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Document 61997CC0424

Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 19 maggio 1999.
Salomone Haim contro Kassenzahnärztliche Vereinigung Nordrhein.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Landgericht Düsseldorf - Germania.
Principio della responsabilità di uno Stato membro in caso di violazione - Violazioni imputabili ad un ente di diritto pubblico di uno Stato membro Presupposti della responsabilità dello Stato membro e di un ente di diritto pubblico di questo stesso Stato Compatibilità di un requisito linguistico con la libertà di stabilimento.
Causa C-424/97.

Raccolta della Giurisprudenza 2000 I-05123

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1999:253

61997C0424

Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 19 maggio 1999. - Salomone Haim contro Kassenzahnärztliche Vereinigung Nordrhein. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Landgericht Düsseldorf - Germania. - Principio della responsabilità di uno Stato membro in caso di violazione - Violazioni imputabili ad un ente di diritto pubblico di uno Stato membro Presupposti della responsabilità dello Stato membro e di un ente di diritto pubblico di questo stesso Stato Compatibilità di un requisito linguistico con la libertà di stabilimento. - Causa C-424/97.

raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-05123


Conclusioni dell avvocato generale


1 Per la seconda volta la Corte è chiamata a pronunciarsi per via pregiudiziale su questioni che le rimette un giudice tedesco che deve giudicare un contenzioso che, da più di dieci anni, oppone il signor Haim alle autorità tedesche.

2 Il signor Haim è un cittadino italiano che, alla fine degli studi di medicina odontoiatrica compiuti in Turchia, ha ottenuto in questo Stato il diploma di dentista e vi ha esercitato questa professione fino al 1980. Nel 1981 ha ottenuto l'autorizzazione («Approbation») ad esercitare la professione di dentista in Germania. E' tuttavia in Belgio, dove, nel 1982, il suo diploma turco è stato riconosciuto dalle autorità competenti come equipollente al diploma belga di dentista che, fino al 1991, eserciterà la professione come dentista convenzionato. Alla fine del 1991 ha interrotto questa attività in Belgio per venire ad esercitare come assistente nell'ambulatorio del figlio in Germania, prima di ritornare nel 1993 in Belgio per riprendervi la sua attività precedente.

3 Nel frattempo il signor Haim aveva chiesto alla Kassenzahnärztliche Vereinigung Nordrhein (associazione dei dentisti mutualisti della Renania settentrionale; in prosieguo: la «KVN») di essere iscritto all'Albo dei dentisti, in modo da poter prodigare le sue cure, come dentista convenzionato, agli assistiti di una cassa malattia.

4 Il 10 agosto 1988 la domanda veniva respinta perché la normativa tedesca subordina tale iscrizione al compimento di un periodo di tirocinio di due anni che non era stato svolto dal signor Haim. Ora, possono essere dispensati da questa condizione soltanto i dentisti che hanno ottenuto in un altro Stato membro della Comunità europea un diploma riconosciuto ai sensi delle disposizioni di diritto comunitario e che sono autorizzati ad esercitare la professione. Tale non era il caso del signor Haim, il cui diploma turco era stato oggetto soltanto di un riconoscimento di equipollenza in uno Stato membro.

5 Contestando la fondatezza di questo rifiuto, il signor Haim ha intentato contro la KVN un'azione contenziosa, nell'ambito della quale il Bundessozialgericht ha sottoposto alla Corte di giustizia diverse questioni pregiudiziali.

6 Nella sentenza 9 febbraio 1994 (1) la Corte ha in sostanza dichiarato che, tenuto conto del fatto che il diploma del signor Haim gli era stato rilasciato in Turchia, la decisione della KVN non era in contrasto con le disposizioni della direttiva del Consiglio 25 luglio 1978, 78/686/CEE, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di dentista e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi (2) e che «[l]'art. 52 del Trattato CEE non consente alle autorità competenti di uno Stato membro di negare l'accesso alla convenzione come dentista con una cassa di assicurazione-malattia ad un cittadino di un altro Stato membro - che non sia in possesso di alcuno dei diplomi indicati all'art. 3 della direttiva 78/686, ma che sia abilitato all'esercizio e abbia esercitato la professione tanto nel primo quanto nel secondo Stato membro - a causa del mancato compimento del tirocinio preparatorio imposto dalla normativa del primo Stato, senza verificare se, ed in caso affermativo in qual misura, l'esperienza di cui l'interessato comprovi già il possesso corrisponda a quella richiesta dalla normativa medesima» (3).

7 In seguito a questa sentenza il signor Haim ha ottenuto, all'inizio del 1995, l'iscrizione all'albo, ma a causa dell'età non ha proseguito le pratiche da svolgere per diventare dentista convenzionato.

8 Il signor Haim adesso intende ottenere riparazione del pregiudizio economico, risultante dal lucro cessante, che egli sostiene di aver subito dal momento che, in violazione del diritto comunitario, dal 1988 alla fine del 1994, gli è stato impedito di esercitare l'attività di dentista convenzionato in Germania. A questo fine ha citato la KVN davanti al Landgericht di Düsseldorf.

9 Secondo questo giudice, la domanda di risarcimento del signor Haim non può essere accolta sulla base del diritto tedesco. Infatti esso ritiene che, in forza di questo diritto, la KVN non ha compiuto un illecito negando l'iscrizione del signor Haim all'albo dei dentisti, sebbene abbia emanato un atto illegittimo, e il richiedente non può prevalersi delle norme relative ai danni equiparabili ad un'espropriazione, dato che è stato privato soltanto di una possibilità di costituirsi in Germania una clientela di dentista convenzionato, possibilmente redditizia.

10 Tuttavia il Landgericht ritiene di dover verificare se, alla luce della giurisprudenza della Corte ed in particolare delle sentenze Francovich e a., Brasserie du pêcheur e Factortame, e Hedley Lomas (4), e tenuto conto del fatto che il provvedimento di diniego del 1988 violava una disposizione d'effetto diretto, l'art. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE), il signor Haim non tragga un diritto al risarcimento direttamente dal diritto comunitario. A tal fine, esso ci pone, con ordinanza 8 dicembre 1997, le questioni seguenti:

«1) Se, nel caso in cui un dipendente di un ente di diritto pubblico giuridicamente autonomo di uno Stato membro nel dare applicazione al diritto nazionale nell'ambito di una decisione individuale compia una violazione del diritto comunitario primario, accanto alla responsabilità dello Stato membro possa sussistere anche quella dell'organismo di diritto pubblico.

2) In caso affermativo: se, nel caso in cui un dipendente pubblico nazionale abbia applicato una normativa nazionale incompatibile con il diritto comunitario oppure abbia applicato una normativa nazionale in maniera non conforme al diritto comunitario, sussista una violazione grave e manifesta del diritto comunitario già per il fatto che al dipendente pubblico nella sua decisione non compete alcun potere discrezionale.

3) Se le competenti autorità di uno Stato membro possano far dipendere l'ammissione all'esercizio dell'attività di medico convenzionato con una cassa malattia di un cittadino di un altro Stato membro autorizzato in questo Stato membro, il quale non possiede un diploma menzionato nell'art. 3 della direttiva 78/686, dal fatto che questi abbia le conoscenze linguistiche di cui ha bisogno per l'esercizio della sua attività professionale nello Stato ospitante».

11 Le esaminerò in questo ordine.

Sulla prima questione

12 Tale questione riguarda la possibilità di far valere al tempo stesso la responsabilità dello Stato e quella dell'ente pubblico autonomo da cui dipende il funzionario che aveva violato il diritto comunitario al momento dell'adozione di una decisione individuale.

13 Essa è legata in maniera molto diretta alle circostanze nelle quali è stata adottata la decisione che ignorava le esigenze di diritto comunitario, decisione a proposito della quale il signor Haim sostiene che gli ha causato un pregiudizio, di cui avrebbe il diritto di ottenere risarcimento.

14 Infatti, la KVN è un ente di diritto pubblico giuridicamente indipendente non solamente dal governo federale tedesco, ma anche dal Land della Renania settentrionale, che, con la firma di uno dei suoi funzionari, ha emesso il provvedimento sulla base di un atto che, secondo il giudice a quo, ha valore legislativo, vale a dire la Zulassungsordnung für Zahnärzte (in prosieguo: la «ZOZ»).

15 Secondo il giudice a quo ci si trova così in una situazione in cui possono essere identificati due atti illegittimi, uno amministrativo e l'altro legislativo, ed in cui si pone la questione, che non è stata ancora esaminata in quanto tale nella giurisprudenza della Corte, di quali debbano essere, sul piano della responsabilità, le conseguenze di questa sovrapposizione di due illegalità.

16 Il destinatario dell'atto individuale illegittimo deve far valere la responsabilità dell'ente autonomo di diritto pubblico che lo ha emanato o, dato che quest'ultimo non ha fatto che applicare la legislazione in vigore, quella dello Stato, che è tenuto a rispondere delle violazioni del diritto comunitario di cui il legislatore può essere l'autore, ovvero ha il diritto di volgere la sua azione cumulativamente contro entrambi?

17 Dirò, fin dall'inizio, che il giudice a quo ha, allo stesso tempo, ragione e torto, quando afferma che tale questione «non è tuttora stata decisa» nella giurisprudenza della Corte.

18 Ha ragione nel senso che in nessuna delle sentenze pronunciate in materia di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto comunitario la Corte è stata portata a prendere posizione sulla questione se la responsabilità di un ente pubblico autonomo che ha pronunciato una decisione individuale comportante una violazione del diritto comunitario «possa essere fatta valere, oltre a quella dello Stato membro».

19 Ma il giudice a quo non interpreta correttamente la giurisprudenza della Corte quando considera che si tratta di una questione di diritto comunitario lasciata aperta da questa giurisprudenza.

20 Infatti, anche se, per non essere stata posta, la questione che preoccupa il giudice nazionale non ha, fino ad oggi, avuto una soluzione esplicita nella giurisprudenza della Corte, essa ha tuttavia, ed a più riprese, avuto una risposta che per il fatto d'essere implicita, non è meno chiara. La soluzione, che è stata fornita nella citata sentenza Francovich e a., e che non è variata da allora, poiché la si ritrova sia nella citata sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, sia nella citata sentenza Hedley Lomas, è contenuta in due parole: autonomia procedurale.

21 Cosa deve intendersi con ciò, trattandosi della responsabilità di uno Stato membro nei confronti di un singolo in caso di violazione da parte del primo del diritto comunitario? Molto semplicemente, come enuncia la citata sentenza Francovich e a., che, con riserva del fatto che il diritto al risarcimento trovi direttamente il suo fondamento nel diritto comunitario, quando sussistono i presupposti della responsabilità dello Stato membro nei confronti del singolo che sono stati delineati dal giudice comunitario, «è nell'ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato» (5).

22 Questa dicotomia, che porta a distinguere il diritto sostanziale di cui è titolare il singolo, perché il diritto comunitario glielo conferisce, e le modalità, definite dal diritto nazionale, secondo le quali egli potrà farlo valere, non è propria della materia della responsabilità dello Stato membro per violazione del diritto comunitario. Al contrario, essa è presente ogni volta che l'ordine giuridico comunitario attribuisce diritti ai singoli, senza tuttavia disciplinare le condizioni nelle quali è possibile farli valere di fronte alle autorità statali. La si incontra già nella sentenza Rewe (6), emessa in merito al diritto degli operatori economici di opporsi alla riscossione di tasse d'effetto equivalente, in cui la Corte ha dichiarato che «in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, è l'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziali intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi efficacia diretta (...)».

23 Essa non è tuttavia inerente ai rapporti tra l'ordine giuridico comunitario e l'ordine giuridico interno, perché vi sono settori, come l'aggiudicazione di appalti pubblici, in cui il diritto comunitario non si limita a creare diritti, lasciando agli Stati membri il compito di definire le modalità secondo le quali potranno essere attuati, ma prevede esso stesso le procedure che gli Stati membri devono mettere a disposizione degli interessati per farli valere.

24 Tale non è tuttavia il caso in materia di responsabilità per violazione del diritto comunitario, e nessuno se ne sorprenderà, dato che il principio di questa responsabilità, anche se, secondo la sentenza Francovich e a., è «inerente al sistema del Trattato» (7), è una creazione giurisprudenziale.

25 Spetta dunque al diritto nazionale definire tutte le modalità secondo le quali potrà essere raggiunto il risultato prescritto dal diritto comunitario, vale a dire il risarcimento del danno subito dal singolo.

26 Ma questa libertà lasciata agli Stati membri per fissare il regime della loro responsabilità, non potendosene rimettere in discussione il principio, è rigorosamente delimitata, come in tutti i casi nei quali è loro riconosciuta un'autonomia procedurale.

27 Da un lato, infatti, la Corte, ogni volta che riconosce l'autonomia procedurale degli Stati membri in un dato campo, enuncia certe regole che devono essere imperativamente rispettate in occasione del suo esercizio. La sentenza Francovich e a. non fa eccezione a questa prassi, ispirata dalla preoccupazione di evitare ogni equivoco, poiché vi si dice che «le condizioni, formali e sostanziali, stabilite dalle diverse legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento» (8).

28 Dall'altro lato la Corte nella citata sentenza Brasserie du pêcheur et Factortame è stata portata a precisare che certe modalità di organizzazione del regime di risarcimento dei danni subiti da un singolo, in conseguenza della violazione del diritto comunitario da parte di uno Stato membro, sono, in quanto tali, inaccettabili, indipendentemente dal problema di sapere se esse vadano applicate quando è messa in causa la responsabilità dello Stato per violazione di una norma di diritto interno. Essa ha così dichiarato che «il giudice nazionale non può, nell'ambito della normativa nazionale che esso applica, subordinare il risarcimento del danno all'esistenza di una condotta dolosa o colposa dell'organo statale al quale è imputabile l'inadempimento, che si aggiunga alla violazione manifesta e grave del diritto comunitario (9)», e che «non è conforme al diritto comunitario una disciplina nazionale che, in via generale, limiti il danno risarcibile ai soli danni arrecati a determinati beni individuali specialmente tutelati, escludendo il lucro cessante subito dai singoli» (10).

29 Se si torna adesso alla questione che ci è stata posta dal giudice a quo, si deve constatare che l'ammissibilità della responsabilità cumulativa dello Stato e dell'ente pubblico autonomo, nell'ipotesi in cui il secondo abbia violato il diritto comunitario semplicemente applicando la legislazione emanata dal primo, come concordano nel riconoscerlo sia i differenti governi che hanno presentato delle osservazioni sia la Commissione, costituisce indubbiamente una modalità del regime di risarcimento che spetta allo Stato membro disciplinare in forza della sua autonomia procedurale.

30 Nei confronti della Comunità è, certamente, incontestabile, ed una ricca giurisprudenza in materia di ricorso per inadempimento lo ricorda (11), che spetta allo Stato membro rispondere di ogni violazione di diritto comunitario, indipendentemente dal problema di quale sia, a seconda della ripartizione delle competenze che ha operato nel suo seno, l'autorità pubblica (Stato, ente locale, ente pubblico autonomo) che è stata inadempiente. Sotto questo aspetto, il diritto comunitario s'è ispirato al diritto internazionale pubblico che, tradizionalmente, riconosce solo lo Stato come soggetto di diritti ed obblighi ed è totalmente indifferente al modo in cui l'ordinamento giuridico interno di ogni Stato struttura l'esercizio delle competenze statali.

31 Ma nei confronti dei singoli nulla osta a che lo Stato si faccia da parte davanti alle sue ripartizioni, quando si tratta di far fronte alle conseguenze di una violazione del diritto comunitario di cui queste si sono rese colpevoli nell'esercizio delle proprie competenze. A sostegno di questa soluzione, si può far valere che, dovendo la responsabilità, in un regime democratico, essere il corollario del potere, sarebbe irrazionale che lo Stato dovesse rispondere degli atti di enti dei quali è tenuto, per vincolo costituzionale, a rispettare l'autonomia. Ma può, al contrario, sostenersi che sarebbe poco razionale, tenuto conto della stretta gerarchia di norme che conosce in linea di principio il diritto interno, addossare ad un ente autonomo una qualsiasi responsabilità per un atto che gli è, di certo, giuridicamente imputabile, ma il cui contenuto era predeterminato da una legislazione che è rigorosamente tenuto a rispettare.

32 Questa tesi può, tuttavia, a sua volta, vedersi obiettare che l'ente autonomo non potrebbe eludere la sua responsabilità invocando il rispetto della legislazione nazionale, dal momento che la giurisprudenza della Corte, come inaugurata con la sentenza Simmenthal (12) e precisata, trattandosi di autorità amministrative, dalla sentenza Fratelli Costanzo (13), essa stessa confermata, molto recentemente, dalla sentenza Ciola (14), fa obbligo a tutte le autorità nazionali, ivi comprese le autorità amministrative, di garantire la preminenza effettiva del diritto comunitario, disapplicando se del caso ogni norma nazionale che possa farle ostacolo. Il dibattito, si vede, è particolarmente complesso, e non è il caso di deciderlo in questa sede. Se l'ho abbozzato, è unicamente per dimostrare quanto possano essere diverse le soluzioni del problema di sapere contro chi il singolo debba agire. La scelta che opererà ciascun ordinamento nazionale sarà, con ogni probabilità, influenzata dalle soluzioni che vi prevalgono nelle fattispecie simili, per esempio quella in cui risulti che un provvedimento individuale emanato da un ente periferico, sebbene conforme ai requisiti di legge, ignora un diritto conferito al singolo dalla costituzione.

33 A questa trasposizione di soluzioni applicate quando la responsabilità delle autorità pubbliche è fondata sul solo diritto interno non vi è alcuna obiezione da opporre dal punto di vista del diritto comunitario. Proprio al contrario, poiché saranno così soddisfatte le condizioni poste dalla sentenza Francovich e a., ricordata sopra, secondo le quali le condizioni formali e sostanziali dell'azione di responsabilità per violazione del diritto comunitario non devono essere meno favorevoli di quelle previste per azioni simili di natura strettamente interna.

34 Benché se ne desuma che dal diritto comunitario non si può inferire alcuna obiezione di principio contro le scelte che può operare un ordinamento nazionale quando si tratta di stabilire quale collettività pubblica debba rispondere di una violazione del diritto comunitario come quella di cui è stato vittima il signor Haim è inutile precisare come ciò sia subordinato alla condizione che tale scelta non abbia per effetto di condurre il richiedente in vicolo cieco. La stessa situazione potrebbe, per esempio, verificarsi se il diritto nazionale concedesse una possibilità di ricorso solamente contro l'ente al quale deve essere imputata la decisione individuale, pur avendo previsto, per quanto riguarda quest'ultimo, un regime di responsabilità fondato sulla colpa grave o che considera il rispetto rigoroso della legge come causa di esonero da responsabilità. Non occorre qui affatto dilungarsi su una simile eventualità perché a tal proposito la sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame ha osservato, a buon diritto, che non poteva essere ammessa, da un lato, per rispetto dell'autonomia processuale e, dall'altro, perché non si presenta nella causa su cui deve pronunciarsi il giudice a quo. Il Landgericht non intende, infatti, sapere se il diritto comunitario osti a che il signor Haim disponga unicamente del ricorso diretto contro un ente il cui regime di responsabilità è definito in modo tale che la sua azione nella fattispecie ha solo scarse probabilità di successo. Esso domanda unicamente se, alla luce del diritto comunitario, oltre alla responsabilità della Repubblica Federale di Germania possa sorgere quella dell'ente che ha emanato il provvedimento nel quale il signor Haim vede l'origine del suo pregiudizio, in questo caso la KVN, e non vi è dubbio che la risposta, visti gli elementi che ho appena ricordato, non può essere che positiva.

35 Ma tale risposta positiva non va oltre un «nihil obstat», vale a dire che essa prende atto della circostanza che il diritto comunitario né impone né esclude una soluzione che rientra nell'ambito dell'autonomia procedurale riconosciuta agli Stati membri, quando devono riparare violazioni del diritto comunitario che si sono prodotte nel loro ordinamento giuridico interno. Infatti la soluzione alla prima questione del giudice nazionale potrebbe anche essere che il diritto comunitario non fornisce una soluzione, in quanto le norme pertinenti sono soltanto quelle del diritto nazionale, purché ben inteso, esse non siano strutturate in modo tale da compromettere il risultato finale che impone il diritto comunitario, vale a dire la concessione di un risarcimento conforme alle sue esigenze.

Sulla seconda questione

36 Con la seconda questione il Landgericht di Düsseldorf domanda se si produca una violazione sufficientemente grave del diritto comunitario nel caso in cui un pubblico funzionario abbia applicato disposizioni contrarie al diritto comunitario o abbia applicato il diritto nazionale in modo non conforme al diritto comunitario, per la semplice ragione che non godeva di alcun margine di discrezionalità nel decidere.

37 Può ragionevolmente assumersi che, facendo riferimento al «caso in cui un funzionario statale abbia applicato», il giudice nazionale si interroga infatti sulla responsabilità dell'ente presso cui è impiegato il funzionario. Il ricorso è, infatti, diretto contro questo ente, e soltanto in una fase ulteriore potrebbe porsi la questione di un'eventuale responsabilità personale del funzionario nei confronti dell'ente stesso. Tale questione sarebbe regolata esclusivamente dal diritto nazionale.

38 Occorre, a titolo preliminare, collocare questa seconda questione nell'ambito della giurisprudenza della Corte in materia di responsabilità dello Stato per i danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario che sono ad esso imputabili. Questa giurisprudenza è stata precisata, in ultimo luogo, nelle sentenze Dillenkofer e a.(15) e Denkavit e a. (16), che riguardavano la trasposizione di direttive, così come nella sentenza Norbrook Laboratories (17), che concerneva una decisione amministrativa.

39 Nella sentenza Dillenkofer e a., avete ricordato quando segue:

«Nelle sue citate sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, punti 50 e 51, British Telecommunications (18) e Hedley Lomas, punti 25 e 26, la Corte, alla luce delle circostanze del caso di specie (19), ha affermato che i singoli lesi hanno un diritto a risarcimento qualora siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica comunitaria violata sia diretta a conferire loro diritti, che si tratti di una violazione sufficientemente grave e manifesta e che esista un nesso di causalità diretto tra tale violazione e il danno subito dai singoli».

40 Tuttavia, nella sentenza Norbrook Laboratories, le parole «alla luce del caso di specie» non sono più riprese. Si può, infatti, leggere al punto 107 di questa sentenza che,

«per quanto riguarda le condizioni nelle quali uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni così causati, emerge dalla citata giurisprudenza che sono tre le condizioni, vale a dire (...)».

41 E' dunque, ormai, incontestabile che le tre condizioni si applicano in tutti i casi.

42 Questo è confermato dal fatto che, al punto 24 della sentenza Dillenkofer e a., avete dichiarato quanto segue:

«Affermando che le condizioni in cui la responsabilità fa sorgere un diritto a risarcimento dipendono dalla natura della violazione del diritto comunitario che è all'origine del danno provocato, la Corte ha in effetti considerato che la valutazione di tali condizioni (20) dipendeva da ciascun tipo di situazione». Quest'ultima frase è ripresa al punto 107 della sentenza Norbrook Laboratories.

43 Per quanto riguarda la prima condizione posta dalla Vostra giurisprudenza, il Landgericht di Düsseldorf ha, fin da ora, constatato, nella sua ordinanza di rinvio, che essa è soddisfatta, perché «la disposizione violata nella fattispecie, cioè l'art. 52 del Trattato, ha per oggetto di conferire diritti al richiedente». Il Landgericht rinvia, a questo proposito, alla citata sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame (21), in cui avete confermato che «l'art. 52 del Trattato conferisce per definizione diritti ai singoli».

44 La terza condizione, vale a dire il nesso di causalità diretto tra la violazione del diritto comunitario ed il danno subito dal singolo, dovrà essere valutata dal giudice nazionale qualora sia ancora necessario dopo la soluzione che gli fornirete per la seconda condizione.

45 Ci resta dunque da esaminare più dettagliatamente la seconda condizione.

46 A questo proposito, dalla sentenza Norbrook Laboratories, citata in precedenza, risulta che «una violazione è grave e manifesta quando uno Stato membro, nell'esercizio del suo potere normativo, ha violato in modo grave e manifesto i limiti posti al suo potere discrezionale (v. citate sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, punto 55, British Telecommunications, punto 42, e Dillenkofer, punto 25) e che, nell'ipotesi in cui lo Stato membro di cui trattasi, al momento in cui ha commesso la trasgressione, non si fosse trovato di fronte a scelte normative e disponesse di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per accertare l'esistenza di una violazione grave e manifesta (v. citate sentenze Hedley Lomas, punto 28, e Dillenkofer, punto 25)».

47 Una semplice infrazione al diritto comunitario può dunque essere sufficiente, ma non lo sarà necessariamente.

48 Per quanto concerne il procedimento a quo, si impone una prima constatazione: risulta con chiarezza dalla sentenza Haim I che né lo Stato tedesco, né l'ente competente, né il funzionario che ha preso la decisione negativa disponevano di un qualsivoglia margine di discrezionalità rispetto al diritto comunitario.

49 Si evince infatti da tale sentenza, ricordiamolo ancora una volta, che «l'art. 52 del Trattato CEE non consente alle autorità competenti di uno Stato membro di negare l'accesso alla convenzione come dentista con una cassa di assicurazione-malattia ad un cittadino di un altro Stato membro - che non sia in possesso di alcuno dei diplomi indicati all'art. 3 della direttiva 78/686, ma che sia stato abilitato all'esercizio e abbia esercitato la sua professione tanto nel primo quanto secondo Stato membro - a causa del mancato compimento del tirocinio preparatorio imposto dalla normativa del primo Stato, senza verificare se, ed in caso affermativo in quale misura, l'esperienza di cui l'interessato comprovi già il possesso corrisponda a quella richiesta dalla normativa medesima».

50 Trattandosi dell'interpretazione di una disposizione del Trattato, questa norma si presume essere stata in vigore dal momento in cui la disposizione si è applicata pienamente, cioè dalla fine del periodo di transizione previsto dal Trattato CEE.

51 Da un punto di vista rigorosamente giuridico, l'art. 3, n. 2, dello ZOZ, che esige il compimento di un tirocinio preparatorio di due anni per tutti i richiedenti, indipendentemente dalla loro precedente esperienza professionale, avrebbe dovuto prevedere che potessero essere prese in considerazione situazioni eccezionali come quella del signor Haim.

52 Dal canto loro, l'ente o il funzionario competente avrebbero dovuto disapplicare la disposizione in questione dello ZOZ e procedere alla verifica prescritta dalla sentenza Haim I (22).

53 Se ne deve forse concludere che queste infrazioni costituiscono ipso facto violazioni sufficientemente gravi e manifeste del diritto comunitario che danno diritto ad un risarcimento?

54 Non necessariamente. Infatti il giudice nazionale potrà giungere a questa conclusione solo dopo aver debitamente tenuto conto del «tipo di situazione» di fronte a cui si trova (23).

55 Ora, risulta dal punto 56 della sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame che «fra gli elementi che il giudice competente può eventualmente prendere in considerazione, vanno sottolineati il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, l'ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali o comunitarie, il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l'inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da un'istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere all'omissione, all'adozione o al mantenimento in vigore o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario».

56 Tuttavia, nelle citate cause British Telecommunications e Denkavit e a. avete ritenuto di disporre di tutti gli elementi necessari per valutare, Voi stessi, se la fattispecie configurasse una violazione sufficientemente grave e manifesta del diritto comunitario. A mio parere, potreste adottare lo stesso atteggiamento nella presente causa.

57 Tanto il giudice nazionale quanto gli Stati membri che hanno presentato osservazioni e la Commissione hanno espresso il parere che, nel caso specifico, il legislatore nazionale così come l'ente competente sul piano amministrativo o il suo funzionario hanno semplicemente commesso un errore di diritto scusabile e che la loro responsabilità non può pertanto sorgere. Vi propongo di far vostra questa valutazione.

58 E' la Commissione che ha esposto, nella maniera più chiara ed esauriente, gli elementi che vanno in questo senso, e non potrei far meglio di riprendere il suo ragionamento.

59 Per quanto riguarda la responsabilità dello Stato membro a causa dell'incompatibilità della normativa nazionale sui dentisti con l'art. 52 del Trattato, la Commissione constata, a buon diritto, quanto segue.

60 In primo luogo, la normativa tedesca in questione non era manifestamente contraria allo spirito ed alla lettera della direttiva 78/686 (24). Al contrario, come ha constatato la Corte di giustizia nella sentenza Haim I, l'art. 20 della direttiva 78/686 non vieta ad uno Stato membro di imporre un tirocinio preparatorio in vista dell'ammissione ad esercitare come dentista convenzionato con una cassa di assicurazione malattia. Inoltre la Corte di giustizia ha statuito, in quella sentenza, che l'art. 20 non dispensa dal tirocinio preparatorio il cittadino di uno Stato membro che possiede un diploma rilasciato da uno Stato terzo, quando questo diploma è stato riconosciuto da un altro Stato membro come equivalente ad un diploma rilasciato in uno Stato membro.

61 In secondo luogo, il regolamento nazionale sui dentisti non trascurava in modo evidente l'art. 52 del Trattato CE. Infatti, la situazione del richiedente era del tutto eccezionale e rientrava nell'ambito d'applicazione dell'art. 52 per il solo motivo che erano soddisfatte tre condizioni cumulative: vale a dire l'ottenimento di un diploma in un Paese terzo, l'esercizio di un'attività professionale in uno Stato membro che avesse riconosciuto l'equivalenza di questo diploma con quelli da esso rilasciati ed una richiesta di ammissione ad esercitare come medico convenzionato in un altro Stato membro.

62 Per le stesse ragioni, secondo il parere della Commissione, il legislatore tedesco non poteva prevedere questo caso particolare, cioè la possibilità di esonerare dal tirocinio preparatorio le persone che, avendo ottenuto un diploma in un Paese terzo, avessero poi esercitato in un Stato membro.

63 Occorre anche notare che, nel 1988, data della decisione amministrativa della convenuta fondata sul regolamento in causa, la giurisprudenza della Corte non conteneva alcuna indicazione sull'interpretazione da dare all'art. 52 del Trattato CE in materia di libertà di stabilimento dei dentisti e nel contesto delle specifiche circostanze del procedimento a quo (25). A maggior ragione, non esisteva allora alcuna giurisprudenza pertinente, ben consolidata, della Corte di giustizia, dalla quale risultasse che il regolamento nazionale sui dentisti non era compatibile con l'art. 52 del Trattato CE (26).

64 Nel predetto contesto, si deve notare che la Corte non aveva ancora emesso la sentenza Vlassopoulou (27), secondo la quale non solo il Paese ospitante è tenuto a riconoscere i diplomi ottenuti in un altro Stato membro, ma occorre altresì valutare, qualora risulti necessario effettuare un tirocinio preparatorio professionale o un'esperienza professionale nel Paese ospitante, se l'esperienza professionale acquisita nello Stato di provenienza, ovvero anche nello Stato ospitante, possa essere ritenuta soddisfare, in tutto o in parte, detto requisito. Inoltre, a differenza del procedimento a quo, la sentenza si riferiva ad un diploma in giurisprudenza ottenuto in uno Stato membro.

65 Infine, la sentenza emessa dalla Corte di giustizia nella causa Haim I ha spinto la Commissione a proporre una corrispondente modifica della direttiva 78/686. La necessità di un chiarimento legislativo che si è espressa dimostra anche che il legislatore tedesco non poteva prevedere l'importanza dell'art. 52 del Trattato CE in una situazione come quella del procedimento a quo.

66 Per queste ragioni, la Commissione conclude che, non prevedendo la possibilità di esonerare dal tirocinio preparatorio imposto ai dentisti le persone che abbiano ottenuto il diploma in uno Stato terzo ed esercitato la professione in uno Stato membro diverso dallo Stato ospitante, il legislatore tedesco ha commesso un errore di diritto scusabile ai sensi della sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame.

67 La Commissione esamina, poi, se la convenuta principale abbia commesso una violazione sufficientemente grave e manifesta del diritto comunitario. Essa ritiene anche qui che la convenuta abbia commesso un errore di diritto scusabile non tenendo conto dell'esperienza professionale del richiedente ai fini dell'esonero dal tirocinio preparatorio.

68 Essa è d'avviso che i chiarimenti da essa forniti per quanto concerne la responsabilità dello Stato membro legislatore e le circostanze eccezionali del procedimento a quo conducano a questo risultato.

69 Condivido pienamente il modo di vedere della Commissione.

70 Resta, tuttavia, da chiarire un aspetto particolare della seconda questione, vale a dire se il giudice nazionale si sia riferito al margine di discrezionalità del funzionario in rapporto al diritto comunitario o in rapporto al diritto nazionale.

71 Il governo svedese e la Commissione sembrano aver compreso che il Landgericht di Düsseldorf intendesse qui riferirsi all'assenza di un margine di discrezionalità del funzionario in rapporto al diritto nazionale. Ora, anche se siamo solo degli osservatori esterni rispetto al diritto tedesco, possiamo partire dall'ipotesi che un tale margine di discrezionalità non esista in capo all'ente nazionale ed ai suoi dipendenti. Come ha fatto notare la Commissione, il regolamento nazionale sui dentisti non conteneva alcuna disposizione che permettesse al funzionario competente di esonerare persone diverse da quelle menzionate all'art. 3, n. 4, dello ZOZ dall'obbligo di effettuare un tirocinio preparatorio, e l'ente ed il suo funzionario hanno applicato correttamente il regolamento secondo il diritto tedesco.

72 Se questo è il problema cui alludeva il giudice nazionale, allora conviene rispondere, come propone il governo svedese, che il margine di discrezionalità concesso dal diritto interno al singolo funzionario è senza importanza rispetto al problema che ci è posto. Solo conta, per quanto riguarda la valutazione della responsabilità dello Stato ai sensi del diritto comunitario, il margine di discrezionalità che il diritto comunitario lascia allo Stato nella sua veste di legislatore o allo Stato nella sua veste di amministratore, nozione quest'ultima che ingloba un ente parastatale come la KVN, convenuta nella causa principale.

73 Nella parte della motivazione relativa alla seconda questione, il giudice a quo evoca ancora, incidentalmente, un'ipotesi del tutto diversa, vale a dire che un funzionario avrebbe applicato in maniera erronea disposizioni nazionali conformi al diritto comunitario.

74 Ritengo che, in questo caso, la responsabilità dello Stato dovrebbe valutarsi unicamente sulla scorta delle norme in materia di responsabilità amministrativa in vigore nello Stato in questione, ivi comprese, all'occorrenza, quelle che subordinano il risarcimento del danno all'esistenza di dolo o di colpa.

75 Non credo, invece, che si debba tornare, come Vi chiede il governo tedesco, su quanto avete detto nella sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, a proposito degli elementi di dolo o di colpa (28). Certamente, in quella causa si trattava di una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato in un campo nel quale disponeva di un ampio margine di discrezionalità. Ma credo che il Vostro ragionamento valga anche in materia di responsabilità dello Stato per un atto amministrativo contrario al diritto comunitario, nel caso in cui le autorità nazionali non dispongano di alcun margine di discrezionalità.

76 Dopo aver osservato, al punto 76 di tale sentenza, che «la nozione di colpa non ha il medesimo contenuto nei diversi sistemi giuridici», la Corte ha dichiarato, ai punti 78 e 79,

«(...) determinati elementi obiettivi e subiettivi riconducibili alla nozione di colpa nell'ambito di un ordinamento giuridico nazionale sono pertinenti per valutare se una violazione del diritto comunitario sia o no manifesta e grave (...) Ne consegue che l'obbligo di risarcire i danni cagionati ai singoli non può essere subordinato ad una condizione, ricavata dalla nozione di condotta imputabile per dolo o colpa, che vada oltre la violazione manifesta e grave del diritto comunitario. Infatti, la prescrizione di una simile condizione ulteriore si risolverebbe nel rimettere in discussione il diritto al risarcimento, che trova il suo fondamento nell'ordinamento giuridico comunitario».

77 Avete in seguito confermato questa posizione nel punto 28 della sentenza Dillenkofer e a., e credo che il Vostro ragionamento resti pienamente valido. I riferimenti fatti, nel citato punto 56 della sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, al «carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa» o alla «scusabilità o inescusabilità di un eventuale errore di diritto» permettono di tenere sufficientemente conto di elementi di dolo e di colpa.

78 Ma, ritorniamo adesso alla questione del margine di discrezionalità. Ho piuttosto tendenza a pensare che il giudice nazionale si sia riferito al margine di discrezionalità del funzionario in rapporto al diritto comunitario, visto che egli abborda tale questione immediatamente dopo essersi riferito alla sentenza Hedley Lomas.

79 Ora, a questo proposito, risulta dagli sviluppi che precedono che, anche quando l'ente nazionale o il suo funzionario non disponevano di un tale margine, non ne consegue necessariamente che si configuri una violazione sufficientemente grave e manifesta del diritto comunitario.

80 Vi propongo dunque di risolvere negativamente la seconda questione.

Sulla terza questione

81 Con la terza questione ci si chiede se l'ammissione alla convenzione mutualistica di un dentista cittadino di un altro Stato membro e titolare di un diploma rilasciato da uno Stato terzo possa essere subordinata al possesso di un requisito relativo alle conoscenze linguistiche dell'interessato. Proviamo subito a delinearne in modo molto preciso la portata.

82 In primo luogo, è affatto chiaro che la questione è stata sollevata proprio perché il giudice a quo dà per certo che il diritto tedesco subordina effettivamente ad un requisito di conoscenza linguistica l'accesso all'attività di medico convenzionato. La Corte non si deve interrogare sul fondamento di questa convinzione. Ogni dibattito sulla portata dell'art. 21 dello ZOZ deve dunque essere escluso, perché porterebbe la Corte ad esorbitare dai limiti della sua competenza.

83 In secondo luogo, si deve sottolineare che la formulazione della questione presuppone altresì che l'interessato sia abilitato ad esercitare la professione nello Stato membro ospitante, e quindi ci viene chiesto di decidere unicamente se una condizione relativa alle conoscenze linguistiche possa ancora essere posta ulteriormente nel momento in cui l'interessato fa domanda di essere ammesso allo status di medico convenzionato. Risulta, tuttavia, dal commento che accompagna la terza questione che il giudice a quo non si riferisce in modo particolare alle conoscenze linguistiche necessarie al corretto svolgimento dei rapporti tra il medico e la cassa malattia, ma ad un'«insufficienza sul piano linguistico che limita considerevolmente la possibilità di apportare cure utili ai clienti».

84 In terzo luogo, il giudice nazionale si domanda, nello stesso commento, se il fatto di porre una condizione linguistica al momento dell'ammissione alla convenzione mutualistica «potrebbe essere incompatibile con l'art. 18, terzo comma, della direttiva 76/686/CEE, poiché in essa non è previsto che l'ammissione ad operare come medico convenzionato con una cassa di assicurazione malattia possa essere fatta dipendere da conoscenze linguistiche. Inoltre, ci si deve chiedere se questa disposizione sia applicabile ad un cittadino di uno Stato membro che non ha un diploma riconosciuto da questo Stato membro. Inoltre, si tratterebbe di una discriminazione inammissibile in violazione dell'art. 52 del Trattato».

85 Esaminiamo prima la questione dell'applicabilità dell'art. 18, n. 3, della direttiva 78/686, il quale recita:

"Gli Stati membri provvedono a che, eventualmente, i beneficiari acquisiscano, nel loro interesse ed in quello dei loro pazienti, le conoscenze linguistiche necessarie all'esercizio della professione nello Stato membro ospitante».

86 Questa disposizione si trova nel capitolo VI della direttiva, dedicato alle disposizioni destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di dentista, e più precisamente nella parte C, che raggruppa le disposizioni comuni al diritto di stabilimento e alla libera prestazione di servizi. Può forse svolgere un ruolo nella presente causa?

87 Nella sentenza Haim I, avete dichiarato che la direttiva 78/686 riguarda soltanto i titolari di un diploma rilasciato dagli Stati membri.

88 E' dunque certo che la direttiva 78/686, nei limiti in cui mira a concedere agevolazioni ai titolari di tali diplomi, non potrebbe essere invocata dal signor Haim.

89 Tuttavia, poiché essa autorizza gli Stati membri ad imporre condizioni ai cittadini comunitari titolari di diplomi rilasciati da un altro Stato membro, queste condizioni potranno applicarsi a fortiori ai cittadini di altri Stati membri titolari di diplomi di Paesi terzi.

90 Ora, l'art. 18, terzo comma, della direttiva 78/686 impone agli Stati membri un obbligo di risultato poiché ingiunge loro di «provvedere a che» che i beneficiari della libera circolazione «acquisiscano le conoscenze linguistiche necessarie all'esercizio della professione».

91 E' dunque chiaro che la libera circolazione dei dentisti presuppone non solo il possesso di un diploma attestante conoscenze che si potrebbero definire «tecniche», ma anche la padronanza della lingua o delle lingue del Paese ospitante.

92 Si ritrova qui, nel campo della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi, un'esigenza che è stata presa in considerazione, trattandosi di attività subordinate, dal regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (29), che all'art. 3, n. 1, ultimo comma, ammette che possono esserci lavori che, per natura, presuppongono certe conoscenze linguistiche (30).

93 E' vero che l'art. 18, n. 3, della direttiva 78/686 non precisa in quale momento queste conoscenze devono essere acquisite. Si può ragionevolmente supporre che esse non debbano esistere nel momento in cui i beneficiari incominciano la loro attività nello Stato membro ospitante, perché altrimenti il Consiglio avrebbe usato l'espressione «gli Stati membri accertano se i beneficiari dispongono delle conoscenze linguistiche necessarie».

94 E' anche vero, come sottolinea il Landgericht, che questa disposizione non prevede che l'ammissione alla convenzione con una cassa malattia possa essere subordinata all'esistenza di tali conoscenze.

95 Tuttavia l'art. 18, n. 3, della direttiva 78/686 sarebbe privo di effetto utile se lo Stato membro non potesse mai verificare l'esistenza delle conoscenze linguistiche «necessarie».

96 Non si vede alcuna ragione che osti a che questa verifica sia effettuata in occasione dell'esame di una domanda di ammissione alla convenzione mutualistica, ma essa potrebbe anche essere effettuata indipendentemente da una tale richiesta (a condizione che il richiedente abbia fruito di un termine ragionevole per acquisire le conoscenze necessarie).

97 Per quanto riguarda la modalità di controllo delle conoscenze, condivido il parere della Commissione secondo il quale «una prova linguistica scritta o orale costituirà, per esempio, un mezzo appropriato».

98 Quanto al livello delle conoscenze che possono essere richieste, spetterà al giudice nazionale applicare il principio di proporzionalità.

99 In virtù di questo principio, le conoscenze linguistiche richieste non devono andare oltre il livello oggettivamente necessario a garantire che gli interessi dei pazienti siano tutelati.

100 D'altronde, è pressoché fuori di dubbio che, quando il dentista ha le conoscenze necessarie a questo fine, egli disporrà, ipso facto, anche di quelle di cui ha bisogno per compilare i moduli della cassa malattia, comprendere le circolari di questa e partecipare a riunioni da essa organizzate.

101 A parer mio, gli sviluppi che precedono sono sufficienti per motivare una soluzione positiva della terza questione.

102 Tuttavia, qualora non condividiate il ragionamento a fortiori che, proprio come la Commissione, ho appena raccomandato, e visto che il giudice a quo, nei suoi commenti, si domanda anche se il requisito linguistico al momento dell'ammissione alla convenzione mutualistica possa costituire una discriminazione illegittima che viola l'art. 52 del Trattato CE, credo di dover esaminare la questione anche sotto questo aspetto.

103 Secondo la sentenza Gebhard (31), «i provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni: essi devono applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperiosi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo» (32).

104 Quanto alla prima di queste condizioni, ritengo che essa sia soddisfatta, nel senso che ci si trova in presenza di un provvedimento applicabile indistintamente a tutti i candidati alla convenzione mutualistica.

105 Quanto alla seconda condizione, le opinioni espresse nelle osservazioni sottoposte alla Corte, ivi comprese quelle del signor Haim, concordano largamente nel riconoscere che, nel rapporto tra un professionista sanitario ed il paziente che si rivolge a lui, la possibilità di comunicazione è essenziale. Chi penserebbe, del resto, a negare che, affinché un medico o un dentista possa apportare un aiuto efficace ad un malato, sia indispensabile, da una parte, che il primo possa prendere la piena misura della sofferenza che gli comunica il secondo per porvi rimedio e, dall'altra, che la diagnosi della malattia e i consigli che accompagnano la prescrizione di un trattamento siano perfettamente compresi dal malato, in modo che costui possa contribuire alla propria guarigione?

106 D'altronde si può considerare, come suggerisce la Commissione, che fa riferimento alla sentenza del 25 luglio 1991 (33), che la norma che impone al dentista la padronanza della lingua ufficiale o nazionale dello Stato in cui intende stabilirsi deve intendersi come norma a tutela dell'interesse del consumatore, e che in questo senso essa non fa che concretizzare un'esigenza tassativa d'interesse generale.

107 Se si è restii a vedere nel malato solo un consumatore, si può altresì far valere molto semplicemente che la qualità delle cure, obiettivo centrale di ogni politica sanitaria, passa attraverso la possibilità di un vero dialogo tra il curante ed il paziente. Questa necessità ha d'altronde, ricordiamolo, trovato la sua espressione nell'art. 18, terzo comma, della direttiva 78/686, che abbiamo esaminato più sopra.

108 Come ho già fatto notare, il medico pratico che ha le conoscenze necessarie per condurre questo dialogo sarà anche in grado di inserirsi nell'ambiente, equiparabile a quello amministrativo, della convenzione mutualistica.

109 Per tale ragione esaminerò soltanto in via subordinata le considerazioni che sono collegate in modo specifico all'esercizio dell'attività di dentista convenzionato di cui si fa menzione. Infatti il dentista dovrà applicare tariffari, fornire conti di prestazioni, partecipare ad attività di formazione specifica e render conto alle casse malattia della sua attività. Per soddisfare tutti questi obblighi inscindibili dall'ammissione ad esercitare come medico convenzionato, è necessario che il dentista convenzionato disponga di una sufficiente padronanza della lingua del Paese ospitante.

110 Il signor Haim, senza negare l'esistenza dei suddetti obblighi, fa valere che il medico che esercita può soddisfare la maggior parte di essi facendosi assistere da personale qualificato che, per esempio, avrà l'incarico di preparare le liste dei conti sotto il controllo del dentista stesso.

111 Anche se sono d'accordo nel non attribuire un'importanza smisurata agli oneri amministrativi del dentista convenzionato, la cui attività essenziale deve consistere nel prodigare le sue cure, e nel riconoscere che l'espletamento delle incombenze amministrative proprie di un gabinetto dentistico può, in sostanza, essere affidato ad una segretaria, penso, tuttavia, che il dentista debba poter esercitare su di esse controllo effettivo e che, quando si fuoriesce dai compiti strettamente amministrativi e contabili, vale a dire quando si tratta di altri obblighi del dentista convenzionato richiamati sopra, non sia realistico affermare, come fa il signor Haim, che eventuali difficoltà linguistiche possano essere facilmente superate dal dentista ricorrendo a servizi di traduzione.

112 E' realmente immaginabile che il dentista faccia tradurre da specialisti tutte le circolari delle casse malattia che gli sono inviate e si faccia accompagnare da un interprete professionista ogni volta che debba partecipare a riunioni organizzate per medici pratici convenzionati?

113 Per quanto mi riguarda, non lo penso. Sono altresì del parere che uno Stato membro possa legittimamente rifiutare di lasciare che, come suggerisce il signor Haim, ciascun dentista decida da solo, secondo coscienza, se le sue conoscenze linguistiche siano sufficienti per permettergli di curare correttamente un paziente e ritengo che il requisito della conoscenza della lingua dello Stato membro ospitante possa essere fondato su esigenze tassative di interesse generale.

114 Giungo adesso alla terza condizione, che riguarda l'adeguatezza delle misure all'obiettivo perseguito. Risulta da quanto precede che l'obiettivo principale costituito dalle cure adeguate alle quali hanno diritto i pazienti giustifica pienamente l'obbligo del medico pratico di dimostrare conoscenze linguistiche sufficienti.

115 Resta allora il problema se l'accesso alla convenzione mutualistica sia il momento adeguato per porre esigenze linguistiche.

116 Ci si potrebbe, infatti, chiedere se non sia in un primo stadio, vale a dire nel momento della concessione dell'autorizzazione ad esercitare la professione di dentista sul territorio nazionale, che bisognerebbe esigere conoscenze linguistiche minime. Infatti un'incomprensione tra il dentista ed il suo paziente può avere conseguenze drammatiche, mentre un'incomprensione tra il dentista e la cassa malattia non porterà che a disfunzioni amministrative.

117 A questo interrogativo legittimo, credo che possano essere date due risposte.

118 La prima è che il legislatore comunitario stesso non ha, come abbiamo constatato esaminando l'art. 18, n. 3, della direttiva 78/686, considerato incoerente fare intervenire l'esigenza di conoscenze linguistiche solo dopo la concessione dell'autorizzazione ad esercitare.

119 La seconda è che sarebbe almeno paradossale che uno Stato membro, qualora abbia rinunciato ad effettuare questo controllo in un primo tempo, come sembra essere avvenuto nel caso del signor Haim, non potesse più invocare in un momento successivo la necessaria padronanza della lingua da parte del titolare di un diploma di un Paese terzo senza vedersi opporre la giurisprudenza Gebhard, mentre, per i titolari di un diploma rilasciato da un altro Stato membro, è tenuto, in forza dell'art. 18, terzo comma, della direttiva 78/686, a preoccuparsi del loro livello di conoscenza in questo campo.

120 In altri termini, il buon senso impone di considerare che, quali che siano potute essere le conoscenze linguistiche del signor Haim quando gli è stata concessa l'autorizzazione ad esercitare la professione in Germania, le autorità tedesche avevano il diritto, quando egli ha voluto accedere allo status di dentista convenzionato, di assicurarsi che conoscesse a sufficienza la lingua tedesca.

121 Infine, per quanto riguarda la quarta condizione che pone la sentenza Gebhard, relativa al rispetto del principio di proporzionalità, non ho nulla da aggiungere a quanto ho già esposto in precedenza. Il controllo del rispetto di questa esigenza di proporzionalità deve essere esercitato dal giudice nazionale.

Conclusione

122 Per i motivi esposti, Vi propongo di risolvere come segue le questioni sollevate dal Landgericht di Düsseldorf:

«1) Quando, applicando il diritto nazionale nell'ambito di una decisione individuale, un funzionario di un ente di diritto pubblico giuridicamente indipendente di uno Stato membro viola disposizioni di diritto comunitario primario, nulla osta, dal punto di vista del diritto comunitario, a che, oltre a quella dello Stato membro, possa sorgere la responsabilità dell'ente di diritto pubblico.

2) Nel caso in cui un funzionario dello Stato abbia applicato disposizioni nazionali contrarie al diritto comunitario o abbia applicato il diritto nazionale in modo non conforme al diritto comunitario, non vi è violazione grave e manifesta del diritto comunitario per il semplice fatto che il funzionario non disponeva di un margine di discrezionalità al momento della sua decisione.

3) L'art. 52 del Trattato CE deve essere interpretato nel senso che le autorità competenti di uno Stato membro possono subordinare l'ammissione alla convenzione mutualistica di un cittadino di un altro Stato membro, abilitato ad esercitare la professione di dentista in questo Stato membro e non titolare di alcun diploma citato all'art. 3 della direttiva del Consiglio 25 luglio 1978, 78/686/CEE, concernente il riconoscimento reciproco dei diplomi, certificati ed altri titoli di dentista e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi, alla condizione che il detto cittadino possegga le conoscenze della lingua ufficiale o nazionale dello Stato ospitante necessarie alla salvaguardia dell'interesse dei suoi pazienti».

(1) - Causa C-319/92, Haim (Racc. pag. I-425; in prosieguo: la «sentenza Haim I»).

(2) - GU L 233, pag. 1.

(3) - V. dispositivo, punto 3.

(4) - Sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I-5357); 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame (Racc. pag. I-1029), e 23 maggio 1996, causa C-5/94, Hedley Lomas (Racc. pag. I-2553).

(5) - V. punto 42.

(6) - Sentenza 16 dicembre 1976, causa 33/76 (Racc. pag. 1989, punto 5).

(7) - V. punto 35.

(8) - V. punto 43.

(9) - V. dispositivo, punto 3.

(10) - V. dispositivo, punto 4.

(11) - V., ad esempio, sentenza 13 dicembre 1991, causa C-33/90, Commissione/Italia (Racc. pag. I-5987).

(12) - Sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77 (Racc. pag. 629).

(13) - Sentenza 22 giugno 1989, causa 103/88 (Racc. pag. 1839).

(14) - Sentenza 29 aprile 1999, causa C-224/97 (Racc. pag. I-2517).

(15) - Sentenza 8 ottobre 1996, cause riunite C-178/94, C-179/94 e da C-188/94 a C-190/94 (Racc. pag. I-4845).

(16) - Sentenza 17 ottobre 1996, cause riunite C-283/94, C-291/94 e C-292/94 (Racc. pag. I-5063).

(17) - Sentenza 2 aprile 1998, causa C-127/95 (Racc. pag. I-1531).

(18) - Sentenza 26 marzo 1996, causa C-392/93 (Racc. pag. I-1631, punti 39 e 40).

(19) - Il corsivo è mio.

(20) - Il corsivo è mio.

(21) - V. punto 54.

(22) - V. sentenza Fratelli Costanzo, citata in precedenza.

(23) - V. sentenza Dillenkofer e. a., citata in precedenza, punto 24.

(24) - V., a questo riguardo, la citata sentenza British Telecommunications.

(25) - V., a questo riguardo, sentenza Denkavit e a., punto 52.

(26) - V., a questo riguardo, sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, citata in precedenza, punto 57.

(27) - Sentenza 7 maggio 1991, causa C-340/89 (Racc. pag. I-2537, punti 20 e 21).

(28) - V. supra, paragrafo 27.

(29) - GU L 257, pag. 2.

(30) - Per l'applicazione giurisprudenziale di questa disposizione, v. sentenza 28 novembre 1989, causa C-379/87, Groener (Racc. pag I-3967).

(31) - Sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94 (Racc. pag. I-4165).

(32) - V. dispositivo, punto 6.

(33) - Sentenza Collectieve Antennevoorziening Gouda e a., causa C-288/89 (Racc. pag. I-4007).

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