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Document 62000CC0011

Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 3 ottobre 2002.
Commissione delle Comunità europee contro Banca centrale europea.
Banca centrale europea (BCE) - Decisione 1999/726/CE, relativa alla prevenzione delle frodi - Protezione degli interessi finanziari delle Comunità - Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) - Regolamento (CE) n.1073/1999 - Applicabiltà alla BCE - Eccezioni d'illegittimità - Ricevibilità - Indipendenza della BCE - Art.108CE - Fondamento normativo - Art.280CE - Consultazione della BCE - Art.105, n.4, CE - Proporzionalità.
Causa C-11/00.

Raccolta della Giurisprudenza 2003 I-07147

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2002:556

62000C0011

Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 3 ottobre 2002. - Commissione delle Comunità europee contro Banca centrale europea. - Banca centrale europea (BCE) - Decisione 1999/726/CE, relativa alla prevenzione delle frodi - Protezione degli interessi finanziari delle Comunità - Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) - Regolamento (CE) n.1073/1999 - Applicabiltà alla BCE - Eccezioni d'illegittimità - Ricevibilità - Indipendenza della BCE - Art.108CE - Fondamento normativo - Art.280CE - Consultazione della BCE - Art.105, n.4, CE - Proporzionalità. - Causa C-11/00.

raccolta della giurisprudenza 2003 pagina I-07147


Conclusioni dell avvocato generale


Introduzione

1. Nella presente causa, la Commissione chiede l'annullamento della decisione 7 ottobre 1999, 1999/726/CE , con cui la Banca centrale europea (in prosieguo: la «BCE») ha istituito un comitato antifrode responsabile della sorveglianza delle attività della Direzione Revisione Interna della BCE dirette alla prevenzione delle frodi e delle altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della BCE. La Commissione - sostenuta dal Consiglio, dal Parlamento europeo e dal governo olandese - fa valere che la decisione è incompatibile con il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, n. 1073, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la lotta antifrode (OLAF) . La BCE replica che la decisione n. 1999/726/CE persegue lo stesso obiettivo del regolamento n. 1073/1999 senza essere incompatibile con esso e che il regolamento va considerato inapplicabile alle attività della BCE. In subordine, la BCE chiede alla Corte di dichiarare il regolamento inapplicabile ai sensi dell'art. 241 CE per mancanza di fondamento giuridico, violazione di una condizione essenziale di procedura, nonché violazione dell'indipendenza della BCE e del principio di proporzionalità.

2. Il caso di specie solleva importanti questioni relative in particolare alla portata della competenza comunitaria ad adottare misure ai sensi dell'art. 280 CE volte a contrastare le frodi e le altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della Comunità, all'obbligo delle istituzioni comunitarie e degli Stati membri di rispettare l'indipendenza della BCE prevista dall'art. 108 CE e all'obbligo di consultare la BCE in merito alle proposte di atti della Comunità che rientrino nelle sue competenze ai sensi dell'art. 105 CE. Occorre inoltre valutare se la BCE, non avendo impugnato un regolamento entro il termine stabilito all'art. 230, quinto comma, CE, possa farne valere l'inapplicabilità ai sensi dell'art. 241 CE.

Contesto

3. E' noto che una parte considerevole dei fondi comunitari viene sprecata ogni anno a causa di frodi o altre irregolarità commesse da persone fisiche e giuridiche. Nel 2000, la Commissione e le autorità competenti degli Stati membri hanno trattato 6 915 nuovi casi di frode o altre attività illecite, con un impatto stimato sul bilancio di 2 030 milioni di euro . Le istituzioni comunitarie hanno affrontato tale problema adottando una serie di misure legislative specificamente dirette alla lotta contro le frodi .

4. I Trattati istitutivi non prevedevano un fondamento giuridico specifico per le misure nel settore della prevenzione delle frodi e della tutela degli interessi finanziari della Comunità. L'art. 209A del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 280 CE), introdotto dal Trattato sull'Unione europea, obbligava gli Stati membri ad adottare le stesse misure per combattere le frodi che ledono gli interessi finanziari della Comunità che essi adottavano per combattere le frodi lesive dei loro interessi finanziari e a coordinare la loro azione diretta a tutelare gli interessi finanziari della Comunità contro le frodi, ma non conferiva alla Comunità nuovi poteri legislativi. In ogni caso, il Trattato di Amsterdam ha modificato tale disposizione in modo sostanziale, attribuendo espressamente alla Comunità il potere di adottare «le misure necessarie nei settori della prevenzione e lotta contro la frode».

5. Prima dell'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, le Comunità hanno adottato, in forza dell'art. 308 CE, varie misure intese a combattere le frodi commesse negli Stati membri da soggetti che beneficiano di contributi comunitari . In sostanza, dette misure conferiscono alla Commissione il potere di svolgere controlli e verifiche sul posto negli Stati membri e obbligano questi ultimi ad istituire sanzioni proporzionate e a carattere dissuasivo, nonché a cooperare nei casi di frode transfrontaliera .

6. Sono stati compiuti sforzi anche per ridurre i rischi di frode all'interno delle stesse istituzioni comunitarie. Ai presenti fini, sono pertinenti in particolare le iniziative intraprese dalla Commissione e dalla BCE.

7. La Commissione ha dapprima istituito una specifica unità antifrode [Unité de coordination de la lutte anti-fraude (UCLAF)] nel 1987. Nel 1995 tale unità è divenuta responsabile di tutta l'attività antifrode della Commissione, comprese le indagini sulle frodi e le altre irregolarità commesse dal personale della Commissione. Al fine di rafforzare la tutela degli interessi finanziari della Comunità e, probabilmente, in replica alle critiche espresse nei confronti dell'UCLAF , nel 1998 la Commissione ha proposto l'istituzione di un nuovo servizio antifrode indipendente, denominato Ufficio per la lotta antifrode o Office de Lutte Anti-Fraude (OLAF) . Mentre inizialmente la Commissione aveva proposto di istituire l'OLAF - e di stabilire disposizioni dettagliate per regolarne il funzionamento - mediante un regolamento basato sull'art. 308 CE, alla fine l'OLAF è stato istituito mediante una decisione . Le norme generali relative alla sua attività, che comprendono «indagini esterne» negli Stati membri e «indagini interne» sulle frodi all'interno delle istituzioni e degli organi comunitari, sono state stabilite con il regolamento n. 1073/1999, che costituisce la prima misura basata sul nuovo articolo 280, n. 4, CE . Il regolamento prevede che ciascuna istituzione e ciascun organo e organismo della Comunità europea adotti una decisione per stabilire norme più dettagliate sulle procedure da seguire nelle indagini interne condotte dall'OLAF, mentre un accordo interistituzionale concluso nel 1999 contiene un modello di tale decisione.

8. Nell'ambito della BCE, due strutture amministrative si dividono il compito di lottare contro la frode e le altre irregolarità. Responsabile in via principale è la Direzione Revisione Interna (in prosieguo, la «D-RI»). Dai documenti presentati alla Corte nel caso di specie risulta che la funzione della D-RI consiste in generale nel valutare l'efficacia e l'adeguatezza del funzionamento dei servizi della BCE e nel proporre miglioramenti . Nell'ambito di tale funzione, la D-RI ha il compito di individuare e prevenire le frodi. Dal novembre del 1999 la D-RI condivide tale responsabilità con un comitato antifrode. Tale comitato - istituito con la decisione del consiglio direttivo impugnata dalla Commissione nel presente procedimento - è responsabile della regolare sorveglianza delle attività della D-RI .

Norme comunitarie pertinenti

Disposizioni del Trattato CE

9. L'art. 8 CE dispone quanto segue:

«Sono istituiti, secondo le procedure previste dal presente Trattato, un Sistema europeo di banche centrali (in appresso denominato SEBC) e una Banca centrale europea (in appresso denominata BCE), che agiscono nei limiti dei poteri loro conferiti dal presente Trattato e dallo statuto del SEBC e della BCE (in appresso denominato "statuto del SEBC") allegati al Trattato stesso».

10. L'art. 105 CE, per quanto rileva nella fattispecie, dispone quanto segue:

«1. L'obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l'obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nella Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità definiti nell'articolo 2. Il SEBC agisce in conformità del principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all'articolo 4.

2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:

- definire e attuare la politica monetaria della Comunità;

- svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell'articolo 111;

- detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;

- promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.

(...).

4. La BCE viene consultata:

- in merito a qualsiasi proposta di atto comunitario che rientri nelle sue competenze;

- dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrino nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio, secondo la procedura di cui all'articolo 107, paragrafo 6.

La BCE può formulare pareri da sottoporre alle istituzioni o agli organi comunitari competenti o alle autorità nazionali su questioni che rientrano nelle sue competenze.

5. Il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario.

6. Il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione della BCE, nonché previo parere conforme del Parlamento europeo, può affidare alla BCE compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione».

11. L'art. 106, per quanto rileva nella fattispecie, dispone quanto segue:

«1. La BCE ha il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote all'interno della Comunità.

(...).

2. Gli Stati membri possono coniare monete metalliche con l'approvazione della BCE per quanto riguarda il volume del conio.

(...)».

12. L'art. 108 CE dispone quanto segue :

«Nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal presente Trattato e dallo statuto del SEBC, né la BCE né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti».

13. L'art. 280 CE dispone, per quanto di interesse nel procedimento in oggetto, quanto segue:

«1. La Comunità e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari della Comunità stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri.

2. Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari della Comunità, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari.

3. Fatte salve altre disposizioni del presente Trattato, gli Stati membri coordinano l'azione diretta a tutelare gli interessi finanziari della Comunità contro la frode. A tale fine essi organizzano, assieme alla Commissione, una stretta e regolare cooperazione tra le autorità competenti.

4. Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251, previa consultazione della Corte dei conti, adotta le misure necessarie nei settori della prevenzione e lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari della Comunità, al fine di pervenire a una protezione efficace ed equivalente in tutti gli Stati membri. Tali misure non riguardano l'applicazione del diritto penale nazionale o l'amministrazione della giustizia negli Stati membri.

(...)».

14. L'art. 287 CE dispone quanto segue:

«I membri delle istituzioni della Comunità, i membri dei comitati e parimenti i funzionari e agenti della Comunità sono tenuti, anche dopo la cessazione dalle loro funzioni, a non divulgare le informazioni che per loro natura siano protette dal segreto professionale e in particolare quelle relative alle imprese e riguardanti i loro rapporti commerciali ovvero gli elementi dei loro costi».

Decisione che istituisce l'Ufficio europeo per la lotta antifrode

15. L'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) è stato istituto con decisione della Commissione 28 aprile 1999, 1999/352/CE, CECA, Euratom (in prosieguo: la «decisione n. 1999/352») , adottata in forza dell'art. 162 del Trattato CE (divenuto art. 218 CE), dell'art. 16 del Trattato CECA e dell'art. 131 del Trattato Euratom.

16. Per quanto riguarda le «Funzioni dell'Ufficio», l'art. 2 della decisione n. 1999/352, nella parte che qui ci interessa, stabilisce quanto segue:

«1. L'Ufficio esercita le competenze della Commissione in materia di indagini amministrative esterne al fine di intensificare la lotta contro la frode, la corruzione e qualsiasi altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari delle Comunità, nonché ai fini della lotta contro le frodi inerenti a qualsiasi fatto o atto compiuto in violazione di disposizioni comunitarie.

L'Ufficio ha il compito di svolgere indagini amministrative interne miranti a quanto segue:

a) lottare contro la frode, la corruzione e qualsiasi altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari delle Comunità,

b) ricercare i fatti gravi, connessi con l'esercizio di attività professionali, che possano costituire un inadempimento degli obblighi dei funzionari ed agenti delle Comunità perseguibile in sede disciplinare o penale o che possano costituire inadempimento degli obblighi analoghi incombenti ai membri delle istituzioni e organi, dei dirigenti degli organismi o del personale delle istituzioni, degli organi e degli organismi cui non si applica lo statuto dei funzionari delle Comunità europee o il regime applicabile agli altri agenti.

L'Ufficio esercita le relative competenze della Commissione, come definite dalle disposizioni dei Trattati, nell'ambito, nei limiti e secondo le modalità da questi definiti.

All'Ufficio possono essere affidate, dalla Commissione nonché dagli altri organismi, organi e istituzioni, missioni di indagine in altri settori.

(...).

7. L'Ufficio rappresenta la Commissione, al livello dei servizi, nelle sedi competenti, per i settori contemplati dal presente articolo».

17. L'art. 4 della decisione n. 1999/352 dispone quanto segue:

«E' istituito un comitato di vigilanza la cui composizione e le cui competenze sono determinate dal legislatore comunitario. Il comitato esercita un controllo regolare sull'esercizio della funzione d'indagine dell'Ufficio».

18. L'art. 6, n. 4, della decisione n. 1999/352 prevede quanto segue:

«Le decisioni della Commissione relative alla propria organizzazione interna si applicano all'Ufficio in quanto compatibili con le disposizioni del legislatore comunitario riguardanti l'Ufficio stesso, nonché con la presente decisione e le sue modalità d'applicazione».

19. A norma dell'art. 7, la decisione n. 1999/352 doveva «[avere] effetto dal giorno dell'entrata in vigore del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle indagini svolte dall'Ufficio europeo per la lotta antifrode».

Regolamento relativo alle indagini svolte dall'Ufficio europeo per la lotta antifrode

20. Il regolamento n. 1073/1999 è stato adottato sulla base all'art. 280 CE.

21. L'art. 1 del regolamento n. 1073/1999, intitolato «Scopo e funzioni», dispone quanto segue:

«1. Al fine di potenziare la lotta contro le frodi, la corruzione e ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità europea, l'Ufficio europeo per la lotta antifrode, creato con decisione 1999/352/CE, CECA, Euratom della Commissione (in prosieguo denominato: "l'Ufficio") esercita le competenze di indagine conferite alla Commissione dalla normativa comunitaria e dagli accordi vigenti in questi settori.

2. L'Ufficio apporta il contributo della Commissione agli Stati membri per organizzare una collaborazione stretta e regolare tra le loro autorità competenti, al fine di coordinare la loro azione mirante a proteggere dalla frode gli interessi finanziari della Comunità europea. L'Ufficio contribuisce all'elaborazione e allo sviluppo dei metodi di lotta contro la frode nonché contro ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità europea.

3. All'interno delle istituzioni, degli organi e degli organismi istituiti dai Trattati o sulla base di questi ultimi (in prosieguo denominati: «le istituzioni, gli organi e gli organismi»), l'Ufficio svolge le indagini amministrative volte a:

- lottare contro la frode, la corruzione e ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità europea;

- ricercare a tal fine i fatti gravi, connessi all'esercizio di attività professionali, che possono costituire un inadempimento agli obblighi dei funzionari e agenti delle Comunità, perseguibile in sede disciplinare o penale o un inadempimento agli obblighi analoghi dei membri delle istituzioni e degli organi, dei dirigenti degli organismi o del personale delle istituzioni, degli organi e degli organismi cui non si applica lo statuto [in prosieguo: lo "Statuto del personale"]».

22. L'art. 4 del regolamento n. 1073/1999, intitolato «Indagini interne», dispone, per quanto rileva nella fattispecie, quanto segue:

«1. Nei settori di cui all'articolo 1, l'Ufficio svolge le indagini amministrative all'interno delle istituzioni, degli organi e degli organismi (in prosieguo denominate: "le indagini interne").

Tali indagini interne sono condotte nel rispetto delle norme dei Trattati, in particolare del protocollo sui privilegi e sulle immunità, nonché dello statuto, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dal presente regolamento nonché dalle decisioni adottate da ciascuna istituzione, organo od organismo. Le istituzioni si concertano sulla disciplina da istituire con tali decisioni.

2. Nel rispetto delle disposizioni di cui al primo paragrafo:

- l'Ufficio ha accesso senza preavviso e senza ritardo a qualsiasi informazione in possesso delle istituzioni, degli organi o degli organismi nonché ai locali dei medesimi. L'Ufficio ha la facoltà di controllare la contabilità delle istituzioni, degli organi e degli organismi. L'Ufficio può riprodurre e ottenere estratti di qualsiasi documento e del contenuto di qualsiasi supporto di dati in possesso delle istituzioni, degli organi e degli organismi ed all'occorrenza prendere possesso di questi documenti o informazioni per evitare qualsiasi rischio di sottrazione,

- l'Ufficio può chiedere informazioni orali ai membri delle istituzioni e degli organi, ai dirigenti degli organismi, nonché al personale delle istituzioni, degli organi e degli organismi.

(...).

4. Le istituzioni, gli organi e gli organismi sono informati quando agenti dell'Ufficio svolgono un'indagine nei loro locali e quando consultano un documento o chiedono un'informazione in possesso di queste istituzioni, organi e organismi.

5. Qualora dalle indagini emerga la possibilità di un coinvolgimento individuale di un membro, di un dirigente, di un funzionario od agente, l'istituzione, l'organo o l'organismo di appartenenza ne è informato. Nei casi che richiedano che sia mantenuto il segreto assoluto ai fini dell'indagine o che esigano il ricorso a mezzi d'investigazione di competenza di un'autorità giudiziaria nazionale, questa informazione può essere differita.

6. Fatte salve le norme dei Trattati, in particolare del protocollo sui privilegi e sulle immunità, nonché le disposizioni dello statuto, la decisione adottata da ogni istituzione, organo o organismo, di cui al primo paragrafo, contiene norme riguardanti in particolare:

a) l'obbligo per i membri, funzionari ed agenti delle istituzioni e degli organi, nonché per i dirigenti, funzionari e agenti degli organismi, di cooperare con gli agenti dell'Ufficio e di informarli;

b) le procedure che gli agenti dell'Ufficio devono osservare nell'esecuzione delle indagini interne nonché le garanzie dei diritti delle persone interessate da un'indagine interna».

23. A norma dell'art. 5 del regolamento n. 1073/1999, «[l]e indagini interne sono avviate con decisione del direttore dell'Ufficio, di propria iniziativa o su richiesta dell'istituzione, dell'organo o dell'organismo in cui dovranno svolgersi».

24. L'art. 6 del regolamento n. 1073/1999, intitolato «Esecuzione delle indagini», dispone quanto segue:

«1. Il direttore dell'Ufficio dirige l'esecuzione delle indagini.

2. Per eseguire i loro compiti, gli agenti dell'Ufficio presentano una procura scritta, indicante la loro identità e qualifica.

3. Gli agenti dell'Ufficio incaricati di un'indagine devono essere muniti, per ogni loro intervento, di un mandato scritto del direttore, indicante l'oggetto della medesima.

4. Nel corso dei controlli e delle verifiche in loco, gli agenti dell'Ufficio si comportano conformemente alle regole e agli usi vigenti per i funzionari dello Stato membro interessato, allo statuto nonché alle decisioni di cui all'articolo 4, paragrafo 1, secondo comma.

5. Le indagini si svolgono in modo continuativo per un periodo di tempo che deve essere proporzionato alle circostanze ed alla complessità del caso.

6. Gli Stati membri provvedono affinché le loro autorità competenti, secondo le disposizioni nazionali, forniscono agli agenti dell'Ufficio il contributo necessario all'assolvimento dei loro compiti. Le istituzioni e gli organi provvedono affinché i loro membri e il loro personale, e gli organismi provvedono affinché i loro dirigenti forniscano agli agenti dell'Ufficio il contributo necessario all'assolvimento dei loro compiti».

25. L'art. 7 del regolamento n. 1073/1999, intitolato «Obbligo di informare l'Ufficio», prevede quanto segue:

«1. Le istituzioni, gli organi e gli organismi comunicano senza indugio all'Ufficio qualsiasi informazione relativa a eventuali casi di frode o di corruzione o ad ogni altra attività illecita.

2. Le istituzioni, gli organi e gli organismi, nonché gli Stati membri nei limiti consentiti dal diritto nazionale, trasmettono su richiesta dell'Ufficio o di propria iniziativa, ogni documento e informazione di cui dispongono, relativi ad una indagine interna in corso.

Gli Stati membri trasmettono i documenti e le informazioni relativi alle indagini esterne in base alle pertinenti disposizioni.

3. Le istituzioni, gli organi e gli organismi, nonché gli Stati membri nei limiti consentiti dal diritto nazionale, trasmettono inoltre all'Ufficio ogni documento e informazione in loro possesso ritenuti pertinenti, relativi alla lotta contro le frodi, contro la corruzione e contro ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari delle Comunità».

26. L'art. 8 del regolamento n. 1073/1999 stabilisce le norme dirette a tutelare la riservatezza delle informazioni e dei dati ottenuti nell'ambito delle indagini.

27. L'art. 9 del regolamento n. 1073/1999 stabilisce, per quanto rileva nella fattispecie, quanto segue:

«1. Al termine di un'indagine, l'Ufficio redige sotto l'autorità del direttore una relazione che contiene in particolare i fatti accertati, l'eventuale indicazione del danno finanziario e le conclusioni dell'indagine, incluse le raccomandazioni del direttore dell'Ufficio sui provvedimenti da prendere.

2. Queste relazioni sono redatte tenendo conto delle prescrizioni di procedura previste nella legislazione nazionale dello Stato membro interessato.

(...).

4. La relazione redatta in seguito a un'indagine interna ed ogni documento utile ad essa pertinente sono trasmessi all'istituzione, all'organo o all'organismo interessato. Le istituzioni, gli organi e gli organismi danno alle indagini interne il seguito richiesto dalle risultanze ottenute, in particolare sul piano disciplinare e giudiziario, e ne informano il direttore dell'Ufficio entro la scadenza fissata da quest'ultimo nelle conclusioni della sua relazione».

28. Gli artt. 11, 12 e 14 del regolamento n. 1073/1999 stabiliscono norme relative alle funzioni del comitato di vigilanza, alle funzioni del direttore e al diritto dei funzionari e degli altri agenti di presentare reclamo contro atti che arrechino loro pregiudizio, adottati dall'Ufficio nell'ambito di un'indagine interna.

Accordo interistituzionale relativo alle indagini interne svolte dall'Ufficio europeo per la lotta antifrode

29. Il 25 maggio 1999, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno concluso un accordo interistituzionale relativo alle indagini interne dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode (in prosieguo: l'«accordo interistituzionale»).

30. La parti hanno convenuto, in particolare, di «adottare una disciplina comune che comprenda i provvedimenti esecutivi necessari per agevolare il regolare svolgimento delle indagini svolte dall'Ufficio al loro interno», e di «avviare tale disciplina e di applicarla immediatamente con una decisione interna conforme al modello allegato al presente accordo e di non discostarsi da tale modello, se non quando particolari esigenze a loro proprie lo impongano per necessità tecniche».

31. L'accordo stabilisce inoltre che «[l]e altre istituzioni, nonché gli organi e gli organismi istituiti dai Trattati CE e CEEA o sulla base degli stessi, sono invitati ad aderire al presente accordo mediante una dichiarazione che ciascuno di essi trasmette ai presidenti delle istituzioni firmatarie, congiuntamente».

Decisione impugnata

32. Il 7 ottobre 1999 il consiglio direttivo della BCE (in prosieguo: il «consiglio direttivo») ha adottato - in forza dell'art. 12.3 del protocollo sullo statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea (in prosieguo: lo «statuto») - una decisione relativa alla prevenzione delle frodi .

33. Al primo e al terzo considerando della decisione impugnata si afferma che la BCE attribuisce grande importanza alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità e dei propri interessi finanziari. Secondo il quarto e il sesto considerando, la BCE intende lottare contro le frodi e le altre attività illecite lesive dei suoi interessi finanziari, pur conservando l'attuale ripartizione ed equilibrio delle responsabilità fra la BCE e le istituzioni delle Comunità europee e tenendo conto dell'indipendenza della BCE e del fatto che quest'ultima dispone di un bilancio e di risorse finanziarie propri, indipendenti da quelli delle Comunità europee. L'ottavo considerando recita che «la lotta contro le frodi e le altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della BCE è una funzione fondamentale attribuita alla Direzione Revisione Interna e che tale Direzione è responsabile della conduzione delle indagini amministrative all'interno della BCE a tale scopo».

34. L'art. 1, nn. 1 e 2, della decisione impugnata, intitolato «Comitato antifrode della BCE», dispone quanto segue:

«1. E' istituito un Comitato antifrode al fine di rafforzare l'indipendenza della Direzione Revisione Interna nello svolgimento delle sue attività e nelle sue funzioni di segnalazione in merito a tutte le questioni connesse con la prevenzione e l'individuazione delle frodi e delle altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della BCE, nonché in merito all'osservanza dei pertinenti standard e/o codici di condotta in vigore all'interno della BCE. La composizione e i poteri del Comitato antifrode sono definiti nel presente articolo.

2. Il Comitato antifrode è responsabile sia della regolare sorveglianza sia del corretto svolgimento delle attività di cui al precedente paragrafo 1 da parte della Direzione Revisione Interna della BCE».

35. Ai sensi dell'art. 1, n. 7, se appropriato, il comitato antifrode può dare istruzioni alla D-RI circa lo svolgimento delle proprie attività.

36. L'art. 2 della decisione impugnata, intitolato «Responsabilità delle segnalazioni in materia di frode», stabilisce quanto segue:

«In conformità della presente decisione e delle procedure in vigore all'interno della BCE, la Direzione Revisione Interna è responsabile delle indagini e delle segnalazioni per tutte le questioni connesse alla prevenzione e all'individuazione delle frodi e delle altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della BCE, nonché per ciò che concerne il rispetto dei pertinenti standard e/o codici di condotta in vigore all'interno della BCE».

37. Al fine di assicurare che la Direzione Revisione Interna possa svolgere indagini e fornire informazioni su tutte le questioni connesse all'individuazione e alla prevenzione delle frodi in modo efficace e con il necessario grado di indipendenza, l'art. 3 della decisione impugnata - intitolato «Indipendenza» - dispone che il direttore della Revisione Interna risponde, per le questioni relative alle frodi, al comitato antifrode di cui all'articolo 1. A norma dell'art. 1, n. 7, della decisione impugnata, ogni anno il direttore della Revisione Interna invia al comitato antifrode il programma delle proprie attività e la D-RI informa regolarmente il comitato antifrode delle sue attività, in particolare delle indagini in corso, dei risultati di queste ultime e dei provvedimenti adottati a tale riguardo.

38. Ai sensi dell'art. 1, nn. 3-5, della decisione impugnata, il comitato antifrode è composto da tre personalità esterne indipendenti nominate con decisione del consiglio direttivo per un periodo rinnovabile di tre anni, le quali, nell'assolvimento delle proprie funzioni, non sollecitano né accettano istruzioni da parte degli organi decisionali della BCE, di istituzioni o organismi delle Comunità europee, di governi o di istituzioni ed organismi di altra natura.

39. A norma dell'art. 1, n. 8, della decisione impugnata, il comitato antifrode sottopone al consiglio direttivo, ai revisori esterni della BCE e alla Corte dei conti europea rapporti sui risultati delle indagini svolte dalla D-RI e sulle misure adottate a riguardo di queste ultime, nonché, almeno una volta all'anno, un rapporto sulle proprie attività. Inoltre, ai sensi dell'art. 1, n. 10, il comitato antifrode può informare la competente autorità giudiziaria nazionale nel caso in cui vi siano elementi sufficienti ad ipotizzare un'infrazione delle norme penali nazionali.

40. Gli artt. 4-7 della decisione impugnata stabiliscono alcune norme dettagliate applicabili alle indagini svolte dalla D-RI. Dette disposizioni prevedono, in particolare, che le persone interessate da un'indagine su un caso di frode devono essere informate e devono avere l'opportunità di esprimere la loro opinione su tutti i fatti che le riguardano , che le attività della D-RI debbono essere svolte in conformità delle disposizioni dei Trattati, in particolare dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, e del Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee , e che tutte le informazioni ottenute nel corso delle indagini sui casi di frode sono vincolate dal segreto professionale .

41. A norma degli artt. 5, secondo comma, e 6 della decisione impugnata, gli impiegati della BCE «devono (...) informare il Comitato antifrode o la Direzione Revisione Interna dei casi di frode o di attività illecite lesive degli interessi finanziari della BCE» e «possono presentare al Comitato esecutivo o al Comitato antifrode un reclamo riguardante un atto o un'omissione compiuti dalla Direzione Revisione Interna (...) che abbiano conseguenze sfavorevoli per la persona interessata».

42. Per quanto riguarda l'OLAF, l'art. 1, n. 9, stabilisce quanto segue:

«Il Comitato antifrode è responsabile dei rapporti con il Comitato di vigilanza dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) di cui all'articolo 11 del regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio. Tali rapporti sono governati da principi stabiliti con una decisione della BCE».

Procedimento e conclusioni delle parti

43. La Commissione chiede alla Corte, in forza dell'art. 230 CE, di annullare la decisione impugnata e di condannare la BCE alle spese. Il suo argomento principale è che la decisione impugnata è incompatibile, in particolare, con l'art. 4 del regolamento n. 1073/1999.

44. La BCE chiede alla Corte di dichiarare infondato il ricorso e di condannare la Commissione alle spese. Essa deduce due motivi di diritto. Secondo il primo motivo, la decisione impugnata non sarebbe incompatibile con il regolamento n. 1073/1999. Il secondo motivo si basa sul fatto che il regolamento n. 1073/1999 non è applicabile alla BCE. A tale proposito, essa fa valere in via principale che la Corte dovrebbe interpretare le disposizioni del regolamento in modo da escludere la BCE dal suo ambito di applicazione giacché, in caso contrario, il regolamento i) sarebbe privo di fondamento giuridico in quanto è stato adottato in forza dell'art. 280, n. 4, CE, ii) sarebbe stato adottato in violazione di una condizione essenziale di procedura in quanto la BCE non è stata consultata conformemente all'art. 105, n. 4, CE, iii) sarebbe incompatibile con il principio di indipendenza della BCE sancito dall'art. 108 CE e iv) violerebbe il principio di proporzionalità. In subordine, la BCE afferma che la Corte dovrebbe dichiarare il regolamento n. 1073/1999 inapplicabile alla BCE ai sensi dell'art. 241 CE.

45. Il Parlamento europeo, il Consiglio e il governo olandese sono intervenuti a sostegno della Commissione. Essi deducono argomenti sostanzialmente analoghi a quelli della Commissione. Esporrò tali argomenti solo laddove siano pertinenti e, in particolare, nella misura in cui risultino diversi da quelli della Commissione. Si deve inoltre osservare che nella specie le parti hanno dedotto argomenti molto dettagliati, che saranno esposti solo se necessari ai fini dell'analisi delle questioni sollevate.

Definizione delle questioni

46. Alla luce degli argomenti delle parti e degli intervenienti, occorre esaminare le seguenti questioni principali:

- se il regolamento n. 1073/1999, interpretato correttamente, sia applicabile alla BCE;

- se la decisione impugnata sia incompatibile con il regolamento n. 1073/1999;

- se il regolamento n. 1073/1999 vada dichiarato inapplicabile ai sensi dell'art. 241 CE.

Il regolamento n. 1073/1999 è applicabile alla BCE?

47. La BCE sostiene che la Corte deve interpretare le disposizioni del regolamento in modo da escluderla dal suo ambito di applicazione. Essa ritiene che il regolamento n. 1073/1999 non definisca il proprio ambito di applicazione ratione personae in termini precisi. Poiché, a parere della BCE, il regolamento sarebbe invalido per mancanza di fondamento giuridico, inosservanza di una condizione essenziale di procedura e violazione dell'indipendenza della BCE e del principio di proporzionalità, qualora fosse applicabile nei suoi confronti, la Corte dovrebbe interpretarlo in modo che risulti conforme al Trattato. Più specificamente, la BCE fa valere che il termine «organi» che compare, tra l'altro, all'art. 1 del regolamento, dev'essere interpretato nel senso che comprende gli organismi i cui interessi finanziari sono direttamente collegati - a differenza di quelli della BCE - al bilancio della Comunità.

48. La Corte ha costantemente dichiarato che «allorché una norma di diritto derivato comunitario ammetta più di un'interpretazione, si [deve] dare la preferenza a quella che rende la norma stessa conforme al Trattato rispetto a quella che porti a constatare la sua incompatibilità col Trattato stesso» .

49. Tuttavia, il testo del regolamento n. 1073/1999 è perfettamente chiaro e, a mio parere, non si presta all'interpretazione proposta dalla BCE.

50. Dagli artt. 1, n. 3, 4, nn. 1 e 6, 5, secondo comma, 6, n. 6, 7, nn. 1, 2 e 3, 9, n. 4, 10, n. 3, e 14, secondo comma, emerge chiaramente che il regolamento si applica alle «istituzioni, [agli] organi e [agli] organismi istituiti dai Trattati o sulla base di questi ultimi». Al settimo considerando del preambolo si afferma che «l'Ufficio deve potere effettuare indagini interne in tutte le istituzioni, tutti gli organi e tutti gli organismi istituiti dai Trattati CE e Euratom o sulla base dei medesimi».

51. Il legislatore non avrebbe potuto definire l'ambito di applicazione del regolamento in modo più ampio. Se avesse voluto escludere la BCE dall'ambito di applicazione del regolamento, avrebbe sicuramente adottato una formulazione diversa. Inoltre, sebbene non sia una delle istituzioni della Comunità menzionate all'art. 7 CE, la BCE è stata istituita dall'art. 8 del Trattato CE. Essa rientra quindi pienamente nel normale significato della nozione di «organi (...) istituiti» dal Trattato CE o «sulla base» di quest'ultimo, utilizzata nel regolamento. Nessun elemento del preambolo o delle disposizioni del regolamento consente di interpretare tale nozione nel senso che esclude gli organi le cui risorse finanziarie non siano direttamente o indirettamente collegate al bilancio della Comunità.

52. Poiché il testo è chiaro, in linea di principio non è necessario né auspicabile spingersi oltre. Quand'anche lo si facesse, nella fattispecie i lavori preparatori del regolamento sembrano confermare la tesi della sua applicabilità alla BCE. Nel preambolo della proposta di regolamento della Commissione n. 1073/1999 si affermava che l'OLAF «deve poter svolgere le indagini interne nelle istituzioni e negli organismi istituti dai Trattati CE e CEEA o sulla base dei medesimi» . Sebbene dal fascicolo non risulti con chiarezza il livello e l'intensità delle consultazioni effettuate, è pacifico che, nel corso di incontri con i rappresentanti del Consiglio, il personale della BCE ha espresso parere negativo in merito all'applicazione alla BCE del regime proposto. Il Parlamento e il Consiglio tuttavia non hanno modificato la proposta della Commissione conformemente al parere della BCE . Per contro, nel settimo considerando il Consiglio ha inserito i termini «tutte» e «tutti», riaffermando in tal modo l'ampio ambito di applicazione ratione personae previsto nella proposta della Commissione.

53. Infine, sebbene l'interpretazione delle misure comunitarie in generale non possa essere stabilita attraverso le dichiarazioni rese dalle istituzioni della Comunità dopo la loro adozione, si può osservare che il Consiglio dei Ministri ha invitato la BCE a conformarsi al regolamento n. 1073/1999 e che recentemente il Parlamento ha sottolineato l'esigenza di un «approccio interistituzionale globale» alla materia oggetto del regolamento .

54. Per tali motivi, ritengo che il regolamento n. 1073/1999 sia applicabile alla BCE.

55. La BCE contesta tale conclusione sostenendo di non poter essere considerata alla stregua di un «organo» istituito dal Trattato CE o sulla base del medesimo ai sensi del regolamento, data la posizione particolare in cui essa è collocata dallo stesso Trattato. Sebbene la BCE ammetta di non «esistere in una realtà giuridica totalmente distinta da quella della Comunità» e riconosca che il legislatore comunitario può adottare misure generali applicabili alla BCE, essa attira l'attenzione in particolare sul fatto che i) la BCE non è un'istituzione comunitaria ai sensi dell'art. 7 CE ; ii) il Trattato CE ha conferito alla BCE una personalità giuridica distinta da quella della Comunità europea ; iii) la BCE ha propri organi interni dotati di poteri decisionali ; iv) il Trattato ha conferito a detti organi poteri originari per l'adozione di provvedimenti giuridicamente vincolanti ; v) i bilanci della BCE non devono essere sottoposti all'esame dalla Corte dei conti e (vi) la BCE, nell'assolvimento dei propri compiti, agisce in modo indipendente rispetto alle altre istituzioni comunitarie .

56. Tale argomento non mi sembra persuasivo sostanzialmente per tre motivi.

57. In primo luogo, benché gli Stati membri abbiano preso in considerazione la possibilità di stabilire le norme relative alla politica monetaria e al SEBC in un distinto «pilastro monetario» in base al Trattato sull'Unione europea , essi hanno scelto di integrare tali materie nel Trattato CE . L'istituzione di un'unione monetaria è stata quindi aggiunta alle funzioni della Comunità menzionate all'art. 2 CE, la BCE è stata istituita con l'art. 8 del Trattato CE e tutte le norme che ne disciplinano la posizione costituzionale sono state inserite nel Trattato CE e nello statuto che, in quanto protocollo, fa parte del diritto primario della Comunità .

58. In secondo luogo, si può rammentare che l'art. 105, n. 1, CE dispone che «[f]atto salvo l'obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nella Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità definiti nell'articolo 2». Tale disposizione corrisponde all'art. 4 CE, che è collocato nella Parte prima del Trattato («Principi») e dispone che «[a]i fini enunciati all'articolo 2, l'azione degli Stati membri e della Comunità comprende (...) l'adozione di una politica economica» e che «[p]arallelamente (...) questa azione comprende (...) la definizione e la conduzione di una politica comunitaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l'obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nella Comunità conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza».

59. In terzo luogo, la BCE - conformemente al principio dello Stato di diritto sancito all'art. 6 del Trattato sull'Unione europea - è vincolata dal diritto comunitario ed è soggetta alla giurisdizione della Corte di giustizia . Inoltre, mentre i bilanci della BCE vengono controllati da revisori esterni indipendenti scelti dalla BCE, previa approvazione del Consiglio , la verifica dell'efficienza operativa della sua gestione spetta alla Corte dei conti .

60. Da tali considerazioni discende, come osserva la Commissione, che la BCE forma parte integrante della struttura della Comunità. La posizione particolare della BCE nell'ambito di tale struttura - che la mantiene distinta, da un lato, dalle istituzioni e, dall'altro, dagli organi e organismi istituiti con atti di diritto comunitario derivato - a mio parere non giustifica la conclusione che la BCE non è un organismo facente parte della Comunità . La BCE è soggetta all'applicazione dei principi generali del diritto che fanno parte del diritto comunitario e promuove gli obiettivi comunitari indicati all'art. 2 CE assolvendo i compiti e i doveri che le incombono . Non sarebbe esatto descriverla, come fanno alcuni autori, come un'organizzazione «indipendente della Comunità europea», una «Comunità nella Comunità», una «nuova Comunità» né, tanto meno, come un qualcosa che esula dalla nozione di organo istituito dal Trattato CE o sulla base di quest'ultimo utilizzata nel regolamento n. 1073/1999.

61. Si può aggiungere che la BCE avrebbe potuto sostenere, a titolo di argomento in subordine, che il regolamento n. 1073/1999 dev'essere considerato applicabile nei suoi confronti, ma solo nella misura in cui essa gestisce fondi rientranti nel bilancio della Comunità . Tuttavia tale argomento - come la Commissione ha osservato all'udienza - non potrebbe comunque essere accolto. I fondi della Comunità ammontano, secondo quanto spiegato dalle parti, solo al 3-4% del bilancio annuale della BCE e derivano in sostanza dalle imposte comunitarie che la BCE riscuote sulle retribuzioni dei suoi dipendenti. Limitare i poteri dell'OLAF al controllo di tali fondi sarebbe poco realistico e difficilmente realizzabile. Inoltre priverebbe il regolamento n. 1073/1999 di qualsiasi efficacia nei confronti della BCE. Pertanto, in mancanza di un solido appiglio nella formulazione o nella genesi storica del regolamento, tale interpretazione non può essere accolta.

La decisione impugnata è incompatibile con il regolamento n. 1073/1999?

62. Alla luce di tale conclusione, occorre esaminare se la decisione impugnata sia incompatibile con il regolamento n. 1073/1999.

Sintesi degli argomenti

63. A parere della Commissione, la decisione impugnata è incompatibile con il regolamento n. 1073/1999 per due motivi.

64. In primo luogo, la Commissione rammenta che l'art. 4, n. 1, del regolamento n. 1073/1999 dispone che «[n]ei settori di cui all'articolo 1, l'Ufficio svolge le indagini amministrative all'interno delle istituzioni, degli organi e degli organismi» . Tuttavia, a tenore dell'ottavo considerando della decisione impugnata, «la lotta contro le frodi e le altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della BCE è una funzione fondamentale attribuita alla Direzione Revisione Interna», che «è responsabile della conduzione delle indagini amministrative all'interno della BCE a tale scopo». Inoltre, ai sensi dell'art. 2 della decisione impugnata, la D-RI è «responsabile delle indagini e delle segnalazioni per tutte le questioni connesse alla prevenzione e all'individuazione delle frodi e delle altre attività illecite lesive degli interessi finanziari della BCE». A parere della Commissione, tali disposizioni equivalgono a negare che l'OLAF possa svolgere indagini interne e di fatto impediscono di applicare il regolamento n. 1073/1999 alla BCE.

65. A tale proposito, la Commissione osserva che il preambolo della decisione impugnata distingue espressamente tra misure adottate in forza dell'art. 280 CE per combattere le frodi e le altre attività illecite lesive degli interessi finanziari delle Comunità e misure applicabili alla BCE, sottolineando che l'indipendenza della BCE è prevista dal Trattato e che essa dispone di un bilancio e di risorse propri, indipendenti da quelli delle Comunità europee. Pertanto, la decisione impugnata formalizzerebbe la tesi della BCE, che quest'ultima ha espresso in diverse occasioni nel corso dell'iter legislativo che ha condotto all'adozione del regolamento n. 1073/1999, secondo cui solo la BCE stessa può decidere se, da chi e con quali modalità possano essere condotte indagini sull'attività del suo personale. Inoltre la tesi secondo cui il sistema di indagine previsto dalla decisione impugnata è considerato come un'alternativa alle indagini condotte dall'OLAF sarebbe confermata, secondo la Commissione, dal fatto che l'unica disposizione che prevede un contatto tra i due sistemi è l'art. 1, n. 9, della decisione impugnata, a norma del quale il comitato antifrode «è responsabile dei rapporti con il Comitato di vigilanza dell'(...) (OLAF)» conformemente ai «principi [da stabilirsi] con una decisione della BCE».

66. In secondo luogo, la Commissione sostiene che l'art. 4, n. 1, del regolamento n. 1073/1999 obbliga tutte le istituzioni e tutti gli organi e gli organismi istituiti dal Trattato o sulla base di quest'ultimo ad adottare una decisione che - ai sensi dell'art. 4, n. 6 - deve contenere norme riguardanti l'obbligo di cooperare con l'OLAF e di informarlo, le procedure che l'OLAF deve osservare nell'esecuzione delle indagini interne nonché le garanzie dei diritti delle persone interessate da tali indagini. La decisione impugnata tuttavia non stabilisce le condizioni e le modalità che l'OLAF deve rispettare nello svolgimento di indagini all'interno della BCE. Il suddetto articolo dispone inoltre che il personale della BCE deve informare il comitato antifrode o la D-RI in merito a qualunque frode o attività illecita lesiva degli interessi finanziari della BCE, senza prevedere un obbligo parallelo di informare l'OLAF in merito a tali attività.

67. La BCE fa valere che la decisione impugnata non è incompatibile con il regolamento n. 1073/1999. In replica al primo argomento della Commissione - secondo cui l'ottavo considerando e l'art. 2 della decisione impugnata costituiscono una negazione dei poteri dell'OLAF - la BCE afferma che, in sostanza, la decisione impugnata riflette la situazione preesistente alla sua adozione, come conferma l'uso dell'indicativo nel preambolo e nell'art. 2 . L'unico elemento nuovo contenuto nella decisione impugnata è l'istituzione del comitato antifrode, che si prefigge di aumentare l'indipendenza della D-RI e di rafforzarne la capacità di combattere le frodi. Nell'adottare tale provvedimento specifico, la BCE non è contravvenuta al regolamento n. 1073/1999 poiché esso non può essere interpretato nel senso che conferisce all'OLAF un monopolio sulle indagini concernenti le attività illecite all'interno delle istituzioni e degli organi comunitari.

68. In replica al secondo argomento della Commissione, la BCE afferma che l'art. 4 del regolamento n. 1073/1999 non obbliga le istituzioni e gli organi comunitari ad adottare norme sulle modalità delle indagini interne di competenza dell'OLAF. L'art. 4, n. 1, non dispone espressamente che le istituzioni e gli organi devono adottare siffatte norme; l'art. 4, n. 1, seconda frase, prevede semplicemente che «[l]e istituzioni si concertano sulla disciplina da istituire». Dal testo di detta disposizione risulta quindi che le istituzioni e gli organismi possono astenersi dall'istituire tale disciplina e adottare misure adeguate per combattere le frodi. A suo parere, tale argomento trova conferma nel fatto che le parti dell'accordo interistituzionale hanno ritenuto necessario includervi una disposizione che obbligasse le istituzioni e gli organi firmatari ad istituire la disciplina in questione. La BCE aggiunge che l'art. 4 non stabilisce un termine per l'adozione di una decisione da parte delle istituzioni e degli organi.

Sulla ricevibilità

69. La BCE contesta la ricevibilità del secondo argomento della Commissione. Essa afferma che la questione se sia venuta meno ad un obbligo di agire impostole dall'art. 4 del regolamento n. 1073/1999 non può essere sollevata nell'ambito di un ricorso d'annullamento proposto in forza dell'art. 230 CE. A suo parere, tale questione potrebbe essere dedotta solo nel quadro di un ricorso per carenza ai sensi dell'art. 232 CE.

70. La Commissione fa valere in sostanza che la decisione impugnata equivale di fatto ad una decisione della BCE di non collaborare con l'OLAF conformemente al regolamento n. 1073/1999 e, in particolare, di non adottare la disciplina menzionata all'art. 4, nn. 1 e 6, del regolamento. La Commissione intende quindi dimostrare che la decisione impugnata è una decisione negativa che può essere impugnata mediante ricorso ai sensi dell'art. 230 . La ricevibilità del secondo argomento della Commissione è inscindibilmente connessa al merito della causa; propongo pertanto di esaminarla in tale contesto.

Nel merito

71. In primo luogo, si può notare che all'udienza la Commissione ha espressamente ammesso che il regolamento n. 1073/1999 non può essere interpretato nel senso che conferisce all'OLAF un monopolio sulle indagini concernenti le frodi all'interno delle istituzioni comunitarie e che quindi l'istituzione di organismi interni di controllo o antifrode da parte di altre istituzioni o organi è di per sé illegittima. Tale conclusione - che potrebbe avere l'effetto di rendere vani gli sforzi profusi nella lotta alle frodi qualora, in determinati periodi, l'OLAF non potesse svolgere indagini approfondite in merito a segnalazioni di presunte frodi - dovrebbe avere un solido fondamento nel regolamento stesso. Il testo del regolamento, al contrario, non fornisce un chiaro sostegno a questa tesi.

72. E' vero che, come osserva la Commissione, la versione francese del regolamento n. 1073/1999 prevede che l'OLAF svolge «les enquêtes internes» e le versioni italiana e greca contengono frasi analoghe, che potrebbero forse essere interpretate nel senso che l'OLAF è responsabile di tutte le indagini interne. Tuttavia, le altre versioni linguistiche non corroborano tale interpretazione. La versione inglese, ad esempio, dispone semplicemente che l'OLAF «carry out administrative investigations within the institutions, bodies, offices and agencies». Neanche dai lavori preparatori del regolamento n. 1073/1999 emergono indicazioni nel senso che il legislatore intendesse escludere la possibilità che le istituzioni e gli organi della Comunità intraprendano azioni per combattere la frode, ad esempio rafforzando i controlli interni o istituendo organismi aventi la specifica funzione di prevenire le frodi .

73. A mio parere, pertanto, l'istituzione di un sistema interno di lotta alla frode da parte della BCE non è di per sé in contrasto con il regolamento n. 1073/1999.

74. In secondo luogo, è chiaro che, come osserva la BCE, la decisione impugnata non «nega» espressamente i poteri conferiti all'OLAF dal regolamento n. 1073/1999. Secondo detta decisione, «la lotta contro le frodi (...) è una funzione fondamentale» della D-RI, che «è responsabile della conduzione delle indagini amministrative all'interno della BCE a tale scopo». La decisione impugnata non dispone quindi che la D-RI è l'«unica» responsabile della lotta contro le frodi, né prevede espressamente che l'OLAF non possa svolgere indagini sui dipendenti della BCE o che questi ultimi non debbano informare l'OLAF in merito a sospetti casi di frode. E' altresì vero, come osserva la BCE, che la decisione impugnata non esclude espressamente la possibilità che la BCE possa in futuro adottare una decisione ai sensi dell'art. 4.

75. Tuttavia, la questione non si esaurisce in questo. Le istituzioni e gli organi della Comunità sono vincolati dal regolamento n. 1073/1999 e pertanto sono tenuti ad astenersi dal compiere atti che possano sminuirne l'efficacia. Come osserva il Consiglio, il regolamento non impone un obbligo di risultato che ogni istituzione o organismo deve adempiere con qualunque mezzo ritenuto adeguato; impone loro di collaborare con l'OLAF in buona fede in modo che esso possa assolvere il compito affidatogli dal legislatore.

76. La questione, pertanto, è se la decisione impugnata possa sminuire l'efficacia del regolamento n. 1073/1999. Ritengo che tale questione vada risolta in senso affermativo. Quand'anche la decisione impugnata non potesse impedire del tutto all'OLAF di svolgere indagini su presunte frodi nell'ambito della BCE, essa rende tali indagini molto difficili. Questa conclusione è fondata su tre considerazioni.

77. In primo luogo, l'art. 2 - a norma del quale la D-RI è «responsabile delle indagini e delle segnalazioni per tutte le questioni connesse alla prevenzione e all'individuazione delle frodi e delle altre attività illecite» - sembra espressione della volontà del consiglio direttivo della BCE di garantire che le indagini vengano svolte esclusivamente dal sistema antifrode della BCE. Non sarebbe realistico credere che il personale - ad eccezione, forse, di pochi coraggiosi - collaborerebbe con l'OLAF in mancanza di una politica gestionale in tal senso.

78. In secondo luogo, conformemente all'art. 5 della decisione impugnata, i dipendenti della BCE i) «devono (...) informare il Comitato antifrode o la Direzione Revisione Interna dei casi di frode o di attività illecite» e ii) «non devono in nessun caso subire un trattamento iniquo o discriminatorio per aver contribuito alle attività del Comitato antifrode, o della Direzione Revisione Interna, di cui alla presente decisione». Disponendo che i dipendenti della BCE devono informare il sistema antifrode della BCE (e non l'OLAF) e, soprattutto, omettendo di disporre che gli stessi non devono subire conseguenze negative per aver contribuito alle attività dell'OLAF, tale disposizione potrebbe disincentivare i dipendenti della BCE dall'informare l'OLAF e dal collaborare con esso.

79. A mio parere, tuttavia, sia dal preambolo che dal testo dalla stessa decisione impugnata emerge con chiarezza soprattutto che essa costituisce di fatto una decisione negativa di non adottare la decisione di attuazione prevista dall'art. 4 del regolamento n. 1073/1999.

80. Nel preambolo della decisione impugnata, se si riconosce che «è necessario utilizzare tutti i mezzi disponibili» per lottare contro le frodi , si afferma altresì che tali mezzi devono essere impiegati «conservando l'attuale ripartizione ed equilibrio delle responsabilità fra la BCE e le istituzioni delle Comunità europee» . La BCE ha spiegato alla Corte che la D-RI era responsabile delle indagini sulle frodi all'interno della BCE all'epoca in cui è stata adottata la decisione impugnata. Il preambolo pertanto potrebbe essere espressione della volontà della BCE di non modificare lo status quo adottando una decisione ai sensi dell'art. 4 intesa ad agevolare le indagini dell'OLAF.

81. Nel primo considerando della decisione impugnata si afferma che «la BCE, unitamente alle istituzioni delle Comunità europee e agli Stati membri, attribuisce grande importanza (...) alle iniziative volte a combattere le frodi». Nel secondo considerando si rammenta che «il Consiglio europeo di Colonia del giugno 1999 ha ritenuto altamente auspicabile l'adesione della BCE alle iniziative delle Comunità europee volte a combattere le frodi all'interno dell'Unione europea». Il quarto considerando fa riferimento «alle funzioni di indagine assegnate alla BCE e alle istituzioni delle Comunità europee». In tali considerando si mantengono distinte, da un lato, le istituzioni delle Comunità europee e, dall'altro, la BCE. Tuttavia, al quinto considerando la BCE fa riferimento al regolamento n. 1073/1999 in quanto «iniziativ[a] volt[a] a combattere le frodi e le altre attività illecite lesive degli interessi finanziari delle Comunità» adottata dalle «istituzioni delle Comunità europee e [da]gli Stati membri» sulla base dell'art. 280 CE. Alla luce della distinzione formulata tra la BCE e le istituzioni della Comunità nel primo, secondo e quarto considerando, la formulazione del quinto considerando indica implicitamente che la BCE non si considera soggetta all'applicazione del regolamento n. 1073/1999 e quindi neanche all'obbligo di adottare una decisione ai sensi dell'art. 4.

82. Tale interpretazione del preambolo trova conferma nel sesto considerando, in cui si afferma che la BCE è indipendente dalle istituzioni e dispone di un bilancio e di risorse finanziarie propri, indipendenti da quelli delle Comunità europee. Esclusivamente da quest'ultimo considerando può dedursi, come osserva la Commissione, che la BCE ritiene che la sua posizione nella collocazione sistematica del Trattato sia diversa da quella delle altre istituzioni e degli altri organi e che essa non sia né possa essere tenuta a conformarsi al regolamento n. 1073/1999.

83. La distinzione operata dalla BCE tra le norme del regolamento n. 1073/1999, che sono applicabili alle istituzioni e agli Stati membri, da un lato, e i provvedimenti che possono essere adottati per lottare contro le frodi all'interno della stessa BCE, dall'altro, emerge con chiarezza anche dalla lettura congiunta del settimo e dell'ottavo considerando. Dopo aver sottolineato - nel sesto considerando - l'indipendenza attribuita alla BCE dal Trattato e dallo statuto, il settimo considerando descrive l'OLAF come un organo «istituito [dalla Commissione] al proprio interno». Anche in questo caso, l'implicazione è chiara: un ufficio della Commissione non può essere considerato responsabile delle indagini condotte sulle attività di un organo indipendente quale la BCE.

84. La tesi secondo cui la decisione impugnata sarebbe in sostanza una decisione di non conformarsi all'art. 4 del regolamento n. 1073/1999 è confermata anche dalle disposizioni sostanziali in essa contenute.

85. Si ricorderà che l'art. 1, n. 9, della decisione impugnata dispone che «[i]l Comitato antifrode è responsabile dei rapporti con il Comitato di vigilanza dell'(...) (OLAF)». La decisione impugnata non prevede alcun'altra disposizione in merito alla cooperazione con l'OLAF. L'unico punto di contatto tra il sistema della BCE e l'OLAF è quindi riscontrabile a livello generale; la decisione impugnata non prevede una collaborazione a livello operativo né l'adozione di una decisione che precisi le modalità delle indagini che l'OLAF deve svolgere. Inoltre, ai sensi dell'art. 1, n. 8, il comitato antifrode deve sottoporre rapporti sulle sue attività al consiglio direttivo, ai revisori esterni della BCE e alla Corte dei conti europea; non è previsto l'obbligo di sottoporre rapporti all'OLAF.

86. Ai sensi dell'art. 2 della decisione impugnata, la D-RI, «[i]n conformità della presente decisione e delle procedure in vigore all'interno della BCE», è responsabile delle indagini e delle segnalazioni per tutte le questioni connesse alla prevenzione delle frodi all'interno della BCE, mentre l'art. 5 dispone che «[l]e attività di cui alla presente decisione sono svolte in conformità delle disposizioni dei Trattati, in particolare dell'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea, e del Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee, tenendo in debito conto le Condizioni di impiego del personale della Banca centrale europea e le norme applicabili al personale impiegato dalla BCE su base temporanea». Il fatto che tali disposizioni non contengano alcun riferimento al regolamento n. 1073/1999 sembra indicare che la BCE si considera al di fuori dell'ambito di applicazione del regolamento e pertanto non si ritiene obbligata a conformarsi all'art. 4 dello stesso. Si può inoltre osservare che l'art. 1, n. 9, dispone che i rapporti tra il comitato antifrode e il comitato di vigilanza «sono governati da principi stabiliti con una decisione della BCE». Per contro, sembra che tali rapporti non siano governati dai principi e dalle norme stabiliti dal regolamento n. 1073/1999.

87. Infine, dal confronto tra le norme dettagliate del regolamento n. 1073/1999 e la decisione impugnata emerge che quest'ultima è modellata sul primo, o è comunque analoga ad esso. Entrambi i provvedimenti istituiscono un comitato di vigilanza indipendente, stabiliscono norme procedurali intese a tutelare i diritti delle persone interessate, prevedono che le autorità giudiziarie nazionali possono essere informate sui casi di frode e insistono sul rispetto dello Statuto del personale. L'istituzione, da parte della BCE, di un sistema parallelo, analogo a quello istituito dal regolamento, è conforme - come osserva la Commissione - alla tesi della BCE, sostenuta con forza dinanzi alla Corte, secondo cui il regolamento non è applicabile alla BCE ed essa non è quindi tenuta ad adottare una decisione ai sensi dell'art. 4.

88. Pertanto, concludo che la decisione impugnata è atta a sminuire l'efficacia del regolamento n. 1073/1999 ed è quindi incompatibile con esso.

89. Tale conclusione non è inficiata dall'argomento della BCE secondo cui l'art. 4 del regolamento n. 1073/1999 non è vincolante, e le istituzioni e gli organi sono tenuti solo a concertarsi.

90. Si ricorderà che a norma dell'art. 4, n. 1, le «indagini interne sono condotte (...) secondo le modalità stabilite dal presente regolamento nonché dalle decisioni adottate da ciascuna istituzione, organo od organismo», e che conformemente all'art. 4, n. 6, «la decisione adottata da ogni istituzione, organo o organismo, di cui al primo paragrafo, contiene norme riguardanti» l'obbligo di collaborare con l'OLAF, le procedure che l'OLAF deve seguire e i diritti delle persone interessate.

91. Il normale significato delle espressioni «dalle decisioni adottate» e «la decisione adottata» a mio parere emerge con chiarezza sia dal testo inglese sia dalle altre versioni linguistiche dell'art. 4, nn. 1 e 6: tali disposizioni non attribuiscono una facoltà e devono essere interpretate nel senso che impongono un obbligo di agire . Tale interpretazione, come osserva la Commissione, trova conferma nel decimo considerando, in cui si afferma che «le istituzioni, organi e organismi dovranno determinare le condizioni e le modalità secondo le quali devono svolgersi le indagini interne».

92. L'interpretazione che attribuisce forza vincolante all'art. 4 è inoltre conforme allo scopo e alla genesi storica del regolamento n. 1073/1999. Come emerge dal preambolo, il regolamento è sostanzialmente inteso a contrastare le frodi conferendo all'OLAF il potere di svolgere indagini all'interno delle istituzioni e degli organi della Comunità, pur nel pieno rispetto dei diritti delle persone interessate . Per conseguire tale risultato occorrerà - come risulta chiaramente dal preambolo - modificare lo Statuto del personale . Tuttavia, riconoscendo che la riforma di detto Statuto richiede un procedimento complesso, il legislatore ha previsto l'adozione, da parte delle istituzioni e degli organi della Comunità, di decisioni che stabiliscano norme riguardanti l'obbligo di collaborare con l'OLAF, le procedure che l'OLAF deve seguire e i diritti delle persone interessate. Qualora l'adozione di tali decisioni non fosse obbligatoria, lo scopo del regolamento - prevenzione efficace delle frodi nel rispetto dei diritti delle persone - potrebbe essere messo seriamente a rischio a breve e medio termine.

93. Come ho già detto, inizialmente la Commissione aveva proposto di istituire l'OLAF e di stabilirne le norme di funzionamento mediante un regolamento adottato in forza dell'art. 308 . L'art. 3, n. 2, della proposta di regolamento disponeva quanto segue: «[o]gni istituzione e organismo può conferire all'[OLAF] la funzione di svolgere indagini al proprio interno (...), mediante decisione che regola le condizioni e le modalità di esecuzione delle medesime» . Pertanto, la proposta prevedeva che le istituzioni e gli organi potessero scegliere se adottare una decisione che consentisse all'OLAF di svolgere indagini interne . Poiché il regolamento n. 1073/1999 non dispone che le istituzioni «possono» adottare una decisione ai sensi dell'art. 4, sembra che il legislatore abbia voluto attribuire forza vincolante a tale disposizione. Tale conclusione trova conferma nella relazione presentata contestualmente alla proposta di regolamento n. 1073/1999, in cui la Commissione ha dichiarato che «[c]ontrariamente a quanto prevedeva l'articolo 3, paragrafo 2 della proposta originaria, le istituzioni e gli organi non hanno più il potere di scegliere se attribuire o meno tale competenza all'Ufficio» .

94. La BCE tenta di replicare a tali argomenti facendo valere che dall'art. 4, n. 1, ultima frase, emerge che le istituzioni e gli organi sono tenuti semplicemente a concertarsi. Non sono d'accordo. Imponendo concertazioni «sulla disciplina da istituire», tale disposizione non contraddice in alcun modo la tesi secondo cui le istituzioni e gli organi devono istituire una disciplina adottando una decisione ai sensi dell'art. 4. Non mi persuade neanche l'affermazione della BCE secondo cui, concludendo l'accordo interistituzionale, la Commissione, il Consiglio e il Parlamento hanno implicitamente riconosciuto che l'art. 4 del regolamento non è vincolante. Dalla relazione presentata dalla Commissione emerge che lo scopo dell'accordo interistituzionale era fare in modo che le decisioni da adottare ai sensi dell'art 4 del regolamento «non comportino norme troppo divergenti» , fornendo un modello di decisione da adeguare alle caratteristiche peculiari di ciascuna istituzione. Ciò è confermato anche dal preambolo dell'accordo, in cui si afferma che le «indagini devono svolgersi secondo modalità equivalenti in tutte le istituzioni, gli organi e gli organismi comunitari» e che le parti si sono concertate «per istituire a tal fine una disciplina comune» .

Conclusione

95. Alla luce delle suesposte considerazioni, concludo i) che la decisione impugnata è in sostanza una decisione negativa impugnabile in forza dell'art. 230 CE e ii) che essa è incompatibile con il regolamento n. 1073/1999.

96. Si può aggiungere che tale conclusione non è inficiata dall'argomento della BCE secondo cui l'art. 4 non prevede un termine entro cui le istituzioni e gli organi debbono adottare una decisione. Come ho già detto, la decisione impugnata dev'essere interpretata come una decisione di principio di non adottare tale decisione. Non si può neanche obiettare che la decisione impugnata ha sostanzialmente carattere declaratorio. Istituendo il comitato antifrode, stabilendo norme di procedura e prevedendo rapporti (strettamente limitati) con l'OLAF, essa va oltre la semplice precisazione del ruolo, al tempo della sua adozione, della D-RI all'interno della BCE.

Il regolamento n. 1073/1999 dev'essere dichiarato inapplicabile ai sensi dell'art. 241 CE?

97. Alla luce di tale conclusione, occorre esaminare l'argomento della BCE secondo cui il regolamento n. 1073/1999 dovrebbe essere dichiarato inapplicabile ai sensi dell'art. 241 CE. Tale articolo dispone quanto segue:

«Nell'eventualità di una controversia che metta in causa un regolamento adottato congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio o un regolamento del Consiglio, della Commissione o della BCE, ciascuna parte può, anche dopo lo spirare del termine previsto dall'art. 230, quinto comma, valersi dei motivi previsti dall'articolo 230, secondo comma, per invocare dinanzi alla Corte di giustizia l'inapplicabilità del regolamento stesso».

Sulla ricevibilità

98. A parere della Commissione, tale argomento dovrebbe essere dichiarato irricevibile. Essa ritiene che la BCE - la quale sapeva che il regolamento era inteso ad essere applicato nei suoi confronti - avrebbe dovuto impugnare il regolamento n. 1073/1999 in forza dell'art. 230 CE. Ai sensi del terzo comma di detto articolo, la BCE è legittimata ad impugnare un regolamento allo scopo di salvaguardare le proprie prerogative. La BCE afferma che non sapeva che il regolamento fosse applicabile nei suoi confronti e rammenta che, secondo la formulazione dell'art. 241 CE, «ciascuna parte» può impugnare «un regolamento» «anche dopo lo spirare del termine previsto dall'articolo 230, quinto comma [, CE]».

99. Tali argomenti sollevano la questione se un'istituzione o un organo che ha omesso di agire contro un regolamento entro il termine stabilito dall'art. 230, quinto comma, CE possa far valere a propria difesa l'art. 241 CE nell'ambito di un ricorso di annullamento avente ad oggetto un provvedimento adottato da tale istituzione o organo in violazione del regolamento di cui trattasi.

100. Tale importante questione di principio non è stata risolta dalla Corte. Poiché nella fattispecie le è stata riservata scarsa attenzione, propongo di esaminare prima il merito degli argomenti della BCE e quindi di esprimere, per i motivi che diverranno evidenti, solo un parere provvisorio sulla ricevibilità di tali argomenti alla luce dell'art. 241 CE.

Fondamento giuridico

101. La BCE fa valere che il regolamento n. 1073/1999 è invalido in quanto adottato in forza dell'art. 280 CE. A tale proposito, deduce due argomenti.

- Primo argomento: misure intese a lottare contro le frodi negli Stati membri

102. La BCE fa valere anzitutto che l'art. 280, n. 4, CE conferisce alla Comunità solo il potere di adottare misure intese a rendere più efficace la lotta delle autorità degli Stati membri contro le frodi e le altre irregolarità; tale disposizione non riguarda le frodi e le altre attività illecite compiute all'interno delle stesse istituzioni comunitarie. Il regolamento n. 1073/1999 sarebbe pertanto invalido nella misura in cui estende i poteri dell'OLAF alle istituzioni e agli organi della Comunità europea. A tale proposito, la BCE osserva che l'art. 280, nn. 1 e 4, CE fa riferimento solo a misure intese a combattere le frodi «negli Stati membri» e che, conformemente all'art. 280, n. 4, CE, le misure adottate dalla Comunità non devono riguardare «l'applicazione del diritto penale nazionale». A parere della BCE, il fatto che l'art. 280 CE non contenga un riferimento alle istituzioni e agli organi è particolarmente significativo alla luce dell'art. 286 CE, il quale dispone espressamente che «gli atti comunitari sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati si applicano alle istituzioni e agli organismi istituiti dal presente Trattato o sulla base del medesimo».

103. La Commissione contesta tali argomenti. Essa fa valere che l'art. 280 CE conferisce al legislatore comunitario ampi poteri in quanto prevede l'adozione di tutte le «misure necessarie», e che l'art. 280, n. 4, dev'essere letto alla luce dell'art. 280, n. 1, CE, il quale dispone che «[l]a Comunità e gli Stati membri combattono contro la frode (...) mediante misure adottate a norma del presente articolo». Limitare l'art. 280 CE a misure intese a contribuire alla prevenzione delle frodi potrebbe inoltre sminuire l'efficacia (effect util) di tale disposizione in quanto, per ottenere un quadro completo delle attività delle autorità e degli organismi economici degli Stati membri nel corso di indagini esterne, potrebbe risultare necessario indagare anche sulle attività dei membri e del personale delle istituzioni e degli organi comunitari.

104. Non posso accogliere questo argomento della BCE.

105. E' vero che, come ha affermato il Consiglio nel suo intervento, a prima vista il testo dell'art. 280 CE sembra riguardare le misure intese ad intensificare gli sforzi degli Stati membri nella lotta contro le frodi, piuttosto che le frodi perpetrate all'interno delle stesse istituzioni comunitarie. Inoltre, il fatto che l'art. 280 CE preveda l'adozione di «misure necessarie» ha scarso rilievo giacché, come osserva la BCE, la frase si limita a sollevare la questione dello scopo per cui tali misure possono essere adottate: combattere le frodi all'interno delle istituzioni o negli Stati membri?

106. Un'analisi più accurata della formulazione, della struttura e della storia dell'art. 280 CE induce tuttavia a concludere che la Comunità può adottare misure relative alla prevenzione delle frodi all'interno delle istituzioni e degli organi.

107. In primo luogo, si ricorderà che, ai sensi dell'art. 280, n. 1, «[l]a Comunità e gli Stati membri combattono contro la frode (...) mediante misure adottate a norma del presente articolo». A mio parere, vi è una certa forza nell'argomento della Commissione secondo cui l'art. 280, n. 1, CE, facendo riferimento alla Comunità e agli Stati membri, sembra prevedere l'adozione di misure intese a combattere le frodi all'interno delle stesse istituzioni comunitarie. Tale argomento è rilevante ai fini dell'interpretazione dell'art. 280, n. 4, CE che va inteso alla luce dell'art. 280 CE nel suo complesso.

108. In secondo luogo, l'art. 280, n. 4, dispone che «[i]l Consiglio (...) adotta le misure necessarie (...) al fine di pervenire a una protezione efficace ed equivalente in tutti gli Stati membri». Il riferimento ad una «protezione equivalente in tutti gli Stati membri» è significativa; esso stabilisce una condizione cui debbono rispondere tutte le misure intese a combattere le frodi negli Stati membri. Tuttavia, si deve notare che l'art. 280, n. 4, CE non prevede che la Comunità possa agire «solo» al fine di pervenire ad una protezione equivalente in tutti gli Stati membri. A mio parere, pertanto, il fatto che l'art. 280 CE stabilisca una condizione (di equivalenza) cui alcuni tipi di misure (relative alla prevenzione delle frodi negli Stati membri) debbono rispondere non può essere interpretato nel senso che al legislatore è fatto divieto di adottare misure diverse (intese a combattere le frodi all'interno delle istituzioni e degli organi). Per lo stesso motivo, ritengo che l'art. 280, n. 4, ultima frase, CE - a norma del quale le misure adottate «non riguardano l'applicazione del diritto penale nazionale» - debba essere interpretato come una condizione che la Comunità deve rispettare allorché adotta misure intese a combattere le frodi negli Stati membri; la suddetta frase non va intesa nel senso che non possono essere adottate misure diverse.

109. In terzo luogo, e soprattutto, l'art. 280 CE dispone espressamente che le misure adottate devono garantire una protezione «efficace» degli interessi finanziari della Comunità contro le frodi e le altre irregolarità. Difficilmente il legislatore potrebbe soddisfare tale requisito qualora non potesse adottare provvedimenti intesi a combattere le frodi all'interno delle istituzioni e degli organi della Comunità. Per ottenere un quadro completo delle attività degli operatori e delle autorità che operano nell'ambito economico degli Stati membri potrebbe essere necessario, come osserva la Commissione, indagare sulle attività dei membri e del personale delle istituzioni e degli organi comunitari. Il fatto che alcune istituzioni e alcuni organi possano istituire sistemi antifrode interni indipendentemente da misure adottate in forza dell'art. 280 CE non costituisce un'obiezione convincente a tale argomento, in quanto non è certo che tutte le istituzioni e tutti gli organi istituirebbero tali sistemi o che essi sarebbero efficaci.

110. A mio parere, inoltre, sarebbe paradossale se la Comunità potesse disciplinare un settore importante della competenza degli Stati membri - ossia le indagini su reati potenzialmente gravi - ma le fosse del tutto preclusa la possibilità di stabilire norme generali concernenti le indagini sugli atti del suo personale in base all'art. 280 CE, e sembra poco plausibile che la revisione dell'art. 209A del Trattato CE in forza del Trattato di Amsterdam - in particolare l'aggiunta della competenza ai sensi dell'art. 280, n. 4, CE - fosse intesa ad escludere tali misure.

111. Tale parere trova conferma nei lavori preparatori del Trattato di Amsterdam . Da tali documenti emerge che l'art. 280, n. 4, CE è stato inserito nel Trattato per timore di frodi o di altri abusi relativi ai fondi comunitari negli Stati membri e all'interno delle istituzioni comunitarie. Così, nel suo parere del 28 febbraio 1996, intitolato «Rafforzare l'unione politica per preparare l'ampliamento», la Commissione sottolineava che «[d]ev'essere efficacemente combattuta la frode ai danni degli interessi finanziari delle Comunità. Ciò non potrà avvenire senza un impegno totale degli Stati membri e delle istituzioni. La Commissione propone che l'Unione si doti di una base giuridica appropriata» . In «Una strategia per l'Europa», relazione finale del presidente del Gruppo di riflessione sulla conferenza intergovernativa del 1996 si affermava quanto segue: «[i]l Gruppo chiede alle istituzioni comunitarie di lottare più efficacemente contro la frode» e «[t]utte le istituzioni e tutti gli organi devono essere sottoposti ad un controllo adeguato» . Una dichiarazione di tenore analogo può riscontrarsi nella risoluzione concernente il parere del Parlamento sulla convocazione della conferenza intergovernativa del 13 marzo 1996, che tra le «priorità essenziali per il futuro dell'Europa» includeva «una maggiore credibilità dell'Unione europea, grazie a una lotta efficace contro l'utilizzazione fraudolenta delle risorse finanziarie comunitarie a tutti i livelli, la qual cosa presuppone la definizione, secondo una procedura democratica, di tutte le necessarie norme comunitarie per la tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee» . Si può inoltre osservare che la relazione trasmessa dalla Corte dei conti al «gruppo di riflessione» sul funzionamento del Trattato sull'Unione europea, adottata nel maggio del 1995, sottolineava che «[l]e frodi contro i fondi comunitari possono pregiudicare seriamente la credibilità dell'Unione. La lotta contro le frodi costituisce quindi una funzione fondamentale di tutte le istituzioni e di tutti gli Stati membri» .

112. Infine, si deve ricordare che la Corte non ha adottato un'interpretazione rigida e letterale delle disposizioni del Trattato che conferiscono poteri e facoltà , e secondo una giurisprudenza ben consolidata «[l]a Comunità agisce (...) sulla base di specifici poteri che (...) non devono necessariamente risultare in termini espressi da puntuali disposizioni del Trattato, potendo essere anche dedotti, in modo implicito, dalle disposizioni medesime» . L'art. 280 CE attribuisce al legislatore comunitario il compito di «combatt[ere] contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari della Comunità» e prevede l'adozione di misure giuridicamente vincolanti a tal fine. La tesi secondo cui tali misure possono estendersi alla prevenzione delle frodi all'interno delle istituzioni e degli organi della Comunità non è conforme a tale giurisprudenza .

- Sul secondo argomento: gli interessi finanziari della Comunità

113. La BCE deduce che il regolamento n. 1073/1999 è invalido nella misura in cui si applica nei suoi confronti. A tale proposito, rileva che l'art. 280 CE è collocato nel Titolo II della Parte quinta del Trattato CE, che contiene le norme relative al bilancio della Comunità europea. Poiché il Trattato dev'essere interpretato in modo sistematico, la nozione di «interessi finanziari della Comunità» di cui all'art. 280 CE non può essere diversa da quella di «bilancio» della Comunità europea menzionata all'art. 268 CE. Ne consegue che l'art. 280 CE consente alla Comunità di adottare solo misure intese a tutelarsi contro le frodi e le altre attività illecite che determinino una riduzione degli introiti o un aumento delle spese a carico del suo bilancio. Sotto il profilo finanziario, tuttavia, la BCE è indipendente dal bilancio della Comunità europea. La BCE dispone di un bilancio proprio, disciplinato dal Capo IV dello statuto («Disposizioni finanziarie») e dalle norme più dettagliate stabilite dal consiglio dei governatori in forza dell'art. 12.3 dello statuto . A norma dell'art. 26.2 dello statuto, i conti annuali vengono redatti dal comitato esecutivo secondo i principi stabiliti dal consiglio direttivo . Inoltre le risorse della BCE non provengono dal bilancio della Comunità , e le perdite subite dalla BCE non possono in alcun caso costituire una voce di spesa del bilancio della Comunità . Se è vero che la BCE gestisce alcuni fondi che costituiscono risorse del bilancio della Comunità, tali fondi rivestono un'importanza modesta rispetto ai compiti affidati alla BCE e pertanto non giustificano l'assoggettamento di tutte le sue attività ai poteri dell'OLAF.

114. La Commissione afferma invece che l'ambito di applicazione dell'art. 280, n. 4, CE non è circoscritto alla tutela del bilancio della Comunità, in quanto tale disposizione fa espressamente riferimento agli «interessi finanziari della Comunità», espressione che comprende tutte le risorse finanziarie gestite dalle istituzioni e dagli organi comunitari, a prescindere dalla loro origine. Tale parere è conforme all'art. 248 CE, a norma del quale i poteri di controllo della Corte dei conti non sono limitati alle entrate e alle spese del bilancio della Comunità. La tesi della Commissione trova conferma anche nella prassi legislativa. Ad esempio, il regolamento n. 2988/95, relativo alla tutela degli interessi finanziari della Comunità , definisce le «irregolarità» come «qualsiasi violazione di una disposizione del diritto comunitario derivante da un'azione o un'omissione di un operatore economico che abbia o possa avere come conseguenza un pregiudizio al bilancio generale delle Comunità o ai bilanci da queste gestite, attraverso la diminuzione o la soppressione di entrate provenienti da risorse proprie percepite direttamente per conto delle Comunità, ovvero una spesa indebita» . Tale disposizione dimostra che gli interessi finanziari della Comunità, come si è visto, possono essere intesi come interessi che travalicano il bilancio delle Comunità.

115. In ogni caso, la Commissione fa valere che quand'anche si mantenessero distinti, da un lato, il bilancio della Comunità e, dall'altro, gli interessi finanziari della BCE, quest'ultima rientrerebbe nell'ambito di applicazione dell'art. 280, n. 4, CE e delle misure adottate in forza di tale disposizione, in quanto gestisce alcune risorse comunitarie comprese, segnatamente, le imposte comunitarie ch'essa deduce dagli stipendi e dalle pensioni dei membri del consiglio direttivo, del consiglio generale e del personale della BCE . Il fatto che tali risorse costituiscano una piccola parte del bilancio della BCE è irrilevante, in quanto spetta al legislatore comunitario decidere se il fatto che un organismo gestisca fondi comunitari giustifichi l'adozione di misure intese a combattere le frodi al suo interno.

116. Gli argomenti della BCE non mi sembrano persuasivi.

117. Benché, conformemente ad una giurisprudenza ben consolidata, i limiti alla competenza attribuita alla Comunità da una norma specifica del Trattato debbano essere ricavati, tra l'altro, alla luce della sua collocazione nell'economia del Trattato , da tale giurisprudenza non discende che a espressioni diverse utilizzate nell'ambito dello stesso Titolo del Trattato debba essere attribuito il medesimo significato. Pertanto, il fatto che l'art. 280 CE sia collocato nel Titolo II della Parte quinta del Trattato CE a mio avviso non costituisce un argomento decisivo a favore della tesi della BCE secondo cui la nozione di «interessi finanziari della Comunità» va considerata identica a quella di «bilancio della Comunità». Al contrario, l'esistenza di due espressioni diverse in disposizioni diverse dello stesso Titolo sembrerebbe indicare la volontà di attribuire loro un significato differente. Inoltre, quando l'art. 280, n. 4, CE è stato introdotto in detto Titolo con il Trattato di Amsterdam, al fine di adottare misure rafforzate contro la frode, era del tutto naturale che tale disposizione venisse collocata tra le disposizioni finanziarie del Titolo II della Parte quinta. Da tale collocazione non può dedursi che gli autori del Trattato intendessero limitare l'applicazione della norma al bilancio delle Comunità oggetto dei precedenti articoli del Titolo II. Inoltre nessun elemento dei lavori preparatori del Trattato di Amsterdam sembra indicare che la scelta di collocare l'art. 280, n. 4, CE in tale Titolo fosse intesa a limitarne l'ambito di applicazione, o a proteggere la BCE da misure antifrode.

118. Condivido quindi la tesi della Commissione secondo cui l'art. 280, n. 4, CE conferisce al legislatore il potere di adottare misure intese a prevenire le frodi e le altre attività illecite che, anche se non direttamente collegate al bilancio dell Comunità, sono atte a ledere gli interessi finanziari della Comunità in senso lato, incidendo negativamente sulle sue attività. Inoltre la fonte delle attività in questione a mio parere non è decisiva; ritengo che l'interesse a garantire l'uso corretto di tutti i fondi gestiti da istituzioni, organi e organismi della Comunità debba essere considerato parte integrante degli interessi finanziari della Comunità e possa quindi essere oggetto di misure adottate in forza dell'art. 280, n. 4, CE.

119. La BCE ritiene che tale interpretazione non sia conforme alla prassi legislativa. Essa fa valere che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, le disposizioni del regolamento n. 2988/95 dimostrano che gli interessi finanziari della Comunità non possono estendersi oltre al bilancio della Comunità stessa e, forse, al bilancio di alcuni organi e organismi le cui attività provengono, e le cui perdite sono coperte, dal bilancio comunitario. La BCE si richiama inoltre alla Convenzione elaborata in base all'art. K.3 del Trattato sull'Unione europea relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee , la quale dispone che «costituisce frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee (...) in materia di spese, qualsiasi azione od omissione intenzionale (...) cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi provenienti dal bilancio generale delle Comunità europee o dai bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse» .

120. Tuttavia, nel presente procedimento non attribuirei molta importanza alle definizioni contenute in tali misure. Benché la prassi legislativa possa avere rilevanza per stabilire l'ampiezza delle competenze della Comunità , si deve ricordare che il regolamento n. 2988/95 è stato adottato in base all'art. 235 del Trattato CE (divenuto art. 308 CE), e non in base all'art. 280 CE. Inoltre detto regolamento nonché la convenzione cui fa riferimento la BCE sono stati redatti in un'epoca in cui la BCE non era stata istituita. Il fatto che a quei tempi gli «interessi finanziari della Comunità» fossero definiti in termini interpretabili nel senso che escludevano gli interessi finanziari degli organi, come la BCE, il cui capitale e il cui bilancio sono interamente o quasi interamente separati dal bilancio della Comunità, non può incidere sull'attuale interpretazione dell'art. 280 CE.

121. La questione, pertanto, è se il regolamento n. 1073/1999 possa essere considerato come un provvedimento inteso a tutelare gli «interessi finanziari della Comunità» in quanto mira ad impedire che frodi o altri comportamenti illeciti incidano negativamente sul bilancio e sulle attività della BCE.

122. Risolverei tale questione in senso affermativo. Il fatto che, come sottolinea la BCE, le risorse della BCE siano in una certa misura separate da quelle delle altre istituzioni e degli altri organi comunitari, a mio parere, non è decisivo. Come si è già detto, la BCE è un organo che fa parte integrante dell'ordinamento comunitario . Poiché è un organo della Comunità, gli interessi finanziari della BCE sono parte integrante degli interessi finanziari della Comunità stessa. La validità del regolamento n. 1073/1999 non è quindi inficiata dal fatto ch'esso è stato adottato in base all'art. 280, n. 4, CE.

123. La BCE contesta tale conclusione affermando che le disposizioni relative alla posizione istituzionale della BCE vanno riscontrate nell'art. 8 CE, nel Titolo VII della Parte terza del Trattato e nello statuto. La Parte quinta del Trattato - il cui Titolo I contiene disposizioni istituzionali relative alle cinque istituzioni comunitarie, al Comitato economico e sociale, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti, e il cui Titolo II contiene disposizioni finanziarie (tra le quali rientra l'art. 280 CE) - non prevede un capitolo sulla BCE. Secondo quest'ultima, la struttura del Trattato rispecchia una scelta deliberata degli autori del Trattato che la Corte è tenuta a rispettare in sede di interpretazione dell'art. 280, n. 4, CE.

124. Non sono d'accordo. L'interpretazione strutturale del Trattato proposta dalla BCE non può prevalere sul chiaro disposto dell'art. 280, n. 4, CE, che, facendo riferimento agli interessi finanziari «della Comunità», autorizza l'adozione di misure efficaci nei confronti di tutte le istituzioni e di tutti gli organi della Comunità, compresa la BCE. Potrebbe inoltre risultare difficile conseguire la «protezione efficace» degli interessi finanziari della Comunità di cui all'art. 280 CE qualora un organo come la BCE, che ha un bilancio annuale consistente e attività considerevoli , esulasse dall'ambito di applicazione di tale articolo.

125. Pertanto, concludo nel senso che il regolamento n. 1073/1999 è stato adottato su un corretto fondamento giuridico.

Consultazione ai sensi dell'art. 105, n. 4, CE

126. La BCE fa valere che se il regolamento n. 1073/1999 dev'essere considerato applicabile nei suoi confronti, essa avrebbe dovuto essere consultata ai sensi dell'art. 105, n. 4, CE, il quale prescrive che la BCE viene consultata, tra l'altro, in merito a «qualsiasi proposta di atto comunitario che rientri nelle sue competenze». In mancanza di una consultazione formale della BCE, il regolamento sarebbe invalido in quanto la consultazione è un aspetto essenziale dell'equilibrio istituzionale stabilito dal Trattato e costituisce pertanto una condizione procedurale essenziale.

127. Più in particolare, la BCE fa valere che il regolamento n. 1073/1999 rientra «nelle sue competenze» in quanto incide direttamente sul suo potere di organizzare le proprie attività interne, conferitole dall'art. 12.3 dello statuto , come integrato dal principio dei poteri impliciti , nonché sul suo potere di «stabili[re] le condizioni di impiego del personale della BCE», conferitole dall'art. 36 dello statuto. A tale proposito, la BCE osserva che il legislatore comunitario ha consultato il predecessore della BCE (l'Istituto monetario europeo; in prosieguo: l'«IME») in merito alla proposta di regolamento n. 1197/98 , che ha esteso l'applicazione del regime fiscale applicabile al personale della Comunità agli stipendi, salari ed emolumenti dei membri del consiglio direttivo e del consiglio generale e del personale della BCE.

128. Il fatto che dipendenti della BCE abbiano partecipato ai lavori preparatori svoltisi nell'ambito del Consiglio sarebbe irrilevante, in quanto la mancata consultazione formale della BCE avrebbe privato il consiglio direttivo della possibilità di adottare un parere in conformità delle procedure pertinenti e di spiegare al legislatore, con proprie argomentazioni, per quali motivi il regolamento n. 1073/1999 non debba essere applicato alla BCE.

129. La Commissione contesta tali argomenti. Essa domanda se l'obbligo di consultare la BCE stabilito all'art. 105, n. 4, CE non sia limitato a misure riguardanti materie sostanziali di fondamentale importanza di cui è responsabile la BCE stessa, in particolare la politica monetaria della Comunità. Stando alla sua formulazione, l'art. 105, n. 4, CE non si applica a tutte le misure che possano avere conseguenze per la BCE. La Commissione ritiene inoltre che la BCE sia stata consultata in quanto è stata invitata ed ha partecipato ai lavori preparatori svolti nell'ambito del Consiglio, in cui ha manifestato il proprio parere oralmente e per iscritto. Il fatto che il regolamento n. 1073/1999 non faccia esplicitamente riferimento ai pareri espressi dalla BCE nel corso della fase preparatoria costituisce una questione di forma che non può determinare l'invalidità del regolamento.

130. Tali argomenti richiedono tre osservazioni preliminari.

131. In primo luogo, la Commissione e gli intervenienti non contestano il fatto che la consultazione di cui all'art 105, n. 4, CE costituisca una condizione essenziale di procedura. Condivido tale tesi. La Corte ha costantemente dichiarato che le consultazioni previste dal Trattato devono essere considerate condizioni essenziali . La consultazione della BCE in merito alle misure rientranti nella sua competenza è una fase della procedura, prescritta da una disposizione del Trattato, la cui inosservanza è chiaramente atta ad inficiare il contenuto delle misure adottate . Il mancato rispetto di tale condizione, a mio parere, deve costituire un motivo d'annullamento.

132. In secondo luogo, è indubbio che la consultazione di cui all'art. 105, n. 4, CE è complementare alle consultazioni previste da specifiche disposizioni attributive di competenza del Trattato. Il fatto che l'art. 280, n. 4, CE non preveda la consultazione della BCE non è quindi pertinente, come ha affermato la BCE in risposta agli argomenti del governo olandese, al fine di stabilire se nella fattispecie tale consultazione fosse necessaria.

133. In terzo luogo, nel caso in esame la questione non è se fosse utile o auspicabile consultare la BCE sulla proposta di regolamento n. 1073/1999. La questione è se il legislatore comunitario fosse tenuto a consultare la BCE e, in caso affermativo, se tale obbligo sia stato adempiuto.

134. Per risolvere tale questione non basta, come osserva la BCE, rilevare che una misura potrebbe in qualche modo produrre effetti nei suoi confronti pur non rientrando nell'ambito di applicazione dell'art. 105, n. 4, CE. Occorre interpretare l'art. 105, n. 4, CE alla luce del contesto in cui è inserito e del suo scopo, al fine di stabilire se sia applicabile ad una misura - come il regolamento n. 1073/1999 - che mira a combattere le frodi e altre irregolarità stabilendo, in particolare, norme procedurali per le indagini interne.

135. Si può ammettere che la frase «in merito a qualsiasi proposta di atto comunitario che rientri nelle sue competenze» contenuta nell'art. 105, n. 4, CE è ampia e, a prima vista, potrebbe sembrare applicabile a tutte le misure che rientrino nelle, o si sovrappongano alle, competenze conferite alla BCE dal Trattato o dallo statuto, compresa la competenza ad adottare misure di organizzazione interna e provvedimenti relativi alle condizioni di impiego del personale.

136. Tuttavia, tale lettura dell'art. 105, n. 4, CE a mio parere non è conciliabile con un'interpretazione sistematica del Trattato. L'art. 105 CE è collocato nel Capo 2 (Politica monetaria), Titolo VII, Parte terza del Trattato. Detto articolo, che apre il Capo, è suddiviso in sei paragrafi. Dopo aver indicato, al n. 1, gli obiettivi del SEBC, esso elenca al n. 2 i compiti fondamentali da assolvere attraverso il SEBC. Dopo il n. 3, che si limita a chiarire il contenuto del terzo trattino del n. 2, il n. 4 prevede la consultazione della BCE.

137. La nozione di misure «rientranti nelle sue competenze» di cui al n. 4 dev'essere interpretata alla luce dell'elenco di compiti di cui all'art. 105, n. 2, CE, e del fatto che l'art. 105 CE è collocato nel Capo 2, intitolato «Politica monetaria» anziché nel Capo 3, che contiene le «Disposizioni istituzionali» relative alla BCE . Ne consegue, a mio parere, che l'art. 105, n. 4, CE, va considerato applicabile ai progetti di misure che riguardano le materie menzionate all'art. 105, n. 2, CE (politica monetaria, operazioni sui cambi, gestione delle riserve in valuta estera e sistemi di pagamento) e, probabilmente, ai nn. 5 e 6 (vigilanza prudenziale) dello stesso articolo, nonché quelle menzionate all'art. 106 CE (emissione di banconote e monete). L'art. 105, n. 4, CE, tuttavia, non si applica a misure che rientrano nelle, o si sovrappongono alle, competenze specificamente attribuite alla BCE dagli artt. 12 e 36 dello statuto .

138. Tale parere trova sostegno nei lavori preparatori dell'art. 105, n. 4, CE. Il progetto di Trattato recante revisione del Trattato che istituisce la Comunità economica europea ai fini dell'attuazione di un'unione economica e monetaria, presentata dalla Commissione nel 1991 , prevedeva che la BCE fosse consultata «su qualsiasi progetto di legislazione comunitaria (...) in materia monetaria, di vigilanza, bancaria o finanziaria». Nella relazione presentata contestualmente al progetto di Trattato, la Commissione ha dichiarato che nella sua proposta «è stabilito il diritto [della BCE] ad essere consultato (...) dalla Commissione (...) in ordine a qualsiasi progetto di atto legislativo (...) nei settori di sua competenza» . Si può ragionevolmente presumere che gli autori del Trattato, facendo riferimento, all'art. 105, n. 4, CE, alle «competenze» della BCE, non volessero intendere diversamente; tale deduzione è conforme ad altri lavori preparatori del Trattato sull'Unione europea .

139. Contro questo argomento non si può obiettare che l'art. 105, n. 4 CE menziona le «competenze», al plurale, della BCE, mentre l'art. 117, n. 6, CE prevedeva - fino all'istituzione della BCE - la consultazione dell'IME su ciascuna proposta di atto comunitario che rientrasse «nella sua competenza». L'uso del singolare in tale disposizione rispecchiava il fatto che i compiti dell'IME erano limitati; ai sensi dell'art. 117, nn. 2 e 3, CE, la sua funzione consisteva in sostanza nel preparare la terza fase dell'unione monetaria. I compiti attribuiti alla BCE dalle disposizioni del Capo 2 del Titolo VII del Trattato sono invece molto più ampi e il riferimento alle «competenze» della BCE, contenuto all'art. 105, n. 4, CE, a mio parere dev'essere considerato il riflesso di tale situazione.

140. L'interpretazione da me suggerita è inoltre conforme allo scopo dell'art. 105, n. 4, CE. La consultazione prevista da tale disposizione mira, a mio avviso, a garantire che il legislatore sia ben informato allorché adotta misure relative a materie in cui la BCE ha particolari conoscenze o esperienze, soprattutto la politica monetaria . Pertanto, l'inclusione della BCE nel disposto dell'art. 105, n. 4, CE è intesa a migliorare la qualità della legislazione comunitaria a vantaggio dell'Europa considerata nel suo complesso; non è volta a proteggere gli interessi della BCE, né a dare voce a quest'ultima in merito a tutte le misure atte ad incidere sulla sua organizzazione interna.

141. Poiché il regolamento n. 1073/1999 esula chiaramente dalle competenze della BCE definite agli artt. 105 e 106 CE, concludo che tale regolamento non è stato adottato in violazione dell'art. 105, n. 4, CE.

142. Il fatto che il Consiglio abbia consultato l'IME sulla proposta di regolamento n. 1197/98 non inficia tale conclusione. Il Consiglio può consultare istituzioni ed organi della Comunità anche quando non è tenuto a farlo . La sua decisione di consultare l'IME non è quindi pertinente al fine di definire l'ambito di applicazione dell'art. 105, n. 4, CE. Inoltre, la BCE ha evitato, a mio avviso correttamente, di affermare che la consultazione effettuata ha creato la legittima aspettativa che la BCE sarebbe stata consultata su altre misure concernenti l'organizzazione interna e le condizioni di impiego del personale.

143. Tale conclusione non è inficiata neanche dalla decisione del Consiglio 93/717 , che definiva le situazioni in cui le autorità degli Stati membri potevano, in forza dell'art. 117, n. 6, CE, consultare l'IME sulle proposte di provvedimenti legislativi rientranti nella sua competenza . L'art. 1 di tale decisione ne prevedeva la consultazione segnatamente per quanto concerneva i) la legislazione monetaria, lo stato giuridico dell'ECU e i mezzi di pagamento, ii) lo stato giuridico e le competenze delle banche centrali nazionali e gli strumenti della politica monetaria, iii) la raccolta, la compilazione e la diffusione delle statistiche monetarie, finanziarie, bancarie e sulla bilancia dei pagamenti, iv) i sistemi di compensazione e di pagamento, in particolare per le operazioni transfrontaliere, e v) le norme applicabili agli istituti finanziari nella misura in cui esse influenzano la stabilità di tali istituti e i mercati finanziari. A mio parere, da tale riferimento alla legislazione concernente «lo stato giuridico e le competenze delle banche centrali nazionali» non si può dedurre che la legislazione relativa alle indagini sulle frodi e sulle altre irregolarità commesse dal personale delle banche centrali rientri «nella competenza» dell'IME o, per analogia, «nelle competenze» della BCE.

144. Infine, si potrebbe osservare che il legislatore comunitario è tenuto, a corollario del principio dell'indipendenza della BCE sancito dall'art. 108 CE e del principio dell'equilibrio istituzionale, a consultare la BCE in merito a provvedimenti che potrebbero avere un impatto rilevante sulla sua organizzazione interna. Tuttavia, se tale principio generale esistesse, a mio parere non si potrebbe chiedere al legislatore di effettuare consultazioni formali; egli sarebbe tenuto solo a coinvolgere la BCE dandole la possibilità di manifestare la sua opinione prima dell'adozione dei provvedimenti. Poiché - secondo le spiegazioni fornite dalle parti - la BCE ha partecipato alle riunioni concernenti l'istituzione dell'OLAF svoltesi nell'ambito dei gruppi di lavoro del Consiglio, alle riunioni del COREPER e a quelle del Consiglio, in ogni caso le è stata data la possibilità di esprimere i propri timori.

Sull'indipendenza

145. Secondo la BCE, il regolamento n. 1073/1999 - se interpretato nel senso che è applicabile alla BCE - contravviene al principio di indipendenza della Banca centrale sancito dall'art. 108 CE.

146. A suo parere, l'indipendenza attribuitale dall'art. 108 CE riguarda tutti i compiti e i doveri che le incombono in forza del Trattato o dello statuto, e non solo i compiti essenziali indicati all'art. 105, n. 2, CE. Ai sensi degli artt. 12.1 e 36.1 dello statuto, la BCE è competente ad adottare il regolamento che determina la sua organizzazione interna e le norme relative alle condizioni di impiego dei dipendenti. Tali competenze debbono essere esercitate in modo autonomo. Inoltre, richiamandosi al rapporto sulla convergenza pubblicato dall'IME nel 1998 , con cui quest'ultimo ha fornito indicazioni agli Stati membri e ha registrato i progressi del processo di adeguamento degli ordinamenti nazionali necessari per l'ingresso nell'Unione monetaria, la BCE fa valere che per poter esercitare i propri poteri in modo indipendente ai sensi dell'art. 108 CE, tali poteri devono essere protetti contro «tutte le fonti di influenza esterna» . La stessa esistenza dei poteri attribuiti all'OLAF dal regolamento n. 1073/1999 potrebbe essere considerata una fonte di influenza esterna, in quanto la minaccia di utilizzare tali poteri è atta ad esercitare pressione sui membri del comitato esecutivo e del consiglio direttivo. La BCE, pur ammettendo che il rischio che l'OLAF utilizzi i propri poteri in questo modo è minimo, sottolinea che l'indipendenza della BCE è una questione di forma, o di apparenza, oltre che di sostanza. Gli operatori economici, che magari hanno scarsa familiarità con la struttura istituzionale dell'OLAF, potrebbero temere che alla Commissione venga data la possibilità di influenzare la BCE esercitando gli ampi poteri dell'OLAF che, secondo la stessa BCE, sono paragonabili a quelli esercitati nell'ambito delle indagini penali. Pertanto, l'applicazione del regolamento n. 1073/1999 potrebbe sminuire la fiducia dei mercati finanziari nella BCE e nell'euro.

147. In risposta a tali argomenti, la Commissione afferma in sostanza che l'indipendenza attribuita alla BCE dal Trattato è funzionale (fonctionnel) e limitata a quanto necessario per poter svolgere i suoi specifici compiti. Inoltre la BCE non ha dimostrato in qual modo il potere dell'OLAF di condurre indagini interne potrebbe concretamente pregiudicare o impedire l'assolvimento di tali compiti. A tale proposito, la Commissione osserva che il compito attribuito all'OLAF dal regolamento n. 1073/1999 consiste solo nell'accertare i fatti e che spetta alla stessa BCE, o, a seconda dei casi, alle autorità giudiziarie nazionali, adottare i provvedimenti necessari. Per tali motivi, l'OLAF non sarebbe in grado di influenzare il processo decisionale della BCE più di quanto non lo sia il sistema antifrode interno della BCE stessa.

148. Per stabilire se l'applicazione delle disposizioni del regolamento n. 1073/1999 alla BCE ne pregiudichi l'indipendenza, occorre tenere conto dello scopo e degli elementi essenziali di quest'ultima, quali definiti dal Trattato o dallo statuto .

149. Si rammenterà che, a norma dell'art. 108 CE, «né la BCE (...) né un membro dei (...) [suoi] organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari» «[n]ell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal (...) Trattato e dallo statuto del SEBC» e che «[l]e istituzioni e gli organi comunitari (...) si impegnano a rispettare questo principio e a cercare di non influenzare i membri degli organi decisionali della BCE (...) nell'assolvimento dei loro compiti».

150. Tale disposizione enuncia, stando al suo tenore letterale, il principio dell'indipendenza della Banca centrale . E' chiaro che, come osserva la stessa BCE, l'indipendenza in tal modo sancita non è di per sé un fine; essa le è stata conferita per uno scopo preciso. Proteggendo il processo decisionale della BCE da pressioni politiche nel breve periodo, il principio dell'indipendenza è inteso a consentire alla BCE di perseguire l'obiettivo della stabilità dei prezzi e, senza pregiudicare tale obiettivo, sostenere le politiche economiche della Comunità, come prescritto dall'art. 105, n. 1, CE .

151. Sebbene le implicazioni del principio di indipendenza siano indicate in una certa misura nelle disposizioni dello statuto, può risultare necessaria, come evidenzia il caso in esame, un'ulteriore elaborazione da parte della Corte di giustizia. Come osserva la BCE, il principio può essere suddiviso in aspetti istituzionali, personali e finanziari .

152. Dal punto di vista istituzionale, la BCE è indipendente da quando le è stata conferita personalità giuridica distinta da quella della Comunità , e nell'assolvimento dei suoi compiti non può sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari . Le istituzioni e gli organi comunitari - con la sola importante eccezione della Corte di giustizia - non possono approvare, sospendere, annullare o differire decisioni della BCE e le istituzioni non hanno diritto di voto nelle riunioni del comitato esecutivo e del consiglio direttivo . Inoltre, il Trattato ha conferito alla BCE il potere di adottare regolamenti, decisioni, raccomandazioni e pareri necessari all'assolvimento di determinati compiti e, come si è già detto, di stabilire il proprio regolamento interno e le condizioni di impiego dei propri dipendenti .

153. Le norme che disciplinano la nomina, la permanenza in carica e le attività esterne dei membri del comitato esecutivo e del consiglio direttivo conferiscono alla BCE un elevato grado di indipendenza. Il presidente e i membri del comitato esecutivo sono nominati (di comune accordo con gli Stati membri) per un periodo non rinnovabile di otto anni . Lo statuto è inteso anche a garantire l'indipendenza personale del consiglio direttivo - che è composto dai membri del comitato esecutivo e dai governatori delle banche centrali nazionali - stabilendo che il mandato dei governatori (nominati dalle competenti autorità nazionali) non dev'essere inferiore a cinque anni . La permanenza in carica è garantita in quanto un membro del comitato esecutivo può essere dichiarato dimissionario (dalla Corte di giustizia su domanda del consiglio direttivo o del comitato esecutivo) solo qualora non risponda più alle condizioni necessarie all'esercizio delle sue funzioni o abbia commesso una colpa grave . Del pari, le autorità degli Stati membri possono rimuovere dall'incarico i governatori delle banche centrali o i membri del consiglio solo in presenza di condizioni indicate tassativamente . Inoltre, i membri del comitato esecutivo devono assolvere i loro compiti a tempo pieno e in generale non possono avere altre occupazioni .

154. La BCE è indipendente anche sotto il profilo finanziario. Essa ha un proprio bilancio, che viene redatto dal comitato esecutivo conformemente ai principi stabiliti dal consiglio direttivo, e attività proprie conferite dalle banche centrali nazionali . Inoltre i conti della BCE vengono verificati da revisori esterni indipendenti nominati dalla BCE ; la competenza della Corte dei conti è limitata all'esame dell'efficienza operativa della gestione della BCE .

155. Come risulta chiaramente da questa sintesi, il Trattato e lo statuto conferiscono alla BCE un elevato grado di indipendenza che è equivalente, o forse superiore , al grado di indipendenza delle banche centrali nazionali prevalente prima delle riforme intraprese a livello nazionale per conformarsi alle condizioni prescritte per l'ingresso nell'Unione monetaria . Tuttavia, il principio dell'indipendenza non implica un completo isolamento rispetto alle istituzioni ed agli organi comunitari, o una totale mancanza di cooperazione con essi. Il Trattato vieta solo l'influenza che possa pregiudicare la capacità della BCE di assolvere efficacemente i suoi compiti per mantenere la stabilità dei prezzi, e che va quindi considerata indebita .

156. Il Trattato prevede che il presidente del Consiglio e un membro della Commissione possono partecipare alle riunioni del consiglio direttivo e del consiglio generale . Sebbene non abbiano diritto di voto, sembra chiaro che il loro ruolo non è limitato a quello di semplici osservatori. Essi hanno presumibilmente il diritto di intervenire per influenzare, entro limiti ragionevoli, le decisioni degli organi di governo della BCE e il presidente del Consiglio può sottoporre una mozione alla delibera del consiglio direttivo . Inoltre il Trattato prevede meccanismi attraverso i quali il Parlamento europeo può esercitare una certa influenza sulle decisioni della BCE. Il Parlamento dev'essere consultato in merito alla nomina dei membri del comitato esecutivo . Il presidente della BCE deve presentare una relazione annuale sull'attività del SEBC e sulla politica monetaria dell'anno precedente e dell'anno in corso al Parlamento europeo, che può procedere su questa base ad un dibattito generale . Inoltre, le commissioni competenti del Parlamento possono sentire il presidente della BCE e gli altri membri del comitato esecutivo .

157. Come rammenta la Commissione, il Consiglio e il Parlamento possono i) modificare alcune disposizioni dello statuto ; ii) adottare norme complementari relative alle attività della BCE ; iii) affidare compiti specifici alla BCE nel settore della vigilanza prudenziale ; iv) concludere accordi internazionali nel settore della politica monetaria e v) delegare l'esercizio di poteri alla BCE, precisandone le condizioni .

158. A tali disposizioni - che stabiliscono i) un grado limitato di responsabilità democratica nell'assolvimento, da parte della BCE, dei compiti affidatile dal Trattato e ii) un certo grado di cooperazione tra le istituzioni comunitarie, che a norma del Capo I del Titolo VII sono responsabili della politica economica della Comunità, e la BCE, che è responsabile della politica monetaria - possono opporsi le norme del Trattato da cui emerge chiaramente che la BCE, come le altre istituzioni e gli altri organi e organismi comunitari, è soggetta al principio dello Stato di diritto . La BCE è quindi soggetta alla giurisdizione della Corte di giustizia europea ed è vincolata dal diritto comunitario .

159. Gli argomenti della BCE vanno esaminati alla luce di tali considerazioni. Essa deduce sostanzialmente due argomenti. In primo luogo, afferma che i poteri conferiti all'OLAF dal regolamento n. 1073/1999, mettendo sotto pressione i suoi organi direttivi, potrebbero effettivamente sminuirne la capacità di adempiere le proprie funzioni e di esercitare in modo indipendente i poteri attribuitile dal Trattato. In secondo luogo, adduce che si potrebbe avere l'impressione che i poteri conferiti all'OLAF dal regolamento sminuiscano la capacità della BCE di agire in modo indipendente.

160. Non condivido il primo di tali argomenti. Come osserva la Commissione, la BCE non ha spiegato in che modo i poteri conferiti all'OLAF dal regolamento n. 1073/1999 possano incidere concretamente sul suo processo decisionale. Né, a mio parere, avrebbe potuto fornire una spiegazione del genere.

161. Vero è che, come rileva la BCE, l'OLAF non è un organo del tutto separato dalla Commissione; esso è stato istituito mediante una decisione che trova fondamento nel potere della Commissione di adottare misure di organizzazione interna , e il preambolo del regolamento n. 1073/1999 definisce l'OLAF come un organo «istituito [dalla Commissione] nel suo ambito» . Tuttavia, dalle disposizioni della decisione n. 1999/352 e del regolamento n. 1073/1999 emerge chiaramente che l'OLAF non costituisce nemmeno un normale ufficio della Commissione.

162. Ai sensi dell'art. 3 della decisione n. 1999/352, l'OLAF «esercita in piena indipendenza i [suoi] poteri d'indagine». L'art. 12, n. 3, del regolamento n. 1073/1999 dispone più precisamente che «[i]l direttore non sollecita né accetta istruzioni da alcun governo, istituzione, organo od organismo nell'adempimento dei doveri relativi all'avvio ed allo svolgimento delle indagini esterne ed interne ed alla presentazione delle relazioni redatte su conclusione delle stesse» .

163. Al fine di rendere effettiva l'indipendenza dell'OLAF, la decisione n. 1999/352 e il regolamento n. 1073/1999 prevedono, in particolare, che esso è posto sotto la direzione di un direttore e svolge le sue attività sotto il controllo e con l'assistenza di un comitato di vigilanza . Il direttore è unicamente responsabile dello svolgimento delle indagini dell'OLAF e agisce in veste di autorità che ha il potere di nomina nei confronti del personale dell'Ufficio . Se è vero che il direttore viene nominato dalla Commissione per un periodo di cinque anni, la nomina è subordinata all'approvazione del comitato di vigilanza e viene effettuata di concerto con il Parlamento europeo e con il Consiglio . La Commissione può adottare sanzioni disciplinari nei confronti del direttore solo con decisione motivata e dopo aver consultato il comitato di vigilanza . Il comitato di vigilanza è composto da cinque personalità esterne indipendenti, in possesso nei rispettivi paesi dei requisiti necessari per l'esercizio di alte funzioni in rapporto col settore di attività dell'OLAF , nominati per un periodo di tre anni di comune accordo dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione .

164. Nel rispetto dell'indipendenza attribuita all'OLAF dalla decisione n. 1999/352 e dal regolamento n. 1073/1999, spetta esclusivamente al direttore decidere se avviare indagini interne in casi particolari. Le indagini possono quindi essere avviate solo con una decisione del direttore, che può agire su richiesta di un'istituzione o di un organo, ovvero di propria iniziativa . Qualora, in tale contesto, il direttore ritenga che un provvedimento adottato dalla Commissione comprometta la propria indipendenza, può presentare ricorso contro la propria istituzione davanti alla Corte di giustizia .

165. Tale regime giuridico e istituzionale garantisce all'OLAF un notevole grado di autonomia operativa, sebbene esso sia stato istituito nell'ambito delle strutture amministrative e di bilancio della Commissione. A mio parere, pertanto, esiste al limite un rischio molto modesto che l'OLAF possa essere utilizzato dalla Commissione, o da altre istituzioni o altri organi, come mezzo per esercitare pressioni politiche sui membri degli organismi direttivi della BCE.

166. Come osserva il Consiglio, tale parere trova conferma nel fatto che l'OLAF non esercita un controllo continuo sulla gestione finanziaria della BCE; esso agisce solo qualora, eccezionalmente, sussistano motivi per ritenere che siano state commesse frodi o altre irregolarità ai sensi del regolamento n. 1073/1999. Neanche in questo caso, peraltro, l'OLAF può adottare provvedimenti disciplinari o proporre ricorso qualora indagini interne rivelino l'esistenza di una frode o di altre attività illecite. Le funzioni essenziali dell'OLAF sono, come sottolinea la Commissione, i) indagare su presunte frodi o irregolarità, anche analizzando le informazioni trasmessele da istituzioni, organi o singoli , svolgendo verifiche in loco , controllando documenti e contabilità e chiedendo informazioni orali ai membri e ai dirigenti delle istituzioni e degli organi comunitari ; ii) redigere relazioni che indichino i fatti accertati, l'eventuale perdita finanziaria, i risultati delle indagini e le azioni da intraprendere raccomandate dal direttore dell'OLAF; nonché iii) trasmettere tali relazioni, unitamente alle altre informazioni pertinenti, all'istituzione, all'organo o all'organismo interessato e - in occasione di indagini su fatti penalmente perseguibili - alle autorità competenti dello Stato membro interessato . Spetta alla BCE dare «alle indagini interne il seguito richiesto dalle risultanze ottenute, in particolare sul piano disciplinare e giudiziario» e informarne «il direttore dell'Ufficio entro la scadenza fissata da quest'ultimo nell[a] (...) sua relazione» .

167. Inoltre, come osservano la Commissione e il governo olandese, con la decisione da adottare ai sensi dell'art. 4, nn. 1 e 6, del regolamento n. 1073/1999 la BCE potrebbe impedire l'accesso ad informazioni particolarmente importanti per assolvere in modo indipendente il suo compito di mantenere la stabilità dei prezzi . A tale proposito, si può rilevare che se la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno adottato decisioni in forza dell'art. 4 senza prevedere alcuna eccezione di questo tipo , la Corte, senza aderire all'accordo interistituzionale, ha invece adottato una decisione con cui - mediante riferimento ai suoi compiti, alla sua indipendenza e alla segretezza delle sue deliberazioni , quali previsti dai Trattati e dallo Statuto della Corte - ha escluso dall'ambito delle indagini interne i documenti e le informazioni posseduti o redatti nel corso dei procedimenti giudiziari .

168. Che dire quindi del secondo argomento della BCE, secondo cui si potrebbe avere l'impressione che i poteri conferiti all'OLAF dal regolamento n. 1073/1999 sminuiscano la capacità della BCE di agire in modo indipendente?

169. Non sono persuaso neanche da tale argomento.

170. Può essere vero che, come afferma la BCE, non ci si deve attendere che gli operatori economici siano pienamente informati in merito agli accordi istituzionali che garantiscono all'OLAF un elevato grado di indipendenza operativa nei confronti della Commissione e che alcuni operatori potrebbero quindi sospettare erroneamente che la Commissione sia in grado di esercitare pressioni sulla BCE mediante indagini, o minacce di indagini, condotte per mezzo dell'OLAF. Tuttavia, altri operatori potrebbero sentirsi rassicurati sapendo che la BCE, ancorché indipendente, è soggetta allo stesso sistema di controllo esterno, specializzato e indipendente sulle sue attività finanziarie cui sono sottoposti altri organi e altre istituzioni comunitarie. Mi sembra infatti che la reputazione della BCE potrebbe subire un danno notevole qualora i membri dei suoi organi direttivi o del suo personale non potessero essere scagionati da un'accusa di frode mediante un'indagine svolta da un organo esterno alla stessa BCE.

171. Inoltre il Trattato e lo statuto conferiscono alla BCE un grado molto elevato di indipendenza istituzionale, personale e finanziaria . In tale contesto istituzionale - di cui gli operatori economici conoscono sicuramente gli elementi essenziali -, l'effetto dell'applicazione del regolamento n. 1073/1999 sull'indipendenza della BCE sarebbe comunque limitato. Ciò è vero, a mio parere, anche se la BCE, in quanto organo relativamente nuovo, può non godere ancora della solida reputazione di lunga data di alcune banche centrali nazionali.

172. Tale parere trova conferma nella letteratura specializzata sul tema dell'indipendenza della Banca centrale . Tale letteratura non sembra indicare che la libertà dalle indagini, sia delle autorità giudiziarie nazionali sia degli organismi amministrativi specializzati nella lotta alle frodi, è essenziale o anche solo rilevante per stabilire il livello globale di indipendenza di una banca, o la sua capacità di mantenere la stabilità dei prezzi.

173. L'argomento secondo cui i poteri dell'OLAF sono atti a sminuire l'indipendenza della BCE dev'essere valutato, come osserva il Consiglio, anche alla luce della situazione riscontrabile negli Stati membri. Mentre in questi ultimi può non esistere un organo equiparabile all'OLAF, da un'analisi comparata emerge che le banche centrali nazionali sono soggette a vari controlli esterni intesi ad individuare e prevenire le frodi. Le banche centrali nazionali sono infatti soggette in tutti gli Stati membri al controllo dell'ufficio del pubblico ministero o della polizia nazionale, che hanno poteri di indagini superiori a quelli conferiti all'OLAF dal regolamento n. 1073/1999 . Gi ordinamenti della maggior parte degli Stati membri prevedono anche l'istituzione di commissioni parlamentari apposite, dotate di poteri d'indagine analoghi a quelli disciplinati dal regolamento n. 1073/1999 , e assegnano ad organismi pubblici di controllo il compito di verificare i conti delle banche centrali nazionali e di indagare su presunte frodi . Come sottolinea il Consiglio, le relazioni sulla convergenza adottate dall'IME e dalla BCE non sembrano indicare che tali disposizioni di diritto nazionale siano atte a pregiudicare l'indipendenza delle banche centrali nazionali prevista dall'art. 108 CE . Non è nemmeno provato che le indagini sulle banche centrali nazionali svolte da organi esterni abbiano inciso negativamente sulla loro reputazione nei mercati finanziari o sulla loro capacità di attuare efficacemente una politica monetaria intesa a mantenere la stabilità dei prezzi.

174. Infine, non potrei accogliere l'argomento della BCE neanche qualora fosse, o potesse essere, dimostrato che l'applicazione del regolamento n. 1073/1999 sminuirebbe in qualche misura la fiducia del mercato nella BCE. Quest'ultima, come ho già rilevato, è soggetta al principio dello Stato di diritto. Essa infatti deve non solo perseguire la stabilità dei prezzi e contribuire a realizzare gli obiettivi comunitari indicati all'art. 105 CE, ma deve anche svolgere i suoi compiti conformemente al diritto e senza commettere frodi lesive degli interessi finanziari della Comunità. L'applicazione del regolamento n. 1073/1999 alla BCE è intesa ad aiutarla, e a mio parere l'aiuterà, a garantire che tale obbligo sia, e sia ritenuto, assolto.

175. Pertanto, propongo di respingere l'argomento dedotto dalla BCE secondo cui l'applicazione del regolamento n. 1073/1999 alla BCE è incompatibile con il principio di indipendenza sancito all'art. 108 CE.

Sulla proporzionalità

176. Passo quindi all'ultima eccezione di invalidità sollevata dalla BCE nel caso di specie. Essa fa valere che il regolamento n. 1073/1999 è in contrasto con il principio di proporzionalità in quanto si applica alla BCE. A sostegno di tale affermazione vengono dedotti tre argomenti sostanziali.

177. In primo luogo, l'applicazione del regolamento n. 1073/1999 alla BCE non sarebbe necessaria, in quanto quest'ultima è già soggetta a controlli finanziari adeguati, svolti internamente dalla D-RI e dal comitato antifrode ed esternamente da revisori indipendenti nominati in conformità dell'art. 27 dello statuto. Se il legislatore comunitario avesse ritenuto che fossero necessarie ulteriori misure, avrebbe potuto conferire ai revisori indipendenti esterni il compito di individuare e accertare le frodi all'interno della BCE.

178. In secondo luogo, la BCE ritiene che lo schema previsto dal regolamento n. 1073/1999 sia inadeguato alla natura particolare delle sue attività. La maggior parte dei compiti della BCE può esercitare una forte influenza sull'andamento dei mercati ed è quindi oggetto di tassativi obblighi di riservatezza. Dato il rischio che possano trapelare informazioni ottenute dall'OLAF nel corso di indagini interne, la BCE sarebbe quindi costretta ad escludere da tali indagini tutte le informazioni relative all'esecuzione dei propri compiti fondamentali, elencati all'art. 105, n. 2, CE, mediante una decisione adottata in forza dell'art. 4, nn. 1 e 6, del regolamento. L'OLAF svolgerebbe quindi un ruolo marginale e il suo accesso limitato alle informazioni potrebbe persino portare a constatazioni errate.

179. In terzo luogo, il regolamento n. 1073/1999 si adatterebbe poco anche alla natura decentralizzata del SEBC. Le indagini interne sulle attività della BCE, secondo quest'ultima, rivelerebbero spesso l'esigenza di indagare su una o più banche centrali nazionali. Tuttavia, l'OLAF non è competente a svolgere tali indagini.

180. In risposta a questi argomenti, la Commissione rammenta che il legislatore comunitario ha ritenuto che al fine di intensificare la lotta contro le frodi occorresse istituire un unico servizio indipendente e specializzato per tutte le istituzioni e tutti gli organi e gli organismi della Comunità. Il fatto che istituendo detto servizio il legislatore non abbia tenuto conto dell'esistenza di vari controlli interni ed esterni per tutte le suddette istituzioni e tutti i suddetti organi e organismi non può essere ritenuto sproporzionato. L'esistenza di questi vari controlli inciderà sicuramente sulle modalità pratiche di svolgimento delle indagini interne, ma ciò non costituisce un argomento persuasivo per escludere tout court l'applicabilità del regolamento n. 1073/1999.

181. A parere della Commissione, neanche la particolare natura dei compiti affidati alla BCE rende sproporzionata l'applicazione del regolamento n. 1073/1999. La natura dei compiti della BCE e la correlata esigenza di riservatezza sono questioni che possono e debbono essere risolte mediante le decisioni che la BCE è tenuta ad adottare ai sensi dell'art. 4, nn. 1 e 6, del regolamento. Neanche l'argomento relativo all'attività decentrata del SEBC rende convincente la tesi della BCE. Il fatto che l'OLAF non abbia il potere di svolgere indagini sulle banche centrali nazionali è irrilevante rispetto al suo potere di indagare sulla BCE stessa e le indagini sulle banche centrali nazionali possono comunque essere svolte dalle autorità nazionali, se necessario in collaborazione con l'OLAF.

182. Non posso accogliere i motivi delle BCE.

183. Non spetta alla Corte sostituire il proprio giudizio a quello del legislatore comunitario allorché essa verifica la legittimità di provvedimenti generali. La Corte annulla tali provvedimenti solo quando è chiaramente dimostrato che sono sproporzionati, del tutto o sotto determinati aspetti. La questione, nella specie, non è quindi se i vari controlli interni ed esterni cui la BCE è soggetta siano adeguati, bensì se il legislatore, istituendo un sistema generale di controllo indipendente ed esterno, abbia chiaramente ecceduto quanto necessario per combattere le frodi.

184. L'applicazione del regolamento n. 1073/1999 alla BCE, a mio parere, non è palesemente superflua. Sebbene il sistema antifrode interno della BCE istituito con la decisione impugnata costituisca una forma di protezione contro le frodi e le altre irregolarità, il legislatore a mio parere ha correttamente presunto che il controllo da parte di un organo esterno indipendente sarebbe stato più efficace e, cosa forse altrettanto importante, sarebbe stato considerato tale. Inoltre il regolamento n. 1073/1999 è stato adottato prima della decisione impugnata. A mio avviso, pertanto, i miglioramenti apportati da tale decisione al sistema antifrode della BCE (ad esempio l'istituzione di un comitato antifrode) non possono comunque rendere sproporzionato il regolamento. A tale proposito non si può obiettare che i revisori esterni nominati in forza dell'art. 27 dello statuto possono esaminare e approvare i bilanci della BCE, in quanto tale compito ha natura sostanzialmente diversa da quella del compito e dei controlli svolti dall'OLAF.

185. Per quanto riguarda la natura particolare dei compiti affidati alla BCE, concordo con la Commissione sul fatto che tali questioni debbono essere risolte, nel quadro di un dialogo costruttivo tra le parti in conformità del principio di leale collaborazione , con la decisione che l'art. 4, nn. 1 e 6, del regolamento n. 1073/1999 impone alla BCE di adottare.

186. L'argomento della BCE, secondo cui tale decisione deve escludere la maggior parte delle sue attività, se non tutte, dalle indagini interne al fine di tutelarne la riservatezza, non è persuasivo. Se può essere vero che le informazioni relative alla fissazione dei tassi d'interesse della BCE e alle caratteristiche di sicurezza degli euro devono essere tenute segrete, quelle relative ad altri aspetti delle attività della BCE potrebbero essere considerate meno importanti. In ogni caso, non vi sarebbe motivo di escludere dalle indagini interne le informazioni concernenti attività della BCE non direttamente connesse ai compiti indicati negli artt. 105 e 106 CE, come le decisioni relative agli appalti di prodotti e servizi. Inoltre la presunta esigenza di esclusione va valutata alla luce dell'art. 8 del regolamento n. 1073/1999, il quale dispone che «[l]e informazioni comunicate o ottenute in qualsiasi forma nell'ambito di indagini interne sono coperte dal segreto d'Ufficio e godono della tutela concessa dalla normativa vigente per le istituzioni delle Comunità europee. (...) [T]ali informazioni possono essere comunicate solo a coloro che, nelle istituzioni delle Comunità europee, ovvero degli Stati membri, sono tenuti a conoscerle in virtù delle loro funzioni, e non possono essere utilizzate per fini diversi dalla lotta contro le frodi, contro la corruzione e contro ogni altra attività illecita» e impone al direttore dell'Ufficio e ai membri del comitato di vigilanza di vegliare sull'applicazione dell'art. 287 CE .

187. Inoltre, se il fatto che l'OLAF non possa condurre indagini all'interno delle banche centrali nazionali a proprio nome potrebbe sminuire in una certa misura l'efficacia del regolamento n. 1073/1999, la BCE non ha fornito spiegazioni esaurienti a sostegno della sua tesi secondo cui l'OLAF, per effetto di tale limitazione dei suoi poteri, non sarebbe in grado di assolvere il suo compito nei confronti della stessa BCE.

188. Infine, si può ricordare che inizialmente la Commissione aveva proposto di istituire l'OLAF con un regolamento comunitario e di stabilire norme dettagliate per lo svolgimento delle indagini interne in tutte le istituzioni e in tutti gli organi e organismi comunitari . A differenza della proposta, il regolamento n. 1073/1999 prevede solo regole generali concernenti le procedure e le modalità delle indagini interne e prevede l'adozione di misure più dettagliate mediante decisione ai sensi dell'art. 4, nn. 1 e 6. Concordo con il Consiglio che tale sistema - in base al quale si può tenere conto dei compiti e della situazione specifici di ogni istituzione, organo e organismo - garantisce un equilibrio adeguato e proporzionato tra l'esigenza di autonomia organizzativa delle istituzioni e quella di prevenire efficacemente le frodi .

189. Pertanto, concludo che il regolamento n. 1073/1999 non contravviene al principio di proporzionalità nella misura in cui si applica alla BCE.

Sulla ricevibilità ex art. 241 CE

190. Si ricorderà che la Commissione contesta la ricevibilità dell'argomento della BCE secondo cui il regolamento n. 1073/1999 andrebbe dichiarato inapplicabile ai sensi dell'art. 241 CE (l'«eccezione d'illegittimità»), in quanto la BCE non potrebbe far valere tale motivo . Le parti e gli intervenienti non hanno dedotto argomenti dettagliati sul punto. Alla luce della conclusione da me formulata sul merito dei quattro argomenti addotti dalla BCE a sostegno di tale motivo, esaminerò la questione della ricevibilità solo in breve e senza esprimere un parere definitivo . Si tratta di una questione difficile e gli argomenti dedotti hanno lo stesso peso.

191. La tesi secondo cui un'istituzione o un organo può invocare a propria difesa l'invalidità di un regolamento nell'ambito di un ricorso d'annullamento per violazione del regolamento di cui trattasi, proposto contro un provvedimento adottato da tale istituzione od organo, trova conferma, come sottolinea la Commissione, nella formulazione dell'art. 241 CE, a norma del quale «ciascuna parte», nell'ambito di una controversia che metta in causa «un regolamento», può «invocare dinanzi alla Corte di giustizia l'inapplicabilità del regolamento stesso», e si potrebbe ritenere contrario al principio di legalità che, dinanzi ad un regolamento di cui l'istituzione o l'organo convenuto fa valere l'illegittimità di determinati aspetti, la Corte dichiarasse che detta istituzione o detto organo non ha agito conformemente al diritto, o non ha adempiuto i suoi obblighi, senza esaminare il merito dei loro argomenti e limitandosi ad osservare ch'essi avrebbero potuto essere dedotti nell'ambito di un ricorso d'annullamento. Inoltre, se è vero che la Corte non ha mai espressamente dichiarato che uno Stato membro può invocare a propria difesa l'invalidità di un regolamento nell'ambito di un ricorso per inadempimento ai sensi dell'art. 226 CE, essa tuttavia non ha mai escluso tale possibilità, e alcune sentenze possono essere interpretate nel senso che l'ammettono implicitamente ; se davvero gli Stati membri hanno tale facoltà, si può sostenere che le istituzioni e gli organi della Comunità dovrebbero essere trattati alla stessa stregua nell'ambito di ricorsi d'annullamento proposti in forza dell'art. 230 CE.

192. Tuttavia, tutti i summenzionati argomenti vanno soppesati con importanti considerazioni di principio. Il termine di ricorso stabilito all'art. 230, quinto comma, CE, è inteso a preservare la certezza del diritto nell'ambito della Comunità. Interpretare l'art. 241 CE nel senso che offre un'ulteriore possibilità ai ricorrenti che avrebbero potuto proporre un ricorso d'annullamento, ma non l'hanno fatto, sarebbe in contrasto con tale obiettivo e potrebbe incentivare tecniche dilatorie. A tale proposito, si può rammentare che, nella sentenza TWD , la Corte ha dichiarato che un singolo non può opporsi ad un provvedimento in forza dell'art. 230 CE qualora, sebbene avesse potuto senza alcun dubbio impugnarlo, abbia lasciato decorrere il termine stabilito al quinto comma di tale articolo. Il ragionamento della Corte in detta causa si basava in sostanza sull'esigenza di preservare la certezza del diritto, evitando che gli atti comunitari vengano rimessi in questione all'infinito e di impedire ai singoli di eludere il termine prescritto dall'art. 230, quinto comma, CE . Lo stesso vale, a mio parere, per i ricorsi indiretti proposti contro atti comunitari dagli Stati membri, dalle istituzioni e dagli organi in forza dell'art. 241 CE .

193. Tale argomento potrebbe sembrare conforme allo scopo dell'art. 241 CE. Nella sentenza Simmenthal, la Corte ha dichiarato che l'art. 184 del Trattato CE (divenuto art. 241 CE) «è espressione di un principio generale che garantisce a qualsiasi parte il diritto di contestare, al fine di ottenere l'annullamento di una decisione che la concerne direttamente e individualmente, la validità di precedenti atti delle istituzioni comunitarie, che costituiscono il fondamento giuridico della decisione impugnata, qualora non avesse il diritto di proporre, in forza dell'art. [230 CE], un ricorso diretto contro tali atti, di cui essa subisce così le conseguenze senza averne potuto chiedere l'annullamento». Tale passaggio potrebbe essere interpretato nel senso che lo scopo fondamentale dell'art. 241 CE è garantire tutela giurisdizionale laddove, a causa si restrizioni al diritto di agire ex art. 230 CE, non sia possibile presentare un ricorso diretto .

194. Tuttavia, mettendo in particolare evidenza la chiara formulazione dell'art 241 CE, che prevede un rimedio (ancorché incidentale), concluderei per la ricevibilità del secondo motivo di diritto della BCE, secondo cui il regolamento n. 1073/1999 dovrebbe essere dichiarato inapplicabile. In tale contesto, la questione se la BCE fosse a conoscenza o meno dell'applicabilità del regolamento nei suoi confronti, a mio parere, è irrilevante . Dal testo dell'art 241 CE non emergono motivi per limitare l'applicabilità di tale disposizione mediante riferimento alle conoscenze soggettive della persona, dello Stato membro, dell'istituzione o dell'organo che intende farla valere, e si tratterebbe comunque di un criterio di difficile applicazione pratica.

Conclusione

195. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di

1) annullare la decisione della Banca centrale europea 7 ottobre 1999, 1999/726/CE, relativa alla prevenzione delle frodi;

2) condannare la BCE a sopportare le spese sostenute dalla Commissione;

3) condannare il Parlamento europeo, il Consiglio e il Regno dei Paesi Bassi alle rispettive spese.

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