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Document 61997CC0108

Conclusioni dell'avvocato generale Cosmas del 5 maggio 1998.
Windsurfing Chiemsee Produktions- und Vertriebs GmbH (WSC) contro Boots- und Segelzubehör Walter Huber e Franz Attenberger.
Domande di pronuncia pregiudiziale: Landgericht München I - Germania.
Direttiva 89/104/CEE - Marchi d'impresa - Indicazioni di provenienza geografica.
Cause riunite C-108/97 e C-109/97.

Raccolta della Giurisprudenza 1999 I-02779

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1998:198

61997C0108

Conclusioni dell'avvocato generale Cosmas del 5 maggio 1998. - Windsurfing Chiemsee Produktions- und Vertriebs GmbH (WSC) contro Boots- und Segelzubehör Walter Huber e Franz Attenberger. - Domande di pronuncia pregiudiziale: Landgericht München I - Germania. - Direttiva 89/104/CEE - Marchi d'impresa - Indicazioni di provenienza geografica. - Cause riunite C-108/97 e C-109/97.

raccolta della giurisprudenza 1999 pagina I-02779


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1 Con le questioni pregiudiziali che ha sottoposto alla Corte, il Landgericht di Monaco di Baviera, 1° sezione commerciale, chiede di interpretare l'art. 3, nn. 1, lett. c), e n. 3, prima frase, nonché l'art. 6, n. 1, lett. b), della Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (1) (in prosieguo: la «direttiva»).

2 Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra la società Windsurfing Chiemsee Produktions- und Vertriebs GmbH (WSC), attrice nel procedimento principale (in prosieguo: l'«attrice») e a), nella causa C-108/97, l'impresa Boots- und Segelzubehör Walter Huber (in prosieguo: la «prima convenuta») e b), nella causa C-109/97, l'impresa Franz Attenberger (in prosieguo: la «seconda convenuta»), controversia risultante dal fatto che queste ultime, per contraddistinguere i loro prodotti, hanno utilizzato il marchio «Chiemsee», che era stato registrato dall'attrice.

II - La direttiva 89/104

3 L'art. 2 della direttiva stabilisce quanto segue:

«Possono costituire marchi d'impresa tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma del prodotto o il suo confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese».

4 L'art. 3, che definisce gli impedimenti alla registrazione o i motivi di nullità, stabilisce quanto segue:

«1. Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

a) (...)

b) (...)

c) i marchi d'impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio;

d) (...)

(...)

h) (...)

2. (...)

3. Un marchio d'impresa non è escluso dalla registrazione o, se registrato, non può essere dichiarato nullo ai sensi del paragrafo 1, lettere b), c) o d), se prima della domanda di registrazione o a seguito dell'uso che ne è stato fatto esso ha acquisito un carattere distintivo. Gli Stati membri possono inoltre disporre che la presente disposizione sia anche applicabile quando il carattere distintivo è stato acquisito dopo la domanda di registrazione o dopo la registrazione della stessa.

(...)».

5 L'art. 5, relativo ai diritti conferiti dal marchio d'impresa, stabilisce quanto segue:

«1. Il marchio d'impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a) un segno identico al marchio d'impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno che, a motivo dell'identità o della somiglianza di detto segno col marchio d'impresa e dell'identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio d'impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio d'impresa.

2. (...)

(...)

5. (...)».

6 Inoltre, l'art. 6, relativo alla limitazione degli effetti del marchio d'impresa, stabilisce quanto segue:

«1. Il diritto conferito dal marchio d'impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l'uso nel commercio:

a) (...)

b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;

c) (...)

purché l'uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».

III - Contesto normativo nazionale

7 Come risulta dall'ordinanza di rinvio, prima della trasposizione della direttiva e fino al 31 dicembre 1994, in Germania si applicava il Warenzeichengesetz (legge tedesca sul marchio commerciale, in prosieguo: il «WZG»), che, all'art. 4, n. 2, primo comma, escludeva la registrazione dei marchi «privi di carattere distintivo o che constano esclusivamente (...) di parole che contengono informazioni sul modo, tempo e luogo della fabbricazione, sulla qualità, sulla destinazione (...) dei prodotti».

8 Ciononostante, anche i marchi privi di carattere distintivo, ai sensi della disposizione sopra menzionata, erano protetti in virtù dell'art. 4, n. 3, del WZG, se «si erano imposti nel commercio».

9 Inoltre il WZG, al § 25 («Ausstattungsschutz»; «tutela della presentazione»), ha riconosciuto la possibilità di acquisire un diritto su un marchio non mediante registrazione, ma a seguito dell'uso e degli effetti di tale uso sul commercio. Secondo l'ordinanza di rinvio, la disposizione in questione aveva utilizzato il termine «notorietà commerciale» («Verkehrsgeltung») per definire il presupposto richiesto.

10 La direttiva è stata trasposta nel diritto tedesco dal Markengesetz (legge sul marchio commerciale, in prosieguo: il «MarkenG»), entrato in vigore il 1_ gennaio 1995 (2).

11 L'art. 8, n. 2, di questa legge, che corrisponde all'art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva, prevede che, tra gli altri, sono esclusi dalla registrazione i segni «composti esclusivamente da (...) indicazioni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica (...) o altre caratteristiche del prodotto».

12 Ai sensi dell'art. 8, n. 3, del MarkenG, un marchio che non possa essere tutelato per i motivi di cui all'art. 8, n. 2, della stessa legge (3) può tuttavia venire registrato «se prima della decisione sulla domanda di registrazione, a seguito dell'uso che ne è stato fatto (...) per i prodotti per i quali la registrazione è stata richiesta, si è imposto negli ambienti commerciali interessati».

13 Inoltre, conformemente all'art. 4, n. 2, della stessa legge (che ha sostituito l'art. 25 della legge precedente), si può acquisire un diritto su un marchio a seguito dell'uso e della «notorietà commerciale» che ha acquisito nel commercio.

14 Secondo la giurisprudenza tedesca, il concetto di «imposizione nel commercio» («Verkehrsdurchsetzung») è più ampio e basilare di quello di «notorietà commerciale» («Verkehrsgeltung»). Infatti, se la registrazione di un marchio viene accettata perché questo si è imposto nel commercio, ciò significa necessariamente che esso ha acquistato una certa notorietà commerciale - ma non è vero l'inverso. Per stabilire quando si configura la notorietà commerciale o l'imposizione nel commercio, occorre distinguere tra gli elementi verbali e morfologici di un marchio che abbiano «per loro natura» carattere distintivo e quelli che ne sono privi (quali le denominazioni descrittive, in particolare quelle che designano la provenienza geografica). In generale, i primi giustificano la registrazione e la tutela di un marchio, mentre i secondi devono essere stati accettati dagli ambienti commerciali interessati, a seguito dell'uso. Il grado di notorietà richiesto ai fini dell'accertamento della notorietà commerciale o dell'imposizione nel commercio varia all'incirca tra il 16% e il 70%. Per accertare questa percentuale si ricorre principalmente ai sondaggi. Tuttavia la giurisprudenza e la dottrina tedesche difficilmente accettano di riconoscere e tutelare indicazioni che è necessario restino «a disposizione di tutti», ossia, se ben capiamo, difficilmente accettano che un'impresa abbia il monopolio di indicazioni che anche altre imprese hanno interesse ad utilizzare.

IV - Fatti

15 Il Chiemsee, con i suoi 80 km2 di superficie, è il più grande lago della Baviera. E' un centro di attrazione turistica, dove si pratica, tra l'altro, anche il windsurf. Nelle vicinanze del lago (nella regione chiamata «Chiemgau») viene esercitata prevalentemente l'agricoltura.

16 L'attrice ha sede a Grabenstätt, in prossimità dello Chiemsee. Essa commercializza prodotti di abbigliamento e calzature sportive e altri articoli sportivi alla moda («fashion sport»), ideati da una società consociata, anch'essa situata nei pressi dello Chiemsee, e fabbricati in un'altra regione. Dal 1990 l'attrice utilizza il nome del lago per contraddistinguere i suoi prodotti. Inoltre, tra il 1992 e il 1995, l'attrice ha registrato la stessa indicazione come marchio dei suoi prodotti in diverse soluzioni grafiche, talvolta abbinate ad immagini (in particolare quella di uno sportivo in procinto di tuffarsi, se la interpretiamo correttamente) e ad indicazioni verbali aggiuntive, come «Chiemsee Jeans», «Windsurfing - Chiemsee - Active Wear», «By Windsurfing Chiemsee», ecc. Questi marchi, come riprodotti nell'ordinanza di rinvio, sono, in ordine cronologico, i seguenti:

Numero di registrazione Data di registrazione

A. 2009617 17/02/1992

>SPAZIO PER TABELLA>

B. 2009618 17/02/92

>SPAZIO PER TABELLA>

C. 2014831 1/06/1992

>SPAZIO PER TABELLA>

D. 2043643 31/08/1993

>SPAZIO PER TABELLA>

E. 2043644 31/08/1993

>SPAZIO PER TABELLA>

F. 2086304 30/11/1994

>SPAZIO PER TABELLA>

G. 2901054 31/01/1995

>SPAZIO PER TABELLA>

17 Come osserva il giudice a quo, le competenti autorità amministrative e giudiziarie tedesche hanno sempre considerato la parola «Chiemsee» un'indicazione che può servire a designare la provenienza geografica e, di conseguenza, essa non può essere registrata come marchio. Tuttavia ne ammettono la registrazione solo per la diversa soluzione grafica di volta in volta presentata e per gli elementi che l'accompagnano.

18 La convenuta nella causa C-108/97, solo dal 1995, commercia in abbigliamento sportivo (magliette, felpe, ecc.) in una località sullo Chiemsee. Questi prodotti sono contrassegnati dalla parola «Chiemsee», che non è stata registrata come marchio e che si presenta nella seguente soluzione grafica:

(a)

>SPAZIO PER TABELLA>

19 Inoltre, la convenuta nella causa C-109/97 smercia nei dintorni dello Chiemsee prodotti analoghi a quelli dell'impresa precedente, contrassegnati, oltre che dall'indicazione riprodotta qui sopra, da quelle seguenti, anch'esse non registrate:

(b)

>SPAZIO PER TABELLA>

(c)

>SPAZIO PER TABELLA>

20 Nel procedimento principale, l'attrice si è opposta all'uso dell'indicazione «Chiemsee» da parte delle convenute, facendo valere che, nonostante le differenze nella soluzione grafica, esiste un rischio di confusione con il contrassegno che essa stessa usa dal 1990, che ha registrato come marchio d'impresa e che è noto in commercio.

21 Le convenute hanno sostenuto invece che la parola «Chiemsee», in quanto indicazione sull'origine geografica che deve restare disponibile, non è tutelabile; di conseguenza, il suo uso in un'altra soluzione grafica non configura un rischio di confusione.

22 A questo punto, il giudice nazionale ritiene indispensabile sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Sull'art. 3, n. 1, lett. c)

Se l'art. 3, n. 1, lett. c) debba intendersi nel senso che è sufficiente che sussista la possibilità di un uso della denominazione per determinare la provenienza geografica, o se questa possibilità debba essere concretamente prossima (nel senso che altre imprese dello stesso ramo si siano già servite della parola in questione per designare la provenienza geografica di prodotti dello stesso tipo, o che sussistano per lo meno indizi concreti che questo debba accadere in futuro), o se debba addirittura sussistere una necessità di utilizzare tale denominazione per designare la provenienza geografica dei prodotti in questione o se, oltre a ciò, debba sussistere ancora una necessità qualificata per l'uso di questa designazione di provenienza, come, ad esempio, il fatto che prodotti di questo tipo, che vengono fabbricati in una regione determinata, sono particolarmente rinomati.

Se, ai fini di un'interpretazione più o meno restrittiva dell'art. 3, n. 1, lett. c) in relazione a indicazioni sulla provenienza geografica, abbia rilevanza il fatto che gli effetti del marchio sono limitati ai sensi dell'art. 6, n. 1, lett. b).

Se nelle indicazioni della provenienza geografica di cui all'art. 3, n. 1, lett. c), siano ricomprese solo quelle che si riferiscono alla fabbricazione dei prodotti nel dato luogo, oppure se sia sufficiente smerciare i prodotti in questione in tale luogo a partire da tale luogo, oppure, nel caso di prodotti tessili, se sia sufficiente che essi vengano ideati nella regione indicata, mentre il processo produttivo di confezionamento ha luogo altrove.

2) Sull'art. 3, n. 3, prima frase

Quali siano i requisiti risultanti da tale disposizione per l'idoneità alla registrazione di una denominazione descrittiva ai sensi dell'art. 3, n. 1, lett. c).

In particolare: se tali requisiti siano sempre gli stessi per tutti i casi, o se siano invece differenziati a seconda del grado che di volta in volta presenta la necessità che l'indicazione in questione resti disponibile ("Freihaltebedürfinis").

In particolare, se sia compatibile con questa disposizione la costante giurisprudenza tedesca secondo la quale, in presenza di denominazioni descrittive per le quali sussiste la necessità che restino disponibili ("Freihaltebedürfinis"), sia necessario o debba essere dimostrato un grado di imposizione nel commercio ("Verkehrsdurchsetzung") delle stesse in una percentuale degli ambienti commerciali interessati superiore al 50%.

Se da questa disposizione si possano evincere criteri circa le modalità di accertamento del carattere distintivo acquisito a seguito dell'uso del marchio».

V - Nel merito

A - Sulla prima questione

23 Con la prima e terza parte della prima questione pregiudiziale, che devono essere esaminate congiuntamente, il giudice a quo chiede in sostanza se, e a quali condizioni, un'indicazione geografica possa costituire un marchio e, in caso di risposta positiva, in quale misura un tale marchio sia tutelato nei confronti di terzi.

24 Per rispondere a tale quesito occorre innanzi tutto ricordare l'obiettivo della direttiva e la ragione che giustifica la tutela di un marchio.

25 Come risulta dal primo e terzo considerando, la direttiva mira ad un primo ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri che presentano disparità in materia di marchi d'impresa, dal momento che le disparità esistenti possono ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi e falsare le condizioni di concorrenza nel mercato comune.

26 A tale fine, la direttiva stabilisce soprattutto norme comuni riguardanti la registrazione e l'eventuale successiva constatazione di nullità del marchio, e inoltre determina il contenuto e i limiti della tutela del diritto al marchio d'impresa, lasciando agli Stati membri il compito di regolare i dettagli, in particolare quelli relativi alle procedure.

27 Gli obiettivi fondamentali del sistema adottato dal legislatore comunitario sono la salvaguardia e la tutela della funzione essenziale del marchio d'impresa. Questa funzione, come risulta in particolare dal settimo considerando e dagli artt. 2 e 3, n. 1, lett. b), e n. 3, e dagli artt. 5, n. 5, e 10, n. 2, lett. a), della direttiva, consiste, da una parte, nell'individuare i prodotti di un'impresa e nel contraddistinguerli da quelli di altre imprese (carattere distintivo del marchio) e, dall'altra, nel collegarli ad una determinata impresa (garanzia di provenienza).

Infatti, come la Corte ha più volte sottolineato, «la funzione essenziale del marchio (...) consiste nel garantire al consumatore o all'utente finale l'identità originale del prodotto contrassegnato dal marchio, consentendogli di contraddistinguerlo senza alcuna possibilità di confusione da prodotti di provenienza diversa (4)».

28 A mio parere, è appunto in considerazione di questa funzione del marchio d'impresa che l'art. 3, n. 1, della direttiva fa dell'assenza del carattere distintivo un motivo autonomo di impedimento alla registrazione o di nullità del marchio [lett. b)], ma anche un motivo più specifico di nullità o di impedimento alla registrazione dei marchi d'impresa che sono composti esclusivamente da indicazioni descrittive [lett. c)] o sono divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o nel commercio [lett. d)].

29 Infatti, sebbene nel testo della direttiva i casi previsti alle lett. c) e d) siano, da un punto di vista formale, distinti dal caso della lett. b), in sostanza sono dei casi più particolari o più specifici o semplicemente più caratteristici di assenza di carattere distintivo del marchio d'impresa, che precisano e chiariscono la nozione generale di assenza di carattere distintivo, senza introdurre nozioni di altro genere o radicalmente diverse da questa (5). Si giunge alla stessa conclusione anche interpretando parallelamente il paragrafo sopra menzionato e l'art. 3, n. 3, ai sensi del quale un marchio d'impresa non è escluso dalla registrazione o, se registrato, non può essere dichiarato nullo ai sensi del paragrafo 1, lettere b), c) o d), se a seguito dell'uso che ne è stato fatto esso ha acquisito un carattere distintivo. In altri termini, in questi casi, disciplinati all'art. 3, n. 3, il marchio d'impresa acquisisce in un momento successivo la qualità che gli mancava inizialmente e la cui assenza ostava alla sua registrazione o ne consentiva la dichiarazione di nullità, vale a dire il carattere distintivo. Di conseguenza, occorre considerare che i casi non previsti specificamente dall'art. 3, n. 1, lett. c) o d), rientrano nell'ambito dell'art. 3, n. 1, lett. b) (6).

30 Passando all'esame della disposizione controversa dell'art. 3, n. 1, lett. c), risulta dalla sua stessa formulazione che devono essere soddisfatte tre condizioni affinché un marchio d'impresa costituito da un'indicazione geografica ricada nell'ambito di applicazione di tale disposizione: a) il marchio d'impresa dev'essere composto esclusivamente da un'indicazione geografica; b) in commercio, l'indicazione deve poter servire a designare la provenienza geografica; c) la provenienza geografica deve costituire una caratteristica del prodotto. Più in particolare:

a) Esclusività

31 Innanzi tutto si deve osservare che rientrano nell'ambito di applicazione di questa disposizione solo i marchi d'impresa costituiti «esclusivamente» da segni o indicazioni di contenuto puramente descrittivo. Di conseguenza, non rientrano in questa fattispecie i marchi d'impresa composti i quali, oltre alle indicazioni in questione, comprendono una o più parole, immagini, rappresentazioni, ecc., che, isolatamente o in combinazione con l'indicazione descrittiva, conferiscono al marchio d'impresa un carattere distintivo. Da questo punto di vista, a mio parere, i marchi d'impresa come quelli dell'attrice nel procedimento principale, riportati sub A, B, C, D ed E, e quello della seconda convenuta, riportato sub c), non rientrano nell'ambito di applicazione della disposizione controversa (7).

32 Di conseguenza, nei casi come quelli del procedimento principale, il problema si pone per i marchi d'impresa composti esclusivamente da un'indicazione geografica, come i marchi dell'attrice, riportati sub F e G, e come quelli delle convenute, rappresentati sub a) e b).

b) Provenienza geografica

33 Come si è già osservato, dall'ordinanza di rinvio risulta che le autorità tedesche considerano un'indicazione geografica, quale l'indicazione «Chiemsee», come descrittiva e, di conseguenza, non soggetta a registrazione. Tuttavia l'accettano, esclusivamente per il fatto che la sua rappresentazione grafica è ogni volta diversa. Su questo punto il giudice di rinvio menziona i marchi d'impresa dell'attrice rappresentati sub F e G, i quali si differenziano soltanto per la specifica soluzione grafica del termine «Chiemsee» di cui sono costituiti.

34 Consideriamo questa interpretazione erronea. Quando l'unico o il principale elemento costitutivo di un marchio d'impresa è un termine geografico, per stabilire se questo termine possa servire a designare la provenienza geografica, ai sensi della disposizione controversa, si deve ricorrere a criteri oggettivi, tenuto conto del significato che il termine considerato in sé comporta. L'unico o il principale elemento costitutivo di marchi d'impresa come quelli rappresentati sub F e G, nonché sub a) e b), è l'elemento verbale, ossia l'impressione sonora prodotta dalla percezione del termine «Chiemsee» sull'udito o sull'immaginazione dell'ascoltatore o dello spettatore. L'impressione visiva provocata da ciascuno di questi marchi ha una portata limitata e gioca un ruolo del tutto secondario nella percezione del marchio, perché essa si limita a una diversa soluzione grafica dello stesso termine [nel marchio rappresentato sub b), il termine «Chiemsee» è semplicemente posizionato all'interno di un'ellisse di colore più scuro], senza che intervengano altri termini o immagini che rafforzino il marchio o lo mettano in evidenza. In questo modo si genera confusione rispetto alla relazione tra i marchi, perché si dà l'impressione che si tratti semplicemente di varianti dello stesso marchio e, per estensione, di prodotti provenienti dalla stessa impresa commerciale a cui appartiene il marchio. In conclusione, la differente soluzione grafica dello stesso termine non costituisce un elemento distintivo o supplementare che si asserisce venga ad aggiungersi al termine geografico, in modo che ogni volta si crei un nuovo marchio «composto», come a torto suppone il giudice di rinvio. Si tratta di semplici marchi che sono identici o simili [come i marchi riportati sub F e sub a)], per cui danno l'impressione di essere varianti dello stesso marchio d'impresa.

La tesi contraria avrebbe come risultato la moltiplicazione all'infinito di marchi d'impresa costituiti dallo stesso termine, visto che i modi in cui un termine può essere rappresentato graficamente sono infiniti. Ciò comporterebbe una confusione totale sul mercato e moltiplicherebbe i conflitti tra marchi d'impresa, cosa che non poteva essere nelle intenzioni del legislatore comunitario (8).

35 Occorre inoltre osservare che la disposizione controversa non può escludere in blocco tutti i termini geografici.

E' evidente, ad esempio, che le indicazioni geografiche immaginarie, mitiche o inesistenti (per esempio «Thule», «Utopia», «No Man's Land», «Atlantide», ecc.) non rientrano nell'ambito di applicazione di questa disposizione, vista l'impossibilità che queste designino una provenienza geografica.

Lo stesso vale per i nomi di città, luoghi o regioni scomparsi o che hanno cambiato denominazione nel corso dei secoli (per esempio «Bisanzio», «Dacia», «Lutezia», «Babilonia», ecc.).

Inoltre, non possono rientrare nell'ambito di applicazione di questa disposizione le indicazioni geografiche che non possono logicamente o verosimilmente designare la provenienza geografica dei relativi prodotti. A questo riguardo, solitamente si citano il marchio «Mont Blanc» per le penne (perché nessuno può logicamente pensare che questo prodotto provenga dalla montagna in questione) e «Pôle Nord» per le banane (perché il clima a quella latitudine ne impedisce la coltura), ecc.

Analogamente, non si possono prendere in considerazione le indicazioni geografiche completamente sconosciute, vale a dire le indicazioni che fanno riferimento a luoghi sconosciuti al grande pubblico, situati all'interno o all'esterno dello Stato membro in cui si pone la questione della tutela del marchio d'impresa, visto che in ogni caso il pubblico non è in grado di mettere in relazione il prodotto di cui si tratta con i luoghi indicati dai relativi termini geografici.

36 In tutti i casi sopra menzionati, il termine geografico non designa la provenienza geografica del prodotto, vuoi in ragione della natura stessa del prodotto, vuoi delle circostanze e, di conseguenza, può essere legittimamente utilizzato come marchio d'impresa. Questo è dovuto al fatto che il legame tra il significante (la denominazione) e il significato (ciò che si designa con la denominazione) è arbitrario (9), ossia talmente originale e imprevedibile che permette di individuare il prodotto e distinguerlo da corrispondenti prodotti di altre imprese. In questi casi, dunque, il marchio d'impresa soddisfa la sua funzione distintiva.

37 Da quanto precede si evince che la disposizione controversa non osta all'utilizzazione di tutti i termini geografici in generale, ma soltanto di alcuni tra questi. A mio parere, si tratta dei termini geografici che, al momento del deposito del marchio d'impresa, non erano ancora consolidati ma potevano costituire «indicazioni di provenienza» o «denominazioni d'origine», nel senso specifico che tali termini avevano nel diritto comunitario al momento dell'adozione della direttiva.

Infatti, se il legislatore comunitario avesse voluto escludere le indicazioni che semplicemente designano la provenienza geografica, avrebbe fatto riferimento ai segni che designano questa provenienza, perché questa è la funzione primordiale delle indicazioni geografiche, tanto nel linguaggio comune quanto nel commercio. Il fatto che la direttiva usi la perifrasi «che in commercio possono servire a designare(...)» significa, a mio parere, che queste indicazioni hanno lo specifico significato sopra definito.

38 In diritto comunitario, i termini «indicazione di provenienza» e «denominazione d'origine» avevano un significato preciso ben prima che il legislatore comunitario li definisse nel regolamento (CEE) n. 2081/92 (10), almeno per quel che concerne il settore dei prodotti agricoli ed alimentari.

39 Nella sua giurisprudenza, la Corte ha precisato il contenuto di questi termini, soprattutto nell'ambito dell'interpretazione dell'art. 36 del Trattato CE. In alcune cause si era posta la questione di stabilire se restrizioni alla libera circolazione delle merci imposte da misure nazionali potessero essere giustificate dalla tutela di diritti che costituiscono l'oggetto specifico della proprietà industriale e commerciale, e in particolare delle «indicazioni di provenienza» e delle «denominazioni d'origine».

40 Nella sentenza 20 febbraio 1975, Commissione/Germania (11), la Corte ha dichiarato che «le denominazioni d'origine e le indicazioni di provenienza, cui la direttiva si riferisce, devono, a prescindere dagli elementi che possono più particolarmente caratterizzarle, possedere un requisito minimo: esse devono mettere in rilievo la provenienza del prodotto da una determinata zona geografica. Nella misura in cui le predette denominazioni sono giuridicamente tutelate, esse devono giustificare tale protezione, cioè apparire necessarie non solo per difendere i produttori interessati dalla concorrenza sleale, ma altresì per impedire che i consumatori siano tratti in inganno da indicazioni fallaci.

La loro ragion d'essere consiste precisamente nel designare un prodotto che possieda in effetti qualità e caratteristiche intimamente connesse alla zona di provenienza.

Per quanto riguarda più specificamente le indicazioni di provenienza, il collegamento con la zona geografica d'origine deve poter evocare una qualità e caratteristiche tali da consentire una precisa individuazione del prodotto» (punto 7).

41 D'altra parte, nella sentenza 13 marzo 1984, Prantl (12), precisata dalla sentenza 10 novembre 1992, Exportur (13), la Corte ha riconosciuto che un certo tipo di bottiglia contenente un prodotto poteva costituire «una designazione indiretta di origine geografica» (si trattava della bottiglia «Bocksbeutel», utilizzata dai produttori di vino della Franconia e del Baden per la presentazione dei loro vini). Come risulta dalla sentenza, questa indicazione può essere tutelata se è tradizionalmente utilizzata dai produttori di una determinata regione per distinguere i loro prodotti, ma gli artt. 30 e 36 del Trattato ostano a una normativa nazionale che riservi l'impiego di tali bottiglie ai produttori nazionali, qualora l'impiego di bottiglie aventi una forma simile sia conforme ad un uso correttamente e tradizionalmente praticato in un altro Stato membro.

42 Nella causa Exportur, citata sopra, si poneva la questione se imprese francesi avessero il diritto di produrre e vendere in Francia dolciumi per i quali utilizzavano le denominazioni «Alicante» e «Jijona» (nomi di città spagnole), usati costantemente da un'impresa spagnola per identificare prodotti simili di sua fabbricazione (14). Nella sentenza resa in questa causa, la Corte ha operato la seguente distinzione tra la nozione di «indicazione di provenienza» e di quella «denominazione d'origine»:

«le indicazioni di provenienza sono destinate ad informare il consumatore del fatto che il prodotto che le reca proviene da un luogo, da una regione o da un paese determinati. A questa provenienza geografica può essere connessa una reputazione più o meno grande» (punto 11).

Per contro, «la denominazione d'origine, dal canto suo, garantisce, oltre alla provenienza geografica del prodotto, il fatto che la merce è stata prodotta secondo i requisiti di qualità o le norme di produzione disposti da un atto delle pubbliche autorità e controllati dalle stesse e quindi la presenza di talune caratteristiche specifiche» (stesso punto).

43 Nel diritto comunitario, la tutela delle denominazioni d'origine o delle indicazioni di provenienza costituisce un obiettivo d'interesse generale. Così, un produttore di vini non può essere autorizzato a utilizzare, nelle indicazioni relative al metodo di elaborazione dei propri prodotti, indicazioni geografiche non corrispondenti alla provenienza effettiva dei vini (15).

44 Al termine del lungo iter che ha condotto alla definizione del contenuto dei due termini controversi, principalmente secondo le indicazioni della giurisprudenza della Corte, l'art. 2 del citato regolamento n. 2081/92 (16) ha fornito le seguenti definizioni comunitarie:

«2. Ai fini del presente regolamento, si intende per:

a) "denominazione d'origine": il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare

- originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e

- la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all'ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell'area geografica delimitata;

b) "indicazione geografica": il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare

- originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e

- di cui una determinata qualità, la reputazione o un'altra caratteristica possa essere attribuita all'origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell'area geografica determinata» (17).

45 Dalle considerazioni che precedono risulta che, nel diritto comunitario, e soprattutto nel campo dei segni distintivi, tra i quali figurano i marchi d'impresa, la nozione di «indicazione di provenienza geografica» è una nozione giuridica precisa e riguarda il nesso causale, diretto e necessario, tra un prodotto e il luogo da cui proviene. Tale nesso causale risulta dal fatto che il prodotto possiede certe particolarità, caratteristiche o qualità che sono legate alla sua origine. Queste specifiche caratteristiche possono risultare da fattori naturali (per esempio materie prime, sole, clima della regione), dal metodo di fabbricazione o dal trattamento del prodotto (per esempio un metodo tradizionale di fabbricazione) o da fattori umani (per esempio la concentrazione di imprese simili nella stessa regione, la specializzazione nella fabbricazione di certi prodotti e il mantenimento della qualità a determinati livelli). Quando i prodotti in questione sono ampiamente conosciuti, anche il luogo in cui sono fabbricati acquista una reputazione, cosicché, nel tempo, negli ambienti interessati la menzione del luogo rinvia al prodotto o al tipo di prodotto che vi è fabbricato (per esempio «Limoges» o «Meissen» per la porcellana, «Bordeaux» per i vini, ecc.) (18). Inoltre, se il nesso causale sopra descritto tra il luogo e il prodotto è consolidato, il nome del luogo diventa bene comune dei produttori stabiliti nella regione, cosa che conferisce loro il diritto esclusivo di utilizzare questo nome. Di regola, questo diritto è riconosciuto a livello nazionale ed è anche tutelato a livello comunitario.

46 Su queste basi, l'art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva significa che - come sostiene a ragione l'attrice - che un'indicazione geografica ha un potere distintivo e può legittimamente costituire un marchio che designa i prodotti di una data impresa, a condizione che la scelta di questa indicazione sia «arbitraria», nel senso che abbiamo innanzi attribuito a questa parola, ossia a condizione che non costituisca né possa costituire un'indicazione di provenienza o una denominazione d'origine. Il motivo è che, in questo caso, la percezione del termine geografico non provoca alcuna particolare associazione nell'immaginario del pubblico, ma produce lo stesso risultato che si avrebbe avuto scegliendo un qualunque altro termine o un nome di pura invenzione.

Qualora invece l'indicazione geografica sia già nota in quanto legata a taluni prodotti, qualora cioè esista già un legame diretto e necessario tra l'indicazione geografica e questi prodotti, una sola ed unica impresa non può appropriarsi del monopolio per farne un marchio d'impresa. Per questo è sufficiente che, al momento del deposito del marchio d'impresa di cui si sollecita il riconoscimento (in certi casi, al momento dell'adozione della decisione su questo punto), siano soddisfatti i presupposti di fatto a cui è sottoposta la tutela di un'indicazione geografica in quanto indicazione di provenienza o denominazione d'origine (fabbricazione in quel dato luogo di prodotti aventi determinate caratteristiche), indipendentemente dal fatto che la relativa indicazione sia già o meno legalmente registrata. Infatti, secondo la lettera della disposizione controversa, è sufficiente che l'indicazione (19) possa servire in commercio «a designare (...) la provenienza geografica».

47 Per confutare la tesi sopra descritta le convenute invocano le disposizioni nazionali e la giurisprudenza tedesca, secondo cui, come ho già detto, in linea di massima un'indicazione geografica non può essere accettata come marchio d'impresa, in quanto ha un carattere descrittivo e deve restare disponibile per tutti. Del resto, è la tesi che sembra aver seguito il giudice a quo.

48 A questo riguardo, occorre osservare anzitutto che, conformemente ad una costante giurisprudenza, «nell'applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale chiamato ad interpretarlo deve farlo, in tutta la misura possibile, alla luce della lettera e dello scopo della direttiva stessa per conseguire il risultato da questa perseguito» (20). Questo vale a maggior ragione nel caso di specie, in cui la direttiva esclude espressamente l'applicazione parallela delle disposizioni nazionali in materia di marchi d'impresa (sesto considerando).

49 A mio parere, la tesi delle convenute è conforme alla tendenza di alcuni ordinamenti giuridici nazionali (fra cui quello tedesco) prima dell'adozione della direttiva, relativamente alla registrazione delle indicazioni geografiche come marchi d'impresa, tendenza che dovrebbe ora essere abbandonata. Infatti, prima dell'adozione della direttiva, i diritti degli Stati membri seguivano grosso modo due tendenze per quel che riguarda il problema qui analizzato. Vi erano una tendenza flessibile - che in linea di massima accettava la registrazione di tali indicazioni a determinate condizioni, fondamentalmente analoghe a quelle da me sopra proposte (si vedano, in particolare, i diritti francese, italiano e del Benelux) - e una tendenza restrittiva, che in linea di massima rifiutava la registrazione di questo tipo di indicazioni, per motivi fondamentalmente analoghi a quelli indicati dall'attrice (si vedano, in particolare, i diritti britannico, tedesco e scandinavi) (21).

Un caso caratteristico della seconda tendenza è quello del termine «York»: la Camera dei lords nel 1982 ha rifiutato un marchio di rimorchi contenente tale termine, in particolare perché «un nome geografico non è, prima facie, "registrabile"» e ha confermato la tesi dell'autorità amministrativa, secondo cui «sembra perfettamente ragionevole che rimorchi o semirimorchi (...) vi [cioè a York] possano essere costruiti in futuro, se non fin d'ora» (22).

Analogamente, in Germania, è stato rifiutato il marchio «Nola», proposto allo scopo di contrassegnare alimenti dietetici e fiocchi di cereali, data l'esistenza di una città italiana con lo stesso nome in una regione in cui si producono cereali, nonostante questa circostanza non sia nota al consumatore medio tedesco. Su questo punto, il giudice tedesco ha stabilito che «non si può escludere che in avvenire [il nome] Nola venga utilizzato come indicazione di provenienza geografica. In particolare, considerando l'aumento del commercio tra Germania e Italia dovuto al mercato comune, esiste un interesse dei concorrenti a che i nomi geografici, anche quelli di minore importanza, possano essere liberamente utilizzati da tutti» (23).

50 Se il giudice a quo e le convenute intendono la «necessità che l'indicazione geografica resti a disposizione di tutti» nel senso sopra descritto, questa concezione è erronea e non conforme alla direttiva.

51 Innanzi tutto, la sola «disponibilità» che la direttiva riconosce è la necessità che il segno o l'indicazione sottoposti a registrazione come marchio d'impresa siano disponibili, ossia che un'altra impresa non se ne sia appropriata per qualificare prodotti identici o simili, alla data di riferimento, cioè in via di principio alla data di deposito del marchio d'impresa (art. 4). A tal fine si esamina la reale situazione di fatto riscontrabile alla data di riferimento, senza prendere in considerazione situazioni ipotetiche che potrebbero presentarsi in futuro. Di conseguenza, se anche le altre condizioni sono soddisfatte, o non esiste un marchio d'impresa anteriore, nel qual caso il nuovo marchio dev'essere accettato, oppure ne esiste uno, nel qual caso, se è legittimo, il nuovo marchio verrà rifiutato, mentre se non è legittimo, il nuovo marchio sarà accettato, salvo esplicite disposizioni contrarie della direttiva.

52 Per analogia, questo vale anche per i casi, come quello di specie, in cui il titolare di un marchio d'impresa geografico anteriore solleciti la tutela contro il marchio posteriore. Il nuovo marchio può prevalere soltanto se il marchio anteriore non esiste legalmente, nel momento in cui si decide sul ricorso del titolare di quest'ultimo (per esempio perché è nullo dall'origine e non è riuscito ad imporsi nelle transazioni commerciali, o perché in origine era legale, ma successivamente è stato ridotto ad una denominazione generica a causa dell'inerzia del suo titolare (24), ecc.).

53 Inoltre, la concezione sopra confutata rende incerto se un'indicazione geografica debba restare «disponibile» in modo da poter esser utilizzata come marchio d'impresa, o come indicazione complementare di altro tipo che figura sui prodotti. Se prevale la prima ipotesi, questa concezione è inficiata da una grave contraddizione logica. Infatti, come si può rifiutare oggi, e per di più per ragioni di principio, il diritto di usare un termine geografico a colui che per primo ha avuto l'idea di utilizzarlo, affinché questo termine resti a disposizione di probabili concorrenti che sopraggiungeranno in futuro?

54 Se invece per «disponibilità» si intende la necessità che il termine resti a disposizione di tutti gli interessati per tutti gli usi legittimi diversi dall'uso come marchio d'impresa, il problema è regolato dall'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva, come in seguito spiegheremo (25). Tuttavia, in questo caso si tratta di una limitazione degli effetti di un diritto sul marchio d'impresa già esistente. In altre parole, la necessità che il termine geografico resti a disposizione dei concorrenti allo scopo di un uso diverso da quello di marchio d'impresa non costituisce affatto un motivo per rifiutare al titolare il diritto al marchio d'impresa.

c) Caratteristica

55 L'interpretazione innanzi proposta è in armonia con il terzo requisito della disposizione controversa, secondo cui la provenienza geografica deve costituire una «caratteristica» del prodotto. A mio parere, questo termine non designa semplicemente una proprietà comune del prodotto, ma una particolarità idonea a caratterizzarlo e a contraddistinguerlo. Per quanto riguarda l'origine di un prodotto, occorre osservare che tutti i prodotti hanno un'origine, nel senso che sono stati fabbricati «da qualche parte». In questo senso, il fatto che un prodotto sia stato fabbricato «da qualche parte» è di per sé irrilevante - così come va da sé ed è quindi altrettanto irrilevante il fatto che sia stato fabbricato da «qualcuno», nel tale «momento», nel tal «modo», ecc. Di conseguenza, la circostanza che il prodotto sia stato fabbricato in uno stabilimento che si trova nel paese «A» o nella zona industriale della città «B» non costituisce di per sé una «caratteristica» del prodotto dal punto di vista che qui ci interessa, vale a dire un elemento che possa identificare il prodotto e distinguerlo da altri simili. Il luogo, le modalità, il momento di questa fabbricazione o l'identità del fabbricante acquistano importanza e «caratterizzano» il prodotto quando hanno già acquisito significato nel commercio in modo autonomo, ad esempio quando hanno acquistato una certa fama o reputazione. Come già detto, il motivo è che, in questo caso, il prodotto collegato a tali elementi partecipa alla stessa reputazione o semplicemente alla qualità cui fanno riferimento il luogo, le modalità di fabbricazione o il nome del fabbricante.

56 Nella fattispecie, come conferma il giudice a quo, il Chiemsee è conosciuto soprattutto come luogo di vacanza; nelle vicinanze del lago, cioè nella già citata regione chiamata «Chiemgau», si esercitano prevalentemente attività turistiche e agricole, mentre la zona non è nota per la produzione di prodotti tessili e di abbigliamento, tanto meno di abbigliamento sportivo. Inoltre, alla data della registrazione dei marchi d'impresa dell'attrice, in questa regione non esistevano altre imprese che utilizzassero legalmente questo marchio per prodotti simili (26).

In queste circostanze, ritengo che la scelta da parte dell'attrice dell'indicazione «Chiemsee» per caratterizzare i suoi prodotti fosse lecita ai sensi dell'art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva. Infatti, nella fattispecie, questo termine geografico non sembra designare la provenienza geografica, ma semplicemente valorizzare le sensazioni positive e gradevoli suscitate nell'immaginario di chi percepisce l'immagine del lago in un bell'ambiente naturale (come il ricordo o la prospettiva di una vita nella natura, di vacanze o di attività sportive) (27).

57 Inoltre, nella fattispecie non sembrano presenti altri impedimenti alla registrazione, diversi da quelli menzionati all'art. 3, n. 1. Di conseguenza, la scelta da parte dell'attrice del termine geografico precitato va considerata sufficientemente originale e «arbitraria», nel senso sopra descritto, e conforme all'art. 2. Dunque, anche i marchi d'impresa dell'attrice composti soltanto da questa denominazione sono tutelati e le conferiscono un diritto d'uso esclusivo. In particolare, conferiscono all'attrice il diritto di opporsi all'uso dei marchi a), b) e c) delle convenute, visto che questi ultimi sono identici o simili ai marchi d'impresa anteriori dell'attrice e sono per giunta utilizzati per caratterizzare prodotti identici o simili, cosicché esiste manifestamente un rischio di confusione per il pubblico, che potrebbe considerare tutti questi prodotti provenienti dalla stessa impresa.

58 Se i marchi d'impresa dell'attrice non sono contrari all'art. 3, n. 1, non è necessario verificare se gli stessi hanno acquisito un carattere distintivo «a seguito dell'uso», conformemente all'art. 3, n. 3. Ciò in quanto una condizione perché si applichi quest'ultima disposizione è che il marchio d'impresa abbia acquisito successivamente, a seguito dell'uso, un carattere distintivo di cui inizialmente mancava, condizione che non si verifica nel caso di specie.

59 Inoltre, dato che l'indicazione «Chiemsee» nelle circostanze del caso di specie non ricade nell'ambito degli impedimenti enunciati all'art. 3, n. 1, lett. c), a mio parere non c'è motivo di esaminare il problema sollevato dalla terza parte della prima questione pregiudiziale, giacché questa ricerca presuppone che le indicazioni di cui trattasi ricadano nell'ambito di applicazione della disposizione in esame (28).

60 Con la seconda parte della prima questione, il giudice a quo domanda se per interpretare l'art. 3, n. 1, lett. c), occorra tenere conto delle disposizioni dell'art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva.

61 A questo quesito occorre dare risposta negativa.

62 L'art. 6 ha l'obiettivo di mitigare gli effetti del diritto esclusivo al marchio d'impresa, sancito dall'art. 5 della direttiva. Questo significa che il marchio d'impresa è già stato registrato ed è tutelato. Di conseguenza, ha superato con successo il controllo volto a verificare se ricorrano le condizioni positive e negative enunciate a questo fine dagli artt. 2 e 3, n. 1, della direttiva, tra cui le condizioni stabilite dall'art. 3, n. 1, lett. c). Di conseguenza, se la questione dell'applicazione dell'art. 6 si può porre solo in una fase successiva, tale articolo non ha incidenza diretta sull'interpretazione della disposizione qui in causa.

63 E' possibile che il giudice di rinvio voglia sapere quali siano i limiti imposti alla tutela di un marchio d'impresa legalmente costituito da un'indicazione geografica nei confronti di terzi che hanno interesse ad utilizzarlo nell'ambito delle operazioni commerciali da loro effettuate.

64 In proposito, occorre osservare che i terzi, in ogni caso, non hanno diritto di utilizzare l'indicazione di cui trattasi come marchio d'impresa perché tale utilizzo sarebbe contrario al diritto esclusivo del titolare. Tuttavia, hanno il diritto di utilizzare sia indicazioni indirette (per esempio perifrasi o immagini) (29) che designano la stessa provenienza geografica, sia, all'occorrenza, l'indicazione geografica stessa, come indirizzo nei documenti e nei dati diversi dal marchio d'impresa che riguardano le loro merci o la loro attività commerciale in generale, conformemente agli usi leali nel settore d'attività economica interessato. Quindi, possono legittimamente utilizzare l'indicazione sopra citata come termine geografico (ossia, nel senso originario e letterale) nella corrispondenza commerciale, negli annunci pubblicitari sulla stampa o nell'etichettatura del prodotto, ecc. (30).

Al riguardo, giova menzionare il caso della denominazione «Baccarat». Baccarat è un paese della Lorena, non molto conosciuto finché, qualche decennio fa, non vi si installò una cristalleria che utilizzava il nome del paese come marchio d'impresa dei suoi prodotti. Questi prodotti hanno acquisito fama mondiale, al punto che per il grande pubblico il termine «Baccarat» indica tali prodotti e non il paese. In questo paese e nei dintorni si sono insediate altre fabbriche di cristalli, una delle quali, con sede sociale a Baccarat, utilizzava questo nome nella corrispondenza. I giudici francesi hanno giustamente ritenuto che la tutela del marchio della società titolare non poteva spingersi fino al punto di vietare alla seconda impresa di fare uso del termine controverso nel modo legittimo sopra descritto (31).

B - Sulla seconda questione

65 Con la seconda questione il giudice a quo in sostanza domanda se un termine geografico, che non sia di per sé registrabile, possa tuttavia essere registrato come marchio d'impresa se, a seguito dell'uso, si è imposto negli ambienti commerciali, e in che modo si possa accertare questa imposizione.

66 Come risulta dagli antefatti della controversia, nella fattispecie siamo in presenza di un conflitto tra i nuovi marchi d'impresa delle convenute, di cui si sollecita il riconoscimento, e i marchi dell'attrice registrati anteriormente.

67 Innanzi tutto, si osservi che le disposizioni dell'art. 3, n. 3, costituiscono un'eccezione al n. 1, lett. b), c) e d), dello stesso articolo. Ciò significa, in casi come quello di specie, che un marchio costituito da un'indicazione geografica, che non poteva essere registrato o poteva essere dichiarato nullo perché mancava del carattere distintivo e, più in particolare, perché non rientrava nell'ambito del n. 1, lett. c), diventa registrabile e non rischia più la dichiarazione di nullità se successivamente ha acquisito un carattere distintivo a seguito dell'uso. Di conseguenza, una condizione per l'applicazione del n. 3 è che il marchio d'impresa in questione rientri nell'ambito del n. 1, lett. c).

68 Ho già esposto il mio punto di vista, secondo cui i marchi d'impresa dell'attrice avevano dall'origine un carattere distintivo e dunque non rientrano nell'ambito del n. 1, lett. c). Se questa concezione è corretta, nella fattispecie non è applicabile l'art. 3, n. 3, e, di conseguenza, non occorre risolvere la seconda questione pregiudiziale. Tuttavia, per scrupolo di esaustività, affronterò brevemente i problemi posti da quest'ultimo quesito.

69 Tanto i marchi d'impresa che possiedono di per sé un carattere distintivo, quanto quelli che l'hanno acquisito successivamente a seguito dell'uso, possono essere registrati conformemente alla direttiva perché, anche se con mezzi diversi, soddisfano la funzione essenziale del marchio d'impresa, che consiste nel caratterizzare i prodotti di un'impresa e distinguerli da prodotti simili di altre imprese.

70 La direttiva non spiega quale tipo di «uso» del marchio d'impresa si richieda perché questo possa acquisire un carattere distintivo. Tuttavia, dato che quest'uso conduce all'acquisizione di un diritto comunitario, ossia di un diritto al marchio d'impresa, il cui contenuto e la cui portata sono interamente definiti dalla direttiva, la nozione ha un contenuto comunitario che dev'essere oggetto di un'interpretazione uniforme negli Stati membri. E' essenzialmente per questo motivo che le disposizioni in materia dei diritti nazionali degli Stati membri non possono essere prese in considerazione. Come, a giusto titolo, sostengono l'attrice e la Commissione nelle loro osservazioni scritte, non si può prendere in considerazione la tesi dominante nella giurisprudenza tedesca, secondo la quale è necessario che le indicazioni geografiche restino a disposizione di tutti, tesi che, come d'altronde ho già indicato, non è conforme alla direttiva. Allo stesso modo, non si può accogliere la sottile distinzione operata dal diritto tedesco tra «notorietà commerciale» e «imposizione nel commercio».

71 A mio parere, in primo luogo, l'uso deve essersi protratto per un lasso di tempo ragionevole, la cui valutazione è lasciata all'apprezzamento del giudice nazionale. Questo permette di verificare la solidità del marchio d'impresa e di evitare la moltiplicazione dei marchi di uso occasionale o congiunturale, privi di serie prospettive di durata. Analogamente, a coloro che hanno un interesse legittimo si dà il tempo necessario per far valere le loro eventuali obiezioni e per opporsi alla registrazione del marchio.

72 In secondo luogo, occorre che presso il pubblico interessato sia sorta la convinzione che il marchio caratterizzi i prodotti di una determinata impresa. Questo pubblico è costituito essenzialmente dai consumatori del ramo interessato. In linea di massima, comprende anche i commercianti e le aziende che vendono prodotti simili, nonché i loro produttori. Tuttavia queste categorie, specialmente l'ultima, devono essere considerate con cautela. Infatti, soprattutto per motivi di concorrenza, queste categorie potrebbero avere un interesse specifico alla registrazione o all'impedimento della stessa, nel qual caso la posizione che adottano non sarebbe priva di secondi fini (32).

Per quanto riguarda, in particolare, le percentuali menzionate dal giudice a quo, in linea di massima la questione dev'essere lasciata alla valutazione del giudice nazionale, che giudicherà caso per caso, a seconda delle circostanze. Tuttavia, dato che l'art. 3, n. 3, è una disposizione derogatoria, occorre interpretarla in senso restrittivo. Poiché il problema riguarda più l'estensione e l'entità della risonanza del marchio presso il pubblico a cui si rivolge, che non l'apprezzamento del suo valore, della sua qualità e, in generale, della sua sostanza, occorrerà tenere seriamente conto anche di criteri quantitativi. A questo proposito, ritengo che una percentuale minima del 50% sia un limite ragionevole, al di sotto del quale non si può parlare di imposizione nel commercio del marchio d'impresa.

73 Infine, per quanto riguarda la risonanza del marchio d'impresa, occorre ammettere che non è sufficiente che il pubblico abbia percepito l'esistenza di un marchio supplementare sul mercato. Occorre anche che sia radicata la convinzione che i prodotti che portano il marchio di cui trattasi sono collegati ad una determinata impresa (33).

74 I mezzi di prova specifici atti a dimostrare il carattere distintivo di un marchio d'impresa sono definiti nel loro insieme dalle disposizioni procedurali in materia di prove in vigore negli Stati membri. La valutazione di questi mezzi rientra nelle competenze dei giudici nazionali (34). Tuttavia si deve riconoscere che l'autonomia procedurale degli ordinamenti giuridici nazionali non è illimitata, allorché l'oggetto della prova è la realizzazione di una condizione di fatto a cui è subordinata l'applicazione di una norma di diritto comunitario. Di conseguenza, è d'uopo ammettere che almeno certe regole generali si deducono dall'economia globale della direttiva.

75 Innanzi tutto, i mezzi di prova devono essere adeguati, cioè corrispondere all'oggetto della prova. Nella fattispecie, se l'elemento da provare non è il successo commerciale del prodotto sul mercato, ma la risonanza del marchio d'impresa presso il pubblico, ossia la percezione della relazione tra il marchio e una data impresa, i mezzi di prova devono permettere la valutazione dell'ampiezza e dell'intensità di tale risonanza. Di conseguenza, non si possono considerare adeguati mezzi di prova come quelli proposti dall'attrice, per esempio il fatturato del marchio d'impresa, le spese pubblicitarie o i resoconti pubblicati dalla stampa, perché questi elementi riguardano piuttosto l'evoluzione finanziaria dell'impresa che non il problema che qui ci interessa. Per contro, sono da considerare adeguati mezzi come quelli proposti dalla Commissione, per esempio il parere della Camera di commercio competente, quello delle organizzazioni professionali o delle associazioni di esperti.

76 Inoltre, si deve osservare che, se esistono diversi mezzi di prova in linea di massima adeguati, non è consentito limitarli a priori nella pratica o, a maggior ragione, attraverso disposizioni normative. Quindi, non si può considerare conforme alla direttiva la tendenza che traspare dalle decisioni dei giudici tedeschi di basarsi unicamente o principalmente sui sondaggi. In conclusione, le parti devono avere la facoltà di produrre tutti gli elementi di cui dispongono, che siano idonei a produrre la prova o la prova contraria. Riguardo al merito, spetta al giudice nazionale valutare i mezzi di prova prodotti ed eventualmente attribuire maggior peso ad alcuni di questi.

77 Per quanto riguarda in particolare i sondaggi, essi non sono da considerarsi inadeguati (35), ma occorre ricorrervi con parsimonia e prudenza, soprattutto in relazione alla loro rappresentatività e obiettività.

A questo fine, l'ente che effettua il sondaggio deve fornire garanzie di serietà ed affidabilità, attinenti vuoi al quadro istituzionale in cui opera (per esempio un istituto universitario), vuoi alle sue specifiche competenze professionali (per esempio una società di sondaggi seria), vuoi infine al fatto che si tratta dell'ente rivelatosi il più idoneo in relazione alle circostanze (per esempio un esperto scelto con l'accordo di tutte le parti).

Inoltre, sia il campione rappresentativo della popolazione che viene intervistato che le domande poste devono soddisfare i criteri sopra definiti; in caso contrario il sondaggio non può essere preso in considerazione né in parte né nella sua totalità.

VII - Conclusione

Tenuto conto delle considerazioni che precedono, propongo di risolvere le questioni pregiudiziali nel seguente modo:

«1) Un marchio d'impresa composto esclusivamente da un termine geografico non è contrario all'art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, se questo termine è immaginario o sconosciuto al grande pubblico o se non vi è relazione di provenienza diretta e necessaria tra il prodotto contraddistinto dal marchio d'impresa e la regione geografica a cui questo termine si riferisce, relazione risultante essenzialmente dal fatto che tale regione è o può essere conosciuta perché vi sono già fabbricati prodotti simili, apprezzati dai consumatori per la loro specificità o qualità.

2) Ai sensi dell'art. 3, n. 3, prima frase, della direttiva 89/104, un marchio d'impresa può acquisire un carattere distintivo se, secondo il parere del giudice nazionale, da fonti appropriate risulta che il suo uso, nel corso di un periodo di durata ragionevole precedente il suo deposito, ha creato presso i consumatori interessati la convinzione che il prodotto contraddistinto dal marchio provenga da una determinata impresa».

(1) - GU 1989, L 40, pag. 1.

(2) - Ai sensi dell'art. 16, n. 1, della direttiva, gli Stati membri dovevano conformarsi alle disposizioni della direttiva entro il 28 dicembre 1991. Tuttavia, adottando la decisione 19 dicembre 1991, 92/10/CEE (GU 1992, L 6, pag. 35), il Consiglio ha fatto uso del potere conferitogli dall'art. 16, n. 2, della direttiva e ha prorogato al 31 dicembre 1992 la data di scadenza del termine per trasporre la direttiva nel diritto nazionale.

(3) - Ad es., secondo l'ordinanza di rinvio, un marchio consistente in una semplice indicazione che può servire a designare la provenienza geografica.

(4) - V., tra le altre, sentenza 11 novembre 1997, causa C-349/95, Loendersloot (Racc. pag. I-6227, punto 24).

(5) - Il fatto che le indicazioni descrittive o divenute di uso comune costituiscano sotto-categorie delle indicazioni prive di carattere distintivo risulta chiaramente dalla formulazione dell'art. 2, n. 1, della proposta di prima direttiva del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi, presentata dalla Commissione al Consiglio il 25 novembre 1980 (GU C 351, pag. 1), modificata il 17 dicembre 1985 (GU C 351, pag. 4). Secondo la formulazione iniziale, potevano essere esclusi dalla registrazione o soggetti a nullità i marchi «che, alla data del deposito (...) sono privi di carattere distintivo in uno Stato membro, in particolare:

a) (...) [qui figura il testo dell'art. 3, n. 1, lett. c), come attualmente in vigore, con la seguente aggiunta, che corrisponde all'attuale testo dell'art. 3, n. 3:] salvo che abbiano acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne è stato fatto;

b) (...) [testo sostanzialmente corrispondente all'attuale art. 3, n. 1, lett. d)] (Il corsivo è mio)».

I casi sopra menzionati sono affrontati in modo analogo anche dalla Convenzione di Parigi sulla tutela della protezione industriale, 20 marzo 1883, come revisionata da ultimo a Stoccolma il 14 luglio 1967 (Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, t. 828, n. 11851, pag. 305), il cui art. 6 quinquies, B, 2, prevede che i marchi di commercio o di fabbrica possono essere esclusi dalla registrazione o dichiarati nulli solo 2_) quando sono del tutto privi di carattere distintivo o sono composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire a designare la specie (...) la provenienza geografica dei prodotti o l'epoca di fabbricazione, o sono divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e costanti del commercio del paese in cui si reclama la tutela«.

Segnaliamo inoltre che la formulazione dell'art. 7, nn. 1 e 3, del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1) è analoga a quella dell'art. 3, nn. 1 e 3, della direttiva.

(6) - V. W. R. Cornish, Intellectual property patents; copyright, trade marks and allied rights, 3° ed., Londra, 1996, pag. 588.

(7) - Poiché i marchi d'impresa costituiti «esclusivamente» da un termine geografico ricadono nell'ambito di applicazione della disposizione controversa, un marchio d'impresa non può rientrare parzialmente nell'ambito di questa disposizione, vale a dire soltanto relativamente alla parte che contiene un'indicazione geografica. Il motivo è che, in quanto marchio composto, esso non rientra per definizione nell'ambito di applicazione di tale disposizione. Inoltre, in termini più generali, dal momento che il punto di vista di cui si deve tenere conto è quello dell'impressione d'insieme prodotta da un marchio d'impresa (v. sentenza 11 novembre 1997, causa C-251/95, SABEL, Racc. pag. I-6191, punto 23), i suoi elementi costitutivi non vanno considerati isolatamente.

(8) - V. l'ottavo considerando della direttiva, che sottolinea la necessità di ridurre il numero totale dei marchi d'impresa e di conseguenza il numero dei conflitti che possono insorgere a riguardo, rinunciando a tutelare i marchi d'impresa di fatto non utilizzati.

(9) - Nel senso di assenza di relazione causale tra significante e significato (v. F. de Saussure, Cours de linguistique générale, ed. T. de Mauro, Payot, Paris, 1987, pag. 100).

(10) - Regolamento del Consiglio 14 luglio 1992, relativo alla tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari (GU L 208, pag. 1).

(11) - Causa 12/74, Racc. pag. 181. In questa sentenza la Corte ha dichiarato, tra l'altro, che le misure tedesche che limitavano l'uso delle denominazioni «Sekt» e «Weinbrand» per vini prodotti in Germania a partire da una determinata proporzione di uve tedesche erano contrarie alle disposizioni del diritto comunitario, tra cui l'art. 2, n. 3, lett. s), della direttiva 70/50/CEE (citata alla nota 10), che stabilisce che sono da considerare misure vietate dagli artt. 30 e segg. del Trattato le misure che «riservano ai soli prodotti nazionali denominazioni che non costituiscono né denominazioni di origine, né indicazioni di provenienza».

(12) - Causa 16/83 (Racc. pag. 1229).

(13) - Causa C-3/91 (Racc. pag. I-5529, punti 31-34).

(14) - Il problema si poneva perché, ai sensi di una disposizione della convenzione franco-spagnola del 1973 sulla tutela delle denominazioni d'origine, delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni di certi prodotti, le denominazioni sopra menzionate in Francia sono riservate esclusivamente ai prodotti spagnoli e possono essere utilizzate solo alle condizioni previste dalla legislazione spagnola.

(15) - Sentenza 13 dicembre 1994, causa C-306/93, SMW Wintersekt (Racc. pag. I-5555, punto 25).

(16) - V. supra, punto 38.

(17) - Non ritengo necessario sottolineare che, nonostante queste definizioni valgano «ai fini del presente regolamento», hanno un valore e un'utilità generali.

(18) - In questi casi, il termine geografico acquista un secondo significato metaforico («a secondary meaning», secondo la terminologia inglese), oltre al significato letterale originario (designazione di un luogo geografico). Può succedere che il secondo significato soppianti o sostituisca il primo, come nel caso della denominazione «Baccarat», di cui si discuterà oltre.

(19) - Parliamo di indicazione geografica per scrupolo di brevità e perché è di questo che si tratta nella presente causa. Tuttavia, le stesse considerazioni valgono anche per il «segno» che, secondo la lettera della disposizione controversa, può designare la provenienza geografica. In questo caso, il segno costituisce una designazione indiretta di origine geografica, come le bottiglie «Bocksbeutel», di cui si è già detto (v. supra, punto 41).

(20) - Sentenza 20 marzo 1997, causa C-352/95, Phyteron International (Racc. pag. I-1729, punto 18).

(21) - Su questo punto, v. F. Gevers, Geographical Names and Signs used as Trade Marks, in European Intellectual Property Review, 1990, t. 12, pag. 285, e G. Bonnet, La marque constituée par un nom géographique en droit français, in Semaine juridique, 1990, II, pag. 782.

(22) - 1982, FSR 111; v. anche F. Gevers, op.cit. (nota 21), pag. 287.

(23) - BGH, 14/1/1963 (GRUR, 1963, pag. 469). Su questo punto, v. A. Rothschild, Les limites à la protection du nom géographique en tant que marque, mêmoire de DESS, Strasburgo, 1985, pagg. 38 e 39.

(24) - Come esempio, si può citare la denominazione «sherry», che è un'alterazione inglese del termine geografico spagnolo Jerez e inizialmente designava un vino proveniente da questa regione della Spagna. A causa dell'inerzia dei produttori, il termine è stato largamente utilizzato da altri produttori ed è divenuto una denominazione generica (su questo punto, v. le conclusioni dell'avvocato generale J.-P. Warner nella causa Commissione/Germania, citata alla nota 11, pag. 208).

Lo stesso discorso non si applica per la denominazione dei prodotti «champagne» e «cognac», fabbricati nelle omonime regioni francesi. Occorre sottolineare che l'uso di questi termini è stato vietato dal 1919 ai produttori di vino tedeschi dagli artt. 274 e 275 del Trattato di Versailles. Questa tutela è stata completata dalla normativa comunitaria [v., ad esempio, l'art. 6 del regolamento (CEE) del Consiglio 18 novembre 1985, n. 3309 (GU L 320, pag. 9) e l'art. 6, n. 5, del regolamento del Consiglio 13 luglio 1992, n. 2333 (GU L 231, pag. 9) che vietano ai produttori di vino spumante che non hanno il diritto di utilizzare la denominazione «champagne» di fare anche indirettamente riferimento a questa denominazione, parlando per esempio di «méthode champenoise» (su questo punto, v. la sentenza SMW Wintersekt, già citata alla nota 15)].

(25) - V. paragrafi 60 e segg.

(26) - Nelle sue osservazioni scritte, la prima convenuta afferma che altre imprese stabilite nella regione del lago utilizzano la denominazione «Chiemsee» per caratterizzare i capi di abbigliamento da loro prodotti. Tuttavia, queste circostanze di fatto non risultano dall'ordinanza di rinvio e quindi non possono essere validamente invocate (v. sentenza Phyteron International, già citata alla nota 20, punti 11-14).

(27) - V. sentenza 7 maggio 1997, cause riunite C-321/94, C-322/94, C-323/94 e C-324/94, Pistre e a. (Racc. pag. I-2343, punti 37 e 38).

(28) - Segnaliamo semplicemente che, per decidere se un'indicazione geografica designa la provenienza geografica, ai sensi del significato che abbiamo attribuito a questo termine dell'art. 3, n. 1, lett. c), occorre considerare il luogo dove si svolgono la produzione, l'elaborazione o la trasformazione del prodotto, per la totalità o per una parte essenziale di tali operazioni [v. la definizione dell'art. 2, n. 2, lett. b), del regolamento n. 2081/92].

(29) - Per esempio, una foto o un video dello Chiemsee come sfondo alla pubblicità di prodotti anche analoghi a quelli dell'attrice.

(30) - Per esempio, non vediamo il motivo di vietare la vendita di camicie o di altri souvenirs con la scritta «Chiemsee» nei negozi di articoli turistici situati intorno al lago, pratica molto diffusa nelle regioni turistiche. Altra questione è stabilire se questa vendita deve soddisfare certe condizioni (per esempio, si potrebbe esigere che l'uso dell'indicazione sia limitata ai casi assolutamente necessari, che i prodotti venduti abbiano un marchio d'impresa legale in modo da non creare l'impressione che il loro marchio sia «Chiemsee», che questi prodotti non vengano posizionati in prossimità di quelli che sono legalmente contraddistinti da quest'ultimo marchio, che il termine sia menzionato con caratteri tipografici che non creino confusione, ecc.).

(31) - V. Cour d'appel di Nancy, sentenza 21 febbraio 1980 (PIBD, 1980, III, pag. 227), e Cour de cassation (chambre commerciale), sentenza 17 maggio 1982 (PIBD, 1982, n. 312, III, pag. 238). Su questo punto, v. G. Bonnet, op. cit. (alla nota 21 supra), pag. 786 e A. Rotschild, op.cit. (alla nota 23 supra), pag. 33.

(32) - Per esempio, una società che commercializza prodotti simili può avere interesse ad evitare la registrazione del marchio d'impresa, in modo - nell'attesa che la società concorrente abbia di nuovo imposto i suoi prodotti sul mercato con un altro marchio - da poter approfittare di una parte della clientela. E' anche probabile che una società parzialmente colpita dal nuovo marchio favorisca, ciononostante, la sua registrazione perché così arrecherà un pregiudizio di maggiori proporzioni ad una concorrente più importante.

(33) - Questo non significa, ovviamente, che tale convinzione debba manifestarsi solo attraverso l'acquisto dei prodotti.

(34) - V. sentenza 22 giugno 1994, causa C-9/93, IHT Internationale Heizttechnik e Danziger (Racc. pag. I-2789, punti 18-20).

(35) - Sentenze 9 dicembre 1965, cause riunite 29/63, 31/63, 36/63, da 39/63 a 47/63, 50/63 e 51/63, Laminoir de la Providence e a. (Racc. pag. 1123), e 29 febbraio 1984, causa 37/83, Rewe-Zentral (Racc. pag. 1229).

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