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Document 61994CJ0084
Judgment of the Court of 12 November 1996. # United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland v Council of the European Union. # Council Directive 93/104/EC concerning certain aspects of the organization of working time - Action for annulment. # Case C-84/94.
Sentenza della Corte del 12 novembre 1996.
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord contro Consiglio dell'Unione europea.
Direttiva del Consiglio 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro - Ricorso di annullamento.
Causa C-84/94.
Sentenza della Corte del 12 novembre 1996.
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord contro Consiglio dell'Unione europea.
Direttiva del Consiglio 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro - Ricorso di annullamento.
Causa C-84/94.
Raccolta della Giurisprudenza 1996 I-05755
ECLI identifier: ECLI:EU:C:1996:431
Sentenza della Corte del 12 novembre 1996. - Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord contro Consiglio dell'Unione europea. - Direttiva del Consiglio 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro - Ricorso di annullamento. - Causa C-84/94.
raccolta della giurisprudenza 1996 pagina I-05755
Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo
1. Politica sociale ° Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori ° Direttiva 93/104 concernente taluni aspetti dell' organizzazione dell' orario di lavoro ° Fondamento giuridico ° Art. 118 A del Trattato ° Limiti ° Determinazione della domenica come giorno di riposo settimanale ° Annullamento dell' art. 5, secondo comma, della direttiva
(Trattato CE, artt. 100, 100 A e 118 A; direttiva del Consiglio 93/104, art. 5, secondo comma)
2. Atti delle istituzioni ° Scelta del fondamento giuridico ° Criteri ° Prassi di un' istituzione ° Irrilevanza alla luce delle norme del Trattato
3. Trattato CE ° Art. 235 ° Portata
4. Diritto comunitario ° Principi ° Proporzionalità ° Portata ° Trasgressione da parte della direttiva 93/104 concernente taluni aspetti dell' organizzazione dell' orario di lavoro ° Insussistenza
(Direttiva del Consiglio 93/104)
5. Ricorso di annullamento ° Motivi ° Sviamento di potere ° Nozione ° Direttiva del Consiglio 93/104 ° Legittimità
(Direttiva del Consiglio 93/104)
6. Atti delle istituzioni ° Motivazione ° Obbligo ° Portata
(Trattato CE, art. 190)
1. L' art. 118 A del Trattato costituisce il fondamento giuridico adeguato per l' adozione da parte della Comunità di provvedimenti aventi come oggetto principale la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, nonostante l' incidenza accessoria che una misura siffatta può esplicare sull' instaurazione e sul funzionamento del mercato interno. Esso costituisce, infatti, quando è necessario garantire una tutela del genere, una disposizione più specifica rispetto agli artt. 100 e 100 A del Trattato, la cui esistenza non comporta una contrazione del suo ambito di applicazione, e che dev' essere oggetto di un' interpretazione ampia in ordine all' ambito di azione che attribuisce al legislatore comunitario in materia di salute e sicurezza dei lavoratori. Tale azione può comportare misure di portata generale, e non soltanto misure particolari applicabili a determinate categorie di lavoratori, il cui carattere deve essere quello di una prescrizione minima esclusivamente nel senso che gli Stati membri restano liberi di adottare norme che garantiscano una tutela anche maggiore.
Per questo motivo, la direttiva 93/104, concernente taluni aspetti dell' organizzazione dell' orario di lavoro, considerandone lo scopo ed il contenuto, poteva essere adottata ° ad eccezione delle disposizioni del suo art. 5, secondo comma, che privilegia la domenica come giorno di riposo settimanale e che dev' essere conseguentemente annullato ° in base all' art. 118 A.
2. Nell' ambito del sistema della ripartizione delle competenze comunitarie, la scelta del fondamento giuridico di un atto deve basarsi su elementi oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale. Tra i detti elementi figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto dell' atto.
Una mera prassi del Consiglio non può derogare alle norme del Trattato e, di conseguenza, non può costituire un precedente che vincoli le istituzioni comunitarie in ordine alla scelta del fondamento giuridico corretto di un determinato provvedimento prima della sua adozione.
3. La scelta dell' art. 235 come base giuridica di un atto è ammessa solo quando nessun' altra disposizione del Trattato attribuisca alle istituzioni comunitarie la competenza necessaria per l' emanazione dell' atto stesso.
4. L' adozione da parte del Consiglio della direttiva 93/104, concernente taluni aspetti dell' organizzazione dell' orario di lavoro, non ha costituito una trasgressione del principio di proporzionalità.
Infatti, dal limitato controllo giurisdizionale sull' esercizio da parte del Consiglio dell' ampio potere discrezionale ad esso spettante nel settore della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, che implica scelte di politica sociale e valutazioni complesse, non è emerso né che le misure contemplate nella direttiva, ad eccezione di quella contenuta nell' art. 5, secondo comma, non fossero idonee a conseguire l' obiettivo di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori perseguito, né che tali misure, caratterizzate da un' incontestabile elasticità, eccedessero quanto necessario per raggiungere il detto obiettivo.
5. Un atto di un' istituzione comunitaria è inficiato da sviamento di potere se è stato adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie.
Non è questo il caso della direttiva del Consiglio 93/104, concernente taluni aspetti dell' organizzazione dell' orario di lavoro, in quanto non è stato dimostrato che tale direttiva sia stata adottata allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere un obiettivo diverso da quello della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, previsto dall' art. 118 A del Trattato che ne costituisce il fondamento giuridico.
6. E' vero che la motivazione prescritta dall' art. 190 del Trattato deve far apparire in maniera chiara e non equivoca l' iter logico seguito dall' autorità comunitaria da cui promana l' atto controverso, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e onde permettere alla Corte di esercitare il proprio controllo; tuttavia non è necessario che la motivazione contenga tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti.
E' superfluo, al riguardo, richiedere una motivazione specifica per ciascuna delle scelte tecniche operate dall' atto contestato quando quest' ultimo dà conto della sostanza dell' obiettivo perseguito dall' istituzione.
Nella causa C-84/94,
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dal signor John E. Collins, Assistant Treasury Solicitor, in qualità di agente, assistito dal signor Michael J. Beloff, QC, e dalla signora Eleanor Sharpston, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo presso la sede dell' ambasciata del Regno Unito, 14, boulevard Roosevelt,
ricorrente,
contro
Consiglio dell' Unione europea, rappresentato dal signor Antonio Sacchettini, direttore presso il servizio giuridico, e dalle signore Jill Aussant, consigliere giuridico, e Sophia Kyriakopoulou, membro del servizio giuridico, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Bruno Eynard, direttore della direzione degli affari giuridici della Banca europea per gli investimenti, 100, boulevard Konrad Adenauer,
convenuto,
sostenuto da
Regno di Spagna, rappresentato dai signori Alberto Navarro González, direttore generale del coordinamento giuridico e istituzionale comunitario, e Miguel Bravo-Ferrer Delgado, abogado del Estado, dell' avvocatura dello Stato, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso la sede dell' ambasciata di Spagna, 4-6, boulevard Emmanuel Servais,
da
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal signor Nicholas Khan, membro del servizio giuridico, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro del medesimo servizio, Centre Wagner, Kirchberg,
e da
Regno del Belgio, rappresentato dal signor Jan Devadder, dirigente amministrativo presso il servizio giuridico del ministero degli Affari esteri, del Commercio estero e della Cooperazione allo sviluppo, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo presso la sede dell' ambasciata del Belgio, 4, rue des Girondins,
intervenienti,
avente ad oggetto il ricorso diretto all' annullamento della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell' organizzazione dell' orario di lavoro (GU L 307, pag. 18) e, in subordine, delle disposizioni degli artt. 4, 5, comma primo e secondo, 6, n. 2, e 7 della medesima direttiva,
LA CORTE,
composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, G.F. Mancini, J.C. Moitinho de Almeida (relatore), J.L. Murray e L. Sevón, presidenti di sezione, C.N. Kakouris, P.J.G. Kapteyn, C. Gulmann, D.A.O. Edward, J.-P. Puissochet, G. Hirsch, P. Jann e H. Ragnemalm, giudici,
avvocato generale: P. Léger
cancelliere: signora L. Hewlett, amministratore
vista la relazione d' udienza,
sentite le difese orali svolte dalle parti all' udienza del 16 gennaio 1996,
sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 12 marzo 1996,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte l' 8 marzo 1994, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha chiesto, ai sensi dell' art. 173 del Trattato CE, l' annullamento della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell' organizzazione dell' orario di lavoro (GU L 307, pag. 18; in prosieguo: la "direttiva"), e, in subordine, delle disposizioni degli artt. 4, 5, comma primo e secondo, 6, n. 2, e 7 della medesima direttiva.
2 La direttiva è stata emanata sulla base dell' art. 118 A del Trattato CE, ai sensi del quale
"1. Gli Stati membri si adoperano per promuovere il miglioramento in particolare dell' ambiente di lavoro per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori e si fissano come obiettivo l' armonizzazione, in una prospettiva di progresso, delle condizioni esistenti in questo settore.
2. Per contribuire alla realizzazione dell' obiettivo previsto al paragrafo 1, il Consiglio, deliberando in conformità della procedura di cui all' articolo 189 C e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adotta mediante direttive le prescrizioni minime, applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro.
Tali direttive eviteranno di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolare la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese.
3. Le disposizioni adottate a norma del presente articolo non ostano a che ciascuno Stato membro mantenga e stabilisca misure, compatibili con il presente trattato, per una maggiore protezione delle condizioni di lavoro".
3 A termini dell' art. 1, la direttiva stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell' orario di lavoro e si applica a tutti i settori di attività, privati o pubblici, ai sensi dell' art. 2 della direttiva del Consiglio 12 giugno 1989, 89/391/CEE, concernente l' attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU L 183, pag. 1), ad eccezione dei trasporti aerei, ferroviari, stradali e marittimi, della navigazione interna, della pesca in mare, delle altre attività in mare, nonché delle attività dei medici in formazione.
4 La sezione II della direttiva disciplina i periodi minimi di riposo giornaliero, di riposo settimanale e di ferie annuali nonché i periodi di pausa e la durata massima settimanale del lavoro. In tale ambito, essa impone agli Stati di prendere le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di un periodo minimo di riposo di undici ore consecutive, nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore (art. 3), di un periodo di pausa, qualora l' orario di lavoro giornaliero superi le sei ore, con modalità fissate dalle parti sociali o dalla legislazione nazionale (art. 4), di un periodo minimo di riposo ininterrotto, per ogni periodo di sette giorni, di ventiquattro ore cui si sommano le undici ore di riposo giornaliero previste all' art. 3 (art. 5, primo comma), che comprende in linea di principio la domenica (art. 5, secondo comma), e, infine, di un periodo di ferie annuali retribuite di quattro settimane (art. 7).
5 L' art. 6 impone peraltro agli Stati di prendere le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, la durata settimanale del lavoro venga stabilita dalle parti sociali o dalla legislazione nazionale, fermo restando che la durata media dell' orario di lavoro non può superare le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario, per ogni periodo di sette giorni.
6 La sezione III della direttiva contiene diverse disposizioni relative al lavoro notturno, al lavoro a turni e al ritmo di lavoro. Gli Stati membri devono quindi adottare le misure necessarie affinché l' orario di lavoro normale dei lavoratori notturni non superi le otto ore in media per ogni periodo di ventiquattro ore e, quando il lavoro comporta rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali, affinché essi non lavorino più di otto ore nel corso di un periodo di ventiquattro ore durante il quale effettuano un lavoro notturno (art. 8). I lavoratori notturni devono inoltre essere sottoposti ad una valutazione gratuita del loro stato di salute, prima della loro assegnazione e a intervalli regolari, e devono poter essere trasferiti, quando è possibile, ad un lavoro diurno per cui essi siano idonei, quando hanno problemi di salute connessi al lavoro notturno (art. 9). L' art. 10 attribuisce agli Stati la facoltà di subordinare il lavoro di talune categorie di lavoratori notturni a determinate garanzie, per lavoratori esposti a un rischio di sicurezza o di salute connesso al lavoro durante il periodo notturno, e l' art. 12 impone agli Stati di prendere, in particolare, le misure necessarie affinché i lavoratori notturni e i lavoratori a turni beneficino di un livello di protezione in materia di sicurezza e di salute adattato alla natura del loro lavoro.
7 Gli Stati membri devono inoltre provvedere affinché il datore di lavoro che si avvale regolarmente di lavoratori notturni ne informi le autorità competenti, su loro richiesta (art. 11). Infine, quando il lavoro è organizzato secondo certi ritmi, il datore di lavoro deve tener conto del principio generale dell' adeguamento del lavoro all' essere umano, segnatamente per attenuare il lavoro monotono e il lavoro ripetitivo, a seconda del tipo di attività e delle esigenze in materia di sicurezza e di salute (art. 13).
8 Nella sezione IV della direttiva figurano disposizioni varie. L' art. 14 stabilisce che la direttiva non si applica quando esistono in materia disposizioni comunitarie più specifiche riguardanti determinate occupazioni o attività professionali. Ai sensi dell' art. 15 gli Stati possono prevedere o consentire l' applicazione di disposizioni più favorevoli rispetto a quelle contenute nella direttiva. L' art. 16 attribuisce agli Stati la facoltà di prevedere periodi di riferimento per l' applicazione delle disposizioni relative al riposo settimanale, alla durata massima settimanale del lavoro e alla durata del lavoro notturno. Infine, l' art. 17 elenca le deroghe consentite per determinate disposizioni e l' art. 18 fissa vari termini per la trasposizione della direttiva nel diritto nazionale.
9 A sostegno del suo ricorso, il governo del Regno Unito deduce quattro motivi attinenti, rispettivamente, all' erroneità del fondamento giuridico della direttiva, alla violazione del principio di proporzionalità, allo sviamento di potere e alla violazione di forme sostanziali.
Sul motivo attinente all' erroneità del fondamento giuridico della direttiva
10 Il governo ricorrente fa valere che la direttiva avrebbe dovuto essere emanata in base all' art. 100 del Trattato CE, ovvero all' art. 235 del medesimo Trattato, che richiedono l' unanimità in seno al Consiglio.
Sulla portata dell' art. 118 A
11 Il governo del Regno Unito osserva, in primo luogo, che l' art. 118 A del Trattato va considerato alla stregua di una deroga all' art. 100, nel cui ambito rientrano, in conformità dell' art. 100 A, n. 2, le disposizioni "relative ai diritti ed interessi dei lavoratori dipendenti" e che l' art. 118 A deve essere conseguentemente interpretato in senso restrittivo.
12 A tale riguardo, va rilevato che nel parere 2/91, emesso il 19 marzo 1993 (Racc. pag. 1061, punto 17), la Corte ha ricordato che l' art. 118 A attribuisce alla Comunità una competenza normativa interna nel settore sociale. L' esistenza di altre disposizioni del Trattato non comporta un restringimento dell' ambito di applicazione dell' art. 118 A. La detta norma, che figura nel capo del Trattato attinente alle "disposizioni sociali", riguarda soltanto i provvedimenti relativi alla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. Essa costituisce pertanto una disciplina più specifica rispetto a quella degli artt. 100 e 100 A. Tale interpretazione trova conferma nel testo stesso dell' art. 100 A, n. 1, ai sensi del quale questa disposizione si applica "salvo che il presente trattato non disponga altrimenti". Pertanto, la tesi del governo ricorrente non può essere accolta.
13 In secondo luogo, il governo del Regno Unito fa valere, richiamando la lettera stessa dell' art. 118 A, che la detta disposizione consente l' adozione soltanto di direttive il cui oggetto presenti un nesso concreto e autentico con "la sicurezza e la salute dei lavoratori". Non sarebbe questo il caso di provvedimenti riguardanti, in particolare, la durata del lavoro settimanale, le ferie annuali retribuite e i periodi di pausa, che presenterebbero un legame troppo tenue con la sicurezza e la salute dei lavoratori. Tale interpretazione troverebbe una conferma nella nozione di "ambiente di lavoro" di cui si avvale l' art. 118 A, in base alla quale le direttive fondate sulla detta disposizione dovrebbero riguardare esclusivamente le condizioni e i rischi fisici sul luogo di lavoro.
14 A tale riguardo va ricordato che l' art. 118 A, n. 2, letto congiuntamente con il n. 1 della medesima disposizione, attribuisce al Consiglio il potere di adottare mediante direttive prescrizioni minime applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro, al fine di contribuire a "promuovere il miglioramento, in particolare dell' ambiente di lavoro, per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori", mediante l' armonizzazione, in una prospettiva di progresso, delle condizioni esistenti in questo settore.
15 Non vi è nulla nella formulazione dell' art. 118 A che possa indicare che le nozioni di "ambiente di lavoro", "sicurezza" e "salute", ai sensi di tale disposizione, andrebbero interpretate ° in assenza di altri elementi più precisi ° in senso restrittivo e non invece come riguardanti tutti i fattori, fisici e di altra natura, in grado di incidere sulla salute e sulla sicurezza del lavoratore nel suo ambiente di lavoro e, in particolare, taluni aspetti dell' organizzazione dell' orario di lavoro. Al contrario, i termini "in particolare dell' ambiente di lavoro" depongono a favore di un' interpretazione ampia della competenza attribuita al Consiglio dall' art. 118 A in materia di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. Inoltre, un' interpretazione siffatta dei termini "sicurezza" e "salute" è avvalorata, in particolare, dal preambolo della costituzione dell' Organizzazione mondiale della Sanità, alla quale appartengono tutti gli Stati membri, che definisce la salute come uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale e non come uno stato che consiste nella sola assenza di malattie o infermità.
16 Il governo ricorrente fa ancora valere che, in forza dell' art. 118 A, n. 2, il Consiglio può adottare soltanto "prescrizioni minime" applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro. Di conseguenza, tale disposizione autorizzerebbe il Consiglio ad adottare misure di armonizzazione soltanto ad un livello accettabile per tutti gli Stati membri e che costituisca un punto di riferimento minimo.
17 Occorre rilevare al riguardo che l' art. 118 A, nell' attribuire al Consiglio il potere di adottare prescrizioni minime, non pregiudica l' intensità dell' azione che questa istituzione può ritenere necessaria per assolvere il compito che la disposizione controversa le assegna espressamente, che consiste nell' adoperarsi per promuovere il miglioramento ° in una prospettiva di progresso ° delle condizioni relative alla sicurezza e alla salute dei lavoratori. L' espressione "prescrizioni minime" di cui all' art. 118 A significa soltanto, come è peraltro confermato dal n. 3 della medesima disposizione, che essa consente agli Stati membri di adottare norme più rigorose di quelle che sono oggetto dell' intervento comunitario (v., in particolare, parere 2/91, citato, punto 18).
18 In terzo luogo, il governo del Regno Unito fa valere che, alla luce delle direttive fondate in passato sull' art. 118 A, tale disposizione non consente al Consiglio di emanare direttive che, come quella di cui è causa, disciplinano in termini generali, astratti e non scientifici la questione della salute e della sicurezza. Sarebbe questo il caso, anzitutto, della direttiva 89/391, che prevede una procedura di valutazione dei rischi destinata a individuare alcuni settori in cui è necessario intervenire per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Questo sarebbe il caso poi delle altre direttive fondate sull' art. 118 A, che andrebbero suddivise in due categorie, vale a dire le direttive "particolari" ai sensi dell' art. 16 della direttiva 89/391 (riguardanti in particolare la segnaletica sul luogo di lavoro o rischi derivanti da un' esposizione ad agenti cancerogeni) e le direttive che, pur non essendo basate sulla direttiva 89/391, sarebbero incontestabilmente rivolte ad un problema concreto di salute o di sicurezza in una situazione concreta.
19 Occorre ricordare, al riguardo, che secondo una giurisprudenza costante una mera prassi del Consiglio non vale a derogare a norme del Trattato e non può quindi costituire un precedente che vincoli le istituzioni della Comunità in ordine alla scelta del fondamento giuridico corretto (v., in particolare, sentenze 23 febbraio 1988, causa 68/86, Regno Unito/Consiglio, Racc. pag. 855, punto 24, e 26 marzo 1996, causa C-271/94, Parlamento/Consiglio, Racc. pag. I-1689, punto 24). Sono stati inoltre adottati provvedimenti di portata generale in base all' art. 118 A del Trattato, come è confermato in particolare dalla direttiva del Consiglio 30 novembre 1989, 89/654/CEE, relativa alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro (prima direttiva particolare ai sensi dell' articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) (GU L 393, pag. 1).
20 Peraltro, la tesi secondo cui l' intervento comunitario dovrebbe limitarsi alle sole misure particolari applicabili a gruppi di lavoratori determinati che si trovano in situazioni specifiche, mentre le misure ispirate ad obiettivi più ampi andrebbero adottate sulla base dell' art. 100 del Trattato, non trova alcun sostegno nella formulazione dell' art. 118 A. Tale disposizione riguarda infatti i "lavoratori" in generale e vi si precisa che l' obiettivo perseguito dev' essere raggiunto mediante l' armonizzazione delle "condizioni" esistenti in generale nel settore della sicurezza e della salute di tali lavoratori.
21 A ciò si aggiunge che la delimitazione dei rispettivi ambiti di applicazione degli artt. 100 e 100 A, da un lato, e dell' art. 118 A, dall' altro, non poggia su una distinzione tra la possibilità di adottare misure generali, per i primi, e misure particolari per il secondo, ma sull' oggetto principale della misura che si intende adottare.
22 Così, quando la misura considerata ha per oggetto principale la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, si impone la scelta dell' art. 118 A, malgrado l' incidenza accessoria che una misura siffatta può esplicare sull' instaurazione ed il funzionamento del mercato interno (v., in particolare, sentenza Parlamento/Consiglio, citata, punto 32).
23 Infine, si deve ricordare che non spetta alla Corte sindacare l' opportunità dei provvedimenti adottati dal legislatore. Il controllo esercitato in forza dell' art. 173 deve limitarsi alla legittimità dell' atto impugnato.
24 E' alla luce di tali considerazioni che si deve accertare se la direttiva sia stata validamente adottata in base all' art. 118 A del Trattato.
Sulla scelta del fondamento giuridico della direttiva
25 Nell' ambito del sistema della ripartizione delle competenze comunitarie, la scelta del fondamento giuridico di un atto deve basarsi su elementi oggettivi suscettibili di sindacato giurisdizionale (v., in particolare, sentenza 26 marzo 1987, causa 45/86, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 1493, punto 11). Tra i detti elementi figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto dell' atto (v., segnatamente, sentenza 11 giugno 1991, causa C-300/89, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I-2867, punto 10).
26 Per quanto riguarda lo scopo perseguito dalla direttiva, il governo ricorrente fa valere che la normativa controversa rappresenta l' approfondimento di una riflessione svolta anteriormente dalla Comunità nonché di una serie di iniziative intraprese in precedenza a livello comunitario che affrontavano il tema dell' organizzazione dell' orario di lavoro con l' obiettivo di creare posti di lavoro e ridurre la disoccupazione. Si tratterebbe in realtà di un provvedimento che riguarda il miglioramento in generale delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori dipendenti e la loro tutela complessiva, con una portata e un ambito di applicazione così estesi da meritarsi la qualifica di misura di politica sociale per l' adozione della quale esisterebbero altre basi giuridiche.
27 A tale riguardo, si deve rilevare che, secondo il sesto 'considerando' , la direttiva costituisce un elemento concreto nell' ambito della realizzazione della dimensione sociale del mercato interno. Tuttavia, la circostanza che la direttiva si inserisca in tal modo nell' ambito della politica sociale comunitaria non comporta che essa non possa validamente fondarsi sull' art. 118 A, dal momento che contribuisce a promuovere il miglioramento della salute e della sicurezza dei lavoratori. Ciò è vero a maggior ragione in quanto l' art. 118 A figura per l' appunto nel capo I, intitolato "Disposizioni sociali", del titolo VIII del Trattato, relativo, in particolare, alla "politica sociale", circostanza questa che aveva peraltro indotto la Corte a considerare che tale disposizione aveva attribuito alla Comunità una competenza normativa interna nel settore sociale (v. parere 2/91, citato, punto 17).
28 D' altro canto, come ha dimostrato l' avvocato generale nei paragrafi 85-90 delle sue conclusioni, l' organizzazione dell' orario di lavoro non è necessariamente intesa come uno strumento della politica dell' occupazione. Nel caso di specie, risulta dal quinto 'considerando' della direttiva che il miglioramento della sicurezza, dell' igiene e della salute dei lavoratori rappresenta un obiettivo che non può dipendere da "considerazioni di carattere puramente economico". Per contro, se l' organizzazione dell' orario di lavoro venisse intesa come uno strumento di lotta contro la disoccupazione andrebbero presi in considerazione numerosi fattori economici, come ad esempio la sua incidenza sulla capacità produttiva delle imprese e sul livello retributivo dei lavoratori.
29 L' approccio della direttiva, che consiste nel considerare l' organizzazione dell' orario di lavoro essenzialmente nell' ottica di una sua possibile incidenza favorevole sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori, emerge dai diversi 'considerando' della direttiva stessa. Così, in particolare, secondo l' ottavo 'considerando' , al fine di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori della Comunità, questi ultimi devono beneficiare di periodi minimi di riposo e di adeguati periodi di pausa ed è quindi opportuno prevedere, in tale contesto, anche un limite massimo alla durata settimanale del lavoro. Peraltro, l' undicesimo 'considerando' rileva che "alcuni studi hanno dimostrato che (...) lunghi periodi di lavoro notturno sono nocivi per la salute dei lavoratori e possono pregiudicare la sicurezza dei medesimi sul luogo di lavoro" e il quindicesimo 'considerando' sottolinea che le modalità di lavoro possono avere ripercussioni negative sulla sicurezza e la salute dei lavoratori e che l' organizzazione del lavoro secondo un certo ritmo deve tener conto del principio generale dell' adeguamento del lavoro all' essere umano.
30 Sebbene non si possa escludere, alla luce di queste considerazioni, che la direttiva incida in qualche modo sull' occupazione, quest' ultima non ne costituisce manifestamente l' obiettivo fondamentale.
31 Quanto al contenuto della direttiva, il governo ricorrente fa valere che il nesso tra le misure previste dalla direttiva, da un lato, e la sicurezza e la salute, dall' altro, è troppo tenue perché essa possa essere basata sull' art. 118 A del Trattato.
32 Il governo del Regno Unito rileva, in proposito, che non esistono dati scientifici che possano suffragare in modo soddisfacente gli obblighi generali di prevedere periodi di pausa quando l' orario giornaliero di lavoro supera le sei ore (art. 4), di istituire un periodo minimo di riposo settimanale ininterrotto di ventiquattro ore a cui si sommano le normali undici ore di riposo giornaliero (art. 5, primo comma), d' includere in via di principio la domenica in tale periodo minimo di riposo (art. 5, secondo comma), di limitare, per ogni periodo di sette giorni, la durata media dell' orario di lavoro a quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario [art. 6, punto 2)], e di concedere ad ogni lavoratore almeno quattro settimane di ferie annuali retribuite (art. 7).
33 Il governo ricorrente rileva, in tale contesto, che la direttiva 89/391 impone ai datori di lavoro di procedere a valutazioni al fine di individuare i rischi concreti per la salute e la sicurezza dei lavoratori, tenendo conto della natura delle attività dell' impresa. Ora, la procedura di valutazione dei rischi prevista dalla direttiva 89/391 non sarebbe applicabile in concreto alle restrizioni riguardanti l' organizzazione dell' orario di lavoro contenute nella sezione II della direttiva (e in modo molto limitato nella sezione III), in quanto le disposizioni in argomento pongono semplici obblighi che non lasciano alcuno spazio ad una valutazione di tal genere al fine di determinare se debbano essere applicate.
34 D' altro canto, diversamente dalle altre disposizioni fondate sull' art. 118 A del Trattato, le misure controverse non sarebbero state sottoposte, per un parere, al comitato consultivo per la sicurezza, l' igiene e la tutela della salute (v., sul ruolo di tali comitati, sentenza 25 gennaio 1994, causa C-212/91, Angelopharm, Racc. pag. I-171, punti 31 e 32). Benché la consultazione del detto comitato non sia espressamente prevista in circostanze come quelle del caso di specie, il fatto che il Consiglio non abbia invitato la Commissione a seguire questo iter susciterebbe ulteriori dubbi sul nesso presentato dalla direttiva con la salute e la sicurezza dei lavoratori.
35 Infine, secondo il governo del Regno Unito, diversamente da quanto previsto dall' art. 118 A, n. 2, le disposizioni della direttiva non costituiscono "prescrizioni minime", "applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro", e non tengono conto della loro incidenza "sulla creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese".
36 Per rispondere a tali argomenti, occorre stabilire una distinzione tra l' art. 5, secondo comma, della direttiva e le altre disposizioni in essa contenute.
37 Per quanto riguarda l' art. 5, secondo comma, della direttiva, si deve rilevare che, sebbene la questione dell' eventuale inclusione della domenica nel periodo di riposo settimanale sia stata indubbiamente lasciata, in ultima analisi, alla discrezione degli Stati membri, tenendo conto in particolare della diversità dei fattori culturali, etnici e religiosi nei vari Stati membri (art. 5, secondo comma, letto congiuntamente con il decimo 'considerando' ), è pur vero che il Consiglio ha omesso di spiegare per quale motivo la domenica, come giorno di riposo settimanale, presenterebbe un nesso più importante con la salute e la sicurezza dei lavoratori rispetto ad un altro giorno della settimana. In queste circostanze, deve essere accolta la domanda formulata in subordine dal governo ricorrente e l' art. 5, secondo comma, della direttiva, che può essere separato dalle rimanenti disposizioni della direttiva, deve essere annullato.
38 Quanto alle altre misure previste dalla direttiva in ordine ai periodi minimi di riposo, alla durata del lavoro, al lavoro notturno, al lavoro a turni e al ritmo di lavoro, esse riguardano l' "ambiente di lavoro" e sono improntate ad un intento di tutela "della salute e della sicurezza dei lavoratori", nozioni la cui portata è stata precisata al punto 15 della presente sentenza. Come ha peraltro rilevato il governo belga, l' evoluzione della legislazione sociale a livello nazionale e internazionale conferma l' esistenza di un nesso tra i provvedimenti relativi all' orario di lavoro e la salute e la sicurezza dei lavoratori.
39 Del resto, l' azione legislativa della Comunità, in particolare nel settore della politica sociale, non può essere circoscritta alle sole ipotesi suffragate da giustificazioni scientificamente dimostrate (v., in proposito, paragrafi 165-167 delle conclusioni dell' avvocato generale).
40 Parimenti, la tesi del governo del Regno Unito, secondo cui la direttiva esclude ogni possibile valutazione dei rischi per determinati lavoratori o per quelli appartenenti ad un particolare settore, non può ritenersi fondata. Infatti, sia l' art. 1 della direttiva, che esclude dal suo ambito di applicazione alcuni settori o attività, sia l' art. 14, che ne esclude le occupazioni e le attività professionali per le quali esistono disposizioni comunitarie più specifiche in materia, o ancora l' art. 17, nn. 1 e 2, che consente di derogare agli artt. 3, 4, 5, 6 e 8 per alcuni gruppi di lavoratori o per alcuni settori di attività, indicano che il legislatore comunitario ha tenuto conto di determinate situazioni particolari (v., al riguardo, paragrafi 114-117 delle conclusioni dell' avvocato generale).
41 Indubbiamente il Consiglio non ha richiesto, per le misure previste dalla direttiva, il parere del comitato consultivo per la sicurezza, l' igiene e la tutela della salute, istituito con decisione del Consiglio 27 giugno 1974, 74/325/CEE (GU L 185, pag. 15). Tuttavia, ai sensi dell' art. 2, n. 1, della detta decisione, una consultazione del genere ha per unico oggetto "di assistere la Commissione nella preparazione e nell' esecuzione delle attività nei settori della sicurezza, dell' igiene e della tutela della salute sul luogo di lavoro" e non costituisce pertanto una premessa necessaria all' azione del Consiglio. In queste circostanze, non si può far valere la mancata consultazione di tale comitato per mettere in dubbio l' esistenza di un nesso tra le misure previste dalla direttiva e la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
42 Occorre inoltre rilevare che le disposizioni della direttiva costituiscono "prescrizioni minime" ai sensi dell' art. 118 A del Trattato. Infatti, la direttiva che garantisce un determinato livello di tutela ai lavoratori autorizza nel contempo, all' art. 15, gli Stati membri ad applicare o favorire l' applicazione di misure più favorevoli per la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, assicurando così a questi ultimi un livello di protezione maggiore in conformità dell' art. 118 A, n. 3. Nella medesima direzione, l' art. 18, n. 3, della direttiva precisa che, fermo restando il diritto degli Stati, nel rispetto dei requisiti minimi da essa stabiliti, di fissare disposizioni diverse in materia di orario di lavoro, l' attuazione della direttiva non costituisce una giustificazione per il regresso del livello generale di protezione dei lavoratori.
43 Le misure previste dalla direttiva sono altresì, conformemente all' art. 118 A, "applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro". E' assodato, innanzi tutto, che la legislazione di tutti gli Stati membri contiene provvedimenti relativi all' organizzazione dell' orario di lavoro. Inoltre l' art. 18 della direttiva, in particolare, autorizza gli Stati, ad alcune condizioni, a non applicare, dopo la scadenza del termine per la trasposizione della direttiva, ovvero il 23 novembre 1996, le disposizioni dell' art. 6 relative alla durata settimanale del lavoro nonché, per un periodo transitorio di tre anni, quelle dell' art. 7 relative alle ferie annuali retribuite la cui durata può essere limitata per tale periodo a tre settimane.
44 Infine, la direttiva ha preso in considerazione le possibili conseguenze dell' organizzazione dell' orario di lavoro da essa prevista sulle piccole e medie imprese. Così, il secondo 'considerando' della direttiva ricorda l' esigenza imperativa di non ostacolare lo sviluppo delle piccole e medie imprese. Peraltro, come ha stabilito la Corte nella sentenza 30 novembre 1993, causa C-189/91, Kirsammer-Hack (Racc. pag. I-6185, punto 34), l' art. 118 A, n. 2, secondo comma, disponendo che le direttive adottate in materia di sanità e sicurezza dei lavoratori devono evitare di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolare la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese, indica che tali imprese possono costituire oggetto di provvedimenti economici specifici. Per contro, questa disposizione non osta, contrariamente a quanto sostiene il governo ricorrente, a che esse siano oggetto di provvedimenti vincolanti.
45 Poiché risulta, in base agli elementi che precedono, che la direttiva ° considerandone lo scopo ed il contenuto ° ha come oggetto principale la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori mediante prescrizioni minime applicabili progressivamente, né l' art. 100 né l' art. 100 A potevano costituirne il valido fondamento giuridico.
46 Per il resto, il governo del Regno Unito sostiene che il legislatore comunitario non ha svolto un esame completo né ha fornito una dimostrazione sufficiente in ordine alla questione diretta a stabilire se tale materia presentasse aspetti transnazionali che non potevano essere adeguatamente disciplinati con misure nazionali, se misure di tal genere sarebbero state incompatibili con le esigenze del Trattato CE o se avrebbero leso significativamente gli interessi degli Stati membri e, infine, se un' azione intrapresa a livello comunitario comportasse vantaggi evidenti rispetto ad un' azione svolta dagli Stati membri. Ora, l' art. 118 A andrebbe interpretato alla luce del principio della sussidiarietà, principio che non consentirebbe l' adozione di una direttiva formulata in termini così generali e imperativi come la direttiva controversa, considerando che la portata e la natura di una regolamentazione dell' orario di lavoro variano sensibilmente da uno Stato membro all' altro. Il governo del Regno Unito precisa tuttavia che esso non intende invocare, in questo contesto, la violazione del principio della sussidiarietà come motivo autonomo di ricorso.
47 A tale riguardo, si deve constatare che l' art. 118 A attribuisce al Consiglio il compito di adottare prescrizioni minime per contribuire, attraverso l' armonizzazione, alla realizzazione dell' obiettivo di innalzamento del livello di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, che, in forza del n. 1 della medesima disposizione, incombe in primo luogo agli Stati membri. Poiché il Consiglio ha constatato la necessità di migliorare il livello esistente di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori e di armonizzare, in una prospettiva di progresso, le condizioni esistenti in tale settore, la realizzazione di un obiettivo siffatto, mediante prescrizioni minime, presuppone necessariamente un' azione di dimensioni comunitarie, azione che lascia, del resto, in ampia misura agli Stati membri, come nel caso di specie, il compito di fissare le necessarie modalità di applicazione. L' argomento, invece, secondo cui il Consiglio non poteva validamente adottare misure così generali e vincolanti come quelle che costituiscono l' oggetto della direttiva sarà esaminato qui di seguito nell' ambito del motivo attinente alla violazione del principio della proporzionalità.
48 Per quanto riguarda infine l' art. 235 del Trattato, è sufficiente richiamare la giurisprudenza secondo la quale la scelta della detta disposizione come base giuridica di un atto è ammessa solo quando nessun' altra disposizione del Trattato attribuisca alle istituzioni comunitarie la competenza necessaria per l' emanazione dell' atto stesso (v., in particolare, sentenza Parlamento/Consiglio, citata, punto 13).
49 Di conseguenza, si deve considerare che la direttiva è stata validamente adottata in base all' art. 118 A, ad eccezione del suo art. 5, secondo comma, che va pertanto annullato.
Sul motivo attinente alla violazione del principio di proporzionalità
50 Il governo del Regno Unito ricorda, al riguardo, che il Consiglio può adottare in base all' art. 118 A del Trattato soltanto "prescrizioni minime, applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro", e che le dette prescrizioni devono evitare "di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolare la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese". Secondo tale governo, sono quattro i principi generali da prendere in considerazione per valutare se le esigenze imposte dalla direttiva in ordine all' orario di lavoro costituiscono o meno prescrizioni minime ai sensi dell' art. 118 A.
51 In primo luogo, le misure che possono "migliorare" il livello di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori non costituirebbero tutte prescrizioni minime. Così, in particolare, i provvedimenti consistenti in riduzioni complessive della durata di lavoro o in incrementi complessivi dei periodi di riposo, pur avendo in qualche misura conseguenze positive sulla salute o sulla sicurezza dei lavoratori, non costituirebbero "prescrizioni minime" ai sensi dell' art. 118 A.
52 In secondo luogo, una disposizione non potrebbe considerarsi alla stregua di una "prescrizione minima" quando il livello di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori da essa stabilito può essere raggiunto con misure meno restrittive e che comportino minori ostacoli alla competitività dell' industria e alla capacità di guadagno dei singoli. Ora, né le proposte della Commissione né la direttiva stessa conterrebbero spiegazioni in ordine all' impossibilità di raggiungere il livello di tutela auspicato mediante misure meno restrittive come, ad esempio, il ricorso ad una valutazione dei rischi nei casi in cui l' orario di lavoro superi determinati limiti standard.
53 In terzo luogo, la conclusione secondo cui i provvedimenti considerati sono idonei a migliorare il livello di tutela della salute o della sicurezza dei lavoratori dovrebbe basarsi su motivazioni ragionevoli. Ora, allo stato attuale, la ricerca scientifica nel settore di cui trattasi è ben lungi dal giustificare le misure controverse.
54 In quarto luogo, una misura può considerarsi proporzionata solo se non trasgredisce il principio della sussidiarietà. A tale riguardo, il governo del Regno Unito fa valere che spetta alle istituzioni comunitarie dimostrare che gli obiettivi perseguiti dalla direttiva si raggiungono più agevolmente a livello comunitario che non mediante un' azione intrapresa a livello degli Stati membri. Ora, una dimostrazione del genere non sarebbe stata data nel caso di specie.
55 Deve essere anzitutto disatteso l' argomento relativo all' inosservanza del principio della sussidiarietà, argomento secondo cui il legislatore comunitario non avrebbe dimostrato che gli obiettivi della direttiva sarebbero stati meglio perseguiti a livello comunitario che non dagli Stati membri. Così com' è stato formulato, questo argomento riguarda infatti la necessità dell' azione comunitaria, questione già esaminata al punto 47 della presenta sentenza.
56 Occorre poi rilevare che, come risulta dal punto 17 della presente sentenza, il governo ricorrente si basa su una nozione di "prescrizioni minime" che non è quella dell' art. 118 A. Tale disposizione non limita l' intervento comunitario al minimo denominatore comune, ovvero al più basso livello di tutela fissato dai diversi Stati membri; essa implica invece che gli Stati membri sono liberi di concedere una tutela maggiore rispetto, se del caso, a quella elevata risultante dal diritto comunitario.
57 Quanto al principio della proporzionalità, va ricordata la giurisprudenza della Corte secondo cui, al fine di stabilire se una norma di diritto comunitario sia conforme al principio di proporzionalità, si deve accertare se i mezzi da essa contemplati siano idonei a conseguire lo scopo perseguito e non eccedano quanto è necessario per raggiungere detto scopo (v., in particolare, sentenza 9 novembre 1995, causa C-426/93, Germania/Consiglio, Racc. pag. I-3723, punto 42).
58 Per quanto attiene al controllo giurisdizionale delle condizioni richiamate, si deve tuttavia precisare che il Consiglio dispone di un ampio potere discrezionale trattandosi di un settore che, come nel caso di specie, implica da parte del legislatore scelte di politica sociale e dove esso è chiamato ad effettuare valutazioni complesse. Di conseguenza, il controllo giurisdizionale dell' esercizio di una competenza siffatta deve limitarsi a esaminare se esso non sia inficiato da errore manifesto o sviamento di potere o se l' istituzione in questione non abbia manifestamente oltrepassato i limiti della sua discrezionalità.
59 Quanto alla prima condizione, è sufficiente constatare che, come risulta dai punti 36-39 della presente sentenza, le misure riguardanti l' organizzazione dell' orario di lavoro che costituiscono l' oggetto della direttiva ° ad eccezione di quella contenuta nel suo art. 5, secondo comma ° contribuiscono direttamente al miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori ai sensi dell' art. 118 A e non possono pertanto considerarsi inadeguate ai fini della realizzazione dell' obiettivo perseguito.
60 La seconda condizione è anch' essa soddisfatta. Infatti, contrariamente a quanto asserisce il governo ricorrente, il Consiglio non ha compiuto un errore manifesto quando ha valutato che le misure controverse erano necessarie per realizzare l' obiettivo di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori.
61 In primo luogo, l' art. 4, che riguarda il periodo di pausa obbligatorio, si applica soltanto quando l' orario di lavoro giornaliero supera le sei ore. Inoltre, le modalità della pausa e, in particolare, la durata e le condizioni di concessione della stessa sono fissate da contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali o, in loro assenza, dalla legislazione nazionale. Infine, sono consentite varie deroghe a tale disposizione in considerazione della figura professionale del lavoratore (art. 17, n. 1), o della natura o delle caratteristiche dell' attività esercitata (art. 17, n. 2, punti 2.1 e 2.2), per effetto di contratti collettivi o di accordi conclusi tra le parti sociali a livello nazionale o regionale (art. 17, n. 3).
62 In secondo luogo, il periodo minimo di riposo settimanale ininterrotto di ventiquattro ore, previsto dall' art. 5, primo comma, cui si aggiungono le undici ore di riposo giornaliero previste all' art. 3, può essere oggetto delle stesse deroghe consentite per l' art. 4, sopra menzionato. A queste deroghe si aggiungono quelle riguardanti le attività di lavoro a turni e le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata (art. 17, n. 2, punto 2.3). Inoltre, il periodo di riferimento di sette giorni può essere esteso fino a quattordici giorni [art. 16, punto 1)].
63 Per quanto riguarda, in terzo luogo, l' art. 6, n. 2, ai sensi del quale la durata media dell' orario di lavoro per ogni periodo di sette giorni non deve superare quarantotto ore, gli Stati membri possono prevedere un periodo di riferimento non superiore a quattro mesi [art. 16, punto 2)], che può in alcuni casi arrivare a sei mesi per l' applicazione dell' art. 17, n. 2, punti 2.1 e 2.2, e n. 3 (art. 17, n. 4, primo comma), o ancora dodici mesi (art. 17, n. 4, secondo comma). Infine, l' art. 18, n. 1, lett. b), sub i), consente persino agli Stati membri, a determinate condizioni, di non applicare l' art. 6.
64 Per quanto riguarda, in quarto luogo, l' art. 7 relativo al periodo di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane all' anno, l' art. 18, n. 1, lett. b), sub ii), consente agli Stati di prevedere un periodo transitorio di tre anni durante il quale i lavoratori devono poter usufruire di un periodo di ferie annuali retribuite di tre settimane.
65 Quanto, poi, all' argomento del governo ricorrente secondo cui l' adozione della direttiva non era necessaria in quanto la direttiva 89/391 si applica già ai settori disciplinati dalla direttiva, è sufficiente rilevare che questa, come risulta dal suo art. 1, si limita a fissare, allo scopo di promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, alcuni principi generali con le linee di indirizzo per la loro attuazione, riguardanti la prevenzione dei rischi professionali e la protezione della sicurezza e della salute, l' eliminazione dei fattori di rischio e di incidente, l' informazione, la consultazione, la partecipazione e la formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Essa non è quindi idonea a realizzare l' obiettivo di armonizzazione dei periodi minimi di riposo, dei periodi di pausa e di una limitazione della durata settimanale del lavoro, che costituiscono l' oggetto della direttiva.
66 Risulta da quanto precede che il Consiglio, ritenendo che l' obiettivo di armonizzazione, in una prospettiva di progresso, delle legislazioni nazionali nel settore della sicurezza e della salute dei lavoratori non potesse essere realizzato con misure meno vincolanti di quelle previste dalla direttiva, non ha neanche compiuto un errore manifesto.
67 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, il motivo attinente alla violazione del principio di proporzionalità dev' essere anch' esso respinto.
Sul motivo attinente ad uno sviamento di potere
68 Secondo il governo ricorrente, la direttiva contiene numerose misure che non presentano alcun nesso obiettivo con gli scopi enunciati e, per questo motivo, essa va annullata nel suo complesso. Infatti, tali misure lascerebbero in secondo piano gli aspetti molto limitati ° periodi minimi di riposo giornaliero, restrizioni in ordine alla durata massima del lavoro notturno ° per i quali esistono dati scientifici in grado di dimostrare la possibile presenza di un certo nesso causale con la salute e la sicurezza. Questi due elementi, per i quali potevano giustificarsi misure limitate e concrete, sarebbero stati disciplinati in modo impreciso, generico e, pertanto, illegittimo.
69 Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza (v., in particolare, sentenza 13 luglio 1995, causa C-156/93, Parlamento/Commissione, Racc. pag. I-2019, punto 31), costituisce uno sviamento di potere l' adozione, da parte di un' istituzione comunitaria, di un atto allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie.
70 Ora, come risulta dall' esame del motivo basato sull' erroneità del fondamento giuridico, il Consiglio poteva validamente basare la direttiva sull' art. 118 A del Trattato e il governo ricorrente non ha dimostrato che la direttiva è stata adottata allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere un fine diverso da quello della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
71 In queste circostanze, il motivo fondato sullo sviamento di potere dev' essere respinto.
Sul motivo attinente alla violazione di forme sostanziali
72 Il governo del Regno Unito assume, in via principale, che la direttiva è insufficientemente motivata. Essa non indicherebbe in modo chiaro e inequivocabile l' iter logico seguito dall' autorità comunitaria che ha adottato l' atto impugnato in quanto non sarebbe dimostrata l' esistenza del nesso di causalità, richiamato dal legislatore comunitario, tra la salute e la sicurezza dei lavoratori e la maggior parte delle misure contenute nella direttiva in materia di orario di lavoro (artt. 3, 4, 5, 6, n. 2, 7 e 8). Peraltro, nemmeno i 'considerando' della direttiva giustificano la necessità dell' azione comunitaria.
73 In subordine, il governo ricorrente fa valere che la motivazione della direttiva è errata. Infatti, il legislatore avrebbe dovuto spiegare che numerosi elementi della direttiva riguardano il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori dipendenti o la dimensione sociale del mercato interno e non, com' è stato fatto, la salute e la sicurezza dei lavoratori.
74 A tale riguardo, si deve rilevare che è vero che la motivazione richiesta dall' art. 190 del Trattato CE deve far apparire in maniera chiara e non equivoca l' iter logico seguito dall' istituzione da cui promana l' atto controverso, per consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere alla Corte di esercitare il proprio controllo, ma non si richiede che la motivazione contenga tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti (v. sentenza 29 febbraio 1996, causa C-122/94, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I-881, punto 29).
75 Ora, per quanto riguarda la direttiva, si deve constatare che emerge chiaramente dai suoi 'considerando' che le misure contemplate sono dirette all' armonizzazione della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori.
76 E' questo il caso, anzitutto, del primo, terzo, quarto e nono 'considerando' , che fanno riferimento, rispettivamente, all' art. 118 A del Trattato, alla direttiva 89/391 concernente l' attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori e ai principi dell' Organizzazione internazionale del lavoro in materia di organizzazione dell' orario di lavoro.
77 E' questo il caso, ancora, del quinto, settimo e ottavo 'considerando' , nonché dei 'considerando' dall' undicesimo al quindicesimo, che stabiliscono un nesso diretto tra le varie misure riguardanti l' organizzazione dell' orario di lavoro previste dalla direttiva e la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori.
78 L' assunto secondo cui il Consiglio avrebbe dovuto menzionare nei 'considerando' della direttiva riferimenti scientifici concreti per giustificare l' adozione dei vari provvedimenti che costituiscono l' oggetto della direttiva, dev' essere disatteso.
79 Infatti, emerge dal punto 39 della presente sentenza che l' art. 118 A non impone che siano fornite dimostrazioni scientifiche a sostegno di ogni misura adottata in base a tale disposizione. Peraltro, secondo la giurisprudenza della Corte, è superfluo richiedere una motivazione specifica per ciascuna delle scelte tecniche operate dall' atto contestato quando quest' ultimo fa risultare la sostanza dell' obiettivo perseguito dall' istituzione (v. sentenza 29 febbraio 1996, Commissione/Consiglio, citata, punto 29).
80 Parimenti, l' argomento secondo cui i 'considerando' della direttiva non giustificherebbero la necessità dell' intervento comunitario non può considerarsi fondato.
81 Come appare dai punti 75-77 della presente sentenza, risulta dai 'considerando' della direttiva che il Consiglio ha reputato necessario, al fine di garantire un miglior livello di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, procedere all' armonizzazione delle legislazioni nazionali relative all' organizzazione dell' orario di lavoro. Ora, come emerge dal punto 47, la realizzazione di un obiettivo siffatto, sancito dallo stesso art. 118 A, attraverso l' armonizzazione mediante prescrizioni minime, presuppone necessariamente un' azione di dimensioni comunitarie.
82 Infine, per quanto riguarda gli argomenti relativi ai pretesi errori di valutazione contenuti nei 'considerando' della direttiva, è sufficiente ricordare che, per giurisprudenza, questioni di tale genere non possono essere ricondotte al motivo relativo alla violazione di forme sostanziali, bensì al merito (v., in particolare, sentenza 29 febbraio 1996, cause riunite C-296/93 e C-307/93, Francia e Irlanda/Commissione, Racc. pag. I-795, punto 76), e che esse sono state esaminate nell' ambito del motivo relativo all' erroneità del fondamento giuridico.
83 Di conseguenza, il motivo fondato sulla violazione di forme sostanziali deve essere anch' esso disatteso.
84 Pertanto, il ricorso dev' essere respinto, ad eccezione della parte riguardante l' art. 5, secondo comma, della direttiva, che va annullato.
Sulle spese
85 Ai sensi dell' art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio dell' Unione europea ha concluso in tal senso e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è rimasto sostanzialmente soccombente, quest' ultimo deve essere condannato alle spese. A norma del n. 4, primo comma, dello stesso articolo, i regni del Belgio e di Spagna, nonché la Commissione delle Comunità europee, intervenuti nella causa, sopporteranno le proprie spese.
Per questi motivi,
LA CORTE
dichiara e statuisce:
1) L' art. 5, secondo comma, della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell' organizzazione dell' orario di lavoro, è annullato.
2) Il ricorso è respinto per il resto.
3) Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è condannato alle spese.
4) I Regni del Belgio e di Spagna nonché la Commissione delle Comunità europee sopporteranno le proprie spese.