Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 61996CC0416

    Conclusioni dell'avvocato generale Léger del 19 maggio 1998.
    Nour Eddline El-Yassini contro Secretary of State for Home Department.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Immigration Adjudicator - Regno Unito.
    Nozione di "giudice nazionale" ai sensi dell'art. 177 del Trattato - Accordo di cooperazione CEE-Marocco - Art. 40, primo comma - Principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di retribuzione - Effetto diretto - Portata - Diniego di proroga del permesso di soggiorno che pone fine all'occupazione di un lavoratore marocchino in uno Stato membro.
    Causa C-416/96.

    Raccolta della Giurisprudenza 1999 I-01209

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1998:243

    61996C0416

    Conclusioni dell'avvocato generale Léger del 19 maggio 1998. - Nour Eddline El-Yassini contro Secretary of State for Home Department. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Immigration Adjudicator - Regno Unito. - Nozione di "giudice nazionale" ai sensi dell'art. 177 del Trattato - Accordo di cooperazione CEE-Marocco - Art. 40, primo comma - Principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di retribuzione - Effetto diretto - Portata - Diniego di proroga del permesso di soggiorno che pone fine all'occupazione di un lavoratore marocchino in uno Stato membro. - Causa C-416/96.

    raccolta della giurisprudenza 1999 pagina I-01209


    Conclusioni dell avvocato generale


    1 L'Immigration Adjudicator chiede che questa Corte precisi in via pregiudiziale la portata dell'art. 40, n. 1, dell'accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea e il Regno del Marocco, firmato a Rabat il 27 aprile 1976 (in prosieguo: l'«accordo») e approvato a nome della Comunità in forza del regolamento (CEE) del Consiglio 26 settembre 1978, n. 2211 (1).

    2 Le questioni vengono sottoposte nell'ambito di un contenzioso vertente sul diniego dell'autorità competente di concedere ad un lavoratore marocchino, desideroso di proseguire la sua attività lavorativa subordinata in uno Stato membro, la proroga del suo permesso di soggiorno.

    Disposizioni pertinenti dell'accordo

    3 L'accordo si prefigge, ai sensi del suo art. 1, di «(...) promuovere una cooperazione globale tra le parti contraenti per contribuire allo sviluppo economico e sociale del Marocco e favorire il consolidamento delle loro relazioni. A tale scopo saranno emanate disposizioni e saranno decise e realizzate azioni nel settore della cooperazione economica, finanziaria e tecnica, in quello degli scambi commerciali nonché nel settore sociale».

    4 Questa cooperazione si instaura nel settore economico, tecnico e finanziario (titolo I), in quello degli scambi commerciali (titolo II) e in quello della manodopera (titolo III).

    5 Il suo art. 40, n. 1, che figura al titolo III, dispone che: «Ogni Stato membro concede ai lavoratori di cittadinanza marocchina, occupati nel proprio territorio, un regime che, per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di retribuzione, è caratterizzato dall'assenza di qualsiasi discriminazione, basata sulla nazionalità, rispetto ai propri cittadini».

    Fatti

    6 Il 1_ gennaio 1989 il signor El-Yassini otteneva il permesso di entrare nel Regno Unito come turista, col divieto di esercitarvi un lavoro.

    7 Ancorché il 16 maggio 1990 gli fosse stata rifiutata la proroga del suo permesso di soggiorno, il suo matrimonio con una cittadina britannica, contratto nell'ottobre 1990, gli permetteva di ottenere, il 12 marzo 1991, un permesso di soggiorno nel Regno Unito, valido, come da prassi abituale in materia di immigrazione, per una durata iniziale di dodici mesi, senza limitazioni alla possibilità di esercitare un lavoro.

    8 La coppia si separava durante l'anno. Sembra, peraltro, che la moglie abbia lasciato il territorio britannico per stabilirsi in Canada. Tuttavia, nessuno sostiene che tale matrimonio sia stato organizzato al fine di fornire un regolare permesso di soggiorno all'interessato.

    9 Dopo il rilascio del suo permesso di soggiorno, il signor El-Yassini esercitava un'attività lavorativa subordinata.

    10 Il 5 marzo 1992 il signor El-Yassini richiedeva una proroga del suo permesso di soggiorno in quanto coniuge di una cittadina britannica. Essendo stata respinta tale domanda il 18 novembre 1992, egli interponeva appello contro questa decisione dinanzi all'autorità nazionale competente il 23 novembre 1992.

    11 Parallelamente, il signor El-Yassini richiedeva un permesso di soggiorno a norma dell'art. 40, n. 1, dell'accordo, richiesta ugualmente respinta il 5 novembre 1993. Il Secretary of State for the Home Department motivava tale rifiuto rilevando che il riferimento alle «condizioni di lavoro e di retribuzione», di cui all'art. 40, n. 1, dell'accordo, non poteva essere inteso in modo da conferire all'interessato il diritto di continuare ad esercitare una occupazione in uno Stato membro e che, quindi, da esso non si poteva desumere un diritto di rimanere.

    12 Il signor El-Yassini presentava un ricorso contro questa decisione dinanzi all'Immigration Adjudicator, facendo valere, in sostanza, che l'art. 40, n. 1, dell'accordo deve essere interpretato nel senso che esso attribuisce ad un lavoratore marocchino il diritto di rimanere nello Stato membro ospitante per tutto il tempo in cui egli continui ad esercitare un'attività lavorativa regolare. A sostegno delle sue richieste, egli faceva riferimento a varie sentenze della Corte pronunciate sia nell'ambito dell'art. 48 del Trattato CE sia nell'ambito dell'accordo che crea un'associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia (2), così come del protocollo addizionale allegato all'accordo CEE-Turchia (3).

    13 Nutrendo dubbi sulla portata da attribuire alla nozione di «condizioni di lavoro», ai sensi dell'art. 40, n. 1, dell'accordo, l'Immigration Adjudicator ha sottoposto a questa Corte le questioni pregiudiziali seguenti:

    «1) Se, nel caso di un cittadino marocchino regolarmente residente in uno Stato membro ed ivi regolarmente occupato, l'espressione "condizioni di lavoro" di cui all'art. 40 dell'accordo di cooperazione fra la Comunità economica europea ed il Regno del Marocco ricomprenda la garanzia di tale occupazione per la durata della stessa, liberamente stabilita fra il datore di lavoro e il lavoratore subordinato (vale a dire, la durata dell'occupazione), e le prestazioni scaturenti da tale garanzia, come una struttura di carriera che fornisca la possibilità di promozioni, formazione professionale, retribuzione e pensioni di vecchiaia proporzionate all'anzianità del ricorrente, per analogia, mutatis mutandis, con quanto ha dichiarato la Corte di giustizia europea, in particolare, nelle sentenze 20 ottobre 1993, causa C-272/92, Spotti/Freistaat Bayern (Racc. pag. I-5185), e 16 giugno 1987, causa 225/85, Commissione/Italia (Racc. pag. 2625).

    2) In caso affermativo, se la circostanza che la durata dell'occupazione del ricorrente sia de facto subordinata a un limite temporale in forza della normativa del Regno Unito sull'immigrazione e che nel caso di specie sia stata interrotta dalla decisione dell'autorità resistente di non prorogare al ricorrente il permesso di rimanere nel Regno Unito costituisca una discriminazione rispetto a tali "condizioni di lavoro" per motivi di cittadinanza, mentre l'autorità resistente non potrebbe de facto imporre tale limitazione temporale e/o una forzata cessazione dell'occupazione ai propri cittadini.

    3) In caso di soluzione affermativa delle questioni sub 1) e 2), se l'art. 40 dell'accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea ed il Regno del Marocco imponga allo Stato membro di concedere al lavoratore marocchino il permesso di rimanere per la durata della sua regolare occupazione».

    Osservazioni preliminari in ordine alla ricevibilità del ricorso

    14 L'Immigration Adjudicator chiede a questa Corte di confermare la sua qualità di organo giurisdizionale ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE.

    15 Per quanto è a mia conoscenza, è la prima volta che la Corte viene interpellata da quest'organo.

    16 Le parti, gli Stati membri intervenienti e la Commissione non contestano, inoltre, questa qualità.

    17 Ricordo i criteri ai quali fa riferimento la giurisprudenza di questa Corte per riconoscere un organo giurisdizionale: il fondamento legale, il carattere permanente, la giurisdizione obbligatoria, l'applicazione di norme giuridiche, il procedimento in contraddittorio, la competenza dell'organo a risolvere una lite con una decisione vincolante (4), l'indipendenza dei suoi membri (5).

    18 L'Immigration Adjudicator è stato istituito con l'Immigration Act del 1971 (titolo II). Ai sensi di questa legge, che definisce la sua competenza, esso conosce delle controversie relative all'immigrazione sul territorio (6). A seconda dell'importanza degli interessi di ordine pubblico in gioco (7), le decisioni dell'Immigration Adjudicator sono rese vuoi in primo e unico grado, vuoi con possibilità di appello dinanzi all'Immigration Appeal Tribunal. Il suo fondamento legale, come pure il suo carattere di giurisdizione obbligatoria, non sono dunque in dubbio.

    19 L'Immigration Adjudicator è un organo permanente (8). Le sue decisioni sono rese in «applicazione della legge (9) o di ogni norma applicabile al caso» (10).

    20 L'Immigration Adjudicator è assoggettato alle norme procedurali definite dall'Immigration Appeals (Procedure) Rules del 1984 (11). Tale procedimento ha carattere accusatorio, quindi contraddittorio. Così, accanto agli ampi poteri investigativi di cui è dotato l'Immigration Adjudicator (in particolare, citare i testimoni a comparire (12), richiedere informazioni supplementari), le parti possono presentargli elementi di prova supplementari, domandargli di procedere all'audizione dei testimoni e porre tutte le questioni utili alla dimostrazione della verità (13). Inoltre, le parti possono comparire personalmente o essere rappresentate (14). Le decisioni dell'Immigration Adjudicator sono motivate (15) e vincolanti (16).

    21 Anche il criterio riguardante l'indipendenza di quest'organo viene rispettato (17). Nominato dal Lord Chancellor (18), in genere, ma non necessariamente, tra i giuristi dotati di una certa esperienza professionale, la durata del mandato di un Immigration Adjudicator è di dieci anni rinnovabili (19) o di un anno rinnovabile (20). Durante il suo mandato, gli vengono naturalmente riconosciute le stesse garanzie di indipendenza e di imparzialità (21) che vengono offerte ai giudici professionali.

    22 L'Immigration Adjudicator deve quindi essere considerato un organo giurisdizionale ai sensi della giurisprudenza di questa Corte.

    Soluzione delle questioni

    23 Considerato il carattere indissociabile delle tre questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte, fornirò un'unica risposta. Le questioni sono volte a sapere se il divieto di qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza con riguardo alle condizioni di lavoro e di retribuzione, ai sensi dell'art. 40, n. 1, dell'accordo, conferisca al lavoratore marocchino il diritto di rimanere nello Stato membro ospitante per tutto il tempo in cui egli disponga di una occupazione, qualunque sia la sua situazione nei confronti delle leggi vigenti nello Stato ospitante relative all'immigrazione nel territorio di tale Stato.

    24 E' la prima volta, per quanto è a mia conoscenza, che questa Corte viene interrogata sulla portata dell'art. 40, n. 1, dell'accordo, il quale mi pare innegabilmente rispondente alle condizioni stabilite dalla giurisprudenza della Corte perché sia ad esso riconosciuto un effetto diretto. Questa Corte ritiene, infatti, che «una disposizione di un accordo stipulato dalla Comunità con paesi terzi va considerata direttamente efficace, qualora, tenuto conto del suo tenore letterale, nonché dell'oggetto e della natura dell'accordo, implichi un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione ed i cui effetti non siano subordinati all'adozione di alcun atto ulteriore» (22).

    25 D'altronde, questa Corte ha già dichiarato, nella sentenza 31 gennaio 1991, Kziber (23), che:

    «(...) gli artt. 40 e 41, che figurano nel titolo III relativo alla cooperazione nel settore della manodopera (...) lungi dal rivestire un carattere puramente programmatico, istituiscono, nel settore delle condizioni di lavoro e di retribuzione e in quello della sicurezza sociale, un principio che può disciplinare la situazione giuridica dei singoli».

    26 Il giudice nazionale si domanda, più precisamente, se la portata del principio di non discriminazione di cui all'art. 40, n. 1, dell'accordo, per quanto riguarda il diritto alla proroga del soggiorno dei lavoratori marocchini, sia identica alla portata che questa Corte ha riconosciuto per lo stesso principio enunciato, in particolare, nell'art. 48, n. 2, del Trattato (24), nel regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (25), da un lato, e nell'art. 38 del protocollo addizionale e nell'art. 6, n. 1, della decisione del consiglio di associazione istituito con l'accordo CEE-Turchia, del 19 settembre 1980, relativo allo sviluppo dell'associazione (in prosieguo: la «decisione n. 1/80») (26), dall'altro.

    27 Risulta, infatti, dalla costante giurisprudenza di questa Corte, che il principio della parità di trattamento di cui all'art. 48, n. 2, del Trattato osta all'applicazione di una norma nazionale che preveda un limite alla durata del rapporto di lavoro fra un datore di lavoro di uno Stato membro ospitante e un lavoratore cittadino di un altro Stato membro, mentre tale limite non esisterebbe, in linea di principio, per i lavoratori con cittadinanza dello Stato membro ospitante di cui trattasi (27).

    28 Sempre in modo costante (28), nell'ambito dell'art. 6, n. 1, terzo trattino, della decisione n. 1/80, questa Corte ha dichiarato che: «(...) sebbene questa disposizione si limiti a disciplinare la situazione del lavoratore turco sotto il profilo dell'occupazione e non del diritto di soggiorno, questi due aspetti della situazione personale del lavoratore turco sono intimamente collegati e che la suddetta disposizione, riconoscendo a tale lavoratore, dopo un determinato periodo di occupazione regolare nello Stato membro, l'accesso a qualsiasi attività lavorativa subordinata di sua scelta, implica necessariamente, a meno di non rendere totalmente ineffettivo il diritto che essa gli attribuisce, l'esistenza, a quel momento almeno, di un diritto di soggiorno in capo all'interessato (...)» (29).

    29 Ancora di recente, questa Corte ha ricordato che: «(...) i diritti conferiti al lavoratore turco dai tre capoversi dell'art. 6, n. 1 [della decisione n. 1/80], per quanto riguarda l'occupazione implicano necessariamente, a meno di non rendere totalmente ineffettivo il diritto di accesso al mercato del lavoro e di espletamento di un lavoro, l'esistenza di un diritto di soggiorno in capo all'interessato (citate sentenze Sevince, punto 29; Kus, punti 29 e 30, e Bozkurt, punto 28)» (30).

    30 Questa Corte ne ha dedotto, nella sentenza Kus - il cui contesto era molto simile a quello della presente causa -, che: «la decisione n. 1/80 non incide sul potere degli Stati membri di disciplinare tanto l'ingresso sul proprio territorio dei cittadini turchi quanto le condizioni della loro prima occupazione, bensì si limita a disciplinare, segnatamente all'art. 6, la posizione dei lavoratori turchi già regolarmente inseriti nel mercato del lavoro degli Stati membri. Essa non può pertanto legittimare il diniego dei diritti ex art. 6, n. 1, della decisione stessa ai lavoratori turchi che siano già titolari, in forza della normativa nazionale di uno Stato membro, di un permesso di lavoro e di un diritto di soggiorno, qualora quest'ultimo venga richiesto.

    Pertanto (...) l'art. 6, n. 1, primo trattino, della decisione n. 1/80 va interpretato nel senso che il cittadino turco che abbia ottenuto un permesso di soggiorno nel territorio di uno Stato membro e vi abbia lavorato da oltre un anno alle dipendenze dello stesso datore di lavoro con regolare permesso di soggiorno, ha diritto al rinnovo del permesso di lavoro in forza della detta disposizione anche se, al momento della decisione sulla domanda di rinnovo, il suo matrimonio è stato sciolto» (31).

    31 Al pari degli Stati membri intervenienti e della Commissione, ritengo che questa giurisprudenza non sia pertinente nel contesto dell'art. 40, n. 1, dell'accordo.

    32 Infatti, questa Corte ha costantemente ritenuto che (32): «L'identico tenore letterale delle norme dell'accordo e delle corrispondenti disposizioni comunitarie non implica che le une e le altre debbano necessariamente venire interpretate allo stesso modo. Infatti, un trattato internazionale va interpretato non solo in funzione dei termini nei quali è redatto, ma altresì alla luce delle sue finalità. L'art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969, precisa in proposito che un trattato deve essere interpretato in buona fede, seguendo il senso ordinario da attribuire ai suoi termini nel loro contesto, ed alla luce del suo oggetto e del suo fine» (33).

    33 Ebbene, il confronto fra i tre tipi di normative pertinenti - quella applicabile ai cittadini comunitari, quella applicabile ai cittadini turchi e quella applicabile ai cittadini marocchini - rivela che esse perseguono obiettivi differenti.

    La finalità del Trattato

    34 Per quanto riguarda i lavoratori comunitari, il diritto di rimanere nel territorio dell'Unione, senza limiti di durata, per esercitarvi un'attività lavorativa subordinata - in altri termini, il diritto ad un libero accesso al mercato interno del lavoro - è previsto all'art. 48 del Trattato, in particolare al n. 3 che stabilisce:

    «3. [La libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità] fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, (...) importa il diritto:

    (...)

    c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali,

    d) di rimanere, a condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti di applicazione stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego».

    35 Inoltre, il regolamento n. 1612/68, che attua il divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza dei lavoratori comunitari, precisa all'art. 1 che:

    «1. Ogni cittadino di uno Stato membro, qualunque sia il suo luogo di residenza, ha il diritto di accedere ad un'attività subordinata e di esercitarla sul territorio di un altro Stato membro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali di detto Stato.

    2. Egli gode in particolare, sul territorio di un altro Stato membro, della stessa precedenza riservata ai cittadini di detto Stato, per l'accesso agli impieghi disponibili»,

    e all'art. 7 che:

    «1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato».

    36 Il n. 1 dell'art. 48 enuncia il principio della libera circolazione dei lavoratori comunitari, mentre i suoi nn. 2 e 3 ne precisano il contenuto. Di conseguenza, il divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza fra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro, costituisce uno strumento per il conseguimento di uno specifico obiettivo: l'effettiva realizzazione della libera circolazione dei lavoratori comunitari.

    37 Inoltre, questa Corte ha ritenuto che: «[l]e norme del Trattato sulla libera circolazione delle persone sono volte pertanto a facilitare ai cittadini comunitari l'esercizio di attività lavorative di qualsivoglia natura in tutto il territorio della Comunità, ed ostano ad una normativa nazionale che li ostacoli qualora desiderino estendere le loro attività al di fuori del territorio di un unico Stato membro» (34) e che: «A tale scopo i cittadini degli Stati membri dispongono, in particolare, del diritto, conferito loro direttamente dagli artt. 48 e 52 del Trattato CEE, di entrare e soggiornare nel territorio degli altri Stati membri per esercitarvi un'attività economica ai sensi delle suddette disposizioni (...)» (35).

    38 Infine, in forza di una costante giurisprudenza (36), questa Corte ha sempre assicurato ai lavoratori comunitari una precedenza per l'accesso agli impieghi disponibili sul mercato interno.

    39 In conclusione, il diritto dei lavoratori comunitari di circolare liberamente nel territorio dell'Unione implica necessariamente il diritto di accesso al mercato interno del lavoro e il diritto di rimanere liberamente in quello stesso territorio per esercitarvi un'occupazione senza limiti di durata.

    La finalità dell'accordo CEE-Turchia

    40 La situazione personale del lavoratore turco nell'ambito dell'accordo CEE-Turchia, del protocollo addizionale e della decisione n. 1/80 si distingue da quella del lavoratore comunitario. Egli non gode né di un diritto di accesso al mercato interno del lavoro né del principio della libera circolazione dei lavoratori comunitari.

    41 L'art. 38, n. 1, del protocollo addizionale indica soltanto che: «Nell'attesa della graduale realizzazione della libera circolazione dei lavoratori tra gli Stati membri della Comunità e la Turchia, il Consiglio di Associazione potrà esaminare tutti i problemi connessi con la mobilità geografica e professionale dei lavoratori di nazionalità turca, in particolare la proroga dei permessi di lavoro e di soggiorno, per facilitare la loro occupazione in ciascuno Stato membro».

    42 Inoltre, l'art. 6, n. 1, della decisione n. 1/80 dispone che:

    «1. (...) il lavoratore turco, inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro, ha i seguenti diritti:

    - rinnovo, in tale Stato membro, dopo un anno di regolare impiego, del permesso di lavoro presso lo stesso datore di lavoro, se dispone di un impiego;

    - candidatura, in tale Stato membro, ad un altro posto di lavoro, la cui regolare offerta sia registrata presso gli uffici di collocamento dello Stato membro, nella stessa professione, presso un datore di lavoro di suo gradimento, dopo tre anni di regolare impiego, fatta salva la precedenza da accordare ai lavoratori degli Stati membri della Comunità;

    - libero accesso, in tale Stato membro, a qualsiasi attività salariata di suo gradimento, dopo quattro anni di regolare impiego».

    43 Tuttavia, dall'analisi di queste norme emerge che il diritto comunitario, pur non attribuendo al lavoratore turco il diritto di libero accesso al mercato interno del lavoro, qualora questo lavoratore sia regolarmente inserito nel mercato del lavoro di uno Stato membro, gli riconosce tuttavia talune prerogative.

    44 Alla luce di queste norme, la Corte ha dichiarato, in particolare, che il lavoratore turco regolarmente inserito nel mercato del lavoro di uno Stato membro può ottenere la proroga del suo permesso di soggiorno al fine di continuare ad esercitarvi la sua attività lavorativa (37).

    45 Questa Corte ha, inoltre, precisato che gli stessi diritti accordati ai lavoratori turchi variano e sono soggetti a condizioni differenti a seconda della durata del periodo in cui il lavoratore ha svolto una regolare attività lavorativa nello Stato membro considerato (38).

    46 La finalità dell'accordo CEE-Turchia va quindi oltre la semplice cooperazione economica, tecnica e finanziaria, o commerciale destinata unicamente a contribuire allo sviluppo economico e sociale della Turchia.

    47 E' la ragione per cui questa Corte ritiene che le disposizioni della decisione n. 1/80, e in particolare il suo art. 6, n. 1, «costituiscono (...) una tappa supplementare verso la realizzazione della libera circolazione dei lavoratori, ispirandosi agli artt. 48, 49 e 50 del Trattato (v. sentenza Bozkurt, citata, punti 14 e 19). La Corte ha pertanto ritenuto indispensabile applicare, nei limiti del possibile, ai lavoratori turchi che fruiscono dei diritti conferiti dalla decisione n. 1/80 i principi sanciti nell'ambito dei detti articoli del Trattato (v. sentenza Bozkurt, citata, punto 20)» (39).

    48 In conclusione, l'art. 6, n. 1, della decisione n. 1/80 attribuisce anche al lavoratore turco che risponda ai requisiti diritti che possono essere direttamente fatti valere dinanzi ai giudici degli Stati membri interessati, in particolare quello di ottenere la proroga del suo permesso di soggiorno. Inoltre, ai sensi dell'art. 6, n. 1, terzo trattino, della decisione n. 1/80, il lavoratore turco che abbia esercitato un'attività lavorativa per un periodo superiore a quattro anni in uno Stato membro gode del libero accesso a qualsiasi attività subordinata di suo gradimento nel detto Stato membro (40).

    La finalità dell'accordo CEE-Marocco

    49 La finalità di questo accordo è, per contro, come già precedentemente rilevato (41), quella di promuovere una cooperazione globale tra le parti contraenti per contribuire allo sviluppo economico e sociale del Marocco e favorire il consolidamento delle loro relazioni.

    50 L'accordo non contiene alcuna norma analoga a quelle previste dall'accordo CEE-Turchia e dalla decisione n. 1/80, in particolare il suo art. 6, n. 1. Come ricorda il giudice nazionale (42), l'accordo non costituisce una tappa verso la realizzazione della libera circolazione dei lavoratori marocchini.

    51 Per giunta, esso non contiene alcuna disposizione che disciplini la situazione personale del lavoratore marocchino per quanto riguarda il suo diritto di soggiorno.

    52 Inoltre, contrariamente ai lavoratori comunitari e, in una misura inferiore, ai lavoratori turchi, i lavoratori marocchini non godono di alcuna precedenza per l'accesso al mercato interno del lavoro.

    53 Infine, l'accordo non contiene disposizioni che impongano agli Stati membri di adottare norme comuni per quanto riguarda il diritto di ingresso e di soggiorno dei lavoratori marocchini nel loro territorio.

    54 Ne deduco quindi che, allo stato attuale del diritto comunitario, gli Stati membri sono gli unici competenti a definire la loro politica in materia di immigrazione. L'art. 40, n. 1, dell'accordo non può dunque essere inteso nel senso che esso limiti il potere degli Stati membri di disciplinare tanto l'ingresso nel proprio territorio dei cittadini marocchini e le condizioni della loro prima occupazione, quanto la posizione dei lavoratori marocchini già regolarmente inseriti nel mercato del lavoro degli Stati membri.

    55 Va osservato, d'altronde, che il Trattato di Amsterdam apporta una modifica rilevante inserendo, nella terza parte del Trattato, un titolo III A intitolato «Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone». Il suo art. 73 K, nn. 3 e 4, primo comma, in particolare, prevede che spetta al Consiglio, entro un termine di cinque anni dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, adottare:

    «3) misure in materia di politica dell'immigrazione nei seguenti settori:

    a) condizioni di ingresso e soggiorno e norme sulle procedure per il rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine e permessi di soggiorno, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare;

    b) immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare;

    4) misure che definiscono con quali diritti e a quali condizioni i cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro possono soggiornare in altri Stati membri» (43).

    56 Quanto precede implica che la situazione personale dei lavoratori marocchini è diversa da quella dei lavoratori comunitari o turchi; sarebbe inutile sostenere che lo Stato membro ospitante operi una discriminazione vietata dall'art. 40, n. 1, dell'accordo quando non conceda ai lavoratori marocchini, al termine del periodo di lavoro legalmente autorizzato, la proroga del loro permesso di soggiorno necessario al regolare esercizio di un'attività subordinata. E' la ragione per cui ritengo che un lavoratore marocchino non possa invocare l'applicazione per analogia delle sentenze della Corte relative al diritto di soggiorno dei lavoratori comunitari o alla proroga del diritto di soggiorno dei lavoratori turchi (44), pronunciate rispettivamente alla luce del Trattato e della decisione n. 1/80.

    57 L'accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri e il Regno del Marocco, firmato a Bruxelles il 26 febbraio 1996, non ancora entrato in vigore (45), non modifica minimamente questa considerazione. Infatti, chiarendo la portata che occorre attribuire all'art. 64 del nuovo accordo (46), le dichiarazioni comuni relative all'applicazione di questa disposizione precisano:

    «1. Fatte salve le condizioni e le modalità applicabili in ogni Stato membro, le parti esamineranno la questione dell'accesso al mercato del lavoro di uno Stato membro, del coniuge e dei figli, legalmente residenti a titolo di ricongiungimento familiare, di un lavoratore marocchino, regolarmente occupato sul territorio di uno Stato membro, per l'intera durata del legittimo soggiorno professionale del lavoratore, fatta eccezione per i lavoratori stagionali, distaccati o corsisti.

    2. L'art. 64, n. 1, dell'accordo, per quanto riguarda l'assenza di qualsiasi discriminazione in materia di licenziamento, non potrà essere invocato per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. Il rilascio, il rinnovo o il diniego del permesso di soggiorno sono disciplinati unicamente dalla legislazione di ogni Stato membro e dagli accordi e convenzioni bilaterali in vigore tra il Marocco e questo Stato membro» (47).

    58 Emerge dal complesso della precedente trattazione che la situazione personale del lavoratore marocchino per quanto riguarda il suo diritto di soggiorno esula dal diritto comunitario. Egli non può quindi trarre dal diritto comunitario nessuna norma idonea a fargli ottenere la proroga del suo permesso di soggiorno al fine di consentirgli di esercitare un'attività lavorativa presso un datore di lavoro comunitario.

    In altri termini, il fatto che un datore di lavoro di uno Stato ospitante stipuli, a favore di un cittadino marocchino, un contratto di lavoro con una durata superiore al permesso di lavoro rilasciato dallo Stato membro ospitante non impegna assolutamente questo Stato a fornire a tale cittadino un permesso di soggiorno.

    59 Decidere diversamente comporterebbe due gravi conseguenze.

    60 In primo luogo, ciò limiterebbe seriamente i poteri di cui gli Stati membri dispongono in materia di politica dell'immigrazione. Infatti, se in circostanze analoghe a quelle del caso di specie la Corte imponesse a uno Stato membro ospitante di autorizzare dei lavoratori marocchini a rimanere nel suo territorio per esercitarvi un impiego oltre il periodo liberamente stabilito da questo Stato - quindi nonostante l'intenzione chiaramente manifestata da questo Stato di autorizzare il lavoro unicamente per un periodo determinato -, si attribuirebbe a privati il potere di eludere tutte le previsioni fatte da questo Stato allorché ha elaborato la sua politica dell'immigrazione.

    61 Inoltre, lo Stato membro ospitante non sarebbe più in grado di assicurare la precedenza per l'accesso agli impieghi disponibili che il Trattato riserva, come abbiamo visto, ai lavoratori comunitari e che la decisione n. 1/80 riconosce, in misura inferiore, ai lavoratori turchi.

    62 Per essere esauriente, desidero precisare che l'adozione di questa soluzione non priva il principio di non discriminazione, sancito dall'art. 40, n. 1, della sua sostanza.

    63 A mio parere, infatti, allorché uno Stato membro ha autorizzato un lavoratore marocchino, ai sensi della sua normativa nazionale, ad esercitare nel suo territorio un'attività subordinata, questo principio impone a tale Stato di accordare al detto lavoratore - che soddisfi gli stessi requisiti prescritti dalla normativa dello Stato membro ospitante per i suoi cittadini, fatto salvo quello relativo alla cittadinanza (48) -, diritti e vantaggi derivanti dal contratto di lavoro e dalla normativa nazionale applicabile in materia (49) analoghi a quelli riconosciuti ai suoi cittadini che esercitano la stessa attività (50), intendendosi per tali diritti e vantaggi quelli relativi alle condizioni di lavoro e di retribuzione. Se tale Stato accordasse questo permesso per un periodo determinato, il lavoratore marocchino dovrebbe fruire del principio della parità di trattamento posto dall'art. 40, n. 1, dell'accordo per tutto questo periodo.

    64 Discende inoltre da questo principio che se, in applicazione della normativa nazionale in questione, un lavoratore marocchino fosse autorizzato ad esercitare un'attività subordinata nel territorio di uno Stato membro per un dato periodo, egli disporrebbe anche del diritto di rimanere in quello stesso territorio durante tale periodo, a pena di privare tale principio di ogni effetto utile (51).

    65 Analogamente, la limitazione o la deroga ai principi fondamentali sanciti dal diritto comunitario, come quello della parità di trattamento previsto all'art. 40, n. 1, dell'accordo, «(...) va intesa in senso restrittivo, di guisa che la sua portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni comunitarie» (52). Ebbene, questa Corte ha stabilito che rispondono a questa esigenza solo le misure destinate ad assicurare la protezione degli interessi legittimi degli Stati membri, quali motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica (53).

    66 E' la ragione per cui, a mio avviso, ai sensi di questa giurisprudenza, i motivi risultanti da problemi economici, in particolare, non potrebbero costituire motivi legittimi per porre fine al diritto di soggiorno - quindi a quello di esercitare un lavoro -, di cui è legittimamente titolare il lavoratore marocchino. Una diversa valutazione condurrebbe al rischio, non trascurabile, di privare essenzialmente questo lavoratore del suo contratto di lavoro, in caso di semplici difficoltà economiche di ordine congiunturale. Ebbene, come abbiamo visto, il principio di uguaglianza enunciato all'art. 40, n. 1, dell'accordo impone agli Stati membri di assicurare al lavoratore marocchino, nell'ambito del suo contratto di lavoro, la stessa tutela che viene riconosciuta al lavoratore nazionale. Questa tutela non sarebbe evidentemente assicurata se solo al lavoratore marocchino fosse negata la possibilità di esercitare l'attività subordinata a lui accordata.

    67 Ritengo quindi che il comportamento, denunciato in udienza dal patrocinante del ricorrente nella causa a qua nell'ambito delle sue difese orali, consistente nell'adottare, da parte di uno Stato membro ospitante - in caso di eccessivi oneri fiscali sulle imprese interessate (ad esempio, aumento salariale a seguito di contrattazioni) -, misure sfavorevoli riguardanti essenzialmente lavoratori marocchini - come la soppressione di tutti i permessi di soggiorno concessi ai lavoratori marocchini - sia vietato dal principio di non discriminazione sancito dall'art. 40, n. 1, dell'accordo, in quanto questa misura non potrebbe mai riguardare un lavoratore nazionale.

    68 Su questi diversi punti non trovo alcuna valida giustificazione per una disparità di trattamento operata in situazioni identiche tra lavoratori stranieri che svolgono una stessa attività subordinata in uno Stato membro ospitante. Per questa ragione, a mio parere, il lavoratore marocchino che versi in una tale situazione potrebbe fondatamente rivendicare l'applicazione, per analogia, delle decisioni della Corte emanate nel contesto degli artt. 48, n. 2, del Trattato e 6 della decisione n. 1/80.

    69 Alla luce di tali considerazioni, suggerisco di rispondere che il principio di non discriminazione nelle condizioni di lavoro e di retribuzione, sancito dall'art. 40, n. 1, dell'accordo, dev'essere interpretato nel senso che esso non conferisce al lavoratore marocchino il diritto di ottenere la proroga del suo diritto di soggiorno, anche se questo lavoratore svolga effettivamente un'attività lavorativa. Infatti, l'applicazione del principio di non discriminazione di cui all'art. 40, n. 1, dell'accordo presuppone, anzitutto, che le prescrizioni della normativa nazionale sull'ingresso e sul soggiorno degli stranieri siano state rispettate.

    Conclusione

    70 Conseguentemente, suggerisco di risolvere nel seguente modo la questione posta dall'Immigration Adjudicator:

    «Il divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza, per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di retribuzione, tra il lavoratore marocchino e il lavoratore nazionale, sancito dall'art. 40, n. 1, dell'accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea e il Regno del Marocco, firmato a Rabat il 27 aprile 1976 e approvato a nome della Comunità in forza del regolamento (CEE) del Consiglio 26 settembre 1978, n. 2211, deve essere interpretato nel senso che esso non attribuisce ad un lavoratore marocchino il diritto di ottenere la proroga del suo diritto di soggiorno, anche se tale lavoratore svolga effettivamente un'attività lavorativa.

    L'applicazione di questo principio presuppone necessariamente che la normativa dello Stato membro ospitante sull'ingresso e sul soggiorno degli stranieri sia stata anzitutto rispettata».

    (1) - GU L 264, pag. 1.

    (2) - Firmato il 12 settembre 1963 ed entrato in vigore il 1_ dicembre 1964, approvato a nome della Comunità in forza della decisione 64/732/CEE del Consiglio 23 dicembre 1963 (GU 1964, n. 217, pag. 3685; in prosieguo: l'«accordo CEE-Turchia»).

    (3) - Firmato il 23 novembre 1970, entrato in vigore il 1_ gennaio 1973, approvato a nome della Comunità in forza del regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760 (GU L 293, pag. 1; in prosieguo: il «protocollo addizionale»).

    (4) - V., segnatamente, sentenze 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Göbbels (Racc. pag. 407); 27 aprile 1994, causa C-393/92, Almelo e a. (Racc. pag. I-1477), e 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult (Racc. pag. I-4961).

    (5) - Sentenza 30 marzo 1993, causa C-24/92, Corbiau (Racc. pag. I-1277).

    (6) - Sections 12-23.

    (7) - Motivi di ordine politico o non.

    (8) - S. Juss, «Rule-making and the Immigration Rules - A Retreat from Law?», Statute Law Review, 1992, vol. 13, pagg. 151-153.

    (9) - In tale ambito, bisogna intendere con « legge» l'Immigration Act e più in generale il «common law». I. Macdonald e N. Blake: Immigration Law and Practice in the United Kingdom, Butterworths, 1991, pagg. 442 e 443.

    (10) - Immigration Act, section 19 (1) (a) (i).

    (11) - SI 1984/2041.

    (12) - Procedure Rules, art. 27.

    (13) - Ibidem, art. 28 (a).

    (14) - Ibidem, art. 26.

    (15) - Ibidem, art. 39 (2).

    (16) - Immigration Act, sections 19 (3) e 20 (3).

    (17) - Sugli elementi da tenere in considerazione per verificare se un organo soddisfi il criterio dell'indipendenza, v. sentenza Dorsch Consult, citata, punto 36.

    (18) - Immigration Act, section 12 (a).

    (19) - Immigration Adjudicator che esercita la sua attività a tempo pieno.

    (20) - Quando questa attività viene esercitata a tempo parziale.

    (21) - A questo proposito, v., segnatamente, W. Wade e C. Forsyth, Administrative Law, Clarendon Press Oxford, 1994, pag. 471 e segg.

    (22) - Sentenza 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel (Racc. pag. 3719, punto 14).

    (23) - Causa C-18/90, Racc. pag. I-199, punto 22.

    (24) - V., segnatamente, sentenze 8 aprile 1976, causa 48/75, Royer (Racc. pag. 497); 3 luglio 1980, causa 157/79, Pieck (Racc. pag. 2171); 30 maggio 1989, causa 33/88, Allué e Coonan (Racc. pag. 1591), e Spotti, citata.

    (25) - GU L 257, pag. 2.

    (26) - Decisione non pubblicata. V., segnatamente, sentenze 20 settembre 1990, causa C-192/89, Sevince (Racc. pag. I-3461); 16 dicembre 1992, causa C-237/91, Kus (Racc. pag. I-6781); 5 ottobre 1994, causa C-355/93, Eroglu (Racc. pag. I-5113); 6 giugno 1995, causa C-434/93, Bozkurt (Racc. pag. I-1475); 23 gennaio 1997, causa C-171/95, Tetik (Racc. pag. I-329), e 30 settembre 1997, causa C-98/96, Ertanir (Racc. pag. I-5179).

    (27) - V., segnatamente, sentenze Allué e Coonan (punto 18) e Spotti (punto 21), citate.

    (28) - Dopo la sentenza Sevince, citata, punto 29.

    (29) - Sentenza Kus, citata, punto 29.

    (30) - Sentenza Tetik, citata, punto 24.

    (31) - Sentenza Kus, citata, punti 25 e 26.

    (32) - V., segnatamente, sentenze 9 febbraio 1982, causa 270/80, Polydor e RSO (Racc. pag. 329, punto 8), e 26 ottobre 1982, causa 104/81, Kupferberg (Racc. pag. 3641, punti 29-31). V., inoltre, paragrafo 13 delle conclusioni dell'avvocato generale Tesauro, per la sentenza 5 aprile 1995, causa C-103/94, Krid (Racc. pag. I-719).

    (33) - Parere n. 1/91, emesso il 14 dicembre 1991 (Racc. pag. I-6079, punto 14).

    (34) - Sentenza 7 luglio 1988, causa 143/87, Stanton (Racc. pag. 3877, punto 13).

    (35) - Sentenza 7 luglio 1992, causa C-370/90, Singh (Racc. pag. I-4265, punto 17).

    (36) - V., segnatamente, sentenze Eroglu, citata, punto 14, e 29 maggio 1997, causa C-386/95, Eker (Racc. pag. I-2697, punto 23).

    (37) - V., segnatamente, la sentenza Kus, citata, punti 25 e 26.

    (38) - V., segnatamente, le sentenze Eroglu (punto 12), e Tetik (punto 23), citate.

    (39) - Sentenza Tetik, citata, punto 20.

    (40) - Ibidem, punti 22 e 25.

    (41) - Paragrafo 3 delle presenti conclusioni.

    (42) - V. paragrafo 10 dell'ordinanza di rinvio.

    (43) - Trattato di Amsterdam che modifica il Trattato sull'Unione europea, i Trattati che istituiscono le Comunità Europee e alcuni atti connessi, firmato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997 (GU C 340, pag. 1).

    (44) - V., segnatamente, citate sentenze Kus (punti 29 e 30), e Tetik (punto 24).

    (45) - Non pubblicato.

    (46) - Si tratta, in sostanza, di una ripetizione del testo del citato art. 40.

    (47) - Il corsivo è mio.

    (48) - V., segnatamente, per analogia, sentenze Kziber, citata, punto 28; 3 ottobre 1996, causa C-126/95, Hallouzi-Choho (Racc. pag. I-4807, punti 35 e 36), e Spotti, citata, punto 21.

    (49) - V., segnatamente, per analogia, sentenza 16 dicembre 1976, causa 63/76, Inzirillo (Racc. pag. 2057).

    (50) - V. inoltre, per analogia, sentenze Kziber (punto 28), e Hallouzi-Choho (punti 35-37), citate.

    (51) - V., segnatamente, per analogia, sentenza Kus, citata, punto 30.

    (52) - Per analogia, sentenza 28 ottobre 1975, causa 36/75, Rutili (Racc. pag. 1219, punto 27). V., inoltre, per analogia, sentenze Commissione/Italia, e Spotti, citate.

    (53) - V., segnatamente, per analogia, sentenze 26 febbraio 1991, causa C-292/89, Antonissen (Racc. pag. I-745), e Kus, citata, punto 34.

    Top