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Document 61996CC0343

    Conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 28 aprile 1998.
    Dilexport Srl contro Amministrazione delle Finanze dello Stato.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Pretura circondariale di Bolzano, Sezione Distaccata di Vipiteno - Italia.
    Imposte nazionali incompatibili con l'art. 95 del Trattato - Ripetizione dell'indebito - Norme nazionali di procedura.
    Causa C-343/96.

    Raccolta della Giurisprudenza 1999 I-00579

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1998:174

    61996C0343

    Conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 28 aprile 1998. - Dilexport Srl contro Amministrazione delle Finanze dello Stato. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Pretura circondariale di Bolzano - Italia. - Imposte nazionali incompatibili con l'art. 95 del Trattato - Ripetizione dell'indebito - Norme nazionali di procedura. - Causa C-343/96.

    raccolta della giurisprudenza 1999 pagina I-00579


    Conclusioni dell avvocato generale


    1 Il pretore di Bolzano sottopone alla Corte di giustizia sei questioni pregiudiziali in merito all'incidenza delle norme e dei principi di diritto comunitario sulla normativa nazionale - legge italiana 29 dicembre 1990, n. 428 (in prosieguo: la «legge n. 428») (1) - che disciplina il rimborso di talune entrate tributarie indebitamente riscosse da parte dell'Amministrazione italiana.

    I fatti, il procedimento ed il tenore delle questioni pregiudiziali

    2 Il 12 marzo 1988 la società ricorrente ha versato all'Amministrazione italiana, l'importo di LIT 6 945 756 a titolo di imposta di consumo corrispondente ad una partita di banane importate attraverso la dogana del Brennero.

    3 Ritenendo trattarsi di un tributo indebitamente versato in quanto incompatibile con il diritto comunitario, nel 1991 la Dilexport ha chiesto all'amministrazione, nel 1991, il rimborso di tale importo. Non avendo ottenuto risposta favorevole, essa ha adito il pretore di Bolzano, competente per territorio, con un ricorso per ingiunzione, ex art. 633 del codice di procedura civile, al fine di ottenere il rimborso.

    4 Il pretore, prima di decidere in merito al ricorso, ha ritenuto di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1) Se il diritto comunitario vada interpretato nel senso che osta all'introduzione da parte di uno Stato membro di una normativa come quella rappresentata dall'art. 29 della legge italiana 29 dicembre 1990, n. 428, la quale subordini il rimborso di tributi riscossi in violazione del diritto comunitario, a termini di prescrizione o di decadenza e a condizioni di prova diversi e più restrittivi da quelli previsti dalla disciplina generale di diritto civile. In particolare, a proposito del principio secondo cui le modalità di esercizio del diritto al rimborso definite dalle leggi nazionali "non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghe impugnazioni di diritto nazionale", si chiede di conoscere cosa deve intendersi con la formula "analoghe impugnazioni di diritto nazionale".

    2) Se i principi fondamentali dell'ordinamento comunitario ostano a che uno Stato membro - limitamente e soltanto con riferimento ad uno specifico settore costituito da una categoria omogenea di prelievi fiscali nel quale sono notevolmente prevalenti quelli rilevanti per l'ordinamento comunitario - introduca una normativa speciale e derogatoria volta a restringere e limitare il diritto alla ripetizione dell'indebito, in tal modo derogando alle condizioni generali per la ripetizione di indebito previste dall'art. 2033 del codice civile. In particolare, se il principio di non discriminazione possa essere inteso restrittivamente e, quindi, possa considerarsi rispettato dalla normativa di uno Stato membro, del tipo di quella del comma secondo dell'art. 29 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, per il solo fatto che le condizioni di rimborso dei prelievi fiscali comunitariamente rilevanti ivi stabilite, pur essendo restrittive rispetto alla disciplina generale di diritto comune, risultano tuttavia meno gravose rispetto alle speciali condizioni di rimborso previste al terzo comma dello stesso articolo.

    3) Se i rammentati principi fondamentali dell'ordinamento comunitario ostano a che uno Stato membro - dopo ripetute sentenze della Corte con le quali sono stati dichiarati incompatibili con il diritto comunitario diversi tributi in materia di diritti doganali all'importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo, sovrapprezzo dello zucchero e diritti erariali - adotti una normativa processuale come quella introdotta con l'art. 29 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, che riduce specificamente la possibilità di agire per la ripetizione dei suddetti tributi indebitamente riscossi in violazione del diritto comunitario.

    4) Se una legge come quella predetta - assertivamente introdotta per conformare la legislazione nazionale all'insegnamento della Corte di giustizia - approvata con oltre tre anni e mezzo di ritardo rispetto alle sentenze della Corte in parola, con ulteriore indebito arricchimento da parte dello Stato ritardatario, non sia incompatibile col diritto comunitario e, in particolare, con quanto affermato in tema di prove non ammesse nella sentenza 9 novembre 1983 nella causa San Giorgio (199/82, Racc. pag. 3595). In particolare se non sia incompatibile un'interpretazione e un'applicazione del predetto art. 29, in base all'assunto che - "essendo fatto notorio l'incorporazione delle imposte di consumo" - la prova per presunzione sarebbe prova sufficiente per ammettere la traslazione e respingere quindi la domanda di rimborso.

    5) Se, di conseguenza, sia comunitariamente lecito che il giudice nazionale o il suo consulente tecnico accerti la traslazione d'imposta usando tali presunzioni semplici, che pretesamente sarebbero tipiche prove libere, escludendo così sistematicamente le richieste di rimborso, come si sta verificando in pratica, talché l'amministrazione debitrice mai ammette di dover provvedere al rimborso.

    6) Se una norma quale quella contenuta nei comma 4 e 8 dell'art. 29 precitato, che impone formalità procedurali (ad esempio, l'obbligo di notifica a uffici specifici della stessa autorità debitrice) mai previste nei precedenti casi di rimborso, considerati nella disciplina generale in materia, possa essere imposta e comunque possa essere interpretata con effetto retroattivo».

    Il contesto normativo nazionale ed il contesto normativo comunitario

    5 L'art. 29 della legge n. 428 (2), intitolato «Rimborso dei tributi riconosciuti incompatibili con norme comunitarie», contiene le seguenti disposizioni:

    - al primo comma, estende l'applicazione del termine quinquennale di decadenza previsto dall'art. 91 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale a tutte le azioni esperibili per il rimborso di quanto pagato in relazione ad operazioni doganali; riduce, ciononostante, a tre anni, a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge, il predetto termine ed il termine di prescrizione previsto dall'art. 84 dello stesso testo unico (3);

    - al secondo comma, dispone che «i diritti doganali all'importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti»;

    - al quarto comma, dispone che la domanda di rimborso dei diritti e delle imposte di cui ai commi 2 e 3, quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito d'impresa, deve essere comunicata, a pena di inammissibilità, all'ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell'esercizio di competenza;

    - al settimo comma, stabilisce che la disposizione contenuta nel citato secondo comma si applica anche quando il rimborso concerne somme versate anteriormente alla data di entrata in vigore della medesima legge (27 gennaio 1991);

    - all'ottavo comma, dispone che il quarto comma si applica a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.

    6 L'imposta speciale di consumo sulle banane originarie di altri Stati membri, versata dall'impresa ricorrente che ne pretende il rimborso, è stata dichiarata incompatibile con il diritto comunitario dalla Corte di giustizia con la sentenza 7 maggio 1987, Commissione/Italia (4), in quanto contrastava con l'art. 95, n. 2, del Trattato CEE. La sentenza in pari data, Co-Frutta (5), ha confermato che la disposizione in parola non consente di istituire un'imposta di consumo che colpisca talune frutta importate, qualora essa sia suscettibile di proteggere la produzione nazionale di frutta, e che l'art. 95 del Trattato CEE riguarda tutti i prodotti provenienti dagli Stati membri ivi compresi i prodotti originari di paesi terzi che si trovano in libera pratica negli Stati membri.

    L'esame delle diverse questioni pregiudiziali

    7 Affronterò l'esame delle questioni raggruppandole a seconda del loro contenuto, anche se ciò non corrisponde pienamente all'ordine in cui sono esposte nell'ordinanza di rinvio:

    a) in primo luogo, il dualismo di discipline regolatrici del diritto alla ripetizione di entrate tributarie indebitamente riscosse (questioni prima e seconda);

    b) in secondo luogo, i problemi temporali - cioè i termini di prescrizione e di decadenza nonché la retroattività - discendenti dall'applicazione della legge n. 428 alla ripetizione del tributo (terza questione);

    c) in terzo luogo, l'utilizzazione delle presunzioni come mezzo di prova al fine di valutare la traslazione del tributo verso terzi (questioni quarta e quinta);

    d) infine, l'obbligo di notifica delle domande di rimborso agli uffici tributari (sesta questione).

    Sulla prima e sulla seconda questione pregiudiziale

    8 Le questioni prima e seconda sollevate dal giudice a quo si riferiscono al contenuto della norma interna in quanto tale - cioè indipendentemente dalla sua efficacia nel tempo - ed al suo eventuale contrasto con il diritto comunitario. Ritengo che il loro esame debba precedere, da un punto di vista logico, il problema della retroattività o irretroattività della citata norma, oggetto della terza questione pregiudiziale.

    9 L'art. 29, n. 1, della legge n. 428, già citato, riflette la chiara volontà del legislatore: quella di applicare lo stesso termine quinquennale di decadenza, previsto dalla legislazione doganale, a qualsiasi specie di domanda ed azione esperibili ai fini del rimborso di somme pagate in rapporto ad operazioni doganali. Ai fini qui rilevanti, poco conta che l'espressione impiegata dalla legge [«il termine quinquennale (...) deve intendersi applicabile»] sia meramente interpretativa o abbia efficacia costitutiva.

    10 Il giudice nazionale si chiede se sia compatibile con il diritto comunitario una norma che fissi il detto termine di decadenza per il rimborso di somme indebitamente riscosse, quando tale rimborso sia la conseguenza della violazione di una disposizione comunitaria, mentre le azioni di ripetizione dell'indebito di diritto comune (art. 2033 del codice civile) sono soggette al termine decennale di prescrizione.

    11 La questione si presenta in termini analoghi a quelli prospettati da altri giudici italiani in rapporto al termine triennale di decadenza applicato alle domande di rimborso della tassa annuale di concessione governativa sull'iscrizione delle società nel registro delle imprese, procedimenti pregiudiziali per cui ho presentato recentemente le mie conclusioni (causa C-231/96, Edis; causa C-260/96, Spac; cause riunite da C-279/96 a C-281/96, Ansaldo e a.). Trattasi di stabilire in definitiva se sia ammissibile, dal punto di vista comunitario, che le azioni di ripetizione d'indebito contro il fisco siano soggette a termini di decadenza o di prescrizione diversi da quelli fissati per analoghe azioni tra singoli.

    12 Come ho posto in rilievo nelle dette conclusioni, ritengo che nessuna norma o principio di diritto comunitario impedisca al legislatore nazionale di fissare termini di prescrizione di diritti, o di decadenza dall'esercizio di azioni, diversi a seconda del settore interessato dell'ordinamento giuridico, sempre che essi vengano applicati indistintamente ai diritti derivanti da norme sia nazionali sia comunitarie.

    13 Infatti il legislatore nazionale è libero di imporre termini di prescrizione o di decadenza in materia tributaria, che non debbono coincidere con quelli stabiliti per altri tipi di rapporti privati. Nessuna norma o principio di diritto comunitario lo obbliga ad equiparare, a tali fini, i rapporti tributari con i rapporti inter privatos.

    14 L'ordinamento giuridico italiano conosce, per di più, termini molto diversi a seconda del settore interessato dell'ordinamento giuridico. Per la precisione, il termine generale di prescrizione ordinaria (decennale) è fissato dall'art. 2946 del codice civile «salvi i casi in cui la legge dispone diversamente», e sono numerose le norme di legge che infatti prevedono termini inferiori per la prescrizione di determinati diritti o per l'esercizio di determinate azioni (6).

    15 Al pari di tutti gli Stati membri che hanno presentato osservazioni in questo procedimento, non trovo nessun motivo per respingere l'idea che un legislatore nazionale possa imporre alle azioni di ripetizione di entrate tributarie indebitamente riscosse condizioni temporali di esercizio diverse da quelle stabilite per analoghe azioni tra privati.

    16 La legittimità della detta distinzione è già stata, per di più, confermata dalla Corte nei punti 22-25 della sentenza 27 marzo 1980, Denkavit italiana (7). Dopo aver affermato che il diritto comunitario non impone necessariamente l'introduzione di una regola uniforme e comune a tutti gli Stati membri in materia di condizioni di forma e di sostanza relative all'impugnazione o alla ripetizione delle tasse contrarie a tale diritto e che la disciplina di questo problema varia da uno Stato all'altro, e anche all'interno di ciascuno Stato, a seconda dei vari tipi di tributi, la Corte ha riconosciuto accettabili i due tipi di regimi nazionali più caratterizzati in materia:

    - in alcuni casi, le leggi nazionali assoggettano le impugnazioni o le domande di ripetizione dei tributi indebitamente riscossi a condizioni speciali di tempo e di forma, per quanto concerne sia i reclami rivolti all'amministrazione fiscale sia i ricorsi giurisdizionali;

    - in altri casi, le azioni di rimborso delle tasse indebitamente versate debbono essere proposte innanzi ai giudici ordinari, in particolare sotto forma di azioni di ripetizione dell'indebito. Questo tipo di azioni può essere esercitato entro termini più o meno lunghi che, in determinati casi, corrispondono a quelli di prescrizione ordinaria.

    17 Subito dopo la Corte, ribadendo la sua giurisprudenza Rewe e Comet (8), ha affermato che, dal punto di vista comunitario, le condizioni che i vari sistemi giuridici nazionali devono rispettare in relazione alle contestazioni di entrate tributarie indebitamente riscosse la cui illegittimità derivi da una norma comunitaria sono, come già detto, il divieto di discriminazione e l'effettività delle corrispondenti azioni. Secondo la recente sentenza 10 luglio 1997, Palmisani (9), entrambi sono espressione, rispettivamente, del «principio dell'equivalenza» (con i requisiti stabiliti per i reclami analoghi di natura interna) e del «principio di effettività» del diritto comunitario.

    18 In un altro caso analogo a quello attuale la Corte ha avuto l'opportunità di precisare, ancora meglio, la sua precedente posizione risolvendo una questione pregiudiziale con la quale si è chiesto «in sostanza (...) entro quali limiti i principi generali del diritto comunitario ostino a norme nazionali che contemplino un termine perentorio di tre anni per le domande di rimborso di dazi indebitamente pagati, senza eccezioni per causa di forza maggiore».

    19 La soluzione, data con la sentenza 9 novembre 1989, Bessin e Salson (10), risulta perfettamente trasponibile al caso di specie, essendo le circostanze giuridiche manifestamente analoghe. La norma nazionale allora in discussione era il code des douanes (codice doganale) francese, il quale imponeva un termine triennale per le richieste di restituzione di dazi all'importazione indebitamente versati: tale norma speciale si discostava dal termine ordinario di prescrizione applicabile, secondo il code civil (codice civile) francese, alle domande di ripetizione dell'indebito, in assenza di altro termine.

    20 Nella sentenza che ha risolto tale questione pregiudiziale la Corte - dopo aver ricordato la necessità di un'applicazione non discriminatoria della legislazione nazionale in relazione ai procedimenti miranti a risolvere controversie puramente nazionali del medesimo tipo ed aver sottolineato che la detta normativa non deve risolversi nel rendere praticamente impossibile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento comunitario - ha concluso che il periodo di prescrizione triennale analizzato «corrisponde ad una scelta legislativa nazionale che non ha l'effetto di pregiudicare l'esigenza sopra ricordata».

    21 Infine, in due sentenze del 17 luglio 1997, Texaco e Olieselskabet Danmark (11) e Haahr Petroleum (12), la Corte ha ribadito il medesimo orientamento, confermando che «la fissazione di ragionevoli termini di ricorso a pena di decadenza, che costituisce l'applicazione del principio fondamentale della certezza del diritto, soddisfa le due summenzionate condizioni e non si può considerare in particolare che essa renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto comunitario, anche se, per definizione, lo spirare di detti termini comporta il rigetto, totale o parziale, dell'azione esperita». Di conseguenza, essa ha dichiarato che il termine di prescrizione quinquennale, applicato dalla legislazione danese a talune domande di rimborso di tasse nazionali contrarie al diritto comunitario, è compatibile con quest'ultimo, anche se osti, in via totale o parziale, alla richiesta ripetizione.

    22 Si avrebbe quindi una discriminazione se la norma italiana sulla decadenza dalle azioni di rimborso della tassa indebitamente versata stabilisse termini diversi a seconda dell'origine, nazionale o comunitaria, dell'obbligo di rimborso. Così avverrebbe, difatti, se il termine di legge per richiedere la ripetizione della tassa, a causa della sua incompatibilità con il diritto comunitario, fosse inferiore a quello prescritto per richiedere la ripetizione di questa stessa tassa in forza di una qualsiasi altra motivazione di diritto nazionale. Ma, poiché ciò non avviene e il termine fissato dall'art. 29, n. 1, della legge n. 428 si applica indistintamente a tutte le azioni di ripetizione della tassa, a prescindere dal loro fondamento, la soluzione della seconda questione pregiudiziale deve affermare la compatibilità di tale precetto con il diritto comunitario.

    23 In effetti, questa è l'interpretazione che discende naturalmente dal testo della norma e che è stata fatta propria dalla giurisprudenza italiana: così la Corte di Cassazione, nella sentenza 6 novembre 1992 (13), afferma:

    «L'art. 29, n. 1, della legge n. 428 del 1990 (...) sottopone ad un'unica disciplina la ripetizione d'indebito relativa a gran parte dei tributi (ossia quelli corrispondenti alle imposte indirette sulle merci), equiparando, a tal fine, tanto i diritti riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie, quanto i diritti doganali all'importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, ecc., così evitando, per i rimborsi in materia comunitaria, la creazione di uno ius singulare, che ne rendesse meno agevole la realizzazione».

    Sulla terza questione pregiudiziale

    24 Una volta affermata la compatibilità della norma, in se stessa considerata, con il diritto comunitario, vanno in prosieguo esaminati i limiti della sua efficacia temporale e, in concreto, della sua applicazione retroattiva.

    25 Come mettono in risalto la Commissione e, in parte, il governo francese nelle loro osservazioni, sussiste al riguardo una certa confusione. La Commissione arriva ad affermare che «sotto il profilo degli effetti nel tempo della (...) norma controversa, la situazione appare come caratterizzata da un'esemplare confusione: la legge prescrive una cosa (interpreta retroattivamente una disposizione previgente (...), ma le giurisdizioni, anche quelle supreme, della Repubblica ne applicano un'altra (la regola della non retroattività, quanto meno per le domande di rimborso presentate prima dell'entrata in vigore della legge n. 428)».

    26 Con la citata sentenza 6 novembre 1992 la Corte di Cassazione conferma la natura retroattiva della norma, essendo questo il motivo che conduce alla disapplicazione della stessa. L'argomentazione svolta nella detta sentenza può essere compendiata nei punti seguenti:

    a) secondo la disciplina precedente all'entrata in vigore della legge n. 428, la prescrizione quinquennale applicabile alla ripetizione dell'indebito fiscale di cui all'art. 91 del Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale entrava in gioco esclusivamente nel caso di errori di calcolo o di applicazione della tariffa; negli altri casi il termine prescrizionale era quello ordinario decennale (14);

    b) a seguito della promulgazione dell'art. 29, n. 1, della legge n. 428, il termine quinquennale di decadenza (non più di prescrizione) si applica a tutte le domande e le azioni esperibili per il rimborso di qualsiasi somma pagata in relazione ad operazioni doganali (15);

    c) il detto articolo non è meramente interpretativo, ma innovativo ed il legislatore ha inteso conferirgli efficacia retroattiva;

    d) proprio a causa di siffatta retroattività, la norma non è compatibile con il diritto comunitario e i giudici nazionali devono disapplicarla (16).

    27 Se l'applicazione pro futuro dell'art. 29 della legge n. 428 non mi sembra contraria al diritto comunitario, secondo quanto ho sostenuto in precedenza, dà adito a dubbi la sua applicazione ai titolari del diritto alla ripetizione dei tributi indebitamente pagati in precedenza, in quanto può implicare che si impongano loro condizioni di esercizio più sfavorevoli di quelle di cui avevano fruito sino ad allora.

    28 L'incompatibilità con il diritto comunitario sarebbe evidente quanto alle domande di ripetizione presentate prima dell'entrata in vigore dei nuovi termini: il principio di certezza del diritto non consente che siffatti reclami possano essere pregiudicati da una norma successiva, inesistente all'epoca della loro presentazione, che peggiori la posizione giuridica dei reclamanti. Ciò è stato compreso dagli stessi giudici nazionali che hanno escluso l'applicazione retroattiva dell'articolo in questione.

    29 Però il problema sorge non solo con i reclami già presentati prima del 27 aprile 1991, ma anche con quelli successivi a tale data, quando si riferiscono a tributi pagati prima che entrasse in vigore la nuova legge. Questo è giusto il caso della Dilexport: i dazi doganali erano stati pagati (indebitamente) nel 1988, prima della promulgazione della legge n. 428, per cui l'eventuale reclamo della Dilexport era, all'epoca, giuridicamente ricevibile per i dieci anni successivi (termine ordinario di prescrizione decennale). Il reclamo effettivo, tuttavia, non è stato presentato sino al marzo 1991.

    30 La Corte di giustizia ha dichiarato nella sentenza 29 giugno 1988, Deville (17), che «il legislatore nazionale, dopo una sentenza della Corte che stabilisca che una determinata normativa è incompatibile con il Trattato, non può adottare alcuna norma processuale che riduca specificamente le possibilità di agire per la ripetizione dei tributi indebitamente versati in forza di detta normativa. Spetta al giudice nazionale accertare se la norma criticata riduca le possibilità di agire per la ripetizione che sarebbero esistite se essa non fosse stata adottata» (18).

    31 La causa Deville diverge per una serie di aspetti dalla causa attuale: il legislatore francese aveva approvato una specifica norma (l'art. 18 della legge 11 luglio 1985) al fine di abolire espressamente un'imposta dichiarata incompatibile con il diritto comunitario, su cui si era pronunciata in via pregiudiziale la Corte di giustizia nella sentenza 9 maggio 1985, Humblot (19). Il medesimo articolo disponeva che i contribuenti i quali avessero chiesto il rimborso della detta imposta successivamente al 9 maggio 1985 potevano ottenerlo a condizione di proporre il reclamo in questione entro un termine determinato (sulla cui interpretazione v'era conflitto tra le parti) a partire dalla data di versamento dell'imposta. La Corte non si è ritenuta competente a decidere, nel contesto della soluzione della questione pregiudiziale, se la normativa nazionale riducesse o meno, di fatto, le possibilità di agire per la ripetizione che sarebbero precedentemente esistite a favore del contribuente.

    32 Al contrario, nella presente causa,

    a) sebbene sia manifesta la riduzione delle possibilità di agire per la ripetizione dei tributi indebitamente pagati, operata dalla nuova legge rispetto alla precedente normativa, e tale circostanza sia stata posta in rilievo dai giudici nazionali, è del pari certo che la detta legge permette - secondo l'interpretazione di questi ultimi - di esperire l'azione di ripetizione nel corso dei tre anni successivi alla sua entrata in vigore (20), termine che va ritenuto sufficiente a garantire l'effettività del diritto alla ripetizione;

    b) diversamente dalla causa Deville, la normativa controversa non ha natura speciale, applicabile esclusivamente ad un determinato tributo in precedenza dichiarato incompatibile con il diritto comunitario, ma riguarda tutta una vasta gamma di tributi interni, la cui disciplina in materia di termini di prescrizione e decadenza viene unificata con quella già in vigore nell'ambito della legislazione doganale.

    33 Non credo sia necessario a questo punto esaminare se possa considerarsi retroattiva stricto sensu una norma che riduce i termini di decadenza per esperire azioni non ancora avviate, però idonee ad esserlo in base alla legislazione anteriore. Com'è noto, le opinioni in seno alla dottrina nonché le soluzioni adottate dalla legge e dalle più elevate autorità giudiziarie nazionali (21) sono divergenti in materia. Adesso, però, si tratta comunque di esaminare se, nella misura in cui pregiudichi le situazioni tutelate dal diritto comunitario, una norma siffatta sia compatibile con la giurisprudenza della sentenza Deville.

    34 In altre parole, il principio sottostante alla sentenza Deville va considerato così assoluto da non consentire, in nessuna circostanza, ulteriori modifiche legislative che riducano il livello della precedente tutela giuridica? Il contribuente che ha pagato un tributo incompatibile con il diritto comunitario conserva, in modo assoluto, il diritto di ripeterlo secondo le norme interne (non discriminatorie né di illusoria efficacia) che erano vigenti quando ha effettuato il pagamento o quando è stata dichiarata detta incompatibilità?

    35 L'intento di protezione sottostante alla giurisprudenza Deville consiste nel rispetto dello statu quo ante dei contribuenti che hanno fatto affidamento sul mantenimento delle loro possibilità di opporsi in diritto all'imposizione indebita. Tali possibilità non devono ridursi proprio quando sia stata esplicitamente dichiarata - per via giurisprudenziale o legislativa - la natura indebita del tributo, in quanto incompatibile con il diritto comunitario.

    36 Ciò non deve implicare, a mio avviso, l'obbligo di mantenere assolutamente «congelata» la precedente disciplina giuridica, sino a farla considerare immodificabile da parte del legislatore. Ritengo invece che la modifica della detta disciplina sia ammissibile in quanto provvedimento legislativo di carattere generale, sempre che, inoltre, non si privino le persone interessate del diritto all'azione di ripetizione, accordando loro a tal fine un termine sufficientemente ampio e rispettoso del principio di effettività della tutela giurisdizionale.

    37 Proprio queste sono le circostanze che qualificano la causa principale, sia sotto il profilo normativo sia dal punto di vista fattuale.

    38 Da un lato, la norma nazionale, lungi da riguardare esclusivamente un determinato tributo, è configurabile come una misura di generalizzazione di una preesistente disciplina giuridica (come previsto dal testo unico delle leggi doganali). E' certo che, sia nella rubrica sia nel contenuto, l'art. 29 della legge n. 428 si riferisce espressamente al rimborso di tributi incompatibili con il diritto comunitario. Ma è ugualmente certo che trattasi di un provvedimento di carattere generale con cui si vuole appunto uniformare le azioni di ripetizione derivanti dalla violazione del diritto comunitario e le analoghe azioni fondate sul diritto nazionale, nonché «sottoporre ad un'unica disciplina la ripetizione d'indebito relativa a gran parte dei tributi (...)» (22).

    39 Da un punto di vista fattuale, trattandosi di tasse pagate nel 1988, prima dell'approvazione della nuova legge n. 428, il termine di tre anni concesso per chiedere il rimborso era più che sufficiente a consentire all'interessata di proporre tempestivamente un'azione di ripetizione. Questa ha dunque potuto poi esercitare senza ostacoli di sorta, in un ampio lasso di tempo successivo all'entrata in vigore della nuova legge, il suo diritto al rimborso del tributo in questione.

    40 In sintesi, né le circostanze del caso di specie sono analoghe a quelle delle cause Deville e Barra, né la giurisprudenza della Corte risultante dalle relative sentenze va interpretata in modo così severo da impedire qualsivoglia modifica legislativa quanto alla disciplina delle azioni di ripetizione dall'indebito dopo una sentenza della Corte. Sempre che la detta modifica giuridica mantenga ad un livello sufficiente la possibilità di chiedere il rimborso dei tributi in parola (entro un termine di tre anni, ad esempio, come nel caso di specie), non ritengo debba considerarsi incompatibile con il diritto comunitario.

    Sulla quarta e sulla quinta questione pregiudiziale

    41 Con la quarta e la quinta questione il giudice nazionale s'interroga sulla possibilità di utilizzare la prova per presunzioni per stabilire se un'impresa, dopo aver versato indebitamente il tributo, ne abbia effettuato successivamente la traslazione verso terzi. Com'è ben noto, la Corte di giustizia ammette, entro certi limiti, che l'amministrazione tributaria non è obbligata a rimborsare l'importo del tributo al soggetto passivo che, a suo tempo, lo abbia assolto e, successivamente traslato verso terzi.

    42 Le premesse da cui muove il giudice con riguardo alla situazione giuridica interna sono confutate dal governo italiano: a suo avviso la traslazione delle imposte di consumo non è stata sistematicamente configurata in diritto italiano come un «fatto notorio», così come il ricorso alla prova per presunzioni non consegue il risultato di «escludere sistematicamente ogni richiesta di rimborso».

    43 Configurato il dibattito in questi termini e dato che il tenore dell'art. 29 della legge n. 428, cui si riferisce il giudice nella terza questione, non parla affatto di presunzione legale di traslazione (23), temo che la soluzione della Corte di giustizia non possa in tal caso andare oltre la riaffermazione della sua precedente giurisprudenza in materia, compiutamente ricordata nella sentenza 14 gennaio 1997, Comateb (24).

    44 In effetti, a fronte della questione sollevata da un giudice nazionale sul punto «(...) se uno Stato membro possa opporsi alla ripetizione di un tributo indebitamente riscosso facendo valere che esso è stato riversato sull'acquirente, stante il fatto che siffatta traslazione è imposta dalla stessa legislazione di tale Stato», la soluzione della Corte, fondata sulle sentenze 27 febbraio 1980, Just (25), Denkavit italiana, già citata, San Giorgio, già citata, e 25 febbraio 1988, Bianco e Girard (26), è stata:

    - In primo luogo, che «il diritto di ottenere il rimborso di tributi riscossi da uno Stato membro in contrasto con le norme di diritto comunitario è la conseguenza ed il complemento dei diritti riconosciuti ai singoli dalle norme comunitarie che vietano (...) siffatti tributi. In linea di principio, quindi lo Stato membro ha l'obbligo di rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto comunitario».

    - In secondo luogo, e come eccezione a tale principio, che «la tutela dei diritti garantiti in tale materia dall'ordinamento giuridico comunitario non impone (...) il rimborso di dazi, imposte e tasse riscossi in contrasto col diritto comunitario qualora sia appurato che la persona tenuta al pagamento del tributo lo ha di fatto riversato su altri soggetti (v., in particolare, la citata sentenza San Giorgio, punto 13)».

    - Infine, che «spetta ai giudici nazionali valutare, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, se l'operatore ha riversato il tributo, in tutto o in parte, su altri soggetti (...)».

    45 Quanto agli aspetti processuali della questione, continuano ad essere valide le affermazioni della Corte di giustizia nella sentenza Bianco e Girard: «Va osservato in proposito che, anche se le imposte indirette sono concepite nella normativa nazionale per essere trasferite al consumatore finale e anche se, di solito, nel commercio, si verifica una traslazione parziale o totale di queste imposte indirette, non è possibile affermare in termini generali che in tutti i casi si abbia effettivamente una traslazione del tributo. L'effettiva traslazione parziale o totale dipende infatti da vari fattori che costituiscono il contorno di ogni operazione commerciale e che la differenziano da altri casi situati in contesti diversi. Di conseguenza, la questione della traslazione o meno, in ogni singolo caso, di un'imposta indiretta costituisce una questione di fatto che rientra nella competenza del giudice nazionale, che potrà formare liberamente il proprio convincimento. Non si può ammettere, però, che, per il caso delle imposte indirette, esista una presunzione secondo cui vi è stata traslazione e che spetti al contribuente fornire la prova negativa del contrario».

    46 Se è quindi inammissibile la presunzione generalizzata che si sia comunque verificata la traslazione del tributo, una simile conclusione non significa che il giudice nazionale, in una data ipotesi ed alla luce degli elementi di fatto e di diritto con i quali si è confrontato, non possa formarsi il convincimento in merito all'esistenza della rivalsa o traslazione reale ed effettiva dell'imposta, in termini giuridici, a partire dai mezzi di prova ammissibili secondo il proprio diritto processuale.

    47 La ponderazione dei detti elementi di giudizio è un potere sovrano del giudice, che è libero di utilizzare a tal fine tutti i mezzi di valutazione delle prove che sono consentiti nel proprio ordinamento processuale. Tra questi ultimi è dato trovare, senza dubbio, in determinati casi il prudente ricorso alle presunzioni: a partire da un fatto già provato ed a condizione che tra questo e ciò che si cerca di dimostrare sussista un nesso diretto e preciso, secondo i criteri del comune buon senso, il giudice può «presumere», ai fini processuali, l'esistenza della circostanza di fatto in parola.

    48 L'accettazione di tale genere di presunzioni, distinte da quelle stabilite dalla legge di natura generale sia come presunzioni iuris et de iure sia come presunzioni iuris tantum, è comune alla maggioranza degli ordinamenti giuridici e, in una certa maniera, inerente alla funzione giurisdizionale: la missione del giudice nel risolvere un caso concreto si basa sovente su presunzioni, esplicite o implicite, come mezzo per formare il suo convincimento sull'esistenza o inesistenza di una circostanza di fatto dedotta in giudizio.

    49 La giurisprudenza della Corte di giustizia non impedisce quindi al giudice di servirsi delle presunzioni come mezzo probatorio, nel senso già riportato, ma certo gli vieta di muovere, come premessa, dalla presunzione generale di traslazione dell'imposta indiretta contraria al diritto comunitario, persino se l'obbligo di traslare fosse imposto dalla normativa nazionale.

    50 La Corte di giustizia si è pronunciata sinora su presunzioni legali di traslazione e le ha dichiarate incompatibili con il diritto comunitario. Questa stessa conseguenza dovrebbe essere applicata ad una presunzione generale ed astratta di traslazione che, pur senza avere forza di legge, fosse stabilita per via giurisprudenziale stante il silenzio del legislatore. Ciò non osta, come vado sostenendo, a che in ciascun caso di specie i giudici competenti utilizzino la prova per presunzioni come mezzo probatorio supplementare per formare il proprio convincimento in merito alla traslazione effettiva del tributo.

    51 Si può forse dimostrare quanto precede con un esempio: il giudice nazionale non potrebbe senza alcuna giustificazione partire dal presupposto che una determinata impresa ha trasferito sui suoi clienti tutte le imposte indirette precedentemente corrisposte al fisco; ma, se fosse dimostrato al suo cospetto (mediante relazioni contabili, economiche o di altro tipo o mediante altri mezzi probatori) che la detta impresa, in determinati anni e in relazione a determinati prodotti, ha praticato nella generalità dei casi la rivalsa del tributo, il giudice potrebbe, pronunciandosi su un caso concreto verificatosi durante tale periodo, prendere le mosse dalla «presunzione» che anche in quella circostanza sia stata effettuata la traslazione del tributo.

    52 In definitiva, ritengo che la soluzione fornita dalla Corte dovrebbe ispirarsi alle sue precedenti statuizioni: spetta al giudice nazionale valutare, in ciascun caso, la traslazione o la mancata traslazione di un'imposta come una questione di fatto soggetta alla libera valutazione delle prove, per la cui soluzione sono ammissibili tutti i mezzi probatori utilizzabili nell'ambito del proprio diritto nazionale. Tuttavia il giudice nazionale non può ammettere che, nel caso di imposte indirette, esista una presunzione generale a favore del verificarsi della traslazione e che competa di conseguenza al soggetto passivo la prova del contrario.

    Sulla sesta questione pregiudiziale

    53 L'art. 29, n. 4, della legge n. 428 impone una nuova condizione di procedura alle domande di rimborso dei diritti e delle imposte di cui ai nn. 2 e 3 della disposizione medesima: quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito d'impresa, essa deve essere comunicata, a pena di inammissibilità, anche all'ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell'esercizio di competenza.

    54 Il motivo e l'obiettivo fiscale di tale condizione sono ovvi: se l'impresa ha computato in «uscita» l'importo del tributo indebitamente versato, al fine di dedurlo dalle sue entrate per un periodo di imposta e stabilire su tale base il proprio reddito imponibile, è logico che, quando venga esperita l'azione di rimborso di quel tributo, il fisco ne abbia conoscenza e possa agire di conseguenza.

    55 E' certo che il legislatore italiano avrebbe potuto ottenere il medesimo scopo con un altro tipo di provvedimenti meno rigorosi dal punto di vista processuale: in fin dei conti le domande di rimborso di tributi indebiti sono rivolte all'amministrazione, la quale ne verrà necessariamente a conoscenza attraverso l'avvocatura dello Stato o qualsiasi altro dei suoi agenti, per cui appare alquanto superfluo esigere dalle ricorrenti che per di più comunichino espressamente le loro istanze ad un altro ufficio amministrativo. Non spetta però alla Corte di giustizia discutere dell'utilità o opportunità di simili misure.

    56 Dal punto di vista comunitario nulla si oppone alla detta misura se, come afferma l'articolo surriferito, essa si applica indistintamente al rimborso di qualsiasi tributo o diritto di cui ai nn. 2 e 3, indipendentemente dal fatto che l'obbligo di rimborsare il tributo discenda dalla sua incompatibilità con il diritto comunitario o da qualsiasi altro motivo.

    57 Sarebbe invece incompatibile con il diritto comunitario l'estensione retroattiva di tale provvedimento sia alle domande di rimborso di tributi presentate all'amministrazione (27), sia alle domande proposte per lo stesso motivo al giudice nazionale contro quest'ultima, quando entrambe siano state presentate prima dell'entrata in vigore della legge. Siffatta estensione retroattiva renderebbe impraticabile l'esercizio dell'azione di ripetizione, nei termini già indicati dalla giurisprudenza comunitaria, in quanto richiederebbe di esigere, a posteriori, una condizione il cui adempimento, al momento della presentazione della domanda dinanzi al giudice o dell'istanza amministrativa, non costituiva un atto dovuto e risulta, in seguito, impossibile da realizzare.

    58 L'art. 29, n. 8, dispone che l'obbligo di comunicazione all'ufficio tributario «(...) si applica a partire dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente legge». Benché l'interpretazione di tale norma non sia stata pacifica nel corso della fase scritta del procedimento pregiudiziale - come emerge dal contrasto fra le tesi sostenute dal governo italiano nelle sue deduzioni e quelle che l'impresa ricorrente gli ha attribuito nelle proprie conclusioni - entrambe le parti hanno ammesso durante la fase orale che la Corte di Cassazione ha posto fine a tali divergenze di opinioni pronunciandosi per l'irretroattività della disposizione.

    59 In effetti, la sentenza della Corte di Cassazione 29 ottobre 1997, n. 10697, dichiara che l'obbligo di comunicare all'amministrazione tributaria le domande di restituzione di entrate tributarie indebitamente riscosse, per motivi derivanti dal diritto comunitario, si applica solo ai periodi di imposta successivi all'entrata in vigore della legge n. 428, e non a quelli precedenti. Per giungere a questa conclusione, essa si fonda sul fatto che l'interpretazione contraria violerebbe non solo la stessa giurisprudenza costituzionale italiana, ma anche la giurisprudenza della Corte di giustizia in merito al principio di effettività della tutela giurisdizionale.

    60 Escluso pertanto il rischio di applicazione retroattiva e non essendovi dubbi sull'osservanza del principio di equivalenza, l'obbligo oggetto di tale disposizione non solleva inconvenienti sotto il profilo del diritto comunitario.

    Conclusioni

    Propongo quindi alla Corte di risolvere le questioni sollevate dalla Pretura circondariale di Bolzano nel modo seguente:

    «1) Il diritto comunitario non osta a che gli ordinamenti nazionali impongano un termine di decadenza triennale per l'esercizio delle azioni nei confronti del Fisco miranti alla restituzione di tributi indebitamente versati, anche quando il detto termine sia diverso da quello fissato per le azioni di ripetizione dell'indebito tra privati, sempre che il medesimo termine si applichi indistintamente alle azioni di ripetizione fondate su motivi di diritto nazionale e a quelle che traggono origine dall'applicazione di norme comunitarie.

    2) Il diritto comunitario non osta a che una normativa nazionale, al fine di uniformare la disciplina giuridica applicabile a determinate categorie di tributi, riduca i termini di prescrizione dei diritti o di decadenza da azioni sino ad allora applicabili alla ripetizione di tributi riscossi in violazione del precetto di una direttiva, sempre che la detta normativa continui ad accordare un termine sufficiente (ad esempio, tre anni) dalla sua entrata in vigore per presentare i corrispondenti reclami.

    3) Spetta al giudice nazionale valutare, in ciascun caso, la traslazione o la mancata traslazione di un'imposta come una questione di fatto soggetta alla libera valutazione delle prove, per la cui soluzione sono ammissibili tutti i mezzi probatori utilizzabili nell'ambito del proprio diritto nazionale. Tuttavia il giudice nazionale non può ammettere che, nel caso di imposte indirette, esista una presunzione generale a favore del verificarsi della traslazione e che competa di conseguenza al soggetto passivo la prova del contrario.

    4) Niente osta a che la legge nazionale richieda che le domande di rimborso delle entrate tributarie indebitamente riscosse, in quanto incompatibili con il diritto comunitario, siano comunicate, a pena di inammissibilità, ai competenti uffici tributari. La detta inammissibilità non può avere carattere retroattivo, cioè non può applicarsi alle domande proposte prima dell'entrata in vigore della legge».

    (1) - Legge 29 dicembre 1990, n. 428, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (GURI, Supplemento ordinario al n. 10 del 12.1.1991).

    (2) - Il tenore letterale dell'art. 29, primo comma, è il seguente: «Il termine quinquennale di decadenza previsto dall'articolo 91 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973 n. 43, deve intendersi applicabile a tutte le domande e le azioni esperibili per il rimborso di quanto pagato in relazione ad operazioni doganali. A decorrere dal novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, il predetto termine ed il termine di prescrizione previsto dall'art. 84 dello stesso testo unico sono ridotti a tre anni». Il testo originario dell'art. 91 del testo unico dispone: «Il contribuente ha diritto al rimborso delle somme pagate in più del dovuto per errori di calcolo nella liquidazione o per l'applicazione di un diritto diverso da quello fissato in tariffa per la merce descritta nel risultato dell'accertamento, purché ne sia fatta domanda nel termine perentorio di cinque anni dalla data del pagamento e la domanda sia corredata della bolletta originale da cui risulta l'avvenuto pagamento».

    (3) - La legge n. 428, pubblicata nella Gazzetta ufficiale 12 gennaio 1991, è entrata in vigore il 27 gennaio dello stesso anno; conseguentemente, il termine di cinque anni è stato ridotto a tre a partire dal 21 aprile 1991.

    (4) - Causa 184/85 (Racc. pag. 2013).

    (5) - Causa 193/85 (Racc. pag. 2085).

    (6) - Nello stesso codice civile italiano gli artt. 2947 e ss., sotto le rubriche «Delle prescrizioni brevi» e «Delle prescrizioni presuntive», regolano le ipotesi nelle quali i termini sono inferiori a quello ordinario. Così, per esempio, in materia di risarcimento di danni da fatti illeciti (cinque anni), in materia di società (cinque anni), di contratti di trasporto e di assicurazione (un anno), di rapporti di lavoro (uno o tre anni, a seconda dei casi), ecc.

    (7) - Causa 61/79 (Racc. pag. 1205).

    (8) - Sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe (Racc. pag. 1989), e causa 45/76, Comet (Racc. pag. 2043).

    (9) - Causa C-261/95 (Racc. pag. I-4025).

    (10) - Causa 386/87 (Racc. pag. 3551, punti 15-18).

    (11) - Cause riunite C-114/95 e C-115/95 (Racc. pag. I-4263, punti 45-49).

    (12) - Causa C-90/94 (Racc. pag. I-4085, punti 46-53).

    (13) - La sentenza porta il numero 12024 (Massimario del Foro italiano 1992) e corrisponde al numero RGN 4373/91. A volte è citata con la data risultante dal testo (10 aprile 1992), mentre altre volte si cita con la data di deposito in cancelleria (6 novembre 1992).

    (14) - «Sulla questione concernente il termine prescrizionale, questa Corte si è più volte pronunciata affermando che - secondo la lettura della norma antecedente all'entrata in vigore dell'art. 29, n. 1, della legge 29 dicembre 1990, n. 428 - la disposizione di cui all'art. 91 T.U. legge doganale (sulla prescrizione quinquennale) si riferiva solo al caso di rimborso di quanto pagato in più del dovuto per errore di calcolo o di applicazione della tariffa, mentre quando si versava - come nella specie - in un'ipotesi di indebito (perché l'Amministrazione ha percepito somme non dovute) il termine prescrizionale era quello ordinario decennale (cfr. Cass. nn. 2217 del 1989 e 2464 del 1987)».

    (15) - «La censura, tuttavia, deve essere esaminata anche alla luce della sopravvenuta normativa di cui all'art. 29, n. 1, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, che, a proposito dell'art. 91 del T.U. leggi doganali, ha parlato di termine quinquennale di decadenza (non più di prescrizione) e l'ha dichiarato applicabile a tutte le domande e le azioni esperibili per il rimborso di quanto pagato in relazione ad operazioni doganali».

    (16) - «Nell'interpretare la norma, questa Corte ha però rilevato (cfr. Cass. n. 7248 del 1991) che essa è sicuramente e totalmente innovativa, in quanto ha trasformato un termine di prescrizione in uno di decadenza e perché proprio con essa è stata estesa l'applicazione dell'art. 91 anche a fattispecie (come quella dell'indebito comunitario) certamente non ricomprese nella precedente lettura di quella norma. Quindi, pur convenendo che il legislatore ha inteso conferire efficacia retroattiva a questa norma, com'è stato già affermato con argomentazioni sostanzialmente avallate anche dalla Corte Costituzionale (cfr. ord. n. 444 del 1991), essa deve essere comunque disapplicata quanto alle domande di ripetizione dell'indebito comunitario pendenti al tempo della sua entrata in vigore, perché ha reso di più difficile attuazione l'esercizio del diritto di rimborso (data l'inapplicabilità, ai termini di decadenza, delle cause d'interruzione), e può persino vanificarlo (data la rilevabilità d'ufficio della decadenza stessa)».

    (17) - Causa 240/87 (Racc. pag. 3513).

    (18) - Il medesimo principio era stato già affermato dalla sentenza 2 febbraio 1988, causa 309/85, Barra (Racc. pag. 355), quando dichiara incompatibile con il diritto comunitario una legge nazionale che limiti il rimborso di somme indebitamente pagate sulla base di una precedente pronuncia della Corte di giustizia (sentenza 13 febbraio 1985, causa 293/83, Gravier, Racc. pag. 593) unicamente a quanti avessero presentano il rispettivo reclamo prima di quest'ultima sentenza.

    (19) - Causa 112/84 (Racc. pag. 1367).

    (20) - Nel medesimo senso si è pronunciato all'udienza l'agente del governo italiano.

    (21) - Secondo l'art. 252 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e delle disposizioni transitorie (RD 30 marzo 1942, n. 318), quando l'esercizio di un diritto è subordinato al decorso di un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all'esercizio dei diritti sorti anteriormente, ma decorre dall'entrata in vigore della nuova disposizione. Analoghe disposizioni si rinvengono in numerosi codici civili o normative consimili.

    (22) - V. al riguardo le considerazioni della Corte di Cassazione riportate al paragrafo 23 delle presenti conclusioni.

    (23) - L'art. 29, n. 2, della legge n. 428 dispone che i diritti doganali sono rimborsati «a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti». E' palese l'assenza di qualsivoglia presunzione in aperto contrasto con la precedente normativa italiana, esaminata nella sentenza 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio (Racc. pag. 3595). Quest'ultima norma (art. 10 del decreto legislativo 10 luglio 1992, n. 430) stabiliva espressamente una presunzione legale di traslazione per il mero fatto che le merci soggette al gravame doganale o alle imposte di fabbricazione o di consumo fossero state oggetto di cessione, trasformazione, consegna, ecc. Nel 1990 il legislatore italiano, alla luce della sentenza San Giorgio, ha cancellato con la nuova legge tale presunzione legale.

    (24) - Cause riunite da C-192/95 a C-218/95 (Racc. pag. I-165).

    (25) - Causa 68/79 (Racc. pag. 501).

    (26) - Cause riunite 331/85, 376/85 e 378/85 (Racc. pag. 1099).

    (27) - Si è svolto un certo dibattito - di cui recano traccia le deduzioni della ricorrente - sul punto se l'interpretazione dei termini «domanda di rimborso» debba estendersi solo alle domande che avviano azioni in giudizio propriamente dette o anche alle domande di rimborso presentate in via amministrativa.

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