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Document 61998CJ0150

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 16 dicembre 1999.
Comitato economico e sociale delle Comunità europee contro E.
Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado - Dipendenti - Libertà di espressione nei riguardi dei superiori gerarchici - Dovere di lealtà e dignità della funzione esercitata - Sanzione disciplinare - Retrocessione di scatto.
Causa C-150/98 P.

Raccolta della Giurisprudenza 1999 I-08877

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1999:616

61998J0150

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 16 dicembre 1999. - Comitato economico e sociale delle Comunità europee contro E. - Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado - Dipendenti - Libertà di espressione nei riguardi dei superiori gerarchici - Dovere di lealtà e dignità della funzione esercitata - Sanzione disciplinare - Retrocessione di scatto. - Causa C-150/98 P.

raccolta della giurisprudenza 1999 pagina I-08877


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


1 Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado - Motivi - Controllo della qualificazione giuridica dei fatti da parte della Corte - Ammissibilità

[Trattato CE, art. 168 A (divenuto art. 225 CE)]

2 Dipendenti - Diritti ed obblighi - Libertà d'espressione - Rispetto nonostante l'obbligo di fedeltà alle Comunità - Osservazioni del dipendente sul suo rapporto informativo

(Statuto del personale, art. 43, secondo comma)

3 Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado - Motivi - Motivazione di una sentenza viziata da violazione del diritto comunitario - Dispositivo fondato per altri motivi di diritto - Rigetto

Massima


1 Quando il Tribunale ha accertato o valutato dei fatti, la Corte è competente ad effettuare, ai sensi dell'art. 168 A del Trattato (divenuto art. 225 CE), un controllo sulla loro natura giuridica e sulle conseguenze di diritto che ne ha tratto il Tribunale.

2 L'obbligo di fedeltà alle Comunità, quale imposto ai dipendenti comunitari dallo Statuto, non può essere inteso in un senso contrario alla libertà di espressione.

Il rispetto di questo diritto assume particolare importanza quando un dipendente si avvale del diritto conferitogli dall'art. 43, secondo comma, dello Statuto e presenta le osservazioni che egli ritiene utili sul rapporto informativo che gli viene comunicato.

Pertanto, anche se appare legittimo assoggettare i dipendenti a un obbligo di riservatezza, obbligo del resto espressamente previsto dagli artt. 12 e 21 dello Statuto, ciò non toglie che tale obbligo non può essere interpretato con rigore allorché un dipendente esercita il diritto riconosciutogli dall'art. 43, secondo comma, dello Statuto e può pertanto ritenersi violato solo nel caso in cui il dipendente usi espressioni gravemente ingiuriose o gravemente lesive del rispetto dovuto al compilatore.

3 Qualora la motivazione di una sentenza del Tribunale sia viziata da violazione del diritto comunitario, ma il dispositivo della medesima appaia fondato per altri motivi di diritto, il ricorso avverso tale sentenza dev'essere respinto.

Parti


Nel procedimento C-150/98 P,

Comitato economico e sociale delle Comunità europee, rappresentato dal signor Bermejo Garde, consigliere giuridico, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor C. Gómez de la Cruz, membro del servizio giuridico della Commissione, Centre Wagner, Kirchberg,

ricorrente,

avente ad oggetto il ricorso diretto all'annullamento della sentenza pronunciata dal Tribunale di primo grado delle Comunità europee (Terza Sezione) il 17 febbraio 1998, nella causa T-183/96, E/Comitato economico e sociale (Racc. PI pagg. I-A-67 e II-159), procedimento in cui l'altra parte è: E, ex dipendente del Comitato economico e sociale delle Comunità europee, residente a Bruxelles (Belgio), ricorrente in primo grado,

LA CORTE

(Seconda Sezione),

composta dai signori R. Schintgen (relatore), presidente di sezione, G. Hirsch e H. Ragnemalm, giudici,

avvocato generale: J. Mischo

cancelliere: R. Grass

vista la relazione del giudice relatore,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 10 giugno 1999,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 17 aprile 1998, il Comitato economico e sociale delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell'art. 49 dello Statuto CE della Corte di giustizia, un ricorso avverso la sentenza 17 febbraio 1998, causa T-183/96, E/Comitato economico e sociale (Racc. PI pagg. I-A-67 e II-159; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale il Tribunale di primo grado ha annullato la decisione del segretario generale del Comitato economico e sociale 18 gennaio 1996 che infligge a E la sanzione disciplinare della retrocessione nello scatto (in prosieguo: la «decisione controversa») e ha posto le spese a carico del Comitato economico e sociale.

2 Per quanto riguarda i fatti all'origine della controversia, si rinvia ai punti 1-12 della sentenza impugnata.

La sentenza impugnata

3 Dalla sentenza impugnata risulta che E invocava a sostegno del ricorso quattro motivi, con il primo dei quali deduceva un vizio di forma, con il secondo, errori manifesti di diritto e sviamento di potere, con il terzo, errori manifesti di fatto e con il quarto, una violazione del principio di proporzionalità.

4 Il Tribunale ha respinto i primi tre motivi, ma ha accolto il quarto.

5 In particolare, il Tribunale ha giudicato che:

«39 Va ricordato (...) che l'art. 12, primo comma, dello Statuto mira a garantire che i dipendenti comunitari offrano, con il loro comportamento, un'immagine di dignità conforme alla condotta particolarmente corretta e rispettabile che ci si può legittimamente attendere da chi esercita un pubblico impiego internazionale (sentenza del Tribunale 7 marzo 1996, causa T-146/94, Williams/Corte dei conti, Racc. PI pag. II-329, punto 65). Nella fattispecie, la nota controversa del 10 gennaio 1995 è caratterizzata da un tono aggressivo ed è pertanto carente della buona educazione necessaria, come del resto la ricorrente ha ammesso nel suo ricorso. In particolare, espressioni come "lavoro (...) che lui stesso non conosce", "ciò non La riguarda", "tale superiore gerarchico non è certamente Lei", "si limiti alle Sue competenze", "si astenga dal diffamarmi e dal farmi oggetto di abusi e offese", "durante il mio periodo di assegnazione alla Direzione sono stata vittima di un'offesa da parte del [compilatore]: a mia insaputa egli ha inviato al signor [Y], in data 28 marzo 1994, una nota oltraggiosa con la quale chiedeva la mia cacciata, e che ha comportato la soppressione del mio posto nell'organigramma" e "il rapporto informativo, redatto dal [compilatore], rappresenta un attacco personale, illecito, diffamatorio e pieno di false affermazioni" esulano dalla condotta corretta che l'art. 12, primo comma, dello Statuto impone ai funzionari. Ciò considerato, il Tribunale osserva che giustamente l'amministrazione ha considerato la nota di cui trattasi come costitutiva di una lesione alla dignità della funzione.

40 Per le medesime ragioni, l'amministrazione ha potuto considerare che la nota della ricorrente costituiva una violazione dell'art. 21 dello Statuto. In effetti, il dovere di assistere e di consigliare i propri superiori previsto da tale articolo non vale unicamente nell'espletamento dei compiti specifici affidati al dipendente, ma si estende all'insieme dei rapporti che intercorrono tra il dipendente e l'istituzione. Pertanto, in forza di tale dovere, il dipendente è tenuto, in linea generale, ad astenersi da comportamenti lesivi della dignità e del rispetto dovuto all'istituzione e alle sue autorità (sentenza del Tribunale 26 novembre 1991, Williams/Corte dei conti, citata, punto 72). Com'è stato appena constatato nel punto precedente, molte delle affermazioni espresse dalla ricorrente nella nota del 10 gennaio 1995 ledevano la dignità e il rispetto dovuto al compilatore.

41 Si deve infine sottolineare che, anche se la libertà di espressione è un diritto fondamentale di cui godono altresì i dipendenti comunitari (sentenza della Corte 13 dicembre 1989, causa C-100/88, Oyowe e Traore/Commissione, Racc. pag. I-4285, punto 16), non è meno vero che gli artt. 12 e 21 dello Statuto, come sopra interpretati, non costituiscono un ostacolo alla libertà di espressione dei dipendenti, ma impongono comunque limiti ragionevoli all'esercizio di tale diritto fondamentale nell'interesse del servizio. Di conseguenza, alla ricorrente, nel momento in cui la stessa si è avvalsa del diritto, previsto all'art. 43, secondo comma, dello Statuto, di presentare tutte le osservazioni da lei ritenute utili in ordine al rapporto informativo appena comunicatole, incombeva l'obbligo di far uso di tale diritto in modo conforme agli artt. 12 e 21 dello Statuto.

(...)

59 Nella specie, come constatato dal Tribunale (...), il fatto imputabile alla ricorrente è quello di aver esercitato il suo diritto di comunicare le proprie osservazioni in merito al rapporto informativo usando un tono ed espressioni non consoni agli obblighi relativi alla dignità della funzione e al rispetto nei confronti delle autorità dell'istituzione. Non si tratta, tuttavia, di una violazione grave di tali obblighi. Infatti, nella nota controversa, la ricorrente non ha fatto uso di toni grossolanamente ingiuriosi, e ha motivato le critiche che rivolgeva al compilatore, facendo presente la propria opinione sul rapporto di lavoro che essa ha intrattenuto con lui e il proprio profondo malcontento a tal proposito. La violazione degli artt. 12 e 21 dello Statuto si risolve pertanto unicamente nel fatto che la ricorrente si è servita di uno stile eccessivo e aggressivo e ha quindi, come da essa stessa riconosciuto nel ricorso, dato prova di mancanza di buona educazione.

60 Il Tribunale considera che, alla luce di tali circostanze, era manifestamente sproporzionato infliggere alla ricorrente la sanzione della retrocessione di più scatti. Si tratta, infatti, di una sanzione grave, raramente inflitta ai dipendenti e che, per essere proporzionata, deve corrispondere a fatti ben più gravi di quelli del caso in esame».

Il ricorso d'impugnazione

6 Nel ricorso d'impugnazione il Comitato economico e sociale conclude che la Corte voglia:

- annullare la sentenza impugnata,

- statuire definitivamente sulla controversia, accogliendo le conclusioni presentate in primo grado dal Comitato economico e sociale e intese a far rigettare totalmente il ricorso proposto da E,

- dichiarare che ciascuna delle parti sopporterà le proprie spese e

- indicare, nella sua sentenza, E con il nome completo.

7 A sostegno del ricorso d'impugnazione, il Comitato economico e sociale deduce tre motivi che esso così sintetizza:

- erronea qualifica della natura giuridica dei fatti e indebita interpretazione degli artt. 12 e 21 dello Statuto del personale delle Comunità europee (in prosieguo: lo «Statuto»);

- difetto di motivazione della sentenza impugnata e indebita interpretazione degli artt. 86 e 87 dello Statuto;

- erronea applicazione del principio di proporzionalità e indebita interpretazione degli artt. 12 e 21 dello Statuto.

8 E non ha depositato memorie di replica.

9 Con il suo primo motivo, il Comitato economico e sociale censura il Tribunale, in sostanza, per avere, al punto 59 della sentenza impugnata, qualificato le espressioni e il tono usati da E nella nota 10 gennaio 1995 come costitutivi di una semplice mancanza di buona educazione, mentre in realtà essi costituirebbero l'espressione di una mancanza di rispetto derivante da un eccesso sproporzionato dell'uso della libertà di espressione. Orbene, secondo il Comitato economico e sociale, l'uso di tale libertà sarebbe subordinato, nella funzione pubblica comunitaria, all'osservanza dei limiti che ulteriormente derivano dal principio di buona fede tra le parti e dal dovere di rispetto dell'autorità dei superiori gerarchici, come espressamente menzionato nell'art. 21 dello Statuto. Pertanto, considerati il tono e le espressioni usati nella nota del 10 gennaio 1995, nonché l'insieme dei fatti concreti e delle circostanze della specie, il Tribunale avrebbe proceduto ad una erronea qualificazione giuridica dei fatti per quanto riguarda gli artt. 12 e 21 dello Statuto.

10 A questo proposito, secondo la consolidata giurisprudenza, quando il Tribunale ha accertato o valutato dei fatti, la Corte è competente ad effettuare, ai sensi dell'art. 168 A del Trattato CE (divenuto art. 225 CE), un controllo sulla loro natura giuridica e sulle conseguenze di diritto che ne ha tratto il Tribunale (v., in questo senso, sentenza 1_ giugno 1994, causa C-136/92 P, Commissione/Brazzelli Lualdi e a., Racc. pag. I-1981, punto 49).

11 Si deve innanzi tutto rilevare che, giudicando, nei punti 39, 40 e 59 della sentenza impugnata, che il comportamento di E, pur essendo soltanto una semplice mancanza di buona educazione, costituiva una violazione degli artt. 12 e 21 dello Statuto, il Tribunale ha dato una qualificazione giuridica dei fatti sottoposti al suo esame. Ne consegue che il primo motivo è irricevibile in quanto chiede alla Corte di effettuare un controllo su tale qualificazione giuridica.

12 Si deve poi ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, i diritti fondamentali formano parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce il rispetto e che la libertà di espressione, sancita dall'art. 10 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, figura tra tali principi generali (v. sentenza 28 ottobre 1992, causa C-219/91, Ter Voort, Racc. pag. I-5485, punti 34 e 35).

13 Si deve infine sottolineare che nell'ambito del pubblico impiego comunitario la Corte ha giudicato che l'obbligo di fedeltà alle Comunità, quale imposto ai dipendenti comunitari dallo Statuto, non può essere inteso in un senso contrario alla libertà di espressione (sentenza Oyowe e Traore/Commissione, citata, punto 16).

14 Orbene, il rispetto di questo diritto assume particolare importanza quando un dipendente si avvale del diritto conferitogli dall'art. 43, secondo comma, dello Statuto e presenta le osservazioni che egli ritiene utili sul rapporto informativo che gli viene comunicato.

15 Pertanto, se è vero che appare legittimo assoggettare i dipendenti a un obbligo di riservatezza, obbligo del resto espressamente previsto dagli artt. 12 e 21 dello Statuto, resta ciò nondimeno che tale obbligo non può essere interpretato con rigore allorché un dipendente esercita il diritto riconosciutogli dall'art. 43, secondo comma, dello Statuto. Quest'obbligo può pertanto ritenersi violato solo nel caso in cui il dipendente usi espressioni gravemente ingiuriose o gravemente lesive del rispetto dovuto al compilatore.

16 Di conseguenza, qualificando, ai punti 39 e 40 della sentenza impugnata, come violazione agli artt. 12 e 21 dello Statuto il comportamento rimproverato a E, consistente nell'uso di un tono aggressivo ed eccessivo nel comunicare le proprie osservazioni in merito al rapporto informativo, mentre ha giudicato, al punto 59 della medesima sentenza, che il tono usato da E non era gravemente ingiurioso, il Tribunale ha commesso un errore di diritto nella qualificazione giuridica dei fatti sottopostigli.

17 Tuttavia, se dalla motivazione di una sentenza del Tribunale risulta una violazione del diritto comunitario, ma il dispositivo della medesima sentenza appare fondato su altri motivi di diritto, il ricorso avverso la sentenza deve essere respinto (v. sentenza 15 dicembre 1994, causa C-320/92 P, Finsider/Commissione, Racc. pag. I-5697, punto 37).

18 Tale è il caso che ricorre nella specie, poiché la corretta qualificazione giuridica dei fatti avrebbe indotto il Tribunale a constatare che non si è avuta violazione agli artt. 12 e 21 dello Statuto e lo avrebbe obbligato ad annullare la decisione controversa.

19 Ciò considerato e senza che si renda necessario esaminare gli altri motivi avanzati dal Comitato economico e sociale, il ricorso d'impugnazione va respinto.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

20 In applicazione dell'art. 69, n. 1, del regolamento di procedura, reso applicabile al procedimento d'impugnazione ai sensi dell'art. 118, il ricorrente è condannato alle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE

(Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1) Il ricorso è respinto.

2) Il Comitato economico e sociale delle Comunità europee è condannato alle spese.

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