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Document 61994CC0303

Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 30 aprile 1996.
Parlamento europeo contro Consiglio dell'Unione europea.
Direttiva relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari - Prerogative del Parlamento.
Causa C-303/94.

Raccolta della Giurisprudenza 1996 I-02943

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1996:177

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

GIUSEPPE TESAURO

presentate il 30 aprile 1996 ( *1 )

1. 

Con il presente ricorso, il Parlamento chiede l'annullamento della direttiva del Consiglio 27 luglio 1994, 94/43/CE, che definisce l'allegato VI della direttiva 91/414/CEE relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari ( 1 ). Il Parlamento fa valere, al riguardo, che l'adozione di tale direttiva sarebbe avvenuta in violazione delle sue prerogative, atteso che il Consiglio avrebbe modificato gli obblighi imposti agli Stati membri da altre direttive, mentre la modifica di queste ultime avrebbe richiesto il ricorso ad una procedura legislativa che prevede la consultazione del Parlamento. In ogni caso, poi, la direttiva violerebbe l'obbligo di motivazione di cui all'art. 190 del Trattato.

2. 

Per ben comprendere gli argomenti addotti a sostegno delle posizioni difese dalle parti, è necessario anzitutto ricordare quale sia l'oggetto e il contenuto della pertinente normativa comunitaria, in particolare della direttiva impugnata.

La pertinente normativa comunitaria

3.

La direttiva del Consiglio 15 luglio 1991, 91/414/CEE, relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari ( 2 ) (nel prosieguo: la «direttiva di base»), adottata sulla base dell'art. 43 del Trattato, prescrive le regole applicabili dagli Stati membri relativamente all'autorizzazione, alla messa in commercio, all'uso ed al controllo dei prodotti fitosanitari. Ai sensi dell'art. 4, n. 1, di tale direttiva gli Stati membri rilasciano l'autorizzazione per un prodotto fitosanitario soltanto se sono riunite alcune condizioni, in particolare se:

«a)

le sue sostanze attive sono elencate nell'allegato I e sono soddisfatte le condizioni ivi stabilite e, per quanto concerne le lettere b), e), d) ed e), in applicazione dei principi uniformi di cui all'allegato VI;

b)

è accertato, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche e tecniche, e dimostrato dalla valutazione del fascicolo di cui all'allegato III, che se è utilizzato in conformità dell'articolo 3, paragrafo 3 e tenuto conto di tutte le condizioni normali d'impiego e delle conseguenze del suo uso, tale prodotto:

(...)

iv)

non ha effetti nocivi, in maniera diretta o indiretta, sulla salute dell'uomo o degli animali (ad esempio attraverso l'acqua potabile, il cibo o i mangimi) o sulle acque sotterranee;

v)

non ha nessun influsso inaccettabile sull'ambiente, per quanto riguarda, in particolare:

il suo destino e la distribuzione nell'ambiente, con riferimento particolare alla contaminazione delle acque, ivi comprese quelle potabili e sotterranee,

l'impatto sulle specie non bersaglio;

(...)».

Lo stesso articolo 4 prevede inoltre, per quanto qui rileva, che l'autorizzazione deve precisare almeno i requisiti necessari ad assicurare il rispetto delle disposizioni di cui al n. 1, lett. b) (n. 2); e che gli Stati membri devono vigilare affinché il rispetto di tali requisiti sia garantito attraverso prove e analisi ufficiali o ufficialmente riconosciute, condotte in condizioni agricole, fitosanitarie e ambientali appropriate (n. 3). Le autorizzazioni, concesse per una durata determinata non superiore a dieci anni, possono essere riesaminate in qualsiasi momento se risulta che i requisiti di cui al n. 1 non sono più soddisfatti (art. 4, nn. 5 e 6).

I successivi articoli 5 e 6 definiscono poi le condizioni che consentono l'iscrizione delle sostanze attive nell'allegato I, relativo appunto alle «sostanze attive autorizzate ad essere incorporate nei prodotti fitosanitari». L'art. 10, n. 1, sancisce invece il principio del riconoscimento reciproco delle autorizzazioni accordate dagli Stati membri, e ne disciplina le modalità. L'art. 18, infine,

prevede che «il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, adotta i “principi uniformi” di cui all'allegato VI».

4.

Tali principi uniformi, necessari per garantire che gli Stati membri applichino in maniera uniforme, nelle decisioni relative ai prodotti fitosanitari, i requisiti di cui all'art. 4, n. 1, della direttiva di base, sono stati fissati dalla direttiva 94/43/CE, vale a dire dalla direttiva di cui il Parlamento chiede l'annullamento.

Ai fini che qui rilevano, è opportuno anzitutto ricordare il tenore degli ultimi quattro ‘considerando’di tale direttiva, che così recitano:

«considerando che le disposizioni della presente direttiva concernenti la protezione delle acque non pregiudicano gli obblighi che incombono agli Stati membri ai sensi delle direttive in materia e, in particolare, le direttive 75/440/CEE, 80/68/CEE e 80/778/CEE;

considerando che il riesame delle direttive summenzionate è necessario e che bisogna procedervi al più presto possibile;

considerando che, nel frattempo, le disposizioni della presente direttiva concernenti la protezione delle acque hanno carattere transitorio;

considerando che è importante valutare l'impatto dell'utilizzazione dei prodotti fitosanitari sulle acque sotterranee, ma che i modelli attualmente disponibili non consentono di valutare con precisione la concentrazione prevedibile in tali acque; che è necessario pertanto riesaminare le disposizioni del punto C 2.5.1.2.b) dell'allegato VI della direttiva 91/414/CEE non appena modelli riconosciuti a livello comunitario permetteranno una precisa valutazione di tale concentrazione».

Vanno poi ricordate le disposizioni su cui si controverte nel presente ricorso e che concernono, relativamente agli effetti sull'ambiente, le acque sotterranee. Tali disposizioni sono contenute nell'allegato VI, sia nella parte B, relativa alla valutazione delle informazioni comunicate a sostegno delle domande di autorizzazione (punto B 2.5.1.2), sia nella parte C, consacrata al processo decisionale (punto C 2.5.1.2).

Il punto B 2.5.1.2 dispone che:

«Gli Stati membri valutano la possibilità che il prodotto fitosanitario raggiunga le acque sotterranee destinate alla produzione di acqua potabile nelle condizioni d'uso proposte; se esiste questa possibilità, gli Stati membri valutano, ricorrendo ad un modello adatto di calcolo convalidato a livello comunitario, la concentrazione della sostanza attiva, dei metaboliti e prodotti di degradazione e di reazione prevedibili nelle acque freatiche della zona di applicazione prevista dopo l'uso del prodotto fitosanitario secondo le modalità proposte.

Ove non esista un modello di calcolo convalidato a livello comunitario, gli Stati membri fondano in particolare la loro valutazione sui risultati degli studi di mobilità e di persistenza nel suolo previsti negli allegati II e III».

Il punto C 2.5.1.2 è composto di quattro paragrafi, consacrati rispettivamente: a) alle condizioni richieste per concedere un'autorizzazione; b) alla possibilità di rilasciare un'autorizzazione condizionata limitata a una durata di cinque anni al massimo; e) alla possibilità di accordare una nuova autorizzazione condizionata; d) alla possibilità di introdurre in qualsiasi momento, tenendo conto della situazione locale, condizioni o restrizioni appropriate. Data l'importanza che tali paragrafi rivestono ai fini della presente causa, ritengo opportuno riportarne integralmente il testo:

«a)

Un'autorizzazione sarà accordata solo nei seguenti casi:

1.

quando non sono disponibili dati di controllo adeguati e pertinenti relativi alle condizioni di utilizzazione proposte per il prodotto fitosanitario e in base alla valutazione risulta che, dopo l'uso del prodotto fitosanitario alle condizioni proposte, la concentrazione prevedibile della sostanza attiva o dei relativi metaboliti e prodotti di degradazione o reazione nelle acque sotterranee destinate alla produzione di acqua potabile non supera la più bassa delle concentrazioni seguenti:

i)

la concentrazione massima

ammessa fissata dalla direttiva 80/778/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1980, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, oppure

ii)

la concentrazione massima stabilita dalla Commissione al momento di iscrivere la sostanza attiva nell'allegato I in base ai dati appropriati, in particolare, tossicologici, ovvero, se questa non sia stata stabilita, la concentrazione equivalente a un decimo della DGA stabilita all'atto dell'inclusione della sostanza attiva nell'allegato I;

2.

quando sono disponibili dati di controllo adeguati e pertinenti alle condizioni di utilizzazione proposte per il prodotto fitosanitario, da cui risulti che in pratica, dopo l'uso del prodotto fitosanitario alle condizioni proposte, la concentrazione della sostanza attiva o dei relativi metaboliti e prodotti di degradazione o reazione nelle acque sotterranee destinate alla produzione di acqua potabile non ha superato o non supera più né rischia di superare la concentrazione massima appropriata di cui al precedente punto 1.

b)

Indipendentemente dalle disposizioni di cui alla lettera a) e quando la concentrazione di cui alla lettera a) punto 1) ii) è superiore a quella di cui alla lettera a) punto 1) i), può essere rilasciata un'autorizzazione sottoposta a condizione diversa dall'autorizzazione ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 1 della presente direttiva, e limitata a una durata massima di 5 anni, purché siano riunite le condizioni di cui ai seguenti punti 1) o 2):

1.

quando non sono disponibili dati di controllo adeguati e pertinenti alle condizioni di utilizzazione proposte per il prodotto fitosanitario, il rilascio dell'autorizzazione soggetta a condizione sarà subordinato ai seguenti requisiti:

i)

in base alla valutazione deve risultare che, dopo l'uso del prodotto fitosanitario alle condizioni proposte, la concentrazione prevedibile della sostanza attiva o dei relativi metaboliti e prodotti di degradazione o reazione nelle acque sotterranee destinate alla produzione di acqua potabile non supera i valori massimi di cui alla lettera a) punto 1)

ii);

ii)

si deve garantire l'introduzione o la proroga nello Stato membro di un programma di controllo adeguato, che comprenda zone a rischio di contaminazione, basato su metodi di campionamento e di analisi pertinenti, che permetta di valutare un eventuale superamento della concentrazione massima citata alla lettera a) punto 1) i); spetta agli Stati membri decidere chi dovrà sostenere il costo di tale programma di controllo;

iii)

se del caso, l'autorizzazione deve essere legata a condizioni o a restrizioni per quanto riguarda l'uso dei prodotti in questione, menzionate sull'etichetta, tenendo conto della situazione fitosanitaria, agronomica e ambientale nonché climatica nella regione in cui è prevista l'utilizzazione;

iv)

se necessario, l'autorizzazione soggetta a condizione viene modificata o revocata, conformemente alle disposizioni dell'articolo 4, paragrafi 5 e 6, allorché i risultati del controllo dimostrano che, malgrado l'imposizione delle condizioni o restrizioni di cui al precedente punto iii), dopo l'uso del prodotto fitosanitario alle condizioni proposte la concentrazione della sostanza attiva o dei relativi metaboliti e prodotti di degradazione o reazione nelle acque sotterranee destinate alla produzione di acqua potabile supera i valori di cui alla lettera a) punto 1) i);

2.

quando sono disponibili dati di controllo adeguati e pertinenti alle condizioni di utilizzazione del prodotto fitosanitario da cui risulti che in pratica, dopo l'uso del prodotto fitosanitario alle condizioni proposte, non c'è rischio che la concentrazione della sostanza attiva o dei relativi metaboliti e prodotti di degradazione o reazione nelle acque sotterranee destinate alla produzione di acqua potabile superi la concentrazione massima di cui alla lettera a) punto 1) i), il rilascio dell'autorizzazione condizionale sarà subordinato ai seguenti requisiti:

i)

indagine preliminare sull'entità del rischio di un superamento della concentrazione massima di cui alla lettera a) punto 1) i) e dei fattori implicati;

ii)

introduzione o proroga nello Stato membro di un programma adeguato, costituito da azioni di cui alla lettera b) punto 1) ii), iii) e iv), onde assicurare che in pratica la concentrazione non superi i valori massimi ammessi di cui alla lettera a) punto 1) i).

e)

Se, allo scadere dell'autorizzazione soggetta a condizione, i risultati del controllo dimostrano che in pratica la concentrazione della sostanza attiva o dei relativi metaboliti e prodotti di degradazione o reazione risultanti dall'uso del prodotto fitosanitario alle condizioni proposte nelle acque sotterranee destinate alla produzione di acqua potabile è stata ridotta a un livello vicino alla concentrazione massima ammessa di cui alla lettera a) punto 1) i), e se si prevede che altre modifiche delle condizioni di utilizzazione proposte possano garantire una riduzione della concentrazione prevedibile al di sotto di tale valore massimo, una nuova autorizzazione soggetta a condizione comprendente queste nuove modifiche può essere concessa per un solo periodo non superiore a 5 anni.

d)

Uno Stato membro può in qualsiasi momento introdurre condizioni o restrizioni appropriate all'uso del prodotto tenendo conto della locale situazione fitosanitaria, agronomica, ambientale nonché climatica, al fine di rispettare la concentrazione di cui alla lettera a) punto 1) i) nelle acque destinate al consumo umano, conformemente alle disposizioni della direttiva 80/778/CEE».

5.

Nella presente procedura vengono altresì in rilievo tre direttive del Consiglio, concernenti la qualità e/o la protezione delle acque: a) la direttiva 16 giugno 1975, 75/440/CEE, concernente la qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile negli Stati membri ( 3 ) b) la direttiva 17 dicembre 1979, 80/68/CEE, concernente la protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose ( 4 ) e) la già citata direttiva 80/778/CEE concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano ( 5 ). Le tre direttive in questione hanno in comune la base giuridica, vale a dire gli artt. 100 e 235 del Trattato.

a)

La direttiva 75/440/CEE riguarda i requisiti che devono soddisfare, dopo i trattamenti del caso, le acque dolci superficiali utilizzate o destinate ad essere utilizzate per la produzione di acqua potabile. Tale direttiva, che non si applica alle acque sotterranee, alle acque salmastre ed alle acque destinate alla rialimentazione delle falde sotterranee, definisce come acqua potabile «tutte le acque superficiali destinate al consumo umano, distribuite da reti di canalizzazione ad uso della collettività» (art. 1, n. 2).

b)

La direttiva 80/68/CEE, per parte sua, definisce le acque sotterranee come «tutte le acque che si trovano sotto la superficie del suolo nella zona di saturazione e a contatto diretto con il suolo e il sottosuolo» (art. 1, n. 2, lett. a). Tale direttiva, che classifica le sostanze pericolose in due distinti elenchi, impone agli Stati membri, da un lato, di impedire l'immissione nelle acque sotterranee delle sostanze pericolose enumerate nell'elenco I; dall'altro, di limitare l'immissione, nelle stesse acque ed al fine di evitarne l'inquinamento, di quelle enumerate nell'elenco II (art. 3).

e)

La direttiva 80/778/CEE, che non si applica alle acque minerali e alle acque medicinali, definisce le acque destinate al consumo umano come «tutte le acque utilizzate a tal fine allo stato in cui si trovano o dopo trattamento, qualunque ne sia l'origine: sia che si tratti di acque fornite al consumo, sia che si tratti di acque utilizzate in un'impresa alimentare (...) e che possono avere conseguenze sulla salubrità del prodotto alimentare finale» (art. 2). Nella stessa direttiva è precisato, per quanto qui rileva, che spetta agli Stati membri fissare, per i parametri che figurano nell'allegato I, i valori applicabili alle acque destinate al consumo umano; rispetto ad alcuni di taluni parametri i valori da fissare devono essere inferiori o uguali ai valori indicati per ciascuno di essi nello stesso allegato I, colonna «Concentrazione massima ammissibile» (art. 7). Gli Stati membri possono prevedere deroghe alla direttiva in ipotesi precisate dalla stessa (artt. 9 e 10).

Infine, è imposto agli Stati membri di vigilare affinché l'applicazione delle disposizioni della direttiva «non possa avere come effetto di consentire, direttamente o indirettamente, la degradazione dell'attuale qualità delle acque destinate al consumo umano né l'aumento dell'inquinamento delle acque destinate alla produzione di acqua potabile» (art. 11); nonché di procedere a controlli periodici riguardanti tutte le acque destinate al consumo umano, nel punto in cui sono messe a disposizione dell'utilizzatore, per verificare se sono conformi ai criteri fissati dalla direttiva (art. 12).

I motivi di ricorso del Parlamento

6.

A sostegno del suo ricorso in annullamento, il Parlamento invoca tre motivi. Più precisamente esso sostiene che, attraverso l'adozione dell'atto litigioso, il Consiglio: a) avrebbe modificato, senza avvalersi della procedura legislativa che implica la sua consultazione, gli obblighi imposti agli Stati membri dalla direttiva di base; b) avrebbe modificato, nelle stesse condizioni, gli obblighi imposti agli Stati membri dalla direttiva 80/778/CEE; e) avrebbe omesso, violando in tal modo l'art. 190 del Trattato, di indicare i motivi atti a giustificare la modifica in questione.

In sostanza, la tesi del Parlamento è che le sue prerogative risulterebbero violate per il fatto stesso che una direttiva di esecuzione, la direttiva controversa, avrebbe modificato la direttiva di base e la direttiva 80/778/CEE. Essendo la prima fondata sull'art. 43 del Trattato e la seconda sugli artt. 100 e 235 dello stesso, una loro modifica avrebbe infatti necessitato il ricorso a queste stesse basi giuridiche, che — è appena il caso di ricordarlo — richiedono la consultazione del Parlamento.

Sulla ricevibilità

7.

Il Consiglio, pur non sollevando una formale eccezione di irricevibilità, sottolinea che il ricorso è ricevibile unicamente nella misura in cui sia inteso alla tutela delle prerogative del Parlamento e si fondi soltanto su motivi dedotti dalla violazione di queste.

Al riguardo, ricordo preliminarmente che, come chiarito dalla stessa Corte, le condizioni cui è subordinata la legittimazione ad agire del Parlamento con ricorso in annullamento sono soddisfatte «quando il Parlamento indica in modo pertinente l'oggetto della sua prerogativa che dev'essere salvaguardata e la pretesa violazione di quest'ultima» ( 6 ).

8.

Orbene, è indubbio che il diritto di essere consultato ai sensi di una disposizione del Trattato costituisce una prerogativa del Parlamento, con la conseguenza che il primo ed il secondo motivo senz'altro soddisfano le richiamate condizioni. Con essi, infatti, il Parlamento intende dimostrare che la direttiva impugnata si pone in contrasto con talune disposizioni di direttive di base la cui modifica avrebbe richiesto come fondamento giuridico norme del Trattato che prevedono la sua consultazione.

9.

Più di una perplessità comporta invece, sotto tale profilo, il motivo fondato sulla violazione dell'obbligo di motivazione. Il Parlamento fa valere, in sostanza, che una motivazione insufficiente o erronea di un atto la cui adozione è suscettibile di arrecare pregiudizio alle sue prerogative costituirebbe — di per sé — una violazione autonoma delle stesse. In particolare, esso rileva che gli ultimi quattro ‘considerando’della direttiva controversa farebbero apparire che le sue prerogative sarebbero state pienamente rispettate, allorché così non è. Di qui l'istituzione ricorrente deduce che siffatta motivazione neppure le consentirebbe di esercitare il diritto di controllo che le è affidato dal Trattato.

Il Consiglio ribatte a tale argomentazione che un'eventuale violazione dell'obbligo di motivazione di cui all'art. 190 del Trattato non potrebbe comunque essere considerata tale da costituire una autonoma violazione delle prerogative del Parlamento. Quest'ultimo non può prevalersi di tale violazione

nell'ipotesi in cui la base giuridica di un atto non richieda la sua partecipazione alla procedura legislativa. In ogni caso, poi, esso aggiunge che la direttiva controversa comprende ben otto ‘considerando’ da cui si evince in modo chiaro la motivazione che ha condotto alla sua adozione.

10.

Al riguardo, ricordo anzitutto che la Corte ha escluso la ricevibilità di un ricorso del Parlamento nella misura in cui era fondato sull'art. 190, adducendo che «il Parlamento, allorché sostiene che le disposizioni litigiose non sono sufficientemente motivate alla luce di quanto disposto in tale articolo, non indica in modo pertinente in che cosa una violazione siffatta, ammessa l'esattezza di tale assunto, sia idonea a ledere le sue prerogative» ( 7 ).

Orbene, la tesi secondo cui l'insufficiente o erronea motivazione di un atto la cui adozione potrebbe in ipotesi ledere le prerogative del Parlamento, ne costituirebbe autonoma violazione, può essere considerata un'indicazione pertinente del modo in cui una tale violazione dell'obbligo di motivazione, ammesso che sussista, sia idonea a ledere le sue prerogative? Del pari, una tale indicazione può essere ravvisata nel preteso diritto del Parlamento di verificare, avendo partecipato all'adozione delle direttive di base, che la direttiva controversa rispetti le disposizioni del Trattato?

11.

La risposta a tali interrogativi non può che essere negativa. Le stesse argomentazioni del Parlamento dimostrano invero che l'eventuale violazione dell'obbligo di motivazione non integra affatto una autonoma violazione delle prerogative del Parlamento. In particolare, è da escludere che il preteso diritto di verificare che la direttiva litigiosa rispetti le disposizioni del Trattato, anche nell'ipotesi in cui esso non partecipi alla sua adozione, possa essere configurato come una prerogativa del Parlamento. Ed infatti, se nelle prerogative del Parlamento fosse ricompreso il diritto di verificare la corretta attuazione del diritto comunitario in ragione del controllo politico ad esso conferito dal Trattato ovvero per il fatto che esso è intervenuto nella procedura legislativa di altri atti relativi allo stesso settore, la legittimazione ad agire dinanzi alla Corte, con ricorso in annullamento, verrebbe ad essergli riconosciuta in termini pressoché generali, ciò che è precluso sia dalla lettera dell'art. 173, n. 3, quale modificato dal Trattato di Maastricht, sia dalla giurisprudenza in materia ( 8 ).

Le osservazioni che precedono mi inducono pertanto a concludere per l'irricevibilità del motivo relativo alla violazione dell'obbligo di motivazione di cui all'art. 190 del Trattato.

Sul merito

a) Motivo revivo alla modifica detta direttiva di base

12.

Il Parlamento fa valere, come già accennato, che la direttiva controversa, lungi dall'essere una mera direttiva di esecuzione della direttiva di base, avrebbe in realtà modificato la portata di quest'ultima. Di conseguenza, essa non avrebbe dovuto essere adottata sulla base dell'art. 18, n. 1, della direttiva di base ( 9 ), bensì con la stessa procedura di adozione della direttiva che si assume modificata, vale a dire sulla base dell'art. 43 del Trattato.

In proposito, ricordo preliminarmente che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, «non si può pretendere che tutti i particolari dei regolamenti relativi alla politica agricola comune siano fissati dal Consiglio mediante il procedimento di cui all'art. 43 del Trattato, il quale si deve ritenere osservato qualora i punti essenziali della emananda disciplina siano stati stabiliti in modo conforme al procedimento ivi contemplato, e le disposizioni di attuazione dei regolamenti di base possono essere adottate dal Consiglio secondo un procedimento diverso da quello di cui all'art. 43 del Trattato (...). Tuttavia un regolamento di esecuzione (...), adottato senza consultazione del Parlamento, deve rispettare gli elementi essenziali della materia che sono stati fissati nel regolamento di base previa siffatta consultazione» ( 10 ). Ciò significa, rispetto al caso che ci occupa, che occorre verificare se le disposizioni dell'allegato VI su cui si controverte costituiscono delle mere modalità di attuazione della direttiva di base ovvero sono tali da modificarne i principi sostanziali.

13.

Orbene, è indubbio che, mentre l'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva di base impone agli Stati membri, tra l'altro, di vigilare affinché un prodotto fitosanitario sia autorizzato soltanto se «non ha effetti nocivi, in maniera diretta o indiretta (...) sulle acque sotterranee» e «non ha nessun influsso inaccettabile sull'ambiente (...), con riferimento particolare alla contaminazione delle acque, ivi comprese quelle potabili e sotterranee», la direttiva controversa fa invece riferimento — nei punti B 2.5.1.2 e C 2.5.1.2 dell'allegato — alle sole «acque sotterranee destinate alla produzione di acqua potabile». Le ricordate disposizioni dell'allegato, dunque, limitano la categoria di acque sotterranee prese in considerazione in funzione degli effetti dei prodotti fitosanitari per i quali è richiesta l'autorizzazione.

Ad avviso del Parlamento, secondo il quale le disposizioni in questione sarebbero tali da diminuire il grado di protezione delle acque sotterranee, quali definite dall'art. 1 della direttiva 68/80/CEE, il Consiglio era invece tenuto a stabilire principi uniformi per ognuno dei requisiti di cui all'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva di base; e, dunque, anche rispetto alle acque sotterranee non destinate alla produzione di acqua potabile. Diversamente, lo stesso Consiglio non avrebbe potuto procedere ad una tale modifica della direttiva di base senza osservare la procedura di cui all'art. 43 del Trattato.

14.

Il Consiglio, per parte sua, spiega che, diversamente da quanto previsto per le acque superficiali e per le acque sotterranee destinate alla produzione di acqua potabile, non ha ritenuto indispensabile l'armonizzazione dei criteri da applicare in relazione agli effetti sulle acque non destinate a tale produzione. Esso contesta tuttavia che la direttiva controversa comporti una diminuzione del grado di protezione delle acque sotterranee quali definite all'art. 1 della direttiva 68/80/CEE, facendo valere che la protezione delle acque sotterranee continua ad essere garantita dalla direttiva da ultimo citata, le cui prescrizioni non sono affatto scalfite dalla direttiva controversa. Quest'ultima, pertanto, non avrebbe affatto ridotto il livello di protezione di tali acque, che invece risulterebbe rafforzato, sia pure limitatamente a quelle destinate alla produzione di acqua potabile.

Il Consiglio riconosce dunque che la direttiva controversa non è esaustiva rispetto all'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva di base, ma ritiene che questo solo fatto non possa essere considerato tale da renderla illegittima. In particolare, esso fa valere che la legittimità di un atto di esecuzione può essere messa in discussione solo nell'ipotesi in cui tale atto abbia oltrepassato l'ambito dell'attuazione dei principi stabiliti dall'atto di base e non nell'ipotesi inversa, che è appunto quella della direttiva litigiosa; ciò sarebbe confermato dalla stessa giurisprudenza della Corte, in particolare da una sentenza del 23 febbraio 1995 ( 11 ).

15.

Dirò subito che non condivido la tesi del Consiglio. Ritengo infatti che non possa affatto escludersi l'illegittimità di un atto di esecuzione per il solo fatto che, lungi dall'oltrepassare l'ambito di attuazione dei principi stabiliti dall'atto di base, si limiti all'attuazione di alcuni principi e non di altri. Resta, infatti, che l'atto di esecuzione deve rispettare gli elementi essenziali fissati nell'atto di base e che tale esigenza potrebbe essere disconosciuta anche attraverso una lacuna nelle misure di esecuzione. Una tale conclusione non è assolutamente contraddetta dalla sentenza citata dal Consiglio, sentenza maturata in un contesto completamente diverso e del tutto irrilevante ai nostri fini ( 12 ).

Aggiungo poi che neppure comprendo l'affermazione del Consiglio secondo cui la protezione delle acque sotterranee continua ad essere garantita dalla direttiva 80/68/CEE e che pertanto non sarebbe indebolita dalla direttiva litigiosa, atteso che quest'ultima ne lascia inalterate le prescrizioni. Al riguardo, mi limito ad osservare che non è qui in discussione la compatibilità della direttiva controversa con la direttiva 80/68/CEE, bensì la mancata presa in considerazione, nella direttiva controversa, della protezione delle acque sotterranee diverse da quelle destinate alla produzione di acqua potabile rispetto agli effetti dei prodotti fitosanitari su tali acque.

16.

Ora, considerato che la direttiva di base espressamente subordina il rilascio delle autorizzazioni ad una verifica degli effetti che i prodotti in questione possono avere anche sulle acque sotterranee, la mia conclusione è che la censura del Parlamento è fondata. Ritengo infatti che, omettendo di prendere in considerazione tutte le acque sotterranee, la direttiva controversa non abbia rispettato gli elementi essenziali della materia in questione. In altre parole, nella misura in cui il rispetto dell'ambiente — ivi comprese le acque sotterranee — costituisce una delle condizioni essenziali alle quali la direttiva subordina il rilascio delle autorizzazioni, l'omissione in questione comporta una modifica sostanziale dell'approccio e dei principi della direttiva di base.

Tale conclusione trova conferma nella motivazione di tale direttiva, in cui è precisato che «le condizioni di autorizzazione debbono garantire un elevato livello di protezione onde evitare soprattutto che vengano autorizzati prodotti fitosanitari i cui rischi per la salute, le acque sotterranee e l'ambiente non siano stati adeguatamente studiati; (e) che la protezione della salute dell'uomo e degli animali e la protezione dell'ambiente sono prioritarie rispetto all'obiettivo di migliorare la produzione vegetale» ( 13 ).

b) Il motivo relativo alla modifica della direttiva 80/778/CEE

17.

Con la seconda censura il Parlamento fa valere che il punto C 2.5.1.2, lett. a) e b), nella misura in cui consente agli Stati membri di rilasciare un'autorizzazione condizionata per un prodotto fitosanitario la cui concentrazione prevedibile nelle acque sotterrranee destinate alla produzione di acqua potabile non rispetta la concentrazione massima fissata dalla direttiva 80/778/CEE, viola le sue prerogative sotto un duplice profilo.

Da un lato, infatti, tali disposizioni modificherebbero l'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva di base, le cui espressioni «effetto nocivo» e «influenza inaccettabile» non possono che essere interpretate alla luce delle pertinenti disposizioni applicabili, in particolare di quelle che hanno fissato la concentrazione massima ammissibile di pesticidi nell'acqua destinata al consumo umano. Dall'altro, le stesse disposizioni permetterebbero agli Stati membri di autorizzare dei prodotti fitosanitari in condizioni contrarie alle prescrizioni della direttiva 80/778/CEE, in particolare non imponendo il rispetto della concentrazione massima ammissibile fissata da detta direttiva.

18.

Il Consiglio si difende sostenendo che la tesi del Parlamento è fondata su una interpretazione erronea della relazione tra la direttiva controversa e la direttiva 80/778/CEE. Al riguardo, esso rileva che la prima è una direttiva di esecuzione, fondata sull'art. 18 della direttiva di base, a sua volta fondata sull'art. 43 del Trattato; dunque, una direttiva che persegue obiettivi di politica agricola comune e che, in tale ottica, fissa dei criteri che gli Stati membri sono tenuti a rispettare allorché autorizzano l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari. La seconda è invece una direttiva di armonizzazione, fondata sugli artt. 100 e 235 del Trattato, che determina le condizioni alle quali le acque possono essere destinate al consumo umano e che pertanto persegue un diverso obiettivo. Tenuto conto del diverso oggetto delle direttive in questione, il Consiglio conclude nel senso che la sola conseguenza derivante dagli effetti nocivi determinati dall'utilizzo di prodotti fitosanitari autorizzati consisterebbe nell'obbligo per gli Stati membri di impedire che tali acque siano destinate al consumo umano.

Insomma, il Consiglio riconosce che l'applicazione della direttiva controversa potrebbe avere come effetto un degrado delle acque destinate al consumo umano, ma fa valere che tale eventualità comunque non determina incompatibilità tra le due direttive in questione.

19.

Ritengo corretta la tesi del Consiglio. La direttiva 80/778/CEE, infatti, «stabilisce i requisiti di qualità delle acque destinate al consumo umano» (art. 1). Ciò significa che gli Stati membri sono tenuti a far sì che le acque destinate al consumo umano soddisfino i requisiti di qualità da essa sanciti e dunque, in particolare, che sia assicurato il rispetto della «concentrazione massima ammissibile», relativa alle singole sostanze attive, fissata dalla stessa direttiva. Allorché tale «concentrazione massima ammissibile» non sia o non risulti più rispettata — vuoi a causa dell'applicazione della direttiva controversa, vuoi per altre cause — l'unica conseguenza sarà che l'acqua in questione non potrà più essere considerata destinata al consumo umano.

Il Parlamento obietta che in tal modo potremmo arrivare ad una situazione in cui tutte le fonti sono dichiarate non più destinate al consumo umano, in quanto non soddisfano più i criteri di qualità prescritti dalla direttiva. Augurandomi di tutto cuore che una previsione così catastrofica non si avveri mai, ricordo che la stessa direttiva 80/778/CEE, nel definire le acque destinate al consumo umano, fa riferimento a «tutte le acque utilizzate a tal fine allo stato in cui si trovano o dopo trattamento» ( 14 ). Deve pertanto riconoscersi che la stessa direttiva, nel consentire agli Stati membri di trattare le acque al fine di destinarle al consumo umano, rende evidente che non vi è alcuna incompatibilità con la direttiva controversa. A conclusione non diversa si giunge anche ove si prenda in considerazione l'art. 11 della direttiva 80/778/CEE, in base al quale è vietato agli Stati membri «consentire, direttamente o indirettamente, la degradazione dell'attuale qualità delle acque destinate al consumo umano». Tale disposizione è infatti non pertinente nella misura in cui, come specificato dalla stessa, essa riguarda «l'applicazione delle disposizioni adottate a norma della presente direttiva».

20.

La circostanza che sia la stessa normativa comunitaria a consentire il superamento della «concentrazione massima ammissibile», oltre ad essere di per sé deplorabile, mi induce peraltro a ritenere fondata la censura in questione rispetto all'altro profilo fatto valere dal Parlamento, vale a dire relativamente all'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva di base. Non vedo infatti come possa sostenersi che il rilascio di autorizzazioni per prodotti fitosanitari il cui uso porti a superare la «concentrazione massima ammissibile» non abbia «effetti nocivi, in maniera diretta o indiretta, sulla salute dell'uomo o degli animali (ad esempio attraverso l'acqua potabile, il cibo o i mangimi)»; né alcun «influsso inaccettabile sull'ambiente, (...) con riferimento particolare alla contaminazione delle acque, ivi comprese quelle potabili e sotterranee» [art. 4, n. 1, lett. b), punti iv) e v), della direttiva di base].

In definitiva, ritengo che la direttiva controversa abbia, anche sul punto in questione, modificato i principi essenziali della direttiva di base. E ciò per le stesse ragioni evidenziate rispetto al primo motivo, dunque nella misura in cui risulta così alterato e contraddetto l'approccio cui è ispirata la direttiva di base.

21.

Alla luce delle osservazioni che precedono, propongo pertanto alla Corte di:

annullare la direttiva del Consiglio 27 luglio 1994, 94/43/CE, che definisce l'allegato VI della direttiva 91/414/CEE relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari;

condannare il Consiglio alle spese di giudizio.


( *1 ) Lingua originale: l'italiano.

( 1 ) GU L 227, pag. 31.

( 2 ) GU L 230, pag. 1.

( 3 ) GU L 194, pag. 34.

( 4 ) GU 1980, L 20, pag. 43.

( 5 ) GU L 229, pag. 11.

( 6 ) V, da ultimo, sentenzi 13 luglio 1995, causa C-156/93, Parlamento/Commissione (Racc. pag. I-2019, punto 10).

( 7 ) Sentenza 13 luglio 1995 (citata alla nou 6), punto 11.

( 8 ) V., tra le altre, sentenza 2 marzo 1994, causa C-316/91, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I-625, punto 12); sentenza 28 giugno 1994, causa C-187/93, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I-2857, punti 14 e 15); e sentenza 13 luglio 1995, citata, punto 10.

( 9 ) Tale disposizione, lo ricordo, prevede appunto l'adozione da parte del Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, dei principi uniformi di cui all'allegato VI. Si tratta dunque di un caso in cui il Consiglio ha fatto uso della possibilità, prevista dall'art. 145 del Trattato, di riservare a sé stesso l'esercizio delle competenze di esecuzione delle norme da esso stabilite. A! riguardo, rilevo che nel corso della procedura il Parlamento ha quantomeno adombrato che una siffatta delega non risulta corredata dalla necessaria e circostanziata motivazione, pure richiesta dalla giurisprudenza della Corte (sentenza 24 ottobre 1989, causa 16/88, Racc. pag. 3457, punto 10). Tale eventuale violazione, che peraltro ben difficilmente potrebbe essere considerata tale da ledere le prerogative del Parlamento, non si c comunque tradotta in una specifica censura.

( 10 ) V., tra le altre, sentenza 16 giugno 1987, causa 46/86, Romkes (Racc. pag. 2671, punto 16); e sentenza 13 luglio 1995, citata, punto 18).

( 11 ) Cause riunite C-54/94 e C-74/94, Cacchiarelli e Stanghellini (Race. pag. I-391, punto 14).

( 12 ) È vero infatti che le misure di esecuzione della direttiva di base rilevante nella specie — la direttiva del Consiglio 27 novembre 1990, 90/642/CEE, che fissa le percentuali massime di residui di antiparassitari su e in alcuni prodotti di origine vegetale, compresi gli ortofrutticoli (GU L 350, pag. 71) — non riguardano tutti gli antiparassitari potenzialmente rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva di base. In quel caso tuttavia, in cui peraltro non era assolutamente in discussione la legalità della direttiva di esecuzione, la stessa direttiva di base precisava nella motivazione (v. decimo ‘considerando’) l'esigenza di fissare quantità massime solo per «talune sostanze attive», con la conseguenza che la pretesa non esaustività dell'allegato adottato con la direttiva di esecuzione, invocata dal Consiglio per fare un parallelo con il caso che ci occupa, c perfettamente in linea con la direttiva di base.

( 13 ) Nono ‘considerando’della direttiva. Il corsivo è mio.

( 14 ) Il corsivo è mio.

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