre 1985. Seguivano il terzo codice degli aiuti alla siderurgia, applicato tra il 1° gennaio 1986 ed il 31 dicembre 1988 , il quarto codice degli aiuti alla siderurgia, applicato tra il 1° gennaio 1989 ed il 31 dicembre 1991 , il quinto codice degli aiuti alla siderurgia, vigente dal 1° gennaio 1992 al 31 dicembre 1996 , e da ultimo il sesto codice degli aiuti alla siderurgia, in vigore dal 1° gennaio 1997 .

    8. I diversi codici prevedono una particolare procedura di autorizzazione degli aiuti al settore siderurgico, secondo cui gli Stati membri devono aver notificato alla Commissione gli aiuti di volta in volta entro un determinato momento. La Commissione decide in merito all'autorizzazione dopo aver dato modo alle parti di presentare le proprie osservazioni . A partire dal secondo codice, è stata introdotta una disposizione secondo cui gli aiuti autorizzati possono essere corrisposti solo durante il periodo di validità del codice di volta in volta vigente (art. 2, n. 1, ultimo trattino, del secondo codice).

    9. Con il tempo, le deroghe previste dai codici sono state formulate in maniera sempre più restrittiva. Ai sensi del primo e del secondo codice potevano ancora essere ampiamente autorizzati aiuti agli investimenti in generale e, con limitazioni, anche aiuti per il mantenimento in attività, purché fossero concessi nell'ambito di un piano di ristrutturazione. Il terzo e il quarto codice consentivano per contro solo l'autorizzazione di aiuti alla ricerca e allo sviluppo, a favore della tutela dell'ambiente e per le chiusure. Altri aiuti regionali agli investimenti previsti da normative generali potevano essere autorizzati solo a determinate condizioni (artt. 5 del terzo e del quarto codice). Ai sensi dell'art. 5 del quinto codice, è ormai lecito concedere aiuti regionali agli investimenti solo in Grecia, Portogallo e nel territorio dell'ex Repubblica democratica tedesca.

    III - Fatti e decisione impugnata

    A - Fatti

    10. Nella sua sentenza, il Tribunale ha accertato i fatti della controversia come segue:

    «8. Con lettera 5 luglio 1982, la Commissione ha informato il governo italiano del fatto che aveva deciso di autorizzare il regime di aiuti regionali istituito dalla legge 8 settembre 1981, n. 25, della provincia autonoma di Bolzano, relativa a interventi finanziari nel settore industriale (in prosieguo: la "legge provinciale n. 25/81"). In tale lettera, la Commissione sottolineava però che essa doveva pronunciarsi anche sull'applicazione settoriale della legge nazionale 12 agosto 1977, n. 675, concernente misure per il coordinamento della politica industriale, la ristrutturazione, la riconversione e lo sviluppo del settore (1/a) (in prosieguo: la "legge n. 675") applicabile in materia, e ch'essa si riservava quindi la facoltà di precisare le condizioni alle quali questo regime si sarebbe applicato alla provincia di Bolzano, in funzione della decisione ch'essa avrebbe adottato a livello nazionale. Essa precisava inoltre che le autorità di Bolzano dovevano rispettare integralmente la disciplina ed i codici comunitari concernenti la concessione di aiuti a favore della siderurgia.

    9. L'art. 1 della decisione della Commissione 25 luglio 1990, 91/176/CECA, relativa ad aiuti concessi dalla provincia di Bolzano a favore delle Acciaierie di Bolzano [GU 1991, L 86, pag. 28 (...)] , dispone: "L'abbuono d'interesse su un prestito [di ITL 6 miliardi] concesso nel dicembre 1987 dalla provincia di Bolzano, (...) in applicazione della legge provinciale n. 25, dell'8 settembre 1981, costituisce un aiuto di Stato illegale perché attuato senza preventiva autorizzazione della Commissione, ed è inoltre incompatibile con il mercato comune ai sensi della decisione n. 3484/85/CECA [terzo codice]". In tale decisione, la Commissione non ha però richiesto il rimborso degli importi già versati, ma si è limitata ad ingiungere alle autorità della provincia di Bolzano di cessare l'applicazione dell'abbuono alle annualità del prestito controverso fino alla sua scadenza.

    10. Al punto II, secondo comma, del preambolo a tale decisione, la Commissione ricorda che, il 25 maggio 1983, essa ha approvato, a norma del secondo codice, vari aiuti alla ristrutturazione di talune imprese del settore privato italiano dell'ordine di ITL 40 miliardi, tra cui un importo di ITL due miliardi a favore delle Acciaierie di Bolzano da accordare in base alla legge n. 675. In particolare, un progetto di miglioramento qualitativo dei prodotti del treno per vergella di Bolzano doveva fruire in tale contesto, tra l'altro, di un prestito agevolato di ITL sei miliardi. Al punto II, terzo comma, della detta decisione, essa sottolinea tuttavia che il governo italiano ha fatto presente alla Commissione che, a motivo della struttura amministrativa italiana, che prevede un'ampia autonomia per le province di Trento e Bolzano, la legge nazionale n. 675 non era applicabile in questi territori e che nella provincia di Bolzano si applicava proprio la legge provinciale n. 25/81. Questo fatto avrebbe ritardato l'effettiva concessione dell'aiuto. La Commissione ne deduce, al punto III, secondo comma, della decisione, che l'aiuto approvato, poiché non è stato versato alla data imperativa prevista a tal fine dall'art. 2, n. 1, ultimo trattino, del secondo codice, cioè il 31 dicembre 1985, e non è stato nuovamente notificato o approvato dalla stessa conformemente al terzo codice, era divenuto illegittimo.

    11. Il 21 dicembre 1994, in seguito ad una formale denuncia, la Commissione ha chiesto alle autorità italiane informazioni circa gli aiuti di cui aveva beneficiato la ricorrente. Il governo italiano ha risposto a tale richiesta con lettere 6 aprile e 2 maggio 1995.

    12. Con lettera 1° agosto 1995, la Commissione ha informato il governo italiano della sua decisione di avviare il procedimento di cui all'art. 6, n. 4, del quinto codice e l'ha invitato a presentare le sue osservazioni. La decisione di avvio del procedimento è stata pubblicata il 22 dicembre 1995 sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee (GU C 344, pag. 8; in prosieguo: la "decisione di avvio") e gli altri Stati membri nonché i terzi interessati sono stati invitati a presentare le loro osservazioni.

    13. Con lettera 18 gennaio 1996, la ricorrente [ACB], quale parte interessata, ha chiesto alla Commissione di essere consultata e sentita nell'ambito del procedimento avviato. Poiché a tale lettera non è stato dato riscontro, la ricorrente ha inviato alla Commissione una seconda lettera in data 28 marzo 1996, in cui chiedeva che le fosse indicato lo stato del procedimento e, in particolare, se la Commissione ritenesse di doverla sentire o di acquisire da essa informazioni.

    14. L'associazione dei produttori di acciaio tedeschi, la Wirtschaftsvereinigung Stahl, e l'associazione dei produttori di acciaio britannici, The British Iron and Steel Producers Association, hanno comunicato le rispettive osservazioni alla Commissione con lettere 19 e 22 gennaio 1996. La Commissione ha trasmesso tali lettere alle autorità italiane con lettera 20 febbraio 1996.

    15. Con lettera 27 marzo 1996, le autorità italiane hanno comunicato le loro osservazioni alla Commissione».

    B - La decisione impugnata

    11. Il 17 luglio 1996 la Commissione adottava la decisione impugnata, fondandosi sul quinto codice.

    12. All'art. 1 della decisione la Commissione constata che gli aiuti accordati in forza della legge provinciale n. 25/81 sono illegali non essendo stati notificati prima della loro concessione ed incompatibili con il mercato comune in forza dell'art. 4, lett. c), del Trattato CECA.

    13. Ai sensi dell'art. 2, l'Italia è tenuta a procedere al recupero degli aiuti, comprensivi di interessi, accordati dal 1° gennaio 1986 in forza della legge provinciale n. 25/81, con delibere n. 7673 del 14 dicembre 1987, n. 2429 del 2 maggio 1988 e n. 4158 del 4 luglio 1988. Per quanto attiene al tasso di interesse, si rimanda al tasso «utilizzato dalla Commissione per il calcolo dell'equivalente sovvenzione netto degli aiuti a finalità regionale nel corso del periodo considerato».

    14. Nel preambolo la Commissione ha constatato i fatti che sono riassunti come segue.

    15. L'ACB avrebbe beneficiato nel periodo 1982-1990, in base alla legge provinciale n. 25/81, dei seguenti aiuti:

    - con delibera n. 784 del 14 febbraio 1983:

    mutuo di ITL 5,6 miliardi e contributo a fondo perduto di ITL 8 miliardi;

    - con delibera n. 3082 del 1° luglio 1985:

    mutuo di ITL 12,941 miliardi;

    - con delibera n. 6346 del 3 dicembre 1985:

    contributo a fondo perduto di ITL 10,234 miliardi;

    - con delibera n. 7673 del 14 dicembre 1987:

    mutuo di ITL 6,321 miliardi;

    - con delibera n. 2429 del 2 maggio 1988:

    contributo a fondo perduto di ITL 3,75 miliardi;

    - con delibera n. 4158 del 4 luglio 1988:

    mutuo di ITL 987 milioni e contributo a fondo perduto di ITL 650 milioni.

    16. Gli aiuti sarebbero stati concessi, da un lato, sotto forma di prestiti decennali agevolati al tasso del 3%, ossia ad un tasso inferiore di circa nove punti percentuali rispetto il normale tasso di mercato applicato in Italia all'epoca, pari al 12% circa, e, dall'altro, sotto forma di contributi a fondo perduto.

    17. Ad eccezione del mutuo di ITL 5,6 miliardi, nessuno degli aiuti sarebbe stato notificato né autorizzato . Tuttavia, con la decisione 91/176 tale aiuto sarebbe stato dichiarato incompatibile con il mercato comune in quanto tardivamente corrisposto. Nondimeno la Commissione non ne avrebbe disposto il recupero.

    18. La Commissione rifiutava l'applicazione del secondo codice per gli aiuti concessi anteriormente al 31 dicembre 1985, ponendo però in rilievo che, in ogni caso, le misure non avrebbero potuto essere autorizzate neanche in forza di tali disposizioni.

    19. Per quanto attiene agli aiuti concessi anteriormente al 1° gennaio 1986, la Commissione rinunciava a disporne il recupero. In tale periodo, particolari circostanze avrebbero potuto trarre in errore le autorità italiane riguardo all'obbligo di notifica.

    IV - Procedimento dinanzi al Tribunale di primo grado

    20. Il 12 ottobre 1996 l'ACB proponeva ricorso avverso la decisione.

    21. La Falck e la Repubblica italiana chiedevano di intervenire a sostegno delle conclusioni della ricorrente. Riguardo al proprio interesse ad intervenire, la Falck adduceva quanto segue: vero è che essa non controllava più l'ACB dal momento della vendita delle proprie azioni alla Valbruna Srl; tuttavia, in caso di recupero degli aiuti essa avrebbe avuto l'obbligo contrattuale di rifondere all'acquirente dell'ACB il prezzo di acquisto in pari misura. Il Tribunale considerava tale circostanza una motivazione sufficiente per comprovare l'interesse alla soluzione della controversia, interesse che dev'essere fatto valere dall'interveniente, e accoglieva l'istanza della Falck con ordinanza 11 luglio 1997. Con la stessa ordinanza anche l'Italia veniva ammessa ad intervenire.

    22. Prima dell'udienza il Tribunale sottoponeva alle parti alcuni quesiti cui rispondere per iscritto. In particolare, esso chiedeva alla Commissione di esibire la lettera delle autorità italiane del 27 marzo 1996, in cui queste ultime avevano comunicato le proprie osservazioni sull'esito dell'audizione. La Commissione si rifiutava di produrre la lettera, in quanto contenente informazioni riservate sul beneficiario degli aiuti. L'esibizione della lettera avrebbe pertanto implicato il consenso delle autorità italiane. Uno degli allegati alla lettera sarebbe stato inoltre, una nota interna del servizio giuridico della Commissione. Il Tribunale chiedeva quindi alla Commissione di produrre la lettera all'udienza, salvo la nota interna, se del caso anche in una versione non integrale.

    23. La Commissione depositava la lettera all'inizio dell'udienza, salvo la nota del servizio giuridico. Tuttavia, in un primo tempo, alle parti veniva distribuita solo la lettera, comprensiva dell'allegato I. A causa della mole del documento, gli altri allegati rimanevano disponibili per consultazione presso la cancelleria. Nondimeno, nel corso dell'udienza veniva consegnata alle parti la tabella A dell'allegato 5 (elenco degli aiuti a favore dell'ACB) e l'udienza veniva sospesa per 20 minuti. Successivamente, venivano distribuiti anche l'allegato 5, tabelle B, C e D (riepilogo degli investimenti dell'ACB), l'allegato 6 (volumi di esportazione dell'ACB in Germania e Regno Unito), nonché l'allegato 7 (lettera 3 agosto 1995 inviata dalla provincia autonoma di Bolzano alle autorità italiane), e l'udienza veniva nuovamente sospesa per un'ora.

    V - Motivi di ricorso in primo grado e sentenza del Tribunale

    24. L'ACB ha fondato il suo ricorso essenzialmente sui seguenti motivi:

    Primo motivo di ricorso: La Commissione avrebbe violato i diritti della difesa spettanti all'ACB nel corso del procedimento amministrativo. Dopo la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'art. 6 del quinto codice, l'ACB si sarebbe rivolta alla Commissione con le lettere del 18 gennaio e del 28 marzo 1996 chiedendo di poter presentare osservazioni ovvero di conoscere lo stato del procedimento. La Commissione avrebbe in seguito adottato la decisione senza rispondere a tali lettere.

    Secondo motivo di ricorso: La Commissione avrebbe commesso un errore applicando retroattivamente il quinto codice e non i codici in vigore al momento della concessione degli aiuti e non osservando i termini di prescrizione. In tal modo avrebbe violato i principi di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto.

    Terzo motivo di ricorso: La Commissione avrebbe violato i principi di cooperazione leale e di tutela del legittimo affidamento chiedendo il recupero di aiuti solo molti anni dopo la loro concessione, anche se l'ACB aveva avuto motivo di fare affidamento sull'approvazione degli aiuti da parte della Commissione alla luce di numerose circostanze. La tardiva richiesta di recupero degli aiuti avrebbe trasformato la decisione in sanzione e violato il principio di proporzionalità.

    Quarto motivo di ricorso: La Commissione non avrebbe esaminato in quale misura gli aiuti incidessero sugli scambi intracomunitari, nonostante la scarsa capacità di produzione dell'ACB. Essa avrebbe commesso un errore di valutazione degli elementi di fatto classificando le misure come aiuti incompatibili ai sensi del codice.

    Quinto motivo di ricorso: Il tasso d'interesse fissato dalla Commissione sarebbe stato indeterminabile e privo di base giuridica. Inoltre la Commissione avrebbe dovuto considerare la Germania, e non l'Italia, come mercato di riferimento per il tasso d'interesse da applicare, poiché l'ACB avrebbe operato prevalentemente su tale mercato.

    Sesto motivo di ricorso: La Commissione non avrebbe fornito una motivazione per aver considerato come termine ai fini della restituzione degli aiuti la data del 1° dicembre 1985. Neanche la determinazione del tasso d'interesse sarebbe congruamente motivata.

    25. Il Tribunale ha respinto le eccezioni tardivamente sollevate dalla Commissione avverso la ricevibilità dell'intervento della Falck e ha ribadito la motivazione già indicata nell'ordinanza 11 luglio 1997 riguardo all'interesse della Falck ad intervenire a sostegno dell'ACB . Tuttavia, nel merito il Tribunale ha respinto il ricorso.

    26. Per quanto attiene al primo motivo di ricorso, il Tribunale ha dichiarato che, nell'ambito del procedimento, l'ACB rivestirebbe solo la posizione di terzo interessato e, di conseguenza, non potrebbe invocare i diritti della difesa spettanti a coloro nei cui confronti è stato aperto un procedimento. L'ACB sarebbe stata messa nella condizione di presentare le sue osservazioni sui fatti considerati e sulle valutazioni compiute dalla Commissione nella decisione di avviare il procedimento .

    27. Il Tribunale ha respinto il secondo motivo di ricorso con l'argomento che i codici consentirebbero alla Commissione di dichiarare determinati aiuti compatibili con il mercato comune solo limitatamente al periodo in cui i codici stessi sono in vigore. Pertanto, la Commissione non potrebbe più autorizzare aiuti non notificati sulla base di un codice non più in vigore. In assenza di disposizioni giuridiche in merito, in caso di recupero di aiuti non notificati, non vi sarebbe alcun termine di prescrizione da osservare .

    28. Il Tribunale ha valutato il terzo motivo di ricorso in special modo sotto il profilo della tutela del legittimo affidamento. In linea di principio, il beneficiario di un aiuto non potrebbe invocare la tutela del legittimo affidamento se gli aiuti non sono stati notificati. Né l'autorizzazione originaria delle disposizioni in materia di aiuti regionali di cui alla legge provinciale n. 25/81, né la decisione 91/176/CECA avrebbero potuto fondare un legittimo affidamento dell'ACB sulla regolarità degli aiuti .

    29. Per quanto attiene al quarto motivo di ricorso, il Tribunale ha constatato che, contrariamente a quanto stabilito dalle disposizioni in materia di aiuti del Trattato CE, l'art. 4, lett. c), del Trattato CECA non prenderebbe in considerazione l'incidenza sugli scambi intracomunitari. La Commissione avrebbe correttamente valutato gli aiuti sulla base delle informazioni in suo possesso. Spettava al governo italiano e all'ACB fornire, se del caso, nel corso del procedimento amministrativo, i dati necessari per fruire delle deroghe al divieto di aiuti previsto dal quinto codice. L'argomento dedotto in subordine dalla Falck, secondo cui la decisione impugnata avrebbe incluso anche aiuti già coperti dalla decisione 91/176/CECA, è stato disatteso dal Tribunale con la motivazione che la Falck e il governo italiano non lo avrebbero sostenuto nel corso procedimento amministrativo .

    30. Il Tribunale ha respinto anche il quinto motivo di ricorso. La Commissione avrebbe legittimamente potuto fissare il tasso d'interesse prescelto in modo tale da sopprimere l'effetto derivante dall'aiuto. Nel corso del procedimento amministrativo non sarebbero stati fatti valere elementi di fatto atti a provare che si sarebbe dovuto prendere come riferimento il tasso medio d'interesse del mercato tedesco .

    31. Il Tribunale ha parimenti negato la sussistenza del vizio di motivazione fatto valere come sesto motivo di ricorso .

    VI - Procedimento di impugnazione dinanzi alla Corte

    32. Con atti depositati presso la cancelleria della Corte il 2 marzo 2000, la Falck (causa C-74/00 P) e l'ACB (causa C-75/00 P) hanno proposto ricorso avverso la sentenza del Tribunale di primo grado. Esse contestano, da un lato, un vizio di procedura, poiché il Tribunale non avrebbe consentito loro di esaminare in maniera sufficiente i documenti prodotti all'udienza. Inoltre, esse fanno valere altri motivi di impugnazione relativi ad errori commessi dal Tribunale nella valutazione giuridica della decisione. Detti motivi verranno ripresi singolarmente nell'ambito dell'analisi giuridica.

    33. La Falck chiede che la Corte voglia:

    1) annullare la sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 16 dicembre 1999, causa T-158/96, Acciaierie di Bolzano SpA/Commissione delle Comunità europee, intervenienti: Repubblica italiana e Falck SpA;

    2) per l'effetto, annullare la decisione della Commissione 17 luglio 1996, 96/617/CECA;

    in via subordinata

    3) nell'ipotesi in cui la Corte ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, rimettere la causa ad altra sezione del medesimo Tribunale con precisazione dei punti di diritto individuati in accoglimento dei motivi di ricorso;

    in ogni caso

    4) assumere ogni altro provvedimento consequenziale o che riterrà opportuno o di giustizia;

    5) condannare la Commissione alle spese del procedimento.

    34. L'ACB presenta le stesse domande avanzate dalla Falck sub 1-3 e chiede inoltre che la Corte voglia:

    4) assumere ogni altro provvedimento consequenziale che riterrà opportuno, anche in via istruttoria;

    5) condannare la Commissione al pagamento delle spese di giudizio, anche relativamente al primo grado.

    35. Nella sua comparsa di risposta, la Repubblica italiana sostiene le ricorrenti e chiede che la Corte voglia:

    1) accogliere le impugnazioni proposte dall'ACB e dalla Falck e, comunque, annullare totalmente la sentenza impugnata, accogliendo integralmente le conclusioni formulate dal governo italiano in primo grado;

    2) in subordine, accogliere le conclusioni formulate dall'ACB e dalla Falck;

    3) condannare la Commissione alle spese.

    36. La Commissione contesta i motivi di impugnazione dedotti. Inoltre esprime dubbi sulla ricevibilità del ricorso proposto dalla Falck. Essa chiede altresì alla Corte di rimuovere dagli atti due documenti interni presumibilmente redatti dai suoi servizi nonché una nota interna del servizio giuridico della Commissione. La Commissione chiede che la Corte voglia:

    - respingere i ricorsi proposti dalla Falck e dall'ACB e condannare le ricorrenti alle spese;

    - condannare le ricorrenti alle spese.

    VII - Analisi giuridica

    A - Ricevibilità del ricorso proposto dalla Falck (causa C-74/00 P)

    37. La Commissione nutre dubbi sulla ricevibilità del ricorso proposto dalla Falck per due ragioni. Da un lato, sarebbe controverso se, ai sensi dell'art. 49, secondo comma, seconda frase, dello Statuto CECA, la decisione del Tribunale impugnata concerna direttamente la Falck. Dall'altro lato, non sarebbe pacifico che la Falck possa proporre ricorso, in quanto essa non costituirebbe un'impresa ai sensi dell'art. 80 del Trattato CECA.

    1) Sull'interesse diretto della Falck

    38. Ai sensi dell'art. 49, secondo comma, seconda frase, dello Statuto CECA, i privati che intervengono in primo grado possono proporre impugnazione solo qualora la decisione del Tribunale li concerna direttamente.

    39. La Commissione ritiene che l'espressione «concerne direttamente» vada intesa in analogia con l'art. 230 CE. Pertanto, la decisione del Tribunale impugnata dovrebbe riguardare la ricorrente nello stesso modo in cui riguarda coloro che possono impugnare una decisione presa nei confronti di un terzo. Si configurerebbe di norma il seguente caso: il Tribunale dichiara nulla una decisione favorevole. La sentenza di annullamento emessa dal Tribunale concerne direttamente il beneficiario intervenuto in primo grado a sostegno delle conclusioni dell'istituzione convenuta e quindi esso può proporre ricorso. In questo caso, la sentenza avrebbe un'incidenza diretta sulla sfera giuridica del ricorrente.

    40. Tuttavia, la sentenza concernerebbe soltanto indirettamente la Falck. Infatti la presunta responsabilità nei confronti della società acquirente dell'ACB non si fonderebbe direttamente sulla sentenza del Tribunale, bensì su accordi di diritto privato tra imprese.

    41. La Falck obietta che il Tribunale, ammettendola ad intervenire, avrebbe riconosciuto il suo interesse alla soluzione della controversia, ragion per cui la sentenza la concernerebbe direttamente ed essa sarebbe legittimata a proporre ricorso avverso la detta pronuncia.

    42. Dalla lettera dello Statuto, difficilmente si possono trarre elementi per stabilire quando una decisione del Tribunale concerna direttamente una parte interveniente ai sensi dell'art. 49, secondo comma, seconda frase, dello Statuto CECA. A quanto consta neanche la Corte si è ancora pronunciata sulla questione. Nella sentenza nella causa C-265/97 P , citata dalla Commissione, la Corte ha statuito sul ricorso proposto da una parte interveniente senza esaminare in dettaglio i presupposti della ricevibilità.

    43. Non tutte le persone fisiche o giuridiche aventi un interesse alla soluzione della controversia, conditio sine qua non per essere ammessi ad intervenire, sono direttamente interessate dalla pronuncia del Tribunale. Altrimenti, la limitazione aggiuntiva del potere di cui dispongono gli intervenienti non privilegiati di proporre ricorso sarebbe superflua .

    44. Dagli artt. 115 e 116 del regolamento di procedura emerge che un interveniente in primo grado è automaticamente parte del procedimento di impugnazione dinanzi alla Corte e può dedurre motivi propri nella comparsa di risposta . In particolare, l'interveniente può chiedere l'annullamento della sentenza del Tribunale proprio come se fosse stato lui a proporre il ricorso, senza dover provare che la detta decisione lo concerne direttamente. Ciò indica, da un lato, che l'interveniente in primo grado, che non ha impugnato la sentenza in prima persona, beneficia di ampi poteri nell'ambito del procedimento di impugnazione. Dall'altro lato, esso può esercitare tali diritti solo se un terzo ha preso l'iniziativa ed ha proposto ricorso avverso la sentenza.

    45. Il criterio dell'interesse diretto contribuisce quindi a delimitare il potere di iniziativa e corrisponde ad uno scopo analogo a quello delle condizioni di cui all'art. 230, quarto comma, CE sulla legittimazione ad agire dei privati. Detto criterio circoscrive il gruppo dei soggetti legittimati all'impugnazione a coloro che sono toccati da vicino dalla decisione del Tribunale, in un modo che va al di là dell'interesse alla soluzione della controversia, requisito sufficiente per essere ammessi ad intervenire.

    46. Tuttavia l'art. 49, secondo comma, dello Statuto CECA adotta una terminologia diversa da quella dell'art. 230, quarto comma, CE. Da un lato, manca il criterio dell'interesse individuale. Infatti, la partecipazione al procedimento di primo grado consente già di individuare in maniera sufficiente l'ex interveniente. Dall'altro lato, la sentenza di primo grado deve «concernere direttamente» e non «riguardare direttamente» l'interveniente non privilegiato. Se ne conclude che gli autori dello Statuto non intendevano attribuire a tali criteri lo stesso significato in ciascun caso . A tale riguardo occorre anche osservare che la ricevibilità del ricorso di annullamento proposto da un privato ai sensi dell'art. 33, secondo comma, del Trattato CECA, che nella fattispecie costituirebbe il corretto termine di paragone, non presuppone affatto che l'atto concerna direttamente il ricorrente . Il diverso concetto chiarisce infine che la ricevibilità dell'atto di impugnazione è subordinata all'effetto della sentenza impugnata e non in primo luogo al fatto che l'atto controverso dell'istituzione riguardi il ricorrente.

    47. Nell'esempio riportato dalla Commissione la sentenza del Tribunale concerne senza dubbio direttamente l'interveniente in primo grado . Qualora il Tribunale annullasse una decisione favorevole, il beneficiario, intervenuto a sostegno delle conclusioni dell'istituzione convenuta, potrebbe proporre ricorso. Infatti la sentenza di annullamento del Tribunale comporta l'immediata cessazione del beneficio.

    48. Controverso qui è se una sentenza con cui il Tribunale respinge, come nel caso di specie, il ricorso avverso una decisione recante pregiudizio possa produrre analoghi effetti giuridici diretti per la parte interveniente a sostegno delle conclusioni del ricorrente. Si potrebbe argomentare che in tal caso a concernere l'interveniente non è la sentenza bensì la decisione rimasta in vigore, che l'interveniente avrebbe dovuto impugnare con un ricorso di annullamento proposto in prima persona .

    49. Tuttavia, fino alla conclusione del procedimento giurisdizionale la decisione dell'istituzione non ha ancora valore definitivo. Anche se si deve partire dal presupposto della validità dell'atto giuridico, tutti gli effetti giuridici della decisione presentano sino a quel momento un carattere meramente temporaneo. In tal caso, la sentenza produce anzitutto l'effetto di consolidare la situazione giuridica creata dalla decisione impugnata. Il Tribunale procede inoltre a constatazioni de facto e de jure che possono costituire violazioni autonome dei diritti dell'interveniente in primo grado. Ciò vale in particolare per i diritti procedurali dell'interveniente in primo grado.

    50. Qualora si negasse in linea di principio all'interveniente la facoltà di impugnare una sentenza che dispone il rigetto di un ricorso, in quanto egli avrebbe potuto neutralizzarne gli effetti proponendo un ricorso di annullamento in prima persona, l'interveniente verrebbe privato della possibilità di far valere autonomamente le dette violazioni dei suoi diritti. La decisione confermata dal Tribunale sarebbe definitivamente inoppugnabile e qualsivoglia vizio procedurale a discapito dell'interveniente sarebbe privo di conseguenze.

    51. Nell'ambito dell'esame della ricevibilità del ricorso occorre quindi prendere in considerazione sia gli effetti già prodotti dalla decisione controversa, resi definitivi dalla sentenza, sia eventuali violazioni di diritti autonome da parte della sentenza di primo grado. Gli effetti dovrebbero incidere direttamente sulla sfera giuridica della Falck, vale a dire senza ulteriori azioni intermedie da parte di terzi.

    52. Il destinatario della decisione impugnata è la Repubblica italiana. La decisione obbliga l'Italia, senza concederle un potere discrezionale, al recupero degli aiuti concessi all'ACB in conformità delle disposizioni di legge vigenti in detto Stato in materia di riscossione di crediti statali. Di conseguenza è interessata anzitutto l'ACB, in qualità di beneficiaria degli aiuti soggetti a rimborso, e quindi essa poteva anche legittimamente proporre ricorso avverso la decisione della Commissione dinanzi al Tribunale .

    53. Dall'art. 8.01, lett. i), del contratto concluso tra la Falck e la Valbruna Srl emerge che la Falck è responsabile, in qualità di cessionaria, delle modifiche del passivo rispetto al bilancio consuntivo. Quindi, anteriormente all'adozione della decisione impugnata, la Falck si è assunta l'obbligo di rimborsare quote del prezzo di vendita in caso di restituzione degli aiuti. Tale diritto di natura civile sorge automaticamente al verificarsi della detta condizione. Poiché la decisione impugnata impone all'Italia il recupero degli aiuti, si può sicuramente considerare realizzata la condizione. Né si ravvisano circostanze - ad esempio la prescrizione - che si opponessero al diritto della Valbruna Srl. L'obbligo di pagamento non scaturisce infine da un'ulteriore azione di terzi, in particolare non dal fatto che la Valbruna Srl invochi il diritto in via giudiziale o extragiudiziale, bensì deriva già direttamente dal contratto. Pertanto, la sentenza che conferma tale effetto della decisione concerne direttamente la Falck.

    54. La Falck fa valere inoltre, inter alia, che il Tribunale avrebbe violato i diritti della difesa non avendole offerto sufficiente possibilità di pronunciarsi sui documenti prodotti dalla Commissione all'udienza. Supponendo che la violazione contestata dei diritti procedurali risultasse vera e avesse prodotto effetti sulla sentenza, sussisterebbe già per quest'unico motivo un'incidenza diretta sulla sfera giuridica della Falck, che autorizza la presentazione del ricorso.

    2) Sull'insussistenza della qualità d'impresa ai sensi del Trattato CECA

    55. In secondo luogo, la Commissione ritiene che la Falck non sia legittimata a proporre ricorso, in quanto non rientrerebbe tra gli operatori economici cui il Trattato CECA conferisce diritti. In particolare, il diritto ad agire a norma dell'art. 33, secondo comma, del Trattato CECA sarebbe esclusivo delle imprese e associazioni di imprese ai sensi degli artt. 80 e 48 del Trattato CECA . La facoltà di proporre ricorso non potrebbe andare al di là di tali limiti.

    56. Nella giurisprudenza citata dalla Commissione la Corte e il Tribunale hanno constatato che la cerchia dei soggetti legittimati a proporre ricorso di cui all'art. 33 del Trattato CECA è tassativa. Conformemente all'art. 80, costituiscono imprese ai sensi del Trattato CECA solo quelle imprese che esercitano un'attività di produzione nel campo del carbone e dell'acciaio nonché, nel contesto degli artt. 65 e 66 del Trattato CECA, anche le imprese commerciali operanti in detti settori.

    57. Come constatato in precedenza, la stessa sentenza del Tribunale può avere un'incidenza sulla sfera giuridica dell'interveniente, in particolare sui suoi diritti procedurali. Perciò la facoltà di proporre ricorso non è necessariamente subordinata al fatto che il ricorrente sia anche autorizzato a presentare ricorso ai sensi dell'art. 33, secondo comma, del Trattato CECA. A tale riguardo, l'art. 49, secondo comma, seconda frase, dello Statuto CECA enuncia piuttosto una definizione propria.

    58. Nella misura in cui la Falck si riferisce alla violazione dei diritti della difesa da parte del Tribunale, tale ambito la concerne, indipendentemente dal fatto che essa costituisca o meno un'impresa siderurgica ai sensi del Trattato CECA. Tuttavia, la Falck non si limita a sollevare la censura relativa al detto vizio procedurale. Pertanto occorre verificare se la sentenza del Tribunale concerna la Falck anche nella misura in cui la pronuncia conferisce agli effetti della decisione della Commissione valore definitivo.

    59. In ogni caso si dovrebbe considerare che la sentenza concerna la Falck qualora, al momento determinante per il caso di specie, essa fosse stata un'impresa ai sensi del Trattato CECA e la decisione l'avesse riguardata in tale veste. Vero è che dagli atti non emerge con precisione se la Falck stessa svolga o abbia svolto un'attività di produzione nel settore siderurgico e soddisfi perciò le condizioni di cui all'art. 80 del Trattato CECA. Tuttavia, sembra che le parti siano concordi nel ritenere che la Falck, fino alla cessione dell'ACB, dovesse essere considerata un'impresa siderurgica.

    60. La Commissione ha sostenuto, senza essere smentita, che la Falck ha perso tale qualità con la cessione dell'ACB, avvenuta il 31 luglio 1995. Pertanto, occorre stabilire fino a che momento la Falck deve aver conservato la qualità di impresa siderurgica per poter sollevare nell'ambito del suo ricorso censure avverso la valutazione della decisione da parte del Tribunale.

    61. La decisione impugnata si riferisce ad aiuti corrisposti quando la Falck controllava ancora l'ACB e andava incontestabilmente considerata un'impresa siderurgica. La responsabilità finanziaria della Falck in caso di restituzione degli aiuti deriva dalla sua situazione di allora. Gli effetti della decisione impugnata e quindi anche gli effetti della sentenza emessa dal Tribunale - che conferma la decisione - sono pertanto connessi alla posizione della Falck come impresa siderurgica. Il principio di ampia tutela giuridica impone che la Falck possa opporsi ad effetti perduranti proponendo ricorso, anche qualora essa dovesse aver perso nel frattempo la qualità d'impresa ai sensi dell'art. 80 del Trattato CECA .

    B - Richiesta della Commissione di rimuovere documenti interni dagli atti del procedimento

    62. La Commissione contesta la produzione di tre documenti, acclusi in copia dall'ACB al suo ricorso come allegato B e dalla Falck come allegati B 4, 5 e 6, e ne chiede la rimozione dagli atti.

    63. L'ACB aveva già esibito gli stessi documenti in primo grado come integrazione alle proprie risposte scritte ai quesiti posti dal Tribunale. Si tratta, da un lato, di una nota interna del servizio giuridico del 18 luglio 1990, allegata anche alla lettera delle autorità italiane del 27 marzo 1996 alla Commissione, e, dall'altro, di due note sugli aiuti al settore siderurgico, il cui autore non emerge dai documenti. Le ricorrenti sostengono che le due note provengono dai servizi della Commissione. A loro avviso, dai documenti emerge in particolare che la Commissione stessa riteneva di dover sempre applicare agli aiuti il codice vigente all'epoca della concessione.

    64. La Commissione non è in grado di confermare né il significato né la provenienza dei documenti «senza intestazione» da ultimo citati. Tuttavia, qualora si dovesse trattare di documenti interni della Commissione, le ricorrenti non avrebbero chiarito, come anche nel caso della nota del servizio giuridico, il modo in cui ne sono venute in possesso. Stando così le cose, tali documenti dovrebbero essere eliminati dal fascicolo, così come le citazioni riportate nell'atto di impugnazione . A tale riguardo la Commissione potrebbe invocare la segretezza delle proprie consulenze interne.

    65. Per quanto attiene ai due documenti «senza intestazione», occorre constatare che non si è chiarito con certezza se essi siano stati redatti dagli uffici della Commissione. Non si riesce a desumere né l'origine né la natura di tali documenti. Né le ricorrenti hanno fornito prove più precise in ordine alla loro provenienza. Pertanto, i documenti non danno alcuna indicazione su eventuali tesi della Commissione.

    66. Tuttavia, non essendo chiaro se si tratti di documenti interni della Commissione, quest'ultima non può invocarne la segretezza e chiederne l'eliminazione dal fascicolo. Lo stralcio dei documenti dagli atti non è affatto necessario anche perché, alla luce della loro origine oscura, essi non hanno alcuna efficacia probatoria.

    67. Le circostanze del caso di specie differiscono al riguardo dal caso che la Corte doveva valutare nella causa Ludwigshafener Walzmühle, citata dalla Commissione. In tale causa era certo che il documento in questione fosse stato redatto dalla Commissione. Risultava unicamente dubbio se si trattasse di un progetto o già della versione definitiva di una relazione della Commissione al Consiglio. In quell'occasione la Commissione poteva pertanto fondatamente richiamarsi alla segretezza dei documenti interni redatti dai suoi uffici e far valere la loro rimozione dagli atti, poiché le ricorrenti non erano in grado di provare come ne fossero venute in possesso.

    68. Per quanto attiene alla nota del servizio giuridico della Commissione, la situazione è diversa dal caso dei documenti «senza intestazione». La Commissione in linea di principio può chiedere l'eliminazione della nota dal fascicolo ove essa non sia tenuta a rendere pubblico il documento e la nota non sia stata pubblicata dalla Commissione stessa o con il suo consenso.

    69. Nell'ordinanza nella causa Carlsen , emessa con procedimento sommario, il Presidente del Tribunale di primo grado si è pronunciato come segue sull'obbligo di rendere accessibili le osservazioni del servizio giuridico del Consiglio:

    «Di conseguenza, data la particolare natura dei due documenti controversi, risulta, prima facie, che le ragioni opposte dall'istituzione resistente, vale a dire l'esigenza di garantire "la tutela della certezza del diritto e della stabilità del diritto comunitario", nonché quella di salvaguardare "la facoltà per il Consiglio di raccogliere pareri giuridici indipendenti", sono da considerare legittime (...)».

    70. Anche l'avvocato generale Jacobs ha ritenuto che i pareri del servizio giuridico del Consiglio non debbano essere resi pubblici in quanto ciò arrecherebbe pregiudizio all'interesse generale alla formulazione di pareri giuridici indipendenti .

    71. Rinviando all'ordinanza Carlsen e alle citate conclusioni dell'avvocato generale Jacobs, il Tribunale ha espressamente confermato e nuovamente constatato, nella causa Ghignone e a., che la Commissione può perciò chiedere lo stralcio di pareri del servizio giuridico dal fascicolo .

    72. Questa tesi va accolta. Un parere del servizio giuridico serve di norma (solo) all'elaborazione della decisione dell'istituzione interessata. A tal fine esso indica anche i rischi giuridici delle diverse soluzioni alternative. Il servizio giuridico non potrebbe più discutere liberamente detti rischi nel caso il suo parere dovesse essere reso accessibile al pubblico. Tutt'al più, nell'ipotesi in cui, mediante l'accesso a documenti interni si possa provare che la Commissione si è resa responsabile di uno sviamento di potere - il che tuttavia non è stato dedotto nel caso di specie - potrebbe eccezionalmente configurarsi l'obbligo di esibizione di documenti interni .

    73. Pertanto la Commissione può chiedere in linea di principio il ritiro di un siffatto documento dagli atti, salvo nei casi in cui essa stessa abbia rinunciato alla segretezza, ad esempio pubblicando il documento o dando il consenso alla pubblicazione da parte di terzi.

    74. Dalla mera circostanza che l'ACB evidentemente dispone del documento non deriva che la Commissione abbia pubblicato il parere o abbia altrimenti rinunciato alla segretezza. Infatti, l'ACB non ha chiarito come sia venuta in possesso del documento. Pertanto non si può escludere che esso sia stato reso pubblico senza il consenso della Commissione, ad esempio a causa dell'indiscrezione di un funzionario. Tuttavia ciò non significa che l'ACB sia venuta in possesso del documento in maniera sleale.

    75. Vero è che la Commissione si è rifiutata di esibire la nota dinanzi al Tribunale di primo grado. Tuttavia essa non ha chiesto che la copia prodotta dall'ACB venisse rimossa dagli atti del Tribunale, anche se avrebbe potuto farlo all'udienza. Non chiedendone lo stralcio, essa ha acconsentito a che la nota fosse messa agli atti del procedimento di primo grado. Anche se nel suo modus operandi non si configura un consenso esplicito alla pubblicazione da parte dell'ACB, nel procedimento di impugnazione la Commissione non può più richiedere lo stralcio di un documento che è già stato messo, senza contestazione, agli atti nel procedimento di primo grado e su cui, quindi, è stata fondata la sentenza.

    76. Se un ritiro ex post dagli atti del procedimento di primo grado è da escludersi, non vi è neanche motivo di stralciare ora dal fascicolo della Corte lo stesso documento nuovamente prodotto nel procedimento d'impugnazione. Ai sensi dell'art. 111, n. 2, del regolamento di procedura, in seguito al deposito del ricorso, la cancelleria del Tribunale trasmette alla Corte il fascicolo del giudizio di primo grado. Quindi, il contenuto di detto fascicolo e, di conseguenza, anche il parere del servizio giuridico ivi incluso è ormai senz'altro parte integrante degli atti del procedimento dinanzi alla Corte.

    77. Pertanto, la richiesta della Commissione di ritirare dal fascicolo il parere del servizio giuridico prodotto dall'ACB va respinta.

    C - Sui singoli motivi di impugnazione

    78. I due ricorsi si fondano in sostanza sugli stessi motivi, cosicché possono essere trattati congiuntamente. A tale riguardo occorre esaminare in primo luogo i motivi di ricorso che si riferiscono alla violazione dei diritti della difesa in sede di udienza dinanzi al Tribunale e nel corso del procedimento amministrativo. Seguirà l'esame dei motivi di ricorso con cui viene contestata la scelta del fondamento giuridico nonché la valutazione degli elementi di fatto in relazione alle condizioni poste nelle disposizioni in materia di aiuti. In terzo luogo, infine, occorre valutare i motivi di ricorso con cui le ricorrenti si oppongono al recupero degli aiuti.

    1) Violazione dei diritti della difesa nel corso dell'udienza dinanzi al Tribunale

    a) Argomenti delle parti

    79. Le ricorrenti fanno valere che il Tribunale sarebbe incorso in un vizio di procedura non avendo accordato loro sufficiente possibilità di esaminare la lettera del governo italiano 27 marzo 1996, allegati inclusi, prodotta solo all'udienza, e di presentare osservazioni in merito. Il Tribunale non avrebbe né riaperto la fase orale né riportato nella sentenza le dichiarazioni rese dalle ricorrenti in proposito. Esse chiedono pertanto che venga messo agli atti il trascritto dell'udienza nel quadro di una misura di organizzazione del procedimento.

    80. La Commissione osserva che le ricorrenti non avevano chiesto di riaprire la fase orale. Tuttavia una siffatta richiesta avrebbe potuto essere accolta solo se esse avessero addotto circostanze determinanti che non sarebbe stato possibile far valere prima della chiusura del dibattimento.

    b) Analisi

    81. Ai sensi dell'art. 51, primo comma, seconda frase, dello Statuto CECA, un'impugnazione può fondarsi su mezzi relativi a vizi della procedura recanti pregiudizio agli interessi della parte ricorrente. A tale riguardo riveste particolare importanza la questione se il vizio di procedura abbia condotto ad una violazione dei diritti della difesa delle ricorrenti . Vero è che la lettera del governo italiano 27 marzo 1996 viene menzionata ai punti 126, 131 e 138 della sentenza impugnata, tuttavia le ricorrenti non hanno provato in quale misura i documenti prodotti all'udienza siano stati rilevanti per la decisione del Tribunale. Esse non chiariscono neanche quali altri argomenti avrebbero potuto far valere qualora fossero venute a conoscenza dei documenti in tempo utile.

    82. Ai sensi dell'art. 62 del suo regolamento di procedura, il Tribunale può ordinare la riapertura della fase orale. Tuttavia vi è motivo di decidere in tal senso solo se circostanze fondamentali per la soluzione della causa emergono così tardivamente che le parti non possano più presentare osservazioni in merito all'udienza. Poiché, secondo la valutazione del Tribunale, manifestamente non si configurava un caso del genere, esso non ha disposto la riapertura d'ufficio della fase orale. Né le ricorrenti hanno fatto valere l'esistenza di siffatte circostanze mediante una richiesta in tal senso.

    83. Occorre quindi respingere la censura relativa alla violazione dei diritti della difesa nel procedimento dinanzi al Tribunale, senza che si debba l'esaminare in dettaglio se l'ingiunzione di presentare documenti nel corso della fase orale corrispondesse alle esigenze di una trattazione regolare. Per questo motivo il procedimento d'impugnazione non necessitava neanche di misure di organizzazione del procedimento per un ulteriore chiarimento sul corso della fase orale dinanzi al Tribunale di primo grado.

    2) Violazione dei diritti della difesa nel corso del procedimento amministrativo prima dell'adozione della decisione

    a) Argomenti delle parti

    84. Le ricorrenti ritengono che il Tribunale abbia constatato a torto che nel corso del procedimento amministrativo non vi è stata violazione né dei diritti della difesa spettanti all'ACB né del principio del contraddittorio. Il Tribunale avrebbe dovuto tenere conto del fatto che, con lettere del 18 gennaio e del 28 marzo 1996, l'ACB aveva espresso la necessità di un'audizione e chiesto di conoscere lo stato del procedimento. La Commissione avrebbe avuto l'obbligo di rispondere a tali lettere e di chiedere ulteriori ragguagli per soddisfare il suo obbligo di informazione.

    85. Di conseguenza, nonostante l'ACB non fosse stata associata in maniera adeguata al procedimento amministrativo, il Tribunale avrebbe addebitato sia ad essa che alla Falck di non aver fornito informazioni alla Commissione su diversi punti. Qualora le interessate fossero state sentite, la decisione della Commissione avrebbe avuto un tenore diverso, in quanto l'ACB e la Falck avrebbero potuto presentare osservazioni sui punti in questione nel corso del procedimento amministrativo.

    86. Secondo la Repubblica italiana, vero è che il procedimento amministrativo sarebbe stato avviato nei confronti dello Stato membro, tuttavia anche i beneficiari degli aiuti, sui cui diritti andrebbe ad incidere il procedimento, dovrebbero avere la possibilità di manifestare il proprio parere. Ciò è quanto sarebbe previsto all'art. 6, n. 4, del quinto codice e alle corrispondenti disposizioni degli altri codici. I diritti della difesa verrebbero privati di significato se la Commissione potesse limitarsi ad intimare alle parti di presentare osservazioni nella decisione di avvio del procedimento di indagine formale. In ogni caso la Commissione avrebbe dovuto rispondere alle lettere dell'ACB.

    87. La Commissione constata in primo luogo, in linea generale, che le ricorrenti non si sono avvalse della possibilità di presentare osservazioni nel corso del procedimento amministrativo. Di conseguenza esse non potrebbero richiamare dinanzi al Tribunale fatti che avrebbero potuto far valere già nel procedimento dinanzi alla Commissione. Non sussisterebbe per la Commissione l'obbligo di esaminare d'ufficio i motivi che un privato interessato avrebbe potuto sollevare .

    88. Dinanzi al Tribunale sarebbe stata contestata solo la violazione dei diritti della difesa spettanti all'ACB. La censura sollevata per la prima volta nel procedimento d'impugnazione anche in relazione ai diritti della Falck sarebbe irricevibile.

    89. Poiché gli Stati membri sarebbero i destinatari della decisione relativa agli aiuti, la Commissione sarebbe tenuta a svolgere un procedimento in contraddittorio unicamente con loro. Anche il regolamento (CE) del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659, recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del Trattato CE (in prosieguo: il «regolamento n. 659/1999») , stabilirebbe soltanto che, all'avvio del procedimento di indagine formale, alle parti diverse dallo Stato membro interessato va data la possibilità di presentare le proprie osservazioni.

    b) Analisi

    aa) Ricevibilità della censura relativa alla violazione dei diritti della difesa spettanti alla Falck

    90. In limine occorre constatare che, ricollegandosi alla corrispondente censura sollevata dall'ACB, la Falck - contrariamente a quanto sostiene la Commissione - ha fatto valere già nella sua memoria di intervento in primo grado [pag. 2, punto 1, lett. a)] la violazione dei propri diritti in difesa. Pertanto detto argomento è ricevibile.

    bb) Diritti della difesa

    91. Il Trattato CECA non contiene disposizioni equivalenti all'art. 88 CE in materia di procedura di esame degli aiuti, poiché l'art. 4, lett. c), vieta agli Stati membri di concedere aiuti in qualsiasi forma. Derogando a tale divieto, i codici degli aiuti alla siderurgia consentono di erogare aiuti a talune condizioni. Ai sensi dell'art. 1, n. 3, in combinato disposto con l'art. 6 del quinto codice, ogni aiuto dev'essere notificato prima della sua concessione e autorizzato dalla Commissione . L'art. 6 del quinto codice illustra in dettaglio la procedura di autorizzazione, inclusa l'audizione degli Stati membri e dei privati interessati. L'art. 6, n. 4, prima frase, così recita:

    «Qualora la Commissione, dopo aver intimato agli interessati di presentare le loro osservazioni, constati che un aiuto non è compatibile con le disposizioni della presente decisione, informa lo Stato membro interessato [che ha chiesto l'autorizzazione dell'aiuto] della propria decisione».

    92. Tale disposizione, su cui la Commissione ha fondato la propria comunicazione di avvio del procedimento (pubblicata nella Gazzetta ufficiale C 344, 22 dicembre 1995), disciplina i diritti della difesa spettanti alle parti in termini analoghi alla formulazione dell'art. 88, n. 2, CE. Tra gli interessati figura in particolare il beneficiario dell'aiuto . Tuttavia, l'art. 6 del quinto codice concerne in primo luogo la procedura di notifica e di esame di aiuti non ancora concessi. Non è del tutto chiaro in quale misura tale disposizione sia applicabile anche nel caso di aiuti non notificati e già in atto .

    93. Tuttavia in questa sede si può soprassedere alla detta questione, poiché in una costante giurisprudenza la Corte ha stabilito che «il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento instaurato a carico di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario e va garantito anche se non v'è una normativa specifica» . In quanto l'art. 6, n. 4, del quinto codice costituisce una normativa di diritto derivato applicabile, essa va comunque interpretata alla luce del principio giuridico generale.

    94. Ai punti 44 e 45 della sentenza impugnata il Tribunale constata, richiamando la sua pronuncia nelle cause riunite T-371/94 e T-394/94 , che, da un lato, nessuna disposizione impone di sentire il beneficiario di un aiuto e che questi non si può valere dei diritti della difesa spettanti al destinatario. Dall'altro lato, il beneficiario dispone nondimeno del diritto di essere associato al procedimento in misura adeguata, tenuto conto delle circostanze del caso di specie.

    95. Confrontandola con la sentenza British Airways, si potrebbe intendere la detta constatazione nel senso che solo il destinatario della decisione ha diritto ad un'audizione, mentre sentire altre parti costituisce una sorta di misura istruttoria che aiuta la Commissione ad ottenere ulteriori informazioni mediante i pareri espressi in tal modo. Portando all'estremo questo ragionamento, in singoli casi la Commissione potrebbe rinunciare del tutto ad ascoltare gli interessati, nella misura in cui tale fase non è disciplinata in maniera specifica e se la Commissione dispone già di informazioni sufficienti. Tuttavia una siffatta interpretazione giuridica non terrebbe conto del principio dei diritti della difesa.

    96. I diritti della difesa costituiscono un diritto individuale spettante a chiunque possa essere pregiudicato dalla decisione adottata nei propri diritti o in interessi meritevoli di tutela giuridica. In tal senso, nelle sentenze citate , la Corte ha dichiarato che occorre rispettare i diritti della difesa in qualsiasi procedimento a carico di una persona che possa sfociare in un atto per essa lesivo. Vero è che detta constatazione si riferiva ogni volta allo Stato membro destinatario di una siffatta decisione; tuttavia, interessato è anche il beneficiario di un aiuto che la Commissione considera incompatibile con il mercato comune. Infatti, qualora si confermi la prima valutazione della Commissione, il procedimento si conclude di norma con una decisione di recupero, che non lascia allo Stato membro alcun potere discrezionale. Tale decisione riguarda direttamente la situazione giuridica del beneficiario dell'aiuto che, perciò, può anche proporre ricorso ai sensi dell'art. 33, n. 2, del Trattato CECA ovvero dell'art. 230, quarto comma, CE, pur non essendo il destinatario della decisione.

    97. Il Tribunale fonda la tesi secondo cui la comunicazione avrebbe unicamente carattere informativo e non sarebbe soggetta al principio dei diritti della difesa in particolare su una dichiarazione contenuta nella sentenza 12 luglio 1973 , in cui la Corte si è pronunciata sulla questione se al momento della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della comunicazione relativa all'apertura di una procedura di esame di un aiuto già concesso venga meno il legittimo affidamento sulla regolarità dell'aiuto. In conclusione la Corte ha rifiutato di trarre dalla comunicazione simili conseguenze giuridiche per i singoli. La constatazione citata si colloca quindi in un contesto del tutto diverso e non riguarda i diritti della difesa.

    98. Corrisponde alla connotazione di diritto positivo dei diritti della difesa che all'apertura della procedura di esame ai sensi dell'art. 6, n. 4, del quinto codice o del procedimento di cui all'art. 88, n. 2, CE all'interessato beneficiario dell'aiuto venga data la possibilità di esprimersi sulle circostanze della fattispecie. La Corte parla espressamente di garanzie procedurali previste per le parti dall'art. 88, n. 2, CE . Anche l'avvocato generale Tesauro, nelle conclusioni presentate nella causa Cook , sottolinea che il procedimento di indagine formale di cui all'art. 88, n. 2, CE, oltre ad avere funzione informativa, garantisce le prerogative della difesa.

    99. Affinché possa far valere il proprio parere nei confronti della Commissione, il beneficiario dell'aiuto dev'essere informato sulle valutazioni sostanziali che hanno indotto la Commissione ad avviare il procedimento. Esso deve poter «presentare osservazioni» in merito a dette considerazioni entro un termine stabilito dalla Commissione.

    100. Per contro, dal principio dei diritti della difesa non discende che il beneficiario dell'aiuto instauri un dialogo con la Commissione e possa anche replicare nell'ambito di un procedimento in contraddittorio agli argomenti dedotti dallo Stato membro che ha concesso l'aiuto o da altre parti interessate. E' possibile che il Tribunale intenda per «sentire», termine che figura al punto 44 della sentenza impugnata, proprio un intervento di ampio respiro di questo tipo e respinga perciò - in questo senso a ragione - un corrispondente diritto del beneficiario dell'aiuto.

    101. Il fatto che un beneficiario di un aiuto non possa essere associato al procedimento con le stesse modalità dello Stato membro interessato discende, da un lato, dalla circostanza che oggetto del procedimento è una misura dello Stato membro . E' verosimile che il soggetto che ha concesso l'aiuto possa fornire prima di tutti gli altri informazioni sulla situazione di fatto e di diritto e sulle sue considerazioni in relazione alla misura di sostegno. Pertanto a tale soggetto spetta chiarire e giustificare dinanzi alla Commissione il proprio comportamento, cooperando eventualmente nella pratica con il beneficiario dell'aiuto. In conclusione, è lo Stato membro il destinatario della decisione della Commissione .

    102. Dall'altro lato, all'equiparazione tra Stato membro e beneficiario dell'aiuto nel procedimento dinanzi alla Commissione si frappongono anche motivi pratici. Infatti, spesso - in particolare in caso di normative generali in materia di aiuti - è vasta la cerchia di imprese che beneficia di una misura. Inoltre non vanno sentiti solo i beneficiari dell'aiuto in qualità di parti interessate, ma anche i loro concorrenti e le associazioni di categoria. Ciò può infine portare a prolungate trattative tra Commissione e Stato membro. Concedere a tutte le parti il diritto di essere associate al procedimento in ogni fase con le stesse modalità dello Stato membro interessato comporterebbe spese notevoli e condurrebbe a ritardi procedurali inaccettabili. Pertanto la constatazione del Tribunale è condivisibile nei limiti in cui afferma che il beneficiario dell'aiuto non gode degli stessi diritti procedurali concessi allo Stato membro interessato.

    103. Dalle considerazioni che precedono deriva che il beneficiario di un aiuto non può pretendere dalla Commissione un'intimazione individuale a presentare osservazioni. E' invece sufficiente che la Commissione renda note mediante pubblicazione di una comunicazione nella Gazzetta Ufficiale le principali considerazioni che l'hanno indotta ad avviare il procedimento e dia agli interessati la possibilità di far valere il proprio punto di vista . Ciò vale in ogni caso se il beneficiario dell'aiuto è un operatore economico da cui ci si può aspettare, in generale, che prenda conoscenza di pubblicazioni rilevanti nella Gazzetta Ufficiale.

    cc) Rispetto dei diritti della difesa nel caso di specie

    104. Nello svolgimento del procedimento, la Commissione ha osservato i principi sopra enunciati.

    105. La comunicazione pubblicata nella Gazzetta ufficiale C 344 del 22 dicembre 1995 riporta la lettera del 1° agosto 1995 indirizzata all'Italia e richiama le principali valutazioni di fatto e di diritto su cui si è basata la Commissione. I terzi interessati potevano inequivocabilmente presentare osservazioni sulle misure in questione entro il termine di un mese a far data dalla pubblicazione della comunicazione. Dalla comunicazione nella Gazzetta Ufficiale emerge inoltre che eventuali pareri fatti valere da terzi interessati vanno portati a conoscenza del governo italiano. Anche da ciò risulta che le osservazioni dovevano essere espresse per iscritto e non durante un'audizione (orale).

    106. Sia la Falck che l'ACB dispongono, in quanto imprese siderurgiche, delle conoscenze necessarie. Inoltre, già in passato sono state beneficiarie di aiuti che hanno costituito oggetto di procedimenti dinanzi alla Commissione. L'ACB è anche venuta a conoscenza della pubblicazione in tempo utile, come si desume dalla sua lettera del 18 gennaio 1996, in cui fa esplicito riferimento alla comunicazione. Ciononostante, né l'ACB né la Falck hanno presentato alla Commissione osservazioni nel merito, pur avendone avuto l'opportunità.

    107. Tuttavia sembra che l'ACB, nelle sue lettere del 18 gennaio e del 28 marzo 1996 , sia erroneamente partita dal presupposto di poter chiedere di essere consultata e sentita nell'ambito del procedimento avviato. Occorre valutare le conseguenze derivanti dal fatto che la Commissione non ha dato riscontro a tali lettere.

    108. Il principio di buona amministrazione impone che le autorità rispondano alle lettere ricevute. Ad esempio, la Commissione avrebbe potuto richiamare l'opportunità, già offerta nella comunicazione, di presentare osservazioni, chiarendo all'ACB che non era prevista un'ulteriore associazione del beneficiario dell'aiuto al procedimento. L'ACB avrebbe ancora potuto presentare osservazioni in merito, se del caso giustificando il ritardo. Va senza dubbio criticata la scortese mancanza di risposta.

    109. Tuttavia il principio di buona amministrazione non si estende al punto da attribuire alla Commissione anche l'obbligo giuridico di fornire chiarimenti all'ACB in merito ad un eventuale errore giuridico. L'obbligo generale di rispondere alle lettere non ha un nesso così stretto con le garanzie procedurali del beneficiario dell'aiuto che una sua violazione possa condurre all'annullamento della decisione.

    110. Di conseguenza, il Tribunale ha correttamente concluso che la Commissione non ha violato i diritti della difesa spettanti all'ACB e alla Falck. Pertanto, il primo motivo di ricorso va disatteso.

    dd) Conseguenze in ordine all'obbligo di informazione della Commissione e all'ammissibilità di nuovi argomenti dinanzi al Tribunale

    111. Il procedimento ai sensi dell'art. 6, n. 4, del quinto codice deve fornire alla Commissione la necessaria conoscenza di tutti gli elementi di fatto e di diritto, affinché essa possa effettuare una valutazione imparziale tenendo conto di tutti i punti di vista e possa adottare una decisione sufficientemente motivata .

    112. Se la Commissione ha fornito alle parti interessate, come previsto dalle disposizioni procedurali, l'opportunità di presentare osservazioni senza che queste ne abbiano fatto uso, ha assolto il proprio obbligo di informazione. Di norma essa non è tenuta a raccogliere altre informazioni dalle parti, anzi può considerare corrette le supposizioni di fatto che ha posto come fondamento nella comunicazione dell'avvio del procedimento. Solo nel caso in cui una parte si opponga in maniera sostanziale a dette supposizioni, la Commissione deve procedere ad altre verifiche. La mera constatazione dell'ACB nella lettera del 18 gennaio 1996, secondo cui era necessaria una sua audizione, non è atta - in mancanza di riferimenti alle motivazioni concrete - a fondare un'ulteriore necessità di chiarimenti.

    113. La Commissione ritiene che le ricorrenti dovessero vedersi opporre dinanzi al Tribunale il fatto di non aver preso parte al procedimento amministrativo. Come la Corte ha statuito nella sentenza 14 dicembre 1994 , uno Stato membro non può giovarsi dinanzi al Tribunale di circostanze di fatto che non ha fatto valere nel procedimento amministrativo. Ciò sarebbe altrettanto valido per i terzi interessati.

    114. Tuttavia, l'equiparazione dei terzi interessati allo Stato membro in relazione alla preclusione di sollevare nuovi argomenti dinanzi al Tribunale non è giustificata. Infatti, come osservato in precedenza, nel procedimento amministrativo i terzi non godono degli stessi diritti del destinatario. Mentre gli Stati membri possono instaurare un dialogo con la Commissione e replicare anche ad osservazioni di altri Stati membri e di terzi , le altre parti interessate possono eventualmente, solo dopo l'avvio della procedura di cui all'art. 6, n. 4, del quinto codice, presentare osservazioni entro un breve termine (nella fattispecie: un mese).

    115. Non è giustificato addebitare loro, unicamente a motivo della detta possibilità, un onere generale di esporre i propri argomenti nel procedimento amministrativo. A tale riguardo occorre considerare che i terzi interessati dispongono quale fonte d'informazione solo della comunicazione della Commissione sull'avvio del procedimento. Perciò, in effetti agli interessati non è precluso in linea di principio dedurre fatti nuovi dinanzi al Tribunale. Tuttavia vige il principio secondo cui la Commissione emette la propria decisione alla luce delle informazioni di cui dispone al momento della sua adozione . Qualora il beneficiario dell'aiuto non ritenga corretti i fatti posti dalla Commissione a fondamento della comunicazione relativa all'avvio del procedimento, deve opporsi in maniera sostanziale a tali supposizioni già nel procedimento amministrativo. Nel caso il beneficiario dell'aiuto non si avvalga di tale possibilità, nel procedimento giurisdizionale esso non ha più il diritto di contestare alla Commissione che la decisione si fonderebbe su un'erronea valutazione dei fatti.

    3) Fondamento giuridico della decisione impugnata

    a) Argomenti delle parti

    116. Le ricorrenti contestano al Tribunale di non aver censurato il fatto che la Commissione abbia applicato come fondamento giuridico della decisione impugnata, senza fornire motivazioni dettagliate, il quinto codice e non i codici precedenti in vigore all'epoca della concessione degli aiuti. Il Tribunale si sarebbe fondato sull'ambito di applicazione del codice, limitato ratione temporis, trascurando il fatto che il regime del divieto originario di cui all'art. 4, lett. c), del Trattato CECA si sarebbe convertito, attraverso una prassi ventennale, in una liceità regolamentata in modo duraturo di taluni aiuti. Indipendentemente dalle disposizioni procedurali vigenti di volta in volta al momento dell'adozione di una decisione, occorrerebbe fondarsi, sotto il profilo del diritto materiale, sul codice in vigore al momento della concessione dell'aiuto. Anche il servizio giuridico della Commissione avrebbe sostenuto tale interpretazione giuridica nella nota interna del 18 luglio 1990. L'applicazione retroattiva del quinto codice violerebbe il principio della certezza del diritto e il principio «tempus regit actum».

    117. Secondo la Falck, vero è che nella decisione 91/176 la Commissione non si sarebbe fondata sul codice vigente alla data della concessione dell'aiuto, ma pur sempre sul codice applicabile alla data dell'erogazione dell'aiuto. L'applicazione del codice in vigore alla data di adozione della decisione rimetterebbe di fatto alla Commissione la scelta del fondamento giuridico, in quanto essa potrebbe stabilire il momento di adozione della decisione.

    118. L'ACB adduce infine una serie di circostanze che avrebbero generato il suo legittimo affidamento sul fatto che la Commissione avrebbe applicato i codici in vigore alla data della concessione dell'aiuto. Ciò emergerebbe, da un lato, dalla nota del servizio giuridico della Commissione nonché dagli altri documenti redatti dagli uffici della Commissione, prodotti dall'ACB come allegati alla risposta al quesito posto dal Tribunale. Dall'altro lato, la Commissione avrebbe proceduto in tal modo anche nella decisione 91/176.

    119. Il governo italiano si associa all'argomento delle ricorrenti.

    120. Per contro la Commissione ritiene che il proprio potere di autorizzare un aiuto derivi solo dal codice di volta in volta in vigore. Sarebbe da escludersi l'applicazione di un codice non più valido al momento dell'adozione della decisione. Significativamente, i codici non menzionerebbero mai la possibilità di autorizzare un aiuto non notificato.

    121. Le ricorrenti non potrebbero invocare il principio della certezza del diritto già a motivo del fatto che gli aiuti non erano stati previamente notificati. Vero è che la decisione 91/176 non sarebbe del tutto corretta, in quanto considera applicabile il codice in vigore al momento dell'erogazione dell'aiuto. Tuttavia tale vizio sarebbe privo di effetti giuridici poiché la normativa applicata coinciderebbe con quella del codice in vigore al momento dell'adozione della decisione.

    122. Dato che le ricorrenti non avrebbero partecipato al procedimento amministrativo, esse non potrebbero neanche invocare ora un'insufficiente motivazione. La Commissione contesta che i documenti di cui chiede lo stralcio dal fascicolo conducano alle conclusioni tratte dalle ricorrenti. Infine, il motivo di ricorso andrebbe respinto già solo per il fatto che gli aiuti, come indicato nella decisione impugnata, non avrebbero potuto essere autorizzati neanche applicando il secondo codice.

    b) Analisi

    123. La determinazione del codice applicabile presenta particolari difficoltà in quanto i codici non contengono norme procedurali esplicite per gli aiuti non notificati. Il legislatore è apparentemente partito dal presupposto che gli aiuti vengano sempre notificati ed esaminati nel periodo di validità di un codice, nel qual caso non si pone la questione del codice applicabile. Perciò i codici non contengono neanche norme transitorie che precisino quale codice vada applicato a fattispecie precedenti . Unicamente l'art. 13 del secondo codice presenta una disposizione transitoria, tuttavia non applicabile nel caso di specie.

    124. Prima di approfondire la questione relativa al codice da utilizzare come fondamento giuridico della decisione, occorre esaminare l'ultimo argomento dedotto dalla Commissione, con cui essa in definitiva contesta alle ricorrenti un interesse a tale constatazione.

    aa) Interesse delle ricorrenti all'applicazione del secondo codice

    125. Effettivamente le ricorrenti non potrebbero vittoriosamente sostenere che non era applicabile il quinto codice, bensì quello in vigore al momento della concessione dell'aiuto, ove si accerti che gli aiuti non avrebbero potuto essere autorizzati neanche in forza di quest'ultimo.

    126. Occorre anzitutto notare che la decisione si riferisce ad aiuti concessi nel periodo 1983-1988 (ma la restituzione è stata chiesta solo per gli aiuti concessi a far data dal 1° gennaio 1986). Con effetto dal 1° gennaio 1986 il terzo codice ha sostituito il secondo codice. Di conseguenza la decisione - seguendo il ragionamento delle ricorrenti - non andrebbe fondata solo sul secondo codice, ma anche sul terzo.

    127. Tuttavia non spetta al giudice comunitario esaminare la questione se gli aiuti potessero essere autorizzati in forza dei codici precedenti. Tale verifica, che presuppone l'analisi di situazioni economiche complesse, andrebbe piuttosto condotta dalla Commissione.

    128. Vero è che nella parte III della decisione impugnata la Commissione ha constatato, incidentalmente, che non sussistono i requisiti per un'autorizzazione ai sensi dell'art. 2, n. 1, del secondo codice. Tale disposizione concerne gli aiuti alla ristrutturazione. Tuttavia la Commissione non ha proceduto ad un controllo esaustivo degli aiuti sulla base delle disposizioni del secondo codice. Essa non ha operato una distinzione in funzione del secondo e del terzo codice né ha tenuto conto delle disposizioni specifiche di detti codici in materia di aiuti a favore degli investimenti per quanto riguarda misure per i risparmi energetici e la tutela dell'ambiente (artt. 3 del secondo e del terzo codice), di aiuti per il mantenimento in attività (art. 5 del secondo codice) o di aiuti per la ricerca e lo sviluppo (art. 7 del secondo codice e art. 2 del terzo codice), nonostante la loro probabile pertinenza.

    129. Le citate disposizioni del secondo e del terzo codice si discostano notevolmente dalle corrispondenti norme di cui al quinto codice. Per quanto attiene agli aiuti per la ricerca e lo sviluppo nonché agli aiuti per la tutela dell'ambiente, il quinto codice rinvia, a differenza del secondo e del terzo, alle normative comunitarie di volta in volta vigenti. Non è più consentito concedere aiuti per il mantenimento in attività. Infine, è ancora possibile accordare aiuti agli investimenti previsti da regimi generali solo in determinate regioni.

    130. Dopo un breve excursus del secondo codice, la Commissione procede quindi, con le parole «[e]saminando ora gli aiuti in oggetto sotto il profilo del vigente codice degli aiuti alla siderurgia (...)», al vero esame degli aiuti sulla base del quinto codice.

    131. Poiché, di conseguenza, la Commissione ha fondato la sua decisione per lo più sul quinto codice ed ha valutato l'applicazione del secondo codice solo in relazione a misure a favore della ristrutturazione, non è dato escludere nel complesso un'autorizzazione degli aiuti in forza del secondo e del terzo codice.

    bb) Applicazione del codice vigente al momento della concessione degli aiuti

    132. Per accertare se la Commissione avrebbe dovuto fondarsi sul codice in vigore al momento della concessione degli aiuti, nonostante esso fosse già decaduto alla data in cui è stata adottata la decisione, occorre richiamare il regime degli aiuti istituito dal Trattato CECA.

    133. Il Tribunale ha illustrato correttamente i fondamenti di tale regime ai punti 59 e segg. della sentenza impugnata. Punto di partenza del regime è il divieto generale di aiuti sancito dall'art. 4, lett. c), del Trattato CECA. I codici fondati sull'art. 95 del Trattato CECA consentono deroghe purché gli aiuti concessi dagli Stati membri siano conformi agli obiettivi perseguiti dalla politica siderurgica comunitaria . I codici giungono persino a definire come «aiuti comunitari» gli aiuti rispondenti alle condizioni da essi definite . Con l'adozione dei codici la Comunità reagiva alla specifica situazione del settore siderurgico negli anni ottanta, caratterizzata da una forte necessità di ristrutturazione.

    134. I codici che si sono susseguiti e sostituiti di volta in volta non hanno in alcun modo sovvertito detto rapporto tra regola ed eccezione, come ritengono le ricorrenti. Ogni codice ha piuttosto introdotto una nuova versione delle eccezioni adeguata alla specifica fase di sviluppo tecnico ed economico dell'industria siderurgica. Mediante la struttura dei codici il legislatore ha voluto proprio far sì che la concessione di aiuti non avesse carattere permanente, bensì rimanesse un'eccezione ad hoc per una determinata situazione limitata ratione temporis.

    135. La validità dei codici era limitata ex ante ad un periodo compreso tra due e cinque anni e mezzo. A far data dal secondo codice, i codici prevedono termini di notifica, che la Corte, già nella causa 214/83, ha qualificato come perentori . Detti termini sono volti a garantire che i progetti di aiuti vengano notificati alla Commissione in tempo utile affinché l'autorizzazione e l'erogazione possano avvenire ancora nel periodo di validità del codice. In caso di mancata osservanza del termine di notifica la Commissione perde la facoltà di autorizzare gli aiuti.

    136. A partire dall'adozione del secondo codice, i codici dispongono inoltre che il versamento di un aiuto concesso in forza di un codice non può più avere luogo dopo l'abrogazione dello stesso. Tale disposizione garantisce che un aiuto, compatibile in un determinato momento, secondo la valutazione del legislatore, con la situazione della concorrenza, non venga corrisposto ancora in un'epoca successiva, in cui eventualmente detta situazione abbia già subito cambiamenti. Per taluni tipi di aiuto, i codici stabiliscono in parte persino termini di versamento che scadono prima della decadenza del codice . Se dopo il periodo di validità del codice non è legittimo neppure il versamento di un aiuto già autorizzato, a maggior ragione è escluso il conferimento di un'autorizzazione in forza del codice non più in vigore.

    137. L'argomento delle ricorrenti e del governo italiano, volto a fondare le attribuzioni procedurali della Commissione sul codice vigente e a trarre dal secondo o dal terzo codice solo la disciplina sostanziale, non è fondato. Norme procedurali e norme sostanziali dei rispettivi codici costituiscono un complesso unitario. Il legislatore non voleva affatto introdurre un regime generale di autorizzazione degli aiuti in deroga all'art. 4, lett. c), del Trattato CECA, in cui si applichino solo disposizioni sostanziali di volta in volta diverse. I codici conferiscono alla Commissione, sia dal punto di vista sostanziale che procedurale, solo poteri temporanei. Quando un codice non è più in vigore, la Commissione non può più derivarne alcun potere.

    138. Pertanto il Tribunale ha correttamente dichiarato che, dopo la scadenza della validità di un codice, la Commissione non può più autorizzare un aiuto al settore siderurgico in forza dell'eccezione ivi prevista.

    cc) Applicazione del codice in vigore al momento dell'adozione della decisione della Commissione

    139. La Commissione ha fondato la sua decisione sul quinto codice, in vigore al momento dell'adozione della stessa. Essa ha, con ciò, applicato detto codice ad aiuti che non sono stati notificati prima di essere erogati e prima della scadenza del termine di cui all'art. 6, nn. 1, terza frase, ovvero 2, del quinto codice.

    140. Come si evince dalla lettera della disposizione, l'art. 6 del quinto codice, come pure le corrispondenti disposizioni dei codici precedenti, parte dal presupposto che gli Stati membri notifichino tutte le misure prima della loro attuazione ed entro il termine perentorio fissato. Questo spiega anche perchè l'art. 6, n. 4, non prescrive di per sé l'audizione dello Stato membro che ha concesso l'aiuto. Infatti l'audizione è superflua quando lo stesso Stato membro ha notificato l'aiuto. Come rileva correttamente la Commissione, i codici non disciplinano esplicitamente il caso dell'aiuto non notificato.

    141. Tuttavia, quanto precede non consente di concludere che qualsiasi aiuto debba essere dichiarato incompatibile con il disposto del codice per il semplice fatto di non essere stato notificato entro i termini stabiliti. Contrasterebbe con la filosofia del diritto comunitario in materia di aiuti trarre da una mera irregolarità formale l'incompatibilità di una misura con le disposizioni in materia di aiuti . In definitiva è determinante la compatibilità con le norme sostanziali, come emerge anche dall'art. 1, n. 1, del quinto codice, secondo cui gli aiuti «possono essere considerati aiuti comunitari e pertanto compatibili con il corretto funzionamento del mercato comune, soltanto se conformi alle disposizioni degli articoli da 2 a 5».

    142. Peraltro, all'applicazione retroattiva del quinto codice potrebbe ostare il carattere ad hoc dei codici di volta in volta vigenti. Come osservato, i codici costituiscono una reazione limitata nel tempo ad una determinata situazione economica del settore siderurgico. Qualora ci si basasse retroattivamente su un codice successivo, diverrebbero applicabili normative ispirate da una situazione diversa da quella esistente al momento della concessione dell'aiuto.

    143. Occorre tuttavia considerare che l'effetto derivante da un aiuto illegittimo perdura fino alla sua restituzione. Anche se il vantaggio non trova più riscontro diretto nel bilancio dell'impresa a distanza di anni dalla concessione dell'aiuto, quest'ultimo ha rafforzato però in maniera durevole la posizione concorrenziale del beneficiario rispetto alle altre imprese che non hanno ottenuto sovvenzioni .

    144. La Commissione non ha il compito di collocarsi retrospettivamente al momento della concessione dell'aiuto e giudicarne solo l'effetto prodotto all'epoca. Essa deve piuttosto tutelare la concorrenza attuale, valutando l'effetto (perdurante) che deriva dall'aiuto in base ai criteri applicabili al momento dell'adozione della decisione.

    dd) Tutela del legittimo affidamento

    145. In linea di principio, la tutela del legittimo affidamento in una determinata prassi della Commissione viene in esame solo se la Commissione mediante detta prassi esercita un potere discrezionale concessole. Tuttavia la questione relativa a quale codice applicare è una questione di diritto e va in definitiva valutata dalla Corte, senza che competa alla Commissione un potere discrezionale in proposito.

    146. Quindi, anche se in passato la Commissione ha ritenuto che si dovesse sempre applicare il codice in vigore al momento della concessione o del versamento di un aiuto , tale circostanza non può far nascere nelle ricorrenti un legittimo affidamento. Questa conclusione si impone a maggior ragione per il fatto che l'interpretazione sostenuta dalla Commissione non è scevra da vizi.

    147. Infine, le ricorrenti non possono trarre dalla nota interna del servizio giuridico alcuna valutazione giuridica. Da un lato, la nota non è stata portata a conoscenza delle ricorrenti dalla Commissione né pubblicata. Anche se così fosse stato, dal documento emerge chiaramente che esso non costituisce un parere definitivo della Commissione diretto all'esterno, bensì una semplice consulenza legale del servizio giuridico destinata agli uffici della Commissione competenti in materia di adozione della decisione.

    ee) Carenza di motivazione in merito al fondamento giuridico prescelto

    148. Non occorre approfondire la questione se le ricorrenti possano ancora far valere nell'ambito del procedimento dinanzi alla Corte questo argomento, da esse non dedotto nel corso del procedimento amministrativo. Infatti il Tribunale ha correttamente osservato ai punti 167 e segg. della sentenza impugnata che, per quanto attiene a questo punto, la motivazione della decisione è conforme ai requisiti.

    149. In particolare, dalla decisione stessa nonché dal relativo contesto, altrettanto rilevante secondo la giurisprudenza della Corte , è possibile trarre motivi sufficienti per l'applicazione del quinto codice. In tal senso, dalla decisione di avvio del procedimento emerge che la Commissione si è fondata sul quinto codice in quanto questo costituiva il solo fondamento giuridico in vigore al momento dell'adozione della decisione.

    150. Vero è che l'affermazione della Commissione, secondo cui il secondo codice sarebbe irrilevante a motivo del fatto che anche in base alle sue disposizioni si doveva escludere un'autorizzazione, appare piuttosto superficiale nel merito . Tuttavia ciò non costituisce una carenza di motivazione tale da giustificare l'annullamento della decisione.

    ff) Conclusione

    151. Poiché la Commissione ha legittimamente basato la sua decisione sul quinto codice e non sui codici applicabili al momento della concessione degli aiuti, il motivo di ricorso va respinto.

    4) Accertamento dei fatti e portata dell'esame

    152. Con diversi motivi di ricorso, le ricorrenti sollevano censure con cui contestano nel merito l'accertamento dei fatti da parte della Commissione e del Tribunale nonché la portata dell'analisi dei fatti. Esse sostengono, da un lato, che nella decisione impugnata la Commissione ha qualificato come incompatibile con il mercato comune una misura su cui invece si era già pronunciata in senso positivo nella decisione 91/176. In secondo luogo, le ricorrenti fanno valere che l'esistenza di deroghe al divieto di aiuti non è stata esaminata in maniera sufficiente.

    a) Valutazione di incompatibilità di un aiuto già esaminato nella decisione 91/176

    aa) Argomenti delle parti

    153. Per quanto attiene al primo aspetto citato, le ricorrenti deducono che la Commissione avrebbe adottato due decisioni contraddittorie in merito all'aiuto concesso con delibera della provincia autonoma di Bolzano n. 7673 del 14 dicembre 1987. Il prestito menzionato nella decisione impugnata, pari a ITL 6,321 miliardi, avrebbe già costituito oggetto della decisione 91/176. L'importo da rimborsare sarebbe stato calcolato in modo erroneo; ammonterebbe solo a ITL 4,4 miliardi. Il Tribunale non avrebbe contestato tale incongruenza e avrebbe unicamente osservato che la Commissione era tenuta a prendere in considerazione solo le informazioni disponibili al momento dell'adozione della decisione.

    154. La Commissione ritiene che la censura sia irricevibile, in quanto non sarebbe stata sollevata nel corso del procedimento amministrativo. Inoltre si tratterebbe di una questione di fatto su cui si è pronunciato il Tribunale. Nel merito la Commissione ritiene che le ricorrenti non abbiano provato in quale misura le due decisioni riguardino lo stesso aiuto. La decisione 91/176 concernerebbe un prestito pari a ITL 6,5 miliardi ad un tasso d'interesse del 4,5% e della durata di 12 anni, richiesto il 2 gennaio 1982 e accordato il 14 febbraio 1983 con delibera n. 784. Non sarebbe chiaro come tale aiuto possa coincidere con un prestito pari a ITL 13,306 miliardi, ad un tasso d'interesse del 3% e della durata di 7 anni, richiesto il 3 luglio 1986 e concesso il 14 dicembre 1987 con delibera n. 7673, e versato in due rate pari a ITL 6,321 miliardi il 10 marzo 1988 e a ITL 987 milioni il 30 gennaio 1989.

    bb) Analisi

    155. La censura è ricevibile. Non era formalmente precluso alle ricorrenti presentarla dinanzi al Tribunale . Neanche la limitazione del procedimento d'impugnazione a questioni di diritto si oppone alla censura. Infatti vengono comunque sollevate anche questioni di diritto.

    156. Il Tribunale non ha formulato constatazioni proprie sui fatti, bensì si è limitato a rilevare che la Commissione, in base alle informazioni in suo possesso al momento dell'adozione della decisione, non ha dato una valutazione dei fatti manifestamente erronea. In mancanza di dati contrari forniti dal governo italiano e dalle ricorrenti nel corso del procedimento amministrativo, non vi erano elementi per concludere che la valutazione dei fatti non fosse corretta. Stabilire se questa attribuzione di un onere probatorio fosse legittima costituisce una questione di diritto.

    157. Unicamente al punto 141 della sentenza impugnata il Tribunale ha svolto, nell'ambito di un obiter dictum, considerazioni su come si possano conciliare le fattispecie sottese alle decisioni, senza tuttavia fondarvi la propria sentenza.

    158. L'incertezza sulla questione se la Commissione si sia pronunciata due volte sullo stesso aiuto deriva, inter alia, dalla descrizione non del tutto chiara dell'oggetto della decisione 91/176, la cui parte I così recita:

    «Nel dicembre 1987, le autorità della provincia autonoma di Bolzano hanno concesso alle Acciaierie di Bolzano (gruppo FALCK) un prestito agevolato di ITL 6 miliardi italiane (...) a sostegno di un investimento di ITL 23 miliardi italiane (...).

    Detto prestito, della durata di undici anni, è stato concesso al tasso d'interesse del 3,5% (...)».

    159. Più avanti si spiega che la concessione del prestito risale ad una delibera delle autorità della provincia di Bolzano del 14 febbraio 1983 e che, se è vero che la Commissione ne è stata tempestivamente informata, tuttavia - illegittimamente - il prestito è stato di fatto concesso solo dopo la scadenza del secondo codice, nel 1987.

    160. La decisione impugnata riporta tale aiuto nella parte I, lett. a), e, inoltre, un altro aiuto di diversa natura nella parte I, lett. d), fondato sulla delibera n. 7673 del 14 dicembre 1987. Di conseguenza la misura oggetto della decisione 91/176 né nella decisione impugnata né nella comunicazione relativa all'avvio del procedimento viene considerata come identica ad uno degli aiuti deliberati il 14 dicembre 1987.

    161. Le ricorrenti sostengono per contro che la decisione 91/176 concerne l'aiuto menzionato nella delibera n. 7673. Tuttavia esse non chiariscono in che misura esso ricomprenda l'aiuto di cui alla parte I, lett. a), della decisione impugnata. A tale riguardo si possono formulare diverse ipotesi. Da un lato, si potrebbe trattare esattamente dello stesso aiuto che figura anche alla lett. d). In questo caso la decisione sarebbe viziata da una contraddizione, poiché essa, da un lato, esclude dal proprio ambito di applicazione lo stesso aiuto di cui però, dall'altro lato, dispone la restituzione . La seconda possibilità sarebbe che si tratti di fatto di due misure distinte. Infine, potrebbe risultare esatta l'ipotesi del Tribunale che, al momento dell'adozione della decisione 91/176, la Commissione non fosse correttamente informata e che la sua supposizione secondo cui l'aiuto concesso nel dicembre 1987 coincideva con la misura pianificata già nel 1983 non fosse corretta, in quanto tale aiuto costituiva una misura del tutto nuova che perseguiva obiettivi completamente diversi.

    162. Nella sua comparsa di risposta il governo italiano non ha purtroppo presentato osservazioni su questo punto e non ha contribuito ad un chiarimento. Neanche gli argomenti dedotti dalla Commissione dinanzi alla Corte aiutano a definire la questione. In un primo momento essa aveva calcolato l'aiuto coperto dalla decisione 91/176 in ITL 5,6 miliardi, per poi correggerlo in ITL 6,5 miliardi. La durata doveva essere di 12 anni e il tasso d'interesse pari al 4,5% . Per contro, nella stessa decisione compaiono cifre del tutto diverse (6 miliardi, 11 anni e tasso d'interesse del 3,5%).

    163. Tuttavia è determinante che, al momento dell'adozione della decisione impugnata, sulla base delle informazioni in suo possesso la Commissione è partita dal presupposto che trattasse di due misure diverse. Poiché né il governo italiano né le ricorrenti hanno fatto riferimento nel corso del procedimento amministrativo ad un eventuale errore della Commissione, nonostante dalla comunicazione relativa all'avvio del procedimento d'indagine formale emergessero in maniera evidente i fatti su cui si era fondata la Commissione, va escluso un annullamento della decisione per questo motivo.

    164. Le ricorrenti non hanno motivato neppure l'ulteriore censura fatta valere in tale contesto, secondo cui la Commissione avrebbe stabilito in maniera erronea gli importi soggetti a restituzione. In particolare, esse non hanno chiarito in che senso la sentenza del Tribunale contenga a tale riguardo un errore di diritto.

    165. Il primo capo della censura va pertanto interamente respinto.

    b) Omesso esame delle deroghe al divieto di aiuti

    aa) Argomenti delle parti

    166. Le ricorrenti sostengono che, non essendo state sentite dalla Commissione, esse non hanno avuto modo di chiarire nel corso del procedimento amministrativo, ma solo dinanzi al Tribunale, che gli aiuti soddisfacevano effettivamente le condizioni per l'autorizzazione. Pertanto il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare nulla la decisione a motivo della violazione dei diritti della difesa o - alla luce dell'apprezzamento delle prove prodotte dall'ACB e dalla Falck - a motivo del fatto che la Commissione aveva valutato gli aiuti in maniera erronea.

    167. Il Tribunale avrebbe preso atto degli elementi probatori prodotti senza però trarne le debite conseguenze. Nel caso in cui i detti elementi non fossero stati sufficienti, il Tribunale avrebbe dovuto disporre una perizia. Inoltre il Tribunale non avrebbe tenuto conto degli argomenti dedotti dalla Falck all'udienza.

    168. Il governo italiano si oppone alla constatazione del Tribunale secondo cui le autorità italiane avrebbero dovuto addurre nel corso del procedimento amministrativo tutte le circostanze da cui emergeva la compatibilità dell'aiuto. Spetterebbe invece alla Commissione, che ha avviato il procedimento, procedere all'accertamento dei fatti.

    169. La Commissione ritiene che il Tribunale abbia adeguatamente individuato i limiti del sindacato giurisdizionale e valutato correttamente gli elementi probatori prodotti.

    bb) Analisi

    170. Con il secondo capo del presente motivo le ricorrenti contestano in sostanza sia alla Commissione che al Tribunale di non aver sufficientemente chiarito i fatti e di aver commesso un errore di valutazione in relazione all'esistenza dei requisiti per l'autorizzazione.

    171. Come osservato in precedenza, nel corso del procedimento amministrativo le ricorrenti hanno avuto sufficiente possibilità di addurre gli elementi di fatto che, a loro avviso, avrebbero provato una compatibilità degli aiuti con il codice. Nella comunicazione relativa all'avvio del procedimento di indagine formale la Commissione sottolineava che, sulla base delle informazioni in suo possesso, gli aiuti non rispondevano alle condizioni cui era subordinata l'ammissibilità di aiuti per la ricerca e lo sviluppo o di misure volte a sostenere la tutela dell'ambiente, i risparmi energetici o il miglioramento della qualità dei prodotti. Di conseguenza incombeva alla Repubblica italiana e alle ricorrenti far valere il proprio punto di vista divergente in proposito e corroborarlo con informazioni aggiuntive, come osserva giustamente il Tribunale al punto 116 della sentenza impugnata. Qualora non riceva indicazioni in merito all'inadeguatezza o incompletezza delle informazioni in suo possesso, la Commissione non è neppure tenuta a procedere d'ufficio ad un ulteriore accertamento dei fatti.

    172. Né la Commissione ha valutato i fatti in maniera manifestamente erronea. Il Tribunale giunge correttamente a tale conclusione attraverso le seguenti fasi della sua disamina. Esso constata in primo luogo che il sindacato giurisdizionale sull'analisi di situazioni economiche complesse è limitato all'accertamento di uno sviamento di potere o di un errore manifesto , tenuto conto che spetta alla parte ricorrente fornire elementi di fatto che facciano apparire non plausibile l'accertamento operato dalla Commissione. Il Tribunale esamina poi se la Commissione non abbia valutato i fatti dedotti dalla Repubblica italiana nel corso del procedimento amministrativo in maniera manifestamente erronea. A tale riguardo esso prende in considerazione gli elementi probatori prodotti dinanzi al Tribunale, in particolare il cosiddetto rapporto Andersen.

    173. Occorre anzitutto sottolineare che la legittimità della decisione nell'ambito di un ricorso di annullamento ai sensi dell'art. 33 del Trattato CECA dev'essere valutata sulla base delle informazioni di cui la Commissione disponeva al momento dell'adozione delle decisioni .

    174. A motivo di procedimenti anteriori aventi ad oggetto aiuti a favore dell'ACB e della Falck, la Commissione era a conoscenza di alcune circostanze. Nel corso del procedimento amministrativo essa ha potuto trarre ulteriori informazioni dalle indicazioni fornite dal governo italiano nonché dalle associazioni tedesca e britannica dei produttori di acciaio. Per contro, i fatti dedotti e gli elementi probatori prodotti dalle ricorrenti soltanto dinanzi al Tribunale sono rilevanti solo nella misura in cui fanno emergere errori manifesti di valutazione della Commissione riguardo ai fatti di cui essa era edotta al momento dell'adozione della decisione.

    175. Poiché, ai sensi dell'art. 32 quinquies del Trattato CECA, in combinato disposto con l'art. 51, primo comma, dello Statuto CECA, i ricorsi sono limitati a motivi di diritto, nell'ambito di tali procedimenti la Corte non può esaminare se il Tribunale abbia correttamente valutato gli elementi di fatto prodotti dalle ricorrenti come prova di errori manifesti di valutazione commessi dalla Commissione. In ogni caso, indipendentemente da ciò, le ricorrenti non hanno contestato errori di valutazione concreti a carico del Tribunale, né hanno indicato quali circostanze assertivamente dedotte dalla Falck all'udienza il Tribunale avrebbe ignorato.

    176. Se, in seguito all'esame di tali fatti, il Tribunale non nutriva dubbi sulla valutazione della Commissione, esso non era tenuto a procedere esso stesso ad un ulteriore chiarimento della fattispecie né, ad esempio, a disporre una perizia.

    177. Ne consegue che anche il secondo capo del motivo di ricorso va respinto.

    5) Mancata presa in considerazione delle conseguenze sugli scambi intracomunitari

    a) Argomenti delle parti

    178. Nell'ambito di questo motivo di ricorso l'ACB e la Falck contestano al Tribunale - che si sarebbe fondato sulla sentenza De Gezamenlijke Steenkolenmijnen del 1961 - di non aver tenuto conto del fatto che l'incidenza degli aiuti sugli scambi intracomunitari sarebbe stata solo di scarsa portata. Esso avrebbe trascurato il fatto che, secondo la più recente giurisprudenza , va rispettata la coerenza sistematica dei Trattati. Inoltre lo stesso Tribunale avrebbe dichiarato che non tutti gli aiuti sono incompatibili con il mercato comune, bensì che il divieto degli aiuti di cui all'art. 4, lett. c), del Trattato CECA va interpretato alla luce degli obiettivi del Trattato .

    179. Il governo italiano aggiunge che l'obbligo di tener conto dell'incidenza di un aiuto sulla concorrenza e sugli scambi intracomunitari costituirebbe un principio generale sancito dai Trattati e, quindi, verrebbe in rilievo anche nel caso di specie.

    180. Per contro, la Commissione ritiene che il divieto generale di aiuti di Stato sancito dall'art. 4, lett. c), del Trattato CECA non sia subordinato alla loro incidenza sugli scambi intracomunitari. Come emergerebbe dalla giurisprudenza della Corte, ai sensi dell'art. 305 CE, il Trattato CE non sarebbe applicabile a prodotti rientranti nel Trattato CECA . La sentenza Busseni avrebbe portato all'estremo l'interpretazione e sarebbe altresì rimasta un caso isolato.

    b) Analisi

    181. Nella sua sentenza 21 giugno 2001, cause riunite C-280/99 P, C-281/99 P e C-282/99 P, Moccia Irme e a./Commissione, la Corte ha dichiarato :

    «(...) che l'art. 4, lett. c), del Trattato CECA, a differenza dell'art. 92, n. 1, del Trattato CE, non richiede, perché gli aiuti siano considerati incompatibili con il mercato comune, la condizione che essi falsino o minaccino di falsare la concorrenza (...).

    182. Infatti, come giustamente ha rilevato il Tribunale al punto 82 della sentenza impugnata, l'art. 4, lett. c), del Trattato CECA vieta tutti gli aiuti senza alcuna limitazione, al fine di garantire l'instaurazione, il mantenimento ed il rispetto di condizioni normali di concorrenza, di modo che gli aiuti sono considerati incompatibili con il mercato comune senza che occorra dimostrare e neanche verificare se, in realtà, sussiste o rischia di verificarsi una violazione delle condizioni della concorrenza».

    183. Di conseguenza, anche nella causa di specie, il Tribunale si è astenuto, a ragione, dall'esaminare se l'aiuto concesso all'ACB falsasse la concorrenza o pregiudicasse gli scambi intracomunitari. Il detto motivo di ricorso va quindi disatteso.

    6) Violazione delle regole di prescrizione e del principio della certezza del diritto

    a) Argomenti delle parti

    184. Le ricorrenti si oppongono alla constatazione del Tribunale secondo cui la Commissione non avrebbe violato alcun termine di prescrizione. Il vincolo della Commissione ad un termine, entro cui dovrebbe esercitare i poteri di cui dispone, emergerebbe piuttosto dal principio generale della certezza del diritto. La Corte avrebbe confermato quanto precede in particolare nella sua sentenza nella causa Geigy .

    185. Le ricorrenti citano inoltre diverse norme vigenti in materia di prescrizione nell'ambito di applicazione del Trattato CE e del Trattato CECA, in cui il principio della certezza del diritto sarebbe stato trasposto sul piano del diritto positivo, vale a dire l'art. 43 dello Statuto CE , la decisione della Commissione 715/78/CECA, relativa alla prescrizione in materia di azioni e di esecuzione nel campo di applicazione del Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio , e il regolamento (CEE) del Consiglio 26 novembre 1974, n. 2988, relativo alla prescrizione in materia di azioni e di esecuzione nel settore del diritto dei trasporti e della concorrenza della Comunità economica europea . Dall'altro lato, le ricorrenti contestano il rinvio da parte del Tribunale al regolamento n. 659/1999, affermando che la disposizione concernerebbe solo aiuti rientranti nell'ambito di applicazione del Trattato CE.

    186. La Commissione ritiene che, se è vero che dalle sentenze citate dalle ricorrenti emerge che i termini di prescrizione costituiscono espressione del principio della certezza del diritto, tuttavia, per conformarsi al detto principio, essi dovrebbero essere stati definiti ex ante dal legislatore e non ex post dalla giurisprudenza. La Commissione respinge anche l'applicazione analogica della decisione 715/78/CECA. Tale normativa riguarderebbe il potere della Commissione di infliggere ammende e sanzioni pecuniarie. Per contro, nel caso di specie non verrebbero in esame sanzioni, bensì il recupero di aiuti.

    b) Analisi

    187. Il problema discusso dalle parti sotto la generica nozione di «prescrizione» cela in realtà istituti giuridici del tutto diversi.

    188. La prescrizione nel senso di prescrizione dell'esecuzione, come disciplinata ad esempio dall'art. 4 della decisione 715/78/CECA, concerne il termine entro cui il creditore deve ottenere che si proceda all'esecuzione di un diritto già definitivamente liquidato. Nel diritto civile la prescrizione costituisce un'eccezione che può essere opposta avverso l'esecuzione di un diritto esistente. La prescrizione dell'azione limita il periodo entro il quale la Commissione può infliggere ammende per violazione delle disposizioni del Trattato. Nella misura in cui non vengono in esame sanzioni, risulta piuttosto adeguata la nozione di decadenza dei termini . Tutte le forme di prescrizione o di decadenza mirano ad accordare al principio della certezza del diritto, dopo un determinato periodo di tempo, priorità sulla giustizia sostanziale. Tuttavia esse si distinguono in particolare per quanto riguarda le circostanze che provocano la decorrenza del termine e per la durata.

    189. Dal diritto ad un processo equo, come espresso all'art. 6, n. 1, della CEDU, la Corte deriva inoltre taluni termini per la conclusione dei procedimenti giudiziari . Essa ha altresì riconosciuto che, in talune circostanze, il ritardo della Commissione nel corso del procedimento amministrativo può far nascere nel beneficiario di un aiuto un legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non disporrà più la restituzione dell'aiuto . Pertanto, le conseguenze derivanti dalla durata del procedimento amministrativo vanno esaminate a parte, nell'ambito del motivo di ricorso vertente sulla violazione del principio di tutela di legittimo affidamento.

    190. Prescindendo quindi per il momento dall'aspetto della durata del procedimento amministrativo, potrebbe tutt'al più venire in esame una questione relativa alla decadenza. Il termine entro cui la Commissione può ancora ordinare il recupero di aiuti nell'ambito di applicazione del Trattato CE è, ai sensi dell'art. 15 del regolamento n. 659/1999, di dieci anni. Riguardo agli aiuti CECA non esiste un'equivalente limitazione dei poteri della Commissione sul piano del diritto positivo.

    191. Un'applicazione analogica della decisione 715/78/CECA è da escludersi, in quanto essa concerne un potere della Commissione del tutto differente, vale a dire il potere di punire violazioni della concorrenza con l'irrogazione di ammende e sanzioni, o di renderle esecutive mediante decisioni al riguardo .

    192. Occorre tuttavia stabilire se dal principio della certezza del diritto possa derivare direttamente una siffatta limitazione dei poteri della Commissione. Nella causa Lemmerz-Werke, citata dalle ricorrenti, l'avvocato generale Roemer ha effettivamente sostenuto che si dovesse escludere la revoca di una decisione dell'Alta Autorità molti anni dopo che si era venuti a conoscenza dei motivi di revoca . Indipendentemente dal fatto che all'origine della causa vi era una situazione del tutto diversa, la Corte, come ha giustamente sottolineato la Commissione, non ha accolto le conclusioni dell'avvocato generale .

    193. Nella causa Geigy, vertente sull'irrogazione di ammende a motivo di una violazione delle norme sulla concorrenza, la Corte ha osservato che, per adempiere la sua funzione, il termine di prescrizione dev'essere preordinato dal legislatore . Tuttavia il principio della certezza del diritto osterebbe a che la Commissione possa ritardare indefinitamente l'esercizio del suo potere d'infliggere ammende. Dalle ulteriori considerazioni della Corte si può concludere che in questo caso - indipendentemente dal mero decorso di tempo - devono intervenire particolari circostanze che impongano una limitazione dei poteri della Commissione.

    194. In proposito, nella fattispecie vengono in esame circostanze del genere, che verosimilmente potevano far nascere nelle ricorrenti un legittimo affidamento sul fatto che la Commissione non avrebbe chiesto la restituzione degli aiuti. Pertanto occorre esaminare detto argomento unitamente al motivo di ricorso relativo alla tutela del legittimo affidamento.

    7) Violazione del principio di tutela del legittimo affidamento

    a) Argomenti delle parti

    195. Le ricorrenti - sostenute dal governo italiano - sollevano la censura secondo cui il Tribunale, non tenendo conto delle numerose circostanze atte a ingenerare un legittimo affidamento, avrebbe violato il principio di tutela del legittimo affidamento.

    196. Le sei misure soppresse dalla decisione si fondavano sulla legge provinciale n. 25/81 ed erano tutte riconducibili al piano di ristrutturazione approvato dalla Commissione già nel 1983. Pertanto non sarebbe stato possibile supporre la necessità di un obbligo di notifica . Ciononostante, l'ACB si sarebbe accertata presso la provincia autonoma di Bolzano del fatto che quest'ultima avesse adempiuto tutte le formalità necessarie.

    197. L'ACB ritiene che la Commissione fosse a conoscenza delle misure dal luglio 1988, quando era in corso il procedimento conclusosi con l'adozione della decisione 91/176. Dopo l'adozione della detta decisione, quando tutti gli aiuti erano già stati versati, l'ACB avrebbe ritenuto che la Commissione non avesse, fatti salvi gli aiuti contestati, alcuna obiezione avverso le altre misure.

    198. Le ricorrenti rinviano inoltre al parere del servizio giuridico della Commissione del 18 luglio 1990, che non occorre però approfondire ulteriormente tenuto conto delle osservazioni di cui al paragrafo 147 delle presenti conclusioni.

    199. Infine l'ACB, alla luce del tempo trascorso dal versamento degli aiuti, avrebbe potuto fare legittimo affidamento sul fatto che essi non sarebbero più stati contestati. Il 26 luglio 1987 la Commissione avrebbe aperto il procedimento amministrativo ai fini dell'elaborazione della decisione 91/176. Il 1° agosto 1995 avrebbe avuto avvio il procedimento conclusosi con l'adozione della decisione impugnata, dopo che già il 21 dicembre 1994 erano state richieste al governo italiano le prime informazioni. L'ACB ritiene che la Commissione abbia violato anche il principio di proporzionalità e della cooperazione leale, avendo adottato la decisione relativa al recupero solo 156 mesi dopo la concessione del primo aiuto e 96 mesi dopo la concessione del secondo aiuto.

    200. Le ricorrenti rinviano in particolare alla sentenza nella causa RSV/Commissione , in cui la Corte avrebbe riconosciuto un legittimo affidamento già dopo un periodo di 26 mesi.

    201. La Commissione rammenta che il beneficiario di un aiuto non notificato può invocare la tutela del legittimo affidamento solo in circostanze eccezionali, che di norma spetterebbe al giudice nazionale valutare . A motivo del più incisivo divieto di aiuti sancito dal Trattato CECA, nel caso di specie occorrerebbe adottare criteri ancor più restrittivi di quelli applicati nel caso di aiuti riconducibili all'ambito di applicazione del Trattato CE.

    202. Dall'autorizzazione del programma di ristrutturazione del 1983 - ulteriormente modificato nel 1986, senza che la Commissione ne fosse informata - le ricorrenti non potrebbero derivare alcun legittimo affidamento in relazione a tutti gli aiuti concessi in seguito. La presunta diligenza dimostrata dall'ACB non modifica in sostanza il fatto che l'ACB si sarebbe rivolta solo alla provincia di Bolzano e non alle autorità italiane competenti per la notifica.

    203. Con la sua constatazione di fatto in senso contrario, non censurabile in sede di impugnazione, il Tribunale avrebbe già respinto l'asserzione secondo cui la Commissione sarebbe stata a conoscenza di tutte le circostanze sin dal 1988.

    b) Analisi

    204. Occorre anzitutto constatare che le ricorrenti fanno valere i principi di cooperazione leale e di proporzionalità senza chiarire in quale misura detti principi vengano violati. Di conseguenza è d'uopo esaminare i loro argomenti solo in relazione ad una violazione del principio di tutela del legittimo affidamento.

    205. Le ricorrenti possono invocare la tutela del legittimo affidamento non solo dinanzi a giurisdizioni nazionali, ma anche dinanzi al giudice comunitario. Vero è che il recupero di un aiuto illegittimo dal beneficiario è soggetto al diritto processuale nazionale. Avverso la decisione di ripetizione adottata dalle autorità nazionali il beneficiario può far valere il principio della tutela del legittimo affidamento dinanzi al giudice nazionale, purché le modalità previste siano le stesse applicate per il recupero delle prestazioni pecuniarie prettamente nazionali e l'interesse della Comunità sia pienamente preso in considerazione .

    206. La Commissione sembra trarne la conclusione, come il Tribunale nella sentenza Siemens/Commissione, che l'esame della tutela del legittimo affidamento sia prerogativa esclusiva del giudice nazionale .

    207. Tuttavia tale tesi non può essere accolta. Nella sentenza RSV/Commissione la Corte ha annullato per motivi di tutela del legittimo affidamento una decisione della Commissione avente ad oggetto il recupero di aiuti. Infatti il principio di tutela del legittimo affidamento non è solo riconosciuto nel diritto nazionale, ma anche in quello comunitario . All'atto dell'adozione delle sue decisioni la Commissione deve tenere conto di tale principio, come pure deve fare la Corte nell'ambito del controllo della legittimità di dette decisioni.

    208. Le ricorrenti non contestano la corretta constatazione del Tribunale secondo cui il beneficiario di un aiuto in linea di principio può fare legittimo affidamento sulla regolarità dell'aiuto solamente qualora quest'ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista e il beneficiario di aiuti illegittimi può utilmente far valere tale principio solo in circostanze eccezionali . Tuttavia - contrariamente a quanto constata il Tribunale - esse ritengono che sussistessero siffatte circostanze eccezionali.

    209. L'argomento dedotto dalle ricorrenti secondo cui l'autorizzazione originaria del programma di ristrutturazione avrebbe potuto fondare il legittimo affidamento dell'ACB sulla regolarità degli aiuti va disatteso. La Commissione ha tenuto conto del fatto che vi erano imprecisioni riguardo all'obbligo di notifica degli aiuti corrisposti prima del 1° gennaio 1986 ed ha rinunciato all'ordinarne il recupero. Conformemente al secondo codice, che costituiva il fondamento giuridico dell'autorizzazione del programma di ristrutturazione, tutti gli aiuti avrebbero dovuto essere erogati entro il 31 dicembre 1985. Già soltanto per questo motivo è escluso il legittimo affidamento sulla regolarità di aiuti corrisposti dopo tale data. I progetti non conclusi entro tale termine avrebbero invece dovuto essere nuovamente notificati e autorizzati in forza del codice successivo.

    210. Le ricorrenti non potevano neanche riporre un legittimo affidamento sulla regolarità degli aiuti erogati dopo il 31 dicembre 1985, in quanto la decisione 91/176 contestava unicamente un aiuto e disponeva di sopprimerne gli effetti vantaggiosi per il futuro. Sarebbe tutt'al più possibile giungere a tale conclusione se alla data di adozione della decisione la Commissione fosse stata informata di tutte le misure. Nel preambolo della decisione 91/176 la Commissione menziona solo un prestito agevolato concesso nel dicembre 1987 pari a ITL 6 miliardi. Al punto 94 della sentenza impugnata il Tribunale ha constatato che l'asserzione secondo cui la Commissione avrebbe dovuto avere conoscenza di altri aiuti al momento dell'adozione della decisione 91/176 non è suffragata da alcuna prova. La Corte è vincolata da tale constatazione. Di conseguenza, la decisione 91/176 non consente di dedurre alcun (tacito) consenso per gli altri aiuti concessi dopo il 31 dicembre 1985.

    211. Per quanto attiene alla dichiarazione rilasciata il 2 febbraio 1999 dal direttore amministrativo dell'ACB, signor Morosetti, il Tribunale ha constatato che dai contatti ivi menzionati con la provincia autonoma di Bolzano non si poteva concludere che l'ACB si era assicurata che il procedimento di notifica fosse stato rispettato .

    212. Questa dichiarazione del Tribunale va condivisa. L'ACB non avrebbe dovuto fare assegnamento sulle affermazioni vaghe ed incongruenti dei funzionari della provincia autonoma di Bolzano, riportate nella dichiarazione. Quand'anche fosse vero che tali autorità provinciali avevano reso edotta la Commissione di tutte le misure, l'ACB avrebbe dovuto ben sapere che solo il governo italiano poteva procedere ad una notifica tempestiva e formale ai sensi del codice allora in vigore.

    213. Riguardo all'importanza della notifica di progetti di aiuti di notevole entità, sorprende anche che non sia stata prodotta la corrispondenza intercorsa in proposito tra l'ACB ovvero la Falck e le autorità della provincia autonoma di Bolzano o le autorità statali italiane. Sicuramente, se fossero state presentate all'ACB copie delle lettere di notifica degli aiuti da parte del governo italiano alla Commissione, vi sarebbe stato motivo di fare legittimo affidamento sulla regolare notifica. I soli colloqui con i funzionari di Bolzano non potevano comunque far nascere nell'ACB il legittimo affidamento sulla regolarità degli aiuti.

    214. Infine si deve ancora risolvere la questione se il tempo trascorso tra concessione degli aiuti e adozione della decisione impugnata possa fondare un legittimo affidamento delle ricorrenti. Il periodo rilevante a tale riguardo ha inizio il 14 dicembre 1987, data in cui veniva concesso con delibera della provincia autonoma di Bolzano n. 7673 il primo degli aiuti di cui si chiede il recupero, e termina il 17 luglio 1996, giorno dell'emanazione della decisione controversa. Il periodo copre quindi circa otto anni e mezzo.

    215. In considerazione della mancanza di una normativa di diritto positivo in materia di prescrizione, il mero decorso del tempo non fonda alcun legittimo affidamento sulla possibilità di mantenere l'aiuto . Tutt'al più potrebbe sorgere un siffatto affidamento se la Commissione fosse rimasta inoperante per fasi prolungate, nonostante fosse a conoscenza delle circostanze .

    216. Non vi sono prove che la Commissione fosse a conoscenza, prima della richiesta di informazioni al governo italiano del 21 dicembre 1994 e della risposta di questo del 7 aprile 1995, degli aiuti di cui si chiede la restituzione nella decisione impugnata. Dalle constatazioni del Tribunale già citate emerge che, al momento dell'adozione della decisione 91/176, alla Commissione era noto solo un aiuto concesso nel dicembre 1987. Ne consegue che non si può contestare alla Commissione di non aver intrapreso azioni riguardo alle altre misure fino al 21 dicembre 1994.

    217. Tra il primo provvedimento della Commissione volto ad accertare i fatti e l'adozione della decisione impugnata sono trascorsi circa 18 mesi. Inoltre, una parte di tale periodo va imputata ai termini concessi per la presentazione di osservazioni del governo italiano e delle altre parti interessate . Non si ravvisano neanche lunghe fasi in cui la Commissione non ha intrapreso azioni o ha inutilmente indugiato. Di conseguenza, neanche la durata del procedimento amministrativo era atta a generare nelle ricorrenti il legittimo affidamento sul fatto che la Commissione non avrebbe chiesto la restituzione degli aiuti.

    218. Pertanto, il motivo di ricorso relativo alla violazione della tutela del legittimo affidamento va respinto.

    8) Calcolo errato degli interessi sugli importi da restituire

    a) Argomenti delle parti

    219. Le ricorrenti ritengono che la determinazione del tasso d'interesse applicabile agli importi da restituire sia arbitraria e imprevedibile. Esse citano diverse fonti (comunicazioni della Commissione, sentenze della Corte) in cui sarebbero stati assunti a fondamento altri criteri per il calcolo degli interessi. Spetterebbe alle autorità italiane e non alla Commissione determinare il tasso d'interesse. Per ripristinare lo status quo ante il versamento dell'aiuto, la Commissione avrebbe comunque dovuto considerare la Germania come mercato di riferimento e non l'Italia, in quanto l'ACB avrebbe operato soprattutto su tale mercato.

    220. Il governo italiano concorda su questo argomento e sottolinea altresì che la decisione impugnata e la sentenza del Tribunale non sarebbero sufficientemente motivate per quanto riguarda la determinazione del tasso d'interesse.

    221. La Commissione richiama numerose comunicazioni e lettere da cui emergerebbe la prassi costante da essa seguita in relazione alla determinazione del tasso d'interesse. La motivazione della decisione sarebbe conforme ai requisiti e andrebbe vista nel contesto in cui la decisione si inserisce. Infine la Commissione avrebbe legittimamente potuto considerare come mercato di riferimento il mercato italiano, trattandosi di un aiuto concesso in lire italiane.

    b) Analisi

    222. Come ha correttamente osservato il Tribunale ai punti 148-152, rinviando anche alla sua sentenza nella causa Siemens/Commissione , il calcolo di interessi sulle somme soggette a restituzione è necessario per ripristinare del tutto lo status quo ante il versamento dell'aiuto.

    223. Vero è che, in linea di principio, il recupero di un aiuto deve avvenire nel rispetto delle norme procedurali dell'ordinamento nazionale . Tuttavia, così come la Commissione può ordinare la ripetizione di aiuti illegittimi per garantire l'effetto pratico del divieto di aiuti, essa può imporre allo Stato membro anche la riscossione di interessi sugli importi soggetti a restituzione, incluso il tasso d'interesse da applicare a tale riguardo.

    224. Non si vede perché il riferimento della Commissione ai tassi di interesse utilizzati per il calcolo dell'equivalente sovvenzione netto degli aiuti a finalità regionale debba essere oscuro o arbitrario. Vero è che la decisione non indica un determinato tasso d'interesse, tuttavia il tasso applicabile è reperibile facendo riferimento alle normative in materia di aiuti a finalità regionale. La comunicazione 21 dicembre 1978, sui regimi di aiuti a finalità regionale , prevede al punto 14 dell'allegato che occorre considerare come tasso di riferimento il «tasso medio di riferimento applicabile ai pagamenti da parte dell'amministrazione centrale del contributo in conto interessi agli istituti di credito». Quindi, la Commissione ha fatto riferimento ad un tasso d'interesse da considerarsi come normale tasso di mercato applicabile in Italia.

    225. In mancanza di indicazioni in senso contrario da parte dell'ACB, non si può neanche contestare alla Commissione di aver considerato, in presenza di aiuti concessi in lire italiane ad un'impresa con sede in Italia, come criterio di riferimento il tasso d'interesse applicato in Italia.

    226. Tuttavia nella decisione stessa non figurano considerazioni a motivazione delle disposizioni relative agli interessi. Nondimeno, come la Corte ha dichiarato, la motivazione va valutata anche alla luce del contesto in cui l'atto giuridico è adottato . A tale riguardo si può tenere conto delle comunicazioni della Commissione pubblicate prima dell'adozione della decisione, in particolare della comunicazione 22 febbraio 1995 , in cui la Commissione informa gli Stati membri nei seguenti termini:

    «La Commissione ritiene che i vantaggi finanziari conseguiti illegittimamente dal beneficiario degli aiuti, alla luce del ripristino dello status quo ante, possano calcolarsi in maniera più corretta sulla base del tasso d'interesse di mercato (piuttosto che sulla base del tasso d'interesse legale).

    In futuro, nelle decisioni che contemplano la restituzione di un aiuto illegittimo e incompatibile con il mercato comune, la Commissione considererà come tasso d'interesse di mercato il tasso utilizzato per il calcolo dell'equivalente sovvenzione degli aiuti a finalità regionale».

    227. Tenuto conto di detto contesto, la ratio della determinazione di interessi sugli importi soggetti a restituzione è sufficientemente comprensibile.

    228. Anche se non è indispensabile dal punto di vista giuridico, vi sono tuttavia elementi per ritenere che anche nelle decisioni relative alla restituzione di aiuti la Commissione dovrebbe fornire nel preambolo perlomeno brevi spiegazioni sull'applicazione di interessi. Vero è che gli Stati membri, cui è diretta la decisione, dispongono delle conoscenze necessarie per comprendere il significato e il contesto delle dette disposizioni. Tuttavia, poiché la decisione riguarda anche terzi, sarebbero senz'altro opportuni alcuni chiarimenti. Ciò vale a maggior ragione se la comunicazione integrativa da prendere in considerazione - come nel caso di specie - non è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

    229. In ogni caso, la sentenza impugnata non presenta alcun vizio di motivazione. Ai punti 148-162 della sentenza il Tribunale precisa le ragioni per cui il motivo va respinto.

    230. Pertanto, il presente motivo di ricorso va disatteso.

    9) Divieto di sanzioni e principio di proporzionalità

    a) Argomenti delle parti

    231. Le ricorrenti ritengono infine che la decisione abbia carattere sanzionatorio e non sia atta a conseguire il solo obiettivo legittimo, vale a dire eliminare il vantaggio derivante dagli aiuti. In tale contesto esse adducono numerosi argomenti che sono già stati respinti, ossia che il Tribunale non avrebbe tenuto conto della compatibilità sostanziale degli aiuti, che la decisione si riferirebbe in parte ad aiuti già coperti dalla decisione 91/176 e che sarebbe stato determinato un tasso d'interesse eccessivo.

    232. Inoltre le ricorrenti ritengono che la decisione abbia carattere sanzionatorio in quanto di fatto la Falck sarebbe responsabile della restituzione degli aiuti, anche se la detta impresa non è più operante nel settore siderurgico. Pertanto, la decisione non sarebbe atta ad eliminare un'eventuale distorsione della concorrenza. Il Tribunale non sarebbe affatto entrato nel merito di tale questione.

    233. La Commissione reputa questa censura irricevibile, in quanto sollevata per la prima volta dinanzi alla Corte. Essa sarebbe altresì infondata. Qualora le ricorrenti avessero ragione, le imprese potrebbero eludere l'obbligo di rimborso di aiuti anche solo modificando il proprio assetto azionario.

    b) Analisi

    234. Resta ancora da approfondire solo la questione delle ripercussioni della decisione sulla Falck. Poiché ho già constatato la necessità di disattendere gli altri argomenti dedotti, questi ultimi non possono neanche fondare la tesi secondo cui la decisione avrebbe in realtà carattere sanzionatorio.

    235. Per quanto ancora da esaminare, sussistono dubbi sulla ricevibilità del motivo.

    236. Ai sensi dell'art. 113, n. 2, del regolamento di procedura, l'impugnazione non può modificare l'oggetto del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale. Vero è che, nell'ambito della sua istanza di intervento, la Falck ha spiegato in quale misura la decisione la riguarda. Nell'atto introduttivo l'ACB ha indicato, in linea generale, che, a motivo delle mutate circostanze, la decisione si sarebbe trasformata in sanzione e non perseguirebbe più lo scopo di ristabilire l'equilibrio del mercato . Il Tribunale ha considerato prima facie tale osservazione come una censura vertente sulla violazione del principio di proporzionalità e l'ha respinta al punto 92 della sentenza impugnata con motivi adeguati.

    237. Tuttavia, nessuna delle ricorrenti ha fatto valere in primo grado in modo sufficientemente esplicito che la decisione, a motivo del suo effetto per la Falck, vale a dire un'azienda non più operante nel settore siderurgico, fosse giuridicamente errata. Perciò non si può comunque contestare al Tribunale di non essersi pronunciato su tale aspetto. Nondimeno, poiché con detto argomento le ricorrenti hanno solo ulteriormente precisato la censura generale secondo cui il tempo trascorso e le mutate circostanze non consentirebbero più un ripristino della concorrenza mediante il recupero dell'aiuto, l'oggetto della controversia è rimasto immutato e la censura è ricevibile.

    238. Tuttavia, essa non è fondata. In sostanza le ricorrenti contestano una violazione del principio di proporzionalità, sostenendo che il recupero non sarebbe atto al ripristino della concorrenza. La decisione stessa non indica a chi le autorità italiane debbano richiedere la ripetizione degli aiuti. Tuttavia occorre partire dal presupposto che esse citeranno l'ACB, diretta beneficiaria. Quest'ultima è ancora operante nel settore siderurgico e trae vantaggio dal rafforzamento della sua posizione concorrenziale mediante gli aiuti.

    239. Come la Corte ha constatato nella causa «Tubemeuse» , il recupero di un aiuto illegittimamente concesso non può, in linea di principio, ritenersi un provvedimento sproporzionato rispetto alle finalità delle disposizioni in materia di aiuti. La Corte ha quindi respinto l'argomento secondo cui, nell'ambito della procedura di concordato avviata sul patrimonio della beneficiaria dell'aiuto, il recupero arrecherebbe un grave pregiudizio ai terzi creditori.

    240. Ne consegue che gli effetti finanziari indiretti derivanti a terzi dal recupero dell'aiuto non costituiscono violazione del principio di proporzionalità. Si configura invece semplicemente un effetto secondario, che non incide sull'idoneità della misura a conseguire lo scopo di eliminare i vantaggi prodotti dagli aiuti. Il rimborso di un aiuto illegittimo si ripercuote sempre sul risultato finanziario dell'attività del beneficiario dell'aiuto e, quindi eventualmente sui dividendi spettanti ai suoi azionisti. Il fatto che nella specie le perdite non vadano poste a carico dell'attuale società capogruppo, bensì, sulla base di accordi contrattuali, debbano essere sopportate dalla società capogruppo precedente, è puramente casuale e non osta al recupero dell'aiuto presso la società controllata.

    241. Pertanto questo motivo va parimenti respinto.

    VII - Sulle spese

    242. Ai sensi dell'art. 122, primo comma, del regolamento di procedura, quando l'impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese.

    243. Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento d'impugnazione in conformità dell'art. 118, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. L'art. 69, n. 4, primo comma, dispone che gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese. La Commissione ha chiesto alla Corte di condannare le ricorrenti alle spese. Poiché esse sono rimaste soccombenti, le spese del procedimento d'impugnazione verranno poste a loro carico, fatta eccezione per quelle sostenute dalla Repubblica italiana, che sopporta le proprie spese.

    IX - Conclusione

    244. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:

    «1) il ricorso è respinto;

    2) le ricorrenti sopportano le spese del procedimento, eccetto le spese della Repubblica italiana;

    3) la Repubblica italiana sopporta le proprie spese».

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