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Document 61999CC0263

Conclusioni dell'avvocato generale Alber del 8 marzo 2001.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
Inadempimento di uno Stato - Libertà di stabilimento - Libera prestazione dei servizi - Attività di consulenza in materia di circolazione dei mezzi di trasporto.
Causa C-263/99.

Raccolta della Giurisprudenza 2001 I-04195

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2001:141

61999C0263

Conclusioni dell'avvocato generale Alber dell'8 marzo 2001. - Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana. - Inadempimento di uno Stato - Libertà di stabilimento - Libera prestazione dei servizi - Attività di consulenza in materia di circolazione dei mezzi di trasporto. - Causa C-263/99.

raccolta della giurisprudenza 2001 pagina I-04195


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1 Nel presente procedimento per inadempimento la Commissione chiede che la Corte voglia dichiarare che, emanando determinate norme relative all'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto, la Repubblica italiana ha violato i principi della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi sanciti dal Trattato.

II - La normativa italiana

2 Le norme controverse sono quelle della legge 8 agosto 1991, n. 264, relativa all'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto (in prosieguo: la «legge»).

3 Ai sensi dell'art. 3, n. 1, lett. a), della legge l'autorità provinciale rilascia al titolare dell'impresa un'autorizzazione all'esercizio dell'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto solo se egli è cittadino italiano oppure cittadino di uno Stato membro della Comunità economica europea residente in Italia.

4 Ai sensi dell'art. 3, n. 2, lett. a), b) e c), della legge tale requisito dev'essere posseduto da tutti i soci quando trattasi di società di persone, dai soci accomandatari quando trattasi di società in accomandita semplice o in accomandita per azioni, dagli amministratori per ogni altro tipo di società.

5 Ai sensi dell'art. 3, n. 4, della legge l'autorizzazione è rilasciata solo se viene contestualmente depositata presso l'amministrazione provinciale una cauzione il cui importo è determinato con decreto ministeriale.

6 Ai sensi dell'art. 8, n. 1, della legge le tariffe minime e massime per l'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto sono stabilite annualmente su deliberazione di una commissione.

7 L'art. 9, n. 4, della legge stabilisce che chiunque esercita l'attività controversa senza l'autorizzazione richiesta è punito con una sanzione amministrativa compresa tra LIT 5 milioni e LIT 20 milioni.

III - Procedimento

8 Con lettera 16 novembre 1993, la Commissione faceva notare all'Italia l'incompatibilità della legge con gli artt. 52 e 59 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 43 e 49 CE) e le chiedeva di comunicarle entro il termine di due mesi informazioni più precise sulla legge e sulle misure previste per ovviare a tale incompatibilità con il diritto comunitario.

9 Non avendo tale lettera ricevuto risposta, la Commissione, con lettera di diffida 7 novembre 1995, intimava formalmente al governo italiano di presentare le proprie osservazioni entro il termine di due mesi.

10 Dal momento che la Commissione riteneva insufficiente la risposta del governo italiano del 21 marzo 1996, il 14 luglio 1997 gli inviava un parere motivato, intimandogli di adottare, entro il termine di due mesi, le misure per adeguarsi agli artt. 43 e 49 CE.

11 Non avendo il governo italiano reagito al parere motivato, la Commissione proponeva, il 2 luglio 1999, il ricorso in oggetto, registrato nella cancelleria della Corte il 16 luglio 1999, con il quale chiede che la Corte voglia:

a) dichiarare che la Repubblica italiana, ponendo restrizioni all'esercizio dell'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 43 e 49 CE;

b) condannare la Repubblica italiana al pagamento delle spese processuali.

12 Il governo italiano sostiene che è cessata la materia del contendere.

IV - Conclusioni delle parti

13 Nel ricorso la Commissione rileva che il requisito della residenza per i cittadini di altri Stati membri non è compatibile con il divieto generale di discriminazione in base alla cittadinanza di cui all'art. 12 CE e con quello più specifico sancito dall'art. 43 CE, che vieta ogni restrizione della libertà di stabilimento.

14 Il requisito della residenza rappresenterebbe la negazione della libera prestazione di servizi di cui all'art. 49 CE in quanto escluderebbe completamente la prestazione occasionale di servizi da parte dell'offerente domiciliato in altri Stati membri.

15 Le disposizioni relative alla condizione di una cauzione, alla determinazione di tariffe minime e massime e alla fissazione di sanzioni in caso di entrata in attività senza autorizzazione, non terrebbero conto della circostanza che offerenti di altri Stati membri siano già eventualmente soggetti a norme comparabili nel loro Stato membro di provenienza.

16 Il 10 novembre 1999 la Repubblica italiana ha presentato il controricorso, nel quale deduce che il requisito della residenza deve essere inteso piuttosto nel senso di uno stabilimento.

17 La fissazione di una tariffa minima sarebbe necessaria, in quanto la sua abolizione porterebbe alla destabilizzazione del mercato e ad un calo della qualità delle prestazioni.

18 Inoltre essa rileva che non è chiaro se la Commissione contesti il requisito dell'autorizzazione in sé e per sé oppure i singoli presupposti di essa.

19 In considerazione della mancanza di qualsiasi armonizzazione comunitaria nella presente materia, motivi di interesse generale - vale a dire la necessità di verificare che gli offerenti siano dotati di idoneità professionale, onestà e correttezza e dispongano di mezzi adeguati - giustificherebbero il requisito dell'autorizzazione.

20 Inoltre la Repubblica italiana fa presente che è allo studio una modifica legislativa con la quale verrebbero meno il requisito della residenza e della cauzione nonché la determinazione della tariffa massima e che per questo motivo il procedimento è divenuto privo di oggetto.

21 Nella replica del 6 dicembre 1999 la Commissione afferma che la progettata modifica legislativa è irrilevante ai fini del procedimento.

22 Per quanto riguarda il requisito della tariffa minima, occorrerebbe considerare che tariffe inferiori alle tariffe minime fissate possono essere ottenute non solo - come teme l'Italia - attraverso una riduzione della qualità, ma anche con una migliore gestione aziendale. Inoltre i consumatori possono, mediante raffronti, verificare essi stessi la qualità.

23 Nella controreplica, depositata il 24 febbraio 2000, la Repubblica italiana sostiene nuovamente che il procedimento è divenuto privo di oggetto poiché, con una modifica legislativa intervenuta nel frattempo, il requisito della residenza è stato sostituito con quello dello stabilimento e il requisito della cauzione è stato abolito.

V - Parere

24 L'argomento del governo italiano per cui il procedimento è divenuto privo di oggetto in seguito alla modifica di talune norme della legge non è corretto. Infatti, ai sensi di una costante giurisprudenza, l'esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e la Corte non può tener conto di mutamenti successivi (1).

1) Violazione dell'art. 43 CE

25 Dalla lettera della legge non traspare chiaramente se il requisito della residenza in Italia valga solo per i cittadini di altri Stati membri oppure anche per gli italiani. Se valesse solo per gli stranieri si tratterebbe di una palese discriminazione in base alla cittadinanza. Orbene, il principio della parità di trattamento vieta trattamenti discriminatori in base alla cittadinanza. Se il criterio della residenza venisse applicato in modo non discriminatorio si tratterebbe di una discriminazione dissimulata, in quanto il requisito della residenza «rischia di operare principalmente a danno dei cittadini di altri Stati membri» (2).

26 Il requisito della residenza si risolve in una limitazione della libertà di stabilimento ed ha una portata molto ampia. Nel caso di una società di persone tutti i soci devono essere residenti in Italia; in quello di una società in accomandita semplice, come pure di una società in accomandita per azioni, tale obbligo vale per tutti i soci accomandatari; quanto alle altre società il requisito della residenza si applica nei confronti degli amministratori.

27 In tal modo si rende più difficile lo stabilirsi in Italia per gli offerenti residenti in altri Stati membri. I soci hanno di regola la residenza nel loro paese di origine e sono obbligati a trasferirla in Italia per poter ivi proseguire la propria attività commerciale. La Corte ha ritenuto ostacoli inammissibili alla libertà di stabilimento analoghi requisiti di residenza vigenti negli ordinamenti di altri Stati membri (3). Tale giudizio deve trovare applicazione anche nel caso di specie.

28 Nulla ha detto l'Italia a proposito di una giustificazione della discriminazione, basata sull'art. 46 CE, per motivi di sicurezza o ordine pubblico, giustificazione che vale solo se esiste una effettiva e sufficientemente grave minaccia che colpisce un interesse fondamentale della società (4).

29 Il governo italiano sostiene però che il requisito della residenza è da intendere nel senso più ampio di stabilimento. Il termine «residenza» deriverebbe da una imperfezione letterale del testo della legge: si tratterebbe quindi di un errore di redazione da correggere attraverso un'interpretazione conforme al diritto comunitario.

30 Tale argomento non può tuttavia essere accolto, poiché, se il testo fosse da interpretare solo in senso rettificativo, ciò comporterebbe una grave incertezza giuridica per coloro che sono riguardati dalla legge.

2) Sulla violazione dell'art. 49 CE

31 Uno Stato membro non può assoggettare i prestatori agli stessi requisiti prescritti per lo stabilimento, poiché altrimenti priverebbe di ogni effetto utile il diritto di effettuare prestazioni di servizi da un altro Stato (5). La prestazione di servizi ha luogo, contrariamente allo stabilimento, solo occasionalmente e non richiede quindi nessun inserimento duraturo nell'attività commerciale dello Stato destinatario. Di conseguenza occorre stabilire una differenza, relativamente ai requisiti, tra colui che effettua una prestazione di servizi e colui che vuole stabilirsi in modo duraturo. Diversamente la libera prestazione di servizi verrebbe praticamente svuotata di significato. Ciò si verifica nel modo più lampante nel caso del requisito della residenza, il quale, essendo il presupposto per il rilascio dell'autorizzazione, impedisce ad un offerente che risieda in un altro Stato membro di prestare occasionalmente i propri servizi in Italia. Per questo motivo le norme contestate rappresentano un'inammissibile limitazione dell'art. 49 CE.

32 Una normativa nazionale che subordina l'esercizio di talune prestazioni di servizi sul territorio nazionale da parte di una impresa avente sede in un altro Stato membro al rilascio di un'autorizzazione amministrativa costituisce una restrizione della libera prestazione di servizi (6). Tale requisito dell'autorizzazione può già di per sé costituire, in linea di principio, un'illegittima restrizione.

33 Questa può essere compatibile con l'art. 49 CE solo se la normativa viene applicata in modo non discriminatorio e sia giustificata da un determinato motivo. Ciò si verifica quando la normativa è giustificata da motivi imperiosi di interesse pubblico, è idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non va oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo (7).

34 Di per sé, l'autorizzazione, essendo prescritta tanto per gli offerenti italiani quanto per quelli degli altri Stati membri, non ha alcun carattere discriminatorio. Ciò nonostante tale requisito, di regola, limita in modo più netto le prestazioni di servizi da altri Stati membri, poiché gli offerenti sono soggetti tanto alla normativa dello Stato di origine quanto a quella dello Stato membro in cui viene prestato il servizio, ossia ad una doppia disciplina. Tuttavia è privo della specifica intenzione discriminatoria perché - diversamente dal requisito della residenza - i fornitori nazionali di servizi devono anch'essi soddisfarlo (8).

35 La Repubblica italiana sostiene che la prescrizione di un'autorizzazione è giustificata dalla necessità di verificare il possesso da parte dell'offerente, dei requisiti di professionalità, onestà, correttezza e disponibilità di un'adeguata capacità finanziaria.

36 Il requisito dell'autorizzazione non è tuttavia necessario in forma concreta se si è già tenuto conto dell'interesse generale attraverso le norme di legge alle quali è soggetto il prestatore di servizi nello Stato in cui è stabilito (9). Richiedendo a tutte le imprese di soddisfare i medesimi requisiti per ottenere un'autorizzazione, la normativa italiana esclude che si tenga conto degli obblighi ai quali il prestatore è già assoggettato nello Stato membro nel quale è stabilito (10).

37 Se la verifica del possesso dei suddetti requisiti per l'attività di consulenza ha già luogo nel paese di origine del prestatore di servizio, può verificarsi un inammissibile doppio controllo. Basterebbe la prova della qualificazione professionale e l'adempimento di determinati doveri deontologici. La Repubblica italiana non ne tiene conto e viola pertanto il principio del paese d'origine.

38 Inoltre hanno importanza decisiva le condizioni in base a cui è rilasciata l'autorizzazione. Secondo la giurisprudenza della Corte il requisito della residenza non è necessario per i dirigenti. Si possono effettuare controlli e si possono infliggere sanzioni a carico di qualsiasi impresa stabilita in uno Stato membro anche a prescindere dal luogo di residenza dei suoi dirigenti (11). In questo modo è tenuta in debita considerazione la tutela del consumatore.

39 Peraltro si tratta qui, come già esposto, di una discriminazione palese o dissimulata in base alla cittadinanza (12).

40 Nulla ha detto l'Italia per giustificarla, ai sensi dell'art. 46 CE, per motivi di pubblica sicurezza e di ordine pubblico.

41 Ai sensi dell'art. 3, n. 4, della legge il rilascio dell'autorizzazione è subordinato al contestuale deposito presso l'amministrazione provinciale di una cauzione pecuniaria.

42 La richiesta di tale somma costituisce per ciascun offerente una restrizione della libera prestazione dei servizi, poiché egli deve sostenere costi commerciali che è tenuto a finanziare anticipatamente. Anche se non si tratta in questo caso di una misura discriminatoria, in quanto la cauzione è richiesta per gli offerenti nazionali e non, essa rappresenta un'inammissibile restrizione della libera prestazione di servizi ai sensi dell'art. 49 se non è giustificata da motivi imperiosi di interesse pubblico, che la Repubblica italiana non ha comunque fatto valere.

43 Anche la determinazione delle tariffe minime e massime per l'esercizio dell'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto in Italia può costituire una restrizione della libera prestazione di servizi.

44 Con la fissazione di tariffe massime si rende forse più difficile ai prestatori di servizi di un altro Stato membro offrire le loro prestazioni sul mercato italiano in quanto, non avendo una residenza in Italia, devono sostenere costi superiori a quelli dei prestatori nazionali e possono quindi lavorare solo a prezzi superiori.

45 Tale misura può essere tuttavia ritenuta ammissibile se è applicata in modo non discriminatorio, se è giustificata da motivi imperiosi di interesse pubblico, se è idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e se non va oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo (13).

46 Il requisito riguarda tanto gli offerenti italiani, quanto quelli degli altri Stati membri, quindi è applicato in modo non discriminatorio. Tuttavia potrebbe configurare una discriminazione dissimulata dal momento che gli offerenti residenti in un altro Stato membro sono di regola soggetti, come ho descritto sopra, a costi più elevati. Comunque esso è privo dell'intenzione specificamente discriminatoria in quanto, potendo risultare altrettanto difficile per gli offerenti nazionali, per altri motivi economici, rispettare il prezzo massimo prescritto, produce i suoi effetti anche su questi ultimi (14).

47 Ad ogni modo il governo italiano non ha fatto valere motivi imperiosi d'interesse pubblico i quali potrebbero giustificare la restrizione. Occorre quindi concludere che la misura costituisce una restrizione.

48 Anche la fissazione di tariffe minime costituisce una disposizione che restringe la libera prestazione dei servizi. Infatti essa non consente ai prestatori di servizi di offrire le proprie prestazioni in modo tale che per il destinatario, in base ad un raffronto dei costi, risultino più convenienti di quelle di un altro prestatore di servizi.

49 Anche tale misura applicata in modo non discriminatorio, per cui occorre verificare l'esistenza di una giustificazione per motivi imperiosi di interesse pubblico. La Repubblica italiana sostiene che l'abolizione dei prezzi minimi potrebbe comportare una destabilizzazione del mercato, la quale probabilmente provocherebbe una concorrenza sleale che potrebbe a sua volta far calare la qualità delle prestazioni di servizi a svantaggio del consumatore. La Commissione obietta giustamente che prezzi inferiori al livello fissato possono derivare non solo dalla temuta riduzione della qualità bensì, in primo luogo, anche da una vantaggiosa struttura dei costi nell'erogazione della prestazione, quindi dall'abilità imprenditoriale. Qualora la mancanza di tariffe minime dovesse influire effettivamente sulla qualità della prestazione, i consumatori potrebbero rendersene conto attraverso raffronti e trarne le conseguenze.

50 Inoltre una simile restrizione non sarebbe proporzionale poiché eccederebbe quanto necessario per il raggiungimento dello scopo. Per salvaguardare la qualità a tutela dei consumatori sarebbe sufficiente fissare criteri di qualità uniformi secondo cui i prestatori di servizi devono operare.

51 Se già i requisiti prescritti per un'autorizzazione ai sensi dell'art. 3, n. 1, della legge sono contrari al diritto comunitario, a maggior ragione ciò vale per l'ammenda prevista dall'art. 9, n. 4, della legge, la quale è da pagare se l'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto è esercitata senza previa autorizzazione. Infatti l'ammenda è la conseguenza giuridica dell'inosservanza del requisito dell'autorizzazione. La sua legittimità, quindi, è connessa con quella della norma corredata della sanzione.

VI - Le spese

52 Ai sensi dell'art. 69, n. 2 del regolamento di procedura la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Essendo la Repubblica italiana rimasta soccombente, occorre condannarla alle spese.

VII - Conclusioni

53 Alla luce delle precedenti considerazioni vi propongo di statuire come segue:

1) La Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 43 e 49 CE in quanto ha posto restrizioni all'esercizio dell'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto nell'ambito della legge 8 agosto 1991, n. 264.

2) La Repubblica italiana sopporta i costi del procedimento.

(1) - Sentenza 16 dicembre 1997, causa C-316/96, Commissione/Italia (Racc. pag. I-7231, punto 14).

(2) - Sentenza della Corte 7 maggio 1998, causa C-350/96, Clean Car (Racc. pag. I-2521, punto 29).

(3) - Sentenze 25 luglio 1991, causa C-221/89, Factortame (Racc. pag. I-3905, punto 32), 29 ottobre 1998, causa C-114/97, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-6717, punto 44), e 9 marzo 2000, causa C-355/98, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-1221, punto 31).

(4) - Sentenza 27 ottobre 1977, causa C-30/77, Bouchereau (Racc. pag. 1999, punto 35).

(5) - Sentenza 25 luglio 1991, causa C-76/90, Saeger (Racc. pag. I-4221, punto 13); anche sentenza 9 luglio 1997, causa C-222/95, Parodi (Racc. pag. I-3899, punto 31).

(6) - Sentenza Saeger, citata sopra, nota 5, punto 14; v. anche sentenza Parodi, citata alla nota 5, punto 32, nonché sentenza 9 agosto 1994, causa C-43/93, Vander Elst (Racc. pag. I-3803, punto 15) e sentenza Commissione/Belgio, citata alla nota 3, punto 35.

(7) - Sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard (Racc. pag. I-4165, punto 37).

(8) - Holoubek in: Schwarze, EU-Kommentar, 1. Auflage 2000, Baden-Baden, art. 49 CE, punto 77.

(9) - Sentenza 17 dicembre 1981, causa 279/80, Webb (Racc. pag. 3305, punto 17); sentenze Saeger (citata alla nota 5, punto 15), Vander Elst (citata alla nota 5, punto 16), 12 dicembre 1996, causa C-3/95, Reisebüro Broede (Racc. pag. I-6511, punto 28), e Commissione/Belgio (citata alla nota 3, punto 37).

(10) - Sentenza Commissione/Belgio (citata alla nota 3, punto 38).

(11) - V. sentenza Commissione/Spagna, citata alla nota 3, punto 47.

(12) - V. paragrafo 25 di queste conclusioni.

(13) - Sentenza Gebhard citata alla nota 7, punto 37.

(14) - Holoubek in: Schwarze, EU-Kommentar (citato alla nota 7, punto 77).

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