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Document 61996CC0097

Conclusioni dell'avvocato generale Cosmas del 3 luglio 1997.
Verband deutscher Daihatsu-Händler eV contro Daihatsu Deutschland GmbH.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberlandesgericht Düsseldorf - Germania.
Diritto delle società - Conti annuali - Sanzioni previste in caso di mancata pubblicazione - Art. 6 della prima direttiva 68/151/CEE.
Causa C-97/96.

Raccolta della Giurisprudenza 1997 I-06843

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1997:341

61996C0097

Conclusioni dell'avvocato generale Cosmas del 3 luglio 1997. - Verband deutscher Daihatsu-Händler eV contro Daihatsu Deutschland GmbH. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberlandesgericht Düsseldorf - Germania. - Diritto delle società - Conti annuali - Sanzioni previste in caso di mancata pubblicazione - Art. 6 della prima direttiva 68/151/CEE. - Causa C-97/96.

raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-06843


Conclusioni dell avvocato generale


I - Osservazioni preliminari

1 Nel caso di specie, la Corte è invitata a pronunciarsi su una questione pregiudiziale proposta dall'Oberlandesgericht di Düsseldorf ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE. Tale questione è relativa all'interpretazione dell'art. 6 della prima direttiva 9 marzo 1968 (1) (in prosieguo: la «prima direttiva») sul diritto delle società.

II - Sfondo giuridico

2 L'art. 6 della prima direttiva dispone:

«Gli Stati membri stabiliscono adeguate sanzioni per i casi di:

- mancata pubblicità del bilancio e del conto profitti e perdite, come prescritta dall'art. 2, paragrafo 1, lettera f) (2);

- mancanza, nei documenti commerciali, delle indicazioni obbligatorie di cui all'articolo 4».

3 L'art. 2, n. 1, lett. f), della prima direttiva recita:

«Gli Stati membri adottano le misure necessarie perché l'obbligo della pubblicità per le società concerna almeno gli atti e le indicazioni seguenti:

(...)

f) il bilancio ed il conto profitti e perdite di ogni esercizio. Il documento che contiene il bilancio deve indicare le generalità delle persone che ai sensi di legge sono tenute a certificare il bilancio. Tuttavia, per le società a responsabilità limitata di diritto tedesco (...) enumerate all'articolo 1 (...) l'applicazione obbligatoria di questa disposizione è rinviata sino alla data di attuazione di una direttiva concernente il coordinamento del contenuto dei bilanci e dei conti profitti e perdite (...). Il Consiglio adotterà tale direttiva nei due anni successivi all'adozione della presente direttiva».

III - I fatti

4 Con ricorso del 14 giugno 1991 il Verband deutscher Daihatsu-Händler eV (in prosieguo: il «Verband»), un'associazione che riunisce i concessionari tedeschi della marca Daihatsu, ha chiesto all'Amtsgericht - Registergericht (giudice incaricato della tenuta del registro commerciale) di comunicarle i bilanci della società Daihatsu Deutschland GmbH (in prosieguo: la «Daihatsu Deutschland») (3) per gli anni 1989 e 1990. L'autorità tedesca competente ha respinto tale domanda informando la richiedente che i bilanci richiesti non erano stati prodotti e che dal punto di vista giuridico non vi era alcun mezzo per obbligare la Daihatsu Deutschland a fornire tali dati, in particolare perché, da un lato, l'Amtsgericht non è competente ad adottare d'ufficio tali provvedimenti coercitivi e, dall'altro, la richiedente non è legittimata a chiedere tali provvedimenti.

5 Dopo aver proposto una prima volta ricorso contro tale decisione, con esito negativo, il Verband ha proposto dinanzi al giudice a quo un nuovo ricorso (weitere Beschwerde), attualmente pendente, per veder imporre al Registergericht competente di ingiungere alla Daihatsu Deutschland di depositare presso il registro commerciale tutti i conti di esercizio annuali che essa non gli aveva presentato, a partire dal 1989, ai sensi dell'art. 325, n. 1, dello Handelsgesetzbuch (codice commerciale tedesco; in prosieguo: lo «HGB»). Esso ha inoltre chiesto l'apertura, d'ufficio, della procedura di scioglimento della società di cui trattasi, ai sensi dell'art. 2, n. 1, seconda frase, del Löschungsgesetz (legge relativa alla cancellazione delle società dal registro di commercio).

6 Nella sua ordinanza di rinvio l'Oberlandesgericht di Düsseldorf rende noto che la normativa in vigore in Germania non consente di accogliere le domande del Verband. Infatti, da un lato, l'art. 2, n. 1, del Löschungsgesetz non può essere invocato per sciogliere la società Daihatsu Deutschland (4) e, dall'altro, lo HGB non riconosce all'associazione dei concessionari il diritto di chiedere alle autorità statali competenti di ingiungere alla società Daihatsu Deutschland di pubblicare i suoi bilanci. Più in particolare, l'art. 335 dello HGB commina un'ammenda fino a 10 000 DM per la mancata pubblicità del bilancio annuale di una società; tuttavia, tale ammenda non viene irrogata d'ufficio dal Registergericht, ma soltanto su domanda di un socio, di un creditore, della commissione interna centrale o della commissione interna della società. Di conseguenza, l'appellante non fa parte dei soggetti legittimati a presentare una siffatta domanda.

7 Su questo punto verte il problema sollevato dal giudice a quo, il quale fa riferimento a questioni d'interpretazione di norme di diritto comunitario per le quali chiede l'ausilio della Corte. L'Oberlandesgericht di Düsseldorf considera che il legislatore tedesco non ha soddisfatto l'obbligo di trasporre nell'ordinamento interno la prima direttiva sul diritto delle società, in quanto non ha stabilito, ai sensi dell'art. 6 della prima direttiva, adeguate sanzioni per obbligare le società a pubblicare i loro bilanci o i loro conti profitti e perdite. Tuttavia, il giudice a quo si chiede se l'art. 6 della prima direttiva sia direttamente applicabile nell'ordinamento interno, di modo che l'appellante possa invocarlo a sostegno delle sue domande di cui sopra.

IV - La questione pregiudiziale

8 Sulla base di tali elementi, l'Oberlandesgericht ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l'art. 6 della prima direttiva sul diritto delle società del 9 marzo 1968 costituisca una norma di effetto diretto, nel caso in cui, secondo il diritto tedesco, l'unica misura per obbligare una società a responsabilità limitata a pubblicare il bilancio annuale sia l'irrogazione di un'ammenda fino a 10 000 DM da parte del tribunale incaricato della tenuta del registro, che però può intervenire solo su richiesta di un socio, di un creditore oppure della commissione interna centrale o della commissione interna della società, e un'eventuale applicabilità diretta della direttiva abbia l'effetto di permettere a qualsiasi soggetto, oltre alla cerchia di persone legittimate ad agire in base al diritto tedesco, di chiedere l'irrogazione di un'ammenda, oppure di attribuire tale diritto, quantomeno, ad un'associazione di commercianti, che secondo il proprio statuto deve tutelare l'interesse dei propri aderenti i quali hanno rapporti commerciali con la società a responsabilità limitata che non ha osservato l'obbligo di pubblicazione».

V - La soluzione alla questione di cui sopra

9 Dal punto di vista del diritto comunitario, la questione giuridica che viene proposta dal giudice a quo presenta i due seguenti aspetti. In primo luogo, il giudice a quo intende sapere se la Repubblica federale di Germania abbia adottato nel suo ordinamento interno i provvedimenti adeguati per conformarsi a quanto ad essa imposto dall'art. 6 della prima direttiva sul diritto delle società (5). In secondo luogo, e solo in caso di soluzione negativa alla prima questione, la Corte di giustizia è invitata ad accertare se un singolo, come l'appellante nella causa pendente dinanzi all'Oberlandesgericht, possa invocare direttamente l'art. 6 della prima direttiva per chiedere all'autorità nazionale competente di irrogare sanzioni ad una società che non ha pubblicato il bilancio, qualora le norme nazionali non includano tale singolo nella cerchia delle persone che hanno un interesse giuridico a proporre tale domanda.

A - Quanto alla questione se la Repubblica federale di Germania abbia previsto «adeguate sanzioni» per la mancata pubblicità del conto profitti e perdite

10 a) La Repubblica federale di Germania sostiene che l'obbligo di stabilire adeguate sanzioni previsto dall'art. 6 della prima direttiva per la mancata pubblicità dei bilanci o dei conti profitti e perdite non è ancora divenuto effettivo per casi di mancata pubblicità come quello in esame. Essa fa valere in particolare il regime derogatorio per le società tedesche a responsabilità limitata istituito dall'art. 2, n. 1, lett. f), della direttiva, al quale fa altresì riferimento l'art. 6 di quest'ultima. Per quanto riguarda tali società, l'applicazione obbligatoria di questa pubblicità «(...) è rinviata sino alla data di attuazione di una direttiva concernente il coordinamento del contenuto dei bilanci e dei conti profitti e perdite (...). Il Consiglio adotterà tale direttiva nei due anni successivi all'adozione della presente direttiva». Secondo quanto afferma la Repubblica federale di Germania, finora una siffatta direttiva non è stata emanata.

11 Ritengo che tale approccio interpretativo sia giuridicamente errato. Il contesto normativo in materia è stato completato con l'entrata in vigore della quarta direttiva sul diritto delle società (6), di modo che anche gli obblighi degli Stati membri descritti agli artt. 2 e 6 della prima direttiva sono divenuti pienamente vincolanti. Contrariamente a quanto sostiene la Repubblica federale di Germania, la lacuna legislativa presente nell'art. 2 della prima direttiva è stata appunto colmata dalla quarta direttiva. Il preambolo di quest'ultima menziona talune disposizioni controverse della prima direttiva; in concreto in esso si afferma che la direttiva 78/660 mira al coordinamento delle disposizioni nazionali riguardanti la struttura, il contenuto e la pubblicità di conti annuali «per quanto attiene in particolare alla società per azioni ed alla società a responsabilità limitata», tenuto conto del fatto che «la necessità e l'urgenza di tale coordinamento sono state riconosciute e ribadite dall'articolo 2, paragrafo 1, lettera f) (7), della direttiva 68/151/CEE» (8). Peraltro, l'art. 47 della quarta direttiva dichiara che «i conti annuali regolarmente approvati e la relazione sulla gestione, nonché la relazione redatta dalla persona incaricata della revisione dei conti formano oggetto di una pubblicità effettuata nei modi prescritti dalla legislazione di ogni Stato membro conformemente all'articolo 3 della direttiva 68/151/CEE».

12 Da quanto sopra risulta che dalla quarta direttiva 78/660 dipendeva l'entrata in vigore dell'obbligo della pubblicità del bilancio e dei conti di profitti e perdite. Di conseguenza, poiché la quarta direttiva ha introdotto nell'ordinamento giuridico comunitario la normativa «(...) concernente il coordinamento del contenuto dei bilanci e dei conti profitti e perdite (...)» (9), l'art. 2, n. 1, lett f), della prima direttiva è divenuto pienamente vincolante, anche nei confronti delle società tedesche a responsabilità limitata. Di conseguenza, la Repubblica federale di Germania è ormai obbligata a comminare sanzioni adeguate in caso di inadempimento dell'obbligo di pubblicità del bilancio e dei conti profitti e perdite, quale previsto all'art. 6 della prima direttiva.

13 b) La Repubblica federale di Germania sostiene inoltre che essa ha adempiuto pienamente l'obbligo impostole dalla normativa comunitaria, in particolare dall'art. 6 della prima direttiva, istituendo il meccanismo sanzionatorio previsto dal citato art. 335 dello HGB, secondo il quale solo un numero limitato di soggetti ha un interesse legittimo a chiedere l'irrogazione di un'ammenda fino a 10 000 DM ad una società che non si sia conformata alle norme in materia di pubblicità. A sostegno di tale affermazione, la Repubblica federale di Germania fa valere che le norme comunitarie rilevanti non avrebbero la finalità di tutelare qualsiasi persona fisica o giuridica, estranea rispetto alla società di capitali, ma soltanto i suoi creditori, compresi i dipendenti della stessa. Essa ritiene, di conseguenza, che, giustamente, l'ammenda prevista dall'art. 335 dello HGB non sia irrogata d'ufficio, ma solo su domanda di una cerchia ristretta e limitata di soggetti interessati, della quale non possono far parte, a suo avviso, i terzi, persone fisiche o giuridiche, estranei rispetto alla società.

14 La suddetta affermazione è a mio avviso errata. Partendo dall'art. 54, n. 3, lett. g), del Trattato, in base al quale sono state adottate la prima e la quarta direttiva, va osservato che tale disposizione menziona la finalità di «proteggere gli interessi tanto dei soci come dei terzi» in generale, senza distinguere particolari categorie tra i terzi. Di conseguenza, i «terzi» includono per definizione categorie di soggetti legittimati diverse dai creditori, che sono già previsti dalla legislazione tedesca.

Parimenti, nel preambolo della prima direttiva si stabilisce che: «(...) la pubblicità deve consentire ai terzi di conoscere gli atti essenziali della società, certe indicazioni che la concernono (...)». Da tale formulazione consegue che l'obbligo di pubblicità di cui sopra mira ad informare le persone che non conoscono a sufficienza la situazione della società e la sua evoluzione interna, proprio perché possano valutare se sia il caso per loro di instaurare o mantenere un qualsiasi rapporto giuridico con tale società. In altre parole, le disposizioni sopraillustrate mirano a garantire il più possibile la trasparenza nell'azione delle società e per tale motivo esse prevedono la pubblicità erga omnes di una serie di dati, da cui ognuno può trarre conclusioni per quanto riguarda la situazione giuridica ed economica di tali società.

15 Di conseguenza, è contrario sia alla lettera sia allo spirito di tali disposizioni il fatto di limitare la cerchia delle persone che possono trarre vantaggio da tale trasparenza; il legislatore comunitario ha dichiarato, a mio avviso giustamente, che un'elencazione tassativa dei soggetti legittimati è a priori impossibile, proprio per la complessità dei rapporti contrattuali e commerciali che possono instaurarsi tra società ed altre persone fisiche o giuridiche. Peraltro, proprio per questo motivo ritengo che, secondo l'interpretazione a mio avviso più corretta dell'art. 6 della prima direttiva, la cerchia di coloro che hanno un interesse legittimo a chiedere l'irrogazione di sanzioni in caso di mancata pubblicità debba, secondo logica, identificarsi con la cerchia particolarmente ampia dei soggetti per i quali tanto l'art. 54, n. 3, lett. g), del Trattato quanto la prima direttiva mirano a garantire il diritto alla trasparenza.

16 Credo che i fatti della causa principale costituiscano un esempio particolarmente caratteristico, che dimostra la necessità di una definizione per quanto possibile ampia della cerchia di coloro che hanno un interesse legittimo ad agire per il rispetto dell'obbligo di pubblicità da parte delle società. E' logico e legittimo che i concessionari di una società si interessino al suo andamento economico, poiché essenzialmente hanno legato la loro situazione professionale a questa società. Peraltro, è chiaro, mi sembra, che tali soggetti rientrano nella categoria dei «terzi», di cui tanto l'art. 54, n. 3, lett. g), del Trattato quanto gli artt. 2 e 6 della prima direttiva mirano a garantire gli interessi.

17 Il diritto tedesco non garantisce il diritto di tali soggetti di essere informati dell'andamento economico della società di cui essi sono i concessionari, poiché essi non possono ricorrere ad alcuna procedura che permetta di costringere tale società a pubblicare i suoi conti annuali. Di conseguenza, ritengo che la Repubblica federale di Germania non si sia conformata agli obblighi stabiliti dai citati articoli della prima direttiva.

18 Potrei aggiungere a ciò qualche considerazione relativa alla natura e al funzionamento delle sanzioni nel diritto comunitario. Occorre anzitutto osservare che, anche se l'obbligo specifico - come previsto all'art. 6 - di istituire «sanzioni adeguate» contro le società che violano le norme di pubblicità dei loro conti annuali non fosse stato incluso nella prima direttiva, un obbligo equivalente deriverebbe indirettamente, per gli Stati membri, dall'art. 5 del Trattato, ma anche dalla natura vincolante delle norme comunitarie in generale. Più in particolare, la giurisprudenza riconosce che «l'art. 5 del Trattato impone agli Stati membri di irrogare agli autori di violazioni del diritto comunitario le stesse sanzioni vigenti per le violazioni al diritto nazionale» (10).

19 Peraltro, poiché l'art. 2 della direttiva impone agli Stati membri di adottare «le misure necessarie» affinché l'obbligo della pubblicità per le società riguardi altresì i conti annuali, tale prescrizione implica, a mio avviso, l'obbligo di istituire un meccanismo sanzionatorio. L'applicazione di una norma di diritto è direttamente connessa all'esistenza di un sistema coercitivo statale che intervenga, con la prevenzione o la repressione, per garantire il rispetto di tale norma. Il fatto che il legislatore comunitario non si sia limitato ad imporre agli Stati membri di adottare le misure necessarie, ma imponga altresì l'applicazione di adeguate sanzioni, dimostra anche l'importanza che esso attribuisce a tali sanzioni nell'ambito della questione particolare della pubblicità dei conti annuali.

20 La giurisprudenza peraltro ci fornisce i criteri in base ai quali occorre stabilire se una sanzione sia adeguata o meno. Illuminante è la sentenza Commissione/Grecia (11), al cui punto 24 si afferma:

«A tal fine, pur conservando la scelta delle sanzioni, essi devono segnatamente vegliare a che le violazioni del diritto comunitario siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in termini analoghi a quelli previsti per le violazioni del diritto interno simili per natura ed importanza e che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere di effettività, di proporzionalità e di capacità dissuasiva» (il corsivo è mio).

21 Come risulta dai fatti della causa principale, la sanzione dell'art. 335 dello HGB si è rivelata tutt'altro che efficace, in quanto non ha impedito alla società Daihatsu Deutschland di mantenere segreti i suoi conti annuali e non è riuscita a garantire la tutela del citato diritto alla trasparenza, che il diritto comunitario riconosce a beneficio del Verband. Questa sola osservazione è sufficiente, credo, a dimostrare che la disposizione tedesca di cui sopra non ha introdotto una sanzione conforme alle prescrizioni dell'art. 6 della prima direttiva.

22 c) Data la necessità di fornire al giudice a quo una soluzione alla questione pregiudiziale che sia utile ai fini della decisione della causa principale (12), credo sia importante sottolineare altresì i seguenti punti: poiché, come si è visto in precedenza, l'art. 335 dello HGB non costituisce un provvedimento nazionale che ha trasposto correttamente nell'ordinamento giuridico tedesco le prescrizioni della prima direttiva, il giudice nazionale è chiamato ad esaminare se vi siano nell'ordinamento interno altre disposizioni, sostanziali o procedurali, la cui interpretazione alla luce del diritto comunitario permetta di conseguire gli obiettivi perseguiti da tale direttiva. Tale obbligo del giudice nazionale, che deriva dalla preminenza del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale, è stato costantemente riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte (13). Per quanto riguarda la presente controversia, è quindi necessario esaminare se altre disposizioni nazionali possano essere interpretate e applicate così da configurare le «misure necessarie» o le «adeguate sanzioni» richieste rispettivamente dagli artt. 2 e 6 della prima direttiva. Un criterio utile per valutare entro quali limiti dette disposizioni possano essere considerate tali da costituire misure d'attuazione corrette della prima direttiva rimane la loro efficacia, vale a dire se la loro applicazione sia in grado di costringere nella fattispecie la società Daihatsu Deutschland a pubblicare il suo bilancio e permetta di tutelare l'interesse del Verband che tenta di ottenere l'esecuzione di tale misura coercitiva.

23 In caso contrario, verrebbe in rilievo la seconda parte della mia soluzione: quella che si riferisce alla questione se l'art. 6 della prima direttiva riconosca direttamente a singoli, diversi da quelli previsti dall'art. 335 dello HGB, un diritto di esigere l'irrogazione di sanzioni a società che non hanno reso pubblici i loro conti annuali o comunque di costringere tali società ad effettuare tale pubblicazione.

B - Sul punto se l'art. 6 della direttiva 68/151/CEE conferisca il diritto di esigere l'irrogazione di sanzioni anche a persone non previste dalla rispettiva normativa nazionale

24 Secondo una giurisprudenza costante (14), per avere effetto diretto nell'ordinamento giuridico degli Stati membri che ne sono i destinatari, le disposizioni di una direttiva devono essere incondizionate e sufficientemente precise quanto al loro contenuto. Il governo tedesco e il governo francese - quest'ultimo presentatosi solo all'udienza, senza aver depositato osservazioni scritte - sostengono che le disposizioni controverse della direttiva non presentano le caratteristiche di cui trattasi; di conseguenza, esse non conferirebbero direttamente a persone non menzionate nella normativa tedesca in vigore il diritto di esigere l'irrogazione di una sanzione a società che non si siano conformate all'obbligo di rendere pubblici i loro conti annuali. Tali due governi ritengono che l'art. 6 della prima direttiva esiga dagli Stati membri solo l'istituzione di «adeguate sanzioni», lasciando loro un'ampia discrezionalità riguardo alla natura, alla gravità e alla portata di tali sanzioni. Di conseguenza, poiché il legislatore nazionale avrebbe previsto una sanzione pecuniaria per un importo determinato, la cui irrogazione può essere chiesta da un numero limitato di soggetti, non possono essere fatte valere le disposizioni dell'art. 6 della prima direttiva per ampliare la cerchia di tali persone. La sanzione pecuniaria prevista all'art. 335 dello HGB sarebbe stata messa a disposizione soltanto di alcuni soggetti legittimati a richiedere l'applicazione, senza che ciò significhi che il legislatore tedesco considerasse la detta sanzione come la più adeguata per i casi in cui il rispetto dell'obbligo di pubblicità stabilito per le società di capitali interessi altre persone. Così l'ampliamento della cerchia dei soggetti legittimati per il tramite dell'art. 6 della prima direttiva equivarrebbe, secondo i governi tedesco e francese, a sostituire la valutazione della Corte a quella del legislatore nazionale quanto al carattere «adeguato» di una sanzione, il che non sarebbe conforme né alla natura né alla finalità della disposizione controversa né, più in generale, a quelle delle direttive comunitarie.

25 Il governo spagnolo, nelle sue osservazioni scritte, chiarite anche oralmente dinanzi alla Corte, ha sostenuto il punto di vista esattamente opposto. Esso sostiene al riguardo che il carattere incondizionato delle disposizioni dell'art. 6 della prima direttiva risulta dal fatto che, per la realizzazione dell'obbligo contenuto in tali disposizioni, non sia nemmeno necessario adottare altre misure di attuazione. Inoltre, la formulazione prescelta dal legislatore comunitario, secondo lo stesso governo, è sufficientemente chiara. Il governo spagnolo rammenta inoltre che, secondo una giurisprudenza costante, la libertà di scelta riconosciuta al legislatore nazionale per determinare le misure necessarie per conseguire la finalità ultima di una disposizione di una direttiva non fa venir meno il carattere diretto e incondizionato di quest'ultima (15). In altre parole, secondo il governo spagnolo, a prescindere dal fatto che le sanzioni di volta in volta previste siano effettivamente «adeguate» per conseguire le finalità della prima direttiva, l'obbligo degli Stati membri di istituire sanzioni per la mancata pubblicazione dei conti annuali delle società rimane comunque chiaro ed incondizionato e, di conseguenza, produce un effetto diretto nell'ordinamento giuridico tedesco.

26 Personalmente propendo per l'orientamento espresso dal governo tedesco. Più precisamente, mi sembra che riconoscere un effetto diretto alla disposizione controversa equivarrebbe a limitare in modo eccessivo, o addirittura a sopprimere, il potere discrezionale della Repubblica federale di Germania di scegliere le sanzioni da applicare alle società di capitali che contravvengono all'obbligo di pubblicità.

27 Ma, anche ammettendo che la disposizione controversa della prima direttiva sia chiara ed incondizionata, in ogni caso il riconoscimento, dedotto direttamente dalla disposizione comunitaria, di un diritto generale per qualsiasi terzo di chiedere l'irrogazione di sanzioni contro società che non si sono conformate all'obbligo di pubblicità dei conti annuali, a mio avviso, contrasta altresì con un'altra giurisprudenza costante della Corte (16): quella che nega l'effetto diretto orizzonatale delle direttive ed esclude che queste ultime possano essere invocate nei confronti di un singolo (17). Tale tesi viene sostenuta dai governi tedesco e francese, ma non è condivisa da quello spagnolo; quest'ultimo ritiene che la questione dell'effetto orizzontale non si ponga nella fattispecie. Esso osserva in particolare che, contrariamente a quanto viene espressamente affermato nell'ordinanza di rinvio dell'Oberlandesgericht di Düsseldorf, la causa principale non ha un carattere meramente privatistico. Secondo gli argomenti svolti dal governo spagnolo, la controversia in esame vede contrapposte, da una parte, l'associazione di concessionari ricorrente e, dall'altra, un'autorità dello Stato tedesco, di modo che anche il rapporto giuridico di cui trattasi rientra nell'ambito del diritto pubblico. Tale governo osserva inoltre che il rimedio giurisdizionale pertinente è stato esperito contro il Registergericht: esso non si rivolge quindi contro un altro singolo, nella fattispecie la Daihatsu Deutschland, e la relativa domanda non è diretta ad imporre l'obbligo di pubblicità, ma a veder ingiungere all'autorità tedesca competente di adottare misure adeguate contro la società che non ha pubblicato i propri conti. In corrispondenza, l'art. 6 della prima direttiva non impone direttamente un obbligo di pubblicità a determinate categorie di società. Parallelamente, nelle sue osservazioni, il governo spagnolo rileva che può aversi effetto diretto orizzontale solo nei casi in cui una direttiva imponga direttamente ai singoli un comportamento determinato nell'ambito di una controversia tra due singoli (18). Per contro, nei casi di rapporto giuridico «triangolare» - come quello in esame dinanzi al giudice a quo -, vale a dire quando un singolo ricorre ad un'autorità pubblica a seguito del comportamento di un altro singolo, il governo spagnolo ritiene che la controversia perda il suo carattere bilaterale o privato e che debba essere escluso qualsiasi effetto orizzontale.

28 Non credo che tale tesi possa essere accolta. A mio avviso, è importante ricordare la ragione per la quale la Corte continua a non riconoscere effetto orizzontale alle direttive. Ai punti 16 e 17 della citata (19) sentenza El Corte Inglés, si dichiara quanto segue:

«Per quanto concerne la giurisprudenza relativa alla facoltà di far richiamo alle direttive avverso enti statali, essa si fonda sulla natura cogente delle direttive, che esiste solo nei confronti degli Stati membri cui sono rivolte, e mira ad evitare che uno Stato possa trarre vantaggio dalla sua trasgressione del diritto comunitario (...). Estendere detta giurisprudenza all'ambito dei rapporti tra singoli significherebbe riconoscere in capo alla Comunità il potere di emanare norme che facciano sorgere con effetto immediato obblighi a carico di questi ultimi, mentre tale competenza le spetta unicamente nei casi in cui essa ha il potere di adottare regolamenti o decisioni (...)».

29 Se venisse alla fine accolta la tesi del governo spagnolo, allora la prima direttiva finirebbe per imporre essa stessa obblighi alle società di capitali, indipendentemente dal contenuto della normativa nazionale. Una evoluzione in tal senso sarebbe contraria ai principi generalmente riconosciuti dalla giurisprudenza (20), ma altresì all'equilibrio istituzionale attuale del diritto comunitario (21). Una direttiva non può in nessun caso imporre direttamente un comportamento a carico di un singolo, senza l'intermediazione di una normativa nazionale in tal senso (22).

30 D'altro canto non bisogna lasciarsi fuorviare dal fatto che la parte che richiede l'irrogazione di una sanzione non si è rivolta direttamente contro la società che non aveva pubblicato i suoi conti, ma si è rivolta all'autorità pubblica competente chiedendole di irrogare sanzioni nei confronti della detta società. La principale preoccupazione della ricorrente è quella di mettere in moto la macchina dello Stato per costringere la società Daihatsu Deutschland a pubblicare i suoi conti annuali. Il fatto che, per conseguire l'adempimento dell'obbligo di tale società, la ricorrente debba passare attraverso l'apparato sanzionatorio dello Stato è direttamente connesso al principio generale, in vigore in ogni ordinamento giuridico moderno, secondo il quale un singolo non ha il diritto di far valere le proprie ragioni da solo poiché la competenza esclusiva ad esercitare mezzi coercitivi spetta ai poteri pubblici. Di conseguenza, l'intervento delle autorità statali - che sono anche le sole a poter disporre dello strumento della sanzione - non fa venir meno la controversia tra il Verband e la Daihatsu Deutschland e non la trasforma nemmeno in «triangolare» come sostenuto dal governo spagnolo.

31 Peraltro, il principale obiettivo della prima direttiva è, come sopra esposto, quello di garantire la pubblicità di determinati dati relativi alle società di capitali. Se la direttiva in questione riconoscesse in definitiva un qualche diritto ai singoli che la fanno valere, quest'ultimo sarebbe diretto ad ottenere tale pubblicità e non l'irrogazione di sanzioni alle persone che trasgrediscono tale obbligo (23). La sanzione non può costituire un fine in sé per una norma giuridica; lungi dall'avere carattere autonomo, essa è connessa ad un obbligo di comportamento, di cui essa è diretta a garantire il rispetto.

32 Di conseguenza, in quanto l'obbligo di comportamento (pubblicazione dei conti annuali) imposto dalla prima direttiva si riferisce a singoli e non può pertanto produrre effetti diretti nell'ordinamento giuridico interno, anche la disposizione della stessa direttiva che si riferisce alle sanzioni che debbono accompagnare la violazione di tale obbligo automaticamente non ha, per definizione, effetto diretto, poiché la tesi contraria equivarrebbe ad imporre un obbligo determinato direttamente nei confronti dei singoli e senza passare per l'intermediazione di una norma nazionale.

33 Infine, nel corso dell'udienza, il governo spagnolo ha fatto riferimento alle conclusioni dell'avvocato generale Mischo, presentate il 28 novembre 1989 nella causa Busseni (24), ed in particolare al punto che si riferisce alla causa Fratelli Costanzo (25), per concludere che occorre distinguere il caso in cui l'applicazione di una direttiva abbia conseguenze sfavorevoli per i singoli da quello dell'effetto orizzontale della direttiva. In altri termini, il fatto che il soddisfacimento del diritto conferito ad un singolo tramite l'effetto diretto verticale della direttiva abbia altresì conseguenze sfavorevoli per altri singoli non significa che la direttiva sarebbe stata applicata direttamente a tali singoli. Trasponendo tale ragionamento alla presente causa, il governo spagnolo ritiene che, qualora sia in definitiva riconosciuto un diritto del Verband nei confronti dell'autorità tedesca competente di ottenere che quest'ultima adotti le misure necessarie a costringere la società Daihatsu Deutschland a pubblicare i suoi conti annuali, tale coercizione costituirà semplicemente una «conseguenza sfavorevole indiretta» dell'effetto diretto verticale della direttiva e non un'applicazione diretta della direttiva a carico di tale società.

34 Credo che il parallelo tra la causa Fratelli Costanzo e la causa in esame non sia fondato. Nella prima causa, si trattava di una procedura per l'aggiudicazione di un contratto di lavori pubblici nel quale il provvedimento nazionale applicabile era contrario alle disposizioni previste in materia da una direttiva comunitaria. La Corte ha dichiarato che, nella misura in cui l'autorità incaricata di aggiudicare l'appalto non aveva rispettato la norma comunitaria, un singolo poteva far valere quest'ultima dinanzi ad un giudice nazionale per far annullare l'aggiudicazione dell'appalto. Osservo, di conseguenza, che in tale causa il singolo aveva agito esclusivamente contro un'autorità pubblica nell'ambito di una controversia meramente pubblicistica, allo scopo di ottenere l'aggiudicazione di un appalto pubblico. Tale diritto invocato non era necessariamente collegato con un nesso diretto ad un obbligo di un altro singolo, anche se il soddisfacimento del diritto, vale a dire l'aggiudicazione dell'appalto, avrebbe in qualche modo pregiudicato il concorrente al quale i lavori di cui trattavasi erano stati aggiudicati a seguito della mancata applicazione della procedura prevista dalla direttiva. Tale conseguenza sfavorevole per uno o più concorrenti è indiretta ed è un riflesso del soddisfacimento di un diritto riconosciuto dalla direttiva ad un singolo; essa non costituisce un obbligo diretto a carico dei terzi concorrenti e, in ultima analisi, può essere ricollegata direttamente non alla direttiva, ma agli effetti del comportamento illegittimo delle autorità nazionali. Peraltro, siffatte ripercussioni sui terzi del soddisfacimento di un diritto soggettivo conferito da una norma di diritto pubblico - come, per esempio, un diritto sorto dall'effetto diretto verticale delle direttive - sono un fenomeno corrente, direttamente connesso alla complessità e all'interdipendenza dei rapporti giuridici, vale a dire specifico del fenomeno giuridico. La questione dell'effetto diretto orizzontale si pone allorché tali conseguenze non sono semplicemente una ripercussione indiretta, ma consistono in obblighi direttamente imposti a singoli, che devono essere esclusivamente attribuiti all'applicazione della direttiva. Questo è il caso, a mio avviso, della controversia in esame. Qualunque sia il diritto eventualmente riconosciuto al Verband, esso dovrebbe necessariamente corrispondere ed esaurirsi in un obbligo correlativo imposto ad un singolo - vale a dire, nella fattispecie, la Daihatsu Deutschland - di pubblicare i suoi conti annuali; tale obbligo dovrebbe essere ricondotto direttamente alla direttiva e non al comportamento adottato dalle autorità nazionali tedesche per conformarsi ad una pretesa di natura pubblicistica dell'associazione di concessionari.

VI - Conclusioni

35 Alla luce di quanto sopra esposto, suggerisco alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale nei seguenti termini:

«Non costituisce una sanzione adeguata in caso di mancata pubblicità dei conti di una società di capitali ai sensi dell'art. 6 della prima direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, 68/151/CEE, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'articolo 58, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi, un'ammenda la cui irrogazione possa essere richiesta solo da un socio, da un creditore, dalla commissione interna centrale o dalla commissione interna della società; tuttavia, in mancanza di qualsiasi altra disposizione nazionale che, interpretata alla luce del diritto comunitario, costituisca uno strumento di corretta attuazione della citata direttiva, l'art. 6 della direttiva non può essere fatto valere per riconoscere a persone diverse da quelle esplicitamente menzionate dalla specifica disposizione del diritto nazionale il diritto di agire per ottenere l'irrogazione dell'ammenda prevista dal diritto interno».

(1) - Direttiva del Consiglio 68/151/CEE, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'articolo 58, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (GU L 65, pag. 8).

(2) - Il testo greco della direttiva menziona per errore una lettera non corrispondente.

(3) - Si tratta della società che importa gli autoveicoli Daihatsu in Germania.

(4) - Nella nuova versione, in vigore dal 19 ottobre 1994, tale articolo così recita: «una società per azioni, una società in accomandita per azioni o una società a responsabilità limitata che non siano prive di patrimonio possono essere radiate su domanda dei rappresentanti ufficiali della categoria commerciale o su domanda dell'amministrazione tributaria o d'ufficio. La radiazione della società equivale allo scioglimento. Non è prevista alcuna liquidazione. Tutti i rappresentanti ufficiali della categoria devono essere ascoltati prima della cancellazione». Tuttavia, come osserva il giudice a quo, la dottrina dominante in Germania sostiene che l'esistenza di un patrimonio anche minimo è sufficiente ad impedire la radiazione d'ufficio della società.

(5) - Per tale questione, v. altresì le mie conclusioni presentate il 5 giugno 1997 nella causa C-191/95, Commissione/Germania.

(6) - Direttiva del Consiglio 25 luglio 1978, 78/660/CEE, basata sull'articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa ai conti annuali di taluni tipi di società (GU L 222, pag. 11).

(7) - In questa nota si fa riferimento ad un errore nel testo greco della direttiva.

(8) - V. supra, nota 1.

(9) - Art. 2, n. 1, lett. f), della prima direttiva.

(10) - V., ad esempio, sentenza 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione/Grecia (Racc. pag. 2965, punto 22).

(11) - Citata alla nota 10.

(12) - V. sentenze 10 luglio 1980, cause riunite 253/78, 1/79, 2/79 e 3/79, Guerlain e a. (Racc. pag. 2327), 21 marzo 1985, causa 172/84, Celestri (Racc. pag. 963), 24 ottobre 1985, causa 239/84, Gerlach (Racc. pag. 3507), 20 marzo 1986, causa 35/85, Tissier (Racc. pag. 1207), 12 settembre 1996, cause riunite C-58/95, C-75/95, C-112/95, C-119/95, C-123/95, C-135/95, C-140/95, C-141/95, C-154/95 e C-157/95, Gallotti e a. (Racc. pag. I-4345), e 18 marzo 1993, causa C-280/91, Viessmann (Racc. pag. I-971, punto 17).

(13) - Nella sentenza 16 dicembre 1993, causa C-334/92, Wagner Miret (Racc. pag. I-6911, punto 20), la Corte ha rilevato che «nell'applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva (...)». V. altresì sentenze 7 dicembre 1995, causa C-472/93, Spano e a. (Racc. pag. I-4321), e 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing (Racc. pag. I-4135).

(14) - V. sentenze 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker (Racc. pag. 53), 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall (Racc. pag. 723), 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori (Racc. pag. I-3325), e 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I-5357; in prosieguo: la «sentenza Francovich I»).

(15) - Il governo spagnolo fa valere le citate sentenze Francovich I e Faccini Dori. V. supra, nota 14.

(16) - V. sentenze Marshall, punto 48, e Faccini Dori, punto 20 (citate alla nota 14), nonché Marleasing, punto 6 (citata alla nota 13); v. altresì sentenze 12 maggio 1987, cause riunite 372/85, 373/85 e 374/85, Traen e a. (Racc. pag. 2141, punto 24), 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò/X (Racc. pag. 2545, punto 19), 22 febbraio 1990, causa C-221/88, Busseni (Racc. pag. I-495, punto 23), 7 marzo 1996, causa C-192/94, El Corte Inglés (Racc. pag. I-1281, punto 16), e 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro (Racc. pag. I-4705).

(17) - Tale questione è stata sollevata tanto dal governo tedesco quanto dalla Commissione.

(18) - Questo è almeno l'approccio sostenuto dal governo spagnolo nella sua interpretazione delle citate sentenze Marleasing e Marshall (rispettivamente note 13 e 14).

(19) - V. supra, nota 16.

(20) - V. supra, nota 16.

(21) - Quale fissato nell'art. 189 del Trattato CE, che prevede le forme giuridiche che può prendere l'azione delle istituzioni comunitarie.

(22) - A fortiori, essa non può costituire direttamente il fondamento dell'imposizione di sanzioni a singoli. La Corte ha dichiarato che una direttiva non può di per sé, e indipendentemente dalla legislazione interna, avere come effetto quello di stabilire o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni (sentenze Pretore di Salò/X e Arcaro, citate alla nota 16).

(23) - Un siffatto diritto potrebbe essere dedotto dall'art. 2 della prima direttiva. Ma, anche su questa base giuridica, tale disposizione non potrebbe essere direttamente invocata, poiché ciò equivarrebbe a riconoscere all'art. 2 della prima direttiva un effetto orizzontale nell'ordinamento giuridico interno. La sola soluzione sarebbe, come sopra indicato (v. paragrafo 22), che ci siano nel diritto tedesco disposizioni le quali, interpretate alla luce degli artt. 2 e 6 della prima direttiva, offrono al giudice tedesco o all'autorità pubblica tedesca competente strumenti coercitivi nei confronti delle società di capitali perché pubblichino i loro conti annuali. In tal caso, le autorità nazionali dovrebbero utilizzare le possibilità offerte loro dall'ordinamento interno per garantire la realizzazione degli obiettivi della direttiva.

(24) - Citata alla nota 16.

(25) - Sentenza 22 giugno 1989, causa 103/88, (Racc. pag. 1839).

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