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Document 61999CC0199

Conclusioni dell'avvocato generale Stix-Hackl del 26 settembre 2002.
Corus UK Ltd contro Commissione delle Comunità europee.
Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado - Accordi e pratiche concordate - Produttori europei di putrelle.
Causa C-199/99 P.

Raccolta della Giurisprudenza 2003 I-11177

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2002:539

61999C0199

Conclusioni dell'avvocato generale Stix-Hackl del 26settembre2002. - Corus UK Ltd contro Commissione delle Comunità europee. - Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado - Accordi e pratiche concordate - Produttori europei di putrelle. - Causa C-199/99 P.

raccolta della giurisprudenza 2003 pagina I-11177


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1. Il presente ricorso verte sul riesame della sentenza del Tribunale di primo grado (in prosieguo: il «Tribunale») 11 marzo 1999, causa T-151/94 (in prosieguo: la «sentenza impugnata»).

2. Per quanto attiene alla storia dei rapporti tra l'industria siderurgica e la Commissione negli anni 1970-1990, con particolare riguardo alle normative adottate per far fronte alla crisi manifesta e alla decisione della Commissione 19 luglio 1988, 2448/88/CECA, che istituisce un sistema di sorveglianza relativamente a taluni prodotti per le imprese dell'industria siderurgica (in prosieguo: la «decisione n. 2448/88»), si rinvia alla sentenza impugnata. In conformità della decisione citata, il sistema di sorveglianza giungeva a scadenza il 30 giugno 1990, per essere sostituito da un regime di informazione individuale e volontario .

3. Il 16 febbraio 1994 la Commissione adottava nei confronti di diciassette imprese siderurgiche europee e di una delle loro associazioni la «decisione della Commissione 16 febbraio 1994, 94/215/CECA, relativa ad una procedura ai sensi dell'articolo 65 del Trattato CECA concernente gli accordi e le pratiche concordate posti in essere dai produttori europei di travi» (in prosieguo: la «decisione»). La Commissione riteneva che i destinatari della decisione avessero violato il diritto della concorrenza della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, instaurando sistemi di scambi di informazioni contrari alle regole di concorrenza nonché procedendo a fissazioni dei prezzi e a ripartizioni del mercato. La Commissione infliggeva ammende a quattordici imprese. Nel caso della British Steel plc, registrata l'8 ottobre 1999 con la denominazione di British Steel Ltd e dal 17 aprile 2000 con la denominazione di Corus UK Ltd (in prosieguo: la «ricorrente»), la Commissione aveva fissato un'ammenda pari a ECU 32 000 000.

4. Numerose imprese interessate, tra cui la ricorrente, nonché l'associazione di imprese avevano proposto ricorso avverso la decisione dinanzi al Tribunale. Il Tribunale riduceva infine l'ammenda della ricorrente a EUR 20 000 000, respingendo il ricorso per il resto.

5. Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 25 maggio 1999, la ricorrente ha presentato ricorso avverso la detta sentenza.

II - Conclusioni delle parti e motivi di impugnazione

6. Nell'ambito del ricorso da essa proposto, la ricorrente chiede che la Corte voglia:

1) cassare la sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 11 marzo 1999 nella causa T-151/94, British Steel plc/Commissione;

2) consentendolo lo stato degli atti, annullare la decisione della Commissione 16 febbraio 1994, 94/215/CECA, relativa ad una procedura ai sensi dell'art. 65 del Trattato CECA concernente gli accordi e le pratiche concordate (presunti) posti in essere dai produttori europei di travi;

3) sussidiariamente, ridurre od annullare l'ammenda inflitta alla British Steel dall'art. 4 della decisione della Commissione 94/215/CECA, il cui importo è stato fissato dal Tribunale di primo grado;

4) condannare la Commissione al pagamento degli interessi sull'ammenda o sulla parte di ammenda rimborsata secondo quanto richiesto sub 2) o 3), relativamente al periodo dal 2 giugno 1994, data di versamento dell'ammenda da parte della British Steel, fino alla data del rimborso da parte della Commissione, in applicazione del tasso che la Corte ritenga equo;

5) condannare la Commissione a sopportare le spese.

La Commissione chiede che la Corte voglia:

1) respingere il ricorso e

2) condannare la ricorrente alle spese del giudizio.

7. Conformemente all'atto introduttivo, la ricorrente si fonda sui seguenti motivi di impugnazione:

Primo motivo di impugnazione

«Il Tribunale di primo grado è incorso in un errore di diritto omettendo di garantire alla British Steel un processo equo entro un termine ragionevole di tempo, contrariamente all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la "CEDU")».

Secondo motivo di impugnazione

«Il Tribunale di primo grado ha commesso un errore di diritto dichiarando che la decisione è stata adottata ed emanata in conformità delle pertinenti norme materiali e procedurali».

Terzo motivo di impugnazione

«Il Tribunale di primo grado ha commesso un errore di diritto qualificando i fatti in causa, nonostante le proprie conclusioni in merito alla natura e allo scopo dei contatti intercorsi tra le imprese nell'ambito del sistema di sorveglianza della Commissione, come accordi o pratiche concordate contrari al senso e alle finalità dell'art. 65, n. 1, del Trattato CECA».

Quarto motivo di impugnazione

«Il Tribunale di primo grado è incorso in un errore di diritto constatando, in violazione dei diritti della difesa, che nel corso del procedimento amministrativo la Commissione ha messo a disposizione della ricorrente una quantità di informazioni sufficiente in merito al proprio ruolo ed ha svolto indagini adeguate in merito a tale ruolo».

Quinto motivo di impugnazione

«Il Tribunale di primo grado è incorso in un errore di diritto dichiarando che la decisione contiene una motivazione adeguata circa l'ammenda inflitta alla ricorrente».

Sesto motivo di impugnazione

«Il Tribunale di primo grado è incorso in un errore di diritto non avendo annullato la decisione, in violazione dell'art. 33 del Trattato, nella parte in cui accerta a carico della ricorrente violazioni dell'art. 65, n. 1, anteriori al 1° luglio 1988».

Sintesi dei motivi di impugnazione e di loro capi in base a criteri giuridici fondamentali

8. Dalle osservazioni sui singoli motivi e sui loro capi emerge che la ricorrente contesta diverse violazioni del Trattato CECA. In sintesi, riconducendo i motivi a criteri giuridici fondamentali, la ricorrente ritiene che nella sentenza impugnata il Tribunale abbia violato il diritto comunitario:

- ritenendo a torto la decisione formalmente legittima sebbene

nel procedimento dinanzi alla Commissione siano stati violati diritti procedurali (quarto motivo di impugnazione), e

la decisione non sia stata emanata in maniera corretta (secondo motivo di impugnazione)

- ritenendo a torto la decisione materialmente legittima sebbene

le pratiche censurate nella decisione non potessero produrre effetti contrari al «gioco normale della concorrenza» di cui all'art. 65 del Trattato CECA (terzo motivo di impugnazione);

non si configurasse alcuna violazione dell'art. 65, n. 1, del Trattato CECA, poiché la partecipazione al sistema di scambio di informazioni non avrebbe costituito un'autonoma infrazione alle regole di concorrenza (terzo motivo di impugnazione), e

l'art. 1 della decisione facesse riferimento, per il periodo precedente al 1° luglio 1988, a due infrazioni, in cui la ricorrente non sarebbe incorsa, come avrebbe constatato il Tribunale stesso (sesto motivo di impugnazione);

- valutando erroneamente l'ammenda e la sua motivazione (quinto motivo di impugnazione);

- omettendo di garantire una tutela giuridica entro un termine ragionevole, contrariamente a quanto disposto dall'art. 6 della CEDU (primo motivo di impugnazione).

9. L'analisi che segue è basata sulla sintesi sopra riportata. I motivi di impugnazione dedotti dalla ricorrente, i loro capi e le censure che essi contengono nonché gli argomenti presentati dalla Commissione vengono riferiti a tali singoli punti.

10. I motivi di impugnazione del presente procedimento richiamano in parte nei contenuti i motivi di impugnazione, ovvero parti dei detti motivi di impugnazione, dedotti nella causa C-194/99 P (Thyssen Stahl/Commissione) . Le mie conclusioni nelle summenzionate cause vengono presentate in questa stessa data. In caso di corrispondenza di contenuti tra le diverse osservazioni, farò riferimento nelle presenti conclusioni alla valutazione riportata nelle conclusioni relative alla causa C-194/99 P.

III - Esame del caso

A - Sui motivi di impugnazione con cui si censura una valutazione erronea della legittimità formale della decisione

1. Sulla violazione di diritti procedurali da parte della Commissione (quarto motivo di impugnazione)

Principali argomenti delle parti

11. La ricorrente ritiene che il Tribunale abbia erroneamente tenuto in non cale una violazione dei suoi diritti procedurali a motivo del fatto che le è stato negato un accesso completo ad informazioni indispensabili per la sua difesa, riguardanti il ruolo svolto dalla DG III, in particolare in relazione alla sua conoscenza delle condotte in seguito contestate e in riferimento al nesso con le misure specificate agli artt. 47 e segg. del Trattato CECA.

12. Dalla giurisprudenza stessa del Tribunale si dedurrebbe che l'accesso alle informazioni della Commissione dovrebbe essere da questa concesso quando le imprese interessate ne abbiano necessità per svolgere la propria difesa in merito alle censure della Commissione. Il principio della parità delle armi presupporrebbe che le imprese interessate debbano avere, di norma, un livello di informazione pari a quello di cui dispone la Commissione. Il diritto all'accesso ai documenti della Commissione dipenderebbe dunque dal genere di censure da questa fatte valere. Dalla giurisprudenza citata emergerebbe altresì che non toccherebbe agli interessati provare che taluni documenti della Commissione potrebbero contenere elementi a discarico e che sarebbe perciò sufficiente la possibilità che tali documenti esistano.

13. Tra le informazioni generali necessarie per la difesa la ricorrente indica diversi documenti prodotti dalla Commissione nel procedimento dinanzi al Tribunale e concernenti i contatti intercorsi tra la DG III e le imprese interessate nonché le dichiarazioni di un funzionario della Commissione, che la ricorrente cita in estratto dalla trascrizione in inglese dell'udienza.

14. La ricorrente ritiene che una tempestiva conoscenza di queste informazioni, cui ha avuto accesso solo nel procedimento dinanzi al Tribunale, le avrebbe permesso di influire sul corso del procedimento dinanzi alla Commissione e, in tal modo, sul contenuto della decisione, in particolare in merito ai seguenti aspetti:

- corretta analisi dei colloqui fra i produttori;

- significato della nozione di «gioco normale della concorrenza» nel periodo in questione;

- conoscenza da parte della Commissione dei colloqui fra i produttori e dello scambio di opinioni e previsioni avvenuto in tale contesto;

- importanza degli art. 46 e segg. del Trattato CECA per l'applicazione dell'art. 65 del medesimo Trattato, poiché anche le riunioni tra la Commissione e le imprese interessate, che sarebbero state ritenute legittime dalla DG III, avrebbero potuto produrre effetti sul comportamento dei produttori sul mercato;

- influenza che avrebbero gli accordi tra la Commissione e le autorità scandinave riguardo alla censura della fissazione dei prezzi sul mercato danese;

- colpevolezza dei comportamenti censurati come criterio per valutare l'adeguatezza e l'entità dell'ammenda.

15. La ricorrente sottolinea che le argomentazioni del Tribunale di cui ai punti 96 e segg. e 101 e seg. della sentenza impugnata non si fondano in generale sulle informazioni raccolte dalla Commissione, bensì soltanto sulla documentazione relativa all'indagine interna. Il Tribunale non avrebbe accertato l'importanza che i documenti non prodotti nel procedimento dinanzi alla Commissione e le deposizioni di testimoni sul ruolo della Commissione rilasciate soltanto nel procedimento dinanzi al Tribunale avrebbero potuto rivestire per la tutela dei diritti procedurali.

16. La ricorrente definisce inoltre i documenti sulle indagini interne svolte dalla Commissione in merito al proprio ruolo come informazioni che avrebbero dovuto esserle trasmesse in quanto necessarie per la tutela dei suoi diritti procedurali. Secondo le sentenze Solvay e ICI da essa citate, l'obbligo della Commissione di garantire l'accesso al fascicolo non si limiterebbe soltanto alle prove a carico, bensì si estenderebbe a tutte le informazioni rilevanti per la difesa.

17. La ricorrente contesta in particolare il punto 96 della sentenza impugnata nella parte in cui esso recita che «le prerogative della difesa, garantite in forza dell'art. 36, primo comma, del Trattato, non richiedono che la Commissione ribatta a tutti gli argomenti dell'interessato o effettui indagini ulteriori o proceda all'audizione di testimoni indicati dall'interessato, qualora ritenga che la pratica sia stata adeguatamente istruita». Anche nel caso di specie la Commissione sarebbe stata tenuta a far visionare alla ricorrente tutti i documenti in suo possesso, dal momento che i detti documenti sarebbero stati necessari per assicurare la difesa.

18. La ricorrente censura inoltre il punto 98 della sentenza impugnata, secondo cui «la semplice circostanza che la Commissione abbia deciso di aprire un'inchiesta interna non era di per sé tale da obbligarla a far pervenire alla ricorrente il materiale reperito nel corso di tale inchiesta». Così argomentando, il Tribunale cadrebbe in contraddizione poiché, da un canto, esso avrebbe ritenuto tali documenti irrilevanti per la difesa della British Steel nel procedimento amministrativo e, dall'altro canto, avrebbe invece ingiunto nel procedimento giudiziario la presentazione dei suddetti documenti, sui quali si sarebbe anche fondato in più punti della sentenza impugnata.

19. La ricorrente contesta anche il punto 92 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale elencherebbe una serie di carenze nell'indagine svolta dalla DG IV per quanto riguarda il ruolo della DG III, constatando tuttavia nel contempo che non spetterebbe alla DG IV verificare la correttezza delle dichiarazioni della DG III. Questa constatazione sarebbe erronea, dal momento che la DG IV sarebbe stata responsabile dello svolgimento delle indagini e, di conseguenza, avrebbe dovuto accertarsi della correttezza delle dichiarazioni fornite dalla DG III. L'obbligo derivante dall'art. 36 del Trattato CECA incomberebbe alla Commissione in quanto organo collegiale, cosicché l'omessa raccolta e trasmissione delle informazioni necessarie da parte della DG IV non può essere giustificata dal fatto che tali informazioni fossero disponibili non già presso la DG IV, bensì presso la DG III.

20. Inoltre, la ricorrente contesta i punti 81, 99 e 102 della sentenza impugnata, da cui si dedurrebbe che spetta alla Commissione valutare la rilevanza dei documenti in suo possesso per la difesa. In nessun caso la Commissione sarebbe legittimata, neppure per motivi di riservatezza, a determinare da sola la rilevanza di documenti per la difesa. Dagli stessi obblighi e principi che impongono alla Commissione il dovere di procedere a un'indagine scaturirebbe anche la necessità di garantire un'adeguata tutela dei diritti procedurali.

21. La ricorrente rinvia anche alla sentenza nella causa T-42/96 , in cui il Tribunale dichiara che, se alla Commissione vengono addebitate gravi omissioni, su richiesta essa deve concedere all'interessato l'accesso a tutti i documenti amministrativi non riservati relativi alla decisione di cui trattasi, perché possa far valere i propri diritti ad essere sentito. Non è infatti da escludere che documenti ritenuti irrilevanti dalla Commissione possano presentare un interesse per le imprese chiamate in causa. Se la Commissione fosse autorizzata a escludere unilateralmente dal procedimento amministrativo quei documenti che potrebbero essere assunti a suo carico, si configurerebbe una violazione dei diritti procedurali delle parti. Nella sentenza impugnata il Tribunale non avrebbe rispettato le regole da esso stesso stabilite.

22. Infine, la ricorrente sostiene che, contrariamente alle constatazioni del Tribunale di cui al punto 101 della sentenza impugnata, i diritti procedurali delle imprese non sarebbero sufficientemente garantiti dal diritto a proporre ricorso dinanzi al Tribunale. Infatti, se una violazione del diritto a un processo equo potesse essere sanata nell'ambito di un ricorso di annullamento, la Commissione sarebbe dispensata dall'obbligo di rispettare, nel corso del procedimento amministrativo, siffatte importanti disposizioni, e il dovere del Tribunale di primo grado di annullare le decisioni che violano tali disposizioni sarebbe inefficace.

23. Infine, la ricorrente rimanda, a titolo di esempio, ai punti 320 e 558 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale avrebbe rigettato la tesi della ricorrente in base alla quale la Commissione non solo sarebbe stata a conoscenza della condotta in seguito contestata alle imprese, ma l'avrebbe addirittura incoraggiata, fondandosi a tal fine unicamente sulle note prodotte dalla ricorrente e da un'altra ricorrente (l'associazione di imprese Eurofer) nel procedimento dinanzi al Tribunale. Il Tribunale avrebbe tuttavia erroneamente omesso di richiedere alla Commissione altra documentazione pertinente. La disponibilità di tali informazioni aggiuntive già nel procedimento dinanzi alla Commissione avrebbe permesso alla ricorrente di svolgere utilmente la propria difesa.

24. La Commissione fa valere che le sentenze citate dalla ricorrente non riguardavano documenti interni della Commissione - che l'istituzione non sarebbe autorizzata a mettere a disposizione delle imprese oggetto di un'indagine - bensì unicamente informazioni di cui questa si trovava in possesso per altri motivi.

25. Essa ritiene che, quand'anche fosse stata in possesso di documenti comprovanti che la DG III era ampiamente al corrente dei comportamenti delle imprese in seguito censurati, fatto che reputa altamente ipotetico, i detti documenti sarebbero stati significativi al limite per la determinazione dell'entità dell'ammenda e non già per la questione se vi sia stata o meno una violazione delle regole di concorrenza.

26. La Commissione è del parere che, per il resto, il Tribunale abbia risolto validamente la questione dell'accesso della ricorrente ai documenti riguardanti le verifiche interne di cui ai punti 96 e segg. della sentenza impugnata. Al punto 100 della sentenza impugnata il Tribunale avrebbe constatato che le note interne riguardanti i risultati dell'inchiesta effettuata dalla Commissione sarebbero per loro natura confidenziali e non conterrebbero manifestamente alcun elemento a discarico. I summenzionati documenti si riferirebbero piuttosto alle riunioni avvenute tra i produttori e la Commissione di cui, logicamente, i produttori sarebbero stati a conoscenza.

27. Del resto la ricorrente non sarebbe stata in grado, pur avendo avuto accesso a tutta la documentazione, di indicare nemmeno un elemento a discarico che la Commissione avrebbe dovuto rendere pubblico nel corso del procedimento amministrativo. Al punto 102 il Tribunale argomenterebbe dunque: «Nulla consente di ritenere che la ricorrente non fosse in grado di far valere la propria opinione nel procedimento amministrativo, in particolare con riguardo alle ampie risposte sulla comunicazione degli addebiti».

28. La ricorrente non preciserebbe contro quale punto della detta conclusione sarebbe diretta la sua censura. Essa non specificherebbe nemmeno in che misura gli argomenti da essa addotti nel procedimento amministrativo avrebbero potuto risultare rafforzati qualora essa avesse avuto accesso alla documentazione in questione, e soprattutto non preciserebbe quali documenti avrebbero potuto esserle di aiuto nella difesa della propria tesi.

29. Non vi sarebbe inoltre contraddizione tra la constatazione del Tribunale che nel processo amministrativo non era stato autorizzato l'accesso alla documentazione e la circostanza che il Tribunale medesimo abbia ordinato la presentazione della detta documentazione nel corso del procedimento giudiziario, poiché tali elementi non avrebbero costituito prove che la Commissione intendesse usare contro una delle imprese. Le sentenze citate dalla ricorrente non dovrebbero essere trasposte senza riserve in una causa in cui gli argomenti essenziali relativi ai diritti procedurali siano completamente diversi, cioè riguardino il fatto che la Commissione avrebbe incoraggiato o tollerato una violazione del diritto della concorrenza.

30. Quanto all'argomento relativo all'armonizzazione dei sovraprezzi, la Commissione suppone che si tratti di un tentativo della ricorrente di indurre la Corte ad un'ulteriore verifica degli elementi di fatto. Per il resto, in considerazione dell'accurata analisi delle prove e delle tesi giuridiche esposte effettuata dal Tribunale, la circostanza che non sia stata ordinata un'ulteriore istruzione della causa non potrebbe essere considerata alla stregua di un'infrazione dei diritti procedurali.

Analisi

31. Nella sua censura avverso i punti 96 e 98 della sentenza impugnata la ricorrente contesta in generale, in primo luogo, il giudizio del Tribunale sul diritto di accedere al fascicolo.

32. Simultaneamente, essa critica, in secondo luogo, il fatto che il Tribunale avrebbe valutato la questione dell'accesso alle informazioni della Commissione soltanto in relazione alla documentazione riguardante le inchieste interne e non alle informazioni generali in possesso della Commissione.

33. Contestando i punti 81, 99 e 102 della sentenza impugnata, la ricorrente affronta in terzo luogo il problema se la Commissione possa da sola pronunciarsi sulla rilevanza o meno di talune informazioni ai fini dell'esercizio dei diritti procedurali da parte delle imprese interessate.

34. Le obiezioni mosse dalla ricorrente avverso il punto 92 della sentenza impugnata si riferiscono alle informazioni riguardanti le inchieste interne. Questo punto pertanto dev'essere letto alla luce del punto 81, in cui è enunciata la motivazione vera e propria della conclusione del Tribunale contestata. Al punto menzionato infatti il Tribunale osserva che sarebbe compito della Commissione «stabilire le modalità per procedere a tale istruzione». La ricorrente quindi, in quarto luogo, contesta la valutazione del Tribunale in merito all'adempimento dell'obbligo dell'inchiesta d'ufficio che incombe alla Commissione.

35. Infine, censurando il punto 101 della sentenza impugnata, la ricorrente solleva in quinto luogo il problema se sia possibile sanare l'irregolarità procedurale compiuta dalla Commissione concedendo l'accesso alle informazioni nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale.

a) Sul diritto di accedere agli atti in generale

36. Le osservazioni della ricorrente riguardano due gruppi di informazioni in possesso della Commissione: le informazioni generali sui contatti della DG III con le imprese interessate, da un lato, e le informazioni relative alle inchieste interne sul ruolo svolto dalla DG III, dall'altro.

37. Le obiezioni sollevate dalla ricorrente in merito all'accesso alle informazioni concernenti le inchieste interne coincidono in sostanza con gli argomenti dedotti dalla ricorrente Thyssen Stahl AG nella causa C-194/99 P. Perciò, in relazione ai motivi in base ai quali occorre dichiarare infondato questo motivo di impugnazione, rimando ai paragrafi 40 e segg. delle conclusioni da me presentate nella succitata causa in questa stessa data. Detti motivi si applicano mutatis mutandis.

b) Sull'analisi incompleta degli argomenti riguardanti l'accesso alle informazioni di carattere generale

38. Come si deduce dal punto 74 della sentenza impugnata, nel procedimento dinanzi al Tribunale la ricorrente aveva contestato il mancato accesso non solo alle informazioni concernenti le inchieste interne, bensì anche ai documenti di carattere generale. Tuttavia, i punti 77 e segg. della sentenza impugnata si riferiscono, in effetti, soltanto alla documentazione riguardante le inchieste interne. Si deve quindi convenire con la ricorrente che ai punti 77 e segg. della sentenza impugnata il Tribunale non ha esaminato sufficientemente la censura del mancato accesso al fascicolo.

39. In un siffatto caso la correttezza dell'analisi non può, in via di principio, essere verificata nel procedimento di impugnazione. La Corte ha tuttavia più volte constatato che un motivo di impugnazione può essere respinto anche «qualora dalla motivazione di una sentenza del Tribunale risulti una violazione del diritto comunitario, ma il dispositivo della medesima appaia fondato per altri motivi di diritto» .

40. Secondo la giurisprudenza della Corte, sussiste una violazione del diritto di accesso al fascicolo solo quando la conoscenza delle informazioni ivi contenute avrebbe potuto influire sul corso del procedimento e in tal modo a sua volta sul contenuto della decisione. Non occorre accertare, in una fase ulteriore, se la decisione sarebbe effettivamente stata diversa .

41. A tale riguardo la ricorrente ha elencato una serie di aspetti che, se fossero stati presi in considerazione nel corso del procedimento dinanzi alla Commissione grazie a una tempestiva trasmissione delle informazioni desiderate, a suo parere avrebbero potuto influire sull'ulteriore corso del procedimento e in tal modo sulla decisione.

42. Nella fattispecie, tuttavia, si delinea uno scenario alquanto particolare. La ricorrente e le altre imprese interessate avrebbero potuto avere necessità di accedere alle informazioni generali riguardanti il ruolo svolto dalla DG III per utilizzarle come prova di fatti che sarebbero serviti ad una precisa strategia difensiva, comune a tutte le ricorrenti (la Commissione avrebbe tollerato o permesso le pratiche contestate). Si aggiunga che le informazioni generali menzionate dalla ricorrente, stando alle sue stesse osservazioni, sarebbero state costituite fondamentalmente da materiale che avrebbe dovuto documentare il contenuto dei contatti della DG III con le imprese interessate, soprattutto per quanto concerne le riunioni collettive e lo scambio di corrispondenza.

43. Nel caso di queste informazioni specifiche, tuttavia, non si tratta di contenuti che la ricorrente avrebbe potuto trarre soltanto dai documenti della Commissione. Anzi, avrebbe ben potuto ricavarle dall'analisi della documentazione in suo possesso, dall'interrogazione dei propri collaboratori ovvero da fonti che, in virtù di una comunanza di interessi, avrebbero potuto essere messe a disposizione da altre imprese probabilmente disposte a collaborare.

44. La ricorrente non ha neppure sostenuto, ad esempio, che le informazioni ottenute da tali fonti non avrebbero avuto sufficiente valore probatorio e che, pertanto, sarebbe stato vitale riceverle dalla Commissione.

45. A mio parere, in un siffatto caso specifico in cui le informazioni necessarie a definire una strategia di difesa avrebbero potuto essere reperite senza particolari ulteriori sforzi anche da altre fonti oltre che dalla Commissione, non è sufficiente, nell'esposizione degli argomenti sulla necessità di accedere al fascicolo, indicare genericamente su quali questioni di diritto (per esempio la nozione di «gioco normale della concorrenza», l'importanza degli artt. 46 e segg. del Trattato CECA) si sarebbe eventualmente giunti a una valutazione diversa o quali fatti (per esempio, la «conoscenza» da parte della Commissione del contenuto delle riunioni interne dei produttori) si sarebbero potuti ricavare dalla conoscenza dei documenti non comunicati. Per poter correttamente valutare la necessità di accedere agli atti, in un siffatto caso particolare, le osservazioni della ricorrente dovrebbero indicare in modo circostanziato quali altri fatti avrebbero potuto portare alla luce, rispetto ad altre fonti, le informazioni richieste in possesso della Commissione.

46. Le osservazioni della ricorrente a mio parere non soddisfano tali requisiti e, di conseguenza, nel complesso occorre constatare che la ricorrente non ha dedotto elementi sufficienti per consentire di valutare se la sentenza impugnata giustifichi o meno il rigetto della censura relativa al mancato accesso alle informazioni della Commissione.

47. Pertanto, sotto tale aspetto le osservazioni della ricorrente devono essere dichiarate infondate.

c) Sul potere discrezionale in merito alla necessità di accedere al fascicolo per la tutela dei diritti procedurali

48. A mio parere dal punto 81 contestato della sentenza impugnata non si deduce che il Tribunale abbia formulato nella fattispecie il principio secondo cui spetterebbe soltanto alla Commissione decidere in merito alla necessità di trasmettere informazioni. Dal punto in questione discende soltanto che è compito della Commissione «stabilire le modalità per procedere a tale istruzione [interna]».

49. I punti 99 e 102 della sentenza impugnata devono essere letti alla luce della dichiarazione del Tribunale di cui al punto 100, secondo cui le note interne relative alle inchieste non conterrebbero «manifestamente alcun elemento a discarico». Come già accennato sopra , si tratta di un'analisi dei documenti in base al loro contenuto informativo. Il Tribunale dunque non constata che la Commissione possa decidere da sola in merito, bensì valuta piuttosto se la conoscenza delle informazioni non trasmesse dalla Commissione fosse indispensabile per la tutela dei diritti della difesa.

50. Pertanto, anche sotto tale aspetto le osservazioni della ricorrente devono essere dichiarate infondate.

d) Sull'obbligo della Commissione di effettuare un'inchiesta d'ufficio

51. Poiché le censure coincidono in sostanza con gli argomenti dedotti dalla ricorrente Thyssen Stahl AG nella causa C-194/99 P, in relazione ai motivi in base ai quali occorre dichiarare irricevibile l'argomento rimando ai paragrafi 21 e segg. delle conclusioni da me presentate nella succitata causa in questa stessa data. Detti motivi si applicano mutatis mutandis.

e) Sulla possibilità di sanare le irregolarità procedurali compiute dalla Commissione

52. Per quanto riguarda l'affermazione della ricorrente che il Tribunale sarebbe partito a torto dal presupposto che fosse possibile sanare nel procedimento dinanzi al Tribunale la presunta irregolarità procedurale compiuta dalla Commissione non occorrono ulteriori approfondimenti in quanto - come già detto - non sussiste alcuna irregolarità procedurale da parte della Commissione.

53. In conclusione, si deve constatare che il quarto motivo di impugnazione, con cui la ricorrente fa valere la violazione dei diritti procedurali, va dichiarato in parte irricevibile e per il resto infondato.

2. Sulla deliberazione della Commissione (secondo motivo di impugnazione)

54. Il secondo motivo di impugnazione si compone di due parti. Con la prima parte la ricorrente censura la pretesa divergenza tra versione notificata e versione adottata della decisione. Con la seconda parte essa contesta l'autenticazione a suo parere non regolare della decisione.

a) Sulla corrispondenza tra versione autenticata e versione notificata della decisione

Argomenti delle parti

55. La ricorrente censura il punto 137 della sentenza impugnata. Essa ritiene che il Tribunale si sia a torto pronunciato nel senso che non sussisteva alcuna differenza oggettiva tra le versioni C (94)321/2 e C (94)321/3 della decisione e le versioni della stessa notificate alle imprese interessate.

56. Un esame dei documenti presentati dalla Commissione al Tribunale avrebbe infatti evidenziato una serie di vizi di forma nell'emanazione della decisione impugnata .

57. Per il resto anche, dai punti 137 e segg. della sentenza impugnata si evincerebbe che vi sarebbero state differenze tra le varie versioni, che il Tribunale non avrebbe tuttavia ritenuto «rilevanti».

58. La Commissione considera questo motivo di impugnazione irricevibile per il fatto che la ricorrente non vi si è richiamata nel procedimento dinanzi al Tribunale. Inoltre, esso sarebbe irricevibile perché a tale riguardo il Tribunale si sarebbe limitato a constatare gli elementi di fatto, dichiarando di non aver riscontrato differenze sostanziali tra le diverse versioni della decisione. Tuttavia, la censura della ricorrente non sarebbe diretta a far valere un errore materiale manifesto in tale constatazione né uno snaturamento delle prove.

59. La ricorrente si limiterebbe a criticare presunte divergenze tra le versioni C (94)321/2 e C (94)321/3 della decisione. Ciò che essa avrebbe invece potuto censurare sarebbe tutt'al più il raffronto tra la versione notificata e i documenti C (94)312/2 e C (94)312/3. L'unica questione rilevante sarebbe stabilire quale versione sia stata effettivamente approvata, aspetto che tuttavia costituirebbe oggetto della seconda parte del secondo motivo di impugnazione.

60. Infine, la ricorrente non avrebbe dimostrato la rilevanza di tali divergenze tra le versioni della decisione.

Analisi

61. La corrispondenza, sotto il mero profilo del contenuto, tra la versione della decisione notificata alla ricorrente e la versione di cui disponeva la Commissione al momento della deliberazione costituisce un apprezzamento di fatto e non una questione di diritto.

62. La rilevanza delle differenze tra le versioni di un testo costituisce una valutazione di prove che, fatta salva la censura relativa allo snaturamento dei mezzi probatori da parte del Tribunale, non può essere oggetto di esame nel procedimento d'impugnazione e rende un motivo di impugnazione irricevibile sotto tale aspetto.

63. Pertanto la prima parte del secondo motivo di impugnazione va dichiarata irricevibile, laddove con essa si fa valere l'incongruenza tra versione adottata e versione notificata della decisione.

b) Sulla regolare autenticazione della deliberazione della Commissione in merito alla decisione

Argomenti delle parti

64. Secondo la ricorrente la decisione non sarebbe stata autenticata dal punto di vista formale. Il verbale si riferirebbe alle versioni C (94)321/2 e 321/3 del testo della decisione e non alla versione recante il numero C (94)321 def. o C (94) 321/4, ossia quella che sarebbe stata notificata alla ricorrente. Non sarebbe provato che il presidente e il segretario generale della Commissione abbiano autenticato la decisione nelle forme previste all'art. 16 del regolamento interno della Commissione del 1993 ; il verbale non menzionerebbe l'allegato e consterebbe, secondo le indicazioni ivi contenute, di 43 pagine complessive; questo sarebbe tuttavia il numero delle pagine del verbale stesso, quindi non inclusivo del testo della decisione.

65. Il fatto che la fotocopia del verbale sia stata trasmessa all'agente della Commissione e da costui al Tribunale nella stessa custodia contenente le copie dei documenti C (94)321/2 e C (94)321/3 non potrebbe fornire il benché minimo sostegno alla tesi del Tribunale secondo cui tali documenti sarebbero stati «allegati» alla versione originale del verbale secondo quanto prescritto dall'art. 16 del regolamento interno del 1993.

66. Richiamandosi a due sentenze del Tribunale , la ricorrente sostiene che dovrebbe essere riconoscibile «il contenuto esatto e certo degli atti adottati». A tal fine il testo adottato dovrebbe essere unito alla versione definitiva del verbale, sulla quale dovrebbe essere apposta la data.

67. Il Tribunale, al punto 149 della sentenza impugnata, avrebbe a torto considerato la certificazione della fotocopia da parte del segretario generale della Commissione come prova della firma del verbale. Per contro, soltanto la presentazione della versione originale del verbale avrebbe potuto dimostrare che il verbale fosse conforme alle disposizioni del regolamento interno.

68. La ricorrente osserva che il Tribunale non avrebbe ottemperato al proprio ruolo di effettuare un controllo giurisdizionale, considerando che tutti i requisiti procedurali previsti nel 1994 per emanare una decisione fossero soddisfatti per il solo motivo che le fotocopie erano state certificate come copie conformi dall'allora segretario generale e trasmesse al Tribunale nella stessa custodia contenente una serie di altre versioni linguistiche della decisione, che si asseriva emanata in tal forma.

69. La ricorrente fa valere che il Tribunale, al punto 151 della sentenza impugnata, avrebbe erroneamente riconosciuto come data dell'autenticazione il 23 febbraio 1994 soltanto perché tale data compariva sul verbale e perché il verbale recava la nota «il presente verbale è stato adottato dalla Commissione nel corso della sua 1190a riunione tenutasi a Bruxelles il 23 febbraio 1994» con le firme del presidente e del segretario generale della Commissione ed una certificazione di copia conforme.

70. Vero è che il regolamento interno non richiede che venga registrata la data dell'autenticazione, tuttavia la detta data sarebbe fondamentale quanto la data di adozione della decisione.

71. La Commissione sostiene che la ricorrente avrebbe citato la giurisprudenza relativa a una versione del regolamento interno precedente a quella in vigore al momento dell'emanazione della decisione. Le disposizioni pertinenti sarebbero gli artt. 16 e 9 del regolamento interno del 1993, menzionati dal Tribunale ai punti 143 e 144 della sentenza.

72. Il regolamento interno del 1993 non indicherebbe le modalità secondo cui un documento dovrebbe essere «allegato» e, vista la presunzione di validità degli atti legislativi delle Comunità, non si potrebbe neppure considerare insufficiente una copia conforme. Per il resto il verbale della seduta si richiamerebbe espressamente ai documenti C (94)321/2 e C (94)321/3.

73. La ricorrente non avrebbe dimostrato, in particolare, che il verbale non sia stato approvato in una seduta della Commissione anteriore alla notifica della decisione. Essa non spiegherebbe neppure su cosa si fondi la tesi secondo cui non potrebbe essere considerata valida un'autenticazione priva della registrazione della data da parte del presidente e del segretario generale.

Analisi

74. Poiché le censure coincidono in sostanza con gli argomenti dedotti dalla ricorrente Thyssen Stahl AG nella causa C-194/99 P, in relazione ai motivi in base ai quali occorre dichiarare irricevibile la seconda parte del secondo motivo di impugnazione rimando ai paragrafi 68 e segg. delle conclusioni da me presentate nella succitata causa in questa stessa data. Detti motivi si applicano mutatis mutandis.

75. Anche la seconda parte del secondo motivo di impugnazione, con cui si censura la mancata autenticazione della decisione della Commissione, va quindi dichiarata irricevibile.

B - Sui motivi di impugnazione con cui si censura una valutazione erronea della legittimità materiale della decisione

76. Con il terzo e il sesto motivo di impugnazione la ricorrente censura una valutazione erronea della legittimità materiale della decisione.

1. Sull'interpretazione dell'art. 65 del Trattato CECA (terzo motivo di impugnazione)

Argomenti delle parti

77. La ricorrente fa valere che l'analisi giuridica dei mezzi probatori in base ai quali il Tribunale avrebbe constatato in diritto che la ricorrente ha partecipato ad accordi e pratiche concordate di fissazione dei prezzi nonché a un sistema di scambio di informazioni, violando l'art. 65, n. 1, del Trattato CECA, sarebbe in contraddizione con le constatazioni stesse del Tribunale in relazione allo scopo, al contesto e all'oggetto delle discussioni che la Commissione avrebbe avviato con le imprese in riferimento al sistema di sorveglianza del settore siderurgico messo in atto nel periodo successivo alla crisi manifesta.

78. A tale riguardo essa analizza i comportamenti delle imprese che hanno costituito oggetto d'esame nella sentenza impugnata e che sono state contestati nella decisione come infrazioni alle regole di concorrenza, ed evidenzia in dettaglio come detti comportamenti, a suo parere, fossero stati indotti dalla Commissione nell'ambito del sistema di sorveglianza ovvero fossero necessari al funzionamento di tale sistema.

79. Essa sottolinea inoltre che il Tribunale stesso, al punto 656 della sentenza impugnata, avrebbe constatato che le imprese dovevano organizzare riunioni preparatorie in vista degli incontri con la Commissione per scambiarsi le rispettive opinioni sulla situazione economica presente sul mercato e sulle tendenze future, in particolare con riferimento ai prezzi.

80. D'altronde, dalla deposizione del testimone Kutscher emergerebbe anche che, in un contesto economicamente favorevole, i prezzi potrebbero subire maggiorazioni indipendentemente dal raggiungimento di un accordo. Il Tribunale avrebbe concluso per l'esistenza di accordi di fissazione dei prezzi senza tenere in considerazione tali circostanze. Esso inoltre avrebbe preso atto dell'esistenza di accordi di ripartizione dei mercati senza tener conto, nell'analisi degli elementi probatori, del fatto che le discussioni sarebbero avvenute nel quadro del sistema di sorveglianza della Commissione. Lo stesso dicasi per la partecipazione a un sistema di scambio di informazioni della commissione travi, valutato come infrazione autonoma alle regole di concorrenza.

81. Il Tribunale non avrebbe interpretato correttamente la nozione di «gioco normale della concorrenza». Al riguardo la ricorrente rinvia alla sentenza Valsabbia , dalla quale si dedurrebbe che vi sarebbe l'esigenza di conciliare sempre le eventuali contraddizioni tra le diverse finalità dell'art. 3 del Trattato CECA. La Corte avrebbe quindi espressamente riconosciuto che l'esercizio delle diverse possibilità di intervento previste dal Trattato CECA avrebbe come conseguenza uno scostamento di questa economia di mercato da quella contemplata dal Trattato CE e dai normali «meccanismi della concorrenza». L'analisi di cui ai punti 291 e segg. della sentenza impugnata sarebbe errata, dal momento che non terrebbe in considerazione gli effetti che il perseguimento delle diverse finalità del Trattato potrebbe avere sul contenuto della nozione di «gioco normale della concorrenza».

82. La ricorrente contesta anche il punto 311 della sentenza impugnata. La tesi del Tribunale secondo cui gli artt. 46 e segg. del Trattato CECA sarebbero irrilevanti per l'applicazione dell'art. 65 si fonderebbe su una motivazione contraddittoria e su un'interpretazione errata del Trattato CECA, giacché gli artt. 46 e segg. del Trattato CECA ammetterebbero un sistema di sorveglianza che avrebbe notevoli ripercussioni sull'interpretazione e sull'applicazione dell'art. 65, n. 1, del medesimo Trattato.

83. La motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria anche per il fatto che il Tribunale terrebbe conto dell'ambiguità che la Commissione ha introdotto in merito alla portata della nozione di «gioco normale della concorrenza» per la valutazione dell'ammenda al punto 658 della sentenza impugnata, ma non nell'interpretazione dell'art. 65, n. 1, del Trattato CECA.

84. Le osservazioni del Tribunale al punto 658 della sentenza impugnata sarebbero del resto tautologiche in quanto il Tribunale partirebbe dall'affermazione che le violazioni dell'art. 65, n. 1, del Trattato CECA sono dimostrate per dedurne che gli argomenti della ricorrente sull'interpretazione di tale articolo alla luce degli artt. 46 e segg. del Trattato CECA sono irrilevanti.

85. Il Tribunale, ai punti 358 e segg. della sentenza impugnata, avrebbe del resto erroneamente constatato che la ricorrente, partecipando al sistema di scambio di informazioni, sarebbe incorsa in una violazione autonoma dell'art. 65, n. 1, del Trattato CECA. La ricorrente è del parere che il Tribunale abbia omesso di dimostrare, attraverso una coerente distinzione tra i presunti effetti anticoncorrenziali degli accordi di fissazione dei prezzi e di ripartizione dei mercati, da un canto, e il sistema di scambio di informazioni, dall'altro, perché la partecipazione al sistema di scambio di informazioni rappresenterebbe un'autonoma infrazione.

86. Al riguardo il Tribunale, al punto 390 della sentenza impugnata, constaterebbe che il mercato di cui trattasi è strutturato secondo criteri oligopolistici, senza tuttavia effettuare una valutazione economica della sua struttura. In effetti tale mercato si differenzierebbe molto dai mercati considerati oligopolistici dalla Commissione, nella prassi relativa al regolamento CE sulle concentrazioni di imprese e nella decisione «trattori», o anche dalla legge tedesca contro le restrizioni della concorrenza.

87. Quanto al sistema di scambio di informazioni il Tribunale non avrebbe dimostrato che esso di per sé limitasse l'autonomia decisionale delle imprese al di là degli altri comportamenti illeciti contestati, quali gli accordi sui prezzi o la ripartizione dei mercati.

88. La Commissione contesta la tesi secondo cui lo svolgimento riunioni con la Commissione impedirebbe assolutamente di concludere che la ricorrente abbia partecipato ad attività anticoncorrenziali.

89. Anzitutto, questo argomento potrebbe riguardare soltanto le infrazioni imputate alla ricorrente in relazione alle attività della commissione travi. Per il resto la Commissione si richiama ai punti 539 e 575 e segg. della sentenza impugnata, dai quali si dedurrebbe che le attività imputate alle imprese andrebbero considerate come del tutto separate dalle riunioni informative tenute con la Commissione.

90. Con riferimento agli artt. 46 e segg. del Trattato CECA la Commissione osserva che il Tribunale, al punto 587 della sentenza impugnata, constata che lo scopo delle riunioni contestate tra le imprese non era quello di preparare le riunioni con la Commissione e che la Commissione non avrebbe contestato effettive riunioni preparatorie, poiché riunioni preparatorie concernenti le tendenze del mercato non comporterebbero le infrazioni accertate nella decisione. Pertanto il Tribunale avrebbe validamente constatato che le attività dei produttori vanno considerate come violazioni dell'art. 65, n. 1, del Trattato CECA e che non rientrano nella nozione di «gioco normale della concorrenza».

91. La Commissione fa inoltre valere che il Tribunale avrebbe tenuto conto del sistema di sorveglianza, dichiarando che l'impatto economico delle violazioni va giudicato alla stregua della situazione che si sarebbe configurata se i produttori avessero limitato le proprie discussioni alle questioni indicate dalla Commissione. La condotta della Commissione, tuttavia, non potrebbe comunque esentare le imprese dall'obbligo di rispettare il Trattato CECA. Eventualmente, il ruolo svolto dalla Commissione potrebbe giustificare la concessione di attenuanti.

92. In relazione all'asserita contraddittorietà della sentenza impugnata, la Commissione ritiene che la ricorrente snaturi il senso inequivocabile dei punti 658 e segg. della sentenza, nei quali, il Tribunale non avrebbe affatto dedotto che la nozione di «gioco normale della concorrenza» dovesse essere adattata al contesto, limitandosi invece a constatare (punto 660) che la Commissione aveva sopravvalutato gli effetti economici degli accordi di fissazione dei prezzi contestati nella decisione.

93. In merito alla valutazione giuridica del sistema di scambio di informazioni la Commissione sottolinea che il Tribunale, ai punti 391 e segg. della sentenza impugnata, avrebbe precisato che vi era stata una violazione della concorrenza nel senso di una limitazione dell'autonomia decisionale dei partecipanti, mirata alla ripartizione dei mercati con riferimento ai flussi tradizionali. Per tale ragione, l'osservazione secondo cui il Tribunale non avrebbe sufficientemente chiarito perché si tratta di un'infrazione autonoma sarebbe erronea.

94. Le osservazioni della ricorrente in relazione alla struttura oligopolistica del mercato sarebbero irricevibili poiché tale argomento sarebbe stato sollevato per la prima volta nel corso del procedimento di impugnazione. Per il resto il Tribunale si sarebbe richiamato alla sentenza Geitling , in cui la Corte avrebbe dichiarato che, proprio in ragione del carattere oligopolistico del mercato pertinente, era necessario salvaguardare un minimo di concorrenza.

95. Il motivo di impugnazione sarebbe irricevibile, a tale riguardo, anche perché contesterebbe sotto tale aspetto l'accertamento dei fatti, ancorché la ricorrente presenti semplicemente la sua tesi come un aspetto della motivazione giuridica.

Analisi

96. Con la prima parte del terzo motivo di impugnazione viene fatto valere un errore di diritto in cui sarebbe incorso il Tribunale nel valutare la portata delle perturbazioni legalizzate del modello ideale di concorrenza contenute nella nozione di «gioco normale della concorrenza» ai sensi dell'art. 65, n. 1, del Trattato CECA, poiché esso ha tenuto in non cale il nesso esistente con altre finalità del Trattato CECA, in particolare per quanto concerne l'applicazione degli artt. 46 e segg. e 60 del medesimo Trattato.

97. Poiché le censure coincidono in sostanza con gli argomenti dedotti dalla ricorrente Thyssen Stahl AG nella causa C-194/99 P, in relazione ai motivi in base ai quali occorre dichiarare infondata la prima parte del terzo motivo di impugnazione rimando ai paragrafi 135 e segg. delle conclusioni da me presentate nella succitata causa in questa stessa data. Detti motivi si applicano mutatis mutandis.

98. A titolo complementare si noti che il richiamo fatto dalla ricorrente ai punti 656 e 658 della sentenza impugnata non può portare ad altra valutazione.

99. I detti punti, infatti, non contraddicono le altre tesi della sentenza impugnata, né in particolare i punti 289 e segg. La ricorrente, infatti, trascura la circostanza che i punti 647 e segg. della sentenza impugnata vertono sulla valutazione dell'ammenda, dunque sull'applicazione dell'art. 65, n. 5, del Trattato CECA.

100. Da tali punti non si evince che nel caso di specie il Tribunale consideri la valutazione della portata delle barriere proprie del sistema in modo forse diverso rispetto all'analisi della conformità dei comportamenti contestati ad una fattispecie di illecito. In essi infatti il Tribunale affronta soltanto la questione dei potenziali effetti economici di un comportamento legittimo delle imprese, che qui non si prospetta. Soltanto in tale contesto il Tribunale ha accennato a una «certa ambiguità» (nel caso delle imprese interessate) in merito all'interpretazione della nozione di «gioco normale della concorrenza». Inoltre il Tribunale ha constatato - soltanto a questo riguardo - che non «è necessario (...) pronunciarsi sulla questione di sapere fino a che punto le imprese potevano scambiare dati individuali per preparare riunioni consultive con la Commissione senza, per questo, infrangere l'art. 65, n. 1, del Trattato (...)».

101. Nel complesso, dunque, la prima parte del terzo motivo di impugnazione dev'essere dichiarata infondata.

102. Con la seconda parte del terzo motivo di impugnazione si censura la valutazione della partecipazione al sistema di scambio di informazioni come violazione autonoma dell'art. 65, n. 1, del Trattato CECA.

103. Poiché le censure coincidono in sostanza con gli argomenti dedotti dalla ricorrente Thyssen Stahl AG nella causa C-194/99 P, in relazione ai motivi in base ai quali occorre dichiarare in parte irricevibile e per il resto infondata anche la seconda parte del terzo motivo di impugnazione rimando ai paragrafi 109 e segg. delle conclusioni da me presentate nella succitata causa in questa stessa data. Detti motivi si applicano mutatis mutandis.

104. Il terzo motivo di impugnazione, diretto a censurare diverse interpretazioni erronee dell'art. 65 del Trattato CECA, va quindi dichiarato in parte irricevibile e per la maggior parte infondato.

2. Sulla constatazione di violazioni anteriori al 1° luglio 1988 nella decisione (sesto motivo di impugnazione)

Argomenti delle parti

105. La ricorrente fa valere che il Tribunale non avrebbe correttamente esercitato la propria competenza in merito al controllo e all'annullamento della decisione ai sensi dell'art. 33 del Trattato CECA.

106. Esso non avrebbe annullato l'art. 1 della decisione, secondo cui la ricorrente avrebbe commesso talune violazioni dell'art. 65, n. 1, del Trattato CECA già in epoca anteriore al 1° luglio 1988. Ciò sarebbe in contraddizione con il punto 524 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha dichiarato: «La Commissione non ha constatato alcuna violazione in relazione alle attività della commissione travi nel periodo antecedente il 1° luglio 1988».

107. La Commissione obietta che al punto 166 della sentenza impugnata il Tribunale avrebbe constatato che a nessuna delle imprese si poteva imputare la prima delle due violazioni dell'art. 65, n. 1, del Trattato CECA menzionate ai punti 223 e segg. della decisione, precedenti la data del 1° luglio 1988, poiché le informazioni disponibili erano troppo imprecise. Per la ricorrente assumerebbe dunque rilievo ai fini della sua istanza di modifica dell'art. 1 della decisione soltanto la seconda infrazione, menzionata al punto 224 della decisione, ossia gli accordi di fissazione dei prezzi per la Germania e la Francia, che dovrebbero essere collocati temporalmente in un momento indistinto prima del 2 febbraio 1988. A tale riguardo il Tribunale, al punto 170 della sentenza impugnata, avrebbe constatato l'impossibilità di dimostrare la partecipazione della ricorrente.

108. Sarebbe inoltre pacifico che per i suddetti accordi di fissazione dei prezzi non sono state inflitte ammende. La Commissione è del parere che, pertanto, il Tribunale non fosse obbligato a precisare, nel dispositivo della sentenza, che la Commissione non aveva dimostrato la partecipazione della ricorrente a un incontro durante il quale erano state raggiunte comprovate intese sui prezzi.

109. In considerazione delle gravi infrazioni che dovrebbero ritenersi dimostrate, l'unica accusa non provata sarebbe così irrilevante che il Tribunale avrebbe dovuto condannare la ricorrente alle relative spese persino se avesse esteso a questo punto la portata dell'annullamento parziale della decisione.

110. Qualora tuttavia la Corte accogliesse il presente motivo di impugnazione e annullasse l'art. 1 della decisione solo perché vi si asserisce che la ricorrente ha partecipato a una riunione di fissazione dei prezzi antecedente al 1° luglio 1988, la Commissione non dovrebbe sopportare nemmeno in parte le spese attinenti a tale motivo.

Analisi

111. La ricorrente non mi convince già quando interpreta l'art. 1 della decisione nel senso che il dispositivo della stessa includa anche le due violazioni delle regole di concorrenza anteriori al 1° luglio 1998.

112. L'art. 1 della decisione recita: «Le seguenti imprese hanno partecipato, nella misura descritta nella presente decisione, alle pratiche anticoncorrenziali, elencate per ciascuna di esse [...]». Segue, per ciascuna impresa interessata, un elenco di violazioni delle regole di concorrenza con l'indicazione, espressa in mesi, della durata di ciascuna violazione.

113. L'art. 1 della decisione non si limita quindi ad effettuare un rinvio alle infrazioni «nella misura descritta nella presente decisione», il che potrebbe essere inteso come un rinvio alla motivazione della decisione (e, di conseguenza, agli accordi di fissazione dei prezzi precedenti il 1° luglio 1988 in essa non dimostrati), ma fa anche rinvio all'elenco delle violazioni, riportate sotto il nome il ricorrente e con indicazione della loro durata, elenco che costituisce, dunque, parte integrante dell'art. 1 della decisione, ossia del dispositivo.

114. La durata degli accordi di fissazione dei prezzi nella commissione travi, in cui in linea di massima rientrano anche le due intese sui prezzi non dimostrate nel caso della ricorrente, è indicata in 27 mesi. Calcolando a ritroso a partire dal termine del periodo delle pratiche complessivamente contestate (31 dicembre 1990), si evince che gli accordi di fissazione dei prezzi non dimostrati anteriori al 1° luglio 1988 non sono palesemente inclusi nell'art. 1 della decisione.

115. Poiché dunque soltanto i punti 223 e seg. dei motivi della decisione sono viziati, per quel che concerne la ricorrente, e non il dispositivo della decisione, nel complesso si deve constatare che la ricorrente sotto tale aspetto non ha avanzato alcuna istanza di modifica del dispositivo della decisione.

116. Questa conclusione non è inficiata dal fatto che i motivi erronei della decisione rimangono tali, dal punto di vista giuridico, anche se il dispositivo della decisione non cambia. Ciò sarebbe problematico, tuttavia, soltanto se si dovesse presumere che le parti controverse dei motivi della decisione fossero idonee a produrre effetti giuridici vincolanti ; eventuali pregiudizi di natura concreta sono privi di rilievo .

117. La constatazione (erronea) contenuta nei motivi della decisione che la ricorrente avrebbe partecipato in due casi a determinati accordi di fissazione dei prezzi potrebbe, sotto il profilo giuridico, recare pregiudizio a quest'ultima solo se la Commissione, nell'ambito di un eventuale successivo procedimento in materia di diritto della concorrenza, dovesse stabilire, ai fini della fissazione dell'ammenda, se la ricorrente ha recidivato .

118. In tal caso, tuttavia, dalla decisione attuale non scaturirebbero effetti giuridici vincolanti: la Commissione, infatti, non è tenuta a prendere in considerazione a scapito dell'interessato atti accertati da decisioni precedenti. Inoltre, per constatare una recidiva, essa dovrebbe basarsi sul dispositivo della decisione (in particolare, sugli artt. 1 e 4) e non su punti della motivazione isolatamenti considerati; non ultimo, essa dovrebbe tener conto del punto 524 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha constatato l'inesattezza dei punti 223 e seg. dei motivi della decisione.

119. Poiché dunque occorre ammettere che l'art. 1 della decisione non va inteso, per quanto riguarda la ricorrente, nel senso che includa le violazioni del diritto della concorrenza anteriori al 1° luglio 1988, il Tribunale, astenendosi dall'annullarlo, non è incorso in un errore di diritto.

120. Pertanto, il sesto motivo di impugnazione va dichiarato infondato.

C - Sul motivo di impugnazione relativo difetto di motivazione dell'ammenda (quinto motivo di impugnazione)

Argomenti delle parti

121. La ricorrente contesta i punti 629 e seg. della sentenza impugnata e fa valere che il Tribunale, violando l'art. 15 del Trattato CECA, avrebbe constatato che la mancanza di dati specifici relativi al calcolo dell'ammenda nella decisione non costituisce un'infrazione dell'obbligo di motivazione che giustifichi l'annullamento parziale o totale dell'ammenda inflitta. A tale riguardo essa si richiama alla giurisprudenza citata dal Tribunale stesso , dalla quale emergerebbe che già nella decisione la Commissione avrebbe dovuto indicare i criteri sui quali si fondava la determinazione dell'ammenda, onde consentire all'interessato di valutare l'adeguatezza del suo importo. Nella sentenza impugnata il Tribunale non avrebbe tenuto in considerazione la detta giurisprudenza.

122. Il Tribunale, al punto 628 della sentenza impugnata, avrebbe erroneamente argomentato che i parametri esatti per il calcolo dell'ammenda, comunicati per la prima volta nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale, sarebbero soltanto una «traduzione in cifre dei criteri enunciati nella decisione».

123. La ricorrente fa poi riferimento ai punti 627 e 690 della sentenza impugnata. Grazie alle informazioni aggiuntive fornite dalla Commissione soltanto nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale, sarebbe stato possibile scoprire gli errori compiuti nel calcolo dall'ammenda che le è stata inflitta. Dichiarando che non era stato violato l'obbligo di motivazione, il Tribunale sarebbe dunque, in corso in un errore di diritto.

124. Inoltre, essa censura la contraddizione esistente, a suo parere, tra il punto 676 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale constaterebbe che «non si può parlare di un eventuale malinteso sulla portata dell'art. 65, n. 1, del Trattato», e i punti 658 e seg., in cui esso osserverebbe che la DG III ha originato una «certa ambiguità» nella portata della nozione di «gioco normale della concorrenza» ai sensi del Trattato CECA. Alla luce di quest'ultima constatazione il Tribunale avrebbe dovuto disporre un'ulteriore riduzione dell'ammenda.

125. La Commissione osserva che la ricorrente non contesta i punti 624 e seg. della sentenza impugnata, ove sarebbe esposto il fulcro della motivazione dell'ammenda. I restanti punti della sentenza impugnata andrebbero tuttavia considerati soltanto come osservazioni in via precauzionale. Perciò la Corte non potrebbe annullare la sentenza, anche se non condividesse gli altri punti, poiché questi ultimi non costituirebbero elementi fondamentali della motivazione che ha condotto alla conclusione.

126. Il Tribunale avrebbe ritenuto auspicabile che i dettagli del calcolo dell'ammenda fossero inclusi nella decisione, pur non giudicando tuttavia indispensabile tale precisazione ai fini della legittimità. Dopo che il Tribunale aveva espresso siffatte osservazioni in una precedente causa, la Commissione avrebbe emanato i relativi orientamenti, ai quali a tutt'oggi si atterrebbe.

127. La Commissione è del parere che, alla luce delle constatazioni del Tribunale secondo cui le imprese avrebbero tentato di nascondere alla Commissione la natura reale e la portata effettiva dei loro contatti, nonché in considerazione del fatto che le imprese avrebbero potuto interpellare la DG IV qualora avessero avuto il minimo dubbio in merito alla legittimità dei detti contatti, non sussisterebbe alcuna contraddizione nell'applicazione dell'art. 65, n. 1, del Trattato CECA al comportamento della ricorrente. Non vi sarebbero dunque elementi che possano giustificare un'ulteriore riduzione dell'ammenda sotto tale aspetto.

Analisi

128. Poiché le censure coincidono in sostanza con gli argomenti dedotti dalla ricorrente Thyssen Stahl AG nella causa C-194/99 P, in relazione ai motivi in base ai quali occorre dichiarare infondato il quinto motivo di impugnazione rimando ai paragrafi 172 e segg. e 218 e segg. delle conclusioni da me presentate nella succitata causa in questa stessa data. Detti motivi si applicano mutatis mutandis.

129. Pertanto il quinto motivo di impugnazione, con cui si censura il presunto misconoscimento della carenza di motivazione della decisione per quanto riguarda l'importo dell'ammenda, va dichiarato infondato.

D - Sul motivo di impugnazione con cui si censurano violazioni della CEDU (primo motivo di impugnazione)

130. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente fa valere alcune violazioni dell'art. 6 della CEDU, sostanzialmente in relazione a due diritti procedurali sanciti da detta disposizione. Da un lato, nel procedimento dinanzi al Tribunale, sarebbero stati violati il diritto alla parità delle armi e il diritto all'accesso ad informazioni ovvero a mezzi probatori rilevanti, e pertanto il procedimento non potrebbe considerarsi equo ai sensi dell'art. 6, n. 1, in combinato disposto con l'art. 6, n. 3, lett. d), della CEDU. Dall'altro lato il Tribunale, procrastinando la durata del procedimento, sarebbe incorso in una violazione dell'art. 6, n. 1, della CEDU, che garantisce il diritto a un processo equo entro un tempo ragionevole.

131. L'art. 6, nn. 1 e 3, della CEDU così recita:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente ed imparziale, costituito dalla legge, che deciderà sia in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di lei.

(...).

Ogni accusato ha diritto soprattutto a:

(...);

d) interrogare o fare interrogare i testimoni a carico ed ottenere la citazione e l'interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni dei testimoni a carico;

(...)».

132. Nelle sue argomentazioni giuridiche in merito a tali disposizioni, che ha premesso alle osservazioni riguardanti il caso concreto, la ricorrente si richiama a una serie di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, sottolineando che i procedimenti aventi per oggetto le infrazioni al diritto della concorrenza rivestono «carattere penale» ai sensi dell'art. 6 della CEDU.

Principali argomenti delle parti

133. Richiamandosi al principio del giusto processo la ricorrente sostiene che la sentenza del Tribunale dovrebbe essere annullata in toto per violazione dell'art. 6, n. 1, in combinato disposto con l'art. 6, n. 3, lett. d), della CEDU.

134. In primo luogo essa sostiene che, nel procedimento giudiziario, informazioni e circostanze decisive le sarebbero state rese accessibili in tempi e modi tali da impedirle di far valere i propri diritti procedurali in forza del principio della parità delle armi.

135. Essa lamenta che i documenti di cui il Tribunale aveva disposto la produzione con ordinanza 10 dicembre 1997 siano stati resi accessibili soltanto il 14 gennaio 1998; che la descrizione definitiva dei metodi di calcolo dell'ammenda sia stata presentata il 19 marzo 1998; che una copia del verbale definitivo della riunione della Commissione in cui è stata adottata la decisione sia stata messa a disposizione delle ricorrenti dinanzi al Tribunale soltanto il 20 marzo 1998, quando l'inizio della fase orale era previsto già per il 23 marzo 1998. A fronte di tali ingiustificabili ritardi nella presentazione delle informazioni, la ricorrente non avrebbe avuto adeguate possibilità di esaminare taluni elementi probatori per lei rilevanti e, di conseguenza, sarebbe stata notevolmente svantaggiata rispetto alla Commissione.

136. Essa sostiene inoltre che dinanzi al Tribunale non vi sarebbe stato equilibrio tra il trattamento suo (ovvero delle ricorrenti) e quello della Commissione anche perché essa non avrebbe potuto porre domande ai funzionari della Commissione comparsi come testimoni (i signori Ortun, Kutscher e Vanderseypen) prima dell'udienza né avrebbe ricevuto comunicazione preventiva delle loro deposizioni. Vero è che essa avrebbe avuto l'opportunità di prendere posizione sulle dichiarazioni testimoniali; tuttavia, il tempo intercorso tra la fine dell'udienza il 23 marzo 1998 e la sua prosecuzione il mattino seguente sarebbe stato insufficiente.

137. Secondo la Commissione non è chiaro il motivo per cui la ricorrente non avrebbe avuto adeguate possibilità di prepararsi alla trattazione orale né si comprende quale pregiudizio essa abbia subito. In relazione alle informazioni che dovevano essere presentate in forza dell'ordinanza del Tribunale 10 dicembre 1997, la ricorrente avrebbe avuto più di due mesi di tempo per prepararsi alla fase orale. I documenti relativi alle modalità di calcolo sarebbero stati soltanto integrazioni alla documentazione già presentata in gennaio e in febbraio (punto 66 della sentenza impugnata). Quanto al verbale della riunione della Commissione, una sua bozza sarebbe stata messa a disposizione della ricorrente già diverse settimane prima della trattazione orale (punto 64 della sentenza impugnata). Infine, la Commissione osserva che la ricorrente non avrebbe richiesto una proroga dell'udienza a motivo del termine di presentazione di uno dei documenti controversi.

138. In secondo luogo la ricorrente critica il fatto che le sarebbe stato negato il diritto di porre domande ai tre testimoni della Commissione (i signori Ortun, Kutscher e Vanderseypen) o comunque di discutere altrimenti, in maniera esauriente, le loro deposizioni. Nel corso della trattazione orale sarebbe stato concesso alle ricorrenti un tempo limitato per potersi esprimere in merito alle dichiarazioni dei testimoni; inoltre, sarebbe stata negata loro l'opportunità di verificare la correttezza e la completezza delle deposizioni ovvero di ottenere dai testimoni ulteriori informazioni, a carico o a discarico. Proprio a fronte dell'importanza attribuita nella sentenza alle deposizioni testimoniali (punti 538-546 della sentenza impugnata), la ricorrente avrebbe dovuto avere la possibilità di interrogare i testimoni. La Commissione avrebbe avuto la possibilità di sentire i testimoni in qualsiasi momento prima della fase orale e il Tribunale avrebbe avuto la stessa opportunità durante l'udienza stessa, mentre alla ricorrente tale opportunità sarebbe stata negata.

139. A tale riguardo la Commissione rileva che il regolamento di procedura del Tribunale non prevede né la previa audizione di testimoni né la previa comunicazione delle loro deposizioni. Nell'ordinamento giuridico comunitario i testimoni sarebbero testimoni del giudice e non delle parti; la loro audizione spetterebbe al giudice, che, discrezionalmente, permetterebbe anche alle parti di interrogarli. Essa rileva inoltre che la ricorrente, in udienza, non avrebbe chiesto di poter rivolgere domande ai testimoni. Per il resto i testimoni sarebbero stati sentiti il primo giorno della fase orale, per consentire alla ricorrente di esprimersi sulle loro deposizioni nei quattro giorni successivi.

140. Per quanto concerne il termine ragionevole, la ricorrente sostiene che la durata del procedimento dinanzi al Tribunale - 59 mesi dalla presentazione del ricorso di annullamento il 13 aprile 1994 all'emanazione della sentenza l'11 marzo 1999 - sarebbe nel complesso manifestamente eccessiva, e che tale sarebbe anche la durata di singole fasi del procedimento, come il periodo intercorso tra la controreplica della Commissione e l'apertura della fase orale (40 mesi). Il caso in oggetto non sarebbe complesso al punto da giustificare una siffatta durata del procedimento. Tre delle undici ricorrenti (NMH Stahlwerke GmbH, Krupp, Eurofer) avrebbero sollevato soltanto una serie limitata di questioni.

141. Soprattutto in merito alle questioni inerenti all'art. 23 dello Statuto CECA della Corte vi sarebbero stati nel corso del procedimento lunghi periodi di inattività. A tale riguardo la ricorrente contesta in particolare il periodo di nove mesi intercorso tra la sua richiesta di accesso ai documenti interni della Commissione presentati al Tribunale (15 settembre 1995) e la relativa decisione del Tribunale (19 giugno 1996); altri 15 mesi sarebbero stati necessari al Tribunale per pronunciarsi definitivamente sul diritto della ricorrente di accedere agli atti trasmessi al Tribunale ai sensi dell'art. 23 dello Statuto CECA della Corte dopo la presa di posizione della Commissione sui documenti classificabili come «interni». Tali ritardi non sarebbero giustificati dalle circostanze del caso di specie.

142. Durante l'intero procedimento la Commissione avrebbe tentato di ritardare i tempi e il Tribunale avrebbe più volte prorogato i termini di misure per l'organizzazione del procedimento disposte nei confronti della Commissione. La ricorrente, per contro, soprattutto a fronte dell'entità delle ammende controverse, avrebbe avuto interesse ad una rapida decisione in merito e si sarebbe difesa dinanzi al Tribunale contro i ritardi della Commissione.

143. A motivo dei diversi ritardi il presidente della sezione sarebbe stato cambiato e due dei cinque giudici che erano stati presenti alla fase orale non avrebbero più preso parte alla deliberazione. Ciò avrebbe ostacolato lo svolgimento ininterrotto del procedimento e un esame circostanziato delle questioni sollevate.

144. La Commissione ribatte che il procedimento in oggetto sarebbe durato assai meno della causa Baustahlgewebe svoltasi dinanzi alla Corte (quattro anni e undici mesi anziché cinque anni e sei mesi). Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, nel caso di specie sarebbe stato necessario trattare numerose questioni nuove e complesse, ad esempio il rapporto tra le regole di concorrenza nell'ambito della CECA e quelle nell'ambito della CE, il rapporto tra i diversi articoli del Trattato CECA nonché questioni di fatto in relazione al ruolo della DG III.

145. Le questioni sollevate in merito all'art. 23 dello Statuto CECA della Corte della Corte rappresenterebbero «circostanze straordinarie» ai sensi della sentenza Baustahlgewebe. A tale proposito infatti, in seguito alle richieste delle parti, il Tribunale ha dovuto esaminare circa 11 000 documenti ed emanare due importanti ordinanze motivate. Per il resto il Tribunale avrebbe mostrato estrema disponibilità nell'accogliere le varie istanze di presentazione di documenti. Anche l'intervallo di tempo intercorso tra la conclusione della trattazione orale e l'emanazione della sentenza sarebbe stato più breve rispetto alla causa Baustahlgewebe. Anche il fatto, criticato dalla ricorrente, che due giudici abbiano concluso il loro mandato nel corso del procedimento andrebbe considerato una «circostanza straordinaria».

146. Infine la Commissione osserva che, alla luce della sentenza Baustahlgewebe, un'eventuale eccessiva durata del procedimento non potrebbe giustificare l'annullamento in toto della sentenza, bensì al limite una riduzione dell'ammenda.

Analisi

147. La ricorrente si richiama nella fattispecie alle garanzie di diritto processuale sancite dall'art. 6, n. 1, e dall'art. 6, n. 3, lett. d), della CEDU.

148. Secondo una costante giurisprudenza della Corte «i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali la Corte garantisce l'osservanza . A tal fine la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell'uomo a cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito. La CEDU riveste, a questo proposito, un significato particolare» .

149. La Corte ha quindi statuito che il principio generale del diritto comunitario derivato dai diritti fondamentali della CEDU, secondo cui chiunque ha diritto ad un equo giudizio, soprattutto entro un tempo ragionevole, vale anche in caso di ricorso di un'impresa avverso una decisione della Commissione che ha condannato la detta impresa al pagamento di ammende a seguito di un'infrazione al diritto della concorrenza .

150. Quanto alle osservazioni della ricorrente secondo cui un siffatto procedimento avrebbe «carattere penale» ai sensi dell'art. 6 della CEDU, è sufficiente constatare che, per procedimenti di natura sia penale che civile, è riconosciuto non solo il diritto a una decisione entro un tempo ragionevole a norma dell'art. 6, n. 1, della CEDU, bensì anche il diritto, espressamente statuito all'art. 6, n. 3, lett. d) della CEDU in linea di principio esclusivamente per gli imputati, di indicare testimoni e di rivolgere domande ai testimoni citati dal Tribunale. Infatti tale diritto, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, si configura anche come principio della« parità delle armi» applicabile nelle controversie aventi per oggetto diritti e obblighi di diritto civile ai sensi dell'art. 6, n. 1, della CEDU, e pertanto esso può essere esaminato anche ai sensi del detto articolo . Ai fini del caso di specie non appare dunque necessario qualificare il procedimento come «civile» oppure «penale» ai sensi dell'art. 6 della CEDU.

151. Dalla giurisprudenza della Corte discende a sua volta che la «parità delle armi» costituisce un principio da applicarsi nell'ambito dei procedimenti dinanzi al Tribunale .

1. Sul giusto processo (parità delle armi, audizione dei testimoni)

152. La ricorrente censura una violazione del diritto al giusto processo sancito dall'art. 6, n. 1, in combinato disposto con l'art. 6, n. 3, lett. d), della CEDU, sostanzialmente in relazione a due aspetti del procedimento dinanzi al Tribunale, ovvero, la presentazione di diversi documenti della Commissione, da un lato, e, l'audizione dei signori Ortun, Kutscher e Vanderseypen, dall'altro.

153. In primo luogo si deve rilevare che nel procedimento di impugnazione la Corte può verificare se nel procedimento dinanzi al Tribunale siano state compiute irregolarità procedurali che recano pregiudizio agli interessi della ricorrente ed è tenuta ad accertarsi che siano stati rispettati i principi comunitari generali, nonché le disposizioni sull'onere della prova e sull'assunzione delle prove .

154. In secondo luogo occorre constatare che la nozione di giusto processo ai sensi dell'art. 6 della CEDU implica, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, il rispetto dei diritti della difesa e della parità delle armi nonché lo svolgimento di un contraddittorio . In un processo penale o civile si deve quindi assicurare agli interessati la possibilità di venire a conoscenza di tutti i documenti e pareri depositati o prodotti dinanzi al giudice al fine di influenzare la decisione, e di discutere in merito . In base al principio della parità delle armi nessuna parte processuale può essere svantaggiata dalle modalità con cui viene condotto il procedimento giurisdizionale e ciascuna parte deve poter presentare al giudice la propria causa in circostanze che non le rechino pregiudizio rispetto alla parte avversa . Si deve inoltre osservare che il procedimento deve essere considerato nel complesso e che è possibile porre rimedio a eventuali vizi di procedura dando in un secondo tempo alle parti la possibilità di far valere i propri diritti procedurali .

155. Alla luce di quanto precede dev'essere anzitutto esaminata la censura secondo cui la ricorrente non avrebbe avuto un'adeguata opportunità di esprimersi in merito a taluni documenti presentati dalla Commissione.

156. Per quanto concerne la documentazione di cui il Tribunale ha richiesto la presentazione con ordinanza 10 dicembre 1997, la detta documentazione è stata messa a disposizione della ricorrente a partire dal 14 gennaio 1998, dunque due mesi prima della fase orale. Quanto all'asserita presentazione tardiva, il 19 marzo 1998, della descrizione definitiva delle modalità di calcolo dell'ammenda, il tempo che la ricorrente aveva a disposizione per esaminare detto metodo prima del termine della trattazione orale e per esprimersi in merito non sembra eccessivamente breve. Come si evince dalla sentenza impugnata e come ha anche osservato la Commissione, la ricorrente tra l'altro si era già espressa per iscritto in precedenza, in gennaio e in febbraio, sulla questione del calcolo delle ammende, per cui il modus operandi della Commissione a tale riguardo doveva già esserle noto, perlomeno a grandi linee, prima del 19 marzo 1998. Anche la presentazione, contestata da ultimo, della copia del verbale della riunione della Commissione il 20 marzo 1998 non ha indebitamente impedito alla ricorrente di avvalersi delle proprie opportunità di difesa prima del termine della fase orale, dal momento che la bozza del detto verbale era già stata inoltrata alle ricorrenti il 16 febbraio 1998 ed il periodo dal 20 al 27 marzo era sufficiente perlomeno ai fini del controllo della legittima adozione ed autenticazione del verbale, cioè a fini che la ricorrente ha dichiarato come motivo per richiedere la presentazione del verbale definitivo.

157. Alla luce di tali circostanze va constatato che la ricorrente ha avuto adeguate possibilità di esaminare la documentazione di cui trattasi ed eventualmente esprimersi in merito.

158. Per il resto si deve precisare che il Tribunale, ai sensi dell'art. 62 del suo regolamento di procedura, può riaprire la fase orale d'ufficio, su proposta dell'avvocato generale o anche su domanda delle parti, qualora la causa non sia stata sufficientemente istruita ovvero nel caso in cui esso ritenga rilevante ai fini della decisione un argomento che non sia stato oggetto di discussione tra le parti . Né dagli atti né dalle osservazioni della ricorrente discende che essa abbia tentato di avanzare una simile istanza .

159. Per i suddetti motivi risulta che, riguardo all'accesso ai documenti, il procedimento dinanzi al Tribunale è stato conforme al principio del giusto processo ai sensi dell'art. 6 della CEDU. La relativa censura della ricorrente va pertanto dichiarata infondata.

160. A questo punto occorre approfondire la questione dell'audizione e dell'interrogazione dei testimoni dinanzi al Tribunale.

161. Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, ai sensi dell'art. 6, n. 1, in combinato disposto con l'art. 6, n. 3, lett. d), della CEDU, alle parti in giudizio dev'essere data adeguata opportunità di porre domande ad un testimone e di esaminare una deposizione, sia al momento della deposizione che in una fase successiva del procedimento . Quindi, un diritto come quello che ha invocato la ricorrente, ossia di poter interrogare i testimoni già prima della trattazione orale, non sussiste.

162. A prescindere da ciò, la circostanza che la Commissione abbia potuto sentire i testimoni suoi funzionari eventualmente prima delle ricorrenti è legata, come la Commissione ha giustamente evidenziato, allo stato delle cose e non infrange il principio della «parità delle armi», sempre che la ricorrente abbia avuto sufficienti opportunità nel corso del procedimento giudiziario di esaminare le deposizioni dei testimoni di cui trattasi .

163. Inoltre, ai sensi dell'art. 68, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, i testimoni vengono citati con ordinanza del Tribunale, che riporta, inter alia, i fatti sui quali devono essere sentiti. Tale ordinanza - che il Tribunale ha emanato per i signori Kutscher, Ortun e Vanderseypen il 23 marzo 1998 - dev'essere notificata alle parti ai sensi della detta disposizione, affinché ancor prima della fase orale esse siano al corrente, nella sostanza, dell'argomento su cui saranno sentiti i testimoni.

164. Inoltre, i rappresentanti delle parti, ai sensi dell'art. 68, n. 4, del regolamento di procedura del Tribunale, possono rivolgere domande ai testimoni con l'autorizzazione del presidente. Tale opportunità è garantita in pari misura a tutte le parti nel procedimento.

165. La ricorrente non ha asserito di aver avanzato un'istanza in tal senso né che il Tribunale le abbia negato la possibilità di rivolgere domande ai testimoni, ovvero che le abbia concesso di farlo ma in condizioni sfavorevoli rispetto alla Commissione. Una violazione dei diritti procedurali in relazione all'audizione dei testimoni può essere fatta valere soltanto se la parte nel procedimento ha tentato di far valere tali diritti, ricevendo cionondimeno un diniego del Tribunale .

166. Laddove la ricorrente sostiene di aver avuto, in via di principio, la possibilità, ma non adeguata, di prendere posizione sulle deposizioni dei testimoni, occorre richiamare le osservazioni riportate supra al paragrafo 158.

167. In queste circostanze la censura intesa a far valere che il procedimento dinanzi al Tribunale avrebbe violato il diritto al giusto processo ai sensi dell'art. 6 della CEDU è infondata per quanto riguarda l'audizione dei testimoni. Tutta la parte del primo motivo di impugnazione secondo cui alla ricorrente, nel procedimento dinanzi al Tribunale, sarebbe stato negato il diritto al giusto processo ai sensi dell'art. 6 CEDU va dunque dichiarata infondata.

2. Sulla durata del procedimento

168. Poiché le censure della ricorrente in merito alla durata del procedimento dinanzi al Tribunale coincidono in sostanza con gli argomenti dedotti dalla ricorrente Thyssen Stahl AG nella causa C-194/99 P, in relazione ai motivi in base ai quali occorre dichiarare infondato sotto tale aspetto questo motivo di impugnazione rimando ai paragrafi 238 e segg. delle conclusioni da me presentate nella succitata causa in questa stessa data. Detti motivi si applicano mutatis mutandis.

169. Quanto alla critica della ricorrente relativa ai due giudici il cui mandato è scaduto nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale occorre constatare che, come ha statuito la Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza «Deumeland», «la sostituzione di giudici costituisce una fase naturale dell'attività giudiziaria» e che, pertanto, sotto tale aspetto non può essere mossa nei confronti del Tribunale alcuna censura .

170. La parte del primo motivo di impugnazione con cui si censura una durata eccessiva del procedimento dev'essere pertanto dichiarata infondata.

171. Il primo motivo di impugnazione, che si fonda sull'art. 6, n. 1, e sull'art. 6, n. 3, lett. d), della CEDU, va dichiarato nel complesso infondato.

IV - Conclusioni

172. Alla luce dei motivi che precedono, propongo pertanto alla Corte di:

- respingere il ricorso;

- condannare la ricorrente alle spese del giudizio.

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