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Document 61999CC0050

Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 20 gennaio 2000.
Jean-Marie Podesta contro Caisse de retraite par répartition des ingénieurs cadres & assimilés (CRICA) e a.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal de grande instance de Paris - Francia.
Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Parità di retribuzione - Regime pensionistico integrativo interprofessionale privato a contributi definiti gestito col sistema a ripartizione - Pensioni di reversibilità le cui condizioni relative all'età di attribuzione variano in funzione del sesso.
Causa C-50/99.

Raccolta della Giurisprudenza 2000 I-04039

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2000:32

61999C0050

Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 20 gennaio 2000. - Jean-Marie Podesta contro Caisse de retraite par répartition des ingénieurs cadres & assimilés (CRICA) e a. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal de grande instance de Paris - Francia. - Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Parità di retribuzione - Regime pensionistico integrativo interprofessionale privato a contributi definiti gestito col sistema a ripartizione - Pensioni di reversibilità le cui condizioni relative all'età di attribuzione variano in funzione del sesso. - Causa C-50/99.

raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-04039


Conclusioni dell avvocato generale


Fatti e procedimento

1 La signora Podesta, alta dirigente nell'industria farmaceutica, aveva versato per 35 anni contributi per la pensione integrativa presso la Caisse de retraite par répartition des ingénieurs cadres & assimilés (CRICA), l'Union interprofessionnelle de retraite de l'industrie et du commerce (UIRIC) e la Caisse générale interprofessionnelle de retraite pour salariés (CGIS), casse affiliate all'Association générale des institutions de retraite des cadres (AGIRC) o all'Association des régimes de retraite complémentaire (ARRCO) (in prosieguo: le «casse»).

2 A seguito del decesso di sua moglie, avvenuto il 3 dicembre 1993, il signor Podesta chiedeva alle casse il versamento di una pensione di reversibilità corrispondente alla metà della pensione dovuta a sua moglie. Le casse rifiutavano la sua richiesta in quanto egli non aveva diritto a tale pensione non avendo ancora raggiunto l'età di 65 anni, fissata per gli uomini in istato di vedovanza per poter fruire della reversibilità della pensione della consorte.

3 Pertanto il signor Podesta, con atto 18 novembre 1996, citava le casse in giudizio per vederle condannare a versargli, in particolare, la pensione di reversibilità con effetto retroattivo alla data del decesso di sua moglie.

4 Con ordinanza 12 gennaio 1999, il tribunal de grande istance di Parigi, ritenendo che la soluzione della controversia dipendesse dall'interpretazione dell'art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli art. 136-143 CE), ha sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l'art. 119 del Trattato di Roma che sancisce il principio della parità delle retribuzioni tra uomini e donne sia applicabile ai regimi pensionistici integrativi AGIRC e Arrco e imponga loro di non operare discriminazioni tra uomini e donne riguardo all'età in cui essi possono fruire di una pensione di reversibilità, a seguito del decesso del loro coniuge».

Disposizioni nazionali

5 Le principali disposizioni nazionali applicabili sono le seguenti.

6 L'art. L. 921-1 del codice francese di previdenza sociale, come modificato dalla legge 29 dicembre 1972, detta «Legge che generalizza le pensioni integrative», impone l'iscrizione di tutti i lavoratori ai regimi pensionistici integrativi ARRCO e AGIRC.

7 L'art. L. 921-4 del medesimo codice è redatto come segue:

«I regimi pensionistici integrativi dei lavoratori subordinati che rientrano nell'ambito del presente capitolo sono istituiti mediante accordi nazionali interprofessionali, estesi ed ampliati in conformità alle disposizioni del titolo 1_ del presente libro.

Essi sono attuati da enti pensionistici integrativi e da federazioni che raggruppano tali enti. Le federazioni garantiscono una compensazione delle operazioni effettuate dagli enti pensionistici integrativi che vi aderiscono.»

8 L'art. L. 913-1 di detto codice stabilisce che nessuna disposizione che comporti una discriminazione fondata sul sesso può essere inserita, a pena di nullità, nelle convenzioni, accordi o decisioni unilaterali di cui all'art. L. 911-1. Tuttavia, tale divieto non osta alle disposizioni relative alla protezione della donna in caso di maternità e non si applica alle disposizioni relative alla fissazione dell'età per il collocamento a riposo e alle condizioni per l'attribuzione delle pensioni di reversibilità.

9 Ai sensi dell'art. 12, primo comma, dell'allegato I del contratto collettivo nazionale per il pensionamento e per la previdenza dei dirigenti del 14 marzo 1947, come modificato il 9 febbraio 1994:

«La vedova di un iscritto ha diritto (...)

a) nel caso di decesso avvenuto prima del 1_ marzo 1994, ad un'indennità di reversibilità, a partire da 50 anni, calcolata sulla base di un numero di punti corrispondente al 60% di quelli dell'iscritto deceduto,

b) nel caso di decesso avvenuto a decorrere dal 1_ marzo 1994, ad un'indennità di reversibilità, a partire da 60 anni, calcolata sulla base di un numero di punti corrispondente al 60% di quelli dell'iscritto deceduto».

10 Ai sensi dell'art. 13 quater, primo comma, del medesimo allegato:

«Il vedovo di una iscritta ha diritto

a) nel caso di decesso avvenuto prima del 1_ marzo 1994, ad un'indennità di reversibilità, a partire da 65 anni, calcolata sulla base di un numero di punti corrispondente al 60% di quelli dell'iscritta deceduta(...)

b) nel caso di decesso avvenuto a decorrere dal 1_ marzo 1994, ad un'indennità di reversibilità calcolata in conformità alla lett. b), 1_ comma, dell'art. 12».

11 In forza di un accordo di revisione siglato nel 1994, la vedova ed il vedovo di un iscritto al regime AGIRC possono, per i decessi avvenuti a decorrere dal 1_ marzo 1994, ottenere la pensione di reversibilità a tasso intero quando raggiungono l'età di 60 anni (o a tasso ridotto a partire da 55 anni). Un accordo del 1996 ha del pari operato la parificazione delle condizioni di liquidazione delle pensioni di reversibilità nell'ambito del regime ARRCO a 55 anni per i decessi avvenuti a decorrere dal 1_ luglio 1996.

Disposizioni comunitarie

12 L'art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 24 luglio 1986, 86/378/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (1), è così redatto:

«Sono considerati regimi professionali di sicurezza sociale i regimi non regolati dalla direttiva 79/7/CEE aventi lo scopo di fornire ai lavoratori, salariati o indipendenti, riuniti nell'ambito di un'impresa o di un gruppo di imprese, di un ramo economico o di un settore professionale o interprofessionale, prestazioni destinate a integrare le prestazioni fornite dai regimi legali di sicurezza sociale o a sostituirsi ad esse, a seconda che l'affiliazione a detti regimi sia obbligatoria o facoltativa.»

13 Al momento del decesso della signora Podesta, l'art. 9 stabiliva:

«Gli Stati membri possono differire l'attuazione obbligatoria del principio della parità di trattamento per quanto riguarda:

a) la fissazione del limite d'età per la concessione di pensioni di vecchiaia o di collocamento a riposo e le conseguenze che possono derivarne per altre prestazioni, a loro scelta:

fino alla data alla quale tale parità è realizzata nei regimi legali;

o al più tardi fino a quando una direttiva imporrà tale parità;

b) le pensioni di superstite finché una direttiva imponga il principio della parità di trattamento nei regimi legali di sicurezza sociale in materia.»

14 L'art. 1, punto 5, della direttiva del Consiglio 20 dicembre 1996, 96/97/CE, che modifica la direttiva 86/378 (2), ha ristretto l'ambito d'applicazione dell'art. 9 ai lavoratori autonomi.

15 Peraltro l'art. 2, n. 1, della direttiva 96/97 è redatto nel modo seguente:

«Qualsiasi misura di attuazione della presente direttiva, per quanto riguarda i lavoratori subordinati, deve comprendere tutte le prestazioni derivanti dai periodi di occupazione successivi al 17 maggio 1990 e ha effetto retroattivo a tale data, fatta eccezione per i lavoratori o i loro aventi diritto che, prima di questa data, abbiano promosso un'azione giudiziaria o proposto un reclamo equivalente a norma del diritto nazionale».

16 L'art. 3 stabilisce che «[g]li Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 1_ luglio 1997. Essi ne informano immediatamente la Commissione».

Argomenti dedotti dalle parti

17 Le casse sostengono in via principale che i regimi che esse gestiscono non rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 119 del Trattato.

18 A tal proposito, esse fanno valere, in primo luogo, una serie di argomenti volti a dimostrare la natura «quasi legale» dei regimi di cui trattasi, che non sarebbero pertanto regimi professionali, ai sensi di tale disposizione.

19 In tal senso, fanno notare che l'iscrizione a detti regimi è stata resa obbligatoria dalla legge. Questi ultimi non sarebbero stati istituiti per farne beneficiare una categoria specifica di lavoratori aventi uno status omogeneo, ma una categoria generale di lavoratori. Non sarebbe il rapporto di lavoro con un determinato datore di lavoro a condizionare l'iscrizione a tali regimi, ma il semplice fatto che una persona rientri nell'ambito del regime generale di previdenza sociale.

20 Le casse fanno notare, a tal proposito, che oltre il 10% dei partecipanti ai regimi ARRCO e AGIRC acquisiscono diritti in situazioni particolari pur non potendo vantare, in quel momento, un rapporto di lavoro con un datore di lavoro.

21 Esse aggiungono che i procedimenti «di estensione» e «di ampliamento» previsti dal codice di previdenza sociale comportano un processo di generalizzazione delle pensioni integrative ad una categoria generale di lavoratori che non hanno tutti uno status omogeneo e non sono tutti legati ad un'impresa da un rapporto di lavoro.

22 Esse deducono che, garantendo una solidarietà comune tra i lavoratori di tale categoria generale, la legge francese attua una politica sociale, il che sarebbe peraltro dimostrato dal fatto che la legge ha espressamente attribuito agli enti e alle federazioni di gestione dei regimi pensionistici integrativi una missione di interesse generale. Inoltre, la pubblica amministrazione interverrebbe in modo rilevante nel finanziamento di tali regimi.

23 Orbene, risulterebbe chiaramente dalla giurisprudenza della Corte (3) che un regime pensionistico rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 119 del Trattato solo se si tratta di un regime professionale le cui caratteristiche principali sarebbero le seguenti: un tale regime risulta da una concertazione tra le parti sociali o da una decisione unilaterale del datore di lavoro, è finanziato dal datore di lavoro e/o dal lavoratore subordinato ma in nessun caso dalla pubblica amministrazione, non è obbligatoriamente applicabile a categorie generali di lavoratori in quanto l'iscrizione a detti regimi risulta necessariamente dal rapporto di lavoro con un determinato datore di lavoro.

24 Ne conseguirebbe, pertanto, a giudizio delle casse, che, tenuto conto delle caratteristiche dei regimi di cui trattasi, sopra ricordate, questi ultimi non potrebbero essere considerati come regimi professionali e sarebbero, di conseguenza, necessariamente esclusi dall'ambito di applicazione dell' art. 119 del Trattato.

25 Le casse fanno valere, in secondo luogo, un argomento relativo alla nozione di «retribuzione» per dimostrare che i regimi da esse gestiti non rientrano nell'ambito dell'art. 119 del Trattato. A loro giudizio, in effetti, risulterebbe dalla giurisprudenza della Corte che le prestazioni pensionistiche rientrano nell'ambito di tale disposizione solo quando possono essere considerate come una retribuzione differita.

26 Così avverrebbe nel caso dei regimi cosiddetti «a prestazioni definite», che istituiscono un diritto per i pensionati a ricevere una prestazione per un livello predeterminato o predeterminabile. Il datore di lavoro ha pertanto l'obbligo di garantire al suo dipendente un livello di prestazione determinato, o determinabile, calcolato in funzione della durata del lavoro e dell'ultimo stipendio. In tale ipotesi vi sarebbe un nesso diretto tra il lavoro, dal punto di vista tanto della sua durata quanto della sua retribuzione, e la prestazione pensionistica. Di conseguenza, sarebbe logico considerare quest'ultima come una parte, certamente differita, della retribuzione, che pertanto rientrerebbe necessariamente nell'ambito dell'art. 119 del Trattato.

27 Completamente diversa sarebbe la situazione nella fattispecie.

28 I regimi ARRCO e AGIRC sarebbero dei regimi «a contributi definiti», che non impongono al datore di lavoro alcun obbligo di garantire agli ex dipendenti un qualsiasi livello di prestazioni. I lavoratori subordinati non avrebbero pertanto diritto ad ottenere una prestazione determinata. Non si potrebbe quindi parlare nella fattispecie di retribuzione differita.

29 Inoltre, tali regimi sarebbero gestiti in ripartizione, vale a dire che le prestazioni pagate ai pensionati sarebbero finanziate dai lavoratori subordinati attivi grazie al versamento dei loro contributi.

30 L'importo della prestazione non dipenderebbe pertanto dai contributi versati per il pensionato ma dalla capacità degli attivi di creare il finanziamento. In tal senso, la condizione, posta dalla Corte nelle sentenze Neath e Coloroll Pension Trustees (4), di un nesso diretto tra «i contributi periodici» e gli «importi da pagare in futuro» non sarebbe soddisfatta.

31 La Commissione giunge alla conclusione diametralmente opposta rispetto a quella enunciata dalle casse. A suo giudizio, risulta chiaramente dalla giurisprudenza che i regimi AGIRC e ARRCO soddisfano tutte le condizioni poste dal diritto comunitario per l'applicazione dell'art. 119 del Trattato.

32 Sono regimi - essa precisa - che non costituiscono regimi generali di previdenza sociale, che si applicano a lavoratori subordinati e hanno un ambito di applicazione interprofessionale, e che forniscono prestazioni destinate ad integrare quelle dell'assicurazione vecchiaia e della previdenza sociale.

33 Essa fa notare inoltre che l'iscrizione obbligatoria al regime non è un valido motivo per sottrarsi all'ambito di applicazione del diritto comunitario.

34 Infine, la Commissione nega la correttezza delle considerazioni sviluppate dalle casse a proposito della natura specifica dei regimi gestiti mediante ripartizione. Risulterebbe chiaramente dalla sentenza Evrenopoulos (5) che l'art. 119 del Trattato è applicabile anche ai regimi gestiti mediante ripartizione.

Valutazione

35 Condivido l'analisi della Commissione. E' vero che i regimi controversi presentano, come fanno notare, a ragione, le casse, tutta una serie di caratteristiche che li accomuna ai regimi legali. Ritengo tuttavia che esse non siano determinanti, tenuto conto dell'importanza degli indizi che depongono nell'altro senso.

36 Nella citata sentenza Barber e nelle successive sentenze, la Corte ha dedotto dall'art. 119 del Trattato il principio che i lavoratori subordinati di sesso maschile devono poter beneficiare dei loro diritti in materia di pensione o di pensione di reversibilità alla stessa età dei loro colleghi di sesso femminile, escludendo così, per quanto riguarda i lavoratori subordinati, l'applicazione dell'art. 9 della direttiva 86/378. Ciò ha indotto il giudice nazionale a sollevare la questione con riferimento all'art. 119 del Trattato.

37 Ciò non toglie che è la direttiva 86/378 che disciplina, a livello comunitario, la materia dei regimi professionali di previdenza sociale.

38 Pertanto occorre fare riferimento sia alla giurisprudenza della Corte sia a tale direttiva.

39 Ricordo, peraltro, che, dall'entrata in vigore della direttiva 96/97, le regole della direttiva 86/378 corrispondono completamente ai principi che la Corte ha tratto dall'art. 119 nelle summenzionate sentenze. In effetti, da quel momento, tale direttiva non concede più agli Stati membri la possibilità di differire l'applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'età della pensione dei lavoratori subordinati e le pensioni dei loro superstiti.

40 Inoltre, l'art. 2 della direttiva 96/97 stabilisce che «[q]ualsiasi misura di attuazione della presente direttiva, per quanto riguarda i lavoratori subordinati, deve comprendere tutte le prestazioni derivanti dai periodi di occupazione successivi al 17 maggio 1990» (6).

41 Il nostro problema si riassume pertanto nella questione se i regimi pensionistici dei superstiti, come quelli di cui trattasi nella causa in esame, costituiscano, come sostengono le casse, regimi legali di previdenza sociale, il che li farebbe rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva 79/7/CEE (7), o se si tratti di regimi professionali che rientrano nell'ambito dell'art. 119 del Trattato e della direttiva 86/378.

42 Ricordo che ai sensi dell'art. 2 della direttiva 86/378,

«sono considerati regimi professionali di sicurezza sociale i regimi non regolati dalla direttiva 79/7/CEE aventi lo scopo di fornire ai lavoratori, salariati o indipendenti, riuniti nell'ambito di un'impresa o di un gruppo di imprese, di un ramo economico o di un settore professionale o interprofessionale, prestazioni destinate a integrare le prestazioni fornite dai regimi legali di sicurezza sociale o a sostituirsi ad esse, a seconda che l'affiliazione a detti regimi sia obbligatoria o facoltativa».

43 Deriva da tale definizione che i regimi pensionistici i quali non siano limitati ad una sola impresa, ma che riguardino un gruppo di imprese, tutto un ramo economico o persino tutto un settore professionale o interprofessionale, costituiscono nondimeno «regimi professionali».

44 L'oggetto di tali regimi è di integrare le prestazioni dei regimi legali o di sostituirvisi. Orbene, è pacifico che in Francia esiste, peraltro, un regime legale di assicurazione per la vecchiaia che viene integrato dalle prestazioni versate dalle convenute nella causa a qua.

45 Come risulta del pari dalla citata definizione il carattere obbligatorio dell'iscrizione a tali regimi non li trasforma in regimi legali.

46 Inoltre, la direttiva 86/378 non esclude che tali regimi siano direttamente disciplinati dalla legge. La stessa Corte, che aveva dato rilievo a tale criterio nella sentenza Defrenne I (8), lo ha tralasciato nella sentenza Bilka (9).

47 La Corte ha inoltre giudicato, al punto 38 della citata sentenza Beune, che un «criterio relativo alle modalità di finanziamento e di gestione di un regime pensionistico non consente nemmeno di stabilire se il regime rientri nel campo d'applicazione dell'art. 119». Orbene, nemmeno la definizione della direttiva 86/378 stabilisce alcun criterio a tal proposito.

48 Infine, a partire dal momento in cui si accetta che regimi professionali possano essere direttamente disciplinati dalla legge, il fatto che il legislatore nazionale estenda l'applicabilità del regime a categorie diverse di lavoratori subordinati non è neanch'esso sufficiente ad escludere i regimi controversi dall'ambito di applicazione dell'art. 119 o della direttiva 86/378, qualora sia evidente che tali regimi sono destinati in via di principio ai lavoratori subordinati presenti o passati delle imprese interessate.

49 Orbene, così è nella fattispecie. Le stesse casse, infatti, ammettono che solo il 10% dei partecipanti non ha un rapporto di lavoro attuale con l'impresa. Tra questi si trovano i disoccupati e le persone di cui sia stata constatata l'inidoneità fisica, perciò due categorie di cui non si dice che non abbiano avuto un rapporto di lavoro con i datori di lavoro partecipanti.

50 Certamente, è vero che i mandatari, categoria anch'essa soggetta ai regimi interessati, non hanno in via di principio un rapporto di lavoro con l'impresa, ai sensi del diritto del lavoro. Ciò non toglie che la loro attività presenti un nesso evidente e immediato con quella di dette imprese. Inoltre, è dubbio che si tratti di una categoria significativa riguardo al numero di persone interessate, rispetto al numero totale degli iscritti al regime.

51 L'argomento che le casse traggono dalla generalizzazione del regime solleva tuttavia una domanda. Emerge infatti dalla giurisprudenza citata da queste ultime che un regime non può essere considerato come un regime professionale se è applicabile «a categorie generali di lavoratori». Ora, è del tutto ammissibile che un regime inizialmente destinato a categorie specifiche di lavoratori sia stato esteso, con il tempo, ad un tale numero di categorie diverse di persone da aver finito per acquisire un carattere generale, tale da farne uno strumento di politica sociale analogo al regime legale di previdenza sociale, piuttosto che un regime professionale, anche nel senso più ampio di tale nozione.

52 Diversi indizi mi inducono tuttavia a concludere che così non è nella fattispecie.

53 In tal senso, la documentazione proveniente dalle stesse casse, allegata alle osservazioni del ricorrente nella causa a qua, sottolinea che non si tratta di regimi destinati a tutta la popolazione, e nemmeno a tutti gli attivi. Nel caso dell'AGIRC, infatti, sono contemplati solo i dirigenti delle imprese affiliate ad un regime, esso stesso incluso in tale federazione. Riguardo all'ARRCO, sembra che riunisca regimi ai quali sono iscritti unicamente lavoratori subordinati, con esclusione pertanto degli autonomi. Inoltre, occorre far notare che i due enti riuniscono numerosi regimi. Non ne deriva che tali regimi, presi individualmente, non si indirizzino a categorie specifiche di lavoratori.

54 Infine, si deve ricordare l'iter seguito dalla Corte nella citata sentenza Beune. Essa vi esamina in ordine successivo diversi criteri derivanti dalla sua giurisprudenza, come il grado di intervento dell'amministrazione pubblica, il finanziamento, o ancora l'origine legale, per concludere che soltanto il criterio relativo al rapporto di lavoro può avere un valore determinante.

55 La Corte ha infatti giudicato al punto 43 della sentenza che «solo il criterio relativo alla constatazione che la pensione è corrisposta al lavoratore per il rapporto di lavoro tra l'interessato e il suo ex datore di lavoro, vale a dire il criterio dell'impiego desunto dalla lettera stessa dell'art. 119, può avere carattere determinante». Ora, come visto al paragrafo 48, quest'ultimo nella fattispecie esiste, in quanto si tratta di regimi applicabili a lavoratori subordinati, attuali o passati, di imprese affiliate.

56 Inoltre, contrariamente a quanto deducono le casse, il funzionamento dei regimi gestiti mediante ripartizione non è incompatibile con la nozione di retribuzione differita. Infatti, anche se il nesso tra contributi versati e prestazioni ottenute non ha un carattere assoluto, resta comunque d'importanza capitale.

57 Emerge, infatti, dalle spiegazioni fornite dalle stesse casse, come sottolinea peraltro il ricorrente nella causa a qua, che le prestazioni corrisposte al lavoratore subordinato iscritto dipendono, certamente, in parte dal valore dei punti accumulati da quest'ultimo, valore la cui fissazione non è predeterminata né predeterminabile, ma anche dal numero di tali punti che, invece, è funzione del valore delle somme versate a titolo di contributi. Gli opuscoli illustrativi delle casse allegati alla sua memoria dal ricorrente sono peraltro del tutto espliciti a tal proposito, in quanto vi si legge che le prestazioni sono in relazione con l'ultimo stipendio.

58 Esiste, di conseguenza, un nesso sufficiente con la retribuzione del lavoratore subordinato, anche se le prestazioni dovute non sono, per esempio, esattamente determinate dal livello dell'ultimo stipendio.

59 E' peraltro interessante far notare, incidentalmente, l'evoluzione dell'argomento delle casse, che minimizzano dapprima l'importanza, nell'ambito dei loro regimi, della durata di contribuzione, per affrettarsi poi a sottolineare che, se si dovesse applicare ai fatti di causa l'art. 119 del Trattato, si dovrebbe ben inteso limitare rigorosamente i periodi contributivi che possono essere presi in considerazione (...).

60 Infine, come ricorda la Commissione, nella citata sentenza Evrenopoulos la Corte ha già dichiarato l'art. 119 del Trattato applicabile ad un regime professionale gestito mediante ripartizione.

61 Tenuto conto di quanto precede, ritengo che si debba dichiarare che le caratteristiche dei regimi AGIRC e ARRCO non sono tali da escludere questi ultimi dall'ambito di applicazione dell'art. 119 del Trattato.

62 In subordine, le convenute nella causa a qua sostengono che i regimi di cui esse garantiscono la gestione osservano il principio di parità di trattamento in materia di previdenza sociale. Esse rilevano che, tenuto conto delle formule utilizzate dal legislatore comunitario nelle direttive 79/7, 86/378, e persino 96/97, gli operatori potevano legittimamente ritenere che la questione delle pensioni di reversibilità rientrasse nell'ambito del principio della parità di trattamento in materia di previdenza sociale. Sarebbe solo a partire dall'adozione della direttiva 96/97 che il legislatore comunitario si sarebbe pronunciato in senso contrario e avrebbe fissato la data limite del 1_ luglio 1997 per l'adeguamento dei regimi oramai considerati come soggetti al principio di parità di retribuzione.

63 Ora, i regimi ARRCO e AGIRC avrebbero osservato tale scadenza. In forza del principio della tutela del legittimo affidamento, l'art. 119 del Trattato non dovrebbe poter essere loro opposto prima di tale data.

64 A tal proposito, si deve ricordare innanzi tutto che un operatore non può addurre il fatto che talune direttive del Consiglio hanno accolto una certa interpretazione del Trattato, diversa da quella che la Corte ha in definitiva fornito, per far valere l'esistenza nei suoi confronti di un legittimo affidamento. In effetti, un tale affidamento può essere riposto solo in una situazione conforme al diritto (10).

65 Vero è che, come ha sottolineato la stessa Corte nella citata sentenza Barber (11), le disposizioni dell'art. 7, n. 1, della direttiva 79/7, nonché dell'art. 9 della direttiva 86/378 (precedente versione) possono aver indotto i settori interessati a ritenere che prestazioni come quelle di cui trattasi nella causa a qua esulassero dall'ambito di applicazione dell'art. 119 del Trattato.

66 L'iter logico seguito dalla Corte in tale sentenza dimostra tuttavia in modo incontestabile le conseguenze che occorre trarre dal fatto che gli operatori possono essere indotti in errore riguardo alla portata di tale disposizione. Infatti, non è tramite il ricorso alla nozione di legittimo affidamento che si deve affrontare il problema.

67 Gli interessi degli operatori, a fronte dell'ambiguità che può essere esistita riguardo alla situazione giuridica, sono presi in considerazione dal fatto che la Corte ha limitato la portata nel tempo della sua sentenza.

68 E' in questo modo che la Corte tiene conto dell'insieme delle circostanze, ivi compresa la lettera delle citate direttive, esplicitamente menzionate a tal proposito nella citata sentenza Barber, che hanno potuto indurre gli enti interessati a ritenere di aver adempiuto i loro obblighi alla luce del diritto comunitario.

69 Aggiungo che, nella fattispecie, le casse sono tanto meno autorizzate a far valere il principio della tutela del legittimo affidamento in quanto la sentenza Barber, in data, lo ricordo, 17 maggio 1990, avrebbe dovuto dissipare qualsiasi incertezza che esse potessero nutrire circa l'incidenza dell'art. 119 sui regimi che gestiscono.

70 Occorre pertanto respingere l'argomento che le casse cercano di trarre dal principio della tutela del legittimo affidamento.

71 Esse stesse, peraltro, menzionano la questione dell'efficacia nel tempo dell'interpretazione dell'art. 119 del Trattato.

72 A tal proposito, le casse ritengono, «estremamente in subordine», che, tenuto conto dell'effetto che l'applicazione del principio della parità di retribuzione potrebbe avere sull'equilibrio finanziario dei regimi di cui trattasi, occorrerebbe far agire nella fattispecie la limitazione nel tempo degli effetti della citata sentenza Barber, di cui la giurisprudenza della Corte nonché il «protocollo sull'art. 119 del Trattato che istituisce la Comunità europea» allegato al Trattato di Maastricht avrebbero chiarito la portata.

73 Tale giurisprudenza avrebbe limitato la possibilità di far valere l'art. 119 del Trattato operando una distinzione a seconda che il fatto generatore del diritto alla pensione si collochi prima o dopo la data del 17 maggio 1990. Nei regimi gestiti mediante ripartizione, come quelli di cui trattasi nella fattispecie, il fatto generatore del diritto alla pensione sarebbe il decesso del partecipante.

74 Pertanto si dovrebbe consentire di far valere l'art. 119 del Trattato qualora l'iscritto sia deceduto dopo il 17 maggio 1990, come avvenuto nella fattispecie. Inoltre, conformemente alla giurisprudenza della Corte (12), il principio potrebbe essere fatto valere soltanto per le prestazioni dovute per i periodi di lavoro successivi al 17 maggio 1990.

75 Ne conseguirebbe che, in concreto, il signor Podesta potrebbe fruire nella fattispecie di una pensione, calcolata tuttavia soltanto sulla base dei periodi di lavoro successivi al 17 maggio 1990.

76 Tale argomento deve essere accolto.

77 Innanzi tutto occorre ricordare, come ha sottolineato la Corte al punto 37 della citata sentenza Barber, che l'art. 119 del Trattato produce un effetto diretto allorché una discriminazione può essere rilevata in base ai soli criteri di identità di lavoro e di parità di retribuzione indicati da detto articolo.

78 Così è nella fattispecie, in quanto non v'è dubbio riguardo al fatto che solo perché egli è un uomo il ricorrente nella causa a qua non può ancora ottenere il versamento della pensione di reversibilità per il decesso del coniuge. Nella medesima situazione, una donna avrebbe avuto il diritto di ottenere tale versamento.

79 Come risulta dalla giurisprudenza della Corte (13) i regimi pensionistici che fanno parte, come quelli di cui trattasi nella fattispecie, della categoria dei regimi professionali ai sensi di tale giurisprudenza dovevano ripristinare la parità di trattamento a decorrere dal 17 maggio 1990.

80 Come ha precisato più volte la Corte (14), tale obbligo riguarda perciò tutte le prestazioni dovute per periodi di lavoro successivi al 17 maggio 1990.

81 Nel caso di specie, ciò significa che il ricorrente nella causa a qua può farsi attribuire la pensione che richiede solo per la parte dovuta per periodi di lavoro successivi al 17 maggio 1990.

Conclusione

82 Per i motivi che precedono, propongo di risolvere la questione sollevata dal tribunal de grande instance di Parigi nel modo seguente:

«L'art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136-143 CE) si applica ai regimi pensionistici integrativi del tipo di quelli gestiti dall'Association générale des institutions de retraite des cadres (AGIRC) e dall'Association des régimes de retraite complémentaire (ARRCO) e vieta loro, dal 17 maggio 1990, di operare una discriminazione tra uomini e donne rispetto all'età in cui possono fruire di una pensione di reversibilità, a seguito del decesso del coniuge.

La parità di trattamento s'impone pertanto per tutte le prestazioni dovute per periodi di lavoro successivi al 17 maggio 1990».

(1) - GU L 225, pag. 40.

(2) - GU L 46, pag. 20.

(3) - Esse citano, in particolare, le sentenze 28 settembre 1994, causa C-7/93, Beune (Racc. pag. I-4471); 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber (Racc. pag. I-1889) e 6 ottobre 1993, causa C-109/91, Ten Oever (Racc. pag. I-4879).

(4) - Sentenze 22 dicembre 1993, causa C-152/91 (Racc. pag. I-6935) e 28 settembre 1994, causa C-200/91 (Racc. pag. I-4389).

(5) - Sentenza 17 aprile 1997, causa C-147/95 (Racc. pag. I-2057).

(6) - Data della citata sentenza Barber.

(7) - Direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978 relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU L 6, pag. 24). L'art. 7 di tale direttiva stabilisce quanto segue: « La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di escludere dal suo campo di applicazione: b) la fissazione del limite di età per la concessione della pensione di vecchiaia e di fine lavoro e le conseguenze che possono derivarne per altre prestazioni; (...) c) la concessione di diritti a prestazioni di vecchiaia o di invalidità in base ai diritti derivati della consorte».

(8) - Sentenza 25 maggio 1971, causa 80/70 (Racc. pag. 445).

(9) - Sentenza 13 maggio 1986, causa 170/84 (Racc. pag. 1607).

(10) - V. sentenza 16 novembre 1983, causa 188/82, Thyssen/Commissione (Racc. pag. 3721).

(11) - Punto 42.

(12) - V. citata sentenza Ten Oever.

(13) - V. sentenza 28 settembre 1994, causa C-28/93, Van den Akker e a. (Racc. pag. I-4527, punti 12 e segg.).

(14) - V. citata sentenza Ten Oever.

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