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Document 61994CC0101

Conclusioni dell'avvocato generale Lenz del 19 marzo 1996.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
Attività di intermediazione mobiliare.
Causa C-101/94.

Raccolta della Giurisprudenza 1996 I-02691

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1996:115

61994C0101

Conclusioni dell'avvocato generale Lenz del 19 marzo 1996. - Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana. - Attività di intermediazione mobiliare. - Causa C-101/94.

raccolta della giurisprudenza 1996 pagina I-02691


Conclusioni dell avvocato generale


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A - Introduzione

1 Nella specie la Commissione ha proposto ricorso per inadempimento nei confronti della Repubblica italiana a seguito dell'emanazione da parte di quest'ultima della legge 2 gennaio 1991, n. 1, recante disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei mercati mobiliari (in prosieguo: la «legge») (1), legge in cui la Commissione ha individuato la sussistenza di una violazione degli artt. 52 e 59 del Trattato.

2 La materia disciplinata dalla detta legge rientra incontestabilmente nella sfera di applicazione ratione materiae delle direttive del Consiglio 10 maggio 1993, 93/22/CEE, relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari (2), e 15 marzo 1993, 93/6/CEE, relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi (3), direttive entrate peraltro in vigore solo successivamente all'epoca dei fatti di cui è causa (4), ragion per cui esse restano irrilevanti ai fini della decisione della controversia.

3 L'attenzione della Commissione è stata richiamata sulla normativa censurata a seguito di denunce di operatori economici secondo i quali la detta legge costituiva ostacolo all'esercizio della propria attività.

4 La legge prescrive che gli intermediatori mobiliari, che non siano banche (5), debbano assumere, ai fini dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività, la forma giuridica della società per azioni (SpA) ovvero della società in accomandita per azioni (S.acc.pA), avente obbligatoriamente sede sociale in Italia e recante obbligatoriamente nella ditta la dicitura «Società di intermediazione mobiliare» (6) (in prosieguo: la «SIM»).

5 Per effetto di tali requisiti di ammissibilità di natura generale e cogente, è fatto divieto agli intermediatori immobiliari di altri paesi membri di operare sul mercato italiano mediante filiali o agenzie, così come non è loro consentito effettuare prestazioni di servizi transfrontaliere senza procedere ad uno spostamento della propria sede. Sempre secondo quando affermato dalla Commissione, operazioni promosse da persone fisiche o giuridiche di altri Stati membri sono vietate.

6 Secondo la Commissione, lo spettro d'azione di tale limitazione sarebbe molto grande in considerazione dell'ampiezza della definizione di operazioni di intermediazione mobiliare, di cui all'art. 1, primo comma, della detta legge, che secondo la Commissione costituirebbe una misura di carattere protezionistico. In caso di sua violazione sono previste sanzioni penali oltre alla nullità delle relative operazioni.

7 La Commissione sottolinea che il ricorso non deve essere inteso nel senso che essa esige il riconoscimento automatico ed incondizionato degli intermediatori mobiliari di altri Stati membri. Ciò che essa censura è invece il carattere assoluto della limitazione. Dagli artt. 52 e 59 del Trattato CEE deriverebbe l'obbligo comunitario di tener conto, nell'ambito del procedimento di autorizzazione all'esercizio dell'attività, delle situazioni di fatto e di diritto in cui operano gli intermediatori mobiliari di altri paesi membri, ai quali potrebbe essere eventualmente riconosciuto un diritto soggettivo all'ottenimento della detta autorizzazione, per il cui rilascio lo Stato membro dovrebbe predisporre un apposito procedimento provvisto di opportuni rimedi giuridici.

8 Il governo italiano contesta sia gli argomenti di fatto dedotti dalla Commissione sia gli effetti che ne vengono derivati. Esso afferma invece che l'emanazione della detta legge sarebbe diretta alla tutela di interessi di carattere generale, quali la tutela degli investitori e la stabilità del mercato finanziario, ragion per cui la legge sarebbe del tutto giustificata. Le finalità della legge, consistenti nella protezione della stabilità e trasparenza dei mercati sarebbero state riconosciute, ad esempio, meritevoli di tutela anche dallo statuto della Banca centrale europea e dovrebbero quindi valere, sulla base dell'applicazione analogica dell'art. 36 del Trattato, anche nella sfera dell'applicazione degli artt. 52 e 59.

9 Alla luce delle peculiari caratteristiche del settore, occorrerebbe procedere all'armonizzazione prima del riconoscimento, come già affermato nel Libro Bianco della Commissione relativo all'organizzazione del mercato unico (7). In considerazione della specificità del mercato e degli interessi da tutelare potrebbero essere riconosciute solo norme equivalenti. In assenza di norme minime comuni non sarebbe possibile nemmeno un riconoscimento parziale, considerata la rilevanza che la normativa assume intesa nel suo complesso. L'efficacia diretta degli artt. 52 e 59 del Trattato incontrerebbe quindi i propri stessi limiti. Inoltre, se fosse corretta la posizione della Commissione, le direttive emanate risulterebbero inutili.

10 La Commissione chiede che la Corte voglia:

1. constatare che, limitando l'esercizio dell'attività di intermediazione mobiliare da parte degli intermediari non bancari alle società con sede legale in Italia e rispondenti ad altri requisiti che non possono essere soddisfatti da società non italiane (in particolare l'inclusione della dicitura "Società di intermediazione mobiliare" nella denominazione sociale), ed omettendo di prevedere un'idonea procedura per tener conto del rispetto da parte degli intermediari di altri Stati membri dei requisiti della legislazione italiana in materia di intermediazione mobiliare o di requisiti equivalenti della legislazione dello Stato membro d'origine al fine di evitare una duplicazione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'art. 52 del Trattato CE;

2. constatare che la Repubblica italiana, limitando l'esercizio dell'attività di intermediazione mobiliare ai soli intermediari con sede legale in Italia, e pretendendo il rispetto di tutte le norme della legislazione italiana da parte degli intermediari, diversi dalle banche, degli altri Stati membri che intendano offrire servizi su base trasfrontaliera, senza tenere conto delle situazioni in cui tali norme non soddisfano i criteri di indispensabilità, proporzionalità e non duplicazione rispetto alle disposizioni della legislazione dello Stato membro di origine, è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'art. 59 del Trattato CE;

3. condannare la Repubblica italiana alle spese processuali».

11 Il governo italiano chiede che la Corte voglia:

1. respingere il ricorso;

2. condannare la ricorrente alle spese.

12 Ulteriori precisazioni relative ai fatti di cui è causa nonché ai motivi ed argomenti delle parti saranno esposte nell'ambito della seguente esegesi giuridica.

B - Parere

I - Considerazioni introduttive

13 La materia disciplinata dalla legge censurata si colloca al confine tra libertà di stabilimento, libera prestazioni di servizi e libera circolazione dei capitali. Il comun denominatore di tali tre libertà è costituito dal fatto che si tratta di libertà fondamentali conosciute dal diritto comunitario. Mentre le norme di base dettate dal Trattato in materia di libertà di stabilimento e di prestazione di servizi erano direttamente applicabili, conformemente alla giurisprudenza della Corte (8), già prima della scadenza del periodo transitorio, completamente diversa è la situazione in materia di libera circolazione di capitali, materia in cui la Corte ha riconosciuto fondamentalmente potere decisorio al Consiglio (9).

14 Occorre necessariamente procedere ad una delimitazione delle singole materie, in quanto il Trattato prevede nel settore della circolazione dei capitali deroghe dalle norme generali con riguardo sia alla libertà di stabilimento sia alla libera prestazioni di servizi (10).

15 L'art. 52, secondo comma, così recita:

«La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società (...) alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali» (11).

16 L'art. 61, n. 2, così dispone:

«La liberalizzazione dei servizi delle banche e delle assicurazioni che sono vincolati a movimenti di capitale deve essere attuata in armonia con la liberalizzazione progressiva della circolazione dei capitali».

17 Tali disposizioni del Trattato lascerebbero presumere che la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi rivestano in un certo qual senso carattere accessorio rispetto alla liberalizzazione della circolazione dei capitali. In considerazione di tali riserve formulate nel Trattato, ci si chiede, quindi, quale sia l'applicabilità delle norme generali dettate in materia di libera prestazione di servizi e di libertà di stabilimento nell'interpretazione data loro dalla giurisprudenza della Corte. In particolare occorre verificare in qual misura i singoli gradi di liberalizzazione della circolazione dei capitali possano costituire un limite all'applicabilità delle norme relative alla libertà di stabilimento e di prestazione di servizi (12).

18 Al fine di individuare eventuali interazioni tra la libera circolazione di capitali, da un lato, e la libertà di stabilimento e di prestazione di servizi dall'altro, occorre anzitutto esaminare quale sia l'ampiezza raggiunta dalla libertà di circolazione dei capitali in Italia e degli effetti che ne possano derivare con riguardo alla sfera di attività degli operatori economici interessati dalla legge italiana de qua.

19 Nonostante il fatto che l'art. 3, lett. c), del Trattato CEE prevedesse già, nel suo testo originario, «l'eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali» quale obiettivo dell'azione della Comunità, solamente nel 1987, a seguito dell'emanazione dell'Atto unico europeo, la libertà di circolazione dei capitali è stata equiparata, dall'art. 8a, secondo comma, alle altre libertà fondamentali. Ai sensi di tale disposizione, il mercato interno comporta «uno spazio senza frontiere interne, nel quale assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali» (13). L'indicazione della scadenza del 31 dicembre 1992 ai fini della progressiva realizzazione del mercato interno, contenuta nell'art. 8a, primo comma, costituiva un limite temporale entro il quale procedere all'emanazione delle necessarie misure. La direttiva sulla libera circolazione dei capitali 88/361/CEE (14) abrogava tutte le precedenti direttive relative all'art. 67 (15) ed istituiva, a decorrere dal termine di trasposizione ivi previsto del 1_ luglio 1990 (16), la libertà di circolazione dei capitali. Le norme sulla libera circolazione dei capitali e dei pagamenti (artt. 73b-73g) introdotti nel Trattato CEE dal Trattato sull'Unione europea si collocano nel solco dei principi tracciati dalla direttiva 88/361 (17).

20 La direttiva 88/361 contiene nell'allegato I, che si richiama all'art. 1 della direttiva stessa, una nomenclatura non esaustiva relativa alla classificazione (18) delle operazioni disciplinate ovvero liberalizzate. Ai fini di una migliore comprensione ritengo opportuno citarne alcuni passi.

21 Nella parte introduttiva si afferma ad esempio:

«I movimenti di capitali elencati nella presente nomenclatura comprendono:

(...)

- l'accesso dell'operatore a tutte le tecniche finanziarie disponibili sul mercato sul quale l'operazione viene effettuata. Ad esempio, la nozione di acquisto di titoli e di altri strumenti finanziari oltre che le operazioni a pronti anche tutte le tecniche di negoziazione disponibili: operazioni a termine, operazioni di opzione o con Warrant, operazioni di scambio contro altre attività ecc.

(...)».

Nel seguito si legge:

«III. Operazioni in titoli normalmente trattati sul mercato dei capitali (non compresi nelle categorie I, IV e V)

a) Azioni e altri titoli aventi carattere di partecipazione b) Obbligazioni

A. Transazioni su titoli del mercato dei capitali

1. Acquisto da parte di non residenti di titoli nazionali trattati in borsa

2. Acquisto da parte di residenti di titoli esteri trattati in borsa

3. Acquisto da parte di non residenti di titoli nazionali non trattati in borsa

4. Acquisto da parte di residenti di titoli esteri trattati in borsa

B. Ammissione di titoli sul mercato dei capitali

i) Introduzione in borsa

ii) Emissione e collocamento su un mercato dei capitali

1. Ammissione dei titoli nazionali su un mercato estero dei capitali

2. Ammissione di titoli esteri sul mercato nazionale dei capitali».

22 Al punto V si afferma infine:

«Operazioni in titoli e altri strumenti normalmente trattati sul mercato monetario.

A. Transazioni su titoli e altri strumenti del mercato monetario

1. (...)

2. (...)

B. Ammissione di titoli e di altri strumenti sul mercato monetario

i) (...)

ii) (...)».

23 Dalla suesposta classificazione emerge come l'oggetto delle operazioni degli intermediatori mobiliari fosse stato liberalizzato già prima dell'emanazione della legge censurata. Tale conclusione trova conferma nell'elenco degli strumenti di cui all'allegato della direttiva 93/22, relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari, che così recita:

«Sezione B

Strumenti

1. a) Valori mobiliari.

b) Quote di organismo di investimento collettivo.

2. Strumenti del mercato comunitario.

3. Contratti a termine fermo (futures) su strumenti finanziari, compresi gli strumenti equivalenti che si regolano in contanti.

4. Contratti a termine su tassi d'interesse (FRA).

5. Contratti SWAPS su tassi d'interesse, su valute o contratti di scambio connessi a indici azionari (equity swaps).

6. Opzioni per acquistare o vendere qualsiasi strumento contemplato da questa sezione dell'allegato, compresi gli strumenti equivalenti che si regolano in contanti. Sono comprese in particolare in questa categoria le opzioni su valute e sui tassi d'interesse».

24 Ne consegue che le norme in materia di libera circolazione dei capitali non determinano, con riguardo all'oggetto del caso di specie, alcuna limitazione della sfera di applicazione delle norme relative alla libertà di stabilimento e di prestazione di servizi. Ciò vale a maggior ragione in quanto il ricorso per inadempimento è incentrato nella specie in particolare sull'«an» della possibilità per gli intermediatori mobiliari di altri Stati membri di avviare attività professionale, ragion per cui il tipo di operazione resta solamente di importanza secondaria. Non vi è quindi alcuna ostacolo all'esame dei principi della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi.

II - La libertà di stabilimento

25 Il ricorso della Commissione, con cui viene contestata la violazione da parte del legislatore italiano delle norme comunitarie in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, censura ed anticipa al tempo stesso gli argomenti difensivi del governo italiano, già dedotti nella fase precontenziosa del procedimento. Il motivo dedotto dalla Commissione in relazione all'art. 52 del Trattato può essere sintetizzato nei termini seguenti:

La Commissione individua una violazione dell'art. 52 nel fatto che gli intermediatori mobiliari stranieri, per poter operare sul mercato italiano, devono costituire una società italiana nelle forme e con la ditta prescritte. Atteso che, ai sensi del diritto comunitario, la sede di una società ne determina la nazionalità, ciò significa che gli intermediatori mobiliari stranieri sarebbero costretti a procedere all'assunzione di una nuova nazionalità, considerato che lo svolgimento dell'attività non è consentito mediante succursali o agenzie. Ciò costituirebbe una discriminazione contraria al diritto comunitario. Gli intermediatori mobiliari stranieri si troverebbero in presenza di una duplicazione dei requisiti di ammissibilità allo svolgimento della professione, atteso che dovrebbero far fronte agli oneri ed ai costi della costituzione di una società sia nel proprio paese di appartenenza, sia in Italia. Tale duplicazione, ancorché risultante da disposizioni indistintamente applicabili, costituirebbe una violazione dell'art. 52 del Trattato.

26 Al fine di impedire la duplicazione dei requisiti di ammissibilità allo svolgimento dell'attività professionale, il diritto comunitario imporrebbe l'obbligo di procedere all'esame dell'equivalenza dei requisiti già assolti in un altro Stato membro, esame che potrebbe essere effettuato, ad esempio, nell'ambito del procedimento di autorizzazione. Il procedimento di autorizzazione in sé non presenterebbe problemi. Anche gli intermediatori mobiliari italiani sono soggetti ad un procedimento di tal genere e ad un continuo controllo da parte dei competenti organi di vigilanza (19). All'atto dell'esame dei requisiti necessari ai fini dell'autorizzazione non dovrebbe essere pretesa l'identità di tali requisiti con quelli vigenti per le società italiane, bensì semplicemente la loro equivalenza. Un esame dell'equivalenza sarebbe di fatto possibile, in quanto i sistemi vigenti nei singoli Stati appaiono effettivamente analoghi. Il governo italiano non avrebbe d'altronde affermato che il proprio sistema sia migliore di quello di altri Stati membri, ragion per cui non occorrerebbe tener necessariamente conto delle peculiarità dei singoli sistemi. Inoltre, una serie di disposizioni della normativa italiana, specificamente richiamate ed illustrate dalla Commissione, evidenzierebbe come sia possibile procedere nel settore de quo ad un esame delle relative analogie.

27 Tra tali disposizioni la Commissione menziona l'art. 20, ottavo comma, della legge relativa al riconoscimento dei mercati mobiliari stranieri, gli artt. 1, secondo comma, e 7, secondo comma, lett. b), del decreto 8 febbraio 1988 relativo all'accesso di intermediatori residenti all'estero al mercato telematico dei titoli di Stato, per i quali sarebbe previsto un controllo paragonabile a quello vigente per gli operatori nazionali. La Commissione menziona, inoltre, esempi tratti dalla materia dei fondi di pensione nonché disposizioni vigenti nel settore bancario e creditizio, sottolineando come non appaiano differenze fondamentali tra tale settore e quello dell'intermediazione mobiliare. La Commissione fa infine riferimento ai progetti normativi diretti all'eliminazione della violazione del Trattato, esposti dal governo italiano a seguito della fase precontenziosa del procedimento, che indicherebbero già di per sé la possibilità di procedere ad un esame della comparabilità dei singoli sistemi.

28 La Commissione contesta la tesi difensiva del governo italiano, secondo cui la normativa censurata, con riguardo alla forma sociale, alla sede sociale ed all'obbligo di adottare una determinata denominazione sociale, risulterebbe giustificata ai sensi dell'art. 56 del Trattato. Il governo italiano non avrebbe dimostrato che gli obiettivi della normativa de qua, quali la stabilità e la trasparenza, rispondano ai requisiti necessari per poter procedere ad una deroga dettata da motivi di ordine pubblico. Motivi di tal genere presuppongono, infatti, la sussistenza di un reale pericolo del pubblico interesse.

29 L'informazione del consumatore quanto all'oggetto dell'attività degli intermediatori mobiliari potrebbe essere senz'altro garantita mediante un riferimento, contenuto nella ditta, al fatto che si tratti di un intermediatore autorizzato e non sarebbe quindi assolutamente necessario renderla così estesa come previsto dalla legge italiana. La norma derogatoria richiamata dal governo italiano dovrebbe essere interpretata, in linea di principio, restrittivamente, nel rispetto, inoltre, il principio della proporzionalità, ragion per cui nel caso concreto sarebbe infondato il riferimento alla norma derogatoria.

30 Il governo italiano sostiene la tesi secondo cui le disposizioni censurate dalla legge n. 1/91 sarebbero giustificate alla luce degli obiettivi di interesse economico generale. Il requisito della sede sarebbe diretto alla tutela degli investitori e della stabilità dei mercati. Determinati requisiti, quali ad esempio, quelli relativi alla dotazione di capitale o al divieto di partecipazioni, potrebbero essere soggetti a controllo solo quando la società abbia sede sul territorio nazionale. In caso di autorizzazione all'esercizio di una succursale di una società straniera non potrebbe essere verificata la sussistenza di tutti i requisiti ritenuti rilevanti dal legislatore italiano.

31 Quanto all'argomento dell'esame dell'equivalenza nell'ambito del procedimento di autorizzazione, il governo italiano sostiene la tesi secondo cui si tratterebbe di un quid pluris rispetto al riconoscimento di titoli e diplomi. Occorrerebbe garantire una vigilanza continua. In assenza di un'istituzionalizzazione dei procedimenti di cooperazione tra gli organi di vigilanza degli Stati membri, tale controllo sarebbe impossibile, non potendosi considerare sufficiente la presentazione di documenti e la raccolta di informazioni. Non si potrebbe presumere, inoltre, che i sistemi degli altri Stati membri siano di per sé equivalenti. Ad esempio, i metodi di calcolo del capitale sarebbero diversi, come peraltro emerso anche nelle discussioni precedenti l'emanazione della direttiva n. 93/6, relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi.

32 Secondo il governo italiano, la Commissione intenderebbe costituire un obbligo di riconoscimento, obbligo peraltro non dettato dal diritto comunitario. Avverso le disposizioni richiamate dalla Commissione relative al riconoscimento di taluni requisiti per l'accesso al mercato da parte di operatori stranieri europei, il governo italiano fa valere che gli esempi indicati dalla Commissione riguarderebbero unicamente singoli settori dei mercati e mercati assoggettati a disciplina specifica. Tra i singoli settori sussisterebbero differenze fondamentali.

33 La libertà di stabilimento sancita dall'art. 52 del Trattato CE prevede l'eliminazione delle restrizioni alla costituzione di agenzie e succursali da parte di soggetti - persone sia fisiche che giuridiche - di uno Stato membro, stabiliti sul territorio di uno Stato membro.

34 Sin dalla conclusione del Trattato CEE, l'art. 53 prevede che gli Stati membri non introducano nuove restrizioni allo stabilimento nel loro territorio di soggetti di altri Stati membri (20). E' opinione comune che tale obbligo di «Stand-still» confluisca, a decorrere dalla scadenza del periodo transitorio, nel più ampio divieto di restrizioni dettato dall'art. 52, norma munita di efficacia diretta. In ogni caso l'art. 53 costituisce peraltro un indizio da cui emerge come nuove normative emanate dagli Stati membri, eventualmente produttive di effetti restrittivi, debbano essere esaminate con particolare cura con riguardo, appunto, a tali effetti.

35 Disposizioni legislative o amministrative che prevedano regimi particolari per i soggetti stranieri sono giustificate, ai sensi dell'art. 56, con riguardo alla libertà di stabilimento, unicamente sulla base di motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. Tale clausola dell'ordine pubblico, che nell'ambito del diritto comunitario deve essere interpretata restrittivamente, si riferisce espressamente a «regimi particolari», vale a dire a normative che abbiano effetti discriminatori, quindi dirette al perseguimento di finalità chiaramente definite e strettamente delimitate (21).

36 Il Trattato non prevede espressamente alcuna norma di giustificazione per quanto riguarda le disposizioni degli Stati membri indistintamente applicabili. Ciò nonostante, anche disposizioni indistintamente applicabili (22) - si pensi solo all'ampio settore delle normative dirette alla disciplina dell'esercizio delle professioni - possono produrre effetti restrittivi (23). Siffatte disposizioni legislative ed amministrative sono compatibili con il diritto comunitario solamente qualora esse siano dirette al conseguimento di interessi di carattere generale e risultino proporzionate alle finalità perseguite (24). Non è quindi possibile, in linea di principio, procedere ad una generalizzazione delle disposizioni compatibili ovvero contrarie al diritto comunitario. Occorre quindi procedere di volta in volta ad un esame delle singole norme collocate nel rispettivo contesto normativo.

37 Per quanto attiene alla legge n. 1/91, oggetto della presente controversia, si tratta di una legge indistintamente applicabile, in ordine alla quale occorre effettuare, per verificarne la compatibilità con il diritto comunitario, tale procedimento di ponderazione. Ancorché indistintamente applicabile, la legge produce ampiamente l'effetto di vietare in modo assoluto a intermediatori mobiliari stranieri di operare sul mercato italiano.

38 Nel corso della fase orale la Commissione ha fatto presente alla Corte che la legge n. 1/91 costituisce una normativa del tutto nuova, introdotta in un settore praticamente privo in precedenza di apposita disciplina. In considerazione dell'obbligo di «Stand-still» incombente agli Stati membri e del divieto di introdurre nuove restrizioni dettato dal diritto comunitario, una normativa di tal genere, introdotta direttamente e successivamente alla liberalizzazione dei servizi finanziari, appare particolarmente critica. Tale impressione è rafforzata dalla constatazione che la legge è stata emanata in un'epoca in cui a livello politico, erano avviati i lavori diretti alla creazione di un'unione economica e monetaria (25).

39 La giustificazione della disciplina normativa alla luce dell'interesse generale necessita di un esame più approfondito.

40 Procedendo ad un raffronto a livello europeo della materia de qua emerge che in pressoché tutti gli Stati membri sono state emanate norme legislative o amministrative nel periodo compreso tra la fine degli anni '80 e gli inizi degli anni '90. I legislatori degli Stati membri delle Comunità europee hanno evidentemente individuato nell'ambito di un periodo di meno di dieci anni la necessità di assoggettare il settore a disciplina specifica, anche se le singole normative che ne sono scaturite non evidenziano necessariamente gli effetti così estesi che caratterizzano la legge italiana.

41 Tale situazione obiettiva può essere in effetti ricondotta a particolari aspetti del settore finanziario, caratterizzati da un rapido sviluppo e da costante innovazione. Molto utile ai fini della comprensione delle modifiche del settore e della diffusione di nuovi strumenti è il parere del Comitato economico e sociale del 25 ottobre 1995 relativo ai «prodotti derivati» (26). Da tale parere si desume che il volume complessivo dei prodotti derivati negoziati al di fuori della borsa - titoli del genere negoziato dagli operatori assoggettati alla disciplina di cui alla legge italiana n. 1/1991 - si è più che decuplicato nel periodo compreso tra il 1986 e il 1992 (27). Dal rinvio contenuto nel detto parere (28) all'allegato della direttiva relativa alle prestazioni di servizi finanziari (29), parte B (30), emerge come tali prodotti costituiscano titoli che rappresentano una parte rilevante dell'oggetto dell'attività degli intermediatori mobiliari.

42 Vengono espressamente indicati:

«- Contratti a termine fermo (futures) su strumenti finanziari, compresi gli strumenti equivalenti che si regolano in contanti.

- Contratti a termine su tassi d'interesse (FRA).

- Contratti SWAPS su tassi d'interesse, su valute o contratti di scambio connessi a indici azionari ("equity swaps").

- Opzioni per acquistare o vendere qualsiasi strumento contemplato da questa sezione dell'allegato, compresi gli strumenti equivalenti che si regolano in contanti. Sono comprese in particolare in questa categoria le opzioni su valute e sui tassi d'interesse».

43 Il parere del Comitato economico e sociale è diretto, tra l'altro, al Parlamento europeo ed ai Parlamenti degli Stati membri (31) e mira fondamentalmente ad informare e a eliminare timori relativi ai detti prodotti finanziari determinati da insufficiente conoscenza (32).

44 I prodotti derivati possono essere pertanto definiti quali «strumenti finanziari che permettono di proteggersi da una variazione favorevole, o di approfittare di una variazione anticipata del corso di attivi detti sottostanti quali le azioni, le materie prime, gli indici azionari, i tassi di cambio o i tassi di interesse» (33). Vengono indicati quali «prodotti complessi», poiché la loro evoluzione dipende da quella del prezzo degli attivi sui quali poggiano (34). I capitali relativi a tali strumenti vengono impiegati «fuori bilancio degli istituti di credito e delle imprese dell'investimento» (35).

45 Nell'ambito di tale parere il Comitato economico e sociale ha concentrato la propria attenzione sui rischi connessi con tali operazioni. Dallo studio emerge peraltro che i pericoli derivanti dalle operazioni aventi ad oggetto tali strumenti finanziari non appaiono affatto fondamentalmente nuovi (36), né palesano un volume maggiore rispetto ad altri settori (37) Inoltre, vengono evidenziati i punti deboli esistenti nel sistema. (38). Nel detto parere si esprime quindi la conclusione che gli strumenti finanziari descritti sono idonei a rendere più sicure (39) le operazioni finanziarie degli operatori economici interessati, rispondendo, quindi, ad una reale esigenza del mondo economico (40).

46 E' incontestabile che i valori rappresentati dalla «tutela degli investitori, stabilità dei mercati e trasparenza delle operazioni», dedotti dal governo italiano, siano meritevoli di tutela. La questione si estrinseca quindi solamente nel chiedersi se il provvedimento legislativo contestato sia idoneo a perseguire tali finalità e, in caso affermativo, se sia proporzionato.

47 Ci si chiede soprattutto se il controllo dei rischi derivanti dalle suddette operazioni possa essere in realtà attuato mediante disposizioni legislative. Nel menzionato parere del Comitato economico e sociale vi sono una serie di elementi dai quali è dato desumere che i rischi principali dovrebbero essere limitati e contenuti mediante sistemi interni di Controlling (41).

48 Aggiungiamo che eventualmente determinate procedure di controllo dovrebbero essere previste per legge, considerato che discipline legislative di tal genere vertono su un oggetto fondamentalmente diverso da quello di cui alla normativa contestata, che produce effetti equivalenti ad una compartimentazione dei mercati.

49 Il controllo istituzionalizzato da parte degli organi di vigilanza all'uopo predisposti costituisce uno dei mezzi diretti a garantire la tutela dei beni giuridici precedentemente menzionati. E' pacifico che il settore de quo è soggetto in Italia alla vigilanza della CONSOB (42). Inoltre, gli intermediatori immobiliari che intendano operare sul mercato italiano necessitano di apposita autorizzazione. Il requisito dell'autorizzazione non rileva dal punto di vista del diritto comunitario (43). Per poter ottenere l'autorizzazione devono sussistere determinati requisiti, quali, ad esempio, una sufficiente dotazione di capitale dell'impresa nonché l'idoneità, sotto il profilo personale e professionale, dei soggetti responsabili. Disposizioni di tal genere, dirette alla tutela degli investitori, devono essere all'occorrenza osservate anche da operatori economici stranieri che intendano stabilirsi ed operare sul mercato italiano (44).

50 Per quanto attiene all'autorizzazione di operatori economici stranieri, che siano già stabiliti in un altro Stato membro e siano stati ivi eventualmente già soggetti ad un procedimento di autorizzazione, occorre peraltro tener presente che dovranno essere riconosciuti i requisiti già posseduti ai fini dell'ottenimento di tale autorizzazione. Per quanto riguarda l'autorizzazione all'esercizio dell'attività professionale, il diritto comunitario prevede l'obbligo di procedere all'esame dell'equivalenza della formazione professionale, dei titoli professionali e dell'esperienza professionale acquisita in un altro Stato membro (45).

51 Qualora venisse imposto il rispetto di tutti i requisiti dettati dagli ordinamenti degli Stati membri ai fini dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività de qua ovvero l'identicità dei requisiti medesimi, si finirebbe in realtà per produrre una duplicazione ovvero una moltiplicazione dei requisiti di ammissibilità per quegli operatori che svolgano attività in più di uno Stato membro, mantenendo in tal modo i confini nazionali di cui proprio il Trattato si è proposto l'eliminazione.

52 L'eccezione sollevata dal governo italiano, secondo cui l'obbligo di procedere alla verifica dell'equivalenza renderebbe superflua l'istituzione di una disciplina unitaria attuata mediante direttiva, non può ritenersi corretta. Mentre, in assenza di una normativa di armonizzazione, assumono rilevanza unicamente le singole normative nazionali, sussistendo semplicemente l'obbligo dei singoli Stati membri di procedere alla verifica e di riconoscere le prestazioni che il soggetto richiedente l'autorizzazione all'esercizio dell'attività abbia già effettuato nell'ambito dell'ordinamento di un altro Stato membro, verifiche di tal genere diventano superflue dal momento in cui sia stata emanata una normativa di armonizzazione. In tal caso, infatti, i requisiti posseduti da un altro Stato membro saranno considerati per legge equivalenti, il che è di per sé in contrasto con l'assoggettamento di una filiale ad un procedimento di autorizzazione in uno Stato membro (46).

53 Gli obblighi sanciti dal diritto comunitario relativi al riconoscimento parziale delle prestazioni effettuate in un altro Stato membro, obblighi che scaturiscono dalle norme del Trattato munite di efficacia diretta, non sono pertanto paragonabili agli effetti di una direttiva di armonizzazione, quale la direttiva 93/22, la cui sfera di applicazione è più ampia rispetto a quella del Trattato. La norma di armonizzazione realizza una notevole semplificazione. L'eccezione sollevata dal governo italiano deve essere quindi respinta.

54 Ci si chiede se l'ulteriore requisito imposto agli intermediatori mobiliari consistente nell'assunzione di una determinata forma, vale a dire di una società per azioni ovvero di una società di accomandita per azioni, sia compatibile con il diritto comunitario.

55 A sostegno della legittimità di tale requisito si potrebbe sostenere che una determinata forma di società impone, ad esempio, taluni obblighi di pubblicità ovvero un capitale minimo, elementi questi strumentali alla tutela degli investitori. Non può essere quindi del tutto negata l'idoneità del provvedimento con riguardo alla realizzazione dell'obiettivo perseguito. Ci si chiede, peraltro, se sia parimenti necessario un provvedimento di tale intensità.

56 La risposta a tale domanda è a nostro avviso negativa. Laddove determinate forme di pubblicità o un determinato capitale minimo dovessero costituire elementi indispensabili, tale requisito potrebbe essere imposto per legge a potenziali intermediatori mobiliari stranieri, la risposta che potrebbe essere verificato sia nel procedimento di autorizzazione quanto nell'ambito dell'attività di vigilanza da parte dell'Amministrazione. Non appare quindi indispensabile vincolare l'attività ad una determinata forma di società.

57 Occorre quindi esaminare se sia necessario che la società abbia la propria sede sul territorio nazionale italiano. Partendo dalla premessa che il procedimento di autorizzazione costituisca uno strumento idoneo, necessario e proporzionato al conseguimento di obiettivi legittimi, l'autorizzazione stessa dovrà essere riferita, sotto il profilo soggettivo, ad una persona giuridica o fisica. E' indubbio che tale tipo di controllo risulti più semplice quando la persona risieda sul territorio nazionale dello Stato membro. Tale requisito può però essere adempiuto anche da un'agenzia o da una succursale, ragion per cui il requisito della sede in senso stretto non appare di per sé necessario. La presenza sul territorio nazionale appare elemento sufficiente per assoggettare l'impresa a controllo.

58 La questione se sia giustificata una rappresentanza sul territorio nazionale ai fini dello svolgimento dell'attività economica non deve essere necessariamente esaminata nell'ambito della libertà di stabilimento, assumendo peraltro nuovamente rilevanza nell'ambito della libertà di prestazioni di servizi.

59 Quanto all'obiettivo della stabilità dei mercati, non si comprende in qual misura possa essere compromessa per effetto di una maggiore presenza, rispetto alle società nazionali, di intermediatori mobiliari stranieri autorizzati e stabiliti sul territorio nazionale. Nemmeno l'obiettivo della trasparenza costituisce a mio avviso una giustificazione valida per il requisito della sede, considerato che gli obblighi fondamentali in materia di pubblicità si applicano indistintamente a tutti gli intermediatori mobiliari operanti sul territorio nazionale, indipendentemente dalla forma giuridica da essi assunta, il che è oggetto di controllo da parte delle autorità nazionali sia nell'ambito del procedimento di autorizzazione quanto nella successiva vigilanza.

60 Ci si chiede infine se l'obbligo, imposto agli intermediatori mobiliari operanti sul territorio italiano consistente nel recare nella ditta una determinata dicitura (società di intermediazione mobiliare, SIM), sia compatibile con il diritto comunitario. Tale disposizione è conseguente alla scelta di una determinata forma societaria con sede in Italia. Essa mantiene tuttavia un carattere autonomo, in quanto rafforza l'obbligo di costituire una società italiana che risponda a determinati requisiti societari. La dicitura «società di intermediazione mobiliare» è diretta ad informare il consumatore rendendolo edotto quanto all'oggetto sociale ed alla tipologia delle operazioni compiute. Tale obbligo di informazione si ricollega alla tutela degli investitori.

61 Come giustamente osservato dalla Commissione, tale obiettivo potrebbe essere parimenti realizzato mediante un'indicazione contenuta nella ditta da cui risulti che l'impresa di cui trattasi è autorizzata a svolgere attività di intermediazione mobiliare in Italia, il che rappresenterebbe una misura molto meno restrittiva rispetto all'obbligo tassativo previsto dalla legge di recare la denominazione SIM.

62 L'obbligo di recare nella ditta degli intermediatori mobiliari la dicitura «società di intermediazione mobiliare» deve essere conseguentemente considerata sproporzionata.

63 Ne consegue che le disposizioni di cui alla legge n. 1 del 1991, dirette alla tutela di interessi generali, appaiono, con riguardo ai profili censurati dalla Commissione, non idonee ovvero non proporzionate ai fini della realizzazione degli obiettivi perseguiti, risultando pertanto incompatibili con l'art. 52 del Trattato.

III. La libertà di prestazione di servizi

64 Secondo la Commissione, la legge n. 1/91 violerebbe non solamente i principi della libertà di stabilimento, bensì anche quelli della libertà di prestazione di servizi, di cui il requisito della sede costituirebbe la negazione. Lo stabilimento non sarebbe necessario ai fini della libertà di prestazione di servizi. L'ordinamento italiano non potrebbe esigere, nel caso di operazioni transfrontaliere, il rispetto di tutti i requisiti dettati dalla normativa italiana.

65 Pur non potendo negarsi che la tutela degli investitori e la stabilità dei mercati costituiscano valori meritevoli di tutela giuridica, il governo italiano non avrebbe indicato i motivi per i quali tutte le disposizioni della propria normativa in materia debbano trovare applicazione cogente. Secondo la Commissione, sarebbe giustificata solamente una parte di tali disposizioni. Il rispetto delle disposizioni italiane, laddove risultassero irrinunciabili, potrebbe essere garantito da parte dei prestatori di servizi nell'ambito del procedimento di autorizzazione, i cui criteri dovrebbero essere obiettivi, realistici, proporzionati e trasparenti. Tale assoggettamento parziale degli intermediatori mobiliari stranieri alla normativa interna dello Stato membro ed al relativo regime nazionale di vigilanza sarebbe realizzabile. A titolo di esempio la Commissione menziona la partecipazione sotto forma di fondo di garanzia. In ogni caso le garanzie necessarie potrebbero essere assicurate mediante misure meno restrittive del requisito dello stabilimento.

66 Gli argomenti dedotti dalla Commissione nell'ambito dell'esame della libertà di stabilimento e diretti a contestare l'argomento del governo italiano, secondo cui la misura de qua sarebbe giustificata, devono valere a fortiori con riguardo alla libertà di prestazione di servizi.

67 Laddove infine il governo italiano si richiama alla parità di trattamento con altri Stati membri che hanno emanato normative di contenuto analogo, la Commissione replica facendo presente che le disposizioni emanate a disciplina della materia de qua non sarebbero così restrittive come quelle italiane (47), e che gli Stati membri avrebbero presentato progetti di legge (48) ai fini della trasposizione delle direttive 93/6 e 93/22, la cui emanazione non realizzerebbe una violazione del Trattato.

68 Il governo italiano reitera la tesi secondo cui il requisito della sede sarebbe indispensabile. Prestazioni transfrontaliere non sarebbero assolutamente meno pericolose rispetto alle operazioni effettuate da intermediatori stabiliti in Italia. Disposizioni emanate ai fini della tutela dell'interesse generale dovrebbero valere a maggior ragione nell'ambito della libertà di prestazione di servizi. Ciò anche in quanto occorrerebbe evitare elusioni della normativa italiana mediante la costituzione di succursali all'estero.

69 Nelle more dell'istituzionalizzazione della cooperazione tra gli organi di vigilanza degli Stati membri, non sarebbero garantiti controllo e poteri sanzionatori.

70 Le prestazioni normalmente oggetto del caso di specie costituiscono prestazioni per corrispondenza, ciò significa che né i prestatori di servizi né il relativo destinatario debbono varcare un confine ai fini del compimento dell'operazione. Lo scambio di dati transfrontaliero avviene mediante telecomunicazione. Il mercato dei servizi finanziari appare addirittura predestinato per tale tipo di gestione delle operazioni.

71 Dal parere del Comitato economico e sociale precedentemente richiamato si desume, con riguardo ai dati della FOREX, che circa la metà (49%) delle operazioni valutarie riguarda voci impegnate solamente per tempi brevissimi (tra 30 minuti e cinque ore) (49).

72 La questione se prestazioni di servizi per corrispondenza di tal genere costituiscano prestazioni di servizi ai sensi del Trattato, ricadendo quindi nella sfera di applicazione dell'art. 59, è stata risolta positivamente dalla sentenza nella causa C-384/93 riguardante il caso di acquisizione telefonica di clientela (50). In essa si afferma: «Nel caso di specie, un prestatore stabilito in uno Stato membro rivolge le offerte di servizi ad un destinatario stabilito in un altro Stato membro. Dai termini stessi dell'art. 59 discende che si tratta, per questo motivo, di una prestazione di servizi ai sensi di tale norma» (51).

73 Tale affermazione può essere trasposta, da punto di vista sostanziale, al caso di specie. Essa può assumere persino maggiore intensità, in quanto non si parla solamente di offerte di prestazioni di servizi, bensì proprio di prestazioni di servizi (52).

74 L'esame dei principi della libertà di prestazione di servizi si svolge secondo uno schema parallelo a quello relativo alla libertà di stabilimento. L'art. 62 contiene un obbligo di «Stand-still» paragonabile a quello dell'art. 53 del Trattato (53), peraltro non produttivo dopo il termine del periodo transitorio, secondo opinione generalmente condivisa, di alcun effetto ulteriore rispetto al divieto di restrizioni risultante dall'art. 59, norma munita di efficacia diretta. Tale obbligo di stand-still, che dalla conclusione del Trattato CEE in poi non è stato mai rimosso da alcuna delle revisioni del Trattato stesso, lascia presumere la necessità di una particolare attenzione che i legislatori degli Stati membri dovrebbero applicare nell'emanazione di norme potenzialmente restrittive della libertà di prestazioni di servizi.

75 Deroghe al divieto di discriminazioni, che rappresenta il nucleo essenziale della libertà di prestazione di servizi, sono ammissibili solamente nell'ambito della «clausola dell'ordine pubblico» di cui all'art. 56 nel combinato disposto con il successivo art. 66. Atteso che nel caso di specie si tratta peraltro di norme indistintamente applicabili, non occorre procedere ad un esame più approfondito di tale norma derogatoria.

76 E' giurisprudenza costante della Corte che, tenuto conto delle speciali caratteristiche di talune prestazioni di servizi, non possono considerarsi incompatibili con il Trattato specifici obblighi imposti al prestatore che siano giustificati dall'applicazione di norme che disciplinano questi tipi di attività (54). «Tuttavia, la libera prestazione dei servizi, in quanto principio fondamentale del Trattato, può essere limitata soltanto da norme giustificate da motivi imperativi di pubblico interesse e che si applicano ad ogni persona o impresa che svolga un'attività sul territorio dello Stato destinatario, nella misura in cui tale interesse non sia salvaguardato dalle norme alle quali è soggetto il prestatore nello Stato membro in cui è stabilito. In particolare, detti obblighi devono essere obiettivamente necessari per garantire l'osservanza delle norme professionali e per assicurare la tutela del destinatario dei servizi ed essi non devono esorbitare da quanto è necessario per raggiungere questi obiettivi» (55).

77 Prima di procedere all'esame se motivi imperativi attinenti all'interesse generale, ai sensi della detta giurisprudenza, siano idonei a giustificare le disposizioni censurate dalla Commissione, occorre anzitutto definire la natura delle restrizioni contestate. L'assoggettamento di prestatori di servizi potenziali ad un procedimento di autorizzazione produce senz'altro effetti restrittivi, ma non viene in realtà contestato dalla Commissione e può essere considerato compatibile con il diritto comunitario (56). La Commissione censura unicamente talune modalità relative ai requisiti necessari ai fini dell'autorizzazione, già esaminati nell'ambito delle osservazioni attinenti alla libertà di stabilimento (57).

78 Rilevanza decisiva con riguardo al movimento delle prestazioni di servizi assume il requisito della sede imposto dalla normativa italiana, che si estrinseca dal punto di vista pratico nella negazione della libertà di prestazione di servizi (58). «Esso ha la conseguenza di privare di ogni efficacia pratica l'art. 59 del Trattato, il cui scopo consiste per l'appunto nell'eliminare le restrizioni della libera prestazione di servizi da parte di persone non stabilite nello Stato nel cui territorio dev'essere fornita la prestazione (...). Tale requisito può essere ammissibile soltanto qualora sia provato ch'esso costituisce una condizione indispensabile per raggiungere lo scopo perseguito» (59).

79 Occorre quindi esaminare se il requisito della sede costituisca un presupposto indispensabile al fine di garantire la tutela degli investitori e la stabilità dei mercati - valori fatti valere dal governo italiano.

a. La tutela degli investitori

80 Il profilo della tutela degli investitori presenta vari aspetti. Da un lato, è dato pensare a garanzie di carattere reale, quali ad esempio le riserve di capitale della società prestatrice di servizi. Dall'altro, vanno presi in considerazione elementi soggettivi, quali ad esempio le qualifiche professionali e l'onorabilità delle persone responsabili. Infine, può assumere rilevanza l'ordinamento giuridico al quale sia soggetta la relativa operazione, ad esempio con riguardo alla questione se trovino applicazione o meno determinate norme dirette alla tutela del consumatore. I primi due elementi, vale a dire le garanzie di carattere reale e personale, possono assumere il ruolo di presupposti ai fini dell'ottenimento dell'autorizzazione nell'ambito del relativo procedimento, tenendo presente che eventualmente dovrà tenersi conto di requisiti già posseduti nello Stato di provenienza (60).

81 Diversa è la situazione per quanto attiene alla normativa generale diretta alla tutela del consumatore. Le singole norme non possono essere senz'altro importate o esportate. Il governo italiano sostiene in tale contesto che sia possibile l'effettuazione di operazioni con controparti straniere promosse da operatori stabiliti sul territorio nazionale italiano, atteso che tali operatori si sottoporrebbero di propria volontà al regime di tutela predisposto dall'ordinamento italiano.

82 Prima di addentrarsi nella questione, se ed eventualmente quali norme dirette alla tutela del consumatore possano trovare applicazione, riteniamo opportuno individuare l'ambito dei potenziali clienti. Il parere del Comitato economico e sociale precedentemente già più volte richiamato (61), definisce i partecipanti al mercato dei prodotti finanziari oggetto dello studio medesimo nei seguenti termini (62)

«Si distinguono due grandi categorie di partecipanti: gli intermediari e gli utenti finali.

(...) Gli intermediari: banche ed imprese di investimento, agiscono o per conto di terzi, e sono allora semplici operatori che non prendono alcun rischio, o per conto proprio (market markers). I due ruoli possono anche essere esercitati simultaneamente» (63). In prosieguo si legge:

«I principali utenti finali (64) sono:

- le banche o gli intermediari finanziari, per la loro gestioni degli attivi e dei passivi;

- gli investitori istituzionali, i fondi d'investimento, le società di assicurazione, le casse di previdenza aziendale (...);

- le imprese industriali e commerciali;

- gli Stati e gli enti territoriali. Numerosi Stati ed organizzazioni internazionali utilizzano i prodotti derivati, ciò vale anche per gli enti territoriali inglesi, francesi ed americani» (65).

83 A prescindere dal fatto che nelle operazioni del genere di cui trattasi non appare sempre con chiarezza quale delle parti sia il prestatore e quale il destinatario dei servizi (66), si tratta in ogni caso di operatori economici ovvero organizzazioni che ben conoscono il settore e che non si trovano quindi indifesi di fronte al potere contrattuale degli istituti finanziari.

84 In tale genere di operazioni non si ritrova il risparmiatore privato che rappresenta il consumatore meritevole di tutela. La fattispecie oggetto della presente controversia appare quindi fondamentalmente diversa da quella della causa C-384/93 (67) in cui ogni cliente privato poteva essere potenzialmente destinatario delle offerte telefoniche della società finanziaria. Anche la fattispecie di cui alla causa C-205/84 (68) non è paragonabile a quella in esame. Nella detta causa le controparti erano rappresentate da potenziali assicurati, che come tali potevano essere soggetti destinatari di norme dirette alla tutela del consumatore. Infine, non si è nemmeno in presenza di una fattispecie come quella oggetto della causa C-106/91 (69), in cui ci si chiedeva se un revisore contabile, che si rechi personalmente nello Stato ospitante ai fini della prestazione di servizi, debba ivi disporre di una sede per l'esercizio dell'attività.

85 Per quanto attiene alle operazioni oggetto delle norme contestate, la valutazione dei rischi spetta in linea di massima agli operatori che siano parti dell'operazione. La valutazione della serietà e della solvibilità della controparte non può essere sostituita da alcuna norma di legge.

86 Riteniamo, in conclusione, che né la tutela degli investitori in generale né la tutela del consumatore in particolare legittimi l'imposizione del requisito della sede. Infatti, tale requisito non appare né idoneo né necessario al fine di rafforzare la tutela degli investitori. Esso sarebbe inoltre anche sproporzionato, in quanto non offre alcuna ulteriore garanzia rispetto al requisito dello stabilimento. Occorre quindi esaminare se la finalità di tutela consistente nella «stabilità dei mercati» sia idoneo a giustificare il requisito della sede.

b. Stabilità dei mercati

87 Per quanto attiene ai rischi insiti nelle operazioni finanziarie eventualmente atte a pregiudicare la stabilità dei mercati, ritengo ovvio muovere dalla premessa che il legislatore italiano abbia ritenuto, nell'ambito del procedimento legislativo, che il pregiudizio non derivasse in realtà dal carattere transfrontaliero della prestazione. Secondo quanto affermato dalla Commissione, e non contestato ex adverso, sono consentite le operazioni di intermediazione mobiliare transfrontaliere promosse da operatori economici stabiliti sul territorio nazionale italiano. L'inversione dei ruoli di offerente ed accipiens nel contratto di prestazioni di servizi determina invece la nullità dell'operazione ed è considerato illecito penale. Non riusciamo peraltro a comprendere sotto quale profilo l'operazione possa presentare un rischio maggiore, a seconda del fatto che la parte che promuova l'operazione sia stabilita all'estero anziché sul territorio nazionale.

88 L'argomento del governo italiano secondo cui il requisito della sede dovrebbe essere mantenuto fintantoché non sia istituzionalizzata la cooperazione tra gli organi di vigilanza degli Stati membri esprime la legittima volontà di assicurare una vigilanza costante del settore. La vigilanza da parte dell'Amministrazione costituisce peraltro qualcosa di fondamentalmente diverso rispetto all'impedimento dell'effettuazione di operazioni commerciali.

89 Fintantoché non sia stata istituita una struttura unitaria in cui collocare la cooperazione tra gli organi di vigilanza, non può essere disconosciuta ai singoli Stati membri il diritto di estendere il proprio potere di vigilanza sulle operazioni che riguardino il proprio territorio nazionale. Ai fini del conseguimento di tale obiettivo appare necessario ed idoneo l'assoggettamento di prestatori di servizi stranieri al procedimento di autorizzazione. Il caso in esame si avvicina, sotto i profili sia di fatto che di diritto, alla fattispecie oggetto della causa 205/84 (70). Nel corso della controversia decisa dalla detta sentenza il governo convenuto aveva affermato che il necessario controllo sull'attività assicurativa non potesse essere esercitato al di fuori di un regime di autorizzazione degli assicuratori, regime che «consenta un esame prima dell'inizio delle attività, una sorveglianza continua di queste ultime e la possibilità di revocare l'autorizzazione in caso di infrazioni gravi e persistenti» (71). La Corte non ha respinto tali argomenti, ammettendo «che, allo stato attuale del diritto comunitario, spetta allo Stato destinatario concedere e revocare tale autorizzazione» (72). Tale affermazione può essere trasposta al caso di specie.

90 La Corte ha formulato le particolari modalità di tale autorizzazione dettate dal diritto comunitario nei termini seguenti:

«Si deve tuttavia sottolineare che l'autorizzazione dev'essere concessa a qualsiasi impresa stabilita in un altro Stato membro, che ne faccia domanda e soddisfi le condizioni imposte dalla legislazione dello Stato destinatario, come pure che tali condizioni non possono aggiungersi a condizioni legali equivalenti già soddisfatte nello Stato di stabilimento e che l'autorità di controllo dello Stato destinatario deve tener conto degli esami e delle verifiche già effettuati nello Stato membri di stabilimento» (73).

91 Con l'armonizzazione realizzata dalla direttiva 93/22 si giunge pertanto ad una notevole semplificazione del movimento delle prestazioni di servizi, in quanto, per effetto di tale armonizzazione, l'autorizzazione ottenuta nello Stato di origine è riconosciuta in tutta la Comunità (74).

92 Per quanto attiene al controllo costante delle operazioni effettuate, si deve riconoscere che l'organo di vigilanza del paese destinatario non possa intervenire a sua discrezione nei confronti di un'impresa stabilita in un altro Stato membro. E' peraltro insito nella natura delle operazioni del settore de quo che anche in presenza di operazioni puramente interne è comunque impossibile un controllo di tutte le operazioni. Esiste poi incontestabilmente un «Know-how» degli operatori del settore, meritevole di tutela, come chiaramente illustrato nel menzionato parere del Comitato economico e sociale (75), che si oppone ad un potere di vigilanza troppo restrittivo.

93 Al fine, comunque, di minimizzare possibili rischi e quindi garantire nella misura maggiore possibile la stabilità dei mercati, il «Controlling» interno viene in genere favorevolmente considerato quale idoneo strumento di garanzia, opinione che trova chiara rispondenza nell'illuminante parere del Comitato economico e sociale (76). Qualora dunque il controllo interno al settore unitamente alla vigilanza da parte dell'amministrazione risulti idoneo a determinare condizioni ottimali per la stabilità dei mercati, il mantenimento del requisito della sede per prestatori di servizi stranieri appare sproporzionato, anche laddove potesse effettivamente agevolare la vigilanza da parte dell'amministrazione stessa. Considerazioni di carattere amministrativo non possono mai legittimare l'esclusione da parte di uno Stato membro dall'esercizio di una delle libertà fondamentali garantita dal Trattato (77).

94 Appare infine opportuno esaminare, per esigenze di completezza, l'argomento dedotto dal governo italiano, secondo cui il requisito della sede dovrebbe essere mantenuto al fine di impedire eventuali elusioni della normativa italiana.

95 Nel corso degli anni la Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi, nell'ambito di contesti sempre differenti, in merito alle questioni dell'elusione della legge nonché di possibili abusi perpetrati avvalendosi di norme comunitarie. Un riepilogo di tale «giurisprudenza in materia di elusione» è contenuto nelle conclusioni degli scriventi relative alla causa C-23/93, la cui illustrazione in dettaglio esulerebbe dai limiti della presente trattazione (78). La conclusione che emerge da tale giurisprudenza, che non può non trovare applicazione anche nel caso di specie, è che uno Stato membro è legittimato, in presenza di una manifesta elusione di proprie leggi, ad applicare la normativa vigente per i prestatori di servizi stabiliti sul proprio territorio nazionale anche nei confronti a quelli stabiliti in un altro Stato membro.

96 Il semplice pericolo dell'elusione della legge di uno Stato membro non giustifica quindi a priori il fatto che all'esercizio di una determinata attività economica vengano ammessi solo i prestatori di servizi stabiliti sul territorio nazionale del rispettivo Stato membro. Il requisito della sede non può essere quindi giustificato nemmeno alla luce del pericolo di un'elusione della legge.

97 In conclusione, gli argomenti dedotti dal governo italiano al fine di giustificare il requisito della sede dettato dalla legge n. 1/1991 per gli intermediatori mobiliari non possono essere considerati quali motivi imperativi di interesse pubblico, che non possano essere tutelati mediante misure meno restrittive.

C - Conclusioni

98 Alla luce delle suesposte considerazioni suggeriamo a questa Corte di dichiarare quanto segue:

1) La Repubblica italiana, assoggettando mediante la legge n. 1/991 l'attività degli intermediatori mobiliari, diversi dalle banche, al requisito del possesso della sede sociale in Italia nonché al possesso di ulteriori requisiti che società non italiane non possono soddisfare, nonché omettendo di disporre un procedimento in base al quale intermediatori mobiliari di altri paesi membri possano ottenere l'autorizzazione mediante la prova del possesso di requisiti equivalenti, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 52 del Trattato CE.

2) La Repubblica italiana, limitando l'esercizio dell'attività di intermediazione mobiliare da parte di soggetti diverse dalle banche alle sole società con sede sociale sul territorio italiano, è inoltre venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 59 del Trattato CE.

3) La Repubblica italiana è condannata alle spese.BOgr

(1) - Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana 4 gennaio 1991,

(2) - GU L 141 dell'11.6.1993, pag. 27.

(3) - GU L 141 dell'11.6.1993, pag. 1.

(4) - Ai sensi dell'art. 31 della direttiva 93/22, gli Stati membri dovevano procedere entro il 1_ luglio 1995 all'emanazione delle necessarie disposizioni che dovevano entrare in vigore entro il 31 dicembre 1995. Cfr. anche l'art. 12 della direttiva 93/6, che rinvia all'art. 31, n. 2, della direttiva 93/22.

(5) - Secondo quanto indicato dalla Commissione le dette limitazioni non si applicano nei confronti degli istituti di credito ovvero delle società finanziarie che siano controllate in misura non inferiore al 90% da istituti di credito (cfr. al riguardo il Decreto Legislativo 1_ settembre 1985, n. 385, in Gazzetta ufficiale Repubblica italiana 30 settembre 1993, n. 230, Supplemento ordinario.

(6) - (...)

(7) - Cfr. il Libro Bianco della Commissione relativo alla realizzazione del Mercato Unico, giugno 1985.

(8) - V. sentenze 21 giugno 1974, causa 2/74, Reyners (Racc. 1974, pag. 631) e 3 dicembre 1974, causa 33/74, Van Binsbergen (Racc. 1974, pag. 1299).

(9) - V. sentenza 11 novembre 1981, causa 203/80, Casati (Racc. 1981, pag. 2595).

(10) - V. sentenza 21 settembre 1988, causa 267/86, Van Eycke/Aspa (Racc. 1988, pag. 4769, punti 22 e seguenti).

(11) - Il corsivo è nostro.

(12) - V. sentenza Van Eycke, citata (nota 10), punti 23 e seguenti.

(13) - Il corsivo è nostro.

(14) - Direttiva del Consiglio 24 giugno 1988 per l'attuazione dell'art. 67 del Trattato (GU L 178 dell'8.7.1988, pag. 5).

(15) - Cfr. art. 9 della direttiva 88/361.

(16) - Cfr. art. 6 della direttiva 88/361.

(17) - Trattato sull'Unione europea del 7 febbraio 1992 (GU C 224 del 31.8.1992).

(18) - Cfr. l'allegato I, primo comma, ultimo capoverso.

(19) - CONSOB - Commissione Nazionale per la Società e la Borsa.

(20) - V. sentenza 8 aprile 1976, causa 48/75, Royer (Racc. 1976, pag. 497, punto 74).

(21) - Pubblica sicurezza e sanità pubblica.

(22) - Per quanto attiene alla libertà normativa degli Stati membri, v., ad esempio, le sentenze 3 ottobre 1990, causa C-61/89, Bouchoucha (Racc. 1990, pag. I-3551, punto 12), 7 maggio 1991, causa C-340/89, Vlassopoulou (Racc. 1991, pag. I-2357, punto 9), e 7 maggio 1992, causa C-104/91, Aguirre Borrell (Racc. 1992, pag. I-3003, punti 5 e 7).

(23) - V. causa C-340/89, citata (nota 22), punto 15 e causa C-104/91, citata (nota 22), punto 10.

(24) - V. sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus (Racc. 1993, pag. I-1663, punto 32); 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 37).

(25) - Osservazione della Commissione nel corso della fase orale: alla «vigilia» del Trattato di Maastricht si sarebbe inciso sull'art. 73 b.

(26) - GU C 18/1996, pag. 21.

(27) - V. la tabella contenuta nel menzionato parere del Comitato economico e sociale.

(28) - V. punto 1.1.3 del parere.

(29) - V. direttiva 93/22/CEE, citata.

(30) - Cfr. l'elenco completo precedentemente riportato (v. punto 23).

(31) - Cfr. i soggetti indicati nell'introduzione quali destinatari del parere.

(32) - V. punto 3.6.3. del parere.

(33) - V. punto 1.1.1. del parere.

(34) - V. punto 1.1.2. del parere.

(35) - V. introduzione del parere, pag. 1.

(36) - V. punto 1.5.3. del parere.

(37) - V. punto 3.0.4. del parere.

(38) - V. punto 1.5.3.5. del parere.

(39) - V. punti 1.5.1. e 1.5.2. del parere.

(40) - V. punto 1.5.2. del parere.

(41) - V. punto 1.5.3.5. del parere.

(42) - Commissione nazionale per la società e la borsa.

(43) - V. causa C-340/89, citata (nota 22), punti 8, 9 e 16.

(44) - V. causa C-55/94, citata (nota 24), punti 35 e 36.

(45) - V. causa C-340/89, citata, punto 15 e seguenti; causa C-104/91, citata, punto 12; causa C-55/94, citata (nota 24), punto 38; sentenza 1_ febbraio 1996, causa C-164/94 (Aranitis, non ancora pubblicata nella Raccolta), punto 31.

(46) - Cfr. direttiva 93/22.

(47) - Cfr. Regno Unito, Spagna, Francia e Germania.

(48) - Belgio.

(49) - Cfr. punto 1.4.3. del parere.

(50) - V. sentenza 10 maggio 1995, causa C-384/93, Alpine Investiments BV (Racc. 1995, pag. I-1141).

(51) - V. causa C-384/93, citata, punto 21.

(52) - Altre prestazioni di servizi per corrispondenza che sono state ritenute dalla Corte prestazioni di servizi ai sensi del Trattato sono: le trasmissioni televisive, v. sentenza 26 aprile 1988, causa 352/85, Bond van Adverteerders (Racc. 1988 pag. 2085); trasmissioni televisive via cavo, sentenza 5 ottobre 1994, causa C-23/93, TV10 (Racc. 1994, pag. I-4795); contratti di assicurazione, sentenza 4 dicembre 1986, causa 205/84, Commissione/Germania (Racc. 1986, pag. 3755); consulenze in materia di brevetti, sentenza 25 luglio 1991, causa C-76/90, Saeger (Racc. 1991, pag. I-4221); lotterie, sentenza 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler (Racc. 1994, pag. I-1039).

(53) - Cfr. sentenza 8 aprile 1976, causa 48/75, Royer (Racc. 1976, pag. 497, punto 74).

(54) - Cfr. sentenza 25 luglio 1991, causa C-76/90, Saeger (Racc. 1991, pag. I-4221, nota 15), e sentenza 4 dicembre 1986, causa 205/84, Commissione/Germania (Racc. 1986, pag. 3755, punto 27).

(55) - V. causa C-76/90, citata (v. nota 54), punto 15.

(56) - V. sentenza 17 dicembre 1981, causa 279/80, Webb (Racc. 1981, pag. 3305, punto 19).

(57) - Cfr. forma societaria e ditta.

(58) - V. sentenza 205/84, citata (nota 54), punto 52.

(59) - V. causa 205/84, citata (nota 54), punto 52 (il corsivo è nostro).

(60) - V. sentenza 18 gennaio 1979, cause riunite 110/78 e 111/78, Van Wesemaehl (Racc. 1979, pag. 35, punto 39 e punto 3 del dispositivo); causa 279/80, citata (nota 56), punti 17, 20, 21 e punto 2 del dispositivo.

(61) - V. nota 26.

(62) - V. punto 1.3. del parere, citato.

(63) - V. punto 1.3.1. del parere.

(64) - In una nota a piè di pagina si legge «Si tratta di un elenco indicativo».

(65) - V. punto 1.3.2. del parere.

(66) - Cfr. la citazione di cui precedente n. 83, in cui si legge: «i due ruoli possono anche essere esercitati simultaneamente».

(67) - Causa C-384/93, citata (v. nota 50).

(68) - Causa C-205/84, citata (v. nota 54).

(69) - V. sentenza 20 maggio 1992, causa C-106/91, Ramrath (Racc. 1992, pag. I-3351).

(70) - V. causa 205/84, citata (nota 54).

(71) - V. causa 205/84, citata (nota 54), punto 43.

(72) - V. causa 205/84, citata (nota 54), punto 46.

(73) - V. causa 205/84, citata (nota 54), punto 47.

(74) - Cfr. l'ottavo `considerando' nonché l'art. 14 della detta direttiva.

(75) - V. punto 3.2.4.1. del parere.

(76) - V. punto 1.5.3.5. - secondo cpv.; punto 2.1.4.; punto 2.2.2., secondo trattino; punto 2.2.3.; punto 3.0.8.; punto 3.0.9.; punto 3.4.2.; punto 3.4.3.

(77) - In tal senso, v. causa 205/84, citata (nota 54), punto 54.

(78) - Cfr. le conclusioni degli scriventi 16 giugno 1994 relativa alla sentenza 5 ottobre 1994, causa 23/93, TV10 (Racc. 1994, pagg. I-4795, I-4797, punti 50 e seguenti).

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