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Document 61994CJ0118

    Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 7 marzo 1996.
    Associazione Italiana per il World Wildlife Fund, Ente Nazionale per la Protezione Animali, Lega per l'Ambiente - Comitato Regionale, Lega Anti Vivisezione - Delegazione Regionale, Lega per l'Abolizione della Caccia, Federnatura Veneto e Italia Nostra - Sezione di Venezia contro Regione Veneto.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale amministrativo regionale per il Veneto - Italia.
    Direttiva del Consiglio 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici - Divieto di cacciare determinate specie - Condizioni di esercizio del potere di deroga da parte degli Stati membri.
    Causa C-118/94.

    Raccolta della Giurisprudenza 1996 I-01223

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1996:86

    61994J0118

    Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 7 marzo 1996. - Associazione Italiana per il World Wildlife Fund, Ente Nazionale per la Protezione Animali, Lega per l'Ambiente - Comitato Regionale, Lega Anti Vivisezione - Delegazione Regionale, Lega per l'Abolizione della Caccia, Federnatura Veneto e Italia Nostra - Sezione di Venezia contro Regione Veneto. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale amministrativo regionale per il Veneto - Italia. - Direttiva del Consiglio 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici - Divieto di cacciare determinate specie - Condizioni di esercizio del potere di deroga da parte degli Stati membri. - Causa C-118/94.

    raccolta della giurisprudenza 1996 pagina I-01223


    Massima
    Parti
    Motivazione della sentenza
    Decisione relativa alle spese
    Dispositivo

    Parole chiave


    ++++

    1. Questioni pregiudiziali ° Competenza della Corte ° Limiti ° Controversia fittizia o domanda di interpretazione di norme di diritto comunitario inapplicabili nella causa principale

    (Trattato CE, art. 177)

    2. Ambiente ° Conservazione degli uccelli selvatici ° Direttiva 79/409 ° Esecuzione da parte degli Stati membri ° Presupposti per la concessione di deroghe ai divieti enunciati dalla direttiva

    (Direttiva del Consiglio 79/409/CEE, artt. 5, 7 e 9)

    Massima


    1. Nell' ambito della ripartizione delle funzioni giurisdizionali tra i giudici nazionali e la Corte, prevista dall' art. 177 del Trattato, se le questioni sollevate dai giudici nazionali vertono sull' interpretazione di una norma di diritto comunitario, la Corte è tenuta a pronunciarsi, senza dover in linea di principio accertare le circostanze in cui i giudici nazionali siano stati indotti a sottoporle le questioni e intendano applicare la norma di diritto comunitario che le hanno chiesto di interpretare.

    Diversa sarebbe l' ipotesi in cui apparisse che il procedimento ex art. 177 è stato sviato dalla sua finalità ed utilizzato in realtà per indurre la Corte a pronunciarsi in assenza di una vera controversia, oppure sia manifesto che la disposizione di diritto comunitario sottoposta all' interpretazione della Corte non può essere applicata.

    2. L' art. 9 della direttiva 79/409, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, che prevede, al n. 1, la possibilità per gli Stati membri di derogare, a condizione che non esista un' altra soluzione soddisfacente e per motivi tassativamente elencati, al divieto generale di caccia di specie protette risultante dagli artt. 5 e 7 della direttiva e che enuncia, al n. 2, i precisi requisiti di forma cui devono rispondere siffatte deroghe, dev' essere interpretato nel senso che autorizza gli Stati membri ad accordare queste ultime soltanto mediante misure che comportino un riferimento, adeguatamente circostanziato, agli elementi di cui ai nn. 1 e 2.

    Ci si trova infatti in un settore in cui la gestione del patrimonio comune è affidata, per il rispettivo territorio, agli Stati membri ed in cui, pertanto, l' esattezza dell' attuazione delle direttive ha particolare importanza.

    Parti


    Nel procedimento C-118/94,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell' art. 177 del Trattato CEE, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, nella causa dinanzi ad esso pendente tra

    Associazione Italiana per il World Wildlife Fund,

    Ente Nazionale per la Protezione Animali,

    Lega per l' Ambiente ° Comitato regionale,

    Lega Anti Vivisezione ° Delegazione regionale,

    Lega per l' Abolizione della Caccia,

    Federnatura Veneto,

    Italia Nostra ° Sezione di Venezia

    e

    Regione Veneto,

    domanda vertente sull' interpretazione dell' art. 9 della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 103, pag. 1),

    LA CORTE (Quinta Sezione),

    composta dai signori D.A.O. Edward, presidente di sezione, J.-P. Puissochet, J.C. Moitinho de Almeida, C. Gulmann (relatore) e P. Jann, giudici,

    avvocato generale: N. Fennelly

    cancelliere: signora L. Hewlett, amministratore

    viste le osservazioni scritte presentate:

    ° per l' Associazione Italiana per il World Wildlife Fund, dall' avv. A. Pavanini, del foro di Venezia;

    ° per la Federazione Italiana della Caccia, interveniente nella causa principale, dagli avv.ti I. Gorlani, del foro di Brescia, e M. Thewes, del foro di Lussemburgo;

    ° per la Commissione delle Comunità europee, dai signori L. Gussetti e M. van der Woude, membri del servizio giuridico, in qualità di agenti,

    vista la relazione d' udienza,

    sentite le osservazioni orali dell' Associazione Italiana per il World Wildlife Fund, con l' avv. A. Pavanini, della Federazione Italiana della Caccia, con gli avv.ti I. Gorlani, M. Thewes e C. Lagier, del foro di Lione, e della Commissione, rappresentata dai signori L. Gussetti e M. van der Woude, all' udienza del 14 settembre 1995,

    sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 26 ottobre 1995,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    Motivazione della sentenza


    1 Con ordinanza 27 maggio 1993, pervenuta alla Corte il 21 aprile 1994, il tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha proposto, ai sensi dell' art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa all' interpretazione dell' art. 9 della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 103, pag. 1; in prosieguo: la "direttiva").

    2 Tale questione è stata sollevata in occasione di un ricorso presentato dall' Associazione Italiana per il World Wildlife Fund nonché da altre associazioni per la protezione della natura (in prosieguo: le "ricorrenti") avverso la Regione Veneto, sostenuta dalla Federazione Italiana della Caccia (in prosieguo: la "Federcaccia"), e mirante all' annullamento della decisione della Regione Veneto 21 luglio 1992 che approva il calendario venatorio per la stagione 1992/1993, per violazione, in particolare, dei principi contenuti nella direttiva.

    3 L' art. 5, lett. a), della direttiva vieta in maniera generale di uccidere o di catturare tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri a cui si applica il Trattato (in prosieguo: le "specie protette").

    4 Tale direttiva prevede tuttavia all' art. 7, n. 1, che le specie elencate nell' allegato II possono essere oggetto di atti di caccia nel quadro della legislazione nazionale.

    5 Peraltro gli Stati membri possono derogare a siffatto regime limitativo della caccia, nonché agli altri limiti e divieti di cui agli artt. 5, 6 e 8 della direttiva, per le ragioni elencate all' art. 9, n. 1, lett. a), b) e c), di quest' ultima, cioè, in primo luogo, nell' interesse della salute, della sicurezza pubblica e della sicurezza aerea, per prevenire gravi danni alle colture, per la protezione della flora e della fauna; in secondo luogo, ai fini della ricerca e dell' insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l' allevamento connesso a tali operazioni; in terzo luogo, per consentire, in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo, la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità e, nelle tre ipotesi, sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti.

    6 Secondo il n. 2 del medesimo articolo, le deroghe dovranno menzionare le specie che formano oggetto delle medesime, i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzati, le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono esser fatte, l' autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti, da quali persone, e, infine, i controlli che saranno effettuati.

    7 Ai sensi dell' art. 1, terzo comma, della legge italiana 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio (GURI n. 46 del 25 febbraio 1992, Supplemento, pag. 3; in prosieguo: la "legge n. 157"), le regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformità alla presente legge, alle convenzioni internazionali ed alle direttive comunitarie. A norma dell' art. 1, quarto comma, della legge n. 157, la direttiva 79/409/CEE è integralmente recepita ed attuata nei modi e nei termini previsti dalla detta legge.

    8 L' art. 18, primo comma, della legge n. 157 elenca, tra le specie di animali di cui è consentita la caccia, diverse specie di uccelli che non sono incluse nell' allegato II della direttiva. In vista dell' adattamento, nel settore della caccia, del diritto interno ai diritti comunitario e internazionale, il terzo comma di tale articolo prevede che il presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente e sentito l' Istituto nazionale per la fauna selvatica, dispone variazioni dell' elenco delle specie cacciabili, in conformità alle vigenti direttive comunitarie e alle convenzioni sottoscritte, tenendo conto della consistenza delle singole specie nel territorio. Risulta infine dal quarto comma dello stesso articolo che spetta alle regioni pubblicare il calendario regionale ed il regolamento relativo all' intera stagione venatoria, nel rispetto di quanto stabilito al primo e terzo comma.

    9 Dinanzi al tribunale amministrativo regionale per il Veneto, le ricorrenti hanno fatto valere che il calendario venatorio stabilito dalla Regione Veneto consentiva la caccia di diverse specie di uccelli non comprese tra le specie elencate all' allegato II della direttiva, senza che, tuttavia, fosse possibile invocare nel caso di specie la facoltà di deroga prevista all' art. 9 della direttiva medesima, poiché le ragioni particolari ed imperative che possono giustificare una deroga siffatta non solo non erano riunite, ma non erano state neppure analizzate ed evidenziate in maniera appropriata.

    10 Secondo il giudice nazionale, la validità dell' atto impugnato non può essere valutata direttamente sotto il profilo della direttiva, in quanto è intervenuta in funzione di adeguamento, ma anche di filtro, la legge n. 157 che attualmente fornisce da sola i canoni di valutazione della validità degli atti amministrativi posti in essere in esecuzione della stessa. Ne consegue che, per il giudice a quo, la legittimità del calendario venatorio controverso va desunta solo ed esclusivamente alla stregua dell' art. 18 della legge n. 157, non potendosi, invece, far diretto riferimento agli elenchi contenuti negli allegati oramai trasposti nell' ordinamento giuridico interno.

    11 Il giudice italiano osserva peraltro che il legislatore nazionale non ha manifestamente ritenuto che l' art. 9 della direttiva vincolasse la sua discrezionalità, posto che, nell' esercitare la facoltà di deroga attribuitagli da tale articolo, pur senza farne espressa menzione, ha incluso nell' elenco di cui all' art. 18 della legge n. 157 alcune specie la cui caccia è vietata dalla direttiva.

    12 Considerando che la soluzione della lite dipendesse dall' interpretazione dell' art. 9 della direttiva, il tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale diretta a stabilire "se a carico dello Stato italiano derivi, dall' articolo [9] della direttiva 79/409/CEE, l' obbligo di evidenziare con apposita norma o provvedimento (secondo che si operi con strumento legislativo o amministrativo) i singoli elementi giustificativi della deroga, così come indicati nella ricordata direttiva".

    Sulla ricevibilità della questione pregiudiziale

    13 La Federcaccia fa valere che la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile, in quanto la questione sollevata dal giudice nazionale riguarda la conformità delle disposizioni italiane di recepimento con l' art. 9 della direttiva, invece di sollecitare un' interpretazione di tale articolo.

    14 Tale eccezione va respinta. Dai termini stessi dell' ordinanza di rinvio risulta infatti che il giudice nazionale intende ottenere dalla Corte un' interpretazione dell' art. 9 della direttiva. Di conseguenza, se le questioni sollevate dai giudici nazionali vertono sull' interpretazione di una norma di diritto comunitario, la Corte è tenuta a pronunciarsi, senza dover in linea di principio accertare le circostanze in cui i giudici nazionali siano stati indotti a sottoporle le questioni e intendano applicare la disposizione di diritto comunitario che le hanno chiesto di interpretare (v. sentenza 18 ottobre 1990, cause riunite C-297/88 e C-197/89, Dzodzi, Racc. pag. I-3763, punti 35 e 39).

    15 Diversa sarebbe l' ipotesi in cui apparisse che, con il procedimento ex art. 177, utilizzato in modo contrario alla sua finalità, si intenda in realtà indurre la Corte a pronunciarsi per il tramite di una controversia fittizia ovvero sia manifesto che la disposizione di diritto comunitario sottoposta all' interpretazione della Corte non può essere applicata (sentenza Dzodzi, già citata, punto 40). Orbene, tale non è il caso di specie.

    16 Occorre quindi risolvere la questione sottoposta alla Corte.

    Sulla questione pregiudiziale

    17 Con la questione posta si chiede in sostanza alla Corte di precisare a quali condizioni l' art. 9 della direttiva consenta agli Stati membri di derogare al divieto generale di cacciare le specie protette, derivante dagli artt. 5 e 7 della direttiva medesima.

    18 Va preliminarmente rilevato che il giudice nazionale, allorché sia chiamato ad interpretare e applicare il proprio diritto, e in particolare le disposizioni di una normativa nazionale introdotta proprio allo scopo di eseguire una direttiva comunitaria, deve farlo quanto più è possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva per conseguire il risultato perseguito da quest' ultima e conformarsi pertanto all' art. 189, terzo comma, del Trattato (sentenze 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson e Kamann, Racc. pag. 1891, punto 26, e 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori, Racc. pag. I-3325, punto 26).

    19 Va ricordato in secondo luogo che, nei casi in cui le autorità comunitarie abbiano, mediante direttiva, imposto agli Stati membri di adottare un determinato comportamento, l' efficacia pratica dell' atto sarebbe attenuata se agli amministrati fosse precluso di valersene in giudizio ed ai giudici nazionali di prenderlo in considerazione in quanto elemento del diritto comunitario (sentenza 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker, Racc. pag. 53, punto 23). Così, in tutti i casi in cui alcune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale sia che l' abbia recepita in modo inadeguato (sentenza 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo, Racc. pag. 1839, punti 29 e 30). Peraltro, il giudice nazionale incaricato di applicare, nell' ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto comunitario, ha l' obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all' occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, e 4 giugno 1992, cause riunite C-13/91 e C-113/91, Debus, Racc. pag. I-3617, punto 32).

    20 Al fine di risolvere la questione sottoposta alla Corte, va innanzi tutto osservato che, nella sentenza 27 aprile 1988, causa 252/85, Commissione/Francia (Racc. pag. 2243, punto 5), la Corte ha già dichiarato a proposito della direttiva che, se la trasposizione nel diritto nazionale delle norme comunitarie non implica necessariamente la riproduzione formale e letterale delle disposizioni in una norma espressa e specifica e che può essere sufficiente il contesto giuridico generale, sempreché questo garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva in modo sufficientemente chiaro e preciso, l' esattezza della trasposizione ha particolare importanza in un caso come quello in esame, in cui la gestione del patrimonio comune è affidata, per il rispettivo territorio, agli Stati membri.

    21 Occorre ricordare inoltre che, quanto alla possibilità di derogare al regime limitativo della caccia, nonché agli altri limiti e divieti di cui agli artt. 5, 6 e 8 della direttiva, prevista all' art. 9 di quest' ultima, la Corte ha sottolineato che tale possibilità di deroga soggiace a tre condizioni: innanzi tutto, lo Stato membro deve limitare la deroga al caso in cui non esista un' altra soluzione soddisfacente. In secondo luogo, la deroga deve basarsi su almeno uno dei motivi tassativamente elencati all' art. 9, n. 1, lett. a), b) e c). In terzo luogo, la deroga deve rispondere ai precisi requisiti di forma di cui al n. 2 dello stesso articolo, requisiti volti a limitare tali deroghe allo stretto necessario e a permettere la vigilanza da parte della Commissione. Quest' articolo dunque, nell' autorizzare un' ampia deroga al regime generale di protezione, si prefigge solo un' applicazione concreta e puntuale per soddisfare precise esigenze e situazioni specifiche (sentenze 8 luglio 1987, causa 247/85, Commissione/Belgio, Racc. pag. 3029, punto 7, e causa 262/85, Commissione/Italia, Racc. pag. 3073, punto 7).

    22 Si è al riguardo precisato che, in materia di conservazione degli uccelli selvatici, i criteri in base ai quali gli Stati membri possono derogare ai divieti sanciti dalla direttiva devono essere riprodotti in disposizioni nazionali precise (sentenza 15 marzo 1990, causa C-339/87, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-851, punto 28).

    23 Va notato peraltro che, nella citata sentenza Commissione/Italia, la Corte ha dovuto pronunciarsi sull' interpretazione dell' art. 9 della direttiva riguardo ad una disposizione nazionale in materia di caccia secondo cui le regioni potevano gestire in proprio o autorizzare con precise regolamentazioni, impianti adibiti alla cattura e alla cessione per la detenzione, anche oltre il periodo di apertura della caccia, di specie di uccelli migratori da determinare fra quelle cacciabili secondo la medesima legge e da utilizzare come richiami vivi nell' esercizio venatorio degli appostamenti, nonché per fini amatoriali nelle tradizionali fiere e mercati. Orbene, in tale sentenza, la Corte ha constatato, in primo luogo, che la disposizione di cui è causa non faceva alcun riferimento all' art. 9, n. 1, a norma del quale una deroga agli artt. 7 e 8 della direttiva può essere concessa soltanto qualora non esista altra soluzione soddisfacente, e, in secondo luogo, che tale disposizione non faceva menzione, contrariamente a quanto impone l' art. 9, n. 2, della direttiva, né dei mezzi, degli impianti e dei metodi di cattura o di uccisione autorizzati, né dalle circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono esser fatte, né delle specie oggetto delle deroghe. Secondo la Corte, tale disposizione, dal momento che non introduceva essa stessa i criteri e le condizioni di cui all' art. 9, n. 2, della direttiva, né imponeva alle regioni di tener conto di detti criteri e condizioni, determinava un' insicurezza giuridica relativamente agli obblighi che le regioni dovevano rispettare nelle loro regolamentazioni. Pertanto non vi era garanzia che la cattura di talune specie di uccelli fosse limitata al minimo indispensabile, conformemente all' esigenza posta dall' art. 9, n. 1, lett. c), che il periodo di cattura non coincidesse inutilmente con i periodi in cui la direttiva intende stabilire una protezione particolare e che i mezzi, impianti o metodi di cattura non fossero massicci e non selettivi o atti a comportare localmente la scomparsa di una specie. La Corte ne inferiva che gli elementi essenziali di cui all' art. 9 della direttiva non erano trasposti in modo completo, chiaro ed inequivoco nella normativa italiana (sentenza Commissione/Italia, già citata, punto 39).

    24 La Corte si è anche pronunciata nel senso che una normativa nazionale che dichiara la caccia a talune specie aperta in linea di principio, salvo contrarie disposizioni emanate dalle autorità regionali, non risponde alle esigenze di protezione risultanti dalla direttiva ed è incompatibile col principio della certezza del diritto (sentenza 17 gennaio 1991, causa C-157/89, Commissione/Italia, Racc. pag. I-57, punti 16 e 17).

    25 Pertanto una normativa nazionale che autorizza la caccia di diverse specie di uccelli non comprese nell' elenco di cui all' allegato II della direttiva, senza però enunciare i criteri della deroga né obbligare le regioni in modo chiaro e preciso a tener conto di siffatti criteri e ad applicarli, non soddisfa le condizioni cui soggiacciono le deroghe previste all' art. 9 della direttiva.

    26 Alla luce di quanto precede, la soluzione della questione pregiudiziale è che l' art. 9 della direttiva deve essere interpretato nel senso che esso autorizza gli Stati membri a derogare al divieto generale di caccia delle specie protette, derivante dagli artt. 5 e 7 della stessa direttiva, soltanto mediante misure che comportino un riferimento, adeguatamente circostanziato, agli elementi di cui ai nn. 1 e 2 del medesimo art. 9.

    Decisione relativa alle spese


    Sulle spese

    27 Le spese sostenute dalla Commissione delle Comunità europee, che ha presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

    Dispositivo


    Per questi motivi,

    LA CORTE (Quinta Sezione),

    pronunciandosi sulla questione sottopostale dal tribunale amministrativo regionale per il Veneto con ordinanza 27 maggio 1993, dichiara:

    L' art. 9 della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, deve essere interpretato nel senso che esso autorizza gli Stati membri a derogare al divieto generale di caccia delle specie protette, derivante dagli artt. 5 e 7 della stessa direttiva, soltanto mediante misure che comportino un riferimento, adeguatamente circostanziato, agli elementi di cui ai nn. 1 e 2 del medesimo art. 9.

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