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Document 61998CC0376

Conclusioni dell'avvocato generale Fennelly del 15 giugno 2000.
Repubblica federale di Germania contro Parlamento europeo e Consiglio dell'Unione europea.
Direttiva 98/43/CE - Publicità e sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco - Fondamento giuridico - Art. 100 A del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 95 CE).
Causa C-376/98.

Raccolta della Giurisprudenza 2000 I-08419

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2000:324

61998C0376

Conclusioni riunite dell'avocato generale Fennelly del 15 giugno 2000. - Repubblica federale di Germania contro Parlamento europeo e Consiglio dell'Unione europea. - Direttiva 98/43/CE - Publicità e sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco - Fondamento giuridico - Art. 100 A del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 95 CE). - Causa C-376/98. - The Queen contro Secretary of State for Health e altri, ex parte Imperial Tobacco Ltd e altri. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division (Crown Office) - Regno Unito. - Direttiva 98/43/CE - Pubblicità e sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco - Validità. - Causa C-74/99.

raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-08419


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1. Entrambe le cause vertono sulla validità della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/43/CE, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco (in prosieguo: la «direttiva» ovvero la «direttiva sulla pubblicità»). Nella prima causa (in prosieguo: la «causa C-376/98» o la «causa Germania»), la Germania proponeva un ricorso volto all'annullamento della direttiva sulla pubblicità, ai sensi dell'art. 173 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 230 CE). Nella seconda (in prosieguo: la «causa C-74/99» o la «causa Imperial Tobacco»), alcuni fabbricanti di prodotti del tabacco proponevano un ricorso nel Regno Unito innanzi alla High Court of Justice, Queen's Bench Division (Crown Office) (in prosieguo: il «giudice nazionale»), impugnando, tra l'altro, il progetto e/o l'obbligo del governo del Regno Unito di dare attuazione alle prescrizioni della direttiva. Il giudice nazionale, ritenendo che le ricorrenti avessero addotto motivi prima facie ammissibili a sostegno dell'illegittimità della direttiva, statuiva di sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia.

2. Come osservato dal giudice nazionale, si ravvisa una significativa (ancorché non totale) coincidenza tra la questione proposta e i motivi di ricorso della causa Germania. La questione proposta dal giudice nazionale espone concisamente i motivi dedotti dalle ricorrenti:

«Se la direttiva del Consiglio 98/43 sia in tutto o in parte invalida per i seguenti motivi:

a) inadeguatezza degli artt. 57, n. 2, 66 e 100 A del Trattato CE quali fondamento giuridico per la sua adozione;

b) violazione del diritto fondamentale alla libertà di espressione;

c) violazione del principio di proporzionalità;

d) violazione del principio di sussidiarietà;

e) violazione dell'obbligo di motivazione;

f) violazione dell'art. 222 del Trattato CE e/o del diritto fondamentale di proprietà».

Nella causa Germania si sostiene altresì che la direttiva sulla pubblicità sarebbe contraria all'art. 30 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE).

3. Il problema principale nelle due cause è la questione della competenza o del fondamento giuridico. I motivi con cui si deduce l'invalidità della direttiva per violazione dei principi di proporzionalità o sussidiarietà, dell'obbligo di motivazione o dei diritti fondamentali dovrebbero essere esaminati in via sussidiaria, cioè solo se la Corte dovesse concludere che il fondamento giuridico indicato per la direttiva era corretto.

4. Il fondamento giuridico enunciato dalla direttiva sulla pubblicità è relativo al mercato interno. La competenza della Comunità per il mercato interno non è limitata, a priori, da alcun settore riservato alla competenza degli Stati membri. Si tratta di una competenza orizzontale, il cui esercizio si sostituisce alla competenza legislativa nazionale nel settore interessato. Un sindacato giurisdizionale sull'esercizio di una simile competenza costituisce un problema delicato e complesso. Da un lato, un sindacato giurisdizionale troppo limitato consentirebbe alle istituzioni comunitarie di disporre, in pratica, di un potere legislativo generale o illimitato, in contrasto con il principio secondo cui la Comunità dispone solo delle competenze, quale che ne sia la portata, che le sono state conferite dal Trattato al fine di raggiungere specifici obiettivi. In questo modo, la Comunità potrebbe invadere in modo inammissibile la sfera di competenza degli Stati membri. Dall'altro, la Corte non può impedire al legislatore comunitario di adempiere il legittimo compito di eliminare gli ostacoli e le distorsioni negli scanbi di beni e servizi. Spetta alla Corte, come depositaria della fiducia delle istituzioni comunitarie, degli Stati membri e dei cittadini dell'Unione, assolvere la difficile funzione di mantenere la separazione costituzionale delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri sulla base di criteri oggettivi.

II - Contesto normativo e antefatti

i) Le norme pertinenti del Trattato

5. La controversia in ordine al fondamento giuridico della direttiva sulla pubblicità riguarda solo un numero ristretto di norme del Trattato, relative principalmente al mercato interno e alla libera prestazione di servizi.

6. In virtù del combinato disposto degli artt. 57, n. 2, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 47, n. 2, CE) e 66 CE (divenuto art. 55 CE), il Consiglio, deliberando in conformità alla procedura di cui all'art. 189 B del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 251 CE), procedura comunemente nota come «co-decisione», «stabilisce le direttive intese al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative all'accesso alle attività non salariate e all'esercizio di queste», compresa la libera prestazione di servizi .

7. L'art. 100 A del Trattato CE è divenuto, in seguito a modifica, l'art. 95 CE. In deroga all'art. 100 del Trattato CE (divenuto art. 94 CE) e salvo che il Trattato non disponga diversamente, l'art. 100 A, n. 1, stabilisce che il Consiglio, deliberando in conformità della medesima procedura e previa consultazione del Comitato economico e sociale, al fine della realizzazione degli obiettivi dell'art. 7 A del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 14 CE), «adotta le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno».

8. L'art. 100 A, n. 3, del Trattato dispone che la Commissione, «nelle sue proposte di cui al paragrafo 1 in materia di sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e protezione dei consumatori, si basa su un livello di protezione elevato» . L'art. 100 A, n. 4, consente ad uno Stato membro, dopo l'adozione a maggioranza qualificata da parte del Consiglio di una misura di armonizzazione, di applicare disposizioni nazionali giustificate, in particolare, da esigenze importanti di cui all'art. 36 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 30 CE), previa conferma da parte della Commissione e una speciale procedura abbreviata di ricorso innanzi alla Corte.

9. I ricorrenti hanno posto particolarmente l'accento sull'art. 129 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 152 CE). Ai sensi dell'art. 129, n. 1, «[l]a Comunità contribuisce a garantire un livello elevato di protezione della salute umana, incoraggiando la cooperazione tra gli Stati membri e, se necessario, sostenendone l'azione» e «[l]e esigenze di protezione della salute costituiscono una componente delle altre politiche della Comunità». L'art. 129, n. 4, stabilisce che il Consiglio contribuisce al perseguimento degli obiettivi del detto articolo, in conformità della procedura di codecisione e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, adottando azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Il Consiglio può altresì adottare raccomandazioni.

ii) Altre norme

10. Il richiamo ad altre rilevanti norme già esistenti è necessario al fine di valutare la legittimità della direttiva sulla pubblicità. Prima di essa, la Comunità aveva già adottato un certo numero di norme relative alla commercializzazione dei prodotti del tabacco sulla base dell'art. 100 A del Trattato o del combinato disposto degli artt. 57, n. 2, e 66 del Trattato. Il testo più importante è l'art. 13 della direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive . Ai fini della presente analisi è sufficiente ricordare che tale articolo vieta qualsiasi forma di pubblicità televisiva e di televendita di sigarette e di altri prodotti a base di tabacco. L'art. 2 bis, n. 1, della direttiva 89/552/CEE stabilisce, in generale, che «[g]li Stati membri assicurano la libertà di ricezione e non ostacolano la ritrasmissione sul proprio territorio di trasmissioni televisive provenienti da altri Stati membri per ragioni attinenti ai settori coordinati dalla presente direttiva».

11. La direttiva del Consiglio 13 novembre 1989, 89/622/CEE, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri riguardanti l'etichettatura dei prodotti del tabacco nonché il divieto di taluni tabacchi per uso orale prescrive che tutte le unità di condizionamento di sigarette rechino indicazione del tenore di catrame e di nicotina , unitamente a un'avvertenza per la salute, sia generale sia specifica . La commercializzazione dei prodotti conformi non può essere limitata dagli Stati membri per motivi di etichettatura . Analogamente, gli Stati membri non possono restringere, «per motivi inerenti alla limitazione del tenore di catrame delle sigarette» , il commercio dei prodotti conformi alla direttiva del Consiglio 17 maggio 1990, 90/239/CEE, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri riguardanti il tenore massimo di catrame delle sigarette . Le direttive 89/622/CEE e 90/239/CEE sono state adottate dal Consiglio composto dai ministri della Sanità.

12. La Comunità ha altresì disciplinato altri aspetti della pubblicità. Per esempio, la direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole , fissa criteri minimi e oggettivi per stabilire quando la pubblicità sia ingannevole e specifica le circostanze in cui la pubblicità comparativa è considerata lecita . Il secondo considerando della direttiva di modifica 97/55/CEE precisa che «la pubblicità costituisce uno strumento molto importante per aprire sbocchi reali in tutta l'Unione europea per qualsiasi bene o servizio».

13. La direttiva del Consiglio 31 marzo 1992, 92/28/CEE, concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano , detta una serie di condizioni per la pubblicità di tali prodotti. Per esempio, nel caso dei media che si rivolgono al grande pubblico, la direttiva vieta l'utilizzo di determinati materiali e i riferimenti a determinate indicazioni terapeutiche, nonché la pubblicità di certi prodotti.

iii) Precedenti normativi della direttiva sulla pubblicità

14. L'idea di regolamentare la pubblicità del tabacco a livello comunitario fu avanzata per la prima volta nel 1984 dalla Commissione in una comunicazione al Consiglio europeo relativa alla cooperazione in materia di problemi sanitari. Il primo programma delle Comunità europee contro il cancro, adottato il 7 luglio 1986 con una risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio , invitava a studiare le possibili strategie per ridurre il consumo del tabacco, tra cui un'azione comunitaria relativa alla pubblicità e alle sponsorizzazioni, nell'ambito della cooperazione in materia sanitaria. Essa rispose con un Piano di Azione per il periodo 1987-1989. La Commissione dapprima elaborò una proposta, basata sull'art. 100 A del Trattato, di una direttiva del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità a mezzo stampa e manifesti a favore dei tabacchi elaborati (in prosieguo: la «prima proposta di direttiva») .

15. La prima proposta di direttiva constatava che la pubblicità a mezzo stampa e manifesti superava le frontiere degli Stati membri e che le disparità tra le disposizioni normative nazionali sulla pubblicità a favore dei tabacchi elaborati potevano ostacolare gli scambi e causare distorsioni di concorrenza. La necessaria armonizzazione delle regole avrebbe dovuto tenere in debito conto la salute delle persone, in particolare dei giovani. I considerando facevano riferimento anche al programma di azione delle Comunità europee contro il cancro. In base alla prima proposta di direttiva la pubblicità delle sigarette e degli altri prodotti del tabacco a mezzo stampa o manifesti avrebbe dovuto recare avvertenze specifiche per la salute ; inoltre, il contenuto del messaggio pubblicitario sarebbe stato limitato ai dati del prodotto e alla presentazione della confezione, con divieto di qualsiasi riferimento a marchi, emblemi, simboli o altri segni distintivi utilizzati soprattutto per i tabacchi lavorati in pubblicità che non menzionassero direttamente il tabacco lavorato . Qualsiasi forma di pubblicità di tabacchi lavorati nelle pubblicazioni destinate prevalentemente ai giovani al di sotto dei 18 anni sarebbe stata vietata . Conformemente all'art. 5 della prima proposta di direttiva, gli Stati membri non avrebbero potuto vietare o limitare, per motivi connessi alla pubblicità del tabacco, la commercializzazione di pubblicazioni o di manifesti pubblicitari conformi alla direttiva.

16. Conformemente alla proceduta di cooperazione, il 14 marzo 1990 il Parlamento europeo approvò la prima proposta di direttiva, pur con taluni emendamenti volti a vietare completamente la pubblicità del tabacco per ragioni di tutela della salute . La Commissione, pur ritenendo che un divieto totale fosse prematuro, data la situazione delle diverse normative nazionali del tempo, modificò la sua proposta affinché fosse chiaro che sarebbero state armonizzate solo le normative degli Stati membri che consentivano la pubblicità a favore del tabacco e aggiungendo tre nuovi considerando in cui si richiamava l'attenzione sugli obiettivi di protezione della salute degli Stati membri e sulla particolare sensibilità dei giovani riguardo alla pubblicità.

17. Questa versione modificata della prima proposta di direttiva venne discussa dal Coreper con il titolo «Lotta contro il cancro», senza che si potesse addivenire ad un accordo né in quella sede né in seno al gruppo di lavoro «salute» costituito presso il Consiglio. La Commissione, ritirata la detta versione, il 17 maggio 1991 presentò la proposta modificata di direttiva del Consiglio in materia di pubblicità a favore dei prodotti del tabacco (in prosieguo: la «seconda proposta di direttiva») . Quest'ultima metteva per la prima volta in risalto il rapporto esistente tra le diverse forme di pubblicità e il fatto che il consumo di tabacco costituisce un rilevante fattore di mortalità nella Comunità. La seconda proposta di direttiva avrebbe proibito ogni forma di pubblicità dei prodotti del tabacco, la pubblicità in altri settori mediante l'impiego di marchi la cui notorietà fosse associata a prodotti del tabacco, l'impiego di marchi per nuovi prodotti del tabacco, qualsiasi distribuzione gratuita di tali prodotti . La pubblicità all'interno degli esercizi di vendita di tabacco avrebbe potuto essere autorizzata dagli Stati membri , ma la seconda proposta di direttiva avrebbe lasciato impregiudicata la facoltà degli Stati membri di stabilire prescrizioni più rigorose per garantire la protezione della salute . Nonostante i dubbi manifestati da diverse parti , il Parlamento europeo respinse la mozione volta a mutare il fondamento giuridico della proposta, sostituendo l'art. 235 del Trattato CE (divenuto art. 308 CE) all'art. 100 A e l'11 febbraio 1992 adottò una risoluzione legislativa in cui si proponeva, tra l'altro, l'aggiunta di un nuovo considerando che giustificasse il divieto per motivi di protezione della salute. A quanto sembra, i Commissari per l'Occupazione, le Relazioni industriali e gli Affari sociali (sanità compresa) responsabili della proposta avrebbero tenuto discorsi e fatto dichiarazioni in cui si sottolineava la sua importanza per la sanità pubblica .

18. Il 26 novembre 1996 il Consiglio adottò una risoluzione sulla riduzione del fumo nella Comunità europea in cui si dichiarava che era «necessario valutare l'impatto sul consumo di tabacco delle misure destinate a favorire il fumo e di altre attività promozionali, da un lato, e degli interventi e provvedimenti destinati a ridurre il tabagismo dall'altro» e invitava la Commissione «ad effettuare indagini sulle migliori prassi adottate dagli Stati membri per ridurre la diffusione del fumo e sulla valutazione del loro impatto».

19. Infine, il 12 febbraio 1998 , il Consiglio adottò una posizione comune formale sulla seconda proposta di direttiva, sulla base di una stesura riveduta presentata dalla Commissione l'11 dicembre 1997 . Tale documento aggiungeva all'art. 100 A, quale fondamento giuridico, gli artt. 57, n. 2, e 66 del Trattato e alcuni considerando riformulati in modo da riflettere le modifiche apportate al divieto proposto per quanto riguarda la pubblicità indiretta, la portata leggermente ampliata dell'eccezione per la pubblicità nel punto vendita e la sua applicazione alle comunicazioni destinate ai professionisti, nonché l'estensione della portata del divieto di sponsorizzazione di eventi o attività . Inoltre, venivano aggiunti considerando relativi ad altre misure del mercato interno con incidenza sulla pubblicità o sui prodotti del tabacco - ovvero le direttive 89/622/CEE, modificata, 90/239/CEE e 92/28/CEE. Ancor più rilevante, almeno secondo gli avversari della direttiva, era il fatto che la posizione comune omettesse tre considerando rispetto alle prime stesure:

«considerando che il Consiglio europeo di Milano del 28 e 29 giugno 1985 ha ribadito l'importanza dello svolgimento di un programma di azioni europeo di lotta contro il cancro;

considerando che il Consiglio e i rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in seno al Consiglio, nella loro risoluzione del 7 luglio 1986 concernente un programma d'azione delle Comunità europee contro il cancro, hanno assegnato a questo programma l'obiettivo di contribuire a migliorare la salute e la qualità della vita dei cittadini della Comunità riducendo i casi di cancro e che a tale scopo essi hanno considerato prioritaria la lotta contro il tabagismo;

considerando che ogni anno, negli Stati membri della Comunità europea, i prodotti del tabacco sono un fattore di mortalità molto rilevante».

20. La posizione comune fu approvata dal Parlamento europeo il 13 maggio 1998 e la direttiva fu adottata nel corso di una riunione del Consiglio dei ministri della Ricerca il 22 giugno 1998. La Germania votò contro.

iv) Riassunto della direttiva sulla pubblicità

21. I primi quattro considerando della direttiva, nella versione adottata, recitano come segue:

«1) considerando che esistono divergenze fra le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco; che, in quanto tale pubblicità e tale sponsorizzazione superano le frontiere degli Stati membri, le disparità sono tali da creare ostacoli alla circolazione dei prodotti che costituiscono il supporto materiale delle suddette attività e alla libera prestazione dei servizi in materia, nonché da provocare distorsioni di concorrenza e da ostacolare in tal modo il funzionamento del mercato interno;

2) considerando che occorre eliminare tali ostacoli e, a questo scopo, ravvicinare le norme relative alla pubblicità e alla sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco, pur lasciando agli Stati membri la possibilità di stabilire, a determinate condizioni, le prescrizioni da essi ritenute necessarie per garantire la protezione della salute delle persone;

3) considerando che, a norma dell'articolo 100 A, paragrafo 3, del trattato, la Commissione, nelle sue proposte di cui al paragrafo 1 dello stesso articolo in materia di sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e protezione dei consumatori, si basa su un livello elevato di protezione;

4) considerando che, di conseguenza, la presente direttiva deve tenere debitamente conto della tutela della salute delle persone e in particolare dei giovani per i quali la pubblicità ha una funzione importante nella promozione del tabacco».

Il quinto considerando ricorda che le direttive 89/622/CEE e 90/239/CEE erano già state adottate sulla base dell'art. 100 A. Il sesto considerando, riferendosi alla direttiva 92/28/CEE concernente la pubblicità dei medicinali, indica che la pubblicità riguardante i prodotti destinati alla disassuefazione dal tabacco non rientra nell'ambito di applicazione della direttiva sulla pubblicità. Il settimo considerando fa riferimento alle diverse eccezioni al divieto di pubblicità a favore dei prodotti del tabacco (art. 3, n. 5) e aggiunge che «spetta agli Stati membri, se del caso, prendere misure appropriate» (v. anche art. 5). L'ottavo e il nono considerando della direttiva così recitano:

«8) considerando l'interdipendenza esistente fra tutti i mezzi di pubblicità orale, scritta, stampata, radiodiffusa o televisiva e cinematografica, e che, al fine di evitare qualsiasi rischio di distorsione della concorrenza e di elusione della normativa, la presente direttiva deve riguardare tutte le forme e tutti i mezzi di pubblicità al di fuori della pubblicità televisiva, che già costituisce oggetto della direttiva 89/552/CEE del Consiglio (...).

9) considerando che tutte le forme di pubblicità indiretta e di sponsorizzazione nonché la distribuzione gratuita producono gli stessi effetti della pubblicità diretta e che occorre pertanto disciplinarle, fatto salvo il principio fondamentale della libertà di espressione , comprese quelle forme indirette di pubblicità le quali, pur non menzionando direttamente il prodotto del tabacco, si servono di un nome, di un marchio, di un simbolo o di un qualsiasi altro segno distintivo utilizzato per i prodotti del tabacco; che tuttavia l'applicazione di tali disposizioni può essere differita dagli Stati membri, al fine di consentire l'adeguamento delle prassi commerciali e la sostituzione della sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco con altre forme di sostegno appropriate».

Il decimo considerando fa riferimento alla facoltà di consentire (v. art. 3, n. 2) di continuare ad usare, a certe condizioni, un nome ugualmente utilizzato per i prodotti del tabacco per pubblicizzare prodotti oggetto di diversificazione - prodotti o servizi diversi dal tabacco che abbiano un nome, un marchio, un simbolo o un qualsiasi altro segno distintivo collegato al tabacco - «fatta salva la disciplina della pubblicità a favore dei prodotti del tabacco» . L'undicesimo considerando fa riferimento alla possibilità di eliminare la sponsorizzazione in maniera più graduale (v. art. 6, n. 3) e afferma che la sponsorizzazione esistente «dovrebbe includere tutti i mezzi che consentano di conseguire i fini della sponsorizzazione, quale definita nella presente direttiva».

22. L'art. 1 della direttiva così recita:

«Oggetto della presente direttiva è il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco».

L'art. 2 della direttiva contiene, tra l'altro, le seguenti definizioni:

«1) "prodotti del tabacco": i prodotti destinati ad essere fumati, fiutati, succhiati o masticati, che sono costituiti, anche parzialmente, di tabacco;

2) "pubblicità": ogni forma di comunicazione commerciale che abbia lo scopo o l'effetto, diretto o indiretto, di promuovere un prodotto del tabacco, compresa la pubblicità che, senza menzionare direttamente il prodotto del tabacco, mira ad eludere il divieto di pubblicità mediante l'uso dei nomi, dei marchi, dei simboli o di altri segni distintivi dei prodotti del tabacco;

3) "sponsorizzazione": qualsiasi contributo pubblico o privato a un evento o ad un'attività che abbia lo scopo o l'effetto, diretto o indiretto, di promuovere un prodotto del tabacco».

L'art. 3, nn. 2 e 4, della direttiva così dispone:

«1. Fatta salva la direttiva 89/552/CEE, è vietata nella Comunità ogni forma di pubblicità o di sponsorizzazione.

2. Il paragrafo 1 non osta a che uno Stato membro possa consentire che un nome già utilizzato in buona fede sia per prodotti del tabacco che per altri prodotti o servizi, messi in commercio o offerti da una stessa impresa o da imprese diverse, anteriormente al 30 luglio 1998, sia utilizzato per la pubblicità relativa agli altri prodotti o servizi.

Tuttavia, questo nome può essere utilizzato soltanto sotto un aspetto chiaramente distinto da quello utilizzato per il prodotto del tabacco, ad esclusione di ogni altro segno distintivo già usato per un prodotto del tabacco.

(...)

4. E' vietata qualsiasi distribuzione gratuita che abbia lo scopo o l'effetto, diretto o indiretto, di promuovere prodotti del tabacco».

23. Come l'art. 3, n. 2, della direttiva, anche il n. 3, lett. b), del detto articolo sembra riguardare la pubblicità dei prodotti di diversificazione, ma non è certo di una chiarezza esemplare. Esso dispone che il divieto di cui al n. 1 non può essere eluso per alcun prodotto o servizio messo in commercio a decorrere dal 30 luglio 2001 con l'utilizzo di nomi, marchi, simboli e altri segni distintivi già utilizzati per un prodotto del tabacco. Nel riferimento all'art. 3, n. 1, sembra essere implicito che il termine ambiguo «utilizzo» riguarda l'utilizzo di un nome o di un altro segno distintivo al fine della pubblicità o della sponsorizzazione. «A tal fine», il segno distintivo di cui trattasi «deve essere presentato sotto un aspetto chiaramente distinto da quello utilizzato per il prodotto del tabacco». In mancanza di ulteriori indicazioni, a mio avviso anche questa parte della norma riguarda la pubblicità e la sponsorizzazione e non la presentazione del prodotto o del servizio stesso. I miei dubbi iniziali a questo proposito sono stati chiariti dalle risposte del Consiglio e del Parlamento all'udienza.

Ai sensi dell'art. 3, n. 5, la direttiva non si applica:

«- alle comunicazioni destinate esclusivamente ai professionisti che operano anche nel settore del commercio del tabacco;

- alla presentazione dei prodotti del tabacco posti in vendita e all'affissione dei prezzi nei punti di vendita;

- alla pubblicità destinata all'acquirente negli esercizi specializzati nella vendita dei prodotti del tabacco e negli spazi esterni di presentazione o, allorché si tratti di rivendite di articoli o servizi vari, nei luoghi riservati alla vendita dei prodotti del tabacco nonché nei punti di vendita che, in Grecia, sono sottoposti ad un sistema particolare di rilascio di licenze per ragioni sociali (detti periptera);

- alla vendita di pubblicazioni contenenti pubblicità sui prodotti del tabacco edite e stampate in paesi terzi, laddove tali pubblicazioni non siano prevalentemente destinate al mercato comunitario».

24. L'art. 4 della direttiva riguarda i mezzi per controllare e garantire l'applicazione delle disposizioni nazionali adottate nel quadro della direttiva e non costituisce oggetto di controversia nelle memorie di parte.

Ai sensi dell'art. 5 della direttiva:

«La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di stabilire, nel rispetto del trattato, prescrizioni più rigorose da essi ritenute necessarie per garantire la protezione della salute delle persone in materia di pubblicità o di sponsorizzazione di prodotti del tabacco».

25. L'art. 6, n. 1, stabilisce che gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva non oltre il 30 luglio 2001. In particolare, l'art. 6, n. 3, così dispone:

«Gli Stati membri possono differire l'applicazione dell'articolo 3, paragrafo 1,

- di un anno per quanto riguarda la stampa scritta,

- di due anni per quanto concerne la sponsorizzazione».

In casi eccezionali e per ragioni debitamente giustificate, a determinate condizioni che non sono state discusse nelle presenti cause, gli Stati membri possono continuare a autorizzare la sponsorizzazione già esistente di eventi o attività organizzati a livello mondiale per un periodo supplementare di 3 anni che si conclude non oltre il 1° ottobre 2006.

III - Ricevibilità

26. Prima di esaminare il merito, è necessario valutare due argomenti sollevati dal Consiglio, dal Parlamento e dalla Francia nelle osservazioni presentate nell'ambito della causa Imperial Tobacco relativamente alla ricevibilità della domanda pregiudiziale del giudice nazionale.

27. Nelle osservazioni presentate nella causa Imperial Tobacco, il Parlamento si è riferito agli argomenti dei convenuti nel procedimento principale, secondo cui l'azione avrebbe avuto natura generica o ipotetica, poiché si sarebbe riferita ad una misura nazionale di recepimento che, non essendo ancora entrata in vigore, non sarebbe stata annullabile dal giudice; inoltre, si sarebbe potuto discutere la validità di una direttiva in sede di giudizio solamente qualora la questione fosse sorta in via incidentale. Il giudice nazionale ha ritenuto evidentemente che fosse giusto e opportuno, conformemente all'Order 53, art. 1, secondo comma, delle Rules of the Supreme Court, concedere una sentenza dichiarativa al fine di eliminare l'incertezza. A suo avviso, la causa non avrebbe riguardato «questioni puramente astratte», bensì «diritti futuri» a tutela dei quali si sarebbe potuto ottenere un provvedimento nell'ambito di un'azione quia timet .

28. Il Parlamento si è richiamato all'obbligo per il giudice nazionale, quando valuta la necessità di una pronuncia pregiudiziale al fine di poter emettere un giudizio, di tenere presente che la Corte di giustizia non esprime pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche e ha sottolineato che, benché nella causa Bosman fosse stato giudicato ricevibile un rinvio pregiudiziale nel contesto di un procedimento nazionale non dissimile, la causa «riguardava una minaccia avvertita come incombente per diritti acquisiti, con effetto immediato, derivanti dal Trattato, proveniente da un privato», e non l'aspettativa che uno Stato membro adempia gli obblighi che gli incombono in virtù del Trattato. Secondo il Parlamento, la possibilità di sindacare di fronte a un giudice nazionale la validità di norme comunitarie generali non ancora recepite, attraverso un procedimento pregiudiziale, avrebbe potuto esorbitare dal sistema di tutela giurisdizionale instaurato dal Trattato, perché avrebbe eluso la condizione che la norma impugnata riguardi direttamente e individualmente l'autore del ricorso diretto. Anche il Consiglio (sostenuto dalla Francia) ha fatto rilevare il carattere ipotetico della controversia e la possibilità che attraverso un procedimento nazionale si potessero eludere le condizioni di un ricorso diretto all'annullamento di atti comunitari secondo quanto prescritto dall'art. 173 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 230 CE).

29. A ragione il Parlamento, a mio avviso, riscontra analogie tra i procedimenti nazionali relativi alle cause Bosman e Imperial Tobacco. La domanda presentata dal signor Bosman, volta a far dichiarare che le norme relative alla cittadinanza dei calciatori professionisti erano inapplicabili nei suoi confronti, venne ritenuta ricevibile dai giudici belgi sulla base di una disposizione del Code judiciaire belga che consente le azioni esperite «allo scopo di prevenire la lesione di un diritto gravemente minacciato», poiché egli aveva prodotto vari elementi obiettivi i quali facevano presumere che il danno da lui temuto, ossia che le norme sulla cittadinanza ostacolassero la sua carriera, si sarebbe prodotto effettivamente . Così, sebbene l'azione principale avesse carattere meramente declaratorio e, essendo a scopo preventivo, si basasse su previsioni per loro natura incerte, il fatto che tali azioni fossero consentite dal diritto nazionale significava che le questioni sollevate dal giudice nazionale risultavano obiettivamente necessarie per la soluzione delle controversie con cui esso era stato ritualmente adito . Conseguentemente, sotto questo profilo la domanda di pronuncia pregiudiziale era ricevibile. Il punto fondamentale è che spettava al giudice nazionale stabilire, in base alla legge nazionale, se un'azione di quel tipo fosse possibile.

30. Anche il procedimento nazionale nella causa Imperial Tobacco riguarda un presunto rischio per l'esercizio futuro di diritti da parte dei ricorrenti (i fabbricanti di tabacco). La valutazione del giudice nazionale sulla possibilità di accordare un «declaratory remedy» deve ritenersi una corretta applicazione della normativa nazionale. Le differenze tra le due cause cui fa riferimento il Parlamento nella fattispecie rafforzano la tesi della ricevibilità. Se si parte dal principio che gli Stati membri cercheranno di adempiere gli obblighi che incombono loro in forza del Trattato, il fatto che sia loro richiesto di attuare le misure necessarie per il recepimento della direttiva sulla pubblicità non oltre il 30 luglio 2001 - ferma restando, naturalmente, la possibilità di ottemperarvi prima - conferisce, semmai, maggior concretezza alla minaccia per gli interessi dei ricorrenti nel procedimento principale rispetto al caso Bosman. La possibilità di differire l'applicazione di certi aspetti della direttiva al più tardi al 1° ottobre 2006 (in casi eccezionali relativi a sponsorizzazioni esistenti) potrebbe rendere la minaccia per certi versi più remota dal punto di vista temporale, ma in nessun caso più astratta . Conseguentemente, in queste condizioni, non vi è ragione perché la Corte metta in dubbio la valutazione del giudice nazionale sulla necessità di una pronuncia pregiudiziale sulla questione citata che gli consenta di pronunciare la propria sentenza .

31. Quanto all'altro argomento, secondo cui una domanda di pronuncia pregiudiziale relativa alla validità di un atto non dovrebbe consentire l'aggiramento delle condizioni di ricorso di cui all'art. 173 del Trattato, la Corte ha effettivamente escluso la possibilità di aggirare, per mezzo di una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla validità di una misura comunitaria, il termine di presentazione di un ricorso per annullamento previsto dalla detta disposizione, per una parte che avrebbe potuto «senza alcun dubbio» presentare tale ricorso . Il Consiglio, il Parlamento e la Francia tentano evidentemente di ampliare la portata di tale norma eccezionale nel senso che soggetti che non sono i destinatari di un atto comunitario di applicazione generale, né sono da questo interessati direttamente e individualmente, non sarebbero in grado di contestare la sua validità innanzi ai giudici nazionali, al fine di ottenere a questo proposito una pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia.

32. Nella causa Universität Hamburg/Hauptzollamt Hamburg-Kehrwieder, la Corte ha sottolineato che la decisione di un'autorità nazionale costituiva il solo atto che il richiedente nella causa principale potesse impugnare in giudizio «senza incontrare alcuna difficoltà nel provare il proprio interesse ad agire» e ha affermato che «[c]onformemente ad un principio giuridico generale, espresso nell'art. 184 del Trattato CEE, il richiedente deve avere la possibilità, nell'ambito del ricorso proposto in base al diritto nazionale contro il rigetto della sua domanda, di eccepire l'illegittimità della decisione della Commissione sulla quale è basato il provvedimento nazionale adottato nei suoi confronti» . Più in generale, nella causa Les Verts/Parlamento la Corte ha affermato che «[q]uando detta attuazione spetti alle autorita nazionali, esse [persone fisiche o giuridiche] possono far valere l'invalidità degli atti di portata generale dinanzi ai giudici nazionali e indurre questi ultimi a chiedere alla Corte di giustizia, mediante la proposizione di una domanda pregiudiziale, di pronunciarsi a questo proposito» . La Corte ha fatto presente che l'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE) costituisce parte di «un sistema completo di rimedi giuridici e di procedimenti inteso ad affidare alla Corte di giustizia il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni» e pertanto tutela «[l]e persone fisiche e le persone giuridiche (...) contro l'applicazione, nei loro confronti, di atti di portata generale che esse non possono impugnare direttamente davanti alla Corte a causa dei particolari presupposti di ricevibilità specificati nell'art. 173, secondo comma, del Trattato» .

33. A mio avviso, la causa Imperial Tobacco non rappresenta un caso di impugnazione diretta della direttiva sulla pubblicità, sebbene la questione della sua validità sia fondamentale per la risoluzione del procedimento nazionale. I produttori di tabacco, ricorrenti nella causa principale, cercano di impedire che i membri competenti del governo del Regno Unito mettano in atto l'annunciata intenzione di recepire la direttiva mediante «regulations» adottate sulla base della sezione 2(2) dell'European Communities Act 1972. Sembrerebbe che il diritto di costoro di procedere in questo senso, mediante normative delegate, dipenda dalla validità della direttiva . Pertanto, la validità della direttiva riguarda direttamente e incidentalmente una questione di diritto costituzionale del Regno Unito, ovvero la competenza dei convenuti nel procedimento principale ad adottare le norme previste. Non vi è quindi alcuna ragione per mettere in discussione l'ammissibilità della domanda pregiudiziale del giudice nazionale per i motivi indicati dal Consiglio, dal Parlamento e dalla Francia.

IV - Le osservazioni presentate innanzi alla Corte

34. Osservazioni scritte sono state presentate innanzi alla Corte nelle cause Germania e Imperial Tobacco dal Parlamento europeo, dal Consiglio dell'Unione europea, dalla Repubblica federale di Germania, dalla Repubblica francese, dalla Repubblica finlandese, dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e dalla Commissione delle Comunità europee. Osservazioni scritte sono state parimenti presentate nella causa Imperial Tobacco dalla Imperial Tobacco Ltd e dagli altri ricorrenti nel procedimento principale, nonché dalla Repubblica italiana. Il 12 aprile 2000 ha avuto luogo un'udienza comune alle due cause in cui erano rappresentati tutti coloro che avevano presentato osservazioni scritte.

35. Nella presentazione degli argomenti che segue, la Germania e i ricorrenti nel procedimento principale verranno collettivamente denominati «i ricorrenti». Le istituzioni comunitarie e gli altri Stati membri che hanno presentato osservazioni a sostegno della validità della direttiva sulla pubblicità verranno collettivamente denominati «i convenuti». Quando necessario, nella mia analisi esaminerò i dettagliati argomenti di fatto e le interpretazioni delle parti, la giurisprudenza e altri elementi da queste citati. Nell'esposizione che segue riporterò i motivi dedotti dalle parti nell'ordine che propongo di mantenere nella successiva analisi.

i) Fondamento giuridico e competenza

36. I ricorrenti sostengono che la Comunità non avrebbe avuto la competenza necessaria per l'adozione della direttiva, e in ogni caso certamente non sulla base delle disposizioni del Trattato su cui il legislatore effettivamente si è fondato. La Germania ritiene che l'adozione della direttiva costituisca uno sviamento di potere del legislatore comunitario. Affermare il contrario equivarrebbe a disconoscere il principio dell'attribuzione di competenza di cui all'art. 3 B del Trattato CE (divenuto art. 5 CE). Questo motivo è formato da due ampi argomenti correlati, i cui elementi di prova valgono altresì per i motivi relativi alla violazione dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà, di diritti fondamentali e dell'art. 30 del Trattato.

37. In base al primo argomento, la direttiva sarebbe, in realtà, una misura a tutela della salute, il cui eventuale effetto sul mercato interno sarebbe meramente accessorio rispetto allo scopo principale - riflesso nel suo contenuto - di ridurre il tabagismo. La salute avrebbe costituito il principale motore delle iniziative comunitarie relative alla pubblicità del tabacco dal 1985, quando fu lanciato il programma delle Comunità europee contro il cancro. Che la protezione della salute sia l'obiettivo principale della direttiva sarebbe dimostrato dai suoi attuali considerando e da quelli soppressi prima della sua adozione, dal fatto che il procedimento di adozione sia stato gestito dai ministri, dai commissari e altri agenti responsabili del settore Sanità, nonché da una serie di dichiarazioni dei politici responsabili. Il sindacato giurisdizionale non sarebbe limitato alla dichiarazione d'intenti enunciata nei considerando di un provvedimento, che potrebbero essere manipolati. Poiché l'art. 129 del Trattato esclude espressamente le misure di armonizzazione dall'ambito delle misure di cui prevede l'adozione, la Comunità non sarebbe stata competente ad adottare la direttiva ricorrendo ad un fondamento giuridico che sarebbe stato meramente accessorio rispetto al vero scopo e contenuto.

38. In base al secondo argomento, la direttiva non costituirebbe comunque una valida misura relativa al mercato interno, e ciò per diverse ragioni. In primo luogo, non vi sarebbe alcun commercio intracomunitario (o, comunque, non significativo) dei servizi o dei mezzi pubblicitari di cui trattasi, rispetto al commercio interno a ciascuno Stato membro, il che implicherebbe che le differenze tra le legislazioni nazionali frapporrebbero potenziali ostacoli del tutto trascurabili a tale commercio e non avrebbero causato rilevanti distorsioni della concorrenza. Per esempio, nessun quotidiano o periodico comunitario venderebbe più del 5% della tiratura fuori del Paese d'origine, né sarebbe soggetto a restrizioni per il fatto di contenere pubblicità a favore del tabacco. Qualsiasi ostacolo incontrato avrebbe potuto essere rimosso invocando la libertà di circolazione dei giornali, a prescindere dal contenuto pubblicitario. In secondo luogo, la direttiva avrebbe in realtà l'effetto di proibire completamente la pubblicità a favore del tabacco - circa il 98% di tale pubblicità in termini di valore, compresa quella con effetti puramente nazionali -, venendo a costituire un impedimento al libero commercio di beni e servizi relativi alla pubblicità. Inoltre, la pubblicità a favore del tabacco rappresenterebbe solo una parte molto limitata di tutta la pubblicità e i gusti ampiamente diversi nei vari Paesi comporterebbero diverse strategie promozionali a livello nazionale che non formerebbero oggetto di prestazioni di servizi o di fornitura di beni a livello transfrontaliero. Così, nella Comunità non vi sarebbe nessun marchio di tabacco realmente internazionale.

39. Benché restrizioni o divieti relativi a determinati prodotti o servizi possano essere necessari quali parte di un più ampio programma di apertura del mercato, la restrizione totale di un'attività economica non sarebbe compatibile con la realizzazione della libera circolazione dei beni e dei servizi. Nella fattispecie, si giungerebbe all'eliminazione della concorrenza. Il divieto non sarebbe compensato da vantaggi in altri settori della pubblicità; anche per quanto riguarda le irrilevanti eccezioni al divieto di pubblicità, la direttiva consente espressamente agli Stati membri di limitarle per garantire la protezione della salute delle persone, cosicché le condizioni di concorrenza, teoricamente pari, potrebbero comunque essere distorte.

40. La direttiva sulla pubblicità avrebbe inoltre effetti anticoncorrenziali e contribuirebbe alla compartimentazione del mercato, rendendone praticamente impossibile l'accesso - generalmente ottenuto attraverso la pubblicità - a nuove società produttrici di tabacco. La direttiva non sarebbe volta a contribuire alla libera circolazione dei prodotti del tabacco e produrrebbe distorsioni della concorrenza tra i media comunitari e quelli provenienti da Paesi terzi. Inoltre, produrrebbe distorsioni della concorrenza, su un altro mercato «autonomo», tra prodotti diversi dal tabacco (abiti, cosmetici, ecc.) contraddistinti da marchi associati al tabacco (prodotti di diversificazione) e prodotti privi di questa caratteristica.

41. I ricorrenti fanno presente, in linea di principio, che l'art. 100 A potrebbe essere applicato abusivamente per rimediare a pretese distorsioni della concorrenza e sostiene che l'uso della norma al suddetto fine dovrebbe rimanere confinato ad ambiti in cui anche la Comunità detiene una competenza ratione materiae. In caso contrario, data la limitatezza del sindacato giurisdizionale, la maggioranza qualificata in seno al Consiglio potrebbe venire utilizzata per minare la ripartizione dei poteri tra la Comunità e gli Stati membri.

42. Secondo i ricorrenti, la pubblicità a favore del tabacco formerebbe l'oggetto di alcuni scambi transfrontalieri, sia di servizi (per esempio, quando società multinazionali commissionano l'elaborazione uniforme di marchi, loghi, immagini, slogan e temi per i prodotti del tabacco), sia di beni (attraverso lo scambio di beni che fungono da supporto o strumento per la pubblicità, come i giornali, le locandine, i manifesti e i filmati pubblicitari per il cinema). Esisterebbero, insomma, in una certa misura, marchi internazionali di prodotti e le campagne promozionali sarebbero gestite anche oltre le frontiere dei singoli Stati membri. La portata del divieto (per esempio, il 98%) non potrebbe essere quantificata semplicemente sulla base dell'attività pubblicitaria precedentemente consentita in Paesi relativamente liberali come la Germania. Restrizioni di portata ampiamente diversa per la pubblicità a favore del tabacco nei vari Stati membri (dal divieto assoluto in Finlandia, Italia e Portogallo ai regimi relativamente liberali di Stati membri come la Germania) costituirebbero ostacoli alla fornitura di servizi pubblicitari e alla libera circolazione delle merci. Secondo alcune parti, queste divergenze normative pregiudicherebbero persino la libera circolazione dei prodotti del tabacco, nonché la concorrenza tra di loro.

43. Tali ostacoli e la conseguente distorsione della concorrenza avrebbero potuto essere risolti solo mediante il ravvicinamento delle legislazioni nazionali. In questa fase, si sarebbe optato per una disciplina che assicurasse un alto grado di protezione della salute, sia perché in questo modo si sarebbe tenuto conto della normativa già esistente in taluni Stati membri - apparentemente adeguata, ma in realtà perfino più rigorosa - sia perché l'art. 100 A, n. 3, e, più in generale, l'art. 129, n. 1, terzo comma, lo richiedevano. Questi due obiettivi sarebbero stati complementari; l'obiettivo relativo alla salute non avrebbe escluso quello relativo al mercato interno, che sarebbe stato già sufficiente a giustificare il fondamento giuridico indicato. L'art. 100 A del Trattato non avrebbe mirato alla liberalizzazione incontrollata delle normative nazionali. Tale norma consentirebbe anche la regolamentazione del mercato senza liberalizzazione. Inoltre, un'ampia regolamentazione sarebbe stata necessaria per evitare che la disciplina venisse aggirata (e per evitare distorsioni della concorrenza) ricorrendo in misura crescente ad attività di pubblicità e di sponsorizzazione con mezzi esterni all'ambito di applicazione della direttiva, sebbene alcuni di questi non formino oggetto di un apprezzabile scambio transfrontaliero. Persino i media operanti a livello semplicemente locale potrebbero fornire servizi ad agenzie di pubblicità o produttori di tabacco stranieri. Vi sarebbero numerosi casi di normative che stabiliscono un divieto totale relativamente a certi beni o servizi o che regolano in maniera rigorosa certe forme di pubblicità. Tuttavia, la direttiva non costituirebbe un divieto totale a carico della pubblicità del tabacco, a causa delle eccezioni di cui all'art. 5 e della possibilità per gli Stati membri di non vietare la pubblicità a favore dei prodotti di diversificazione.

44. Si potrebbe pertanto ritenere che sia stata creata una situazione di parità di condizioni per le restanti forme consentite di pubblicità, tale per cui ai fornitori di servizi pubblicitari, ai produttori e ai distributori di strumenti pubblicitari sarebbe consentito di competere liberamente in base a regole comuni. Non sarebbe necessario che le misure apportino vantaggi di una determinata ampiezza al mercato interno, né che gli ostacoli agli scambi preesistenti all'adozione delle misure di armonizzazione rivestano una certa importanza. Insomma, le misure relative al mercato interno non sarebbero soggette al criterio de minimis. Tale aspetto dovrebbe essere valutato solo dal punto di vista della proporzionalità. Una simile armonizzazione sarebbe ammissibile come risposta a rischi puramente potenziali, anche qualora questi non minaccino di restringere gli scambi o di distorcere la concorrenza in misura considerevole. Limitare l'accesso delle nuove marche di tabacco a determinati strumenti pubblicitari non danneggerebbe la loro affermazione sul mercato. La questione dell'entità delle distorsioni della concorrenza sarebbe rilevante solo con riferimento all'art. 100 A del Trattato.

45. La direttiva costituirebbe chiaramente una misura relativa al mercato interno piuttosto che alla salute; il fondamento giuridico corretto sarebbe pertanto dato dagli artt. 57, n. 2, 66 (per i servizi) e 100 A del Trattato. Ciò risulterebbe dal suo scopo e dal suo contenuto, oggettivamente enunciati nei considerando e nelle diverse disposizioni. A questo non sarebbe possibile opporre la mera prova soggettiva dell'intenzione del legislatore, deducendola dai lavori preparatori, che formerebbero semplicemente una parte del contesto della direttiva. Fattori quali la composizione del Consiglio o il parere generale dei gruppi di lavoro sarebbero irrilevanti. Conseguentemente, non si potrebbe affermare che il centro di gravità della direttiva sia esterno all'obiettivo della realizzazione del mercato interno o che le sue disposizioni siano meramente accessorie e incidentali rispetto all'instaurazione e al funzionamento di quest'ultimo. L'esclusione delle misure di armonizzazione dall'art. 129, n. 4, del Trattato non inciderebbe sull'ambito di applicazione dell'art. 100 A, soggetto unicamente ai limiti esplicitamente posti dall'art. 100 A, n. 2.

ii) Sussidiarietà

46. I ricorrenti sostengono che, anche se la Comunità fosse competente ad agire in base ai fondamenti giuridici indicati, questa competenza sarebbe condivisa con gli Stati membri. Il legislatore non avrebbe rispettato il principio di sussidiarietà formulato dal Consiglio europeo di Edimburgo del 1992 o nell'Accordo interistituzionale tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sulle procedure per l'attuazione del principio di sussidiarietà . In particolare, nei considerando della direttiva non si sarebbe fatto riferimento al principio di sussidiarietà. Inoltre, non sarebbe stata addotta alcuna prova qualitativa o quantitativa della necessità di un'azione comunitaria. In mancanza di un rilevante elemento transfrontaliero e alla luce delle sostanziali differenze nazionali, la disciplina della pubblicità dovrebbe rimanere affidata agli Stati membri. La mancata applicazione del principio di sussidiarietà alle misure adottate sulla base dell'art. 100 A del Trattato priverebbe quasi di significato tale principio.

47. Il principale argomento dei convenuti è che la competenza a coordinare o ravvicinare le legislazioni, attribuita alla Comunità dagli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato, sarebbe esclusiva per natura, per cui il principio di sussidiarietà sarebbe automaticamente inapplicabile. In ogni caso, anche qualora il detto principio dovesse essere applicato, gli Stati membri sarebbero chiaramente incapaci di raggiungere l'obiettivo della direttiva di eliminare le distorsioni della concorrenza e gli ostacoli agli scambi transfrontalieri degli strumenti e dei servizi pubblicitari, rendendosi quindi necessaria un'azione a livello comunitario. Il legislatore avrebbe chiaramente valutato e ponderato la necessità di un'azione comunitaria per far fronte alla divergenze tra le discipline nazionali. Inoltre, la direttiva lascerebbe agli Stati membri un ampio margine di manovra sotto diversi profili.

iii) Proporzionalità

48. Quanto all'obiettivo dichiarato nella direttiva di favorire il mercato interno, i ricorrenti sostengono che gli effetti di un divieto pressoché totale sarebbero minimi ovvero controproducenti per le ragioni sopra esposte. La valutazione del mercato contenuta nei considerando sarebbe solo ipotetica e non giungerebbe a fornire la prova necessaria a dimostrare la proporzionalità. Tale divieto limiterebbe gli scambi senza eliminare alcun ostacolo reale o distorsione, rivelandosi non necessario né adeguato. A torto il legislatore avrebbe ritenuto che la direttiva conducesse a una riduzione del consumo di tabacco, giacché la pubblicità servirebbe a consolidare le quote di mercato di un marchio piuttosto che a incrementare il numero dei fumatori. In realtà, nonostante la richiesta in tal senso espressa dal Consiglio, non sarebbe stato effettuato alcuno studio ad hoc relativamente al probabile effetto di un divieto di pubblicità, né sul fumo, né sui prodotti di diversificazione. La tesi secondo cui un divieto totale ridurrebbe il consumo globale di tabacco sarebbe stata respinta dalla Supreme Court del Canada e sarebbe contraddetta da importanti prove presentate innanzi al giudice nazionale nella causa Imperial Tobacco. Per raggiungere il detto scopo, vi sarebbero altri metodi, meno restrittivi e più efficaci, tra cui campagne di informazione e limitazioni del diritto di fumare. L'armonizzazione delle norme sulla libera circolazione di giornali e altri periodici o la censura della pubblicità del tabacco in pubblicazioni commercializzate fuori dalle frontiere avrebbero avuto effetti meno restrittivi sul commercio.

49. I convenuti replicano che il legislatore godrebbe di un ampio margine di discrezionalità. La sua scelta legislativa non sarebbe sindacata se non quando presenti un errore manifesto o imponga oneri assolutamente sproporzionati rispetto ai benefici che possono essere tratti da una disposizione. Al fine di stabilire se la direttiva sia proporzionata o meno, si dovrebbe tenere conto sia del suo scopo principale relativo al mercato interno sia dello scopo complementare relativo alla sanità pubblica. Data l'importanza di tali obiettivi e il livello delle restrizioni nazionali esistenti, il legislatore avrebbe raggiunto un equilibrio adeguato tra gli interessi pubblici e privati. Tutti gli operatori si troverebbero ora su un piede di parità. La perdita di informazione rivolta al pubblico relativa, per esempio, alle sigarette a basso contenuto di catrame sarebbe compensata dalla prospettiva di una riduzione globale del consumo. Inoltre, non sarebbe sostenibile che la direttiva non abbia un simile effetto, tenendo conto degli studi citati dal Consiglio, dal governo del Regno Unito e dalla Francia, dato che la funzione della pubblicità sarebbe proprio quella di incentivare il consumo. I ricorrenti sostengono, ancora, che il divieto non sarebbe totale (a differenza di ciò che si è verificato in Canada) e avrebbe addirittura l'effetto di portare a una certa liberalizzazione in certi Stati membri. Essi fanno anche riferimento ai lunghi periodi di transizione previsti in determinati casi, all'opzione di non vietare la pubblicità di certi prodotti di diversificazione e al fatto che solo un aspetto dell'esercizio del diritto di marchio verrebbe proibito.

iv) Violazione dell'art. 30

50. La Germania sostiene che, persino quando adotta misure di armonizzazione, il legislatore comunitario è vincolato alle disposizioni dell'art. 30 del Trattato. La direttiva vieterebbe effettivamente qualsiasi scambio transfrontaliero di strumenti pubblicitari, imponendo restrizioni sproporzionate la cui necessità non sarebbe stata dimostrata scientificamente e per cui sarebbero state disponibili altre misure.

51. I convenuti affermano che l'art. 30 del Trattato si applica solo in mancanza di misure di armonizzazione. Anche se la detta disposizione fosse applicabile, essa non potrebbe condurre a risultati diversi da quelli derivanti dall'esame della competenza di cui all'art. 100 A del Trattato e della proporzionalità del provvedimento adottato. La direttiva in effetti eliminerebbe ostacoli al commercio, assicurando allo stesso tempo un alto livello di protezione della salute.

v) Il diritto di proprietà e il diritto all'esercizio di un'attività economica

52. I ricorrenti si richiamano all'art. 222 del Trattato CE (divenuto art. 295 CE) e all'art. 1 del primo protocollo allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. L'art. 3, n. 1, della direttiva priverebbe le società produttrici di tabacco, le agenzie di pubblicità e le imprese di comunicazione di diritti contrattuali esistenti. Le restrizioni imposte all'uso dei marchi riguarderebbero il loro oggetto specifico e costituirebbero un'espropriazione contraria all'art. 20 dell'Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS) 15 aprile 1994, nonché ai diritti fondamentali citati, e sarebbero solo parzialmente attenuate dall'art. 3, n. 2, della direttiva. Le imprese che si occupano della commercializzazione dei prodotti di diversificazione subirebbero perdite considerevoli. Le dette restrizioni sarebbero sproporzionate e, pertanto, illegittime.

53. I convenuti ritengono che l'art. 222 del Trattato non sia rilevante, poiché la direttiva non riguarderebbe il regime della proprietà negli Stati membri. I diritti invocati non sarebbero assoluti e nell'interesse comune potrebbero essere soggetti a restrizioni proporzionate che non ne pregiudicherebbero la vera sostanza. La regolamentazione dell'uso dei marchi non equivarrebbe a un'espropriazione, giacché essi potrebbero essere sempre usati sui prodotti del tabacco stessi e in forme di pubblicità consentite. Inoltre, la perdita di profitti non costituirebbe una lesione del diritto di proprietà né del diritto ad esercitare un'attività economica.

vi) Libertà di espressione

54. I ricorrenti si richiamano, in particolare, all'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che includerebbe la protezione della comunicazione commerciale, fra cui la pubblicità attraverso la quale le imprese possono offrire al pubblico utili informazioni sui loro prodotti, come quelli a basso contenuto di catrame. Tale protezione sarebbe riconosciuta dal diritto comunitario. Le restrizioni imposte alla comunicazione commerciale non sarebbero accettabili allorché riguardino prodotti che sono di per sé leciti. A parere dei ricorrenti, l'instaurazione del mercato interno non costituirebbe un motivo legittimo per restringere il detto diritto. Far valere gli effetti positivi del divieto per la salute delle persone sarebbe inconciliabile con il fondamento giuridico scelto. Inoltre, non vi sarebbe alcuna prova scientifica che attesti in misura convincente che tali restrizioni conducano ad una riduzione del consumo di tabacco. In realtà, la concorrenza sui prezzi tra produttori che ne scaturirebbe avrebbe probabilmente come risultato un incremento del consumo. Non sarebbe necessario che la Corte attribuisse al legislatore un ampio margine di discrezionalità a questo proposito. La restrizione imposta sarebbe pertanto sproporzionata. Un divieto totale di pubblicità costituirebbe una lesione particolarmente grave della libertà d'espressione e della libera scelta di altri. Tale conclusione sarebbe confermata dalla giurisprudenza canadese, statunitense e austriaca.

55. I convenuti replicano che i diritti fondamentali non sarebbero assoluti e dovrebbero essere considerati nel contesto dell'ordinamento giuridico comunitario, che contempla la salvaguardia delle libertà economiche fondamentali. L'art. 10, n. 2, della Convenzione ammetterebbe restrizioni della libertà di espressione a favore della sanità pubblica, un obiettivo legittimamente perseguito dalla direttiva contemporaneamente a quello della realizzazione del mercato interno. La pubblicità del tabacco favorirebbe il fumo, che comporterebbe considerevoli rischi per la salute. Ampie restrizioni della comunicazione commerciale relativa a tali prodotti sarebbero pertanto proporzionate, in particolar modo quando il suo contenuto informativo sia trascurabile. Un lungo periodo di transizione sarebbe ammesso per quanto concerne la sponsorizzazione di avvenimenti artistici e sportivi, così da consentire la ricerca di altre fonti di finanziamento.

vii) L'obbligo di motivazione

56. Secondo i ricorrenti, la motivazione della direttiva sarebbe carente sotto diversi profili, in violazione dell'art. 190 del Trattato CE (divenuto art. 253 CE). Nei considerando non si farebbe riferimento ad aspetti transfrontalieri della pubblicità e della sponsorizzazione del tabacco, né a specifici ostacoli per il commercio o a distorsioni della concorrenza che potrebbero giustificare l'adozione di misure di armonizzazione nel settore della pubblicità a favore del tabacco, né si indicherebbe per quale motivo le restrizioni alla pubblicità avrebbero dovuto essere estese a tutti i media, nonché alla sponsorizzazione, alle distribuzioni gratuite, alla pubblicità dei prodotti di diversificazione e ad aspetti concernenti i marchi dei prodotti del tabacco. Inoltre, i considerando non rifletterebbero in pieno il fatto che il vero motivo dell'adozione della direttiva era la protezione della salute. Allo stesso tempo, essi non indicherebbero in che modo la direttiva dovrebbe migliorare la protezione della salute. I considerando ometterebbero altresì ogni riferimento ai principi di proporzionalità e di sussidiarietà.

57. I convenuti replicano che i considerando conterrebbero gli elementi essenziali della motivazione del legislatore in relazione al mercato interno, elementi che verrebbero sviluppati più ampiamente nell'argomentazione del controricorso sul primo motivo, precedentemente illustrata, che verte sulla necessità di un alto grado di protezione della salute. Il diritto comunitario non richiederebbe la presenza di dettagli tecnici nei considerando di un provvedimento generale: in tali casi sarebbe sufficiente l'indicazione della situazione di base e degli obiettivi perseguiti. L'ampiezza delle restrizioni della pubblicità imposte dalla direttiva sarebbe spiegata nei considerando attraverso il riferimento al rischio che un provvedimento più limitato venga aggirato e alla necessità di disciplinare forme di pubblicità indiretta. Non sarebbe necessario fare espresso riferimento a principi come quello di sussidiarietà, nella misura in cui, se tali principi sono applicabili, i considerando contengono elementi che comprovino la conformità ai detti principi. In generale, la motivazione fornita sarebbe tale da consentire alle parti interessate e alla Corte di esaminare la questione nell'ambito di un sindacato giurisdizionale.

V - Analisi

i) Fondamento giuridico e competenza

Introduzione

58. In questa sezione analizzerò i due estesi argomenti dei ricorrenti secondo cui la direttiva sulla pubblicità non sarebbe stata validamente adottata sulla base degli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato sia perché (i) il suo "centro di gravità" sarebbe costituito dalla protezione della salute piuttosto che dal mercato interno - sul quale gli effetti sarebbero, quindi, incidentali - sia perché ii) essa, in quanto misura essenzialmente di divieto, non soddisferebbe comunque le condizioni poste dalle dette norme. In breve, la mia analisi è la seguente. Ai sensi degli artt. 57, n. 2, e 100 A, la competenza è definita dal punto di vista funzionale con riferimento agli obiettivi di mercato interno e si applica in misura ampia e orizzontalmente in settori altrimenti disciplinati, per lo più, dagli Stati membri. La protezione della salute deve, ove necessario, essere tenuta in conto dalla Comunità nell'esercizio delle sue competenze. In mancanza di una distinta competenza della Comunità al fine di armonizzare la protezione della salute e data la possibilità che obiettivi relativi alla protezione della salute, da un lato, e al mercato interno, dall'altro, vengano perseguiti parallelamente, non è possibile stabilire se la Comunità abbia agito nell'ambito delle sue competenze individuando in una di queste finalità così diverse un presunto "centro di gravità" della misura. Il problema della competenza deve essere risolto, invece, col valutare la conformità della direttiva ai requisiti oggettivi del mercato interno, considerando in particolar modo i vantaggi concreti che la misura intende apportare al mercato interno. Nel caso della direttiva sulla pubblicità, tali vantaggi sono menzionati dal legislatore comunitario solo con riferimento alla pubblicità e alla sponsorizzazione a favore del tabacco e agli strumenti utilizzati in quel settore. Poiché però la direttiva impone, in realtà, un bando totale delle attività economiche in quel settore, e non armonizza le legislazioni nazionali che disciplinano quelle aree relativamente minori in cui la pubblicità a favore del tabacco non è vietata, non si può ritenere che essa faciliti il libero scambio delle merci o la libera prestazione di servizi, o che elimini distorsioni della concorrenza nel settore di cui trattasi. Conseguentemente, con riferimento alle condizioni del fondamento giuridico indicato dal legislatore, essa è nulla.

La natura della competenza comunitaria

59. Al fine di esaminare la censura, sollevata in entrambe le cause, secondo cui il legislatore comunitario avrebbe travalicato i limiti dei poteri conferitigli dal Trattato e, in particolare, la direttiva sulla pubblicità non potrebbe poggiare sul fondamento giuridico dichiarato, è necessario ricordare la natura della competenza comunitaria e i principi che reggono l'esercizio da parte della Corte del sindacato giurisdizionale sull'esercizio di tale competenza.

60. La competenza viene attribuita alla Comunità da diverse norme del Trattato al fine di raggiungere determinati obiettivi specifici di tali norme, alla luce degli obiettivi generali della Comunità; la portata della competenza comunitaria deve, pertanto, essere determinata in relazione all'ampiezza dei detti obiettivi. L'art. 3 B del Trattato dispone, infatti, che «[l]a Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati» (il corsivo è mio). Da tale norma consegue che la Comunità «dispon[e] unicamente di poteri attribuiti» . Spetta alla Corte, tra le altre cose, garantire che la Comunità rispetti i limiti di tali competenze.

61. A questo proposito, la Corte ha stabilito che «la scelta del fondamento giuridico di un atto non può dipendere solo dal convincimento di un'istituzione circa lo scopo perseguito» e ha messo in evidenza, in una vasta serie di sentenze, che, al contrario, «nell'ambito del sistema di competenze della Comunità, la scelta del fondamento giuridico di un atto deve fondarsi su elementi oggettivi, suscettibili di controllo giurisdizionale. Tra tali elementi figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto dell'atto» . Sebbene la Corte segua generalmente questa impostazione nelle cause in cui emerge il problema di stabilire quale fondamento giuridico debba essere utilizzato per l'adozione dell'atto, tale criterio oggettivo trova applicazione altresì in cause in cui il solo fondamento giuridico alternativo possibile è l'art. 235 del Trattato CE e, a mio avviso, nelle cause in cui non sembrano esserci alternative . In simili casi - ed anche nelle cause di cui si discute - la Corte si trova di fronte ad un conflitto più o meno acuto tra le competenze legislative della Comunità e quelle degli Stati membri .

62. La competenza attribuita alla Comunità dall'art. 100 A, n. 1, del Trattato è di natura orizzontale e non è limitata a priori da un riferimento a un oggetto particolare definito ratione materiae . La Comunità è invece autorizzata ad adottare misure di armonizzazione «che hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno». Così, la portata delle competenze della Comunità è definita «in virtù di un criterio di carattere funzionale, estendendosi in modo trasversale all'insieme delle misure destinate all'instaurazione del "mercato interno"» . Ciò «porta (...) ad atti di legislazione comunitaria che riguardano i settori più disparati del diritto nazionale» , a condizione che ciò sia rilevante ai fini dell'instaurazione e del funzionamento del mercato interno . In questo modo, l'ampiezza delle competenze ai sensi dell'art. 100 A è definita esclusivamente con riferimento al suo obiettivo dichiarato e non al suo oggetto materiale.

63. L'art. 57, n. 2, del Trattato stabilisce altresì una competenza funzionale di applicazione orizzontale, sebbene di portata più specifica o limitata rispetto a quella conferita alla Comunità dall'art. 100 A: nessun ambito di competenza degli Stati membri è escluso a priori dall'adozione di misure volte a eliminare ostacoli alle libertà di stabilimento e di prestazione di servizi. Gli artt. 57, n. 2, e 66 del Trattato sono citati anche come parte del fondamento giuridico della direttiva, in quanto il primo e il secondo considerando di quest'ultima indicano che essa riguarda, in parte, gli ostacoli alla libera prestazione dei servizi. Poiché gli artt. 57, n. 2, e 100 A riguardano entrambi, in modo più o meno specifico secondo il loro ambito di applicazione, il raggiungimento di obiettivi di mercato interno, e poiché le procedure legislative da questi prescritte non sono incompatibili , non è necessario, in questa sede, cercare di fissare con precisione la linea di demarcazione tra di loro, per quanto riguarda, per esempio, la competenza a sanare distorsioni della concorrenza tra fornitori di servizi.

Competenza comunitaria e competenza nazionale: obiettivi differenti

64. L'esercizio delle competenze attribuite al fine di raggiungere ampi obiettivi funzionali riguarda per natura contemporaneamente settori che normalmente appartengono alla sfera di competenza, definita ratione materiae, degli Stati membri e/o della Comunità. Nel momento in cui è soddisfatta la condizione che essa abbia ad oggetto l'instaurazione o il funzionamento del mercato interno o riguardi disposizioni nazionali relative all'accesso o all'esercizio di attività per la fornitura di servizi, il contenuto di una disposizione di ravvicinamento o di coordinamento - il livello di regolamentazione, il tipo di programma, ecc. - deve altresì, in linea di principio, essere influenzato da considerazioni relative a problematiche materiali, come la sanità pubblica. Inoltre, l'art. 100 A, n. 3, impone alla Commissione di basarsi «su un livello di protezione elevato» nel proporre misure di armonizzazione «in materia di sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e protezione dei consumatori». Questo principio è rafforzato da quanto espresso all'art. 129, n. 1, terzo comma: «Le esigenze di protezione della salute costituiscono una componente delle altre politiche della Comunità».

65. Anche in mancanza di disposizioni quali gli artt. 100 A, n. 3, e 129, n. 1, terzo comma, una tale soluzione sarebbe perfettamente normale, poiché la Comunità non agisce in un vuoto politico. Adottando misure di ravvicinamento o di coordinamento, essa sostituisce norme comunitarie a norme nazionali che, qualunque sia il loro effetto restrittivo sul commercio o l'effetto di distorsione sulla concorrenza, potrebbero essere state ispirate da problematiche materiali completamente diverse, come la salute, la protezione dei consumatori, la protezione dell'ambiente e così via . Così, nell'adottare misure di legge, la Comunità si sostituisce agli Stati membri e deve dare importanza a tematiche politiche nazionali che non rientrano in modo specifico nelle proprie competenze - e, a fortiori, a quelle tematiche per le quali lo stesso Trattato raccomanda espressamente che si garantisca un elevato livello di protezione.

66. Pertanto, le naturali preoccupazioni per la salute che furono alla base delle iniziali disparate restrizioni nazionali in taluni Stati membri, e la politica scelta dal legislatore comunitario, evidentemente sulla base di analoghe considerazioni , di per sé non lasciano adito, secondo me, ad alcun dubbio circa la competenza della Comunità ad adottare una misura relativa al mercato interno. Questa sola circostanza non dimostra che la Comunità abbia sconfinato in un settore riservato esclusivamente agli Stati membri né che l'obiettivo della misura sia la protezione della salute con esclusione di qualsiasi altro obiettivo . Piuttosto, è decisivo stabilire se si possa ritenere che una data misura abbia come oggetto l'instaurazione e il funzionamento del mercato interno o la realizzazione della libera prestazione dei servizi . Non si può supporre che un più elevato livello di protezione della salute comporti un «contenuto» inferiore dal punto di vista del mercato interno. Ogni obiettivo materiale relativo alla salute o ad un altro settore dell'attività legislativa che sia parimenti perseguito non è in competizione o in posizione accessoria, bensì di natura diversa e, quindi, può essere perseguito contemporaneamente, o «inscindibilmente» , con l'intensità che il legislatore desideri (o si senta obbligato di) dedicargli, nella misura in cui gli obiettivi relativi al mercato interno sono serviti dalla misura adottata.

Il «centro di gravità» della direttiva sulla pubblicità

67. I ricorrenti hanno sostenuto il contrario e hanno attribuito un'importanza notevole all'art. 129, n. 4, del Trattato. A loro avviso, in sostanza, il «centro di gravità» della direttiva sulla pubblicità risiederebbe nell'ambito della sanità pubblica, piuttosto che del mercato interno, l'art. 129 sarebbe l'unica disposizione del Trattato dedicata a tale obiettivo e l'art. 129, n. 4, escluderebbe espressamente qualsiasi armonizzazione. L'art. 129, n. 4, autorizza il Consiglio e il Parlamento ad adottare, mediante la procedura di co-decisione, «misure di incentivazione» al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi di sanità pubblica del detto articolo, ma esclude espressamente «qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri».

68. Appare evidente da quanto sopra esposto che non ritengo corretto cercare di valutare la legittimità della direttiva chiedendosi se il suo «centro di gravità» stia nel perseguimento di obiettivi relativi alla sanità pubblica piuttosto che al mercato interno. Una simile impostazione risulta pertinente ove sia controverso se una misura avrebbe dovuto essere adottata con riferimento ad un fondamento giuridico piuttosto che ad un altro parimenti possibile . Normalmente, quando entrambi gli aspetti di una misura sono essenziali alla stessa stregua, dovrebbero essere utilizzati entrambi i fondamenti giuridici e dovrebbero essere rispettate le relative procedure legislative . Solo quando le procedure sono incompatibili un doppio fondamento giuridico è impossibile e si deve operare una scelta tra i due . Dall'altro lato, qualora una misura si ricolleghi principalmente ad un settore di azione, avendo effetti di carattere puramente accessorio su altre politiche, ci si dovrebbe avvalere di una sola base giuridica . Il concetto di «centro di gravità» viene talvolta utilizzato in tale contesto, quando si valuta se gli effetti di una misura in un determinato settore siano meramente accessori o marginali.

69. Comunque, nelle presenti cause non ci troviamo di fronte ad una scelta tra due possibili fondamenti giuridici. E' palese che l'art. 129, n. 4, del Trattato non rappresenta un fondamento giuridico alternativo per la direttiva sulla pubblicità, giacché esso esclude misure di armonizzazione. Al contrario, il caso è parzialmente simile alla situazione nella causa Biossido di titanio : se, come nella detta causa, uno dei due fondamenti giuridici deve essere necessariamente escluso o, come nelle presenti cause, non esiste alcun fondamento giuridico alternativo, la Comunità è competente, in virtù dell'art. 100 A (e, per estensione del ragionamento della Corte, dell'art. 57, n. 2) ad adottare misure a favore del mercato interno e, parallelamente, di un altro obiettivo di interesse pubblico, che si tratti di protezione dell'ambiente o di sanità pubblica. La questione della competenza è risolta in senso positivo nel momento in cui l'obiettivo relativo al mercato interno sia effettivamente perseguito; così, nella causa Biossido di titanio la Corte ha esaminato i requisiti oggettivi di un provvedimento adottato sulla base dell'art. 100 A, senza tener conto del «peso» relativo degli aspetti legati al mercato interno e all'ambiente nella struttura del testo legislativo . Analogamente, dati questi presupposti, non si può stabilire se gli effetti di una misura sul mercato interno siano meramente accessori valutando l'intensità relativa del detto aspetto della misura rispetto all'aspetto concernente la sanità pubblica. Ho già cercato di dimostrare che i detti obiettivi non si escludono a vicenda, ma sono piuttosto di ordine differente e non sono concorrenti. La natura meramente accessoria o marginale degli effetti di una misura sul mercato interno dovrebbe essere valutata con riferimento a criteri specifici di un certo obiettivo ai sensi del Trattato, come tenterò di mostrare nel prosieguo della trattazione.

L'ambito di applicazione dell'art. 129, n. 4, del Trattato

70. I ricorrenti citano anche l'art. 129, n. 4, del Trattato, sostenendo che esso limiterebbe la portata dell'azione della Comunità ai sensi dell'art. 100 A stesso. Entrambi si richiamano alle conclusioni dell'avvocato generale Jacobs nella causa Spagna .

71. Sebbene sia pacifico che la direttiva non avrebbe potuto essere adottata sulla base dell'art. 129, n. 4, sarebbe sorprendente (e dannoso per la certezza del diritto) che gli autori del Trattato sull'Unione europea, nell'attribuire nuove competenze in materia di sanità pubblica nell'ambito del Trattato, avessero ristretto così rigorosamente la competenza esistente in un altro settore solo perché questo talvolta interesserebbe la sanità pubblica . Gli artt. 100 A e 129 non sono in contraddizione sotto nessun profilo. Come abbiamo visto, gli artt. 100 A, n. 3, e 129, n. 1, terzo comma, si integrano e mostrano che l'art. 100 A può essere utilizzato per adottare misure volte ad una migliore protezione della salute. La restrizione di cui all'art. 129, n. 4, non è in contrasto con le dette norme: essa riguarda, stando alla sua lettera, solo le «misure di incentivazione» ivi previste.

72. Né ritengo che l'avvocato generale Jacobs abbia detto nulla di diverso nel passo citato sia dalle società produttrici di tabacco sia dalla Germania. Egli ha semplicemente menzionato l'art. 129, n. 4, ed alcune altre norme come esempi di esclusione della competenza legislativa comunitaria, per mettere in contrasto tali disposizioni con la mancanza di qualsiasi limitazione analoga «in materia di brevetti, o di proprietà intellettuale in generale». L'avvocato generale non ha neppure espresso - né si può sostenere ragionevolmente che l'abbia fatto implicitamente - alcuna opinione in merito all'ampiezza di tale esclusione o, in particolare, sulla possibilità che ciò limiti la competenza legislativa al di là del suo contesto specifico. Nell'ambito dell'art. 100 A, simili esclusioni avrebbero potuto essere più facilmente messe in atto ampliando l'elenco di cui all'art. 100 A, n. 2, delle tematiche espressamente escluse ratione materiae.

73. Riassumendo, ritengo che l'art. 129 del Trattato non sia pertinente ai fini del dibattito sul fondamento giuridico che interessa le presenti cause. Il fatto che i ricorrenti vi si richiamino scaturisce da premesse manifestamente sbagliate, cioè che la Comunità, in mancanza della limitazione di cui all'art. 129, n. 4, sarebbe stata competente ad adottare misure di armonizzazione «[p]er contribuire alla realizzazione degli obiettivi previsti» [dall'articolo 129], sulla base di altre disposizioni del Trattato, tra cui l'art. 100 A, a prescindere dagli obiettivi specifici di questi altri fondamenti giuridici.

La genesi storica della direttiva

74. I ricorrenti si sono ampiamente richiamati anche alla serie di avvenimenti che hanno condotto all'adozione della direttiva sulla pubblicità, da me già in gran parte riassunta (paragrafi 14-20). Certamente, la Corte ha tenuto conto occasionalmente della genesi storica di un atto comunitario come ausilio per la sua interpretazione e ha perfino richiamato il rigetto da parte del Consiglio di un emendamento proposto dal Parlamento come conferma della volontà del primo di non spostare il «centro di gravità» della misura tra i due fondamenti giuridici . Più in generale, comunque, il contesto dell'adozione di un atto è irrilevante per determinarne la base giuridica appropriata .

75. I ricorrenti citano la genesi storica dell'atto non al fine di interpretare disposizioni oscure della direttiva sulla pubblicità, bensì al fine di dimostrare che in realtà - dal punto di vista sia del contenuto sia dell'intento degli autori - si trattava di una misura concepita in primo luogo per la protezione della salute, attraverso la riduzione delle vendite dei prodotti del tabacco, e conseguentemente non di una vera misura relativa al mercato interno. Comunque, dovrebbe risultare chiaro dalla mia analisi che ogni misura relativa al mercato interno per natura persegue, affatto legittimamente, due obiettivi; l'uno consiste nell'eliminazione di ostacoli al commercio o di distorsioni della concorrenza e l'altro - che è il mezzo per raggiungere il primo - consiste nell'adozione di misure comunitarie armonizzate che sostituiscano le misure nazionali nel settore interessato. Pertanto, tolto il fatto che il Trattato prevede - ed è tutto - un Consiglio composto semplicemente da «un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato ad impegnare il governo di detto Stato membro» , l'andamento delle negoziazioni del Consiglio prima dell'adozione finale della direttiva da parte dei ministri della sanità non prova nulla. Lo stesso vale per la discussione della proposta in seno ad gruppo di lavoro del Consiglio e ad una commissione parlamentare per la sanità. Inoltre, è prevedibile che chi è impegnato politicamente nella promozione o nell'attuazione delle dette misure sia interessato e motivato - anzi, soprattutto motivato - dal secondo aspetto piuttosto che dal primo. Simili priorità sono assolutamente soggettive ed è, pertanto, inopportuno che la Corte prenda in considerazione dichiarazioni di rappresentanti politici effettuate nel corso dell'iter legislativo.

76. Analogamente, anche se pareri giuridici come quello attribuito al servizio giuridico del Consiglio possono essere ammessi quali prove , il fatto che tali opinioni siano state espresse e l'impressione che non abbiano destano reazioni a livello politico, nonché la loro apparente contraddizione con la posizione del Consiglio nelle presenti cause sono irrilevanti ai fini dell'esame giuridico obiettivo della normativa ad opera della Corte. Resta il fatto che il controllo della Corte sulla competenza della Comunità ad adottare le dette misure mira a stabilire se il primo obiettivo citato sia effettivamente perseguito.

77. Quanto alla genesi storica in senso stretto, i ricorrenti hanno sottolineato in modo particolare il fatto che dal progetto di direttiva all'ultimo momento siano stati eliminati tre considerando, sopra citati (paragrafo 19), che esprimevano l'attenzione del legislatore comunitario per la sanità pubblica. Comunque, ciò che è veramente importante è sapere se, nel caso in cui i detti tre considerando fossero stati conservati, la natura della direttiva sulla pubblicità ne sarebbe stata modificata. Non vedo come ciò sarebbe potuto avvenire, a meno che non si riduca la definizione dell'obiettivo di un atto comunitario a un puro conteggio matematico dei riferimenti alle varie politiche contenuti nei considerando. I considerando espunti davano solo maggior rilievo all'attenzione del legislatore per la sanità pubblica, già evidente nel terzo e nel quarto considerando, che non era, di per sé, illegittima.

Sviamento di potere

78. Non credo neanche che il motivo addotto dalla Germania, relativo ad uno sviamento di potere da parte del legislatore comunitario, sia supportato dalla genesi storica della direttiva sulla pubblicità. La Corte ha definito lo sviamento di potere, nel contesto del potere legislativo, come «l'adozione, da parte di un'istituzione comunitaria, di un atto allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie» . Come abbiamo già visto, il Trattato non prescrive alcuna procedura specifica per l'adozione delle norme di armonizzazione in materia di sanità pubblica ratione materiae. Tale competenza è anzi espressamente esclusa dall'art. 129, n. 4, cosicché il secondo motivo possibile a sostegno della tesi dello sviamento di potere non è fondato.

79. Quanto al primo motivo possibile a sostegno della tesi dello sviamento di potere, il terzo e il quarto considerando della direttiva facevano chiaramente riferimento al parallelo obiettivo della protezione della salute e, come ho già detto, l'omissione di altri considerando dello stesso tenore nel progetto di direttiva non toglie che il perseguimento di un simile scopo non è illegittimo nel contesto di misure adottate sulla base degli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato. Inoltre, occorre ricordare che non solo gli obiettivi di protezione della salute e di mercato interno non si escludono reciprocamente, ma, ove necessario, il secondo deve affiancarsi al primo. Pertanto, manifestazioni di interesse espresse da rappresentanti politici circa i vantaggi per la salute della direttiva sulla pubblicità non sono sorprendenti - come da me già sottolineato - né - aggiungo - inopportune. Perfino il loro relativo silenzio sui pretesi vantaggi per il mercato interno non significa che questi non fossero di fatto previsti o voluti. La Germania non ha provato concretamente il contrario. Neanche il restante materiale a disposizione della Corte fornisce alcuna prova di uno sviamento di potere. Il motivo sollevato dalla Germania relativo ad uno sviamento di potere deve pertanto essere respinto. La questione relativa all'effettiva realizzazione, attraverso la direttiva, degli obiettivi di mercato interno dichiarati dal legislatore comunitario costituisce una questione oggettiva che riguarda la competenza. Una risposta negativa alla detta questione non è sufficiente, a mio avviso, a dimostrare uno sviamento di potere da parte del legislatore.

80. Conseguentemente, il vero problema nei presenti procedimenti non è di stabilire se coloro che promossero la direttiva fossero motivati principalmente da un'esigenza di protezione della sanità pubblica, bensì se il mercato interno costituisca, di per sé, un fondamento giuridico adeguato per la detta direttiva. In mancanza di un fondamento giuridico alternativo, dedicherò perciò il prosieguo del mio esame della competenza comunitaria in primo luogo alla definizione dei presupposti oggettivi per il ricorso agli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato e, in secondo luogo, a stabilire se la direttiva sulla pubblicità soddisfi tali presupposti o meno. Dapprima è necessario esaminare brevemente e respingere l'argomento addotto dalla Germania sull'importanza della procedura di voto applicabile in seno al Consiglio per le condizioni di esercizio della competenza comunitaria.

L'importanza della procedura di voto in seno al Consiglio

81. La Germania ha sottolineato in modo particolare, soprattutto in sede di udienza, il fatto che l'art. 100 A prevede il voto a maggioranza qualificata e ha sostenuto che si potrebbe, quindi, abusare di una simile competenza orizzontale, sconfinando in aree di competenza degli Stati membri. Ciò non rileva ai fini dell'individuazione del fondamento giuridico appropriato di un atto comunitario, che deve seguire i medesimi principi oggettivi indipendentemente dalla procedura legislativa utilizzata. Come ho già indicato in precedenza, la Comunità deve agire in ogni caso entro i limiti delle sue competenze, anche quando il Consiglio voti all'unanimità l'adozione di una misura sul fondamento degli ampi termini dell'art. 235 del Trattato . Ulteriori considerazioni attinenti alla sovranità degli Stati membri sono irrilevanti ai fini dell'esame di tali competenze . Nella causa «biossido di titanio», la Corte ha preferito l'art. 100 A all'art. 130 S come fondamento giuridico, benché il primo prescrivesse il voto a maggioranza qualificata nell'ambito del Consiglio, mentre il secondo richiedeva il voto all'unanimità . Alla luce delle mie riflessioni sulla natura orizzontale dell'art. 100 A, è difficile ammettere che la competenza comunitaria nel cruciale settore dell'instaurazione e del funzionamento del mercato interno debba subire a priori limitazioni eccedenti quelle che ineriscono a quel preciso obiettivo, semplicemente perché essa richiede un voto a maggioranza qualificata. Questo, in fondo, è il meccanismo introdotto dall'Atto unico europeo per far sì che l'integrazione del mercato non fosse soggetta al veto di singoli Stati membri . La miglior protezione degli interessi degli Stati membri compatibile con il Trattato contro gli abusi e le interferenze della Comunità è il sindacato giurisdizionale esercitato dalla Corte sul rispetto da parte del legislatore comunitario dei presupposti oggettivi dell'art. 100 A, oppure, ove necessario, dell'art. 57, n. 2. Come già detto al paragrafo precedente, ciò richiede, innanzi tutto, che i presupposti per il ricorso alle dette disposizioni siano individuati.

Il mercato interno

82. Ai sensi dell'art. 3 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 3 CE), l'azione della Comunità comporta, alle condizioni previste dal Trattato:

«c) un mercato interno caratterizzato dall'eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali;

(...)

g) un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno;

h) il ravvicinamento delle legislazioni nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune».

Il secondo comma dell'art. 7 A del Trattato recita:

«Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del presente trattato».

83. Emerge dalle citate disposizioni che il mercato interno non è un sinonimo anodino di disciplina economica generale. Si tratta di una questione di una considerevole importanza, tenuto conto dell'argomento del Consiglio secondo cui il perseguimento di obiettivi di mercato interno non implica necessariamente una liberalizzazione e può consistere in una semplice regolamentazione. In prosieguo spiegherò perché il mercato interno non possa essere definito semplicisticamente in termini di liberalizzazione o deregulation. Tuttavia, l'attribuzione di competenze volte alla sua instaurazione e al suo funzionamento sul fondamento dell'art. 100 A e di disposizioni più specifiche come l'art. 57, n. 2, non può - a mio avviso - essere equiparata all'attribuzione di un generale potere regolamentare comunitario. Tali competenze sono attribuite per facilitare l'esercizio delle quattro libertà o per rendere omogenee le condizioni di concorrenza.

84. In tema di libera circolazione, la tesi è confermata dalle due cause «rifiuti» . Nella causa «rifiuti I» la Corte fece presente che lo scopo della direttiva impugnata era l'attuazione del principio secondo cui i rifiuti devono essere smaltiti, per quanto possibile, vicino al luogo in cui vengono prodotti, per limitarne al massimo il trasporto e concluse che la direttiva non poteva essere considerata come intesa ad attuare la libera circolazione dei rifiuti all'interno della Comunità . Come osservato dall'avvocato generale Tesauro, la misura impugnata «mira a realizzare non già una liberalizzazione degli scambi dei rifiuti, bensì l'esigenza opposta, vale a dire la riduzione dei movimenti di rifiuti all'interno della Comunità» . Analogamente, la causa rifiuti II riguardava un regolamento che la Corte interpretò nel senso che esso forniva un sistema armonizzato di procedimenti attraverso i quali limitare la circolazione dei rifiuti, a fini di tutela dell'ambiente, e che, quindi, non istituiva la libera circolazione dei rifiuti all'interno della Comunità . Si noterà che implicitamente la Corte ha respinto l'argomento secondo cui una misura può rientrare nell'ambito dell'art. 100 A del Trattato se regola i movimenti di beni tra Stati membri, senza che sia necessario che essa faciliti effettivamente tali movimenti .

85. E' ovvio che la summenzionata giurisprudenza non richiede di intepretare gli artt. 7 A, 57, n. 2, e 100 A del Trattato come una sorta di carta liberale che autorizzi un'armonizzazione verso il basso o perfino verso una media dei preesistenti livelli nazionali. In primo luogo, vi è l'obbligo - da me già citato - della Comunità di tenere in considerazione i problemi di interesse pubblico e, quindi, il livello di protezione raggiunto o perseguito dagli Stati membri.

86. In secondo luogo, non si dovrebbe immancabilmente ritenere che le misure di armonizzazione che impongono notevoli restrizioni nel pubblico interesse siano volte a ridurre il commercio nel settore interessato. Il diritto del legislatore comunitario di imporre tali restrizioni, fino al punto di vietare il commercio di determinati prodotti, nel tentativo parallelo di perseguire più ampi obiettivi relativi alla libertà di circolazione e la tutela di altri pubblici interessi, è discusso nella causa «sicurezza dei prodotti». La Corte ha dimostrato che tali obiettivi, apparentemente confliggenti, erano conciliabili in relazione a una misura che consentiva alla Commissione di esigere dagli Stati membri l'adozione di provvedimenti provvisori che vietassero l'immissione in commercio di prodotti pericolosi :

«(...) la libera circolazione dei prodotti può essere garantita soltanto se le condizioni di sicurezza imposte ai prodotti non divergono notevolmente da uno Stato membro all'altro. Per quanto riguarda l'elevato livello di sicurezza, esso può essere raggiunto soltanto se i prodotti pericolosi sono oggetto di adeguati provvedimenti in tutti gli Stati membri».

Così, un sistema uniforme di protezione contro i prodotti pericolosi è stato giustamente considerato come una misura che facilita la libera circolazione delle merci in generale. La libera circolazione delle merci può in effetti risultare facilitata da provvedimenti che impediscono, restringono o appesantiscono la circolazione di particolari merci . Nella causa Rewe-Zentrale , la Corte affermò che, «se (...) gli artt. 30-36 del Trattato riguardano in primo luogo le misure unilaterali degli Stati membri, non è meno vero che le istituzioni comunitarie sono tenute anch'esse a rispettare la libertà degli scambi intracomunitari, principio fondamentale del mercato comune» e concluse, tuttavia, che i controlli che dovevano essere effettuati ai sensi della direttiva impugnata in quella causa «non [erano] in nessun modo intes[i] ad ostacolare questi scambi»; la direttiva impugnata cercava, «al contrario, (...) di sopprimere progressivamente misure adottate unilateralmente dagli Stati membri e che erano all'epoca giustificate dall'art. 36 del Trattato» .

87. Un esempio più interessante per le presenti cause è fornito dal divieto di pubblicità a favore dei prodotti del tabacco in televisione risultante dall'art. 13 della direttiva 89/552/CEE. Il detto articolo e alcune altre norme relative al contenuto pubblicitario delle trasmissioni televisive sono parzialmente concepiti al fine di armonizzare le condizioni di fornitura dei servizi di trasmissione televisiva. A questo fine, «gli Stati membri garantisc[o]no la libertà di ricezione e non ostacol[a]no la ritrasmissione sul loro territorio di trasmissioni televisive provenienti da altri Stati membri per ragioni relative alla pubblicità televisiva e alla sponsorizzazione» . Analogamente, l'art. 8, n. 1, della direttiva 89/622/CEE e l'art. 7, n. 1, della direttiva 90/239/CEE impediscono agli Stati membri di vietare la commercializzazione dei prodotti del tabacco conformi alle dette direttive e al tenore massimo di catrame.

88. In terzo luogo, l'art. 100 A del Trattato non riguarda esclusivamente l'eliminazione degli ostacoli all'esercizio delle quattro libertà. «Per l'attuazione delle libertà fondamentali sancite dall'art. 8 A, le disparità tra gli ordinamenti giuridici degli Stati membri richiedono [anche] misure di armonizzazione nei settori ove sussiste il rischio che dette disparità creino o mantengano in essere condizioni di concorrenza falsate» . L'art. 100 A può, quindi, essere utilizzato al fine di adottare misure di armonizzazione volte ad eliminare le disparità nelle condizioni di concorrenza in un dato settore dell'industria, per esempio quello dello smaltimento dei sottoprodotti inquinanti, perseguendo allo stesso tempo, «inscindibilmente», un obiettivo di pubblico interesse, come il mantenimento di un livello elevato di protezione ambientale. Così, la Corte decise che l'art. 100 A costituiva il fondamento giuridico appropriato per la misura controversa nella causa «biossido di titanio», che stabiliva un divieto totale di eliminazione nelle acque comunitarie e in alto mare di determinati rifiuti prodotti da stabilimenti attraverso procedimenti particolari e valori massimi per la presenza di sostanze nocive in altri rifiuti eliminati . L'art. 1 della detta direttiva dispone espressamente che essa è «intesa a migliorare le condizioni di concorrenza nel settore della produzione del biossido di titanio». Io ritengo che il legislatore comunitario possa, pertanto, imporre condizioni onerose applicabili parimenti all'attività economica interessata in tutto il mercato interno, ivi comprese condizioni che sono sotto ogni profilo maggiori della somma o della media di quelle imposte dalle diverse legislazioni nazionali precedenti la norma comunitaria.

89. Tuttavia, la ricerca di condizioni omogenee di concorrenza non dà al legislatore comunitario carta bianca per l'armonizzazione di qualsiasi normativa nazionale, sia in senso liberale sia in senso restrittivo. Senza voler rivedere il mio giudizio negativo sull'argomento addotto dalla Germania relativo al pericolo dell'espansione delle competenze della Comunità mediante il voto a maggioranza qualificata, ritengo che si rischierebbe di trasferire alla Comunità la competenza normativa generale degli Stati membri se il ricorso all'art. 100 A al fine di adottare misure di armonizzazione in favore di una concorrenza priva di distorsioni non fosse soggetto ad alcuna verifica dell'esistenza di un nesso reale tra le dette misure e gli obiettivi di mercato interno. Il silenzio degli artt. 7 A e 100 A del Trattato sulle pari condizioni di concorrenza fornisce un'ulteriore ragione per evitare di trasformare l'art. 100 A in uno strumento di politica economica generale.

90. Un possibile criterio di verifica sembra essere suggerito dalla Corte nella causa «biossido di titanio», sotto forma di condizione preliminare per il ricorso all'art. 100 A: le distorsioni della concorrenza che la misura di armonizzazione deve eliminare devono essere sensibili . Da parte mia, sono favorevole ad un simile criterio, benché ai fini del mio esame non sia necessario ch'io mi pronunci in maniera definitiva sull'argomento.

91. Un'altra condizione, che si ricava chiaramente dalla giurisprudenza ed è più immediatamente pertinente ai fini del nostro esame, è relativa alla natura della misura di armonizzazione adottata ai sensi dell'art. 100 A del Trattato. Quest'ultimo non costituisce un fondamento giuridico appropriato per una misura i cui effetti sull'armonizzazione delle condizioni di concorrenza sono meramente incidentali. Non si tratta semplicemente di stabilire quale tra i diversi obiettivi manifesti di una misura sia il principale. La Corte ha statuito, in termini categorici piuttosto che meramente relativi, che il solo fatto che siano interessati l'instaurazione o il funzionamento del mercato interno non è sufficiente affinché vada applicato l'art. 100 A del Trattato . Secondo la mia interpretazione della decisione della Corte nella causa «rifiuti I» , la direttiva impugnata nella detta causa non avrebbe potuto essere adottata sulla base dell'art. 100 A, anche se non fosse stato disponibile come fondamento giuridico alternativo l'art. 130 S. La Corte operò una distinzione tra la normativa che aveva come ad oggetto principale l'efficace smaltimento dei rifiuti all'interno della Comunità, indipendentemente dalla loro provenienza, e aveva effetti meramente accessori sulla concorrenza e sul commercio, compresi i costi di produzione, e la direttiva impugnata nella causa «biossido di titanio», che mirava «al ravvicinamento delle norme nazionali relative alle modalità di produzione in un determinato settore dell'industria allo scopo di eliminare le distorsioni di concorrenza in questo settore» . Concludendo, ritengo che il contributo di una determinata misura a rendere omogenee le condizioni di concorrenza nel settore che dovrebbe trarne vantaggio deve essere specifico di quel settore, per quanto ampi siano i termini del testo, e non dovrebbe essere meramente incidentale. Ne consegue che non si può considerare che le norme della Comunità il cui solo effetto in un determinato settore sia quello di vietare l'esercizio dell'attività economica interessata contribuiscano a rendere pari le condizioni di concorrenza in quel settore, qualunque sia il loro effetto sulla concorrenza in un altro settore contiguo.

92. I ricorrenti hanno fatto presente un altro limite possibile: che il ricorso all'art. 100 A del Trattato al fine di eliminare distorsioni della concorrenza dovrebbe essere limitato a settori in cui alla Comunità è espressamente attribuita anche una competenza ratione materiae, come nel settore della tutela ambientale. Questo argomento non mi convince. Esso non sembra essere confermato dall'art. 100 A del Trattato né dalle disposizioni generali del Trattato relative agli obiettivi della Comunità e alle azioni e alla definizione del mercato interno: è incompatibile con la natura orizzontale dell'art. 100 A e, inoltre, solleva più problemi di quanti apparentemente non ne risolva. Le aree di competenza materiale definite della Comunità comprendono settori in cui essa detiene poteri talora molto estesi, come nel caso dell'agricoltura, talora relativamente meno importanti, come nel caso della sanità pubblica. Salvo aggiungere ulteriori approfondimenti, e dato che, come ho già avuto modo di esporre, l'esclusione della possibilità di armonizzazione di cui all'art. 129, n. 4, non intacca la competenza attribuita dall'art. 100 A, non si può interpretare questo argomento nel senso che esso escluderebbe l'armonizzazione di condizioni di concorrenza in un settore di considerevole importanza per la sanità pubblica. Comunque, per i motivi di seguito esposti, non è necessario che mi esprima in senso definitivo sull'argomento.

Obiettivi di mercato interno - valutazione concreta

93. Al fine di stabilire se una misura comunitaria persegua obiettivi di mercato interno, è necessaria un'analisi in due fasi. In primo luogo, bisogna verificare se esistano le condizioni preliminari per l'armonizzazione, vale a dire normative nazionali diverse che costituiscono ostacoli all'esercizio delle quattro libertà o distorcono le condizioni di concorrenza in un settore economico . In secondo luogo, l'azione concreta effettivamente intrapresa dalla Comunità deve essere compatibile con l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno. Ciò comporta la necessità di verificare come il legislatore comunitario abbia tentato di riconciliare il requisito principale di disposizioni quali gli artt. 57, n. 2, e 100 A, cioè che le misure adottate in base a tali disposizioni facilitino la libertà di circolazione e rendano pari le condizioni di concorrenza in un determinato settore, con l'obbligo di tenere in considerazione fattori di pubblico interesse che potrebbero andare in direzione di un'impostazione molto restrittiva nei confronti di certe attività economiche.

94. E' stato sostenuto, soprattutto dalla Commissione, che questo implicherebbe essenzialmente il problema di valutare se una misura sia appropriata, o opportuna, il che costituisce una questione di proporzionalità piuttosto che di competenza. La Corte, pertanto, non dovrebbe intervenire in questa fase. Non concordo con questa tesi. Se l'esercizio delle competenza comunitaria deve essere sottoposto a un sindacato giurisdizionale, non è sufficiente verificare che le condizioni precedenti l'armonizzazione siano soddisfatte, perché gli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato non attribuiscono una competenza universale per qualsiasi genere di armonizzazione ogni volta che le condizioni siano soddisfatte. La necessità di un esame concreto delle misure di armonizzazione effettivamente adottate è riconosciuta dalla Corte, la quale ha più volte affermato che l'esame della competenza deve tener conto, «in particolare, [del]lo scopo e [del] contenuto dell'atto». In cause come le presenti, l'esame concreto della competenza comunitaria deve limitarsi a valutare se la misura persegua gli obiettivi di mercato interno per i quali la competenza era stata attribuita, tenendo presente allo stesso tempo che ciò potrebbe essere compatibile con il parallelo perseguimento di altri scopi complementari di pubblico interesse che non possono giustificare di per sé il ricorso agli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato.

95. La Corte ha proceduto a un esame concreto del genere indicato in cause in cui gli Stati membri avevano contestato la competenza della Comunità ad agire sul fondamento degli artt. 100 A e 57, n. 2: in particolare, rispettivamente, nelle cause «Spagna» e «garanzie dei depositi» . Nella causa «Spagna», la Corte esaminò e respinse l'argomento secondo cui il regolamento 1768/92 estendeva la compartimentazione del mercato interno al di là della durata dei brevetti nazionali di base e impediva all'industria dei medicinali generici di entrare in concorrenza con le imprese titolari di brevetto . Essa affermò che l'estensione omogenea del periodo di protezione del brevetto ad opera del regolamento costituiva un mezzo per evitare la frammentazione del mercato dei medicinali prevenendo un'evoluzione eterogenea delle legislazioni nazionali , anche se una protezione così estesa era sconosciuta alla maggior parte degli Stati membri . La Corte prese altresì in esame l'equilibrio realizzato tra gli interessi delle imprese titolari di brevetto e quelli delle imprese produttrici di medicinali generici . Sebbene si tratti di un rilievo appartenente all'area della proporzionalità, in quella causa la Corte sembra aver ritenuto che si trattasse di un problema di competenza, in virtù degli «obiettivi enunciati [all'art. 7 A del Trattato]» , suggerendo così che l'esistenza o il rigore delle restrizioni imposte a carico di un'attività economica (in questo caso la produzione di medicinali generici) fosse potenzialmente rilevante per stabilire se si possa ritenere che una misura di armonizzazione persegua obiettivi di mercato interno . L'impostazione generale della mia analisi delle presenti cause è rafforzata altresì dal fatto che la Corte, avendo accertato che l'obiettivo del regolamento impugnato era relativo al mercato interno, non ha fatto mai riferimento al peso relativo, nella struttura della normativa, dell'obiettivo complementare della promozione della ricerca farmaceutica all'interno della Comunità.

96. Nella causa «garanzie dei depositi», la Corte ha esaminato la tesi secondo cui il divieto imposto dalla misura impugnata di promozione, da parte di succursali di banche in altri Stati membri, dei vantaggi di sistemi di garanzia dei depositi più protettivi per i consumatori rispetto a quelli previsti nella direttiva era incompatibile con l'obiettivo dell'art. 57, n. 2, del Trattato. La Corte concluse che la limitazione della copertura massima imposta alla garanzia dei depositi offerta da succursali in altri Stati membri «costituisce in ogni caso una limitazione molto meno onerosa dell'obbligo di assoggettarsi a differenti legislazioni sui sistemi di garanzia dei depositi in diversi Stati membri ospitanti», con la conseguenza che si poteva ritenere che perfino lo stabilimento di succursali di enti creditizi tedeschi in altri Stati membri fosse facilitato dalla direttiva controversa .

97. Questo genere di valutazione è diversa dall'esame della proporzionalità. La questione proposta, volta verificare se siano soddisfatte le condizioni per il ricorso ad una competenza attribuita a fini funzionali, è se la misura persegua gli obiettivi di mercato interno dichiarati, e non se essa ecceda quanto necessario per raggiungerli. Inoltre, come ho già detto, in questa fase ci interessa solamente la realizzazione dei detti obiettivi, poiché è questo lo scopo per il quale la competenza è stata attribuita. Al momento della valutazione della proporzionalità, invece, occorrerà tener conto anche degli altri obiettivi di fondo che debbono essere perseguiti mediante misure di mercato interno, tra cui l'obiettivo di raggiungere un elevato livello di protezione della salute.

98. E' chiaro che la Corte, quando attende all'esame concreto di scelte legislative complesse che toccano diversi interessi economici e di altra natura, normalmente deve accettare l'opinione del legislatore secondo cui l'efficacia di una misura in relazione all'instaurazione e al funzionamento del mercato interno legittima i vincoli che essa crea . La Corte non può sostituire il suo giudizio a quello del legislatore o sindacare l'opportunità di particolari iniziative politiche . Anche se ci stiamo occupando di stabilire i limiti della competenza legislativa comunitaria, il necessario esame concreto del nesso tra la misura adottata e i suoi obiettivi dichiarati implica, a mio avviso, il ricorso al tipo di controllo esercitato dalla Corte sull'esercizio da parte della istituzioni di un ampio potere discrezionale. Quando le istituzioni dispongono di «un ampio potere discrezionale, segnatamente quanto alla natura e alla portata delle misure che [esse adottano], il sindacato del giudice comunitario deve limitarsi a valutare se l'esercizio del detto potere non sia viziato da errore manifesto e da sviamento di potere o se [le istituzioni] non [abbiano] palesemente sconfinato dai limiti del [loro] potere discrezionale» .

99. Tuttavia, il compito della Corte è più semplice quando la normativa ha effetti estremi nel settore interessato, come nel caso di un'interdizione. Non si può presumere che l'interdizione effettiva di una particolare attività economica imposta dal legislatore comunitario sia contraria agli obiettivi di mercato interno. Allo stesso tempo, gli effetti di una simile interdizione e le conclusioni di natura giuridica che ne derivano saranno individuati più facilmente da un giudice, che sarà molto più prudente di fronte ai delicati equilibri creati dal legislatore tra diversi interessi materiali . In questo modo risulta più facile stabilire se esista la necessaria concordanza tra il contenuto dell'atto che istituisce un'interdizione e lo scopo relativo al mercato interno, come enunciato, per esempio, nei considerando dell'atto e in ogni disposizione di fondo (quale l'art. 1 della direttiva sulla pubblicità) che si riferisca, espressamente o implicitamente, ai suoi obiettivi. La detta concordanza deve essere valutata, in ultima istanza, con riferimento agli effetti identificabili della misura impugnata. Il preciso obiettivo di mercato interno perseguito dovrebbe emergere chiaramente dalla misura stessa e non può, a mio avviso, essere integrato dal riferimento a obiettivi più ampi o diversi in una fase successiva . Se gli effetti dell'atto non sono compatibili con gli obiettivi del mercato interno cui tendono i fondamenti giuridici utilizzati ed effettivamente dichiarati dal legislatore, bisogna concludere che il legislatore comunitario ha commesso un manifesto errore di valutazione o ha ecceduto i limiti del suo potere discrezionale.

L'obiettivo della direttiva sulla pubblicità

100. L'art. 1 della direttiva dichiara che il suo obiettivo è «il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco». Il primo considerando parte dal principio che le divergenze esistenti fra le normative nazionali in quel settore sono tali da creare ostacoli non solo alla prestazione di servizi in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco, ma anche alla circolazione tra gli Stati membri dei prodotti che costituiscono il supporto materiale delle suddette attività. Tali disparità distorcerebbero anche la concorrenza. Questa affermazione può essere intesa solo con riferimento alla concorrenza tra fornitori dei citati servizi - pubblicità e sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco - e tra produttori e fornitori dei supporti materiali di tali attività. In un simile contesto, chiaramente esso non si riferisce alla concorrenza nei settori della pubblicità e della sponsorizzazione in generale, che non sono mai menzionati nella direttiva. Inoltre, non vi è nessun elemento nel detto considerando o altrove nella direttiva sulla pubblicità che faccia pensare che essa riguardi gli ostacoli alla circolazione del tabacco o dei prodotti di diversificazione ovvero distorsioni della concorrenza tra produttori o distributori dei detti prodotti, né tra produttori o distributori di beni e servizi contrassegnati da marchi collegati al tabacco ed operatori che offrono beni e servizi non contrassegnati da tali marchi. Il considerando si conclude con l'affermazione che tali ostacoli e distorsioni della concorrenza impediscono il funzionamento del mercato interno.

101. Il primo considerando può essere interpretato nel senso che esso cerca di soddisfare le condizioni per un'azione di armonizzazione a livello comunitario ai sensi degli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato. Il secondo considerando contiene l'affermazione esplicita del nesso tra la situazione attuale, il raggiungimento degli obiettivi del mercato interno - lo scopo identificabile di un atto adottato sul fondamento degli artt. 57, n. 2, e 100 A - e la misura effettivamente adottata - il suo contenuto :

«considerando che occorre eliminare tali ostacoli e, a questo scopo, ravvicinare le norme relative alla pubblicità e alla sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco (...)».

L'Imperial Tobacco sostiene che la direttiva non include tra i suoi scopi la lotta contro le distorsioni della concorrenza distinta dagli ostacoli alla circolazione di cui al secondo considerando. A mio avviso una simile interpretazione è troppo stretta. L'ottavo considerando fa riferimento all'interdipendenza esistente fra tutti i mezzi di pubblicità e stabilisce che la direttiva deve riguardare tutte le forme di pubblicità al di fuori della pubblicità televisiva «al fine di evitare qualsiasi rischio di distorsione della concorrenza».

102. Esamineremo innanzi tutto gli obiettivi di mercato interno della direttiva sotto il profilo dell'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci e dei servizi in relazione alla pubblicità e alla sponsorizzazione dei prodotti del tabacco. Successivamente, ci occuperemo del problema dell'omogeneità delle condizioni di concorrenza negli stessi specifici settori di attività.

Ostacoli alla circolazione delle merci e dei servizi in relazione alla promozione del tabacco

103. Le parti, nelle loro memorie, hanno ampiamente trattato il problema di sapere se esista o meno un significativo commercio transfrontaliero di beni e servizi legati alla promozione del tabacco, nonché se vi siano ostacoli allo stesso.

104. La Corte ha affermato chiaramente che non esiste una regola de minimis relativa alla proibizione nel Trattato di ostacoli al commercio derivanti da leggi nazionali divergenti: nel contesto della libera circolazione delle merci, per esempio, una misura nazionale viene ritenuta una restrizione qualora sia tale da ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio intracomunitario, «anche qualora l'ostacolo sia di lieve entità e sussistano altre possibilità di smercio dei prodotti importati» . Il fatto che una norma nazionale incida su un mercato ristretto, perché limitato geograficamente o in relazione al volume degli scambi intracomunitari interessati dalla norma, è parimenti irrilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 30 del Trattato . La giurisprudenza sui servizi induce a ritenere che gli stessi principi si applichino in quel settore . La Comunità è competente ad eliminare gli ostacoli agli scambi di beni e servizi mediante misure di armonizzazione fondate sugli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato, che tengono in conto questioni di interesse generale le quali conducono soprattutto all'adozione di norme nazionali. Da ciò non deriva che un'azione di questo tipo sia automaticamente giustificata da trascurabili («de minimis») ostacoli agli scambi. Si può quanto meno argomentare che un'azione di armonizzazione dovrebbe essere rivolta alle normative nazionali che frappongono al commercio ostacoli di qualche rilievo. Il problema non si pone in questo caso, giacché disposizioni nazionali disparate, di cui alcune estremamente restrittive, possono chiaramente avere effetti diretti e significativi sul commercio dei prodotti e degli strumenti pubblicitari del tabacco. Potrebbe essere altresì rilevante stabilire se il livello degli scambi transfrontalieri di beni e servizi interessati sia considerevole in termini assoluti o in relazione a scambi puramente interni. Tuttavia, tale questione riguarda non tanto l'analisi della competenza quanto piuttosto l'applicazione del principio di proporzionalità, quando si deve valutare se la portata di una misura sia troppo ampia (per esempio, perché incide notevolmente sul commercio interno come pure su scambi transfrontalieri relativamente limitati) e, pertanto, se gli effetti eccessivamente restrittivi della misura ne superino i benefici per il mercato interno.

105. Non mi convince l'argomento della Germania secondo cui in realtà non vi sarebbe alcuna fornitura transfrontaliera di servizi di pubblicità e sponsorizzazione per la promozione del tabacco che potrebbero subire pregiudizio a causa delle disparità tra le regolamentazioni nazionali di tale attività economica . Tali servizi possono essere forniti, per esempio, da un'agenzia internazionale di pubblicità con sede in uno Stato membro per un uso nell'intero territorio comunitario ovvero su parte di esso o da un agenzia locale, per un uso meramente interno, per conto di un cliente internazionale (compresa eventualmente anche un'agenzia internazionale di pubblicità) e possono comprendere l'ideazione di marchi, soggetti pubblicitari, slogan, campagne; la commessa di opere d'arte, l'ingaggio di modelli o attori per la realizzazione di immagini pubblicitarie, filmati, ecc.; la collocazione di pubblicità presso vari mezzi di comunicazione e di sponsorizzazioni nel settore artistico o sportivo o in altri settori, presso organizzazioni, eventi, squadre; l'organizzazione della distribuzione diretta di gadgets o materiale pubblicitario al pubblico. La prestazione di simili servizi a titolo oneroso è naturalmente un'attività di natura commerciale. Solo la totale proibizione di un particolare servizio per ragioni di ordine pubblico in tutti gli Stati membri la sottrarrebbe alla sfera di applicazione del Trattato , il che non si verifica nel caso del tabacco. Anche la sponsorizzazione di squadre o eventi, come controprestazione per il riconoscimento del contributo dello sponsor o l'esposizione del materiale promozionale (che può apparire anche nella ritrasmissione televisiva o radiofonica dell'evento sponsorizzato) costituisce la fornitura di un servizio pagato dal primo a favore del secondo . Stando agli elementi di prova presentati alla Corte, le dette attività sembrano alquanto comuni.

106. Possono aversi restrizioni alla libera prestazione dei servizi di cui all'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE) quando a un'agenzia di pubblicità che fornisce legittimamente servizi per la promozione dei prodotti del tabacco in uno Stato membro viene impedito di esercitare la detta attività in un altro Stato membro a causa di una normativa nazionale più restrittiva nei confronti della pubblicità e della sponsorizzazione dei prodotti del tabacco. Analogamente, la prestazione di servizi, per esempio, di squadre sportive, orchestre, mostre itineranti o gare sportive che si svolgono in più luoghi incontra delle restrizioni là dove la sponsorizzazione che può da questi essere legittimamente accettata e presentata al pubblico in uno Stato membro è proibita o soggetta a ulteriori condizioni in un altro Stato membro. La fornitura transfrontaliera di servizi di radiofonia potrebbe parimenti essere ostacolata da norme nazionali sul contenuto pubblicitario di tali trasmissioni .

107. La categoria di beni la cui circolazione potrebbe incontrare ostacoli ai sensi della direttiva sulla pubblicità sembra tuttavia più ridotta. A mio avviso, essa si può limitare a beni commercializzati tra gli Stati membri che non servono esclusivamente come strumenti per la pubblicità o la sponsorizzazione del tabacco. L'esempio più ovvio è quello dei giornali o delle riviste, che hanno normalmente un contenuto giornalistico di base e un altro contenuto pubblicitario, la cui circolazione in altri Stati membri sia ostacolata, in atto o in potenza, dal fatto che la pubblicità del tabacco, legale nello Stato membro di produzione, in altri Stati membri è proibita o soggetta ad altre condizioni. Ritengo che non si possano prendere in considerazione, nell'ambito dei beni, le sigarette distribuite gratuitamente per scopi promozionali (che sono presumibilmente fornite dal produttore) né i supporti mobili di pubblicità o sponsorizzazione, come le automobili da corsa o le divise delle squadre sportive utilizzate in occasione di eventi internazionali, poiché esse, dato quanto detto precedentemente, non formano oggetto di commercio intracomunitario nemmeno quando varcano le frontiere . Tuttavia, l'organizzazione di una campagna di distribuzione o di un programma di sponsorizzazione (come anche l'accettazione di sponsorizzazione a fini di promozione) può avere aspetti transfrontalieri che possono essere interessati dall'esistenza di norme nazionali divergenti. Per quanto riguarda gli elementi che fungono esclusivamente, in ogni caso, da supporti per la pubblicità a favore del tabacco - manifesti, pieghevoli, volantini, ecc. - è meglio, probabilmente, esaminarli dalla prospettiva del servizio di promozione di cui sono l'espressione concreta , anche se essi formano in qualche modo di per sé oggetto di un commercio (per esempio, fornitura di materiale stampato da parte di uno stampatore all'agenzia di pubblicità).

108. Sono convinto, pertanto, che nelle presenti cause le condizioni preliminari perché la Comunità esercitasse le sue competenze di armonizzazione con riferimento al commercio di beni e la prestazione di servizi transfrontalieri fossero soddisfatte. E' necessario, a questo punto, esaminare il metodo scelto dalla direttiva sulla pubblicità per trattare i detti ostacoli non discriminatori agli scambi di beni e servizi.

L'armonizzazione introdotta dalla direttiva sulla pubblicità

109. L'elemento centrale della direttiva sulla pubblicità è un ampio divieto della pubblicità (diretta e indiretta) e della sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco. In realtà, a parte il bando introdotto dalla direttiva 89/552/CEE a carico della pubblicità televisiva, l'art. 3, n. 1, della direttiva sulla pubblicità detta un divieto formulato in termini generali, ma l'applicazione della direttiva è soggetta a diverse esplicite eccezioni ai sensi dell'art. 3, n. 5.

110. Si è molto discusso del valore economico e promozionale delle dette eccezioni rispetto all'attività di promozione del tabacco nel suo complesso. Chiedersi se la direttiva imponga un «divieto totale» della pubblicità a favore del tabacco costituisce una disputa semantica. A mio avviso, nel contesto generale della pubblicità del tabacco, le eccezioni sono trascurabili. Il divieto può tranquillamente essere considerato come globale. Esso vieta ogni forma di pubblicità rivolta al consumatore da parte di operatori comunitari al di fuori del punto vendita.

111. In considerazione di questo divieto globale, ci si deve chiedere in che modo il mercato interno tragga beneficio dalla direttiva sulla pubblicità. Il punto fondamentale, come ha sottolineato in particolare Imperial Tobacco, è che la direttiva non cerca di armonizzare le legislazioni nazionali esistenti nell'ambito delle limitate forme di pubblicità che essa stessa non vieta. Fermi restando tutti gli altri elementi, si sarebbe potuto sostenere che lo scambio di beni e servizi nei settori facenti eccezione fosse implicitamente liberalizzato grazie all'adozione di una misura che armonizzava - attraverso un divieto - ampi aspetti dell'attività economica interessata. Tuttavia, la direttiva non svolge questo ruolo. L'art. 5 dimostra chiaramente che la direttiva non è destinata ad avere un simile effetto di liberalizzazione e neppure a permettere la detta pubblicità a determinate condizioni, giacché essa lascia agli Stati membri, per ragioni di sanità pubblica, la libertà di imporre requisiti più rigorosi nei settori facenti eccezione. Sebbene misure di questo genere debbano comunque risultare conformi al Trattato, la direttiva non impedisce in nessun modo che esse continuino ad essere applicate agli aspetti della pubblicità del tabacco che sfuggono al suo amplissimo divieto armonizzato.

112. Giungendo a tale conclusione, non mi sfugge tuttavia che, anche se fossero state adottate norme armonizzate per le forme di pubblicità non proibite dalla direttiva, gli Stati membri sarebbero rimasti liberi di richiamarsi all'art. 100 A, n. 4, del Trattato al fine di continuare ad applicare misure nazionali più rigorose per ragioni di sanità pubblica. Il primo elemento da tenere presente è che tale procedura non può essere applicata ad aspetti di una misura che riguardino gli ostacoli alla libera prestazione dei servizi, per i quali l'art. 57, n. 2, del Trattato, piuttosto che l'art. 100 A, è il giusto fondamento giuridico. In ogni caso, la situazione ipotetica cui ho appena fatto riferimento sarebbe del tutto diversa da quella risultante dalla mancata armonizzazione delle normative nazionali nelle aree di cui all'art. 3, n. 5, della direttiva. In primo luogo, il ricorso all'art. 100 A, n. 4, è soggetto ad una speciale procedura di conferma, controllata dalla Commissione, la cui decisione può essere sottoposta a sindacato giurisdizionale su iniziativa degli altri Stati membri . Gli Stati membri non possono agire unilateralmente senza aver ottenuto l'approvazione della Commissione . Se la Commissione rifiuta di dare la conferma, lo Stato membro notificante è obbligato a chiedere l'annullamento della decisione della Commissione prima di poter agire . Se, in mancanza della detta conferma, gli Stati membri non recepiscono in tempo una direttiva di armonizzazione, quest'ultima può avere effetto diretto innanzi al giudice nazionale . Alla luce di tutti questi fattori, non si può sostenere, senza rimettere in discussione l'utilità in diversi contesti dell'azione comunitaria basata sull'art. 100 A del Trattato, che qualsiasi forma di liberalizzazione armonizzata, sia essa assoluta o condizionata, nei settori di cui all'art. 3, n. 5, della direttiva avrebbe inevitabilmente condotto ad un risultato analogo a quello raggiunto con la direttiva.

113. Mi sembra chiaro, a questo punto, che non si può ritenere che la direttiva sulla pubblicità faciliti la libera circolazione dei servizi, eliminando ostacoli allo scambio di servizi il cui contenuto è volto esclusivamente alla pubblicizzazione e alla sponsorizzazione di prodotti del tabacco, compresi i servizi che concretamente assumono la forma di opuscoli stampati, volantini o manifesti e gli elementi che assumono il carattere di un servizio nella distribuzione gratuita dei prodotti del tabacco. L'unico effetto della direttiva, nell'ambito della sua ampia sfera di applicazione, è di vietare gli scambi nei servizi in questione. Non vi è alcun vantaggio in contropartita per le imprese che operino nella produzione o nella fornitura dei detti servizi. Gli attuali ostacoli derivanti dalle divergenze tra le legislazioni nazionali continuano a sussistere in aree non disciplinate dalla direttiva. Sebbene un tale obiettivo non sia espressamente dichiarato, appare chiaramente, sia dal contenuto della direttiva sia dal suo obiettivo complementare di tenere debitamente conto della protezione della salute delle persone, che questa è volta a ridurre radicalmente la circolazione dei servizi di cui trattasi o, quanto meno, che produce inevitabilmente tale risultato. Dal punto di vista giuridico, non si può ritenere, a mio avviso, che una misura il cui solo effetto sia la proibizione di un'attività economica elimini gli ostacoli agli scambi in quel settore di attività. Ne concludo, quindi, che il legislatore comunitario ha commesso un errore manifesto o ha oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale nel valutare i vantaggi che si sarebbero probabilmente prodotti a favore delle imprese operanti nel settore interessato, nonché dell'instaurazione e del funzionamento del mercato interno.

114. L'analisi condurrebbe a risultati diversi se la direttiva sulla pubblicità riguardasse solo gli scambi di quei beni e quei servizi che, pur fungendo da strumenti per la pubblicità e la sponsorizzazione, hanno anche funzioni e valore economico distinti. Un simile servizio è rappresentato dalle trasmissioni radiofoniche transfrontaliere. La ratio sottesa al divieto di pubblicizzazione e sponsorizzazione dei prodotti del tabacco per radio è esattamente la stessa che ha condotto al loro precedente divieto in televisione. Un altro esempio è il servizio di sponsorizzazione fornito dalle squadre o dalle organizzazioni sportive stesse in sport itineranti come le corse di Formula 1. Due diversi esempi di prodotti interessati, già citati, sono, da un lato, i giornali e le riviste e, dall'altro, le riproduzioni di divise sportive. In tutti questi casi, anche se il divieto di pubblicizzazione e sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco posto dalla direttiva può incidere sulla redditività dell'attività, non è affatto stabilito che il legislatore comunitario abbia commesso un errore o abbia oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale ritenendo che la loro libera circolazione o la loro fornitura transfrontaliera sarebbe stata facilitata da una disciplina uniforme del contenuto di pubblicità e di sponsorizzazione, che avrebbe eliminato restrizioni effettive o potenziali derivanti dalle divergenze tra le legislazioni nazionali .

115. Lo stesso ragionamento, mutatis mutandis, si applica al divieto, posto dall'art. 3, n. 3, lett. b), della direttiva, di pubblicità e sponsorizzazione a favore di prodotti diversi dal tabacco che rechino il nome, il marchio, il simbolo o ogni altro segno distintivo utilizzato per prodotti del tabacco (prodotti di diversificazione). La situazione è più complessa con riferimento alla pubblicità e alla sponsorizzazione di beni o servizi che erano già stati commercializzati o offerti in buona fede prima del 30 luglio 1998 con un nome utilizzato anche per un prodotto del tabacco . In virtù dell'art. 3, n. 2, della direttiva sulla pubblicità, gli Stati membri possono consentire che tale nome sia utilizzato per la pubblicità degli altri beni o servizi. Il risultato è che le norme sulla prestazione di servizi pubblicitari in quel settore non sono state completamente armonizzate. Sono imposte determinate condizioni perché tale pubblicità sia ammessa - il nome può essere utilizzato soltanto sotto un aspetto chiaramente distinto da quello utilizzato per il prodotto del tabacco, ad esclusione di ogni altro segno distintivo già usato per un prodotto del tabacco - ma ciò serve solamente a vietare ogni tipo di promozione non conforme senza che venga in alcun modo affrontato il problema delle divergenze tra le legislazioni nazionali con riferimento a tali tipi di pubblicità per i beni e i servizi in questione che esulano dall'ambito di applicazione del divieto. Così, la disposizione porta a una curiosa combinazione delle preferenze per il divieto ovvero per l'assenza di armonizzazione che caratterizzano l'intera regolamentazione. Inoltre, dato che gli Stati membri rimangono liberi di consentire o vietare la pubblicità conforme alla citata condizione relativa alla differenziazione dei marchi, tale norma non contribuisce neppure ad eliminare gli ostacoli alla prestazione transfrontaliera di servizi e alla circolazione di beni che non sono esclusivamente strumenti di pubblicizzazione del tabacco, come la radio o i giornali. Ancora, il fatto che l'art. 3, n. 2, crei un'eccezione facoltativa al divieto imposto dal diritto comunitario implica probabilmente che le disparità che ne risulteranno tra le regolamentazioni nazionali sfuggiranno ad un esame ai sensi degli artt. 30 e 59 del Trattato. In conclusione, ritengo che la norma non contribuisca in alcun modo all'eliminazione degli ostacoli alla circolazione dei beni e dei servizi legati alla pubblicità del tabacco e che, conseguentemente, gli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato non costituissero un fondamento giuridico adeguato per la sua adozione.

116. Anche l'art. 3, n. 3, lett. a), della direttiva sulla pubblicità deve essere esaminato attentamente. Tale norma esige che gli Stati membri provvedano affinché nessun prodotto del tabacco rechi il nome, il marchio, il simbolo o ogni altro segno distintivo di qualsiasi altro prodotto o servizio, a meno che tale prodotto del tabacco non sia già stato messo in commercio in tal modo prima del 30 luglio 2001, data limite per l'attuazione della direttiva. L'obiettivo della detta norma non è immediatamente evidente alla lettura dei considerando della direttiva, nei quali non viene fatta menzione di una simile azione. I marchi dei prodotti del tabacco non rientrano, di per sé, nemmeno nell'ampia definizione di pubblicità di cui all'art. 2, n. 2, della direttiva. Al massimo, si potrebbe sostenere che l'art. 3, n. 3, lett. a), è volto ad evitare che i prodotti del tabacco traggano indirettamente beneficio dalla libera pubblicità di prodotti diversi dal tabacco dei quali condividono il marchio in virtù di una forma di diversificazione rovesciata . Ciò potrebbe interessare il mercato interno dei servizi e degli strumenti pubblicitari in generale se avesse lo scopo di ovviare alle divergenze tra le legislazioni nazionali che autorizzano la pubblicità dei prodotti diversi dal tabacco contrassegnati dallo stesso marchio; tuttavia, un simile obiettivo non è dichiarato dal legislatore comunitario né si deduce da altra fonte. La disposizione non sembra avere un nesso immediato con la realizzazione del mercato interno dei beni e dei servizi collegati alla pubblicità e alla sponsorizzazione dei prodotti del tabacco, attività che, come abbiamo visto, sono vietate, salvo rare eccezioni, a prescindere dal marchio che contraddistingue il prodotto del tabacco interessato. Per concludere, ritengo che, stando agli obiettivi di mercato interno dichiarati dal legislatore comunitario, quest'ultimo non fosse competente ad adottare l'art. 3, n. 3, lett. a), della direttiva sul fondamento degli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato.

La distorsione della concorrenza

117. A queso punto, occorre domandarsi se si possa ritenere che la direttiva elimini distorsioni della concorrenza derivanti dall'applicazione di normative nazionali divergenti alla promozione del tabacco con mezzi pubblicitari diversi da quelli non esclusivi. Non intendo ritornare sulla situazione dei mezzi pubblicitari e dei veicoli di sponsorizzazione non esclusivi, come le trasmissioni radiofoniche, i giornali, gli eventi sportivi e artistici «mobili», le squadre, le orchestre, ecc., poiché siamo già giunti alla conclusione che il legislatore comunitario ai sensi degli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato avrebbe avuto la competenza per vietare la pubblicità e la sponsorizzazione del tabacco in tali casi, per le ragioni indicate. Limiteremo le nostre osservazioni all'effetto del divieto centrale di pubblicità e sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco di cui all'art. 3, n. 1, della direttiva. Gli effetti dell'art. 3, nn. 2 e 3, possono esser dedotti dall'esame da me svolto, come io stesso ho fatto precedentemente con riferimento all'eliminazione degli ostacoli agli scambi.

118. Ritengo opportuno ricordare nuovamente la mia conclusione, sopra riportata, secondo cui la competenza della Comunità ai sensi dell'art. 100 A del Trattato ad armonizzare le normative nazionali al fine di garantire una concorrenza non distorta è limitata a misure che riguardano, in misura non marginale, le condizioni di un settore specifico e il settore economico interessato dalla direttiva sulla pubblicità è quello della pubblicità e della sponsorizzazione dei prodotti del tabacco e il relativo scambio dei prodotti-supporto . Pertanto, non è necessario verificare se o in che modo nel settore interessato la concorrenza fosse distorta ovvero se tali distorsioni fossero considerevoli o superassero un altro possibile limite. A mio avviso, semplicemente non si può considerare che la direttiva contribuisca a rendere omogenee le condizioni di concorrenza nel settore interessato, per la semplice ragione, già enunciata in precedenza, che essa cancella per buona parte il settore in questione e, quando non è così, non realizza alcuna armonizzazione delle condizioni.

119. Non condivido la tesi secondo cui anche se gli Stati membri rimangono liberi di adottare regolamentazioni diverse circa i tipi di pubblicità che fanno eccezione al divieto di cui all'art. 3, n. 5, della direttiva, la concorrenza nei detti settori sarebbe, tuttavia, resa ampiamente omogenea per il fatto che tutti gli operatori pubblicitari sono esclusi dai settori vietati. Questo argomento fa riferimento ai potenziali effetti sulla concorrenza nelle forme di pubblicità che fanno eccezione - nessun operatore di mercato potrebbe realizzare economie di scala in quanto tutti risultano esclusi da un'ampia parte del mercato -, effetti che sarebbero, comunque, indiretti e remoti. Ciò è irrilevante per gli attuali fornitori di spazi pubblicitari - pubblicazioni commerciali, dettaglianti e pubblicazioni di paesi terzi - poiché essi non hanno comunque alcun necessario collegamento con i media vietati. Quanto ai fornitori di servizi pubblicitari generali per l'industria del tabacco, come le agenzie di pubblicità, l'instaurazione di pari condizioni di concorrenza nei restanti campi di attività mediante la semplice proibizione di ampi settori di un'attività puramente collaterale costituisce un vantaggio molto remoto per la concorrenza. A mio avviso, l'effetto non può essere paragonato ad una regolamentazione armonizzata (anche con l'uso di divieti) in tema di materie prime, prodotti lavorati e agenti esterni di un settore specifico che deve beneficiare di condizioni di concorrenza uniformi, come nella causa «biossido di titanio». Ritengo che si sia in presenza di un caso in cui debba essere applicato il principio elaborato nella causa «rifiuti I» , diverso dal precedente caso per il fatto che, sebbene la legislazione in causa incidesse sul funzionamento del mercato interno, ciò non era sufficiente per giustificare l'applicazione dell'art. 100 A del Trattato trattandosi di un effetto meramente accessorio. Ho già fatto presente che in quel caso l'effetto della misura sulle condizioni di concorrenza nei settori interessati era troppo remoto perché la direttiva potesse essere adottata sul fondamento dell'art. 100 A del Trattato anche in mancanza di un fondamento giuridico alternativo. Ritengo che il medesimo ragionamento si applichi alla presente causa, in cui, naturalmente, l'art. 129 del Trattato non offre una simile alternativa.

120. Conseguentemente, il legislatore comunitario ha commesso un errore manifesto ovvero ha manifestamente ecceduto i limiti del suo potere discrezionale pretendendo di adottare la direttiva sulla pubblicità quale misura per garantire una concorrenza aliena da distorsioni nel settore della pubblicità e della sponsorizzazione del tabacco.

Conseguenze: nullità e separabilità

121. La conclusione cui siamo giunti è che il legislatore comunitario non fosse competente ad adottare la direttiva sui fondamenti giuridici proposti - eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci e dei servizi ovvero armonizzazione delle condizioni di concorrenza - per quanto attiene alla pubblicità su mezzi di comunicazione che, in ogni caso, contengono esclusivamente pubblicità a favore del tabacco. Ai sensi dell'art. 174 del Trattato CE (divenuto art. 231 CE), la Corte, qualora riconosca che la direttiva sulla pubblicità non è stata adottata validamente sul fondamento giuridico dichiarato, «dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato».

122. D'altra parte il legislatore comunitario sarebbe stato competente, a mio avviso, sulla base dei principi di libera circolazione enunciati nella direttiva, a vietare la pubblicità e la sponsorizzazione a mezzo di strumenti che hanno anche un altro contenuto indipendente e in cui è presente un distinto elemento di servizio o di commercio, come nel caso dei giornali e delle trasmissioni radiofoniche. Quali sarebbero le conseguenze di una simile conclusione, qualora essa fosse accettata, per la sentenza della Corte nelle presenti cause? La Corte potrebbe certamente - come spesso accade - annullare solo una parte del provvedimento. La Corte non ha elaborato alcun principio generale in tema di separabilità delle parti valide e nulle di una disposizione legislativa. Tuttavia, a me pare che essa scelga la strada dell'annullamento parziale quando sono presenti due condizioni: in primo luogo, quando una particolare disposizione è distinta e, quindi, separabile senza che si alteri il testo restante; in secondo luogo, quando il suo annullamento non incide sulla coerenza globale della normativa di cui fa parte.

123. La sentenza nella causa «orario di lavoro» ci offre un interessante esempio. La Corte annullò la seconda frase dell'art. 5 della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro , che riguardava la determinazione della domenica, in linea di principio, come giorno di riposo settimanale. Essa fu annullata proprio perché il Consiglio aveva omesso di spiegare per quale motivo la domenica, come giorno di riposo settimanale, presentasse un nesso più importante con la salute e la sicurezza dei lavoratori - obiettivo della direttiva - rispetto ad un altro giorno della settimana. La Corte dichiarò espressamente che la frase era separabile e, evidentemente, ritenne che la sua soppressione non avrebbe alterato la struttura della normativa, giacché la disposizione non era collegata all'obiettivo della direttiva.

124. La Corte ha affrontato anche la questione dell'annullamento parziale in contesti non legislativi. Per esempio, nella causa Consten e Grundig/Commissione CEE, la Corte dichiarò che, nella fattispecie, la Commissione, nella decisione impugnata, aveva omesso di motivare la scelta di vietare l'intero accordo tra le imprese, in quanto lesivo della concorrenza, piuttosto che solo determinati elementi separabili dell'accordo stesso, ma rilevò altresì che un simile divieto avrebbe colpito «l'accordo nel suo complesso qualora detti elementi [fossero apparsi] essenziali per l'accordo stesso» . Nella causa Transocean Marine Paint Association/Commissione, la Corte annullò una sola disposizione, impugnata dall'associazione interessata, di una più ampia decisione della Commissione, a prescindere dalla sua rilevanza, in quanto essa era scindibile dalle altre disposizioni e in quanto la decisione era favorevole, nel suo complesso, agli interessi delle imprese considerate . Ciò significa, a mio avviso, che la Corte si è preoccupata della coerenza delle disposizioni che rimanevano dopo aver optato per un annullamento meramente parziale.

125. In tema di coerenza delle regolamentazioni, ritengo che sia utile guida l'approccio di certi sistemi giuridici in cui il giudice ha il potere di annullare le norme alla luce delle disposizioni di una costituzione scritta.

126. La Supreme Court d'Irlanda ha dichiarato che esiste una presunzione secondo cui una legge o un regolamento possono essere considerati costituzionalmente conformi non solo unitariamente. Tale presunzione, tuttavia, può essere confutata (...) se la parte rimanente è così inscindibilmente connessa con la parte ritenuta illegittima da non poter sussistere in modo indipendente o da non rispecchiare più l'intento del legislatore, essa non viene separata e dichiarata costituzionalmente conforme. Si tratta essenzialmente di interpretare la volontà del legislatore alla luce delle pertinenti norme costituzionali (...). Se i giudici, dopo aver dichiarato incostituzionale parte di un regolamento, cercassero di conservare validità alla parte restante anche a prezzo di un'incoerenza con la politica legislativa, usurperebbero una competenza esclusiva del legislatore ed esorbiterebbero dai limiti del potere giudiziario .

Nella causa Lynch c. US dinanzi alla Supreme Court degli Stati Uniti, il giudice Brandeis, estensore della sentenza, si è così espresso: «Una legge parzialmente invalida non necessariamente è nulla in tutte le sue parti. Una norma che vi figuri può essere salvata se è separabile dalla parte invalida. Tuttavia, nessuna disposizione, per quanto ineccepibile, può essere ritenuta valida se non sono soddisfatte due condizioni: essa deve produrre di per sé effetti giuridici e il legislatore deve aver inteso che la disposizione ineccepibile potesse rimanere valida qualora le altre disposizioni ritenute nulle fossero annullate» .

Da parte mia, sarei favorevole all'adozione di un simile approccio in diritto comunitario.

127. Nelle presenti cause, nessuna delle condizioni sopra menzionate è soddisfatta. In primo luogo, la possibile legittimità di un divieto di pubblicità effettuata attraverso determinati strumenti non trova corrispondenza in alcuna espressione distinta e separabile della direttiva sulla pubblicità. L'art. 2, nn. 1 e 2, della direttiva definisce la pubblicità e la sponsorizzazione in termini generali e l'art. 3, n. 1, stabilisce un ampio divieto generale a carico di tali attività. Specifici strumenti di pubblicità o sponsorizzazione vengono menzionati solo all'art. 3, n. 5, in relazione ad un regime di eccezione. Pertanto, qualsiasi decisione di annullamento parziale obbligherebbe la Corte a reintepretare creativamente la direttiva. Non vi è dunque alcuna disposizione chiaramente separabile che si presti ad formare oggetto di una netta decisione di annullamento.

128. In secondo luogo, le parti restanti rappresenterebbero solo parte dell'oggetto del divieto, che il legislatore comunitario ha chiaramente concepito in termini globali. La Corte taglierebbe l'albero, ma tenterebbe di lasciarne in vita qualche ramo, sebbene l'ottavo considerando della direttiva faccia riferimento all'interdipendenza tra le varie forme di pubblicità e al rischio di distorsione della concorrenza tra di esse. A prescindere dal merito di tale approccio, risulta chiaro, sia dal detto considerando sia dagli artt. 2, n. 2, e 3, n. 1, che il legislatore comunitario (salvo talune eccezioni di cui agli artt. 3, n. 2, e 5) voleva una misura di applicazione generale e indifferenziata piuttosto che adeguata alle specificità di determinati strumenti pubblicitari o servizi di sponsorizzazione. Qualsiasi tentativo di riscrivere la direttiva in sede giudiziaria confliggerebbe inoltre con l'obiettivo della certezza del diritto: sarebbe estremamente difficile fornire una descrizione appropriata - non essendocene alcuna nella direttiva - delle parti del divieto di pubblicità che rimarrebbero valide (ammesso che esse non vengano condannate in relazione ad altri motivi d'annullamento dedotti nelle presenti cause).

129. Conseguentemente, propongo che la Corte annulli per intero la direttiva sulla pubblicità.

130. La mia trattazione degli altri motivi di annullamento dedotti dai ricorrenti sarà necessariamente più breve rispetto alla questione centrale. Non sono in grado di prevedere come agirà la Corte qualora respinga la mia conclusione principale. Ciò vale in particolare per la questione della proporzionalità, in cui altrimenti diverse altre ipotesi alternative potrebbero essere prese in considerazione.

ii) Sussidiarietà

131. Sebbene vi sia un nesso tra il fondamento giuridico e la sussidiarietà, la questione sollevata è diversa. Non si tratta di stabilire se la Comunità fosse competente ad adottare la misura controversa, bensì se essa dovesse esercitare quella competenza .

132. Il principio di sussidiarietà è comparso per la prima volta nel Trattato nel limitato ambito delle nuove competenze comunitarie in materia di ambiente introdotte dall'Atto unico europeo . Il Trattato sull'Unione europea lo ha introdotto in forma più generale, nell'art. 3 B del Trattato CE, il cui secondo comma così recita:

«Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario».

133. Tale principio riguarda solamente la scelta tra l'azione della Comunità e l'azione degli Stati membri. Per questo motivo, se non altro , esso al massimo riflette parzialmente l'auspicio, dichiarato nel preambolo e all'art. A del Trattato sull'Unione europea (divenuto, in seguito a modifica, art. 1 UE), che «le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini». In caso di azione degli Stati membri, il grado di vicinanza ai cittadini dipende dall'assetto costituzionale e interno degli Stati membri interessati, Per lo stesso motivo, non sembra utile discutere il contenuto o l'applicazione del più ampio principio secondo cui è sbagliato «rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare» . Per questa e per un'ulteriore ragione, la mia trattazione del principio di sussidiarietà sarà alquanto succinta.

134. Le presenti cause riguardano la portata giuridica e l'applicabilità del detto principio come espresso nel Trattato CE. Esso è definito e circoscritto dall'incipit dell'art. 3 B, secondo comma: «Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza (...)».

135. Ai fini dell'applicazione del detto principio nelle presenti cause occorre chiedersi se l'azione di armonizzazione ai sensi degli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato rientri nelle esclusive competenze della Comunità. Se così è, il principio non si applica. D'altra parte, in entrambe le cause i ricorrenti sembrano presupporre che il fondamento giuridico su cui poggia la direttiva non rientri nell'esclusiva competenza della Comunità. Se tale postulato è sbagliato, come ritengo, non è necessario verificare se il principio sia stato effettivamente rispettato.

136. In primo luogo, procederò all'esame della natura dell'armonizzazione delle normative nazionali. Condivido l'argomento, sostenuto con vigore dal Parlamento all'udienza, secondo cui gli Stati membri non possono armonizzare le loro disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in settori che rientrano nell'ambito di applicazione del Trattato. L'azione individuale è esclusa dal punto di vista della logica e l'azione collettiva dei 15 Stati membri (per esempio, mediante un trattato di diritto internazionale pubblico) è esclusa, a mio avviso, dal punto di vista del diritto, se teniamo conto, in particolare, dei termini dell'art. 5 del Trattato CE (divenuto art. 10 CE) . Così, nella causa «orario di lavoro», la Corte ha dichiarato, con una formula sulla quale torneremo, che, dal momento che un'azione di armonizzazione è necessaria ai sensi dell'art. 118 A del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136-143 CE), ciò «presuppone necessariamente un'azione di dimensioni comunitarie» .

137. Ciò non significa che il principio di sussidiarietà sia inapplicabile qualora vengano esercitate competenze di armonizzazione attribuite alla Comunità ratione materiae il cui obiettivo sia il raggiungimento di determinati risultati nel settore interessato, come la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell'ambiente . Sebbene in quei settori la Comunità abbia una competenza esclusiva per l'adozione di misure di armonizzazione, tale competenza non è attribuita con il chiaro obiettivo di raggiungere l'uniformità . Piuttosto, l'attuazione di norme comunitarie uniformi è prevista al fine di raggiungere determinati obiettivi materiali che sono perseguiti anche dagli Stati membri nell'esercizio delle loro proprie competenze. In questo senso, la competenza materiale della Comunità e degli Stati membri è concorrente. Esiste una possibilità di scelta tra l'azione della Comunità e degli Stati membri per il perseguimento dei medesimi fini. Il principio di sussidiarietà è applicabile, ma le condizioni sono soddisfatte, apparentemente, se si dimostra la necessità di adottare misure comuni di armonizzazione, strumento che può essere utilizzato solo a livello comunitario.

138. Così, nella causa «orario di lavoro», la Corte ha ritenuto che il secondo elemento del criterio di conformità con il principio di sussidiarietà di cui all'art. 3 B del Trattato, ovvero la dimostrazione che l'obiettivo in questione può essere realizzato meglio a livello comunitario che non a livello nazionale, era soddisfatto dalla necessità dell'azione comunitaria . Così si espresse la Corte:

«A tale riguardo, si deve constatare che l'art. 118 A attribuisce al Consiglio il compito di adottare prescrizioni minime per contribuire, attraverso l'armonizzazione, alla realizzazione dell'obiettivo di innalzamento del livello di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, che, in forza del n. 1 della medesima disposizione, incombe in primo luogo agli Stati membri. Poiché il Consiglio ha constatato la necessità di migliorare il livello esistente di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori e di armonizzare, in una prospettiva di progresso, le condizioni esistenti in tale settore, la realizzazione di un obiettivo siffatto, mediante prescrizioni minime, presuppone necessariamente un'azione di dimensioni comunitarie, azione che lascia, del resto, in ampia misura agli Stati membri, come nel caso di specie, il compito di fissare le necessarie modalità di applicazione» .

139. Nella causa «orario di lavoro», la Corte si trovava ad esaminare un'area di competenza concorrente e non doveva, conseguentemente, intepretare l'espressione «competenza esclusiva». La situazione è diversa e, a mio avviso, più chiara in caso di esercizio della competenza comunitaria per l'adozione di misure di armonizzazione volte al perseguimento degli obiettivi del mercato interno. Ho già fatto presente che gli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato creano una competenza comunitaria generale di natura orizzontale e funzionale . Quando divergenze tra le normative nazionali danno luogo a ostacoli alla circolazione di beni o di servizi ovvero a distorsioni della concorrenza, la Comunità ha un interesse a raggiungere l'uniformità delle condizioni economiche chiaramente distinto dall'interesse per il contenuto di fondo delle regole uniformi adottate. Il coordinamento o armonizzazione delle normative nazionali che incidono sulle attività economiche costituisce la vera essenza delle dette competenze, purché esso vada a vantaggio del mercato interno e non sia un mero strumento per il perseguimento di altri scopi materialmente definiti. E' chiaro che solo la Comunità può adottare misure che soddisfano tali requisiti. Gli Stati membri possono tentare di porre rimedio ad alcuni effetti delle differenti normative, per esempio mediante norme di mutuo riconoscimento, ma non possono raggiungere da soli l'uniformità nel settore interessato. Il fatto che gli Stati membri siano competenti in un settore materiale sul quale misure di mercato interno possono avere un'incidenza, come in quello della protezione della salute, non implica che le competenze di mercato interno della Comunità siano concorrenti. Come gli obiettivi perseguiti sono di diversa natura , così lo sono anche le soggiacenti competenze .

140. Nella causa «garanzie dei depositi», l'impostazione dell'avvocato generale Léger era analoga. Egli osservò che l'art. 57 del Trattato - il fondamento giuridico impugnato in quella causa - non fa alcun riferimento alla competenza degli Stati membri, ma «attribuisce soltanto alla Comunità il compito di procedere al coordinamento delle norme nazionali in questo settore, il che dimostra che, ab initio, gli estensori del Trattato hanno ritenuto che il coordinamento in materia di accesso alle attività autonome e di esercizio delle medesime potesse essere meglio conseguito con un'azione comunitaria che non a livello nazionale ». La causa «garanzie dei depositi» potrebbe, per questa ragione, presentare un maggiore interesse per le cause di cui trattasi rispetto alla causa «orario di lavoro», che riguardava un problema di competenza materiale condivisa.

141. La Repubblica federale di Germania ha sostenuto che la Corte, non essendosi pronunciata sul problema della competenza esclusiva, non aveva seguito l'orientamento dell'avvocato generale in merito. Tuttavia, tale opinione non si fonda su una lettura corretta della sentenza. La Corte tenne a precisare che, nell'ambito del motivo sollevato in quella causa, la Germania non faceva valere che la direttiva impugnata era in contrasto con il principio di sussidiarietà, bensì che il «legislatore comunitario [...] non [aveva] indicato una motivazione idonea a dimostrare la conformità del suo operato a tale principio» . In altre parole, l'argomento non riguardava il rispetto sostanziale del principio, bensì l'obbligo di motivazione. E' in questo contesto che la sentenza deve essere intepretata. Inoltre, la Corte premise alla sua conclusione che l'obbligo di motivazione era stato rispettato le parole «in ogni caso» . La Corte ha statuito, dunque, soltanto che la motivazione era sufficiente, indipendentemente dall'applicabilità del principio di sussidiarietà, e non, come è stato sostenuto, che tale principio fosse effettivamente applicabile. Era assolutamente corretto che la Corte si astenesse dal pronunciarsi su una questione di fondamentale rilievo costituzionale che le parti avevano sollevato, tutt'al più in via incidentale. Non si può ritenere, pertanto, che il suo giudizio costituisca un precedente.

142. Concludo, pertanto, che l'esercizio della competenza comunitaria ai sensi degli artt. 57, n. 2, e 100 A del Trattato è di natura esclusiva e che il principio di sussidiarietà non è applicabile. Non vi può essere alcun criterio di «efficacia comparata» tra l'azione potenziale degli Stati membri e della Comunità. Altrimenti, sorgerebbero problemi persino più complessi. In particolare, ci si chiede come si possa effettuare una valutazione comparata tra i vantaggi di un'azione di armonizzazione a livello comunitario a favore del mercato interno e singole normative degli Stati membri relative a interessi nazionali completamente differenti di carattere sostanziale.

143. Nel Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità non vi è nessun elemento che, se fosse entrato in vigore alla data di adozione della direttiva sulla pubblicità, avrebbe potuto condurre ad una conclusione diversa da quella da me raggiunta. In particolare, è chiaro che il «principio di sussidiarietà non rimette in questione le competenze conferite alla Comunità dal trattato, come interpretato dalla Corte di giustizia» . Il Protocollo fa presente che esso riguarda «settori che non sono di esclusiva competenza della Comunità».

144. Può effettivamente apparire soprendente, come affermato dagli avvocati dei ricorrenti, che il principio di sussidiarietà non trovi applicazione in un campo che per sua natura richiede un'azione della Comunità in settori che altrimenti ricadrebbero nella sfera di competenza degli Stati membri. Nella causa «garanzie dei depositi», la Germania sostenne che riconoscere in capo alla Comunità una competenza esclusiva «in materia di mercato interno equivarrebbe a conferirle tale competenza in quasi tutti i settori di attività, dal momento che la misura in questione eliminerebbe ostacoli al mercato interno» . L'avvocato generale Léger respinse questo argomento e esaminò con precisione i casi in cui un'azione a livello di Stati membri rimane possibile. Inoltre, poiché non vi è dubbio che sia necessario garantire l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno, concludo che il sindacato giurisdizionale sulle condizioni oggettive richieste per l'adozione di misure basate su tali fondamenti giuridici verterà, in una certa misura, sul problema della non-necessarietà dell'azione comunitaria in settori in cui anche gli Stati membri sono dotati di competenza, il che ha condotto a inserire il principio di sussidiarietà nel Trattato.

145. Essendo giunto alla conclusione che il principio di sussidiarietà non si applica, non ritengo necessario esaminare se sia stato rispettato nella fattispecie. Pertanto, respingerei questo motivo di nullità.

iii) Proporzionalità

iv) Violazione dell'art. 30 del Trattato

v) Violazione di diritti economici

146. Procederò all'esame congiunto di questi tre motivi, giacché li ritengo tutti e tre legati all'elemento dell'efficacia del perseguimento di obiettivi di mercato interno a livello comunitario.

147. L'art. 3 B del Trattato dispone che «[l]'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato». Nella sentenza «BSE» la Corte ha elaborato il seguente criterio tripartito di valutazione della proporzionalità:

«[I]l principio di proporzionalità (...) richiede che gli atti delle istituzioni comunitarie non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla misura meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti» .

148. Tale criterio può essere usato sia per stabilire se la direttiva sulla pubblicità sia conforme al principio generale di proporzionalità in diritto comunitario, problema di cui mi occuperò immediatamente in questa sezione, sia per valutare se essa limiti legittimamente l'esercizio di diritti fondamentali come la libertà di espressione . Comunque, esso non condurrà necessariamente a identici risultati nei due contesti, poiché i fattori in gioco sono diversi.

149. Da quanto detto sopra emerge come sia perfettamente legittimo che il legislatore comunitario persegua contemporaneamente obiettivi di mercato interno e di protezione della salute. Pertanto, non vi sono dubbi sul fondamento giuridico della direttiva sulla pubblicità se la protezione della salute svolge un ruolo nell'esame della proporzionalità del detto provvedimento . La possibilità teorica di adottare misure di mercato interno meno restrittive, come per esempio l'eliminazione obbligatoria di ogni restrizione nazionale relativa alla promozione del tabacco, non può essere utilizzata per dimostrare che la direttiva non rappresenta il mezzo meno restrittivo per il raggiungimento degli obiettivi del legislatore, perché così si ignorerebbe il contemporaneo obiettivo della protezione della salute. D'altronde, è altresì chiaro che la protezione della salute non può funzionare come obiettivo in modo autonomo. Di conseguenza, quali che siano i benefici per la salute derivanti dalle restrizioni apportate alla maggior parte delle forme di pubblicità, anche in contesti esclusivamente interni, la prima condizione di proporzionalità sarà soddisfatta solo se la direttiva contribuisca a raggiungere obiettivi di mercato interno; altrimenti essa deve essere censurata in quanto non riesce a realizzare un obiettivo essenziale che costituisce anche una condizione primaria per l'esercizio della competenza. L'esame del fondamento giuridico della direttiva da me svolto si impernia su quello che io considero un manifesto errore del legislatore comunitario in relazione al raggiungimento della libera circolazione delle merci e dei servizi, nonché al mantenimento di condizioni di concorrenza scevre da distorsioni nei settori della pubblicità e della sponsorizzazione dei prodotti del tabacco. Per la stessa ragione, considero la direttiva un inefficace mezzo per il raggiungimento degli obiettivi perseguiti, che, in quanto tale, non riesce a superare la prima fase del controllo di proporzionalità . Anche se la Corte decidesse di non seguire il mio suggerimento sul punto della competenza, sulla base di una diversa valutazione delle regole generali sulla competenza ovvero della loro applicazione, farei comunque riferimento al mio esame sul detto problema al fine di dimostrare, a titolo sussidiario, che la direttiva è sproporzionata in una più ampia accezione del termine, in quanto non soddisfa la prima delle tre condizioni della proporzionalità . E' inutile speculare ulteriormente sugli altri possibili orientamenti della Corte in merito alla questione della competenza e sulle loro implicazioni per il controllo della proporzionalità, giacché ciò ci porterebbe a lavorare sulla base di ipotesi che, in definitiva, potrebbero non riflettere la mia opinione né quella della Corte sul problema della competenza.

150. L'argomento della Germania relativo all'art. 30 del Trattato non aggiunge nulla, a mio avviso, a quanto già detto. Non sono del tutto convinto dell'utilità di un giudizio della Corte sulla conformità all'art. 30 di singole disposizioni di misure comunitarie relative al mercato interno nel caso in cui, come abbiamo visto , le restrizioni imposte da simili misure possono rappresentare un elemento necessario di un programma volto a facilitare gli scambi che, contemporaneamente, deve rispettare determinate esigenze di interesse generale . Se, tuttavia, la Corte dovesse procedere in tal senso, la sua sentenza nella causa Kieffer e Thill indica che l'esame della proporzionalità di una restrizione alla libera circolazione delle merci alla luce del mercato interno o di un altro obiettivo della misura è identico a quello già illustrato, cosicché la direttiva dovrebbe essere annullata anche per questo motivo.

151. Per la stessa ragione, propongo che la Corte annulli la direttiva per violazione del diritto di proprietà e del diritto al libero esercizio di un'attività professionale. Detti diritti, come tutti i principi generali del diritto comunitario, «non si configurano tuttavia come diritti assoluti, ma vanno considerati in relazione alla loro funzione sociale» . Ciò consente di imporre restrizioni che rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti . La direttiva, a mio parere, non impone restrizioni a favore di obiettivi di mercato interno necessari perché essa fosse legittimamente adottata.

vi) Libertà di espressione

152. E' più opportuno, per due ragioni tra loro collegate, esaminare la compatibilità della direttiva sulla pubblicità col principio della libertà di espressione supponendo che la direttiva sia, per altri versi [e contrariamente alle nostre conclusioni di cui alle sezioni V(i) e (iii)- (v)], uno strumento legittimo e proporzionato per il perseguimento di obiettivi di mercato interno, in relazione ai diritti economici individuali e agli interessi su cui essa incide. In realtà, la difesa contro la pretesa violazione della libertà di espressione ad opera della direttiva si è basata quasi esclusivamente sul fatto che essa persegue obiettivi di protezione della salute, punto che ancora non ho discusso. Sono altresì consapevole delle potenziali implicazioni di tale argomento per la giustificazione degli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci e dei servizi di norme nazionali che disciplinano la promozione del tabacco.

153. I diritti fondamentali protetti in quanto principi generali del diritto comunitario comprendono la libertà di espressione . Nel determinare i diritti protetti dal diritto comunitario e la portata della protezione loro accordata, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo riveste «un particolare significato» quale fonte di ispirazione . L'art. 10, n. 1, della Convenzione dispone, nella parte che qui rileva:

«Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera (...)».

Dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo emerge che tutte le forme d'espressione meritano di essere protette ai sensi dell'art. 10, n. 1, della Convenzione, il che comprende ciò che viene comunemente conosciuto come espressione commerciale , cioè la fornitura di informazioni, l'espressione di idee o la comunicazione di immagini come parte della promozione di un'attività commerciale e il concomitante diritto di ricevere tali comunicazioni.

154. L'espressione commerciale dovrebbe pertanto essere protetta anche in diritto comunitario. L'espressione commerciale, in una società democratica liberale, non contribuisce allo stesso modo dell'espressione politica, giornalistica, letteraria o artistica al raggiungimento di obiettivi d'interesse sociale come, per esempio, la promozione della dialettica democratica e della responsabilità politica o la contestazione di taluni conformismi correnti al fine di sviluppare la tolleranza o il cambiamento. Tuttavia, a mio avviso, i diritti delle persone sono riconosciuti come fondamentali per natura, non solamente a causa della loro funzione strumentale e sociale, ma anche perché essi sono necessari per l'autonomia, la dignità e lo sviluppo individuale del singolo . Così, la libertà dei singoli di promuovere attività commerciali non deriva solamente dal loro diritto ad esercitare un'attività economica e dall'impegno generale, nel contesto comunitario, verso un'economia di mercato basata sulla libera concorrenza, ma anche dal loro diritto originario, in quanto esseri umani, ad esprimere e ricevere liberamente opinioni su qualsiasi argomento, comprese le qualità dei beni o dei servizi che essi commercializzano o acquistano.

155. D'altronde, è chiaro che l'esercizio della libertà di espressione, come quello di altri diritti e libertà, può essere soggetto a restrizioni proporzionate al fine di garantire ad altri il godimento di diritti o il raggiungimento di determinati obiettivi per il bene comune. La protezione della salute costituisce uno dei motivi in base ai quali l'art. 10, n. 2, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo consente l'imposizione di restrizioni alla libertà di espressione. Tale esempio dovrebbe essere seguito nell'ordinamento giuridico comunitario. Infatti, la Corte, tra gli interessi pubblici protetti dall'art. 36 del Trattato , ha attribuito il primo posto alla protezione della salute umana, che figura anche in posizione di rilievo tra le politiche della Comunità di cui agli artt. 3, lett. o), 100 A, n. 3, e 129, n. 1, del Trattato.

156. Tuttavia, data l'importanza fondamentale della libertà di espressione, il pubblico interesse alla limitazione del suo esercizio in determinate circostanze o per scopi specifici deve essere dimostrato dalle pubbliche autorità che propongono o impongono una simile limitazione. In particolare, quest'ultima deve essere conforme al controllo di proporzionalità tripartito illustrato ai paragrafi 147 e 148. Nel caso della direttiva sulla pubblicità, si sostiene che il consumo dei prodotti del tabacco sia pericoloso per la salute dei fumatori, che la pubblicità e la sponsorizzazione promuovano tale consumo e che l'ampio divieto delle dette forme di espressione condurrebbe ad una riduzione del consumo di tabacco e, di conseguenza, gioverebbe alla salute delle persone. Il danno causato dal fumo alla salute non è stato contestato nelle presenti cause e la Germania ha fatto presente di voler ridurre il consumo. Ci si è chiesti con insistenza, tuttavia, se il divieto della maggior parte delle forme di promozione dei prodotti del tabacco raggiungerà lo scopo della riduzione del consumo del tabacco o se invece inciderà meramente sulla concorrenza tra i marchi di tabacco.

157. Come abbiamo già visto, nel momento dell'esame della proporzionalità di scelte legislative effettuate in settori complessi, il ruolo della Corte è generalmente quello di valutare «se l'esercizio del detto potere non sia viziato da errore manifesto e da sviamento di potere o se [le istituzioni] non abbia[no] palesemente sconfinato dai limiti del [loro] potere discrezionale» . Non vi è dubbio che la valutazione degli effetti della pubblicità sul livello di consumo di un prodotto e dei probabili effetti di un ampio divieto di pubblicità su di esso rappresenti un problema complesso. Tuttavia, non ritengo che questo sia il giusto livello di sindacato giurisdizionale da esercitare nel controllo delle restrizioni apportate all'esercizio di un diritto individuale fondamentale quale la libertà di espressione .

158. La Corte europea dei diritti dell'uomo generalmente richiede che le parti contraenti forniscano prove convincenti di un bisogno sociale urgente di limitare la libertà di espressione . La stessa Corte ha chiaramente adottato un approccio diverso nel caso dell'espressione commerciale: i limiti imposti a quest'ultima sono accettabili qualora le autorità competenti, per validi motivi, abbiano ritenuto che le restrizioni fossero necessarie . Un simile trattamento differenziato è giustificato, a mio parere, a causa del diverso modo in cui l'espressione commerciale e, per esempio, l'espressione politica interagiscono con interessi pubblici di ordine più generale. Come ho già fatto presente, l'espressione politica stessa serve interessi sociali di estrema importanza ; oltre al suo ruolo nella promozione delle attività economiche, in riferimento a cui il legislatore a ragione dispone di un ampio potere discrezionale per imporre restrizioni nel pubblico interesse, l'espressione commerciale normalmente non svolge una così ampia funzione sociale della stessa portata.

159. Conseguentemente, sarei favorevole all'adozione di un'analoga impostazione nell'ordinamento giuridico comunitario. Una volta stabilito che una misura comunitaria restringe la libertà di espressione commerciale, come nel caso evidente della direttiva sulla pubblicità, il legislatore comunitario dovrebbe essere anche tenuto a dimostrare alla Corte di aver avuto validi motivi per adottare la misura in questione nel pubblico interesse. In concreto, dovrebbe fornire una prova coerente dell'efficacia della misura per il raggiungimento dell'obiettivo di pubblico interesse dichiarato - nelle presenti cause, la riduzione del consumo del tabacco rispetto al livello che si dovrebbe altrimenti constatare - e del fatto che misure meno restrittive non sarebbero parimenti efficaci.

160. La prova richiesta per giustificare una restrizione dipende dalla natura di ciò che si rivendica. Nella fattispecie, si tratta per lo più di valutare oggettivamente i probabili effetti della direttiva sulla pubblicità. Il legislatore non dovrebbe disporre di un margine di discrezionalità così ampio come nel caso, per esempio, della protezione della morale . Tuttavia, alla Comunità non dovrebbe essere impedito di agire nel pubblico interesse solo perché la giustificazione della sua azione dipende necessariamente non da studi scientifici «solidi» ma da prove sociologiche che predicono, sulla base del comportamento pregresso, le future reazioni dei consumatori a cambiamenti nel livello di esposizione alla promozione . Inoltre, quando il legislatore comunitario può dimostrare di aver agito sulla base di studi scientifici di specialisti rinomati nel settore interessato, il fatto che altri studiosi apparentemente rinomati siano giunti a conclusioni opposte di per sé non significa che il legislatore non avesse validi motivi per agire. Nelle presenti cause, la valutazione del legislatore sugli effetti della pubblicità del tabacco è coerente con l'affermazione della Corte stessa secondo cui «non è in effetti contestabile che la pubblicità costituisca un incitamento al consumo» . Inoltre, la maggior parte della pubblicità non può essere così precisamente mirata da raggiungere solo i fumatori esistenti che desiderano scegliere tra più marche ed escludere altri che potrebbero essere indotti a cominciare a fumare ovvero a rinunciare all'intenzione di smettere di fumare.

161. L'onere della prova può essere meno rigoroso quando è in gioco la sanità pubblica. Nella causa «BSE», la Corte si è così espressa: «(...) si deve ammettere che, quando sussistono incertezze riguardo all'esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi» . Tuttavia, le presenti cause non riguardano un divieto di commercializzazione dei prodotti del tabacco, i cui effetti dannosi sulla salute sono fuori discussione, bensì un divieto piuttosto ampio di promozione di tali prodotti. Il dibattito scientifico in merito verte sugli effetti della detta promozione sul livello complessivo di consumo (in contrasto con la semplice scelta di marche da parte dei fumatori esistenti), che non corrisponde alla valutazione dei rischi per la salute causati da tale consumo. Inoltre, il divieto di cui alla causa «BSE» era di carattere transitorio e poteva essere modificato in seguito ad un riesame della situazione . Le divergenze d'opinione sugli effetti della pubblicità del tabacco sono piuttosto antiche ed è improbabile che possano essere risolte in breve tempo. Il criterio proposto nel precedente paragrafo tiene conto della mancata unanimità negli ambienti scientifici; a mio avviso, non si rispetterebbe sufficientemente la libertà di espressione se si andasse oltre, permettendo al legislatore di limitare l'esercizio del detto diritto senza alcuna prova chiara che tale restrizione conduca presumibilmente a modificare dei comportamenti che, a loro volta, potrebbero giovare alla salute delle persone.

162. Il Consiglio ha prodotto, a titolo di prova, le conclusioni di due rapporti, il primo a cura dello United States National Bureau of Economic Research (NBER) e l'altro commissionato all'Institut für Therapie- und Gesundheitsforschung di Kiel (Germania) dal Ministero federale tedesco della Sanità . Sebbene le ricorrenti nella causa Imperial Tobacco abbiano prodotto a titolo di prova innanzi al giudice nazionale studi che conducevano a opposti risultati, anche il Regno Unito ha prodotto studi che non sono stati esaminati nel detto procedimento. Anche la Francia ha prodotto documenti sugli effetti delle restrizioni nazionali da essa applicate (la «loi Évin»). A mio avviso, è sufficiente prendere in considerazione gli studi cui si richiamano le istituzioni. I rapporti individuano un nesso tra la pubblicità a favore del tabacco e il fatto di iniziare a fumare, soprattutto tra i giovani, nonché tra il divieto di pubblicità e la riduzione media pro capite del consumo di tabacco. Il rapporto NBER comprende una stima, fondata sull'analisi di regressione, dei probabili effetti della stesura riveduta dalla Commissione (1997) della seconda proposta di direttiva , la cui conclusione è che nel periodo di riferimento essa avrebbe probabilmente ridotto il consumo di tabacco del 6,9% circa . Inoltre, esso conclude che, mentre divieti ampi hanno un chiaro effetto sulla riduzione del consumo di tabacco, divieti limitati riducono pochissimo l'impatto della pubblicità, in quanto consentono di sostituire con altri mezzi di comunicazione i mezzi vietati e non conducono a una contrazione della spesa complessiva per la pubblicità a favore del tabacco né della sua presenza. La possibilità di aggirare un divieto che non riguardi tutte le forme di pubblicità è menzionata nell'ottavo considerando della direttiva sulla pubblicità. E' curioso che le istituzioni abbiano cercato di contestare la natura onnicomprensiva del divieto, al fine di difenderlo, sostenendo allo stesso tempo che un divieto meno completo sarebbe stato molto meno efficace.

163. Sulla base di questi elementi, concludo che il legislatore comunitario aveva fondate ragioni per ritenere che un ampio divieto di promozione del tabacco avrebbe condotto ad una riduzione significativa dei livelli di consumo ed avrebbe contribuito, di conseguenza, alla tutela della sanità pubblica.

164. Quanto alla condizione che le restrizioni imposte non siano più gravose del necessario, concordo con l'opinione secondo cui un divieto quasi totale della pubblicità in riferimento a un'attività economica costituisce un'ingerenza particolarmente grave nell'esercizio del diritto alla libera espressione . Più restrittivi sono gli effetti, maggiore è l'onere per il legislatore di dimostrare che una misura meno gravosa non sarebbe stata sufficiente. Tuttavia, concludo che nelle presenti cause il legislatore ha assolto il suo compito, dimostrando di aver valide ragioni per ritenere che limitate restrizioni della promozione del tabacco fossero inefficaci. Il fatto che anche altre misure positive, come le campagne d'informazione, possano avere un effetto non dimostra di per sé che un divieto ampio di pubblicità sia eccessivamente restrittivo, poiché (con riserva di ripartizione di competenze tra la Comunità e gli Stati membri) un'opzione non esclude l'altra e non è dimostrato che i loro effetti si sovrappongano completamente.

165. Veniamo ora alla terza fase della nostra analisi, in cui verificheremo se la direttiva sulla pubblicità imponga restrizioni alla libertà di espressione commerciale sproporzionate rispetto ai benefici di pubblico interesse previsti, indipendentemente dall'efficacia con cui essi vengono perseguiti. Data l'incidenza massiccia del consumo del tabacco quale fattore di mortalità e quale causa di gravi problemi di salute nella Comunità, ritengo che una potenziale riduzione del 6,9% del livello di consumo costituirebbe un notevole traguardo per la sanità pubblica, e consentirebbe probabilmente di salvare migliaia di vite umane.

166. Sono del parere che, in linea di principio, ove i requisiti di efficacia e di stretta necessità siano soddisfatti, l'esercizio di diritti come la libertà di espressione commerciale non sia ostacolato in maniera inaccettabile da un divieto di promozione di prodotti pericolosi, quando gli scambi di informazioni scientifiche e d'altra natura nonché di opinioni politiche sulla disciplina del commercio in questione rimangono liberi da restrizioni. I produttori di tabacco restano liberi di commercializzare i loro prodotti, ai quali in definitiva si riferisce il diritto di espressione invocato, e possono persino fare della pubblicità nel punto vendita, se la normativa nazionale lo consente.

167. Il fatto che la direttiva sulla pubblicità vieti la promozione di prodotti che sono legalmente commercializzati nella Comunità non è determinante, sebbene non sia irrilevante. Nella causa «Open Door Counselling/Irlanda», la Corte europea dei diritti dell'uomo ha osservato che le norme nazionali impugnate richiedevano un attento esame, poiché in quel caso l'informazione proibita si riferiva a un'attività legale nel luogo in cui era praticata , il che presuppone che la fornitura di informazioni su attività lecite può essere legittimamente ristretta in determinate circostanze. Propongo che la Corte prenda atto dell'esistenza del problema dell'esecuzione e di altri problemi che potrebbero insorgere in caso di interdizione totale di un'attività che porta a dipendenza come nel caso del fumo (nonché la limitazione della libertà personale dei fumatori che ciò comporterebbe). La legittimità di un'attività (e l'impossibilità di vietarla) non implica, pertanto, che essa sia priva di effetti negativi che il legislatore potrebbe cercare di controllare nel pubblico interesse. Inoltre, esigere che un'attività sia vietata per consentire l'imposizione di restrizioni alla sua promozione non è necessariamente compatibile con la condizione che sia usato il mezzo meno restrittivo per raggiungere obiettivi legittimi.

168. Non posso considerare come precedente utile per le presenti cause la sentenza «Open Door», la cui rilevanza è stata aspramente discussa in sede di udienza, in parte perché essa apparentemente riguardava una restrizione totale della libertà di espressione, che risultava sproporzionata.

169. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha accolto l'argomento del governo irlandese secondo cui la restrizione [derivante da un'ordinanza della Supreme Court] (...) perseguiva il legittimo scopo di proteggere la morale, di cui in Irlanda la protezione del diritto alla vita del nascituro costituisce un aspetto . Tuttavia, solo la particolare restrizione imposta dal giudice ai ricorrenti in quella causa mediante ordinanza è stata ritenuta di carattere assoluto. In realtà, la Corte ha aggiunto che le informazioni sulle strutture sanitarie straniere in cui si pratica l'aborto erano ricavabili da numerose altre fonti .

170. La Corte europea dei diritti dell'uomo, nel valutare la necessità e, conseguentemente, la proporzionalità di quella specifica restrizione, ha tenuto conto della protezione della salute della donna, considerazione che, seppur evidentemente pertinente in quel contesto, complica la ponderazione diretta tra la libertà di espressione e un singolo bisogno sociale urgente.

171. La Corte europea dei diritti dell'uomo è stata influenzata soprattutto dall'idea che, poiché vi erano donne che avevano deciso di non ricorrere all'aborto dopo aver raccolto la consulenza non orientata discussa in quella causa, «il nesso tra la fornitura di informazioni e l'eliminazione del nascituro non era così manifesto come si sosteneva». Allo stesso tempo, «l'ingiunzione era rimasta largamente inefficace», dato l'alto numero di donne irlandesi che continuavano ad abortire in Gran Bretagna.

172. In effetti, i membri della Corte dei diritti dell'uomo hanno risolto a maggioranza il problema della proporzionalità con riferimento alla loro propria concezione dei valori concorrenti della salute della donna (legata al diritto di ricevere informazioni), della libertà di espressione e della protezione del nascituro. Essi non sembrano aver attribuito alcuna importanza a ciò che implicitamente consideravano come protezione parzialmente efficace dell'ultimo valore citato. Se trasponessimo alla lettera questa analisi alle presenti cause, sarebbe difficile sostenere che l'obiettivo di una presunta riduzione del consumo di tabacco per un semplice 6,9% possa giustificare un divieto ampio di pubblicità a favore del tabacco, nonostante la notevole riduzione del numero assoluto di fumatori (e probabilmente delle malattie e delle morti a ciò collegate) che ciò rappresenterebbe.

173. In realtà, nella causa «Grogan», nell'esame essenzialmente dello stesso problema nel contesto del diritto comunitario ma anche alla luce dell'art. 10 della Convenzione, l'avvocato generale van Gerven ritenne che la restrizione fosse proporzionata .

174. Non credo, comunque, che sia possibile estrapolare la sentenza «Open Door» dal suo contesto estremamente difficile e delicato ovvero trarne conclusioni definitive per le presenti cause. La causa «Open Door» si riferiva alla fornitura non orientata di informazioni piuttosto che alla promozione commerciale dell'aborto ; nelle presenti cause ci troviamo di fronte alla restrizione di misure promozionali dirette e indirette e non vi è alcun indizio relativo a una possibile futura restrizione dell'informazione a scopo non promozionale di prodotti leciti .

175. Concludendo, ritengo, pertanto, che la direttiva sulla pubblicità non costituisca una restrizione sproporzionata della libertà di espressione nella parte in cui impone un ampio divieto di pubblicità dei prodotti del tabacco .

176. Tuttavia, non mi sembra che ciò valga anche per il divieto di pubblicità a favore dei prodotti di diversificazione. Non è affatto detto che la pubblicità a favore di beni e servizi diversi dal tabacco che sono contrassegnati da marchi o altri segni distintivi associati con prodotti del tabacco abbia un effetto sul livello di consumo di questi ultimi, in maniera generale . Il legislatore comunitario non ha dimostrato in alcun modo l'esistenza di un simile nesso. Conseguentemente, concludo che esso non è riuscito a provare di aver validi motivi per adottare le restrizioni alla detta pubblicità di cui all'art. 3, n. 3, lett. b), della direttiva e che tale disposizione dovrebbe essere annullata. Essa non è giustificata in alcun modo dalla possibilità che la sua portata sia limitata in pratica dagli Stati membri, qualora questi si avvalgano di quanto disposto all'art. 3, n. 2, della direttiva. Analogamente, non è stato presentato alcun argomento né è stata addotta alcuna prova che spieghino perché l'art. 3, n. 3, lett. a), vieti che i prodotti del tabacco rechino nomi o altri segni distintivi associati ad altri beni o servizi. Giacché anche l'applicazione di tali marchi o nomi a un prodotto costituisce una forma di esercizio della direttiva della libertà di espressione commerciale, concludo che non è stato dimostrato che l'art. 3, n. 3, lett. a), della direttiva sulla pubblicità rappresenti una restrizione giustificata della detta libertà. Esso dovrebbe perciò essere annullato. Le due parti dell'art. 3, n. 3, della direttiva sono a mio avviso separabili, stando ai criteri illustrati ai paragrafi 122-126 delle presenti conclusioni.

vii) Difetto di motivazione

177. Secondo una giurisprudenza costante della Corte, l'obbligo di motivazione sancito dall'art. 190 implica che tutti gli atti considerati contengano un'esposizione dei motivi che hanno indotto l'istituzione interessata ad emanarli, in modo che la Corte possa esercitare il proprio controllo e che sia gli Stati membri sia i cittadini interessati siano posti in grado di conoscere le condizioni nelle quali le istituzioni comunitarie hanno fatto applicazione del Trattato . Allo stesso tempo, il livello di dettaglio richiesto può variare a seconda della natura dell'atto considerato. Nel caso di una misura di applicazione generale, la motivazione può limitarsi all'indicazione della situazione complessiva che ha causato la sua adozione nonché degli scopi generali ch'essa persegue. Non è necessario specificare i vari fatti, talvolta molto numerosi e complessi, presi in considerazione dal legislatore né fornirne una valutazione più o meno esauriente .

178. Dalla mia analisi della competenza dovrebbe risultare chiaro che l'esposizione dei motivi nel preambolo della direttiva sulla pubblicità è sufficiente, a mio avviso, perché la Corte possa esercitare il suo sindacato giurisdizionale. La posizione fondamentale del legislatore comunitario circa il mercato interno è chiaramente esposta nei primi due considerando, e il loro carattere di motivazione non è contraddetto dal fatto che la direttiva non riesca a raggiungere l'obiettivo perseguito. Non era necessario che il legislatore includesse informazioni precise circa gli studi degli effetti della pubblicità sul consumo di tabacco o i relativi livelli di scambi transfrontalieri di servizi e di strumenti pubblicitari. Propongo che la direttiva sia annullata integralmente per difetto di motivazione solo nel caso che la Corte intenda dichiarare che la Comunità era competente ad adottarla, dati i suoi effetti sull'instaurazione e sul funzionamento del mercato interno in settori economici che non sono menzionati in alcun punto del preambolo, come la produzione e la distribuzione di prodotti del tabacco o l'industria pubblicitaria in generale. Non è accettabile, a mio avviso, consentire al legislatore di richiamarsi a vantaggi per il mercato interno precedentemente non menzionati, quando sussistono dubbi sulla realizzazione degli obiettivi inizialmente enunciati.

179. Propongo, invece, che l'art. 3, n. 3, lett. a), della direttiva sia annullato per difetto di motivazione. Tale disposizione eccezionale relativa all'uso di marchi o altri segni distintivi di altri prodotti e servizi per prodotti del tabacco non è in alcun modo motivata e, come già detto al paragrafo 116, non sembra aver alcuna relazione con l'obiettivo dichiarato della direttiva di realizzare il mercato interno dei prodotti e dei servizi associati alla pubblicità e alla sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco.

Sulle spese

180. Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura della Corte di giustizia, il Consiglio e il Parlamento dovrebbero essere condannati a sopportare le spese della Repubblica federale di Germania nella causa C-376/98. Nei confronti delle parti nella causa principale il procedimento C-74/99 costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute dalla Commissione e dagli Stati membri, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione in nessuna delle due cause. Non propongo alcuna soluzione relativamente alla condanna alle spese per l'ipotesi che la Corte accolga una delle mie proposte alternative di annullamento parziale, ovvero che non ne accolga alcuna.

VII - Conclusioni

181. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di:

- annullare la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/43/CE, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco, in quanto la Commissione non era competente ad adottarla in base ai fondamenti giuridici ivi citati.

In subordine, qualora la Corte non dovesse seguire il mio consiglio, propongo che la Corte:

- annulli la direttiva 98/43/CE per violazione del principio generale di proporzionalità, per violazione dell'art. 30 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE), del diritto di proprietà e della libertà di esercitare un'attività commerciale o professionale.

In entrambi i casi, propongo altresì che la Corte:

- ingiunga al Parlamento europeo e al Consiglio dell'Unione europea di pagare le spese sostenute dalla Repubblica federale di Germania nella causa C-376/98.

In via di estremo subordine, propongo che la Corte:

- annulli l'art. 3, n. 3, della direttiva 98/43/CE per violazione della libertà di espressione; e/o

- annulli l'art. 3, n. 3, lett. a), della direttiva 98/43/CE per difetto di motivazione.

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