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Document 61994CJ0101

    Sentenza della Corte del 6 giugno 1996.
    Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
    Attività di intermediazione mobiliare.
    Causa C-101/94.

    Raccolta della Giurisprudenza 1996 I-02691

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1996:221

    61994J0101

    Sentenza della Corte del 6 giugno 1996. - Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana. - Attività di intermediazione mobiliare. - Causa C-101/94.

    raccolta della giurisprudenza 1996 pagina I-02691


    Massima
    Parti
    Motivazione della sentenza
    Decisione relativa alle spese
    Dispositivo

    Parole chiave


    ++++

    Libera circolazione delle persone ° Libertà di stabilimento ° Libera prestazione dei servizi ° Intermediazione mobiliare ° Attività riservata da uno Stato membro alle società con sede legale sul suo territorio ° Inammissibilità

    (Trattato CE, artt. 52 e 59)

    Massima


    Gli artt. 52 e 59 del Trattato ostano a che uno Stato membro riservi le attività di intermediazione mobiliare, oltre che alle banche, alle società con sede legale sul suo territorio, impedendo così alle società di intermediazione degli altri Stati membri che intendano esercitare un' attività sul suo territorio di utilizzare talune forme di stabilimento, quali l' agenzia o la succursale, il che le obbliga a sopportare costi aggiuntivi rispetto ai soggetti nazionali, privandole totalmente della possibilità di avvalersi della libera prestazione dei servizi.

    Infatti, così facendo, esso opera una differenza di trattamento non obiettivamente giustificata, in quanto, anche se facilita la sorveglianza e il controllo degli operatori sul mercato, tale obbligo non è né il solo mezzo né una condizione indispensabile perché esso possa, da una parte, accertarsi che gli operatori rispettino le norme di esercizio dell' attività di intermediazione mobiliare da esso emanate e, dall' altra, assoggettare efficacemente a sanzioni gli operatori che trasgrediscono tali norme. In particolare, nulla gli impedisce di richiedere alle società di intermediazione degli altri Stati membri di fornire informazioni e documenti riguardanti specificamente l' attività dei loro stabilimenti secondari sul suo territorio, di subordinare la loro attività alla costituzione di garanzie finanziarie su quest' ultimo e di concludere con le autorità di controllo degli altri Stati membri accordi di cooperazione in materia di vigilanza sui mercati e sugli intermediari, ed esso non può far valere che le norme di accesso alla professione di intermediario nei vari Stati membri, in particolare quelle relative alle garanzie in materia di fondi propri, non sarebbero comparabili, dato che la sua legislazione prevede espressamente la possibilità di concludere accordi del genere e che, inoltre, i diversi metodi utilizzati dagli Stati membri per determinare i requisiti in materia di fondi propri garantiscono globalmente una sicurezza equivalente.

    Parti


    Nella causa C-101/94,

    Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal signor Antonino Abate, consigliere giuridico principale, e dal signor Ben Smulders, membro del servizio giuridico, in qualità di agenti, assistiti dal professor avv. Luca G. Radicati di Brozolo, del foro di Milano, con domicilio eletto a Lussemburgo presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro del servizio giuridico, Centre Wagner, Kirchberg,

    ricorrente,

    contro

    Repubblica italiana, rappresentata dal professor Umberto Leanza, capo del servizio del contenzioso diplomatico del ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, assistito dall' avvocato dello Stato Ivo Maria Braguglia, con domicilio eletto a Lussemburgo presso la sede dell' ambasciata d' Italia, 5, rue Marie-Adelaïde,

    convenuta,

    avente ad oggetto un ricorso diretto a far dichiarare che, riservando l' attività di intermediazione mobiliare, oltre che alle banche, alle società con sede legale in Italia, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 52 e 59 del Trattato CE,

    LA CORTE,

    composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, D.A.O. Edward, J.-P. Puissochet (relatore) e G. Hirsch, presidenti di sezione, G.F. Mancini, J.C. Moitinho de Almeida, P.J.G. Kapteyn, C. Gulmann, J.L. Murray, P. Jann e M. Wathelet, giudici,

    avvocato generale: C.O. Lenz

    cancelliere: H. von Holstein, cancelliere aggiunto

    vista la relazione d' udienza,

    sentite le difese orali svolte dalle parti all' udienza del 16 gennaio 1996,

    sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 19 marzo 1996,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    Motivazione della sentenza


    1 Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 22 marzo 1994, la Commissione delle Comunità europee ha proposto a questa Corte, ai sensi dell' art. 169 del Trattato CE, un ricorso diretto a far dichiarare che, riservando le attività di intermediazione mobiliare, oltre che alle banche, alle società con sede legale in Italia, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 52 e 59 del Trattato CE.

    2 La legge 2 gennaio 1991, n. 1, recante disciplina dell' attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull' organizzazione dei mercati mobiliari (GURI n. 3 del 4 gennaio 1991, pag. 3; in prosieguo: la "legge"), si applica, ai sensi del suo art. 1, primo comma, alle seguenti attività, da essa qualificate come "attività di intermediazione mobiliare":

    "a) negoziazione per conto proprio o per conto terzi, ovvero sia per conto proprio che per conto terzi di valori mobiliari;

    b) collocamento e distribuzione di valori mobiliari con o senza preventiva sottoscrizione o acquisto a fermo, ovvero assunzione di garanzia nei confronti dell' emittente;

    c) gestione di patrimoni, mediante operazioni aventi ad oggetto valori mobiliari;

    d) raccolta di ordini di acquisto o vendita di valori mobiliari;

    e) consulenza in materia di valori mobiliari;

    f) sollecitazione del pubblico risparmio effettuata mediante attività anche di carattere promozionale svolta in luogo diverso da quello adibito a sede legale o amministrativa principale dell' emittente, del proponente l' investimento o del soggetto che procede al collocamento (...)".

    3 Ai sensi dell' art. 2, primo comma, della legge, l' attività professionale di intermediazione mobiliare può essere svolta in Italia, nei confronti del pubblico, oltre che dalle banche, solamente dalle "società di intermediazione mobiliare" (in prosieguo: le "SIM") che vi siano state autorizzate dalla "Commissione nazionale per le società e la borsa" (in prosieguo: la "Consob").

    4 Per essere autorizzate all' esercizio dell' attività di intermediazione mobiliare, le SIM devono soddisfare taluni requisiti relativi, in particolare, alla loro forma giuridica, all' ammontare del loro capitale iniziale, all' onorabilità dei loro dirigenti e azionisti.

    5 Ai sensi dell' art. 3, secondo comma, lett. a), della legge:

    "La società (di intermediazione mobiliare) deve essere costituita nella forma della società per azioni o di una società in accomandita per azioni, deve ricomprendere nella denominazione sociale le parole 'società di intermediazione mobiliare' e avere sede legale nel territorio dello Stato (...)".

    6 Con lettera di diffida del 20 dicembre 1991, la Commissione ha informato le autorità italiane che talune disposizioni della legge e, in particolare, quelle dell' art. 3, secondo comma, lett. a), erano incompatibili con gli artt. 52 e 59 del Trattato. Nella loro risposta del 6 febbraio 1992, le autorità italiane hanno contestato tale punto di vista. Il 19 ottobre 1992 la Commissione ha quindi emanato un parere motivato in cui contestava alla Repubblica italiana il fatto di essere venuta meno all' obbligo ad essa incombente in forza degli artt. 52 e 59 del Trattato limitando l' esercizio delle attività di intermediazione mobiliare alle sole società con sede legale in Italia e rispondenti a condizioni che non potevano essere soddisfatte dagli intermediari degli altri Stati membri. In risposta a tale parere motivato, le autorità italiane, con lettera in data 8 gennaio 1993, hanno ribadito che la loro legislazione era conforme alle disposizioni del Trattato.

    7 Di conseguenza, la Commissione ha proposto il presente ricorso. Come risulta sia dalla fase precontenziosa sia dalle memorie presentate alla Corte, tale ricorso riguarda essenzialmente, se non esclusivamente, le disposizioni di cui all' art. 3, secondo comma, lett. a), della legge.

    Sulla censura relativa alla violazione dell' art. 52 del Trattato

    8 La Commissione sostiene che l' obbligo di esercitare l' attività di intermediario mobiliare nella forma di una società con sede legale in Italia è incompatibile con l' art. 52 del Trattato. Essa fa valere che una disposizione di questo genere impedisce agli intermediari degli altri Stati membri di utilizzare talune forme di stabilimento, quale l' agenzia o la succursale, e crea una discriminazione a loro danno obbligandoli a sopportare il costo di costituzione di una nuova società. A suo parere, un siffatto obbligo non è necessario per conseguire gli obiettivi legittimamente perseguiti dalla legge italiana. Sarebbe infatti possibile prevedere una procedura, come una procedura di autorizzazione o di approvazione, destinata a verificare se gli intermediari degli altri Stati membri siano soggetti, nel relativo Stato membro d' origine, a norme equivalenti a quelle previste dalla legge italiana.

    9 In forza dell' art. 52, secondo comma, del Trattato, la libertà di stabilimento si esercita alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini.

    10 L' accesso ad alcune attività autonome e il loro esercizio possono così essere subordinati al rispetto di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, giustificate dall' interesse generale, come norme in tema di organizzazione, di qualificazione, di deontologia, di controllo e di responsabilità (sentenze 28 aprile 1977, causa 71/76, Thieffry, Racc. pag. 765, punto 12, e 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 35). Tali disposizioni possono prevedere, in particolare, che l' esercizio di un' attività specifica sia riservato alle persone che presentino talune garanzie e siano sottoposte ad una determinata disciplina o a un determinato controllo.

    11 Allorché l' accesso a un' attività specifica, o l' esercizio di questa, è subordinato, nello Stato membro ospitante, a tali condizioni, il cittadino di un altro Stato membro che intenda esercitare tale attività deve, di regola, soddisfarle (sentenza Gebhard, citata, punto 36).

    12 Tuttavia, come la Corte ha già rilevato, l' art. 52 del Trattato, che costituisce una delle norme fondamentali della Comunità, è diretto in particolare a garantire, in materia di stabilimento, il beneficio del trattamento nazionale a qualunque cittadino di uno Stato membro che intenda stabilirsi, anche solo in via secondaria, in un altro Stato membro per esercitarvi un' attività autonoma.

    13 Tale articolo vieta qualsiasi discriminazione nei confronti dei cittadini di altri Stati membri che derivi dalle leggi, dai regolamenti o dalle prassi nazionali (v., in questo senso, sentenze 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punti 13 e 14, e 30 marzo 1993, causa C-168/91, Konstantinidis, Racc. pag. I-1191, punto 12). Esso vieta, in particolare, qualsiasi norma nazionale che sia tale da porre i cittadini degli altri Stati membri in una situazione di diritto o di fatto svantaggiata riguardo a quella riservata, nelle stesse circostanze, ad un cittadino dello Stato membro di stabilimento (sentenza Konstantinidis, citata, punto 13).

    14 Il governo italiano non contesta che la sua legislazione impedisca agli intermediari degli altri Stati membri di utilizzare talune forme di stabilimento secondario e che essa imponga loro costi supplementari a cui non sono soggetti gli intermediari italiani. Esso sostiene semplicemente che tale disparità di trattamento è oggettivamente giustificata.

    15 Il governo italiano considera così che non è possibile comparare le condizioni poste dalla legge italiana e quelle poste dagli altri Stati membri, come propone la Commissione. Esso fa valere che ciò è vero in particolare per le garanzie in materia di fondi propri che sono determinate secondo un metodo che differisce da quello impiegato negli altri Stati membri.

    16 Tuttavia, come rileva la Commissione, la stessa legislazione italiana ammette la possibilità di procedere ad una comparazione tra normativa nazionale e normative straniere. In particolare, ai sensi dell' art. 20, ottavo comma, della legge, la Consob è autorizzata a stipulare con le autorità di controllo degli altri paesi accordi per il riconoscimento reciproco dei mercati mobiliari regolamentati e ad essa spetta accertare che un certo numero di parametri, tra i quali le norme di vigilanza sui mercati e sugli intermediari, siano "di effetto equivalente a quello della normativa vigente in Italia".

    17 Inoltre, secondo la Commissione, che non è stata smentita al riguardo, i diversi metodi utilizzati dagli Stati membri per determinare i requisiti in materia di fondi propri garantiscono globalmente una sicurezza equivalente anche se, caso per caso, un metodo può rivelarsi più protezionista di un altro.

    18 Occorre pertanto respingere l' argomento secondo cui le norme di accesso alla professione di intermediario nei diversi Stati membri, specie in ordine ai fondi propri delle società, non sono comparabili.

    19 Il governo italiano considera altresì che non è possibile vigilare sugli intermediari e assoggettarli a sanzioni se non sono stabiliti in via principale in Italia. Esso ritiene infatti che solo la presenza dello stabilimento principale, e in particolare della sede sociale, sul territorio nazionale permetta di disporre di tutte le informazioni necessarie al controllo di tutti gli elementi che garantiscono l' efficacia delle sanzioni.

    20 Neppure un siffatto argomento può essere accolto. Il governo italiano non ha dimostrato infatti che la presenza dello stabilimento principale dell' intermediario sul territorio italiano sia il solo mezzo per vigilare sull' intermediario stesso e per assoggettarlo efficacemente a sanzioni se desidera operare in Italia.

    21 Anche se è vero che l' obbligo di avere la propria sede sociale in Italia facilita la vigilanza nei confronti degli operatori sul mercato e il loro controllo, tuttavia un siffatto obbligo non è il solo mezzo che consenta, da un lato, di garantire che gli operatori rispettino le norme di esercizio dell' attività di intermediazione mobiliare emanate dal legislatore italiano e, dall' altro, di assoggettare efficacemente a sanzioni gli operatori che trasgrediscano tali norme.

    22 Come precisa la Commissione, è possibile richiedere alle società di intermediazione che intendono operare in Italia di accettare di sottoporsi ai controlli o di fornire i documenti e le informazioni necessari alle autorità italiane per accertarsi che tali società soddisfino i requisiti imposti dalla legge italiana. E' , in particolare, concepibile richiedere a tali società di fornire informazioni e documenti riguardanti specificamente l' attività dei loro stabilimenti secondari insediati in Italia.

    23 In ordine alla solvibilità degli operatori, è possibile subordinare l' attività in Italia alla costituzione di garanzie finanziarie sul territorio italiano in maniera da rendere sicure le operazioni effettuate su tale territorio.

    24 Inoltre, si può anche concepire che le autorità italiane concludano accordi di cooperazione in materia di vigilanza sui mercati e sugli intermediari, così come avviene con i paesi terzi. D' altro canto, come si è detto in precedenza, una tale eventualità è espressamente prevista dall' art. 20, ottavo comma, della legge.

    25 Il governo italiano non può neppure utilmente basarsi sull' art. 56 del Trattato CE per sostenere che la sua legislazione è conforme al diritto comunitario.

    26 Anche supponendo che gli obiettivi perseguiti dalla legge italiana possano essere considerati come obiettivi "d' ordine pubblico", ai sensi di tale norma, risulta a fortiori da quanto precede che gli obblighi controversi non sono indispensabili per conseguire tali obiettivi e che essi non possono quindi considerarsi giustificati alla luce della norma stessa (v. sentenza 5 dicembre 1989, causa C-3/88, Commissione/Italia, Racc. pag. 4035, punto 15).

    27 Infine, il governo italiano non può far valere il mancato rispetto del principio di reciprocità o fondarsi su un' eventuale violazione del Trattato da parte di un altro Stato membro per giustificare il proprio inadempimento (v. sentenze 25 settembre 1979, causa 232/78, Commissione/Francia, Racc. pag. 2729, punto 9, e 14 febbraio 1984, causa 325/82, Commissione/Germania, Racc. pag. 777, punto 11).

    28 Di conseguenza, va accolta la censura relativa alla violazione dell' art. 52 del Trattato.

    Sulla censura relativa alla violazione dell' art. 59 del Trattato

    29 La Commissione sostiene che l' obbligo di esercitare le attività di intermediazione mobiliare nella forma di società avente sede in Italia è in contrasto con l' art. 59 del Trattato poiché osta, in maniera assoluta, alla prestazione di servizi in Italia da parte degli intermediari degli altri Stati membri. A suo parere, un obbligo del genere non è indispensabile e neppure necessario, in tutti i casi, per raggiungere gli obiettivi di tutela degli investitori e di stabilità dei mercati che la legislazione italiana legittimamente persegue.

    30 Il governo italiano sostiene, per i motivi indicati ai punti 15 e 19 della presente sentenza, che un siffatto obbligo è non soltanto necessario ma ugualmente indispensabile per raggiungere tali obiettivi.

    31 L' obbligo imposto agli operatori economici degli altri Stati membri di stabilirsi, in via principale, in Italia è la negazione stessa della libera prestazione dei servizi e, come risulta dai punti 20-24 della presente sentenza, non costituisce una condizione indispensabile per raggiungere lo scopo perseguito. Esso viola quindi l' art. 59 del Trattato (v. sentenza 4 dicembre 1986, causa 205/84, Commissione/Germania, Racc. pag. 3755, punto 52).

    32 Allo stesso modo il governo italiano non può fondarsi sull' art. 66 del Trattato CE, per motivi identici a quelli indicati al punto 26 della presente sentenza. Esso non può neppure far valere gli inadempimenti commessi da altri Stati membri per giustificare il proprio inadempimento.

    33 Di conseguenza, la censura fondata sulla violazione dell' art. 59 del Trattato deve anch' essa essere accolta.

    34 Alla luce di quanto sopra si deve constatare che, riservando le attività di intermediazione mobiliare, oltre che alle banche, alle società con sede legale in Italia, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 52 e 59 del Trattato.

    Decisione relativa alle spese


    Sulle spese

    35 Ai sensi dell' art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La Repubblica italiana è rimasta soccombente e va quindi condannata alle spese.

    Dispositivo


    Per questi motivi,

    LA CORTE

    dichiara e statuisce:

    1) Riservando le attività di intermediazione mobiliare, oltre che alle banche, alle società con sede legale in Italia, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 52 e 59 del Trattato CE.

    2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

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